venerdì 31 ottobre 2014

RIVOLUZIONE IN BURKINA FASO

I mass media di tutto il mondo,pure quelli italiani invero,hanno dato ieri la notizia della rivoluzione in Burkina Faso,l'ex Alto Volta un tempo colonia francese,ed ora al comando ci sono una delegazione di militari dell'esercito dopo la sommossa guidata dai sindacati e i movimenti contro il carovita dello stato sub sahariano.
L'ormai Presidente deposto Blaise Compaoré,che sembra sia fuggito in Senegal,nel 1987 uccise il Che Guevara africano,l'indimenticato Thomas Sankara che nel giro di pochi anni permise al piccolo Stato africano di indirizzarsi verso un progresso sociale,politico e sanitario d'innovazione per i parametri del continente nero(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/search?q=sankara ).
Ora si spera che il traghettamento da questa fase d'estrema instabilità possa essere su binari tali da sciogliere quanto prima lo stato d'emergenza e sperare nel ritorno di personaggi come il buon Sankara che liberò i suoi connazionali dal giogo del colonialismo sfruttatore della Francia all'insegna di una rivoluzione marxista:articolo preso da Infoaut.


Rivoluzione in Burkina Faso, dato alle fiamme il parlamento degli assassini di Sankara.



Si disintegra il regime di Blaise Compaoré, al potere da 27 anni in quel Burkina Faso "Terra degli Uomini Integri" - emancipato dal colonialismo francese dal marxismo rivoluzionario di Thomas Sankara. Con la nemesi di una "rivoluzione 2.0" che stavolta ha relativamente poco a che fare con i social media quanto con la rivendicazione di dignità e giustizia propria della prima sollevazione guidata dal leader anti-imperialista - assassinato dall'attuale presidente sotto lo sguardo compiacente di Parigi.


Sono in corso da ore scontri e disordini nel paese africano, dopo la sollevazione promossa da sindacati e movimenti contro il carovita contro il progetto di riforma costituzionale che avrebbe permesso al despota di Ouagadougou di correre per un nuovo mandato. Nel pomeriggio di giovedì è stata in un primo momento occupata e ridotta al silenzio da gruppi di cittadini la televisione di Stato. Successivamente migliaia di persone, dopo aver resistito ai lacrimogeni ed ai proiettili delle forze di sicurezza, hanno fatto irruzione nel parlamento dove si sarebbe dovuta discutere la contestata legge, dando successivamente fuoco all'edificio principale. Fronteggiamenti anche davanti al palazzo presidenziale, mentre sono state saccheggiate numerose proprietà di Compaoré e della sua cricca.

In fiamme le sedi del partito al potere anche nella città di Bobo Dioulasso, mentre massiccio è stato il sostegno alle proteste da parte della diaspora sui social network con l'hashtag #lwili (in riferimento ad un abito tradizionale burkinabé).

Mentre voci non confermate darebbero Compaoré già riparato in Senegal, è stato sciolto il governo e proclamato lo stato d'emergenza. Resta ora da vedere la prossima mossa dell'esercito e del suo comandande Kouamé Lougué, dopo il sanguinoso quanto inutile tentativo di fermare l'avanzata dei rivoltosi sulle sedi istituzionali. E ancora più in alto lo scontro geopolitico tra le traballanti clientele francesi e le nuove mire di USA e Cina; mentre tremano molti palazzi degli "uomini forti" al potere in Africa sub-sahariana, a partire dal vicino Benin dove continuano le proteste contro il governo dell'ex-banchiere Boni Yayi.

giovedì 30 ottobre 2014

GLI SQUADRISTI DI RENZI

Il redazionale preso da Senza Soste spiega in poche parole l'allarme che deriva dalle botte della polizia contro degli operai in protesta a Roma per via della loro forte e giustificata preoccupazione sul futuro del loro lavoro alla Ast di Terni.
Da molto tempo non vedevo reazioni dei mass media così vicine e solidali agli scioperanti in protesta,e se i commenti delle testate di destra sono strumentalizzazioni che portano acqua al loro mulino contro il governo,pressoché tutte le reazioni sono state a favore degli operai e contro l'azione della polizia.
Infatti non si parla di infiltrati,black block,centri sociali e antagonisti ma solo di persone normali che difendono il loro diritto a lavorare ed una violenza cieca della polizia che ha caricato e manganellato il corteo che secondo loro(sfera di cristallo)era diretto alla stazione Termini per bloccare il traffico ferroviario.
Ebbene anche se così fosse stato si vede nella repressione dei lavoratori rappresentati da vari sindacati(ieri soprattutto la Fiom guidata da Landini)la mano lunga di Renzi e del suo esecutivo del"non abbiamo paura di nessuno"e"le riforme si faranno la stesso"di mussoliniana memoria.
Chiunque tocca un solo lavoratore con la violenza e la repressione,di qualunque sindacato possa far parte,tocca tutti i lavoratori che dovranno solo aumentare maggiormente la protesta per la difesa del diritto al posto di lavoro e per dire di no ad una serie di riforme che stroncano questo diritto.

Governo Renzi,selfie col manganello.

La vicenda delle cariche a Roma contro gli operai Ast, di per sé, potrebbe anche essere considerata come un episodio comunque inaccettabile ma magari minore. Si tratta invece di un episodio, dal punto di vista simbolico, molto significativo. Perché ha coinvolto, nella piena consapevolezza del governo, il segretario della Fiom Landini. E perché, sia prima che dopo la carica, il tutto si accompagna ad episodi di denigrazione nei confronti della Cgil. Una decina di mesi fa lo dicevamo, non appena Renzi fu eletto segretario del Pd, che riconoscevamo l'emergere di uno stile di comunicazione modaiolo e squadrista. Prevalentemente modaiolo, specie in materia di feticismo delle merci digitali, ma con qualche venatura di atteggiamenti squadristici che Renzi non poteva aver preso dalla originaria matrice culturale democristiana.
Ora, dopo la sfida lanciata in modo aperto alla Cgil e alla "sinistra" del suo partito, Renzi fa capire di non temere l'eventuale rigonfiarsi della piazza. Se gli scioperi si faranno più fitti non c'è timore, fa intendere il governo, fino all'uso della forza se necessario. E lo fa capire manganellando anche Landini, il tipo di segretario sindacale al quale storicamente va l'immunità durante gli scontri di piazza. Quel "non abbiamo paura", che dalla Leopolda risuonava rivolto gli avversari politici, grazie alla carica contro gli operai di Terni lo si può intendere nella sua più piena estensione di signicato. Quello che vuole il governo Renzi, disposto a tutto pur di raggiungere i propri obiettivi. Che, in fondo, non sono così roboanti. Galleggiare politicamente da sgravi in materia di Irap a Roma, e maggiori tagli per far contenta Bruxelles, è qualcosa non all'altezza delle ambizioni. Anzi ricorda, quello sì, la pratica democristiana del piccolo cabotaggio. Intanto però, anche per pochi obiettivi maledetti e subito, il governo Renzi fa capire di essere disposto a tutto.
Il selfie col manganello scattato assieme agli operai di Terni farà precedente. Non c'è da dubitarne.
Redazione - 29 ottobre 2014

