lunedì 30 novembre 2015

LA RIVOLUZIONE MESSICANA

L'articolo preso da Senza Soste omaggia il fine del novembre del 1910 come l'inizio della rivoluzione messicana che ha portato alla lotta un intero popolo e che ha dato alla gente di tutto il mondo dei nomi leggendari come Emiliano Zapata e Pancho Villa.
Anni di combattimenti,di sangue e di sacrifici nel nome della terra in mano a chi la coltiva,contro le ingerenze degli stranieri con la Francia e soprattutto la Spagna che dominarono lo Stato centroamericano,ed una forte sudditanza economica statunitense che sta ancora oggi dettando legge.
Questa è stata la prima di una serie di rivoluzioni di carattere nazionale del novecento,e l'articolo da solo un'infarinatura sulla storia di quasi due secoli,salvo poi che ognuno possa informarsi non necessariamente sui libri di storia ma anche con saggi e romanzi(cito il grande Paco Ignacio Taibo II che ispirò il nome di questo blog)oppure guardando le opere del famoso pittore messicano Diego Rivera.
 
¡Que viva México! Novembre 1910: scoppia la Rivoluzione messicana.
 
Come accadde per molti stati latinoamericani, anche per il Messico l’indipendenza dalla Spagna (conquistata negli anni ’20 del XIX secolo) non significò la fine della subalternità alle potenze straniere, e in particolare nei confronti dell’ingombrante vicino del nord che ha sempre considerato l’intero continente come il suo “cortile di casa”.
Già nel 1835 i coloni del Texas si ribellarono all’autorità del Messico e ne nacque una guerra con gli Stati Uniti dalla quale il territorio messicano uscì ridotto addirittura del 40%. Nel 1861 vi fu la spedizione di Massimiliano d’Asburgo, voluta dalla Francia di Napoleone III, che si concluse con la fucilazione del protagonista. Fu dalla guerra con i francesi che emerse la figura di Porfirio Diaz, che iniziò nel 1876 un mandato presidenziale destinato a durare per diversi decenni. Porfirio Diaz trasformò progressivamente il sistema politico del paese in una dittatura personale. Il Messico si aprì agli investitori stranieri, che con i loro capitali realizzarono grandi infrastrutture ma si garantirono anche il controllo delle risorse minerarie e petrolifere del paese. Le disuguaglianze tra le classi si aggravarono in modo estremo: anche le terre demaniali finirono in mano ai latifondisti e le condizioni di lavoro e di vita dei contadini poveri e dei braccianti erano disumane. Neanche per la classe operaia fu un periodo favorevole: Porfirio Diaz proibì gli scioperi e represse il movimento sindacale. Il malcontento si fece strada anche tra la piccola e media borghesia e tra gli intellettuali che vedevano il loro ruolo mortificato, mentre il “porfirismo” poteva invece contare sull’appoggio delle gerarchie militari e del clero cattolico. Vi furono diversi tentativi di insurrezione, finché in occasione della vittoria di Porfirio Diaz nelle elezioni del 1910 il dirigente liberale Francisco Madero lanciò un appello (noto come Piano di San Luigi di Potosí) dichiarando nullo il risultato e invitando a prendere le armi contro il dittatore.
La Rivoluzione scoppiò alla fine di novembre in diverse città del paese e in Messico accorsero volontari da tutto il mondo per sostenere la prima grande insurrezione proletaria del XX secolo. Insurrezione che avrà lunga durata e un pesantissimo bilancio di vittime: quasi un milione di morti. Nel 1911 Porfirio Dìaz fu rovesciato e costretto all’esilio ma le varie anime della Rivoluzione entrarono in conflitto tra loro: in particolare le correnti liberali e borghesi e quelle di origine operaia e contadina. Madero, conquistato il potere, non aveva mantenuto la promessa di ridistribuire le terre. Contro di lui si mossero allora grandi dirigenti popolari tra cui il più noto è senz’altro Emiliano Zapata (nella foto), proveniente dalle campagne del sud, che lanciò un piano per la riforma agraria. I grandi proprietari terrieri e il governo statunitense, preoccupati per le rivendicazioni dei contadini e degli operai, promossero un colpo di Stato nel quale Madero fu assassinato e sostituito dal sanguinario Victoriano Huerta. Anche Huerta alla fine fu costretto alla fuga e nel 1917 fu promulgata una nuova Costituzione, che prevedeva la possibilità di espropriare le terre dei latifondisti e garantiva i diritti dei lavoratori. Gli scontri armati tuttavia continuarono: Zapata fu assassinato nel 1919. Fu anche un periodo di forte insofferenza verso il clero cattolico: solo nel 1915 furono uccisi 160 preti, e nel 1926 furono adottate misure severissime tra cui l’imposizione agli impiegati cattolici di abbandonare la loro fede per poter mantenere il posto di lavoro. Poi negli anni ‘30 emerse il Partito Rivoluzionario Istituzionale, espressione di una nuova classe dirigente che manterrà il potere ininterrottamente fino al 2006 caratterizzandosi per forme crescenti di corruzione e autoritarismo.
Nel 1983 sul versante popolare era nato l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale che con le sue comunità liberate del Chiapas costituisce a tutt’oggi uno dei più interessanti esempi di confederalismo democratico. Unica luce in un paese che oggi affonda di nuovo nella violenza dei cartelli del narcotraffico e nelle disuguaglianze sociali provocate dal neoliberismo.
Nello Gradirà
Pubblicato sul numero 109 (novembre 2015) dell'edizione cartacea di Senza Soste

domenica 29 novembre 2015

LIBERTA',SICUREZZA E REPRESSIONE

Siamo disposti a barattare la libertà con le misure speciali sulla sicurezza adottate dopo i fatti di Parigi?
Proprio nella capitale francese,dopo gli appelli di Hollande di tornare a vivere come s è sempre fatto,di andare a passeggiare,al cinema,al ristorante,quete misure straordinarie inficiano una vita vera,perché anche il diritto di manifestare per molti è un modo di vivere la propria vita come andare a mangiare una pizza.
Gli articoli presi da Infoaut(il primo presenta un'intervista:http://www.infoaut.org/index.php/blog/prima-pagina/item/16006-un-clima-da-paura-lacrimogeni-a-parigi-su-chi-manifesta )parlano della conferenza mondiale sul clima(Cop 21)e il primo parla degli aggiornamenti sugli scontri dei manifestanti di un corteo che non era stato autorizzato così come saranno vietate manifestazione per le prossime settimane,con la polizia.
Il secondo parla più nello specifico dell'associazione che è nata nella testa dei politici che chi cerca di manifestare è sinonimo di terrorismo,con tutto quello che succede ovviamente di sbagliato e di repressivo.

Un clima... da paura! (lacrimogeni a Parigi su chi manifesta).

16h45 :In Place de la République, 200 persone restano imbottigliate. Notizie dalla piazza parlano di lancio di granate stordenti ad altezza uomo.

16.30: la polizia conferma almeno un centinaio di arresti.

16: imbottigliamenti e cariche. La polizia cerca di disperdere. Centinaia di persone partono in manif sauvage.

15: Circa 2000 persone restano nella piazza. I poliziotti lanciano numerose granate offensive (molte ad altezza uomo!), i manifestanti rispondono gettando pietre. molte cariche, almeno un ferito per le granate. stordenti.

14:45 : ennesimo gasamento e cariche dopo il lancio di pietre, oggetti e numerose scarpe contro la polizia. Metropolitana chiusa. Scontri a margine della rue du Temple. Piazza sommersa dai gas lacrimogeni
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Non più di due settimane fa, si è verificato in Brasile un disastro ecologico senza precedenti nella storia del paese: la diga di un gigantesco deposito di fanghi tossici prodotti dalle miniere (ferro, mercurio, arsenico...ecc) si è rotta  invadendo il corso d'acqua e i terreni circostanti di un'ampia regione, non lontana da Rio de Janeiro,  per giungere fino all'oceano. Qualcuno ha parlato di "Fukushima brasiliana", ultimo capitolo di una lunghissima lista di grandi disastri che costella come un ombra rimossa la storia lunga del sistema capitalistico: Chernobyl, Seveso, Bhopal, vari incidenti petroliferi, prima ancora la distruzione di interi ecositemi per l'impianto forzato di monoculture (rese possibili dalla parallela introduzione forzata dello sfruttamento schiavistico della forza-lavoro), prosciugamento di interi bacini idrici (fiume Giallo, lago Aral)...

Quest'immagine è la rappresentazione plastica del disastro quotidiano in cui viviamo, dove una parte consistente (destinata ad aumentare in termini assoluti e relativi) della popolazione mondiale si riproduce e si riprodurrà sempre più tra rifiuti, nocività e scarsità d'accesso alle risorse primarie per la vita.

"System Change Not Climate Change!" dicono da qualche anno i movimenti, individuando con metodo la sorgente del problema. In molte città del mondo si sono tenute e si stanno tenendo in queste ore mobilitazioni contro la Conferenza Globale sul Clima che quest'anno si tiene a Parigi, una delle città più iper-blindate e securizzate del mondo che, dopo gli attentati di due settimane fa, ha visto istituzionalizzare di fatto lo stato d'emergenza.

Nei giorni scorsi (fino alle ultime 24 ore) si sono svolte numerose perquisizioni, fermi  (gardes-a-vue) e arresti domiciliari ai danni di decine di compagn* e attivist*. Carovane giunte da diversi angoli della Francia (tra tutte, quella partita dalla zad di Notre-Dame-des-Landes) sono state ripetutamente fermate, ostacolate nella loro marcia.

Oggi nella capitale francese si stanno svolgendo più iniziative in un clima surreale, tra catene umane rigorosamente confinate sui marciapiedi e scarpe ammucchiate per simboleggiare le presenze vietate dalla Rèpublique.

Ma un assembramento meno propenso ad accettare i divieti si è comunque dato appuntamento in Place de la Repubblique per manifestare contro la gestione capitalistica globale del clima e contro lo stato d'emergenza varato da Hollande e Valls con il sostegno dei media e l'acquiescenza passiva e terrorizzata dell'opinione pubblica.

Almeno 3000 persone si sono concentrate nella e  ai bordi della piazza, sfidando un dispositivo di controllo poliziesco senza precedenti. Molto velocemnete (intorno alle 14.30) sono iniziati a piovere i lacrimogeni sui manifestanti indisponibili a vievere nel terrore del prossimo attentato o della prossima catastrofe climatica.
 
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Francia, l’eccezione si fa Stato, contro i militanti di sinistra.
Arresti domiciliari per il responsabile del legal team della Coalizione Francese COP21. Una montagna di abusi di polizia in nome dello stato d’eccezione. La testimonianza di due attivisti perquisiti,

di Checchino Antonini ed Eugenia Foddai.

