Nonostante questo lasso di tempo enorme noi sappiamo benissimo chi è stato,anche se i parenti,gli amici e tutte le persone vicine ai morti ammazzati e le vittime stesse ancora non hanno ottenuto giustizia.
L'unico che l'ha avuta anche se è ben poca consolazione in confronto alla vita spezzata di un'innocente è stato Giuseppe Pinelli,la giustizia del popolo che allo stesso è dura ma onesta e necessaria.
Di seguito i comunicati del Vittoria che chiama all'appello i compagni per diffondere notizie ed idee tramite una piazza anticapitalista e per onorare i morti di quel pomeriggio di quarant'anni fa e chiederne la giustizia:lunedì scorso uno speciale de"La storia siamo noi"di Rai Due ha tracciato una linea coerente su quello che successe,altre notizie si possono trovare qui:http://it.wikipedia.org/wiki/Piazza_fontana ed in parecchi siti su Internet.
Voglio concludere con una frase di Leonardo Sciascia su quella che fu il primo capitolo di una lunga serie di attentati criminosi che hanno visto la firma di neofascisti spalleggiati e coperti dallo Stato:"Ed è da allora che l'Italia è un paese senza verità.Ne è venuta fuori,anzi,una regola:nessuna verità si saprà mai riguardo ai fatti delittuosi che abbiano, anche minimamente, attinenza con la gestione del potere. Perché lo Stato non può processare se stesso".
PIAZZA ANTICAPITALISTA
giovedì 03 dicembre 2009
SABATO 12 DICEMBRE
ore 15 piazza S.Stefano angolo via Larga
Sabato 12 dicembre il Centro Sociale Vittoria insieme ai compagni dello Slai Cobas e ai lavoratori dell’Alfa Romeo di Arese hanno deciso di indire una piazza anticapitalista che dia voce alle molteplici realtà portatrici di dissenso e conflitto nell’area metropolitana milanese, una piazza gestita da ognuno con i propri contenuti e le proprie specificità.
Crediamo vada valorizzata la diversità politica che molte realtà oggi esprimono, perché questa scelta di non omologazione e accettazione di un unitarismo al ribasso possa permettere il rilancio di un protagonismo delle diverse forme che l’anticapitalismo assume nella nostra città.
Il praticare l’unità dal basso e la condivisione di una prospettiva coerente di trasformazione radicale dell’esistente implica anche scelte di rottura e di coraggio politico che oggi pensiamo siano necessarie.
Riteniamo di non poter sottoscrivere ed aderire agli appelli di una sinistra ex parlamentare che, come tradizione, si approccia alla data del 12 dicembre con trasformismo e ipocrisia provando a mischiare rapporti istituzionali e salvaguardia di prossime alleanze elettorali ad un possibile recupero di consenso all’interno della sinistra di base da sempre al di fuori dal teatrino della politica istituzionale.
Non possiamo che sentirci lontani da appelli che, da sinistra, mischiano stragismo, “terrorismo” e violenza, lanciati da forze che parlano, oggi, di libertà ed emancipazione del proletariato mentre, con il governo Prodi, hanno sottoscritto tutto quello che è servito alla destra per sfondare sul piano del neoliberismo più selvaggio con privatizzazioni e precarietà, e per fomentare nuove forme di razzismo istituzionale.
E questo in nome di un becero e fallimentare frontismo che, contro le destre e contro l’anomalia del potere economico/mediatico berlusconiano, ancora oggi provano a ripresentare.
Ancora una volta su una scadenza importante come il quarantennale della strage di piazza Fontana si giocano alchimie politiche che nulla hanno a che fare con il rilancio di una sinistra vera, radicalmente anticapitalista, fatta di lotte e capacità di reagire culturalmente, ideologicamente e con il conflitto, allo strapotere della destra al governo.
Un destra miscuglio di neoliberismo all’italiana, populismo, fascismo, razzismo, xenofobia, una destra “istituzionale” serva degli interessi dello strapotere personale di Berlusconi, come baricentro in grado di tenere forze cosi diverse, ma anche in grado di rappresentare e mobilitare un blocco sociale fortemente caratterizzato in senso antidemocratico oltre che anticomunista.
Ma la strada che noi dobbiamo percorrere non è la speranza di un’alternanza di governo, l’unica strada da percorrere è quella del conflitto e del confronto politico quotidiano con le contraddizioni reali che i lavoratori vivono, soprattutto in questo momento di crisi, dandoci obbiettivi e praticandoli.