mercoledì 29 ottobre 2014

MORIRE PER DIFENDERE LA NATURA

Nella notte di domenica presso il territorio francese di Testet nella zona vicino a Tolosa,un ragazzo è morto durante una manifestazione in opposizione alla costruzione di una diga colossale in situazioni non ancora chiare.
Delle persone si erano radunate nella zona naturalistica da difendere(la Zad)e ci sono stati scontri con la polizia schierata e durante questi disordini forse per le conseguenze di una caduta Rémi Fraisse,di ventun'anni,è deceduto.
Gli scontri avvenuti sulla falsa riga di quelli No tav,con lacrimogeni e cariche da parte della polizia,si sono protratti anche il giorno successivo a Gaillac dopo la notizia della morte di Rémi durante un momento di raccoglimento per il giovane attivista morto per difendere la natura minacciata dagli interessi economici di poche persone.
Aggiungo oltre all'articolo preso da Infoaut pure un altro link che è un editoriale della stessa testata(http://www.infoaut.org/index.php/blog/no-tavabenicomuni/item/13074-manifestazione-alla-zad-di-testet-un-ragazzo-muore-durante-gli-scontri-con-la-polizia e http://www.infoaut.org/index.php/blog/editoriali/item/13095-che-dolore-rémi ).


Manifestazione alla ZAD di Testet, un ragazzo muore durante gli scontri con la polizia.



Sabato diverse migliaia di persone hanno risposto all'appello per una manifestazione sulla Zad (zone à défendre - zona da difendere) di Testet, nella regione del Tarn vicino a Tolosa.
Sul sito è prevista la costruzione di una mega-diga (detta di Sivens) da 1,3 milioni di metri cubi d'acqua che beneficerà a un pugno di grandi aziende d'agricoltura industriale (contro i contadini più piccoli, che spingono i comitati locali) e che comporterà la distruzione di una zona umida che ospita numerose specie protette. Comitati locali e compagni hanno moltiplicato in questi mesi le azioni di blocco e di occupazione delle terre.
Durante l'estate la ZAD di Testet era stata già più volte attaccata dalle forze dell'ordine e anche al termine del corteo di ieri i manifestanti hanno denunciato diverse provocazioni da parte della polizia: i gendarmi, presenti con decine di camionette, hanno sparato numerosi lacrimogeni e non hanno lasciato la zona per tutta la notte. Gli scontri sono proseguiti sporadicamente nel bosco fino alle 3/4 del mattino, con cariche e granate assordanti da parte delle forze dell'ordine.
Remi, un ragazzo di 21 anni, ha perso la vita durante gli scontri. Secondo le prime ricostruzioni il suo corpo, ormai senza vita, sarebbe stato raccolto nel bosco dalla polizia dopo una carica. Gli oppositori al progetto hanno confermato che la morte è avvenuta durante gli scontri con la gendarmerie tra le 2 e le 3 di notte. La polizia invece ha prima comunicato falsamente il ritrovamento del corpo lontano dalla zona di scontro, per poi rifiutare di fornire qualsiasi informazione supplementare.

Appuntamenti di solidarietà sono previsti questa sera in diverse città francesi. Nei dintorni della Zad, a Gaillac, la polizia ha caricato i solidali che si erano riuniti in memoria di Remi.
Per domani sono stati lanciati presidi e manifestazioni sotto le prefetture di Albi, Lyon e Nantes e l'elenco delle città che si preparano a scendere in piazza potrebbe allungarsi col passare delle ore e il crescere della rabbia.

martedì 28 ottobre 2014

SCONTRI A COLONIA

L'articolo di Infoaut(http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/13082-colonia-estrema-destra-a-caccia-di-consenso-contro-lisis-scontri-con-gli-antifa )parla degli scontri di ieri verificatisi per le vie della città di Colonia tra neonazisti e antifascisti durante un corteo autorizzato e protetto dalla polizia tedesca.
I neonazi hanno manifestato contro l'Isis per ottenere facili consensi e soprattutto come presupposto per cercare ed ottenere scontri sia contro la stessa polizia e compagni antifascisti presenti con immigrati curdi facendo guerriglia per la città prendendosela anche con semplici passanti.
Il bene placito poliziesco stavolta accomuna Germania ed Italia visto che solitamente le masse di decerebrati nostalgici di Hitler non hanno la stessa agibilità politica che hanno da noi,brutto segnale questo.

Colonia: estrema destra a caccia di consenso contro l'Isis. Scontri con gli antifa.


Migliaia di neonazisti, oltre 3mila secondo alcune fonti, si sono dati appuntamento ieri a Colonia in occasione di una manifestazione contro l'Isis, un pretesto per raccogliere sostenitori per "un'Europa bianca e cristiana". Un chiaro tentativo di incentivare il razzismo e la xenofobia per le strade della Germania. A saltare all'occhio era la quantità di persone che ieri hanno partecipato alla manifestazione, a cui però ha fatto da contraltare l'immediata risposta degli e delle antifasciste tedesche, che insieme alla comunità curda si sono ritrovati in circa 1500 per contrapporsi al corteo nazi-fascista.
Ne sono nati violenti scontri tra antifascisti e nazisti, sotto gli occhi conniventi della polizia schierata per la maggior parte del tempo a protezione dei secondi. La furia violenta e senza senso dei neonazisti si è scagliata contro numerose persone (alcune delle quali si trovavano lì per caso) durante il tragitto del corteo. A fine giornata si contavano numerosi feriti, mentre diversi locali gestiti da persone di differenti nazionalità sono stati attaccati.

La giornata di ieri ha dato riprova della complicità da parte della polizia nell'assecondare l'ingestibilità della piazza di estrema destra. Nonostante alcuni media riportino di alcuni attacchi da parte dei neo-nazi nei confronti delle forze dell'ordine, è emblematico come un evento di questa portata - che ha radunato numerose persone provenienti da tutta la Germania in nome dell'ideologia razzista - sia stato totalmente sottovalutato dalle autorità stesse, permettendo ai nazi-fascisti di sfilare a Colonia seminando il caos tra i passanti e agevolando lo scontro con gli antifascisti, successivamente criminalizzati come la radice dei disordini che ci sono stati.