Il ministro degli interni francese, Bernard Cazeneuve, perde i nervi, confonde e assimila il movimento associativo al terrorismo. La notizia ci arriva dalla rete internazionale che sta organizzando le mobilitazioni ambientaliste per Cop 21 proprio nel giorno in cui la Francia ha La ha informato il consiglio D’europa “della sua decisione di derogare alla Convenzione europea dei diritti umani” a seguito dell’adozione dello stato di emergenza.  Tali misure “potrebbero necessitare una deroga a certi diritti garantiti dalla Convenzione europea dei diritti umani”, ha spiegato il Consiglio europeo.
Dopo aver proibito le manifestazioni civili durante la COP21ecco che il ministro dell’interno mette ai domiciliari Joel Domenjoud, responsabile del team legale della Coalizione Francese COP21, perché farebbe parte della estrema sinistra parigina che vorrebbe mettere in discussione lo svolgimento della COP21. Domenjoud è obbligato a firmare tre volte al giorno al commissariato. «Se avevamo bisogno di una conferma che lo stato d’emergenza è un pericolo per la libertà pubbliche, questa misura ne costituisce una prova, rivelando che la lotta al terrorismo viene usata come pretesto per vietare tutte le voci dissonanti. Come avevamo già denunciato, lo stato d’emergenza si accompagna a misure sempre più arbitrarie. Chiediamo con forza di togliere immediatamente i domiciliari a Joel Domenjoud».
Joel Domenjoud sarà ai domiciliari fino al 12 dicembre, cioè, all’indomani della Conferenza per il clima. In tutta la Francia, le prefetture stanno applicando il divieto di manifestazioni. Indre e Loira, la prefettura del Rodano, hanno recentemente vietato “qualsiasi evento o riunione di strada pubblica [...] su tutto il territorio del dipartimento, indipendentemente dal motivo, con l’eccezione dei tributi per le vittime degli attacchi al 13 novembre 2015, nei giorni di sabato 28 novembre 2015 domenica 29 novembre 2015 lunedì 30 novembre 2015″.
Il sito Bastamag ha raccontato il raid della polizia contro due coltivatori bio a causa della loro attività militanti. Nel 2012, avevano bloccato il casello autostradale di Mussomeli per protestare contro l’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes.
Il 24 novembre, il prefetto della Dordogna ha ordinato una perquisizione in una fattoria del Périgor. La polizia cercava “persone, armi o oggetti che possono essere collegati ad attività terroristiche” ma, tra le 1233 perquisizioni amministrative condotte finora in Francia in questi giorni, gli abusi cominciano ad accumularsi.
L’azienda di Elodie e Julien, a metà strada tra Perigueux e Angouleme, è indicata in un opuscolo dell’ufficio turistico al capitolo “Vendita diretta di frutta e verdura”, Martedì mattina alle 7 del mattino del 20, dalla sua camera con vista sul retro della casa, un amico ospitato dalla coppia ha sentito porte che sbattevano, si vedeva la luce delle torce. “Quando siamo scesi, la polizia era già in cucina”, dice Elodie, 36 anni. Non sa se l’amico “ha aperto o se sono entrati loro”, in ogni caso “la porta era aperta.” Prima che lei e il suo compagno Julien, 34enne, davanti a loro si sono schierati una decina di gendarmi venuti da Nontron Ribérac e Verteillac.
I coltivatori chiedono spiegazioni, la polizia invoca lo stato di emergenza e mostra loro un mandato di perquisizione firmato dal prefetto Christophe Bay. Secondo il documento, facendo riferimento agli attacchi del 13 novembre e per “la gravità della minaccia terroristica sul territorio nazionale”, “ci sono serie ragioni per ritenere” che da loro “si potrebbero trovare persone, armi o oggetti collegati ad attività terroristiche”. “Cosa si aspettavano, delle bombe camuffate da verdura?”, ha provato a scherzare Elodie dopo lo spavento. Trasferiti da tre anni e mezzo in Dordogna, Julien e la sua ragazza hanno una figlia di due anni, vendono verdure di stagione al mercato del sabato.
Per quasi tre ore, la polizia ha perquisito ogni stanza guardando “in armadi, cassapanche, biblioteca, angoli, scatole”, ha raccontato Elodie. Sembravano “molto interessati a piccoli taccuini, ritagli di giornale, ai libri gli interessavano meno. “Ci hanno chiesto del G8, dei vertici dell’UE, delle proteste per l’ambiente, citando anche la COP 21. Ovviamente, la ricerca ha a che fare con il nostro attivismo”. Questa impressione è confermata quando la polizia finalmente ha evocato “una cosa tangibile”, un’azione a cui Elodie e Julien hanno partecipato tre anni fa contro l’aeroporto a Notre-Dame-des-Landes, bloccando l’uscita autostradale Mussidan. Come in Val Susa, gli ambientalisti stanno presidiando da anni l’area per impedire la grande opera. L’anno scorso, durante una manifestazione, la polizia ha ucciso un manifestante. Il poliziotto più zelante ha spiegato agli abitanti della fattoria che, con lo stato di emergenza, ogni incontro pubblico è vietato, e che l’organizzazione di un evento è illegal. Elodie ha chiesto: “Se si trovasse una carta che dimostra che sto organizzando un evento, mi arrestereste?”La risposta dell’agente è stata affermativa sì. Ma non hanno trovato niente del genere”.
I computer in casa sono stati connessi a un dispositivo che sembrava un hard disc esterno, a quanto pare per copiare il contenuto, senza nemmeno bisogno di chiedere per le password. Hanno anche collegati i telefoni cellulari ad una macchina, spiegando che il software viene attivato sulla base di parole chiave.
Quando gli occhi dell’agente trovano sugli adesivi della CNT, la polizia chiede di cosa si tratta. “Questo è il mio sindacato”, risponde Elodie. Anche l’amico ospitato verrà perquisito. L’agricoltura non sembra suscitare la loro curiosità. La conversazione prende una piega più preoccupante quando la polizia vede scritto “Bruxelles” in un taccuino e sulla carta d’identità di Julien, che ha lavorato in Belgio, dove ha ancora amici. Vogliono sapere se la coppia ci va spesso. Questo segno di agitazione febbrile infastidisce Elodie: “Di cosa stiamo parlando? Si parla di estrema sinistra e improvvisamente si intende che siamo gli islamisti? Non sappiamo che cosa cercavano. Per tutta risposta, l’agente ci esortava a vedersela con il prefetto, stiamo eseguendo gli ordini, diceva”.
Come molti attivisti, i due agricoltori temono le conseguenze di uno stato di emergenza.
La prefettura (il prefetto è considerato un duro), contattata da Bastamag, si rifiuta di commentare questo caso particolare. “Stiamo preparando un comunicato stampa per la fine della settimana sul numero di ricerche amministrative, ma nient’altro”. Lunedi scorso, il primo rapporto era stato reso pubblico: 26 perquisizioni amministrative in Dordogna dopo l’entrata in vigore dello stato di emergenza, tra la notte del 13 novembre e il 14. Una raccolta di armi detenute illegalmente, è stata consegnata alla polizia e distrutta.
Sul territorio francese, ci sono stati 1233 perquisizioni, 165 arresti, 142 custodie cautelari, e il sequestro di 230 armi. Un certo numero di abusi e stranezze stato denunciato: per esempio, una bambina di sei anni ferito a Nizza, un TGV sfollato per un film d’azione, un trombettiere trattenuto senza motivo alla Gare du Nord di Parigi, un ristorante perquisito dalla polizia durante l’orario di apertura.
Il ministro dell’Interno ha promesso che avrebbe inviato una circolare a tutti i prefetti in modo che queste indagini da stato di emergenza, siano fatte in conformità con la legge. Certo è che se nessuno impedisce ai prefetti di fare in modo che diritti siano rispettati.
da popoffquotidiano.it

sabato 28 novembre 2015

ZERO DIFFERENZE TRA L'ISIS E IL KU KLUX KLAN

La notizia della sparatoria di ieri sera a Colorado Springs che ha provocato al momento tre morti e nove feriti,è riuscita lo stesso a trapelare nei notiziari nonostante il monopolio Isis,salvo accorgersi col passare delle ore che si tratta di un atto terroristico ma compiuto da un fondamentalista cristiano di destra appartenente al Ku Klux Klan.
Vedremo nelle prossime edizioni se le news sul tema s'intensificheranno oppure scemeranno in proporzione alla religione d'appartenenza del killer,e vedremo pure se ci saranno le piazze piene di cattolici che manifesteranno il loro dissociarsi da questo atto terroristico.
La clinica dove Robert Lewis Dear si era asserragliato praticava anche degli aborti ed è stato questo il motivo trainante della strage che ha coinvolto mortalmente un poliziotto e due civili:non è il primo caso di attacchi a cliniche o a singoli medici che praticano gli aborti in Usa,dov'è presente da sempre una frangia di estrema destra di stampo nazista che parandosi il culo con la religione cattolica terrorizza la gente,soprattutto se ha una carnagione scura.
Articolo preso da Repubblica(http://www.repubblica.it/esteri/2015/11/27/news/colorado_uomo_armato-128314774/ ).

Spari a Colorado Springs: tre morti, nove feriti, 150 persone bloccate per ore. Preso il killer.

Un uomo armato si era barricato nella clinica della Planned Parenthood specializzata in controlli delle nascite. Assalto della polizia, catturato. Forse è un militante dell'estremismo fondamentalista di destra, probabilmente legato al Ku Klux Klan

Denver-Tre vittime, un poliziotto e due civili, 9 persone ferite, tra cui 5 agenti di polizia: è il tragico bilancio dell'attacco di un uomo, armato di fucile automatico, all'interno della clinica Planned Parenthood di Colorado Springs (a un centinaio di chilometri da Denver), specializzata in controlli delle nascite. Per ore, oltre 150 persone sono rimaste bloccate all'interno della clinica, dove l'uomo, probabilmente un estremista di destra, si era asserragliato, sparando contro gli agenti di polizia che avevano circondato la zona. Gli agenti sono riusciti a mettere in salvo le persone chiuse all'interno, facendole uscire attraverso zone protette, poi hanno dato l'assalto  alla stanza dove l'omicida si era asserragliato, riuscendo ad arrestarlo.

Secondo quanto riferito dalle forze dell'ordine, l'uomo ha agito con un'arma di grosso calibro, forse un Kalashnikov. Il killer, un bianco di nome Robert Lewis Dear, 57 anni, armato di kalashnikov ha fatto irruzione nell'edifico sparando all'impazzata e poi ha preso in ostaggio diverse persone. Si è arreso alla polizia dopo cinque ore in cui ci sono stati anche diversi conflitti a fuoco tra il killer e gli agenti. Ancora non sono state accertate le ragioni del suo gesto. Ha portato con sè nell'edificio "alcuni oggetti in diversi borsoni" la cui natura non è stata ancora accertata. Secondo fonti locali si tratterebbe di un estremista della destra fondamentalista, forse appartenente al Ku Klux Klan.

Le autorità locali hanno precisato che l'uomo è stato catturato vivo. "La situazione è risolta, non ci sono pericoli per i cittadini di Colorado Springs", ha detto il sindaco della città in conferenza stampa. Più tardi, però, il procuratore generale di Colorado Springs ha dato la tragica conferma su Twitter: nell'assalto compiuto dall'uomo, un'agente di polizia è rimasto ucciso. Non era ancora accertato se c'erano state altre vittime, come riferito dai media locali che parlavano di almeno due morti: oltre all'agente, anche un dipendente della clinica. La certezza della morte di un agente è stata data dal sindacato di polizia, mentre il procuratore generale, che prima aveva twittato indicando in due le vittime, ha poi rettificato scrivendo di "una vita perduta". Più tardi, la tragica conferma: l'uomo aveva ucciso, oltre al poliziotto, anche due dipendenti della clinica. Ulteriore conferma l'ha data il sindaco della cittadina, John Suthers: "Abbiamo perso due civili e piangiamo la perdita di un agente molto coraggioso". Non si conoscono ancora le condizioni di tutti i feriti - almeno alcuni però sarebbero fuori pericolo - e la polizia sta setacciando la clinica alla ricerca di ordigni e, forse, di altre vittime. Gli artificieri stanno accertando l'eventuale presenza di esplosivi in un'auto sospetta parcheggiata davanti la clinica.
La zona intorno al centro è stata isolata e l'allerta è durata molte ore. La polizia aveva chiesto ai residenti di evitare la zona di Centennial Boulevard e di West Fillmore Street.

