mercoledì 30 dicembre 2009

CRAXI LEADER DEI LADER

Che tradotto in italiano diventa"Craxi capo dei ladri",era una scritta che appariva sui muri di diverse località cremasco-bergamasche fatte da appartenenti della ex Lega Lombarda,ormai cancellate da qualcuno o dal tempo,e che ricorda di come i leghisti della prima ora"amassero"il guru di Silvio Berlusconi,il paparino del papi pappone.
La gente con la memoria lunga si ricorda il periodo di latitanza dell'ex leader socialista ad Hammamet quando aveva sul groppone una decina d'anni di carcere da scontare per svariati reati legati soprattutto alla vicenda Tangentopoli.
Ebbene ora nel decimo anniversario della sua dipartita(ma anche molto prima temporalmente)si discute ancora a Milano grazie al sindaco Moratti sull'intitolazione di una piazza o di una via o qualcos'altro alla memoria di Bottino Craxi.
L'articolo tratto da"Senza Soste"riprende una riflessione di Mariavittoria Orsolato del sito"altrenotizie.org"che traccia pure una breve biografia sulle malefatte che questo personaggio ante berlusconiano,precursore dell'attuale premier mafioso,che tanti danni ha arrecato all'Italia.
Craxi e la toponomastica riabilitativa.

Chi da bambino non si è mai chiesto chi fossero i signori e le (sempre poche) signore a cui erano intitolate magari la via di casa o la piazza del paese? Chi non ha mai spiegato al proprio figlio o nipote chi fosse l’Aldo Moro del piazzale di fronte casa del nonno, oppure cosa fossero le Fosse Ardeatine a cui è titolata la via della scuola? La toponomastica, fin dalla sua lontana nascita, è frutto di una precisa esigenza di identificazione storica e culturale, ed è forse per questo motivo che in molti hanno già sollevato una dura polemica nei confronti dell’intenzione di dedicare una via o un parco comunale milanese al defunto leader socialista Bettino Craxi.
Probabilmente, nella frenesia di celebrare degnamente il decimo anniversario dell’illustre trapasso, il sindaco di Milano Letizia Moratti ha scordato di pensare alle risposte scomposte che un nonno o una mamma dovranno dare all’eventuale prole, curiosa di sapere chi mai sia l’uomo che dà il nome al loro indirizzo o al giardinetto sotto casa. Delle monete lanciate all’hotel Raphael ne abbiamo tutti vivida memoria, ma se si tratta di ripercorrere la lunga vita politica del primo uomo di sinistra assurto a palazzo Chigi, sono molte le amnesie che colpiscono chi deve raccontare e sono altrettanti i buchi di chi vuole ricordare.Bettino Craxi è stato il delfino di Pietro Nenni e come tale è divenuto segretario del Partito Socialista Italiano all’indomani della crisi dinastica scaturita dall’anomala tornata elettorale del giugno 1976, che vide il PCI di Berlinguer balzare ad un inaspettato 34,4% e minacciare così la supremazia incontrastata della DC. Dopo 7 anni e svariati governi di breve respiro, il nostro riesce a farsi affidare da Pertini la presidenza del Consiglio grazie a quella raffinatissima opera di inciucio politico che fu il Pentapartito (formato da PSI, DC, repubblicani, democratici e liberali). In 1093 giorni - perché questa fu la lunga durata della sua prima prova - Craxi riuscì a gonfiare smisuratamente la spesa pubblica, ad aumentare il rapporto Pil-debito pubblico dal già pessimo 70% al disastroso 90%; compì condoni edilizi e pur di aiutar l’amico Silvio (allora solo un gretto palazzinaro con il vezzo della tivvù) arrivò a porre la fiducia sul decreto che con un geniale colpo di spugna rendeva legali le illegali trasmissioni propagate da Cologno Monzese.
Tentò poi una riforma costituzionale in chiave presidenzialista e per poco non fece scontrare l’esercito italiano con quello americano durante i famosi 5 giorni della cosiddetta “crisi di Sigonella” e del sequestro dell’Achille Lauro. Un curriculum politico sicuramente degno di nota, che per chiudere in bellezza aveva bisogno di un’azione plateale e fragorosa come in effetti fu lo scoppio di Tangentopoli. Bettino se la cavò con una ventina di avvisi di garanzia per corruzione e finanziamento illecito - mossi a suo dire da un “preciso disegno politico” della Procura di Milano (ricorda niente?) - e seppur condannato rispettivamente a 5 anni e 6 mesi, e a 4 anni e 6 mesi, non scontò nemmeno un giorno di carcere in quanto nel maggio del 1994 si auto-esiliò ad Hammamet, in Tunisia. Una latitanza a tutti gli effetti, in cui, oltre a trovare la morte per cause ovviamente fisiologiche, trovò anche un degno riparo dai numerosi processi che lo vedevano coinvolto e che furono puntualmente chiusi nel 2000, ad avvenuta dipartita dell’imputato.
Ora, non che si voglia condannare questo ex presidente alla damnatio memoriae che colpì Commodo così come Caligola - è roba antica e mal si confà alla già corta memoria storica del popolo italiano - ma dedicare un qualsiasi luogo ad un personaggio di tal risma, a soli 10 anni dalla morte, sfugge ad ogni logica, oltre che al buon gusto. Negli anni in molti hanno cercato di far titolare qualsivoglia oggetto al vecchio Bettino: la prima è stata la figlia Stefania che già nel 2002 scriveva accorata al sindaco Albertini, affinché la città di Milano restituisse all’uomo Craxi un po’ dell’affetto che egli le aveva elargito (via mazzetta); ad un certo punto si arrivò quasi a posizionare una targa sul portone del suo ufficio, in piazza Duomo 19, ma le dure reazioni dei componenti dell’ex pool di Mani Pulite mandarono all’aria il nobile progetto.
Il 19 gennaio si compirà il decennale della morte di Craxi e, stando al trend imperante dell’agenda berlusconiana, i tempi sono ormai maturi per riabilitare quello che in molti chiamavo “Bottino” ma che, proprio per la sua particolare posizione politico-giudiziaria, è un ottimo testimonial; un baluardo che riporti alla mente la terreur di Tangentopoli, ricordando implicitamente quanto cattivoni siano anche i magistrati odierni che, per “preciso disegno politico”, stanno perseguitando il povero e disarmato Silvio. O no?

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