giovedì 30 giugno 2011

RITORNO ALLE ORIGINI,RITORNO A GENOVA


Oggi post molto corposo con due interessanti contributi che già circolano in rete da qualche settimana e sono tratti da Indymedia Liguria:la data del decennale del G8 di Genova si sta avvicinando e la linea da seguire è quella della lotta dura.
I due articoli non parlano ancora di una data precisa nè di chi vi farà parte,anche se si stanno fissando alcuni puntelli sul come organizzare quello che potrebbe essere uno o più giorni di manifestazioni con gente proventiente nuovamente da tutto il globo.
Il corteo di qui sotto non sarà un vero e proprio serpentone di persone,potrebbero esserci anche poche centinaia di manifestanti ma tutti giusti e pronti a tutto,Genova deve essere sia un punto di partenza che un punto di continuità con la ribellione che sta contraddistinguendo tutto il Mediterraneo,dalle rivolte Nordafricane a quella di Atene passando per la Val di Susa.
Non bisognerà essere al fianco dei vari no global o disobbedienti,degli Agnoletto o dei Casarini,bisogna lavorare a basso profilo,non vi saranno capi e nomi alla ribalta,il tutto almeno secondo il mio punto di vista dovrà avere una sorta di contenitore ma con ampie possibilità di agire da soli o in piccoli gruppi.
D'altronde è meglio operare in questo modo perché dall'altra parte della barricata meno sanno e meglio è,ed a parte vaghi riferimenti come potrebbero essere gli allegati odierni tutto si dovrà svolgere alla vecchia maniera senza l'uso di moderne tecnologie,il voce a voce senza possibilità di intercettazioni,la voglia e soprattutto la coscienza di volere e potere dare molto in occasione di questo anniversario.
E' TROPPO TARDI PER RESTARE CALMI ...verso Genova 2011
 
La tensione nel Paese si alza di giorno in giorno. La lotta che viviamo incarna i disagi sociali presenti e futuri, coinvolge la gente che non può più sottostare a una situazione simile. La nostra dignità ed il nostro orgoglio ci muovono a combattere l'intero sistema. La lotta ci affianca a chiunque non accetti tutto ciò: studenti, operai e disoccupati che prendano parte ad una scena ribelle.
Vogliamo che il tutto sia combattuto senza maschere e infami accordi.
Appoggiamo con complicità tutti gli "atti di violenza" avvenuti diffusamente nelle città italiane durante quest'ultimo periodo di lotta, sempre condannati e criticati da sindacati, partiti, ben pensanti, giornalisti e persino "eroi di carta" che vantano la stima di un'intera nazione come Saviano, rifiutando e negando l'essenza di un'intera generazione. Le appoggiamo perchè siamo convinti che è nell'azione che dobbiamo incanalare la rabbia. In questo vogliamo coinvolgere studenti, operai e disoccupati, affinché l'azione raggiunga un senso compiuto, mandi un segnale a chi ancora non capisce, renda consapevole questo Paese di ciò che avvertiamo. Non bastano più e non sono mai servite le sfilate di bandiere e gli scioperi il venerdì. Vogliamo comunicare con tutte le realtà che reagiscono, vogliamo un'unione collettiva ed un'organizzazione stabile.
Siamo convinti che il sindacato in Italia abbia contribuito a creare questa situazione, con accordi e silenzi al soldo del padrone. Non è in loro che ci riconosciamo, non abbiamo rappresentanti politici e non ne volgiamo. Ci rivolgiamo a chi ha capito che non è questo il modo per cambiare qualcosa, non è affidarsi a chi sta in poltrona e vomita dibattiti. Il nemico non è una Gelmini o un Marchionne, è l'intero sistema che crea singoli simili. Prima della Gelmini abbiamo conosciuto la Moratti e Fioroni, il problema è radicato nell'intero sistema politico ed economico. Ci affidiamo alla nostra coscienza, al nostro disagio, non siamo più mossi dalla gioia di stare insieme in piazza, ma dalla rabbia che scorre in noi. Possiamo farlo senza bandiere, partitini o chiaccheroni.
Un esempio dell'espressione di questi sentimenti fu quel 14 dicembre a Roma, che già ci pare così lontano e irripetibile da quanto ci siamo soffermati a ricordarne e celebrarne il risultato, il conflitto creato.
Dopo quella trionfale giornata il movimento si è frenato e di lì a poco è morto, per l'ennesima volta.