Gli attacchi da parte di gruppi neo-nazisti sono continuati anche dopo che la polizia si è ritirata dalle strade di Colonia: numerose persone sono state aggredite nei parchi così come un ristorante cinese a Ebertplatz è stato oggetto di un raid al grido di "Gli stranieri fuori".

Il corteo di Colonia conferma la necessità di impedire spazi di agibilità all'estrema destra europea, che nei prossimi mesi potrebbe tentare di cavalcare e annacquare la lotta all'Isis per propagandare razzismo e xenofobia.

lunedì 27 ottobre 2014

LEOPOLDA VS PIAZZA SAN GIOVANNI

La kermesse della Leopolda con Renzi che ricorda il Grillo del Circo Massimo di due settimane addietro e la parallela almeno per una giornata manifestazione della Cgil in Piazza San Giovanni hanno  avuto un significato molto di più di un confronto a distanza tra forse due ormai ex amici.
Pd e Cgil,o almeno la maggioranza del primo partito con quella del sindacato,sembrano molto di più dell'essere ai ferri corti,sembra che lo strappo decisivo si ormai cosa fatta e che lo sciopero generale debba solo essere proclamato.
Le divergenze tra le due forze in campo si sono viste eccome,ed il rispetto espresso da Renzi verso i partecipanti dell'evento romano è stato invece una lapalissiana presa per il culo che solo in pochi non hanno afferrato e capito.
I radical chic presenti a Firenze,un evento di mondanità con starlette e finanzieri,cozza con l'idea di una sinistra anche solo accennata,stride con la lotta della classe operaia,va all'opposto a braccetto col padrone e le banche:l'articolo seguente di Senza Soste e pure questo(http://www.senzasoste.it/nazionale/testimonianze-dalla-leopolda-una-sfilata-di-rampolli )forniscono un'idea precisa di dove sta andando a parare la maggioranza del Pd ormai diviso internamente e che veleggia sulle ali della vecchia Dc pronta ad essere un vero partito di centro destra.

Anacronismi: due Pd che mimano lo scontro accompagnando il declino del paese.