Così provando ad immaginare una trasformazione radicale e completa dell’esistente, l’abbattimento di un modello economico e sociale che sta distruggendo posti di lavoro e definendo la precarietà come orologio che scandisce le ore della nostra vita, demolendone la qualità e assoggettando anche le relazioni interpersonali alle regole del mercato.
Per questo il 12 dicembre non è, per noi, una ricorrenza, non è recupero memorialistico, ma al contrario memoria e storia di uno scontro tra le classi mai estinto, per un recupero della combattività di quell’autunno caldo che, nel 1969, piegò la rigidità padronale portandoli a giocarsi la sopravvivenza ricorrendo allo stragismo.
I compagni e le compagne del CSA Vittoria
12 DICEMBRE 1969 - 2009
Stragi, bombe manganelli gli assassini son sempre quelli !
12 dicembre 1969 - 12 dicembre 2009
Contro sfruttamento e precarietà
generalizziamo il conflitto di classe!
12 dicembre 1969 una bomba fascista esplose nella banca nazionale dell’agricoltura di piazza Fontana causando 16 morti. I giornali della borghesia, con le veline della questura, cercarono di scaricarne la responsabilità sulla sinistra rivoluzionaria e questo portò all’arresto di Valpreda e di altri compagni anarchici fino all’assassinio in questura dell’anarchico Giuseppe Pinelli.
La strage è di stato !
Questo hanno invece subito gridato le migliaia di lavoratori, di studenti, di donne e di giovani che sono scese in piazza per denunciare la strategia assassina del capitalismo italiano che utilizzava la manovalanza fascista per seminare terrore e morte, con la copertura dei servizi segreti italiani e U.S.A. Questa fu la prima di una purtroppo lunga serie di stragi criminali che provocarono decine di morti causate da attentati fascisti con bombe su treni e piazze.
Questa fu la "STRATEGIA DELLA TENSIONE" che ha rappresentato la criminale risposta del padronato italiano a quell’autunno caldo e alle lotte dei lavoratori e degli studenti per condizioni di vita, di lavoro e di studio radicalmente diverse, dando l’avvio ad una guerra di bassa intensità contro l’opposizione sociale e di classe.Le grandi lotte di massa che parlavano di uguaglianza e di libertà e mettevano in discussione lo stesso possesso dei mezzi di produzione, avevano spaventato il padronato italiano che usò il terrorismo, lo stragismo fascista e i tentativi di colpo di stato per ingabbiare questa fortissima volontà di cambiamento radicale.
E oggi ?
Oggi nulla è cambiato dei rapporti di produzione, la struttura economica e sociale della società italiana si è fortemente modificata dal punto di vista dell'organizzazione del lavoro, ma certamente quello che è rimasto invariato è il modo di produzione basato sulla divisione in classi e sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. In questo senso non è stato sicuramente abbattuto il mostro - il capitalismo - che ha generato quello stragismo criminale e la volontà di annientamento di ogni opposizione sociale, che poteva ieri e potrebbe oggi mettere in discussione il profitto ed il potere delle classi dominanti. Potere garantito da una tragica continuità nelle politiche economiche che hanno sempre contraddistinto le "diverse" coalizioni al governo (di centrodestra o di centrosinistra).
Lo stragismo e il golpismo fascista non sono certamente all'ordine del giorno, ma si sta, oggi, affermando una forma di "democrazia autoritaria" che usa il controllo sociale, nelle sue mille forme, per tentare di fagocitare e inglobare ogni spinta, anche culturale, di trasformazione dell'esistente in maniera tale che nessuno possa mai disturbare i grandi manovratori che gestiscono le leve dell'accumulazione del profitto. Una "democrazia autoritaria" che usa indifferentemente sospensione del diritto, concertazione, repressione poliziesca, manganello, informazione, servizi segreti e carcere.
Ma anche un sottile terrorismo mediatico, una politica di intenzionale abbassamento dei livelli culturali, con una proposta assordante di modelli comportamentali e di abbrutimento del senso comune che produce servi consenzienti, alienati e coscientemente proni al sistema dominante e che vuole omologare soggetti e classi a indistinti consumatori passivi, incapaci di scelte e progetti politici consapevoli e antagonisti.
Ed e' in questo quadro di "democrazia autoritaria" che riemergono i ripetuti e sfacciati tentativi di revisionismo storico, di giustificazione e glorificazione del regime fascista i cui epigoni politici siedono in parlamento, di un continuo processo di criminalizzazione della Resistenza, di un’apologia del colonialismo di allora e di un’ ondata di razzismo e xenofobia che, con il pacchetto sicurezza appena approvato, cerca di sfruttare vecchie e nuove paure causando una ripresa di aggressioni e intimidazioni neofasciste e xenofobe.