NON ABBIAMO VOLUTO fare un passo avanti, alzare ulteriormente la tensione, ampliare il conflitto e continuare un percorso che avrebbe potuto ribaltare le sorti di molte infami strategie che ora, sulla nostra pelle, assaporano il gusto della vittoria.
E' da qui che vogliamo ripartire, dal terribile errore di non voler convocare un assemblea nazionale subito dopo il 14 dicembre, che crediamo avrebbe potuto salvare il movimento dalla sua morte.
Vogliamo ripartire da chi in quei giorni spinse per la creazione di questa assemblea unitaria ma non fu ascoltato, da chi si rispecchia e condivide quanto espresso in queste nostre righe. Vogliamo tentare di ricostruire un percorso collettivo , che ponga le proprie basi su valori come l'antifascismo, l'autonomia, la lotta alla precarietà e la resistenza ad una repressione che ci colpisce sempre più significativamente fiutando le nostre fragilità e i limiti della nostra determinazione.
E' PER QUESTI MOTIVI CHE PROPONIAMO UN ASSEMBLEA UNITARIA E LOCALE IN VISTA DEI CORTEI CHE SI SVOLGERANNO PER L'ANNIVERSARIO DEI DIECI ANNI DAL G8 DI GENOVA.
E' il prossimo grande appuntamento al quale siamo chiamati. Per noi, un appuntamento che ha tutte le caratteristiche del 19 maggio torinese come del 14 dicembre romano. La nostra speranza è che le imminenti giornate di luglio siano a differenza anche l'occasione per rigenerare le basi di una persa opposizione collettiva a tutte le problematiche territoriali e nazionali che ci affliggono giorno per giorno.
Da quei caldi giorni di dieci anni fa un intero movimento e' mutato notevolmente, una nazione ha imparato a conoscere il sapore amaro di una repressione sempre piu' determinata, di una crisi economica che ha messo a nudo tutte le incapacita' della nostra classe sia sindacale che "politica".
Ripartire dal G8 2001 significa, per noi, riprendere consapevolezza che, come accadde in quel luglio, se mossi dalla rabbia collettiva che non conosce interessi economici o vincoli partitici ma ascolta il cuore e le necessità di rivendicare un ruolo attivo nella nostra esistenza allora possiamo cambiare le cose, scrivere la storia.
Non è tempo per moderazione e calma.
Non è tempo per "comprensione" e dialogo.
Il nostro obiettivo immediato è il conflitto, il nostro compito è sovvertire.

C A O S ANTIFA GENOVA
Genova 2001/2011: I morti siete voi.

“Nessuno potrà mettere in atto iniziative spontanee, di qualunque tipo, anche perché gli appuntamenti per discutere e organizzare la disobbedienza civile sono stati pubblici. (…) Seguire le indicazioni delle tute bianche. (…) Qualunque iniziativa va concordata con le tute bianche. Non ci deve essere né lancio di alcunché né altro che non sia concordato con gli organizzatori. (…) Durante il corteo nessuna iniziativa personale o di gruppo deve essere messa in atto. Si prega di segnalare alle tute bianche qualunque cosa succeda.”
Disobbedienza civile, istruzioni per l’uso; volantino distribuito in occasione del corteo contro Tebio a Genova, 25/05/2000