Cosa è più vecchio nella contrapposizione tra la Leopolda e piazza San Giovanni? Apparentemente, specie in trasmissioni a reti unificate, la manifestazione di piazza San Giovanni, il cui sapore vintage è consapevolmente alimentato da alcuni protagonisti. Ma anche qui occhio allo stile: il vintage è una ricombinazione del passato, una rilettura. Il passato passato, quello che dissolve le mitologie, se si assumessero ancora storiografi che lo leggono, ci racconterebbe storie diverse. Ad esempio, su chi ha realmente conquistato diritti durante l’autunno caldo e nelle stagioni in cui firmare i contratti nazionali significava ottenere davvero qualcosa. Ma il punto più importante qui è un altro: lo scontro Leopolda-San Giovanni non trova affatto la cordata di Renzi come novità, e carico di rottura e il resto come conservazione. O meglio, questo tipo dialettica la troviamo già chiara negli anni ’80, prima ancora dello scioglimento del Pci, in quella che convenzionalmente viene chiamata la sinistra italiana. La stessa mitologia di Apple, ostentata da Renzi in tutte le Leopolde compresa questa da premier, affonda le radici nell’epoca del primo desktop per ampie fasce di consumatori che è del 1981. E qui, magari, invece di fare il primo premier europeo in assoluto a fare da testimonial al capitalismo tecnologico californiano magari Renzi potrebbe sfogliare più attentamente il Financial Times, oltre che a farci le interviste, o farselo raccontare meglio: Iphone 6 e 6 plus, e i prodotti Apple in generale, sono inadatti per il vero mercato smartphone e tablet del futuro, quello indiano. Ma se Renzi ha lo stesso rapporto con l’iconologia statunitense di Alberto Sordi in Un americano a Roma, poco male. Ci si diverte.
L’aspetto importante è che la società italiana vive un loop collettivo dall’inizio degli anni ’80. Quando, di fronte alla prognosi (esatta), del declino della società industriale-fordista in occidente, e di fronte alla realtà solo scalfita in un trentennio di una società prevalentemente spoliticizzata, sono due le matrici culturali che prendono piede. La prima vuole una veloce compressione dei diritti sindacali, come Reagan e Thatcher indicavano, per il rilancio della competività e lo sviluppo dell’innovazione. La seconda, ammettendo necessità di rilancio della competività e pur assumendo innovazione e capitalismo come sinonimi, pone il problema di tempi, mediazioni e compatibilità legislative, politiche e sociali di questa compressione. Si tratta di differenti concezioni della temporalità dell’allora uscita dalla società fordista-industriale di massa: accellerata, post-salariale, oltre che post-fordista, la prima; metodica e rispettosa delle procedure politico-sindacali vigenti la seconda. Come tutte le matrici culturali, e le pratiche politiche, non sono certo mancati in trent’anni i processi di ibridazione. Ma anche il momento, forte, di contrapposizione fondativa: lo scontro sulla sterilizzazione della scala mobile del 1984. Scontro che, all’epoca, si giocò tutto nella sinistra istituzionale: Psi contro Pci, componente socialista contro componente Pci della Cgil. Dal punto di vista mediatico 30 anni fa c’erano le stesse paginate di Repubblica (“innovatori” contro “conservatori”, nella definizione dei due campi, “pragmatici” contro “ideologici”) e nei servizi dei telegiornali, basta vedere gli archivi, ampiamente favorevoli all’accellerazione dei processi di liquidazione delle garanzie offerte dall’epoca fordista. E, considerando le cose fino in fondo, non manca niente all’effetto loop con quegli anni visto che c’è persino il ritorno degli Spandau Ballet in Italia. Non che questo scontro sulle differenti concezioni temporali dello smantellamento dei diritti del lavoro si sia sempre giocato in quel campo che, con molta approssimazione concettuale, viene chiamato di sinistra. Il centrodestra, arruolando diversi transfughi dal sindacalismo Cgil di origine Psi (l’ex ministro Sacconi ad esempio) dell’accellerazione della liquidazione dei diritti marcò la propria contrapposizione contro il centrosinistra sulla questione articolo 18 del 2002.
Allo stesso tempo il fronte, sempre legato alla Cgil, della modulazione nella dismissione dei diritti e della compressione del salario legato a assetto normativo, compatibilità politiche e metabolizzazione sociale ha anche praticato momenti di accelerazione: ad esempio con la liquidazione della scala mobile nel ’92, il pacchetto Treu, concertato sindacalmente e l’accordo del 28 giugno del 2011, firmato da Camusso, che fissa deroghe significative ai contratti nazionali.
Sarebbe infatti curioso censire quante vittime delle decisioni reali, e degli accordi della Cgil sono scese in piazza con Susanna Camusso. Una stima approssimativa, e su criteri nemmeno troppo strigenti, darebbe risultati impressionanti. Solo che qui si tratta di capire anche il potere di attrazione di queste due matrici culturali di lontana formazione. Una volta scomposta, con la società fordista, la politicizzazione di massa entrambe le matrici hanno attirato vasti sedimenti di società. Chi ha giocato sull’accelerazione dello smantellamento dei diritti, a volte mimetizzato a volte esplicito, ha trovato il consenso esplicito, ma anche quello enorme e silenzioso, di chi comunque dava per scontato che la società dovesse cambiare o che un cambiamento traumatico fosse ineluttabile per favorire l’innovazione. Chi invece ha giocato sulla moduzione temporale dello smantellamento dei diritti, sulla sua diluizione entro le compatibilità politiche e sindacali, ha sempre trovato sponda, anche disperata, in chi offriva la propria forza d’urto per contrapporsi a chi voleva liquidare velocemente i propri diritti.
E qui qualche domanda seria qualcuno se la dovrebbe fare. Ad esempio sul perché, in 30 anni, queste polarità siano state in grado comunque di essere egemoni nel dibattito politico, attirando pezzi di società. Da trent’anni oltretutto la prognosi della Cgil come sindacato dei servizi è sempre più confermata ma, allo stesso tempo, se si tratta di mobilitare la piazza l’appuntamento non viene mai mancato.
Insomma, una frattura nata nella sinistra istituzionale, all’uscita della società fordista ha trovato modo per riprodursi per oltre un trentennio, nel governo del lavoro, riproponendosi come se fosse, allo stesso tempo, sempre nuova e con gli stessi attori (innovatori e ortodossi). Il punto è che, nel frattempo, alla crisi del lavoro di massa dovuta al declino dell’industrializzazione in occidente, e a sue poderose ristrutturazioni, si è sovrapposta quella del lavoro digitale. Nel senso che le rivoluzioni tecnologiche, nello stesso mondo digitale, distruggono stabilmente più posti di lavoro di quanti ne producano. In questo senso la dialettica Leopolda-San Giovanni appare un doppio anacronismo. Quello del conflitto che si ripercuote da un trentennio, con la compressione dei diritti e del reddito come esito scontato a prescindere dal vincitore, ma anche quello della presenza di attori in campo che agitano politiche che hanno fallito, tranne che per le garanzie dovute ai profitti, per governare l’uscita dalla società industriale. Attori che non si pongono nemmeno il problema di affrontare i nodi della crisi della società digitale. Quando Renzi va alla Silicon Valley, con lo spirito del turista che va a Londra per vedere il cambio della guardia, si rende conto, ad esempio, che è proprio dalla California, e dalle stesse aziende che ha visitato, che è partito l’allarme documentato sul fatto che le rivoluzioni tecnologiche distruggono più posti di lavoro di quanti ne producano?
Eppure l’allarme, perché è a rischio il proprio modello di business, viene proprio da un’azienda visitata da Renzi: Google. Sappiamo quindi cosa sta accadendo: abbiamo due tipi di sinistra istituzionale che, sul tema dei tempi e delle procedure di liquidazione dei diritti (che è sostanza per cordate di potere), confliggono si compongono e si scompongono. Mimando lo scontro vero, frontale, quello che avviene tra strategie e visioni diverse. Perché mimare, dal punto di vista della comunicazione politica, significa costruire una scenografia che attira l’attenzione e rende comunque centrali. Nel frattempo l’Italia è entrata nell’euro, e già lo scontro dell’84 prefigurava le politiche che hanno portato alla moneta unica, ha perso ampie porzioni di sovranità politica, amministrativa, giuridica e del tutto quella monetaria. Ad ogni scossa significativa su questi piani questo scontro si è riproposto. È bene essere chiari: se Renzi cadesse sull’articolo 18 sarebbe una scossa liberatoria per questo paese. Che rischia di avvitarsi nell’ennesima ristruttuazione reaganiana, venduta come innovativa, che non ha nessun senso nell’attuale contesto economico. Ma è altrettanto giusto non illudersi: siamo di fronte a schieramenti anacronistici, frutto di un’epoca di scomposizione del lavoro industriale alla quale si sovrappone quella della crisi del lavoro digitale. Comunque vada, al netto di effetti perversi, qualsiasi risultato ne esca fuori nessuno dei nodi strutturali di questo paese verrà aggredito. Sempre che, alla fine di questo simulacro di guerra dei trent’anni, ci sarà ancora questo paese.
Per Senza Soste, Nique La Police
26 ottobre 2014

domenica 26 ottobre 2014

LA LEGA NAZIONALE?

Lasciata da parte per ora la Padania e la voglia di secessione che accaparrava voti disperati e di speranza ecco che la Lega made in Salvini cambia faccia e lo fa per assurdo volendosi affermare come partito nazionale e nazionalista.
Sempre più intrallazzato con il Front National di Marine Le Pen ecco che il Matteo leghista lascia da parte l'odio contro Roma ed il sud Italia pronto ad aprire sedi coadiuvato dai fascisti di Caga Pvund che lo preferiscono momentaneamente alla Forza Italia di Berlusconi sempre più in discesa e agli altri partiti di centro destra ormai ridotti ai minimi termini.
Mentre Grillo ammicca alla Lega in maniera sempre più aperta e dimostra di essere il fascista che è sempre stato,Salvini è sempre in campagna elettorale spinta da frasi ad effetto e da manifestazioni xenofobe e razziste contro immigrati abbaiando ad una loro prossima invasione.
Articolo preso da Senza Soste-Infoaut.