L'aggressore è stato localizzato grazie alle telecamere di sorveglianza. La paura ha però dominato a lungo, nonostante la massiccia presenza delle forze dell'ordine sul posto fin da subito, appena segnalata poco prima di mezzogiorno ora locale la presenza di un uomo armato nel cuore di una zona commerciale particolarmente trafficata per il Black Friday, il giorno dei saldi. E mentre la neve cominciava a fioccare copiosa la situazione veniva descritta come ancora "attiva" ore dopo con spari continui.

Ad accrescere ancora la tensione la natura del luogo al centro dell'assedio: si tratta di una sede del programma noto come 'Planned Parenthood', di fatto una struttura medica dedicata alla pianificazione familiare e che e' spesso bersaglio delle critiche di movimento 'pro vita', in quanto pratica aborti. E' anche regolarmente al centro di accesi scontri tra esponenti politici, tra chi difende la validità del programma e chi lo addita come illegittimo, tra questi ultimi principalmente conservatori repubblicani.

Un tema ricorrente anche nei dibattiti tra i candidati nella corsa per la Casa Bianca in vista per le presidenziali 2016, con la democratica Hillary Clinton che ha sempre risposto difendendo a spada tratta Planned Parenthood e gli strumenti che fornisce.

Appena dato l'allarme la zona era stata dichiarata "non sicura", facendo scattare una sorta di 'evacuazione', con diverse persone costrette ad asserragliarsi nei vicini esercizi commerciali, invitate dalla polizia a rimanere lontane dalle finestre. Da subito tuttavia le informazioni sono risultate frammentarie e anche contraddittorie. Ad un certo punto fonti di polizia avevano anche riferito che l'individuo armato era stato "contenuto" dando l'impressione che la situazione fosse sotto controllo. Salvo poi cambiare versione e confermare di non aver precisamente localizzato l'uomo e che vi erano ancora sparatorie in corso.

Si è parlato anche a più riprese di ostaggi, un elemento sul quale però la polizia non ha voluto o potuto dare conferme. Così come non ha per tutto il tempo rivelato l'identità dell'uomo, a parte riferire che imbracciava un'arma a canna lunga e nonostante sui social network si moltiplicassero descrizioni con riferimento ad un uomo bianco vestito con un impermeabile. Durante l'assedio il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è stato tenuto informato, ha riferito la Casa Bianca.

Nel corso degli anni in tutti gli Usa il tema degli aborti è diventato uno dei più caldi. La clinica di Colorado Springs è stata teatro di proteste e l'attuale edificio era stato trasformato in una sorta di "fortezza", riferiscono testimoni locali, protetto da guardie ma non sufficienti a fermare quest'uomo. Ad agosto l'ultima manifestazione davanti la clinica con centinaia di persone che hanno picchettato la struttura. Dal 1977 almeno 8 dipendenti di cliniche in cui si praticavano aborti sono stati uccisi negli Usa.

venerdì 27 novembre 2015

DOMANI CORTEO ANTIFASCISTA E ANTIRAZZISTA A CREMA

Domani a Crema ci sarà un corteo antifascista e antirazzista che partirà da Piazza Garibaldi dopo le 15 a dimostrazione che le nuove generazioni cremasche stanno crescendo bene nonostante rigurgiti fascisti che ogni tanto colpiscono la cittadina ma in maniera più lieve rispetto ad altre realtà lombarde.
Ma questo non deve farci smettere di vigilare e di stare all'erta perché i ratti di fogna colpiscono all'improvviso e di notte in maniera particolare,e quindi la presenza antifascista dev'essere sempre costante.
Allego un post preso da ecn.org che parla dell'azione del"gruppo culturale"(bisognerebbe fare un giro di vite su queste associazioni che con la cultura non hanno proprio nulla da spartire)Veneto Fronte Skinheads che l'altra notte hanno fatto baldoria e attaccato sedi della Caritas e del Pd in varie località del nord ma non a Crema come riportato erroneamente da molte fonti.
Vfs aveva agito a Crema,sempre durante le ore piccole,a luglio e a dicembre dello scorso anno prima alla Caritas e poi alla Cgil con le solite scritte ignoranti su migranti di stampo xenofobo(vedi:http://www.cremaonline.it/cronaca/22-07-2014_Crema,+alla+Caritas+azione+del+Veneto+Fronte+Skinheads/ e http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2014/12/contro-ogni-nazifascimoora-e-per-sempre.html )che hanno fatto solo del male e pubblicità negativa a questo gruppo che alla fine non lo caga più nessuno un po' come Fogna Nuova che sta cedendo lo scettro di gruppo più demente e razzista ai fognaioli di Caga Povnd.

Lombardia, blitz degli skinheads in 10 sedi Caritas: "Aiutano le orde di immigrati".

Sagome tricolori di morti e manifesti funebri contro lo ius soli. L'azione fascista a Como, Brescia, Crema, Lodi, Reggio Emilia-Guastalla, Piacenza-Bobbio, Trento, Mestre, Vicenza e Treviso

26 novembre 2015

Minacce e provocazioni xenofobe contro la Caritas in 10 diocesi del nord Italia per il lavoro di accoglienza e integrazione che svolge. Sagome tricolori di morti e manifesti funebri contro lo ius soli che condannano "il favoreggiamento di un'invasione pianificata di orde di immigrati extracomunitari" sono state postate dagli estremisti di Veneto Fronte Skinheads anche di fronte alcune sedi del Pd.

L'azione intimidatoria dei fascisti è stata condotta contro le sedi della Caritas diocesane di Como, Brescia, Crema, Lodi, Reggio Emilia-Guastalla, Piacenza-Bobbio, Trento, Mestre, Vicenza e Treviso. La notizia è resa nota da Avvenire. La rivendicazione è stata pubblicata sul sito del gruppo in un comunicato intitolato 'Guerra ai nemici della nostra terra'.

L'azione è stata condannata da più parti, primo fra tutti il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio che ha parlato, in particolare dell'azione contro la Caritas di Reggio Emilia, città di cui è stato sindaco: "Indegno atto di squadrismo. La violenza non sconfigge la solidarietà".

http://milano.repubblica.it/cronaca/2015/11/26/news/skinheads-128186914/

giovedì 26 novembre 2015

LA GUERRA ISIS SOTTO ALTRI PUNTI DI VISTA

Carta di Laura Canali sull'estensione attuale dello Stato Islamico
L'articolo preso da Limes(http://www.limesonline.com/parigi-il-branco-di-lupi-lo-stato-islamico-e-quello-che-possiamo-fare/87990 ),rivista on line sulla geopolitica,traccia una linea diversa da quelle discusse e a volte urlate nei giorni scorsi in televisione,raccontando la guerra dell'Isis sotto un'altra luce.
Partendo dal presupposto che gli ultimi attentati e tentativi di attacchi che hanno interessato sia l'Europa ma anche il Medio Oriente e l'Africa,con toni e coperture diverse,sono stati scatenati da quando Daesh è in netta difficoltà nella zona dell'autoproclamato califfato,c'è da aggiungere che questa guerra è nata e combattuta soprattutto da islamici e che le principali vittime sono seguaci di Maometto.
Così come in tempi passati ci si ammazzava tra cristiani,cattolici,protestanti,catari e altro,anche nell'Islam non c'è un'unica linea di fede,e mi limito a fare solamente la distinzione tra sunniti e sciiti,con altre decine di sfaccettature all'interno e all'esterno di queste due branche numericamente più importanti.
Poi l'articolo parla d'altro sempre a riguardo dell'argomento,spaziando tra l'intervento militare in Siria al ruolo che la Russia e la Nato hanno nel conflitto arrivando al paragone e alcuni parallelismi tra l'Isis e Al-Qaeda.

Parigi: il branco di lupi, lo Stato Islamico e quello che possiamo fare.

Dopo il lutto e la condanna della barbarie per gli attentati del 13 novembre, ricordiamoci che il vero protagonista del conflitto che stiamo vivendo non è l’Occidente ma il mondo islamico. Le nostre priorità: rimanere in Medio Oriente e spegnere la guerra di Siria.
         
Di fronte alla strage di Parigi, il primo atteggiamento giusto è dolore e lutto per le vittime assieme a tutta la nostra solidarietà e commozione per un paese fratello e una città simbolo della convivenza e dei valori europei.

Subito dopo, è opportuna la più totale e ferma condanna per tali barbari attentati che nulla può – nemmeno indirettamente – giustificare.

È indispensabile essere uniti nel ripudio assoluto del jihadismo e del terrorismo islamico contemporanei, chiedendo a tutti, musulmani inclusi, di far propria una incondizionata e radicale riprovazione.

Infine occorre mettere in campo tutta l’intelligenza, la lucidità e la calma possibili, al fine di capire ciò che sta accedendo per trovare le misure adeguate. È da irresponsabili mettersi a gridare o agitarsi senza criterio: occorre prima pensare e comprendere bene. Se i barbari sono tra noi, c’è un’origine di tale vicenda, una sua evoluzione e – speriamo presto – un rimedio.

Siamo in guerra? La guerra certo esiste, ma principalmente non è la nostra. È quella che i musulmani stanno facendosi tra loro, da molto tempo. Siamo davanti a una sfida sanguinosa che risale agli anni Ottanta tra concezioni radicalmente diverse dell’islam. Una sfida intrecciata agli interessi egemonici incarnati da varie potenze musulmane (Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Iran, paesi del Golfo ecc.), nel quadro geopolitico della globalizzazione che ha rimesso la storia in movimento.

Si tratta di una guerra intra-islamica senza quartiere, che si svolge su terreni diversi e in cui sorgono ogni giorno nuovi e sempre più terribili mostri: dal Gia algerino degli anni Novanta alla Jihad islamica egiziana, fino ad al-Qaida e Daesh (Stato Islamico, Is). Igor Man li chiamava “la peste del nostro secolo”.

In questa guerra, noi europei e occidentali non siamo i protagonisti primari; è il nostro narcisismo che ci porta a pensarci sempre al centro di tutto. Sono altri i veri protagonisti.

L’obiettivo degli attentati di Parigi è quello di terrorizzarci per spingerci fuori dal Medio Oriente, che rappresenta la vera posta in gioco. Si tratta di una sorta di “guerra dei Trent’anni islamica”, in cui siamo coinvolti a causa della nostra (antica) presenza in quelle aree e dei nostri stessi interessi. L’ideologia di Daesh è sempre stata chiara su questo punto: creare uno Stato laddove gli Stati precedenti sono stati creati dagli stranieri quindi sono “impuri”.

L’Is sta combattendo un conflitto per il potere legittimandosi con l’arma della “vera religione”. Concorre ad affermarsi presso la Umma musulmana (la “casa dell’islam”, che include le comunità musulmane all’estero) quale unico vero e legittimo rappresentante dell’Islam contemporaneo. Questo nel linguaggio islamico si chiama fitna: una scissione, uno scisma nel mondo islamico. Per capirci: una guerra politica nella religione, che manipola i segni della religione, così come i nazisti usavano segni pagani mescolati a finzioni cristiane. Infatti l’Is, come al-Qaida, uccide soprattutto musulmani e attacca chiunque si intromette in tale conflitto.