Al mondo esistono due tipi di persone: c’è chi può contare solo sulle proprie braccia per sopravvivere e chi invece vive grazie al sudore altrui; c’è chi ha un ruolo che lo eleva e non parla mai nel proprio nome, e chi è un numero di un ingranaggio superiore e un nome non lo ha più; c’è chi lotta quotidianamente per campare e chi, nel gioco delle parti, è nato direttore. C’è sfruttamento e privilegio, manovalanza e prevaricazione. Vita pratica da una parte, spettacolo dall’altra. Non basta dichiarare guerra all’ordine sociale per sottrarsi ad una dinamica connaturata nella civiltà. Per uscire dalla pantomima servono ben altro che parole, è un tumore che si insinua fin dentro le nostre cerchie.
Dieci anni fa una ristretta élite di privilegiati è scesa a Genova con l’intento di decidere delle sorti altrui. Otto scimmioni di corte chiusi nei palazzi, avvoltoi “di movimento” nelle strade. Entrambi con proclami e comparse televisive, entrambi separati dai loro sottoposti per mezzo di guardie e servizi d’ordine. Uno sull’altro cercarono di calare la propria egemonia sull’individualità delle persone.
Le contraddizioni insite nel sistema capitalista in cui viviamo, le condizioni precarie di vita dettate dalla globalizzazione, dal profitto e dall’autoritarismo, già messe in discussione nel luglio 2001 a Genova e incarnate dagli otto scimmioni di corte, in questi anni non hanno fatto altro che peggiorare l’esistenza di una massa di persone più o meno coscienti della propria condizione di schiavitù. L’aziendalizzazione dell’università pubblica, i contratti a progetto e a tempo determinato, i licenziamenti, le concertazioni e i patti sociali per ridefinire a favore dei padroni le condizioni del ricatto lavorativo, le grandi opere e le privatizzazioni: tasselli di un disegno più alto per arricchire i dirigenti a scapito della popolazione; lo spauracchio delle crisi finanziarie e territoriali per creare uno stato d’emergenza permanente, uno stabile assetto di guerra interna che travalichi i confini della finzione democratica, e l’alienazione mediatico-strutturale dei rapporti sociali non sono però ancora riusciti a sopire definitivamente gli animi incontrando invece nuove sacche di resistenza. In questi ultimi anni, da Rosarno a Roma, dall’Insse a Fincantieri, passando per i movimenti studenteschi e azioni dirette contro i colossi dell’economia mondiale, un pericoloso vento di rivalsa, ispirato anche dalle perturbazioni sulle sponde del mediterraneo, ha riscaldato nuovamente la penisola.
Contemporaneamente sembra consumatasi l’ascesa ed il declino dei grandi cartelli di recupero politico delle lotte. Dopo aver beneficiato a lungo, a suon di poltrone nelle giunte comunali e poi nel parlamento, dopo aver goduto di uno status di privilegio nel microcosmo della contestazione, in termini di spazi e controllo sociale, gli avvoltoi sembrano in difficoltà, forse non più in grado di domare una nuova generazione di disadattati astensionisti, una base di manovali che scalpitano dentro le loro celle. Non sarà forse che le scelte dei politicanti di centellinata radicalizzazione non siano dettate, come sempre, dall’opportunità di cavalcare ancora più che da un reale urgenza di vita? Tutto quello che possiamo auspicare è che oggi questa nuova generazione di puledri ribelli, diventati stalloni, ascoltino solo il cuore e la propria testa, muovendosi col vento, ostili ad ogni calcolo, mediazione e imposizione di chi si pone su un piano superiore.
Di scimmioni ed avvoltoi i fatti del luglio genovese dimostrarono principalmente la falsità. Da una parte la farsa annunciata di un summit tanto costoso quanto inconcludente, dall’altra la farsa di un battaglia combattuta solo con scudi plastificati e percorsi concordati. E in mezzo? Il sangue. Un fiume di sangue con su una sponda chi ha represso, dall’altra chi ha mandato al macello. Ma dieci anni fa valicò le alpi per scendere a Genova, brulicò dalle case e dai fondi dei carruggi, anche un’orda di barbari determinati concretamente a porre fine all’impero dei re di denari. Dieci anni fa, oltre qualsiasi calcolo politico, valicò le porte di Genova una deriva di esclusi disposti a tutto per scardinare alle basi il privilegio, riconquistare uno spazio e un tempo degni del nostro essere presenti al mondo.
Dal 2001 gli scimmioni hanno trovato redenzione sacrificando le mele marce indicategli dagli avvoltoi; questi ultimi, a cui il vento fece perdere il controllo della piazza, non ottennero nient’altro che un mero ruolo da vittime. Ma per i cani sciolti il fuoco, le lacrime e quella che può essere considerata, sull’onda di Seattle, come un’effettiva rivolta occidentale dell’epoca postindustriale, il luglio genovese rappresentò la vittoria della vita. Una vittoria che come la vita può essere tanto intensa quanto fugace, ma proprio per questo degna d’essere vissuta. Degna come ogni tensione che si lascia sfogare, degna come le passioni a cui ci si lascia andare, degna come una morte degna, su un campo di battaglia.
Il sangue coagulato di Carlo sull’asfalto, davanti alla chiesa di piazza Alimonda, le falsità e le infamie di una classe intermedia di avvoltoi che, anziché puntare ad una reale sovversione dell’esistente mirano piuttosto ad una avvicendamento sulle poltrone del potere, è la dimostrazione del bis pensiero che hanno imparato e li accomuna ai padroni di questo mondo. Quello non era sangue di un innocente. Un attimo prima ribolliva d’odio e di rivalsa contro i prossimi suoi carnefici, un attimo dopo era già divenuto il simbolo del vittimismo dei soliti opportunisti. Aveva ventitré anni, squarciò il confine fra parodia e realtà con un estintore in mano, era in guerra veramente. Carlo non era lì per caso, Carlo era uno di quelli che gli avvoltoi chiamavano già infiltrati provocatori, Carlo era uno dei “soliti facinorosi”.
Dopo dieci anni di necrologi, gli avvoltoi hanno deciso di rialzare la testa per mettere un punto sulla riscrittura della storia. Ma dieci anni di falsità non bastano per dimenticare: se anche solo una persona porta ancora nello spirito la rabbia di chi ha combattuto, se molti giovani che neanche erano sulle strade di Genova nel luglio 2001 vogliono verità, vogliono vivere per un attimo, nell’oceano delle possibilità umane, quello di cui hanno solo sentito parlare e hanno vissuto solo nella propria immaginazione, beh, allora che venga distrutta per prima cosa ogni spettacolarizzazione (auto)celebrativa; che venga dato fuoco agli animi, in nome di una vita degna.
Morte sono le vittime che non saranno vendicate; morte sono le guardie assassine e i loro mandanti perché di morte riempiono le loro vite; morti sono gli innocenti e tutti gli indifferenti perché non hanno preso parte all’umana lotta per la libertà.
Carlo vive.
“Lo conoscevamo poco, qualche volta lo incontravamo al bar Asinelli. Era un punkabbestia, uno di quelli che non hanno lavoro ma portano tanti orecchini, uno che vuole entrare senza pagare, uno che la gente perbene chiama parassita. Gli faceva schifo il mondo e non aveva niente a che fare con noi dei centri sociali, diceva che eravamo troppo disciplinati.”
Matteo Jade, leader delle tute bianche genovesi, diretta radiofonica, 20/07/2001