Il progetto di Salvini: una Lega à la Le Pen. 
Riportata in auge dai media mainstream dopo la manifestazione milanese di Sabato, la Lega Nord del corso Matteo Salvini merita una riflessione, già sicuramente compresa nelle menti di chi ha sfilato sabato al grido di #StopInvasione! per le vie di Milano contestando il contemporaneo raduno leghista, ma sicuramente da socializzare in termini di quelli che possono essere i futuri scenari di una tale ristrutturazione politica.
Quella che ci troviamo di fronte è una Lega che dal punto di vista strategico sta riuscendo in maniera eccellente a riempire quelle voragini lasciate a destra dalla fine di Forza Italia per come l'abbiamo sempre conosciuta. Lo svuotamento renziano dei contenuti forzisti, sia nei termini delle proposte (per Squinzi le riforme di Renzi sono quelle che Confindustria ha sempre sognato) sia nei metodi (centralismo totale nelle decisioni, ma anche utilizzo sapiente e spregiudicato della televisione) ha portato il PD al centro di un sistema in cui FI non sa che pesci pigliare.
La Lega invece, scottata dal periodo catastrofico delle tangenti e del Trota, ha cambiato pelle, almeno a livello retorico. Dal dicembre scorso, con il cambio di leadership, non più attacchi agli immigrati, ai gay, ai “terroni” motivati solamente su base biologica: ma un aumento delle urla di odio e rancore nei loro confronti anche a partire da un ritrovato nazionalismo complessivo ( e non solo limitato al nord e alla sua secessione!) che ben ricorda l'ascesa in Francia della Le Pen.
Un cambiamento dovuto soprattutto ad una nuova comprensione del posizionamento possibile per la Lega in una situazione dove la crisi ha raggiunto effetti materiali durissimi, dove la disoccupazione è sempre più forte, ove l'economia è il principale tema sul quale impostare il discorso. “Non mi interessa avere la Padania libera se poi le fabbriche sono chiuse. Primum vivere. Per questo, pur di fare la battaglia contro gli assassini di Bruxelles sono disposto a discutere con chiunque“ ha dichiarato Salvini in un'intervista oggi a Repubblica.
Non è un caso che CasaPound, da sempre sgherro di ogni forza del centrodestra capace di ottenere qualche seggio in Parlamento, si sia vista in piazza a Milano proprio con la Lega, sebbene le ridicole foto postate su Twitter e diventate immediatamente virali facciano ben capire il livello a cui siamo..non è un caso che Salvini abbia dimostrato l'intenzione di aprire sezioni locali della Lega al sud in maniera ben più reale delle esibizioni ridicole di progetti simili ai tempi di Bossi.
Siamo qui di fronte ad un tentativo della Lega di guadagnare un consenso mai avuto prima, approfittando anche dello sgonfiarsi del grillismo oltre che di quello di FI. Ma dove è interessante guardare è anche nell'arena geopolitica, con la Lega che oltre a legarsi con la Le Pen (Salvini a novembre sarà al congresso del Front National) in sede UE ha adombrato la possibilità di creare dei gruppi uniti dall'ostilità contro le sanzioni alla Russia. Sanzioni che penalizzano soprattutto le regioni italiane legate all'export, dove la Lega è più forte (Lombardia e Veneto) e che rilanciano l'azione leghista in un campo euroscettico sempre più in espansione dove quanto sta succedendo riguardo alla Russia rischia di allargare l'ostilità nei confronti di Bruxelles da parte di fette ampie degli interessi soggetti a questa.
Le circa 40.000 persone in piazza a Milano, e il circa 10% di consenso elettorale che sembra in questo momento avere il Partito di Salvini, testimoniano il successo di questa virata a destra, che sembra travolgere con sé anche l'NCD oltre che Forza Italia, dato che il primo, al governo in questo momento, rischia di essere svuotato sia dalla determinazione di Renzi ad imporre una sorta di ius soli temperato (come annunciato dallo stesso premier domenica 19 ottobre), sia dalle mosse di un Salvini sempre più all'opposizione battagliera e sempre più evidentemente alla ribalta politica mentre tutte le altre opposizioni, da Grillo a FI, sembrano annaspare.
25 ottobre 2014

sabato 25 ottobre 2014

POMODORINI AMARI

Succede che tra le miriadi di casi di sfruttamento del lavoro che avvengono un po' qua e là in Italia ma soprattutto verso gli immigrati e nel sud del paese,il caso di Vittoria nel ragusano sia da sommarsi a quello dello schiavismo vero e proprio con degenerazioni nella prostituzione.
L'articolo preso da Infoaut racchiude il link dell'inchiesta del giornalista del Corriere della Sera Dario Di Vico sul caso della produzione dei pomodori ciliegini e datterini che vede nella zona siciliana una grande concentrazione di piccole aziende,la gran parte delle quali consta pochi addetti alle maestranze,di solito da due a quattro persone.
I padroni,oltre che avere il possedimento della terra,in parecchi casi sono anche i protettori delle centinaia di donne romene che vi lavorano facendole prostituire oppure tenendole come oggetti sessuali a proprio uso e consumo.
I dati sugli aborti nella città di Vittoria sono in crescita enorme,da cinque a sei a settimana,e naturalmente i ricatti,visto che oltre al lavoro le donne in questione ricevono anche vitto e alloggio dai padroni,la vincono sulla possibilità di denuncia delle stesse.

Italia, paese della schiavitù.

Per una volta Dario Di Vico, vicedirettore ultra liberista del Corriere della sera, in gioventù dirigente del Movimento Studentesco di Milano, usa il suo giornale per andare a guardare in faccia la realtà sociale. Quella di cui il suo giornale non si occupa troppo, né bene, prescrivendo invece "ricette economiche" mortali.
Vi proponiamo la sua inchiesta, pubblicata oggi, perché molto utile anche, come gli ha fatto notare qualche lettore, fin "troppo dolce" con gli imprenditori-negrieri.
Utile per sapere quel che accade in quel di Vittoria (Ragusa), regno del pomodorino e dello sfruttamento schiavistico, anche sessuale, di oltre un migliaio di donne rumene.
Utile per capire che una "comunità coesa e solidale" (quella dei tunisini, che "pretendevano" stipendi pagati regolarmente e cercano di far rispettare almeno alcuni diritti) resiste molto meglio di una massa di individui senza legami reciproci (le donne rumene); anche per quanto riguarda la contrattazione del salario, persino quando - come nelle campagne siciliane - questo avviene fuori da ogni ambito legale, senza sindacati.
Utile per sapere come funziona l'economia (italiana e non) capitalistica: "Oggi il Bengodi non c’è più, il pomodorino alla produzione rende 10 cent al chilo e poi lo si trova sui banchi dei supermercati anche a 1,5 euro. La pressione sul lavoro si spiega anche così, si scarica in basso la competizione sui prezzi e negli anni c’è stato un ricambio totale della forza lavoro". E' quanto avviene in ogni settore, dal trasporto aereo all'automobile, dagli elettromestici al made in Italy.
Utile per capire come vive, ragiona, sfrutta, la piccola borghesia imprenditoriale, non solo siciliana o "meridionale". E' una involontaria radiografia di quella classe, anche sul piano dei "valori condivisi", della mentalità, dell'ipocrisia familistica e familiare, del doppio regime tra volto pubblico e comportamenti privati. tra parole e azione.
Utile per ricordare che la mercificazione delle persone è l'anticamera della "proprietà sessuale", dell'uso del corpo altrui come "cosa nostra"; sul lavoro e nell'orario di lavoro, come fuori orario. Perché il confine tra diritto del lavoratore e diritto umano è inesistente; non possono esistere o sopravvivere dititti universali se non ci sono diritti nel rapporto di lavoro. Un paese, o una civiltà. che elimina i primi come "freno alla crescita del Pil" si prepara ad eliminare anche i secondi.
Utile per ricordare che la "riforma del mercato del lavoro", il Jobs Act e l'apprendistato triennale o i contratti a termine, sono il regalo che il governo fa a questi "imprenditori" qui, assolutamente identici a tutti gli altri anche fatte le dovute differenze (quante donne in cerca di lavoro, anche al Nord, si sentono offrire uno "scambio di favori"?) o l'eventuale "rispetto delle forme".
Utile per ricordare che questo è un esempio di "mercato del lavoro duale" (o addirittura "trino", visto che sta al di sotto sia del contratto a tempo indeterminato che della precarietà legalizzata); ma anche cosa accade quando - come col Jobs Act - si ricrea "ugualianza" togliendo diritti a chi ne ha ancora qualcuno. Accade l'unica cosa possibile e prevista: tutti restano senza. Schiavi come queste donne, indipendentemente dal genere o dalla esplicita pretesa della prestazione sessuale.
Link dell'inchiesta
I festini agricoli e gli aborti delle mille schiave romene
22 ottobre 2014