Per chi ha la memoria corta: al-Qaida chiedeva la cacciata delle basi Usa dall’Arabia Saudita e puntava a prendersi quello Stato (o alternativamente il Sudan e poi l’Afghanistan in combutta coi talebani). Daesh pretende di più: conquistare “cuori e menti” della Umma; esigere la fine di ogni coinvolgimento occidentale e russo in Siria e Iraq; creare un nuovo Stato laddove esisteva l’antico califfato: la Mesopotamia.

Geopoliticamente c’è una novità: al-Qaida si muoveva in una situazione in cui gli Stati erano ancora relativamente forti; l’Is approfitta della loro fragilità nel mondo liquido, in cui saltano le frontiere. In sintesi: non esiste lo scontro tra civiltà ma c’è uno scontro dentro una civiltà, in corso da molto tempo. Per utilizzare un linguaggio da web: oggi nella Umma il potere è contendibile.

A partire da tale fatto incontestabile, due questioni si impongono all’Occidente e alla Russia.

La prima è esterna e riguarda la presenza (politica, economica e militare) in Medio Oriente: se e come starci. La seconda è interna: come difendere le nostre democrazie, basate sulla convivenza tra diversi, allorquando i musulmani qui residenti sono coinvolti in tale brutale contesa? Come preservare la nostra civiltà dai turbamenti violenti della civiltà vicina? Se ci limitiamo a perdere la testa, invocando vendetta senza capire il contesto, infilandoci senza riflessione sempre di più nel pantano mediorientale e utilizzando lo stesso linguaggio bellicoso dei terroristi, non facciamo niente di buono. Potremmo anzi concedere allo Stato Islamico la resa del “nostro” modello di convivenza, per entrare nel “loro” clima di guerra.

Occorre innanzitutto proteggere la nostra convivenza interna e la qualità della nostra democrazia. Serve più intelligence e una maggiore opera di contrasto coordinata tra polizie, soprattutto nell’ambito delle collettività immigrate di origine arabo-islamiche, che rappresentano un’importante posta in gioco del terrorismo islamico. Da notare anche che tali attentati si moltiplicano proprio mentre lo Stato Islamico perde terreno in Siria. Contemporaneamente occorre conservare il nostro clima sociale il più sereno possibile. Mantenere la calma significa non cedere ai richiami dell’odio che bramerebbero vendetta, che per rancore trasformerebbero le nostre città in ghetti contrapposti, seminando cultura del disprezzo e inimicizia. Le immagini del britannico che spinge la ragazza velata sotto la metro di Londra fanno il gioco di Daesh.

Sarebbe da apprendisti stregoni incoscienti rendere incandescente il nostro clima sociale, provocare risentimenti eccetera. Così regaliamo il controllo delle comunità islamiche occidentali ai terroristi, cedendo alla loro logica dell’odio proprio in casa nostra. Per dirla col linguaggio politico italiano: mostrarci più forti del loro odio non è buonismo complice, è parte della sfida. Il “cattivismo” diventa invece oggettivamente complice perché appunto fa il gioco dello Stato Islamico.

In secondo luogo, dobbiamo darci una politica comune sulla guerra di Siria, vero crogiuolo dove si formano i terroristi. Imporre la tregua e il negoziato è una priorità strategica. Solo la fine di quel conflitto potrà aiutarci. Aggiungere guerra a guerra produce solo effetti devastanti, come pensa papa Francesco sulla Siria. Finora abbiamo commesso molti errori: l’Occidente si è diviso, alcuni governi si sono schierati, altri hanno silenziosamente fornito armi, altri ancora hanno avuto atteggiamenti ondivaghi, non si è parlato con una sola voce agli Stati vicini a Siria e Iraq eccetera.

L’Italia ha dichiarato da oltre due anni che Iran (ricordate ciò che disse Emma Bonino prima di Ginevra II?) e Russia (ricordate le accuse a Federica Mogherini di essere filorussa?) andavano coinvolti nella soluzione. Matteo Renzi l’ha più volte ripetuto, facendone una politica. In parlamento se n’è dibattuto. Non siamo stati ascoltati, almeno finora. Tuttavia (finalmente!) le riunioni di Vienna con Russia e Iran possono far ben sperare: oggi tutti ci danno ragione. Meglio tardi che mai: il governo italiano è totalmente impegnato nella riuscita di un reale accordo.

Nel nostro paese ci sono stati anche paralleli sforzi di pace e dialogo: dalle riunioni di Sant’Egidio con l’opposizione siriana non violenta, all’appello per Aleppo di Andrea Riccardi, all’ascolto dei leader cristiani di quell’area. La fine della guerra in Siria (e nell’immediato il suo contenimento) è il vero modo per togliere acqua al pesce terrorista. Senza zone fuori controllo ove prosperare, il jihadismo perderebbe la maschera.

In terzo luogo, dobbiamo occuparci con urgenza del resto del quadro geopolitico mediterraneo: la Libia, che è per noi prioritaria (e in cui almeno si è frenato il conflitto armato mediante l’embargo delle armi); lo Yemen; la stabilizzazione dell’Iraq; le fragilità di Libano, Egitto e Tunisia…

Anche se tali crisi sono in parte legate, vanno assolutamente tenute distinte. L’Is vorrebbe invece saldarle in un unico enorme conflitto (la sua propaganda è chiara), allo scopo di mostrarsi più potente di quello che è. In tale impegno occorrono alleanze forti con gli Stati islamici cosiddetti moderati: un modo per trattenere anche loro dal cadere (o essere trascinati) nella trappola del jihadismo che li vuole portare sul proprio terreno. Ogni conflitto mediorientale e mediterraneo ha una propria via di composizione e occorre fare lo sforzo di compiere tale lavoro simultaneamente. In altre parole: restare in Medio Oriente comporta un impegno politico a vasto raggio e continuo.

È prioritario entrare dentro la spirale dei foreign fighters per prosciugarne le fonti. Ho recentemente scritto un libro su tale fenomeno. Qui aggiungo solo che non sarei sorpreso che tra gli attentatori di Parigi ci fossero vecchie conoscenze della polizia francese. Esistono antiche filiere degli anni Novanta, mai del tutto distrutte, che si riattivano in appoggio a chi pare egemone sul campo. Qualcuno può essere un combattente straniero di ritorno: il problema è capire la genesi del fenomeno. Ma non ce ne sarebbe nemmeno tanto bisogno: attentati di questo tipo possono essere compiuti da chiunque.

Si è parlato di lupi solitari; qui siamo in presenza di un branco. Un ristorante, una trattoria, uno stadio, una sala di concerti non rappresentano reali obiettivi sensibili, segno che non occorre particolare addestramento. Sorprende piuttosto che dispongano di armi da guerra, non così facili da reperire in Francia. In Italia sappiamo che le mafie ne sono provviste ma anche molto gelose. Combattere il fenomeno foreign fighters corrisponde a coinvolgere le comunità islamiche e non spingerle verso l’uscita.

Tutto ciò va fatto contemporaneamente. Gridare “siamo in guerra!” senza capire quale sia questa guerra, invocando irresponsabili atti di vendetta e reazioni armate, ci fa cadere nell’imboscata jihadista. Proprio lì lo Stato Islamico vuole portarci, per mettere le mani sull’islam europeo ma soprattutto su quello mediorientale. Vuole dividere il terreno in due schieramenti contrapposti, giocando sul fatto che per riflesso i musulmani saranno fatalmente attirati dalla sua parte.

Per tale motivo la propaganda dell’Is (come quella di al-Qaeda prima) tira continuamente in ballo l’Occidente: in realtà sta parlando alla Umma islamica per farla reagire. Intraprendere tutto ciò non è facile ma necessario.

Contenere e spegnere la guerra di Siria è il solo modo per prosciugare il lago terrorista. Sarà operazione lunga e complessa, ci saranno altri attentati, ma è una strada vincente alla lunga. Certo si tratta di far dialogare nemici acerrimi, di dare un posto a tavola a gente che non ci piace (Assad e i suoi) o a formazioni ribelli ambigue, ma è l’unico modo.

Andare in Siria in ordine sparso è al contrario la via per compiacere Daesh e i suoi strateghi: un Occidente e una Russia divisi su tutto favoriscono chi sta creando uno “Stato” alternativo. Si tratta di una vecchia lezione della storia.

L’operazione militare europea diretta, boots on the ground, è dunque necessaria? Non sembra, e comunque non ora: sarebbe andare allo sbaraglio. Ciò di cui abbiamo urgente bisogno è che ribelli siriani e milizie di Assad – assieme ai rispettivi alleati – capiscano che il nemico comune esiste, si siedano e parlino. Lo Stato Islamico furbescamente si presenta alla Umma come “diverso”: non alleato con nessuno, patriottico, anti-neocolonialista, no-global, non inquinato da interessi stranieri e puramente islamico, duro ma nazionale (nel senso che patria e nazione hanno per l’islam politico). In questo modo mette a repentaglio la sopravvivenza e gli interessi di tutti: dell’Occidente, della Russia, di Assad, dei ribelli, dei curdi e delle altre minoranze. Gli unici ad averlo apparentemente capito sono i curdi: c’è un solo nemico comune, sorto nel vuoto di potere. Il negoziato parte da questa consapevolezza e per questo deve coinvolgere anche russi e iraniani.

L’obiettivo minimo è una tregua immediata; quello massimo un patto per il futuro della Siria. Solo a queste condizioni si potrà mettere in piedi un’operazione internazionale di terra, che miri a stabilizzare il paese e a mettere l’Is spalle al muro. Solo così si potrà svelare cos’è veramente l’Is: una cricca di ex militari iracheni e fanatici jihadisti che vengono dal passato e che hanno approfittato delle nostre divisioni.

Il vuoto della politica, si sa, genera mostri. A meno – sarebbe l’altra soluzione – di non lasciare tutto e ritirarsi. Andarcene totalmente dal Medio Oriente, rinunciare tutti a ogni interesse e presenza, abbandonare i mediorientali al loro dramma. Qualcuno lo pensa, qualcuno lo dice.

Se ce ne andassimo dal Medio Oriente, gli attentati in Europa smetterebbero subito, probabilmente. D’altro canto le vittime in quella regione sarebbero ancora maggiori.

Lasceremmo il lago jihadista diventare un mare. E questa non è un’opzione.

mercoledì 25 novembre 2015

LA TURCHIA ESCE ALLO SCOPERTO

Se ce ne fosse ancora la conferma ecco un altro tassello per non avere nessun dubbio sul vero ruolo,coperto ormai senza più nessun alibi dagli Usa che addirittura parlano al posto di Erdogan,che la Turchia ricopre nella lotta contro l'Isis,che è quello di esserle al suo fianco.
L'abbattimento del jet russo avvenuto nei pressi del confine turco con la Siria,col relativo scambio di accuse di avere o no varcato la soglia,e la successiva esecuzione dei militari avvenuta addirittura ancora in cielo mentre si erano paracadutati(anche se forse un soldato risulterebbe ancora disperso)è avvenuto da parte dell'esercito turco che ha sparato da un proprio jet dei missili aria-aria.
Mentre a dare il colpo di grazia sono stati i ribelli anti Assad direttamente da terra in un atto che ha fatto arrabbiare molto Putin e i principali vertici russi ormai pronti ad attaccare direttamente la Turchia per poter riuscire a debellare le milizie Daesh in Siria e nelle zone limitrofe.
Un gesto che ora potrebbe cambiare seriamente gli equilibri in campo e riuscire a condannare definitivamente la Turchia che da un lato vuole entrare in Europa e dall'altro finanzia l'esercito estremista islamico,con gli Stati Uniti a coprigli le spalle con una coperta che sta diventando sempre più corta.
Articolo di Infoaut(http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/15978-erdogan-sfida-putin-abbattuto-jet-russo ).