Nel clima della guerra infinita targata U.S.A tornano a farla da padroni il nazionalismo e il militarismo - alimentati dal mito degli italiani "brava gente" e delle missioni di guerra, contrabbandate come umanitarie - , l'incremento delle spese militari - sancito anche dal governo Prodi – ed ora portate alle stelle per sostenere un’accelerazione della guerra in Afghanistan appena decisa dall'amico americano.
Ma oggi c’è anche qualcosa in più con cui confrontarsi, siamo di fronte ad una crisi strutturale del modello economico/sociale capitalista, siamo di fronte ad un gigante che boccheggia cercando di sopravvivere scaricando i costi della sua crisi sulle classi subordinate, sui lavoratori, i precari, gli studenti e, naturalmente, sugli immigrati che rappresentano quasi un modello paradigmatico dello sfruttamento di classe.
Di fronte a questa crisi l’unica possibilità di resistenza è data dalla ricomposizione, sul terreno della materialità dei bisogni e della loro trasformazione in diritti, del più ampio fronte di classe.
Una ricomposizione di quello che, le ristrutturazioni economiche iniziate nella metà degli anni ’70 e l’odierna organizzazione capitalistica del lavoro basata sulla precarietà con le nuove forme contrattuali, ha scomposto, atomizzato, parcellizzato e individualizzato.
Una prospettiva di ricomposizione sociale che, con una vertenzialità sociale diffusa, sappia tenere insieme nelle lotte comuni e nella pratica del conflitto, l’operaio di fabbrica con tutte le nuove forme della precarietà prodotte nei mille rivoli della produzione postfordista.
Una nuova capacità di costruire, attorno alla centralità del conflitto capitale/lavoro, reti d’aggregazione politica sociale in grado di coordinare e imprimere accelerazioni al conflitto, unica arma nelle nostre mani per difenderci dalla crisi, far camminare e praticare un processo di trasformazione radicale del presente. Su questo percorso, come compagni e compagne del Csa Vittoria ci stiamo misurando, insieme ad altri compagni e compagne e realtà dell’autorganizzazione politica sociale e sindacale, abbinando autorganizzazione e conflitto come discriminanti per l’emersione di un punto di vista anticapitalista che costruisca punti di riferimento stabili e riconosciuti.
Ed è per questo che non possiamo sottoscrivere ed aderire agli appelli di una sinistra ex parlamentare che, come tradizione, si approccia alla data del 12 dicembre con trasformismo e ipocrisia provando a mischiare rapporti istituzionali e salvaguardia di prossime alleanze elettorali ad un possibile recupero di consenso all’interno della sinistra di base da sempre al di fuori dal teatrino della politica istituzionale.
Non possiamo che sentirci lontani da appelli che, da sinistra, mischiano stragismo, “terrorismo” e violenza, lanciati da forze che parlano, oggi, di libertà ed emancipazione del proletariato mentre, con il governo Prodi, hanno sottoscritto tutto quello che è servito alla destra per sfondare sul piano del neoliberismo più selvaggio con privatizzazioni e precarietà, e per fomentare nuove forme di razzismo istituzionale.
E questo in nome di un becero e fallimentare frontismo che, contro le destre e contro l’anomalia Berlusconi, ancora oggi provano a ripresentare.
Ancora una volta su una scadenza importante come il quarantennale della strage di piazza Fontana si giocano alchimie politiche che nulla hanno a che fare con il rilancio di una sinistra vera, radicalmente anticapitalista, fatta di lotte e capacità di reagire culturalmente, ideologicamente e con il conflitto, allo strapotere della destra al governo. Un destra miscuglio di neoliberismo all’italiana, populismo, fascismo, razzismo, xenofobia, una destra “istituzionale” serva degli interessi dello strapotere Berlusconiano unico in grado di tenere forze cosi diverse, ma in grado di rappresentare e mobilitare un blocco sociale fortemente caratterizzato in senso antidemocratico oltre che anticomunista.