venerdì 24 ottobre 2014

PD,FORZA ITALIA E DEMOCRAZIA CRISTIANA

Che il Berlusconi politico all'incirca un annetto fa fosse morto non ve n'era dubbio,giacchè l'allora ancora sindaco di Firenze Renzi cominciò a rianimarlo,ancor prima di diventare premier ma comunque già segretario del partito,e questo è un dato di fatto.
Le ultime uscite di Berlusconi,per l'appunto resuscitato come un novello Lazzaro,fanno pensare che stia per adottare più lui una politica da Pd che lo stesso attuale presidente del consiglio:per intenderci una politica di centro e non di centro destra come l'attuale.
Parziali aperture verso unioni gay e cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia è cosa comunque da Pd mentre se fosse stato per un vero governo nemmeno di sinistra,ma almeno di centro sinistra sarebbero state tematiche già superate.
Ma invece la nuova Democrazia Cristiana di Renzi,storicamente sempre stata più vicina alla destra che alla sinistra,si sta spostando sempre più verso un principio della fine che vedrà nei prossimi mesi,e comunque spero il prima possibile,una scissione inevitabile all'interno del Pd.
Qui sotto la dichiarazione nemmeno troppo choc di Berlusconi di come l'attuale politica del Pd soprattutto in materia economica e sociale,e mi riferisco soprattutto in materia di lavoro,sia stata copiata da Forza Italia da sempre dalla parte del padrone e contro la classe operaia:articolo preso da Senza Soste.


Berlusconi "Renzi? La sua politica economica un revival di Forza Italia"
L'ex premier attacca la manovra del governo: «Pagano le famiglie». E dice: «Non sciolgo il partito».

La manovra di Renzi? Nulla di nuovo, soltanto un «revival» dei vecchi governi Berlusconi. È questo, in sintesi, il pensiero dell'ex Cavaliere interpellato dal Tg5 sulle ultime mosse del presidente del Consiglio.
«CONDITE DA POPULISMO».
La politica economica di Renzi «è un revival delle nostre ricette, condito da un po' di populismo e presentato con grande abilità», ha sottolineato l'ex premier, «ricordo che gli unici governi che hanno davvero abbassato le tasse sono stati i nostri: abbiamo cancellato l'imposta di successione, quella sulle donazioni, la tassa sulla casa, abbiamo introdotto la 'no tax area' per le famiglie meno agiate, abbiamo ridotto gli scaglioni dell'imposta sulle persone fisiche, l'Irpef e altre imposte ancora».
«SALDO NEGATIVO». E ancora: «Il premier attuale con una mano ha dato gli 80 euro a qualcuno, con l'altra ha aumentato le tasse sulle case, sui negozi, sui capannoni e anche sui risparmi a tutti. Il saldo è dolorosamente negativo per tutte le famiglie».
«LEGGE ELETTORALE? VADA BENE A ENTRAMBI».  Sulla legge elettorale, tuttavia, «ci confrontiamo con Renzi nella ricerca di un modello che favorisca la governabilità del Paese, e che, naturalmente, vada bene a tutte e due le parti in causa».
«NON SCIOLGO IL PARTITO». Infine, Berlusconi ha bollato come «una assurdità» le voci su uno scioglimento di Forza Italia. « Davvero una stupidaggine», ha detto, «Forza Italia è il partito della libertà e rappresenta molti milioni di italiani che amano la libertà e vogliono restare liberi. Io sono al lavoro tutto il giorno e tutti i giorni perché voglio che Forza Italia, rinnovata e rafforzata, torni a vincere».
22 ottobre 2014

giovedì 23 ottobre 2014

SANZIONI UE ALLA RUSSIA E RICADUTE IN ITALIA


L'articolo preso da Contropiano(http://contropiano.org/economia/item/27074-sanzioni-europee-alla-russia-chi-ci-perde-chi-ci-guadagna) parla del doppio risvolto che le sanzioni economiche europee hanno provocato nello scacchiere tra Unione Europea e Russia che si scontrano tutt'oggi per la questione Ucraina.
Se da un lato l'import export nostrano ci perde soprattutto per quanto riguarda il settore alimentare,d'altro canto il petrolio ha subito un ribasso e la svalutazione del rublo sta provocando una fuga all'estero delle ricchezze in mano ai russi.
L'Italia è uno dei partner più attivi negli scambi economici ma anche culturali con lo stato governato da Putin,ed ogni oscillazioni nei rapporti tra Usa-Ue con la Russia ricade in maniera incisiva per i nostri risparmi.

Sanzioni europee alla Russia.Chi ci perde,chi ci guadagna.