Erdogan sfida Putin: abbattuto jet russo.

Mosca conferma ma ribatte: non stavamo violando lo spazio aereo turco. Tensioni alle stelle tra i due paesi: il premier turco Davutoglu contatta la Nato
AGGIORNAMENTI

ore 16:50 Tusk, presidente Ue: “Tutti dovrebbero restare calmi”

Il presidente dell’Unione Europea (Eu) Donal Tusk ha invitato alla calma Russia e Turchia dopo i fatti di stamane. “In questo momento pericoloso per l’abbattimento del jet russo, tutti dovrebbero restare razionali” ha twittato l’ex primo ministro polacco. Sulla stessa lunghezza d’onda la rappresentante degli Esteri dell’Ue Federica Mogherini che ha anche riferito di aver parlato con Jens Stoltenberg il capo dell’Alleanza Atlantica (Nato) di cui Ankara è membro.
La Commissione europea, il braccio esecutivo delle 28 nazioni della Ue, ha detto che “sta seguendo gli avvenimenti da vicino cercando di capire cosa esattamente è accaduto”.

La Ue deve incontrare la Turchia il prossimo 29 novembre a Bruxelles per cercare di raggiungere una intesa sulla questione migranti. L’Europa, infatti, ritiene Ankara un alleato indispensabile per porre fine alla “crisi dei rifugiati” nel Vecchio continente. L’Unione Europea, inoltre, dovrà decidere a dicembre se mantenere o meno le sanzioni contro Mosca per il suo coinvolgimento nel conflitto ucraino.

Intanto emergono nuovi dettagli su quanto è accaduto stamattina. Un vice comandante di un brigata turkmena ha riferito che sono stati i suoi uomini ad aver ucciso i due piloti russi mentre questi scendevano con il paracadute. “Entrambi i piloti sono stati ritrovati morti. I nostri commilitoni hanno aperto il fuoco in aria e [i due] sono morti in aria [mentre scendevano con il paracadute, ndr]” ha affermato Alpaslan Celik citato dalla Reuters.

ore 16:00    Il ministro degli Esteri russo Lavrov annulla vertice previsto per domani in Turchia

In seguito all’abbattimento del jet militare russo da parte di Ankara, il ministro degli Esteri russo Lavrov ha annunciato poco fa di aver annullato il viaggio in Turchia programmato per domani. Lavrov ha invitato i suoi connazionali a non visitare la Turchia perché, ha dichiarato, la minaccia terroristica è elevata come in Egitto. Due settimane fa nella penisola egiziana del Sinai un aereo di linea russo è stato abbattuto da una bomba piazzata dallo Stato islamico (Is).

Parole durissime le ha espresse anche Vladimir Putin. Incontrando il re giordano Abdullah II, il presidente russo ha detto che la decisione di Ankara di abbattere l’aereo da guerra russo è una “pugnalata alle spalle dei complici dei terroristi”. Putin ha poi aggiunto che l’incidente avrà “conseguenze significative” per ciò che concerne le relazioni tra il suo Paese e la Turchia e ha attaccato Ankara per essersi rivolta alla Nato e non a Mosca per spiegare quanto è accaduto.

Respinge qualunque tipo di accusa il primo ministro turco Ahmet Davutoglu. Il premier si è difeso affermando che il suo Paese ha il diritto “di prendere tutte le misure” contro le violazioni al confine “in base alle leggi internazionali” e che la protezione del suo territorio è un “dovere nazionale”.

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della redazione

Roma,  24 novembre 2015, Nena News – Questa mattina gli F16 turchi, sembra dietro ordine diretto del presidente Erdogan, hanno abbattuto un jet straniero impegnato nei bombardamenti anti-Isis in Siria, perché avrebbe sconfinato nei cieli turchi. Pochi minuti fa è giunta la conferma di quanto già affermato dai media locali: Mosca ha fatto sapere che il jet abbattuto era russo ed era impegnato nei pressi di Latakia, roccaforte alawita. Ovvero, non stava violando lo spazio aereo turco, condizione – dice il governo russo – che possiamo facilmente dimostrare.

I due piloti hanno avuto il tempo di lanciarsi fuori dal jet con i paracaduti prima che il jet venisse colpito e incendiato. Sono stati poi presi dai soldati turchi. Intanto il premier Davutoglu, che ha reso noto per primo l’abbattimento, ha dato ordine al suo Ministero degli Esteri di contattare subito la Nato per prendere misure in merito. Una mossa non nuova: già all’inizio dell’operazione russa in Siria la Turchia aveva usato il Patto Atlantico per impedire ufficialmente a Mosca di non violare il proprio spazio aereo, ufficiosamente per frenare il sostegno a Damasco.

L’abbattimento infiamma le già accese tensioni tra Ankara e Mosca in merito all’intervento russo in Siria, al fianco del presidente Assad.

martedì 24 novembre 2015

UNA NOTIZIA CHE NON DOVREBBE ESSERE NOTIZIA


Breve cappello ad una notizia che non dovrebbe essere una notizia in quanto il saluto romano fascista è tuttora vietato e punito dalla legge,solo che spesso chi deve giudicare si dimentica di questo fatto oppure lo ritiene di poco spessore o peggio gli è indifferente.
A Milano invece la settimana scorsa non è stato così in quanto sedici ratti di fogna sono stati condannati ad un mese di reclusione e ad una multa per essersi resi del gesto(nella foto qui sopra)durante una commemorazione fascista.
Oltre a questo si è stato deciso anche un risarcimento totale all'Anpi che si era costituita parte civile nel processo(http://www.anpi.it/articoli/1447/il-saluto-romano-e-apologia-del-fascismo-16-condanne-a-milano ).

Il saluto romano è apologia del fascismo: 16 condanne a Milano.

Condannati a un mese di reclusione e a una multa di 250 euro i 16 militanti di estrema destra accusati di violazione della legge Scelba del 1952 per aver compiuto «manifestazioni usuali del disciolto partito fascista» come il saluto romano durante la commemorazione a Milano, nell'aprile 2013, di Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani.
È la prima volta che viene emessa una condanna a Milano per presunta apologia del fascismo.
I giudici della quinta sezione penale del Tribunale hanno anche disposto un risarcimento complessivo di 16 mila euro a favore dell'Anpi, parte civile nel processo.
http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_19/saluto-romano-ricordo-ramelli-condannati-16-militanti-destra-44a42786

lunedì 23 novembre 2015

MACRI E L'ECONOMIA ARGENTINA NELLE MANI USA


L'Argentina ha scelto Macri come Presidente per il prossimo mandato scegliendo di svoltare a destra dopo i dodici anni dei peronisti Kirchner in cui il paese ha riacquistato fiducia dopo una crisi economica tra le più tragiche in tutto il mondo.
Era una sfida tra lui e Daniel Scioli,una sorta di derby di due candidati dalle origini chiaramente italiana con quest'ultimo che partiva con un leggero vantaggio numerico datogli dai risultati del turno elettorale dello scorso ottobre prima del ballottaggio finale.
Come anticipato nell'articolo sotto il neo presidente Mauricio Macri ha già le idee chiare soprattutto in materia economica volendo aderire con convinzione al nuovo progetto Tpp dell'alleanza dei paesi del Pacifico,mettendo nelle mani degli Usa il proprio futuro(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/10/novita-su-tpp-e-ttip.html ).
Articolo preso da Infoaut.

In Argentina la destra vince le presidenziali.

Nel ballottaggio della nazione sudamericana il candidato del partito di destra Cambiemos, Mauricio Macri, ha vinto per quattro punti.

Con il 99,17 per cento dei voti scrutinati, i risultati ufficiali del secondo turno delle elezioni presidenziali in Argentina danno la vittoria a Mauricio Macri, di Cambiemos, con il 51,40 per cento dei voti, mentre il candidato del Fronte per la Vittoria (FPV), Daniel Scioli, prende il 48,60 per cento.

In Argentina la giornata elettorale è trascorsa in modo regolare, con un indice di partecipazione dell’80,89 per cento, ha informato il ministro della Giustizia e dei Diritti Umani dell’Argentina, Julio Alak.

In una intervista per TeleSUR, l’ex vicecancelliere dell’Ecuador, Kintto Lucas, ha precisato che un governo di Mauricio Macri in Argentina andrebbe contro il Mercosur, fatto che pregiudicherebbe l’integrazione dell’America del Sud.

Lucas ha sostenuto che è molto preoccupante, poiché il processo di integrazione può avere un considerevole arretramento. Ha segnalato che è molto probabile che Macri punti su una nuova area di libero commercio, come l’Alleanza del Pacifico. “Questo andrà contro l’Unasur e la Celac”.

Il vincitore del secondo turno elettorale prenderà possesso della carica il prossimo 10 dicembre, dopo dodici anni di governi kirchneristi.

Per queste elezioni più di 32 milioni di elettori sono stati convocati ad esercitare il proprio diritto al voto. Nel primo turno del 25 ottobre, Daniel Scioli ha ottenuto il 36,86 per cento del sostegno, mentre Mauricio Macri lo ha seguito con il 34,3 per cento.

23 novembre 2015

TeleSurTV.net

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca:
su [http://www.telesurtv.net/news/La-derecha-lidera-los-primeros-resultados-presidenciales-Argentina–20150917-0077.html] ultimo accesso 23-11-2015.

domenica 22 novembre 2015

BERGAMO E LA CITTADINANZA ONORARIA A MUSSOLINI

A Bergamo fa discutere l'ipotesi presa dall'Istituto storico per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea(Isrec)di voler togliere dopo novantun'anni la cittadinanza onoraria che la città lombarda diede a Mussolini nel 1924.
Come riportato da BgReport(http://bgreport.org/memoria-responsabilita-assumersi.html )la richiesta non ha nessun carattere di essere esecutiva da subito ed in fretta,ma è ferma e decisa in quanto non si mette in discussione la storia di che cosa il fascismo sia stato in Italia nel ventennio(la rovina)ma a distanza di quasi un secolo c'è ancora evidentemente ha delle remore a togliere questo onore.
A partire dal sindaco Gori che non ne vuole proprio sapere,attaccato non penso all'ideologia fascista ma comunque sensibilizzato su di un tema che come in tutto il paese non è stato ancora digerito e soprattutto evacuato.
Io sono dell'idea di togliere questo che è una macchia per una città che come tutte durante la dittatura fascista e la guerra ha dato un contributo di sangue non indifferente per la Resistenza,perché è vero che la storia non si cancella,e per l'appunto personaggi storici come lo fu il duce non meritano nulla di più di essere ricordati per l'orrore e la desolazione che hanno portato all'Italia.

Memoria: una responsabilità da assumersi.