Ma la strada non è la speranza di un’alternanza di governo, l’unica strada da percorrere è quella del conflitto e del confronto politico quotidiano con le contraddizioni reali che i lavoratori vivono, soprattutto in questo momento di crisi, dandoci obbiettivi e praticandoli. Così provando ad immaginare una trasformazione radicale e completa dell’esistente, l’abbattimento di un modello economico e sociale che sta distruggendo posti di lavoro e definendo la precarietà come orologio che scandisce le ore della nostra vita, demolendone la qualità e assoggettando anche le relazioni interpersonali alle regole del mercato.
Per questo il 12 dicembre non è una ricorrenza, non è recupero memorialistico, ma al contrario memoria e storia di uno scontro tra le classi mai estinto, per un recupero della combattività di quell’autunno caldo che, nel 1969, piegò la rigidità padronale portandoli a giocarsi la sopravvivenza ricorrendo allo stragismo.
Nel 1980, dopo più di 10 anni da quella bomba, alla fine di un ciclo di lotte fortissime che, con mille contraddizioni avevano tentato un assalto al cielo, la fiat riuscì a piegare la resistenza operaia.
Ma oggi un nuova fase di lotte è ripartito, moltissime fabbriche sono in lotta e in mobilitazione permanente, la scuola pubblica, saccheggiata dalla ministra gelmini prova a rispondere alle decine di migliaia di licenziamenti, il mondo della precarietà strutturale cerca di uscire dalla ricattabilità costruendo nuove forme di ricomposizione.
Sono piccoli passi anche disomogenei che bisogna però saper cogliere, che bisogna valorizzare e con i quali bisogna solidarizzare, perché questa è l’unica strada per ricostruire un’identità, un’unica identità, di classe, tra chi si riconosce dalla stessa parte della barricata. E questo, ancor più, nel momento in cui forti ventate di autoritarismo emergono con sempre maggior forza.
Ed è per questo che noi siamo, ieri come oggi, contro il fascismo e qualsiasi identità possa esso assumere, ma anche contro ogni nuova forma di autoritarismo, militarismo, razzismo, sessismo in quanto strumenti di divisione e repressione di ogni lotta contro la precarietà e lo sfruttamento di classe.
Ed è per questo che a distanza di 40 anni da quella strage siamo oggi ancora in piazza per denunciare l'inizio di quella "strategia della tensione", ribadendo con forza che le cause che hanno determinato fascismo e terrorismo di stato non sono estinte e che senza memoria storica non si può pensare di costruire un proprio futuro, per una trasformazione radicale dell'esistente e per l'affermazione di una società di liberi e di eguali.
Per dare un segnale di discontinuità, per far emergere una posizione anticapitalista diamo appuntamento a tutti e tutte per una PIAZZA ANTICAPITALISTA
SABATO 12 DICEMBRE '09
ore 15 piazza S.Stefano angolo via Larga
Stragi, bombe manganelli gli assassini son sempre quelli !
12 dicembre 1969 - 12 dicembre 2009
Contro sfruttamento e precarietà
generalizziamo il conflitto di classe!
12 dicembre 1969 una bomba fascista esplose nella banca nazionale dell’agricoltura di piazza Fontana causando 16 morti. I giornali della borghesia, con le veline della questura, cercarono di scaricarne la responsabilità sulla sinistra rivoluzionaria e questo portò all’arresto di Valpreda e di altri compagni anarchici fino all’assassinio in questura dell’anarchico Giuseppe Pinelli.
La strage è di stato !
Questo hanno invece subito gridato le migliaia di lavoratori, di studenti, di donne e di giovani che sono scese in piazza per denunciare la strategia assassina del capitalismo italiano che utilizzava la manovalanza fascista per seminare terrore e morte, con la copertura dei servizi segreti italiani e U.S.A. Questa fu la prima di una purtroppo lunga serie di stragi criminali che provocarono decine di morti causate da attentati fascisti con bombe su treni e piazze.
Questa fu la "STRATEGIA DELLA TENSIONE" che ha rappresentato la criminale risposta del padronato italiano a quell’autunno caldo e alle lotte dei lavoratori e degli studenti per condizioni di vita, di lavoro e di studio radicalmente diverse, dando l’avvio ad una guerra di bassa intensità contro l’opposizione sociale e di classe.Le grandi lotte di massa che parlavano di uguaglianza e di libertà e mettevano in discussione lo stesso possesso dei mezzi di produzione, avevano spaventato il padronato italiano che usò il terrorismo, lo stragismo fascista e i tentativi di colpo di stato per ingabbiare questa fortissima volontà di cambiamento radicale.
E oggi ?