In crisi le industrie e le esportazioni ma si arrichiscono le banche e diminuisce la bolletta energetica. L'Unione Europea fa i conti con la sua scelta di adottare sanzioni verso la Russia. Il livello di scambio economico tra le economie europee e russe è molto alto. La Russia infatti rappresenta il terzo partner commerciale per l’Ue e l’Unione Europea è, a sua volta, il primo partner per Mosca. Il totale degli scambi commerciali tra Russia e Ue supera di poco i 326 miliardi di euro (dati 2013).
L’Unione Europea ha importato dalla Russia beni e servizi per circa 206 miliardi di euro, di questi circa 160 sono le importazioni di energia (petrolio e gas). Nel 2012, circa il 75% degli investimenti diretti esteri in Russia provenivano dai paesi dell’Ue, mentre Mosca ha investito in Europa circa 8 miliardi solo nel 2013. I paesi europei con il volume degli scambi commerciali più alto, sono la Germania (75 miliardi nel 2013), l’Olanda (37 miliardi), l’Italia (30 miliardi) e la Polonia (26 miliardi). I paesi esportatori verso la Russia sono stati penalizzati dalle sanzioni adottate dall'Unione Europea soprattutto da due fattori. Il primo è dovuto il divieto di vendere beni “dual use” e le tecnologie utili per l’esplorazione di nuovi giacimenti di petrolio e gas.
Il secondo fattore è il deprezzamento del rublo, calato in pochi mesi del 20%, provocato dalla fuga di capitali dalla Russia che ha ridotto il potere d’acquisto reale dei cittadini russi che, i quali di conseguenza, consumano di meno, soprattutto i prodotti di importazione europei.
Sono questi due fattori che colpiscono soprattutto paesi come Germania, Italia e Francia, i quali esportano rispettivamente beni e servizi per 36, 11 ed 8 miliardi di euro all’anno.
In risposta alle sanzioni, Mosca ha deciso di vietare le importazioni di prodotti alimentari europei. Tenendo conto che l'Ue esporta circa il 10% della produzione alimentare verso la Russia (si tratta di quasi 11 miliardi all’anno) le conseguenze si rivelano pesanti.
Ma se con le sanzioni alla Russia c'è chi ha molto da perdere, c'è anche chi ci guadagna. Ad esempio il calo del prezzo del petrolio, sul quale ha agito parzialmente anche la tensione tra Russia ed Unione Europea, favorisce quei paesi forti importatori di greggio: è il caso dell'Olanda (per 25 miliardi di euro nel 2013), della Germania (24 miliardi), dell'Italia (17 miliardi) e della Polonia (14miliardi). Infine c'è ingresso nelle banche europee di nuova liquidità creata dall’afflusso di capitali russi in fuga. Secondo la Banca Centrale russa questa fuga si sta trasformando in depositi in dollari ma si conferma che c'è afflusso anche nella zona euro.
(fonte: Affari Internazionali, Sole 24 Ore)

mercoledì 22 ottobre 2014

INCENERITORI INCENTIVATI

L'articolo preso da Infoaut e questo un poco più datato(http://www.senzasoste.it/ambiente/decreto-sblocca-italia-un-ritorno-al-passato-verso-la-privatizzazione-dell-acqua-e-dei-beni-comuni )parlano delle promesse non solo non mantenute ma addirittura calpestate e ribaltate in materia di difesa dell'ambiente fatte senza vergogna dal Pd.
L'articolo 35 del decreto Sblocca Italia parla non solo della possibilità ma dell'obbligo,basato e rafforzato su un suggerimento inesistente dell'Ue,di costellare di inceneritori quasi tutto il suolo italiano con punte eccezionali in Lombardia,Emilia Romagna e Toscana.
Lo Sblocca Italia:un altro modo per dire privatizzare l'acqua ed i beni comuni,rilanciare le grandi opere,incentivare il fracking e per l'appunto incenerire i rifiuti.
L'articolo di Infoaut qui sotto parla di Italia ed Europa citando singoli casi soprattutto nell'ultima problematica presa in questione,valutando progetti dannosi per l'ambiente e per la salute umana ormai obsoleti ed antieconomici.

Sblocca Italia o brucia Italia?