Bergamo - Continua a scaldare gli animi fuori e dentro la maggioranza la proposta di alcune associazioni e gruppi di revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini. La cittadinanza fu concessa a nome del Comune di Bergamo il 24 maggio del 1924 dal commissario prefettizio Franceschelli. L’ISREC (Istituto storico per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea) fa propria la sensibilità di chi – Rete Aldo dice 26×1, ANPI, Giovani democratici, Comitato Antifascista – ritiene che sia venuto il momento di cancellare questo onore, conferito dalla città di Bergamo al dittatore. Nessuna urgenza, semplicemente la netta presa di posizione di chi non ha alcuna intenzione di cancellare la Storia, anzi si assume l’onere di studiarla e di farla rivivere giorno per giorno anche con scelte come quella di togliere ogni onore a Mussolini.
Non c’è intenzione quindi di occultare fatti storici, ci mancherebbe altro: nessuno può ignorare cosa sia stato il fascismo, con le sue guerre, la violenza, l’annullamento di ogni dissenso, lo scioglimento delle organizzazioni dei lavoratori, le leggi razziali, l’infame colonialismo. E la concessione della cittadinanza onoraria a Mussolini è un fatto storico concreto e incontestabile, esattamente come lo sarebbe il ritirarla. Un fatto storico che esprimerebbe la rinnovata sensibilità antifascista di una città medaglia d’oro alla Resistenza.
Ma l’attualità di questa proposta la si coglie dal susseguirsi delle reazioni che questa semplice proposta ha prodotto. Il Sindaco Gori non ha atteso alcun confronto con la maggioranza per esprimere la sua netta contrarietà alla proposta dell’ISREC. Anticipando i tempi e ipotecando gli esiti di un possibile confronto, dall’alto della sua posizione, Gori confonde la Storia con la memoria. Qualificando come “datata” la richiesta, spende quasi una pagina intera su L’eco di Bergamo per ribadire il suo timore di fronte a possibili “divisioni”. Se il primo cittadino prende atto che  l’onoreficenza è “il prodotto di una situazione storica determinata“, sembra non volersi rendere conto che il non ritirarla sarebbe il prodotto di un’altrettanto determinato contesto storico, in cui persone come lui preferiscono non urtare quelle “sensibilità che continuano infatti a essere ancora diverse“.
Le resistenze del sindaco ci danno la misura di quanto in questo paese sia ancora complicato fare i conti con la memoria del regime fascista. In passato i comuni fecero a gara nell’offrire la cittadinanza onoraria a Mussolini per una sorta di piaggeria da parte degli amministratori. Oggi il Sindaco Gori si rifiuta di assumere una posizione semplice, che si sarebbe potuto dare per scontata. L’atteggiamento che regna è quello dell’ignavia di chi teme di scontentare qualcuno e allora diventano significative le desolanti parole del consigliere Simone Paganoni: revocare l’onoreficenza a Mussolini significherebbe creare un precedente pericoloso… Meglio lasciare le cose come stanno.
E sarebbe bene che il passato , per una volta, riuscisse a passare, ma che la memoria fosse attuale, senza congelarla a 91 anni fa.
Le firme per togliere la cittadinanza onoraria a Mussolini si raccolgono a Bergamo presso l’ISREC, la Kascina Popolare autogestita, il csa Pacì Paciana, il circolo Barrio Campagnola e il circolo Maite, a Romano di Lombardia presso lo Spazio Jurka.

sabato 21 novembre 2015

IL FRONT NATIONAL EMARGINA(PER ORA)BELPIETRO E SALVINI

Doppio contributo che parla sempre del post Parigi a distanza ormai di una settimana dagli attacchi Isis ma che l'asfissia mediatica conseguente fa sembrare almeno a me che siano passati mesi,con un articolo de"Il fatto quotidiano"(http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/20/parigi-front-national-chi-confonde-i-terroristi-con-i-musulmani-e-stronzo-bastardi-islamici-non-si-parla-cosi/2235919/ )e uno scritto,una lettera aperta di Tiziano Terzani alla sua concittadina Oriana Fallaci quando erano entrambi ancora vivi(http://www.kelebekler.com/occ/terzani.htm ).
Tagliando corto sull'ultima citata che da simpatizzante di sinistra divenne una crociata di estrema destra col dente avvelenato,guerrafondaia e sostenitrice delle guerre dei Bush che ci hanno portato a questa situazione,il primo articolo è un'intervista al candidato capolista della regione parigina del Front National Wallerand de Saint-Juste.
Che assieme alla leader Marine Le Pen che ha defenestrato il padre alla guida del partito razzista Fn hanno messo dei freni(e non solo)dando degli stronzi a chi confonde la religione musulmana con i terroristi,proprio loro.
Ragionamento da campagna elettorale e di salvaguardia della propria incolumità verrebbe da pensare,e giudicano appunto da stronzi prime pagine di quotidiani come Libero dell'incapace Belpietro(Bastardi islamici)e dichiarazioni come quelle di Salvini,leader di un partito con cui poi farà sicuramente pace in vista di prossime elezioni europee.
Naturalmente ho citato proprio il Fn non perché voglia passare per uno che quando un partito,che secondo me andrebbe radiato,dice cose che mi stanno bene sto da quella parte(lo cito solo per l'evidente contrasto con uno simile italiano)e quando dice cose che non mi vanno lo sputtano.

Parigi, Front National: “Chi confonde i terroristi con i musulmani è stronzo. ‘Bastardi islamici’? Non si parla così".
 
Wallerand de Saint-Juste è il capolista per il Fn alle prossime elezioni nella regione parigina ed è lui che Marine Le Pen manda avanti a commentare gli attentati del 13 novembre. Vuole il pugno duro ("Basta con il lassismo dello Stato"), chiede che le religioni siano controllate dal potere politico e che gli islamici rispettino la laicità. Ma si dissocia da chi (in Italia) condanna tutta la comunità.
 
C’è chi accusa il Front National di aver alimentato il clima di odio che favorisce il radicalismo islamico.
E’ scandaloso, non è mai successo. Se il nostro partito non esistesse, la situazione sarebbe molto più critica. E’ chiaro che una delle cause principali di questo dramma sono le politiche che porta avanti la Francia da 40 anni. La gestione dei quartieri è fallimentare e il radicalismo islamico è come un pesce nell’acqua.
Secondo voi lo Stato sapeva ma non è intervenuto?Gli attentati di venerdì 13 novembre sono il risultato del lassismo del governo e di politiche complici. Da anni sappiamo che ci sarebbe stato un attacco simile. Questa è l’incompetenza francese: dalla strage di Charlie Hebdo di gennaio l’esecutivo era stato avvertito. E che cosa è stato fatto? Sono stati creati un numero di telefono e un sito internet. Niente di più.
Voi invece cosa proponete?Intanto il commissariamento della banlieue di Saint-Denis. Poi a livello nazionale abbiamo quattro proposte: smettere di armare l’Isis in Siria, espellere tutti gli islamisti radicali che hanno una “fiche S” (potenzialmente pericolosi per la sicurezza dello Stato ndr), chiudere le frontiere e riarmare le forze di sicurezza. La giustizia vuole fare il suo lavoro, ma non ha mezzi.
Rappresentanti della comunità musulmana dicono che chiedere di togliere il velo o chiudere le moschee aumenta la tensione.Quelle persone non sono rappresentative: sono dei radicali. Noi sappiamo che la maggior parte dei membri della comunità non è così. Il burqa è uno dei simboli dello Stato islamico. E i musulmani in Francia sono d’accordo che l’islamismo radicale deve essere combattuto nelle sue espressioni terroriste, comunitariste e di oppressione. Ovvero quelle che si trovano nella maggior parte delle banlieue.
Il fondatore del partito musulmano in Francia dice che laicità significa poter essere liberi di praticare il proprio culto.Anche lui è un radicale. In tutti Paesi il potere politico ha controllo sulle pratiche religiose. Se un prete si mette a fare quello che vuole, viene sanzionato e la chiesa chiusa. Vogliono convincermi che non possiamo farlo con l’Islam? Chi dice così ha una responsabilità diretta nelle morti di venerdì 13 novembre.
I musulmani francesi si lamentano di un clima di diffidenza e discriminazione, voi cosa rispondete?
I musulmani francesi non dicono questo. Sono domande provocatorie.
Conoscete la Lega Nord?
Poco. Siamo due partiti diversi e ognuno fa la sua campagna nel suo Paese. Noi diciamo ai musulmani: voi siete francesi come gli altri e dovete rispettare le regole della laicità, e se farete così tutto andrà meglio. Ma non dobbiamo fare alcuna confusione tra l’Islam radicale dei terroristi e la maggioranza dei musulmani. Quelli che dicono il contrario sono degli stronzi.
Il leader della Lega Nord ha detto che i pacifisti sono complici dei terroristi. Un deputato ha aggiunto: “Chi mi parla dell’Islam moderato lo prendo a calci in culo” e il giornale “Libero” il giorno dopo gli attacchi ha titolato: “Bastardi islamici”.Dichiarazioni simili in Francia? Non sarebbero possibili. Noi politici abbiamo una responsabilità e non possiamo esprimerci così. Nemmeno di fronte agli assassini. Mai. Non vale la pena. E’ chiaro che i giovani in Francia sono pieni di rabbia e gli animi sono molto tesi. Ma la funzione dei partiti è quella di canalizzare questo tipo di sentimento. Noi permettiamo alle persone di esprimersi democraticamente.
Lei è candidato alle prossime Regionali, se viene eletto cosa intende fare per prima cosa?Bisogna riprendere in mano la gestione dei quartieri: bisogna ripartire da zero. Servono almeno 20 anni.
Nella pratica?
Ora devo proprio andare.

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Il sultano e San Francesco.