Oggi nulla è cambiato dei rapporti di produzione, la struttura economica e sociale della società italiana si è fortemente modificata dal punto di vista dell'organizzazione del lavoro, ma certamente quello che è rimasto invariato è il modo di produzione basato sulla divisione in classi e sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. In questo senso non è stato sicuramente abbattuto il mostro - il capitalismo - che ha generato quello stragismo criminale e la volontà di annientamento di ogni opposizione sociale, che poteva ieri e potrebbe oggi mettere in discussione il profitto ed il potere delle classi dominanti. Potere garantito da una tragica continuità nelle politiche economiche che hanno sempre contraddistinto le "diverse" coalizioni al governo (di centrodestra o di centrosinistra).
Lo stragismo e il golpismo fascista non sono certamente all'ordine del giorno, ma si sta, oggi, affermando una forma di "democrazia autoritaria" che usa il controllo sociale, nelle sue mille forme, per tentare di fagocitare e inglobare ogni spinta, anche culturale, di trasformazione dell'esistente in maniera tale che nessuno possa mai disturbare i grandi manovratori che gestiscono le leve dell'accumulazione del profitto. Una "democrazia autoritaria" che usa indifferentemente sospensione del diritto, concertazione, repressione poliziesca, manganello, informazione, servizi segreti e carcere.
Ma anche un sottile terrorismo mediatico, una politica di intenzionale abbassamento dei livelli culturali, con una proposta assordante di modelli comportamentali e di abbrutimento del senso comune che produce servi consenzienti, alienati e coscientemente proni al sistema dominante e che vuole omologare soggetti e classi a indistinti consumatori passivi, incapaci di scelte e progetti politici consapevoli e antagonisti.
Ed e' in questo quadro di "democrazia autoritaria" che riemergono i ripetuti e sfacciati tentativi di revisionismo storico, di giustificazione e glorificazione del regime fascista i cui epigoni politici siedono in parlamento, di un continuo processo di criminalizzazione della Resistenza, di un’apologia del colonialismo di allora e di un’ ondata di razzismo e xenofobia che, con il pacchetto sicurezza appena approvato, cerca di sfruttare vecchie e nuove paure causando una ripresa di aggressioni e intimidazioni neofasciste e xenofobe.
Nel clima della guerra infinita targata U.S.A tornano a farla da padroni il nazionalismo e il militarismo - alimentati dal mito degli italiani "brava gente" e delle missioni di guerra, contrabbandate come umanitarie - , l'incremento delle spese militari - sancito anche dal governo Prodi – ed ora portate alle stelle per sostenere un’accelerazione della guerra in Afghanistan appena decisa dall'amico americano.
Ma oggi c’è anche qualcosa in più con cui confrontarsi, siamo di fronte ad una crisi strutturale del modello economico/sociale capitalista, siamo di fronte ad un gigante che boccheggia cercando di sopravvivere scaricando i costi della sua crisi sulle classi subordinate, sui lavoratori, i precari, gli studenti e, naturalmente, sugli immigrati che rappresentano quasi un modello paradigmatico dello sfruttamento di classe.
Di fronte a questa crisi l’unica possibilità di resistenza è data dalla ricomposizione, sul terreno della materialità dei bisogni e della loro trasformazione in diritti, del più ampio fronte di classe.
Una ricomposizione di quello che, le ristrutturazioni economiche iniziate nella metà degli anni ’70 e l’odierna organizzazione capitalistica del lavoro basata sulla precarietà con le nuove forme contrattuali, ha scomposto, atomizzato, parcellizzato e individualizzato.
Una prospettiva di ricomposizione sociale che, con una vertenzialità sociale diffusa, sappia tenere insieme nelle lotte comuni e nella pratica del conflitto, l’operaio di fabbrica con tutte le nuove forme della precarietà prodotte nei mille rivoli della produzione postfordista.
Una nuova capacità di costruire, attorno alla centralità del conflitto capitale/lavoro, reti d’aggregazione politica sociale in grado di coordinare e imprimere accelerazioni al conflitto, unica arma nelle nostre mani per difenderci dalla crisi, far camminare e praticare un processo di trasformazione radicale del presente. Su questo percorso, come compagni e compagne del Csa Vittoria ci stiamo misurando, insieme ad altri compagni e compagne e realtà dell’autorganizzazione politica sociale e sindacale, abbinando autorganizzazione e conflitto come discriminanti per l’emersione di un punto di vista anticapitalista che costruisca punti di riferimento stabili e riconosciuti.