Enzo Favoino - tratto da http://lnx.ecoistitutoticino.org 

In questi giorni si è parlato molto dell’articolo 35 del cosiddetto “sblocca Italia”, e abbiamo tutti paventato il rischio che lo stesso rappresenta per le strategie di sostenibilità in tema di gestione dei rifiuti.
Ne abbiamo ben donde: l’articolo è un tentativo, sfacciato quanto sconclusionato, di dare corpo a speranze ed intenzioni di chi, per cultura, interesse o semplice dabbenaggine, immagina un sistema di gestione dei rifiuti impostato sull’elemento imprescindibile del trattamento termico.
Come se fosse ineluttabile arrendersi ad un destino di “modernizzazione” ad esso legato: “l’Italia è indietro perché mancano gli inceneritori” è il pensiero, implicito o dichiarato, che sottende tale visione.
Una concezione tanto più risibile proprio in un momento in cui i Paesi della malintesa “modernità” inceneritorista affrontano criticità legate a tali scelte e necessarie inversioni di rotta, o si trovano costretti a relazionarsi problematicamente con le indicazioni di medio temine provenienti dal quadro di riferimento europeo, che prevedono sempre più raccolta differenziata, sempre meno rifiuto, sempre meno residui da smaltire.
Ricordiamo alcuni fatti, clamorosi nella loro icastica evidenza.
La Danimarca nella sua strategia sulle risorse discute e definisce una “exit strategy” dell’incenerimento, al grido di “dobbiamo incenerire meno, e riciclare di più”; chissà se dunque e finalmente da quelle avrà fortune migliori la raccolta differenziata degli scarti alimentari, su cui la Danimarca, giustamente famosa per le politiche di sostenibilità in altri settori (energia, trasporti) sconta un clamoroso ritardo, che la mette agli ultimi posti europei per diffusione delle raccolte dello scarto di cucina. D’altronde, c’erano da alimentare bocche di forno (e noi anziché esportare le eccellenze che abbiamo saputo realizzare su questo tema, come lo sviluppo e l’efficientamento delle raccolte dell’umido, anche in contesti densamente urbanizzati, con l’art.35 ci candidiamo ad importare progetti e brevetti da Paesi che li stanno dismettendo).
La Svezia, la Norvegia e l’Olanda, la cui sovraccapacità di incenerimento è ormai clamorosa, si trovano costrette ad importare rifiuti da altri paesi (massicciamente dal Regno Unito, secondariamente Italia) a prezzi sempre più stracciati – e questo, se può essere al limite visto come un vantaggio per chi conferisce, diventa un dramma in termini finanziari per chi deve garantire il ritorno degli investimenti pregressi e la copertura dei costi – per garantire un minimo di introiti a parziale copertura dei costi, ed evitare di rimanere al freddo di inverno, vista la scelta irragionevole di legare le reti di teleriscaldamento ad una risorsa che le strategie europee ci dicono di minimizzare progressivamente!
Il pacchetto UE sulla economia circolare
Punta in modo potente nella direzione opposta, dicendo che dobbiamo riusare e riciclare il più possibile, e diminuire l’intensità d’uso delle risorse; e questo, prima ancora che per una istanza di tipo ambientale, per salvare il ruolo della economia europea in uno scenario internazionale caratterizzato sempre più dalla scarsità delle risorse primarie, dalla lotta per le stesse sui mercati mondiali e dalla determinazione delle economie emergenti di usare le loro per loro.
Insomma, riciclare per rimanere competitivi nella economia globale, e lo hanno capito le grandi società di consulenza finanziaria che da tempo hanno introdotto la attitudine al riciclaggio nei fattori di valutazione della competitività dei diversi territori. In questo scenario, l’articolo 35 vuole fare diventare l’Italia terra di conquista per tecnologie brevettate all’estero e grandi programmi di investimento, anziché protagonista di politiche di migliore uso delle risorse locali per aiutare una economia storicamente di trasformazione, e letteralmente soffocata dalla competizione sul mercato globale delle risorse.
 Diseconomie
E’ appena il caso di richiamare poi brevemente (non perché non importanti, ma perché le diamo per assodate e condivise) le considerazioni sulle diseconomie, le ripercussioni negative sotto il profilo occupazionale, il peggioramento delle prestazioni energetiche e ambientali complessive delsistema, in scenari impostati sull’incenerimento di quote maggiori o minori di rifiuto.
Fatta questa operazione, ossia l’elencazione dei temi per cui il contesto generale fa a pugni con le intenzioni sottese all’articolo 35, qui volevamo però soprattutto dare alcune indicazioni sul perché tale operazione risulta debole e contraddittoria rispetto alle sue stesse deteriori finalità: sono le formulazioni decisamente deboli, sconclusionate dell’articolo 35 stesso le nostre migliori alleate, e le zeppe che possiamo inserire nel percorso della sua applicazione.
Ci sono anzitutto alcune “perle” che neanche meritano commento, e che evidenziamo solo per mettere all’indice, segnalandola agli interlocutori terzi, la sfacciataggine di fondo dell’articolo: clamoroso il passaggio in cui si scrive che gli inceneritori “concorrono allo sviluppo della raccolta differenziata ed al riciclaggio” (sic!), ecco, neanche il più impavido e accanito fan dell’incenerimento è in grado di dimostrare un assunto così ardito, un caso esemplare di quello che Umberto Eco chiama il “cogito interruptus”, un assunto indimostrato ed indimostrabile, ed anzi contrario alla logica. Bene, vale la pena di sottolineare questo eccesso di zelo pro incenerimento, perché è nell’eccesso degli assiomi indimostrati ed indimostrabili che sta la debolezza e la mancanza di credibilità ad occhi terzi e distaccati di una posizione, qualunque essa sia.
Ma sono altri due gli aspetti particolarmente intriganti per le contraddizioni stesse di cui sono portatori. Anzitutto, il passaggio in cui l’estensore specifica che tali impianti sono necessari “per rispettare le direttive europee” (per “superare le procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore”, recita l’articolato). L’estensore in realtà sa bene, e se non lo sa non dovrebbe elaborare norme, che non c’è nessuna Direttiva europea che obbliga ad inviare ad incenerimento almeno una certa quota di rifiuto. E’ bene ripeterlo: nessuna Direttiva Europea chiede questo.
C’è invece l’obbligo di pretrattamento, che deriva dalla Direttiva discariche, e il cui mancato rispetto tiene l’Italia sotto botta di diverse procedure di infrazione (inclusa quella clamorosa relativa alla discarica di Roma). Ecco, se l’estensore dell’art. 35, intendeva che gli inceneritori servono a rispettare tale obbligo, allora gli vanno fatte presenti alcune annotazioni di rilevanza strategica, e che dovrebbero essere ben conosciute a chi redige normativa tecnica di settore: ossia, che in Italia ci vogliono mediamente 7-8 anni per realizzare un inceneritore, tra valutazione preliminare dei siti, gare di progettazione, sviluppo della progettazione stessa, autorizzazioni, gare per la realizzazione, costruzione, avviamento e collaudo.
Ci vuole molto meno invece per realizzare impianti di trattamento a freddo, che oltre al dono della celerità mantengono e regalano al sistema quello della flessibilità ed adattabilità a scenari crescenti di raccolta differenziata, il che a noi sta a cuore. Vero, i poteri straordinari e le procedure in deroga previsti dall’articolo 35 si propongono di abbreviare i tempi – ma la cosa varrebbe anche per gli impianti di trattamento a freddo, mantenendo la proporzione. Ora, tali impianti, ben più utili al rispetto delle direttive, non sono citati nell’articolo, che anche in questo mostra una sua faziosa propensione.
Ma posiamo citarli noi nei dibattiti locali, e proporli “per meglio rispettare le Direttive UE citate dallo stesso articolo 35″
Sotto il profilo metodologico, ed in sintesi, l’articolo si propone di sostituire l’iniziativa ministeriale alla pianificazione locale. E qui la disproporzione si fa clamorosa, dato che un Piano Regionale o Provinciale richiede mesi se non anni di analisi approfondite, valutazioni economiche, strategiche, territoriali, di coerenza complessiva del sistema nelle sue diverse articolazioni (raccolte differenziate, riduzione, recuperi, conseguenti quote decrescenti di residuo, ecc.). E con attenzione (maggiore o minore, ma in linea di principio cosi dovrebbe essere) alla vocazione economica del territorio ed alle istanze degli attori sociali a livello locale. Niente di tutto questo in una decisione centralizzata che sarebbe un mero esercizio numerico da portare a termine in 90 giorni. E questo è il motivo che sta portando alcune Regioni a impugnare l’articolo di fronte agli organismi di garanzia costituzionale.
Per non parlare poi delle decisioni sugli impianti esistenti. Chi partecipa ad un Tavolo demandato a decidere su un revamping od una dismissione di un inceneritore, sa quanto approfondite ed articolate siano le analisi sullo stato di fatto, le criticità tecnologiche, le economie del sito e dell’intorno territoriale, le prospettive di crescita ed implementazione della RD e le conseguenti condizioni di rischio finanziario che in modo crescente affliggono gli investimenti nella direzione del mantenimento delle capacita di incenerimento. Invece si vuole, si pretende che una decisione prescinda da tutte queste valutazioni. E vi assicuriamo, sono spesso, sempre più spesso gli stessi titolari degli impianti ad avvertire le condizioni di rischio legate a decisioni calate dall’alto
Insomma, un articolo scellerato, e sfacciato nella sua scelleratezza.
Ma anche sconclusionato, e debole, debolissimo nelle argomentazioni a supporto.
E se, mentre portiamo avanti il confronto per abolire a livello nazionale tale scelleratezza, saremo bravi ad usare le sue stesse contraddizioni, non e detto che alla fine l’effetto sia del tutto, o anche prevalentemente, negativo.
Vale la pena di tentarci.
17 ottobre 2014