di Tiziano Terzani

Oriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu sei nata, guardo le lame austere ed eleganti dei cipressi contro il cielo e ti penso a guardare, dalle tue finestre a New York, il panorama dei grattacieli da cui ora mancano le Torri Gemelle. Mi torna in mente un pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa quando assieme facemmo una lunga passeggiata per le stradine di questi nostri colli argentati dagli ulivi. Io mi affacciavo, piccolo, alla professione nella quale tu eri gia' grande e tu proponesti di scambiarci delle "Lettere da due mondi diversi": io dalla Cina dell'immediato dopo-Mao in cui andavo a vivere, tu dall'America. Per colpa mia non lo facemmo. Ma e' in nome di quella tua generosa offerta di allora, e non certo per coinvolgerti ora in una corrispondenza che tutti e due vogliamo evitare, che mi permetto di scriverti. Davvero mai come ora, pur vivendo sullo stesso pianeta, ho l'impressione di stare in un mondo assolutamente diverso dal tuo. Ti scrivo anche - e pubblicamente per questo - per non far sentire troppo soli quei lettori che forse, come me, sono rimasti sbigottiti dalle tue invettive, quasi come dal crollo delle due Torri. La' morivano migliaia di persone e con loro il nostro senso di sicurezza; nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana - la ragione; il meglio del cuore - la compassione. Il tuo sfogo mi ha colpito, ferito e mi ha fatto pensare a Karl Kraus. "Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia", scrisse, disperato dal fatto che, dinanzi all'indicibile orrore della Prima Guerra Mondiale, alla gente non si fosse paralizzata la lingua. Al contrario, gli si era sciolta, creando tutto attorno un assurdo e confondente chiacchierio. Tacere per Kraus significava riprendere fiato, cercare le parole giuste, riflettere prima di esprimersi. Lui uso' di quel consapevole silenzio per scrivere Gli ultimi giorni dell'umanita', un'opera che sembra essere ancora di un'inquietante attualita'. Pensare quel che pensi e scriverlo e' un tuo diritto. Il problema e' pero' che, grazie alla tua notorieta', la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta. Il nostro di ora e' un momento di straordinaria importanza. L'orrore indicibile e' appena cominciato, ma e' ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una grande occasione di ripensamento. E un momento anche di enorme responsabilita' perche' certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti piu' bassi, ad aizzare la bestia dell'odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecita' delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l'uccidere. "Conquistare le passioni mi pare di gran lunga piu' difficile che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile cammino dinanzi a me", scriveva nel 1925 quella bell'anima di Gandhi. Ed aggiungeva: "Finche' l'uomo non si mettera' di sua volonta' all'ultimo posto fra le altre creature sulla terra, non ci sara' per lui alcuna salvezza". E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza? La salvezza non e' nella tua rabbia accalorata, ne' nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela piu' accettabile, "Liberta' duratura". O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo e' mondo non c'e' stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sara' nemmeno questa. Quel che ci sta succedendo e' nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. E una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d'aver davanti prima dell'11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilita' di nulla, tanto meno all'inevitabilita' della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre piu' tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, compresa quella atomica, come propone il Segretario alla Difesa americano, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor piu' determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor piu' terribile violenza - ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguira' necessariamente una loro ancora piu' orribile e poi un'altra nostra e cosi' via. Perche' non fermarsi prima? Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare una dose, magari "intelligente", di violenza per mettere fine alla terribile violenza altrui. Cambiamo illusione e, tanto per cominciare, chiediamo a chi fra di noi dispone di armi nucleari, armi chimiche e armi batteriologiche - Stati Uniti in testa - d'impegnarsi solennemente con tutta l'umanita' a non usarle mai per primo, invece di ricordarcene minacciosamente la disponibilita'. Sarebbe un primo passo in una nuova direzione. Non solo questo darebbe a chi lo fa un vantaggio morale - di per se' un'arma importante per il futuro -, ma potrebbe anche disinnescare l'orrore indicibile ora attivato dalla reazione a catena della vendetta. In questi giorni ho ripreso in mano un bellissimo libro (peccato che non sia ancora in italiano) di un vecchio amico, uscito due anni fa in Germania. Il libro si intitola Die Kunst, nicht regiert zu werden: ethische Politik von Sokrates bis Mozart (L'arte di non essere governati: l'etica politica da Socrate a Mozart). L'autore e' Ekkehart Krippendorff, che ha insegnato per anni a Bologna prima di tornare all'Universita' di Berlino. La affascinante tesi di Krippendorff e' che la politica, nella sua espressione piu' nobile, nasce dal superamento della vendetta e che la cultura occidentale ha le sue radici piu' profonde in alcuni miti, come quello di Caino e quello delle Erinni, intesi da sempre a ricordare all'uomo la necessita' di rompere il circolo vizioso della vendetta per dare origine alla civilta'. Caino uccide il fratello, ma Dio impedisce agli uomini di vendicare Abele e, dopo aver marchiato Caino - un marchio che e' anche una protezione -, lo condanna all'esilio dove quello fonda la prima citta'. La vendetta non e' degli uomini, spetta a Dio. Secondo Krippendorff il teatro, da Eschilo a Shakespeare, ha avuto una funzione determinante nella formazione dell'uomo occidentale perche' col suo mettere sulla scena tutti i protagonisti di un conflitto, ognuno col suo punto di vista, i suoi ripensamenti e le sue possibili scelte di azione, il teatro e' servito a far riflettere sul senso delle passioni e sulla inutilita' della violenza che non raggiunge mai il suo fine. Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e cosi', attraverso le nostre televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore. A te, Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto invece. Ho passato giorni in Sri Lanka con alcuni giovani delle "Tigri Tamil", votati al suicidio. Mi interessano i giovani palestinesi di "Hamas" che si fanno saltare in aria nelle pizzerie israeliane. Un po' di pieta' sarebbe forse venuta anche a te se in Giappone, sull'isola di Kyushu, tu avessi visitato Chiran, il centro dove i primi kamikaze vennero addestrati e tu avessi letto le parole, a volte poetiche e tristissime, scritte segretamente prima di andare, riluttanti, a morire per la bandiera e per l'Imperatore. I kamikaze mi interessano perche' vorrei capire che cosa li rende cosi' disposti a quell'innaturale atto che e' il suicidio e che cosa potrebbe fermarli. Quelli di noi a cui i figli - fortunatamente - sono nati, si preoccupano oggi moltissimo di vederli bruciare nella fiammata di questo nuovo, dilagante tipo di violenza di cui l'ecatombe nelle Torri Gemelle potrebbe essere solo un episodio. Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perche' io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolvera' uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali. Niente nella storia umana e' semplice da spiegare e fra un fatto ed un altro c'e' raramente una correlazione diretta e precisa. Ogni evento, anche della nostra vita, e' il risultato di migliaia di cause che producono, assieme a quell'evento, altre migliaia di effetti, che a loro volta sono le cause di altre migliaia di effetti. L'attacco alle Torri Gemelle e' uno di questi eventi: il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti. Certo non e' l'atto di "una guerra di religione" degli estremisti musulmani per la conquista delle nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami tu, Oriana. Non e' neppure "un attacco alla liberta' ed alla democrazia occidentale", come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici. Un vecchio accademico dell'Universita' di Berkeley, un uomo certo non sospetto di anti-americanismo o di simpatie sinistrorse da' di questa storia una interpretazione completamente diversa. "Gli assassini suicidi dell'11 settembre non hanno attaccato l'America: hanno attaccato la politica estera americana", scrive Chalmers Johnson nel numero di The Nation del 15 ottobre. Per lui, autore di vari libri - l'ultimo, Blowback, contraccolpo, uscito l'anno scorso (in Italia edito da Garzanti, ndr) ha del profetico - si tratterebbe appunto di un ennesimo "contraccolpo" al fatto che, nonostante la fine della Guerra Fredda e lo sfasciarsi dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno mantenuto intatta la loro rete imperiale di circa 800 installazioni militari nel mondo Con una analisi che al tempo della Guerra Fredda sarebbe parsa il prodotto della disinformazione del Kgb, Chalmers Johnson fa l'elenco di tutti gli imbrogli, complotti, colpi di Stato, delle persecuzioni, degli assassinii e degli interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti nei quali gli Stati Uniti sono stati apertamente o clandestinamente coinvolti in America Latina, in Africa, in Asia e nel Medio Oriente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi. Il "contraccolpo" dell'attacco alle Torri Gemelle ed al Pentagono avrebbe a che fare con tutta una serie di fatti di questo tipo: fatti che vanno dal colpo di Stato ispirato dalla Cia contro Mossadeq nel 1953, seguito dall'installazione dello Shah in Iran, alla Guerra del Golfo, con la conseguente permanenza delle truppe americane nella penisola araba, in particolare l'Arabia Saudita dove sono i luoghi sacri dell'Islam. Secondo Johnson sarebbe stata questa politica americana "a convincere tanta brava gente in tutto il mondo islamico che gli Stati Uniti sono un implacabile nemico". Cosi' si spiegherebbe il virulento anti-americanismo diffuso nel mondo musulmano e che oggi tanto sorprende gli Stati Uniti ed i loro alleati. Esatta o meno che sia l'analisi di Chalmers Johnson, e' evidente che al fondo di tutti i problemi odierni degli americani e nostri nel Medio Oriente c'e', a parte la questione israeliano-palestinese, la ossessiva preoccupazione occidentale di far restare nelle mani di regimi "amici", qualunque essi fossero, le riserve petrolifere della regione. Questa e' stata la trappola. L'occasione per uscirne e' ora. Perche' non rivediamo la nostra dipendenza economica dal petrolio? Perche' non studiamo davvero, come avremmo potuto gia' fare da una ventina d'anni, tutte le possibili fonti alternative di energia? Ci eviteremmo cosi' d'essere coinvolti nel Golfo con regimi non meno repressivi ed odiosi dei talebani; ci eviteremmo i sempre piu' disastrosi "contraccolpi" che ci verranno sferrati dagli oppositori a quei regimi, e potremmo comunque contribuire a mantenere un migliore equilibrio ecologico sul pianeta. Magari salviamo cosi' anche l'Alaska che proprio un paio di mesi fa e' stata aperta ai trivellatori, guarda caso dal presidente Bush, le cui radici politiche - tutti lo sanno - sono fra i petrolieri. A proposito del petrolio, Oriana, sono certo che anche tu avrai notato come, con tutto quel che si sta scrivendo e dicendo sull'Afghanistan, pochissimi fanno notare che il grande interesse per questo paese e' legato al fatto d'essere il passaggio obbligato di qualsiasi conduttura intesa a portare le immense risorse di metano e petrolio dell'Asia Centrale (vale a dire di quelle repubbliche ex-sovietiche ora tutte, improvvisamente, alleate con gli Stati Uniti) verso il Pakistan, l'India e da li' nei paesi del Sud Est Asiatico. Il tutto senza dover passare dall'Iran. Nessuno in questi giorni ha ricordato che, ancora nel 1997, due delegazioni degli "orribili" talebani sono state ricevute a Washington (anche al Dipartimento di Stato) per trattare di questa faccenda e che una grande azienda petrolifera americana, la Unocal, con la consulenza niente di meno che di Henry Kissinger, si e' impegnata col Turkmenistan a costruire quell'oleodotto attraverso l'Afghanistan. E dunque possibile che, dietro i discorsi sulla necessita' di proteggere la liberta' e la democrazia, l'imminente attacco contro l'Afghanistan nasconda anche altre considerazioni meno altisonanti, ma non meno determinanti. E per questo che nell'America stessa alcuni intellettuali cominciano a preoccuparsi che la combinazione fra gli interessi dell'industria petrolifera con quelli dell'industria bellica - combinazione ora prominentemente rappresentata nella compagine al potere a Washington - finisca per determinare in un unico senso le future scelte politiche americane nel mondo e per limitare all'interno del paese, in ragione dell'emergenza anti-terrorismo, i margini di quelle straordinarie liberta' che rendono l'America cosi' particolare. Il fatto che un giornalista televisivo americano sia stato redarguito dal pulpito della Casa Bianca per essersi chiesto se l'aggettivo "codardi", usato da Bush, fosse appropriato per i terroristi-suicidi, cosi' come la censura di certi programmi e l'allontanamento da alcuni giornali, di collaboratori giudicati non ortodossi, hanno aumentato queste preoccupazioni. L'aver