Ed è per questo che non possiamo sottoscrivere ed aderire agli appelli di una sinistra ex parlamentare che, come tradizione, si approccia alla data del 12 dicembre con trasformismo e ipocrisia provando a mischiare rapporti istituzionali e salvaguardia di prossime alleanze elettorali ad un possibile recupero di consenso all’interno della sinistra di base da sempre al di fuori dal teatrino della politica istituzionale.
Non possiamo che sentirci lontani da appelli che, da sinistra, mischiano stragismo, “terrorismo” e violenza, lanciati da forze che parlano, oggi, di libertà ed emancipazione del proletariato mentre, con il governo Prodi, hanno sottoscritto tutto quello che è servito alla destra per sfondare sul piano del neoliberismo più selvaggio con privatizzazioni e precarietà, e per fomentare nuove forme di razzismo istituzionale.
E questo in nome di un becero e fallimentare frontismo che, contro le destre e contro l’anomalia Berlusconi, ancora oggi provano a ripresentare.
Ancora una volta su una scadenza importante come il quarantennale della strage di piazza Fontana si giocano alchimie politiche che nulla hanno a che fare con il rilancio di una sinistra vera, radicalmente anticapitalista, fatta di lotte e capacità di reagire culturalmente, ideologicamente e con il conflitto, allo strapotere della destra al governo. Un destra miscuglio di neoliberismo all’italiana, populismo, fascismo, razzismo, xenofobia, una destra “istituzionale” serva degli interessi dello strapotere Berlusconiano unico in grado di tenere forze cosi diverse, ma in grado di rappresentare e mobilitare un blocco sociale fortemente caratterizzato in senso antidemocratico oltre che anticomunista.
Ma la strada non è la speranza di un’alternanza di governo, l’unica strada da percorrere è quella del conflitto e del confronto politico quotidiano con le contraddizioni reali che i lavoratori vivono, soprattutto in questo momento di crisi, dandoci obbiettivi e praticandoli. Così provando ad immaginare una trasformazione radicale e completa dell’esistente, l’abbattimento di un modello economico e sociale che sta distruggendo posti di lavoro e definendo la precarietà come orologio che scandisce le ore della nostra vita, demolendone la qualità e assoggettando anche le relazioni interpersonali alle regole del mercato.
Per questo il 12 dicembre non è una ricorrenza, non è recupero memorialistico, ma al contrario memoria e storia di uno scontro tra le classi mai estinto, per un recupero della combattività di quell’autunno caldo che, nel 1969, piegò la rigidità padronale portandoli a giocarsi la sopravvivenza ricorrendo allo stragismo.
Nel 1980, dopo più di 10 anni da quella bomba, alla fine di un ciclo di lotte fortissime che, con mille contraddizioni avevano tentato un assalto al cielo, la fiat riuscì a piegare la resistenza operaia.
Ma oggi un nuova fase di lotte è ripartito, moltissime fabbriche sono in lotta e in mobilitazione permanente, la scuola pubblica, saccheggiata dalla ministra gelmini prova a rispondere alle decine di migliaia di licenziamenti, il mondo della precarietà strutturale cerca di uscire dalla ricattabilità costruendo nuove forme di ricomposizione.
Sono piccoli passi anche disomogenei che bisogna però saper cogliere, che bisogna valorizzare e con i quali bisogna solidarizzare, perché questa è l’unica strada per ricostruire un’identità, un’unica identità, di classe, tra chi si riconosce dalla stessa parte della barricata. E questo, ancor più, nel momento in cui forti ventate di autoritarismo emergono con sempre maggior forza.
Ed è per questo che noi siamo, ieri come oggi, contro il fascismo e qualsiasi identità possa esso assumere, ma anche contro ogni nuova forma di autoritarismo, militarismo, razzismo, sessismo in quanto strumenti di divisione e repressione di ogni lotta contro la precarietà e lo sfruttamento di classe.
Ed è per questo che a distanza di 40 anni da quella strage siamo oggi ancora in piazza per denunciare l'inizio di quella "strategia della tensione", ribadendo con forza che le cause che hanno determinato fascismo e terrorismo di stato non sono estinte e che senza memoria storica non si può pensare di costruire un proprio futuro, per una trasformazione radicale dell'esistente e per l'affermazione di una società di liberi e di eguali.
Per dare un segnale di discontinuità, per far emergere una posizione anticapitalista diamo appuntamento a tutti e tutte per una PIAZZA ANTICAPITALISTA
SABATO 12 DICEMBRE '09
ore 15 piazza S.Stefano angolo via Larga
Nessun commento:
Posta un commento