diviso il mondo in maniera - mi pare - "talebana", fra "quelli che stanno con noi e quelli contro di noi", crea ovviamente i presupposti per quel clima da caccia alle streghe di cui l'America ha gia' sofferto negli anni Cinquanta col maccartismo, quando tanti intellettuali, funzionari di Stato ed accademici, ingiustamente accusati di essere comunisti o loro simpatizzanti, vennero perseguitati, processati e in moltissimi casi lasciati senza lavoro. Il tuo attacco, Oriana - anche a colpi di sputo - alle "cicale" ed agli intellettuali "del dubbio" va in quello stesso senso. Dubitare e' una funzione essenziale del pensiero; il dubbio e' il fondo della nostra cultura. Voler togliere il dubbio dalle nostre teste e' come volere togliere l'aria ai nostri polmoni. Io non pretendo affatto d'aver risposte chiare e precise ai problemi del mondo (per questo non faccio il politico), ma penso sia utile che mi si lasci dubitare delle risposte altrui e mi si lasci porre delle oneste domande. In questi tempi di guerra non deve essere un crimine parlare di pace. Purtroppo anche qui da noi, specie nel mondo "ufficiale" della politica e dell'establishment mediatico, c'e' stata una disperante corsa alla ortodossia. E come se l'America ci mettesse gia' paura. Capita cosi' di sentir dire in televisione a un post-comunista in odore di una qualche carica nel suo partito, che il soldato Ryan e' un importante simbolo di quell'America che per due volte ci ha salvato. Ma non c'era anche lui nelle marce contro la guerra americana in Vietnam? Per i politici - me ne rendo conto - e' un momento difficilissimo. Li capisco e capisco ancor piu' l'angoscia di qualcuno che, avendo preso la via del potere come una scorciatoia per risolvere un piccolo conflitto di interessi terreni si ritrova ora alle prese con un enorme conflitto di interessi divini, una guerra di civilta' combattuta in nome di Iddio e di Allah. No. Non li invidio, i politici. Siamo fortunati noi, Oriana. Abbiamo poco da decidere e non trovandoci in mezzo ai flutti del fiume, abbiamo il privilegio di poter stare sulla riva a guardare la corrente. Ma questo ci impone anche grandi responsabilita' come quella, non facile, di andare dietro alla verita' e di dedicarci soprattutto "a creare campi di comprensione, invece che campi di battaglia", come ha scritto Edward Said, professore di origine palestinese ora alla Columbia University, in un saggio sul ruolo degli intellettuali uscito proprio una settimana prima degli attentati in America. Il nostro mestiere consiste anche nel semplificare quel che e' complicato. Ma non si puo' esagerare, Oriana, presentando Arafat come la quintessenza della doppiezza e del terrorismo ed indicando le comunita' di immigrati musulmani da noi come incubatrici di terroristi. Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a questo semplicismo intollerante, saranno migliori? Non sarebbe invece meglio che imparassero, a lezione di religione, anche che cosa e' l'Islam? Che a lezione di letteratura leggessero anche Rumi o il da te disprezzato Omar Kayan? Non sarebbe meglio che ci fossero quelli che studiano l'arabo, oltre ai tanti che gia' studiano l'inglese e magari il giapponese? Lo sai che al ministero degli Esteri di questo nostro paese affacciato sul Mediterraneo e sul mondo musulmano, ci sono solo due funzionari che parlano arabo? Uno attualmente e', come capita da noi, console ad Adelaide in Australia. Mi frulla in testa una frase di Toynbee: "Le opere di artisti e letterati hanno vita piu' lunga delle gesta di soldati, di statisti e mercanti. I poeti ed i filosofi vanno piu' in la' degli storici. Ma i santi e i profeti valgono di piu' di tutti gli altri messi assieme". Dove sono oggi i santi ed i profeti? Davvero, ce ne vorrebbe almeno uno! Ci rivorrebbe un San Francesco. Anche i suoi erano tempi di crociate, ma il suo interesse era per "gli altri", per quelli contro i quali combattevano i crociati. Fece di tutto per andarli a trovare. Ci provo' una prima volta, ma la nave su cui viaggiava naufrago' e lui si salvo' a malapena. Ci provo' una seconda volta, ma si ammalo' prima di arrivare e torno' indietro. Finalmente, nel corso della quinta crociata, durante l'assedio di Damietta in Egitto, amareggiato dal comportamento dei crociati ("vide il male ed il peccato"), sconvolto da una spaventosa battaglia di cui aveva visto le vittime, San Francesco attraverso' le linee del fronte. Venne catturato, incatenato e portato al cospetto del Sultano. Peccato che non c'era ancora la Cnn - era il 1219 - perche' sarebbe interessantissimo rivedere oggi il filmato di quell'incontro. Certo fu particolarissimo perche', dopo una chiacchierata che probabilmente ando' avanti nella notte, al mattino il Sultano lascio' che San Francesco tornasse, incolume, all'accampamento dei crociati. Mi diverte pensare che l'uno disse all'altro le sue ragioni, che San Francesco parlo' di Cristo, che il Sultano lesse passi del Corano e che alla fine si trovarono d'accordo sul messaggio che il poverello di Assisi ripeteva ovunque: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Mi diverte anche immaginare che, siccome il frate sapeva ridere come predicare, fra i due non ci fu aggressivita' e che si lasciarono di buon umore sapendo che comunque non potevano fermare la storia. Ma oggi? Non fermarla puo' voler dire farla finire. Ti ricordi, Oriana, Padre Balducci che predicava a Firenze quando noi eravamo ragazzi? Riguardo all'orrore dell'olocausto atomico pose una bella domanda: "La sindrome da fine del mondo, l'alternativa fra essere e non essere, hanno fatto diventare l'uomo piu' umano?". A guardarsi intorno la risposta mi pare debba essere "No". Ma non possiamo rinunciare alla speranza. "Mi dica, che cosa spinge l'uomo alla guerra?", chiedeva Albert Einstein nel 1932 in una lettera a Sigmund Freud. "E possibile dirigere l'evoluzione psichica dell'uomo in modo che egli diventi piu' capace di resistere alla psicosi dell'odio e della distruzione?" Freud si prese due mesi per rispondergli. La sua conclusione fu che c'era da sperare: l'influsso di due fattori - un atteggiamento piu' civile, ed il giustificato timore degli effetti di una guerra futura - avrebbe dovuto mettere fine alle guerre in un prossimo avvenire. Giusto in tempo la morte risparmio' a Freud gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Non li risparmio' invece ad Einstein, che divenne pero' sempre piu' convinto della necessita' del pacifismo. Nel 1955, poco prima di morire, dalla sua casetta di Princeton in America dove aveva trovato rifugio, rivolse all'umanita' un ultimo appello per la sua sopravvivenza: "Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto". Per difendersi, Oriana, non c'e' bisogno di offendere (penso ai tuoi sputi ed ai tuoi calci). Per proteggersi non c'e' bisogno d'ammazzare. Ed anche in questo possono esserci delle giuste eccezioni. M'e' sempre piaciuta nei Jataka, le storie delle vite precedenti di Buddha, quella in cui persino lui, epitome della non violenza, in una incarnazione anteriore uccide. Viaggia su una barca assieme ad altre 500 persone. Lui, che ha gia' i poteri della preveggenza, "vede" che uno dei passeggeri, un brigante, sta per ammazzare tutti e derubarli e lui lo previene buttandolo nell'acqua ad affogare per salvare gli altri. Essere contro la pena di morte non vuol dire essere contro la pena in genere ed in favore della liberta' di tutti i delinquenti. Ma per punire con giustizia occorre il rispetto di certe regole che sono il frutto dell'incivilimento, occorre il convincimento della ragione, occorrono delle prove. I gerarchi nazisti furono portati dinanzi al Tribunale di Norimberga; quelli giapponesi responsabili di tutte le atrocita' commesse in Asia, furono portati dinanzi al Tribunale di Tokio prima di essere, gli uni e gli altri, dovutamente impiccati. Le prove contro ognuno di loro erano schiaccianti. Ma quelle contro Osama Bin Laden? "Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate", scrive in questi giorni dall'India agli americani, ovviamente a mo' di provocazione, Arundhati Roy, la scrittrice de Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e contestata, amata ed odiata. Come te, sempre pronta a cominciare una rissa, la Roy ha usato della discussione mondiale su Osama Bin Laden per chiedere che venga portato dinanzi ad un tribunale indiano il presidente americano della Union Carbide responsabile dell'esplosione nel 1984 nella fabbrica chimica di Bhopal in India che fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui? Dal punto di vista di quei morti forse si'. L'immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del "nemico" da abbattere e' il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell'Afghanistan, ordina l'attacco alle Torri Gemelle; e' l'ingegnere-pilota, islamista fanatico, che in nome di Allah uccide se stesso e migliaia di innocenti; e' il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo ad una folla. Dobbiamo pero' accettare che per altri il "terrorista" possa essere l'uomo d'affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui e' piu' conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci piu' i campi per far crescere il riso, muoiono di fame? Questo non e' relativismo. Voglio solo dire che il terrorismo, come modo di usare la violenza, puo' esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sara' difficile arrivare ad una definizione comune del nemico da debellare. I governi occidentali oggi sono uniti nell'essere a fianco degli Stati Uniti; pretendono di sapere esattamente chi sono i terroristi e come vanno combattuti. Molto meno convinti pero' sembrano i cittadini dei vari paesi. Per il momento non ci sono state in Europa dimostrazioni di massa per la pace; ma il senso del disagio e' diffuso cosi' come e' diffusa la confusione su quel che si debba volere al posto della guerra. "Dateci qualcosa di piu' carino del capitalismo", diceva il cartello di un dimostrante in Germania. "Un mondo giusto non e' mai NATO", c'era scritto sullo striscione di alcuni giovani che marciavano giorni fa a Bologna. Gia'. Un mondo "piu' giusto" e' forse quel che noi tutti, ora piu' che mai, potremmo pretendere. Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalita' ed ispirato ad un po' piu' di moralita'. La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi, rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che erano stati messi alla gogna, solo perche' ora tornano comodi, e' solo l'ennesimo esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo in certe aree del mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi. Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla guerra contro il terrorismo un crisma di legalita' internazionale, hanno coinvolto le Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il paese piu' reticente a pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro, sono il paese che non ha ancora ratificato ne' il trattato costitutivo della Corte Internazionale di Giustizia, ne' il trattato per la messa al bando delle mine anti-uomo e tanto meno quello di Kyoto sulle mutazioni climatiche. L'interesse nazionale americano ha la meglio su qualsiasi altro principio. Per questo ora Washington riscopre l'utilita' del Pakistan, prima tenuto a distanza per il suo regime militare e punito con sanzioni economiche a causa dei suoi esperimenti nucleari; per questo la Cia sara' presto autorizzata di nuovo ad assoldare mafiosi e gangster cui affidare i "lavoretti sporchi" di liquidare qua e la' nel mondo le persone che la Cia stessa mettera' sulla sua lista nera. Eppure un giorno la politica dovra' ricongiungersi con l'etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. A proposito, Oriana. Anche a me ogni volta che, come ora, ci passo, questa citta' mi fa male e mi intristisce. Tutto e' cambiato, tutto e' involgarito. Ma la colpa non e' dell'Islam o degli immigrati che ci si sono installati. Non son loro che han fatto di Firenze una citta' bottegaia, prostituita al turismo! E successo dappertutto. Firenze era bella quando era piu' piccola e piu' povera. Ora e' un obbrobrio, ma non perche' i musulmani si attendano in Piazza del Duomo, perche' i filippini si riuniscono il giovedi' in Piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno attorno alla stazione. E cosi' perche' anche Firenze s'e' "globalizzata", perche' non ha resistito all'assalto di quella forza che, fino ad ieri, pareva irresistibile: la forza del mercato. Nel giro di due anni da una bella strada del centro in cui mi piaceva andare a spasso e' scomparsa una libreria storica, un vecchio bar, una tradizionalissima farmacia ed un negozio di musica. Per far posto a che? A tanti negozi di moda. Credimi, anch'io non mi ci ritrovo piu'. Per questo sto, anch'io ritirato, in una sorta di baita nell'Himalaya indiana dinanzi alle piu' divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, li' maestose ed immobili, simbolo della piu' grande stabilita', eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermanenti come tutto in questo mondo. La natura e' una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a prendere lezione. Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi altri grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto piu' grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono piu'. Guarda un filo d'erba al vento e sentiti come lui. Ti passera' anche la rabbia. Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di trovare pace. Perche' se quella non e' dentro di noi non sara' mai da nessuna parte.