Sbirri si nasce, ribelli si diventa
“Ho colpito io Cristiano con il casco. Volevo semplicemente che il corteo non subisse rallentamenti, per portare così la protesta, la protesta di un precario, di un giovane che non ha un contratto stabile, direttamente davanti al Senato”
Manuel De Santis, studente di Scienze Politiche alla Sapienza di Roma e del servizio d’ordine della rete Uniriot-Esc, 20/12/2010
Il 14 dicembre 2010 a Roma una breccia si è aperta negli spiriti ribelli di una nuova generazione di disadattati. Gli spiragli di libertà ricuciti da repressione e diffamazione nel tempo del g8 genovese, le possibilità che potenzialmente covavano in un nuovo immaginario di resistenza metropolitana, sono state sfondate da una nuova ondata di rabbia che ha finito col travolgere ancora una volta la recita parrocchiale dei politicanti di strada e la dialettica asfittica di scribacchini e diplomatici da palazzo. Una nuova deriva collettiva, un ulteriore esplosione di vitalità da parte di una gioventù senza futuro, maturata con la crescita dei movimenti studenteschi presto coesi con un malessere diffuso e crescente nella società.
Alla faccia di chi impiegava il tempo a disquisire sulla limitatezza dei conflitti in atto, come dieci anni prima sull’inutilità di rincorrere gli appuntamenti prefissati dal potere, alla faccia di chi ancora una volta pensava di poter controllare dentro gli stretti ranghi della pagliacciata mediatico-contestativa l’insostenibilità d’un presente umiliante, ancora una volta l’immaginazione e l’esuberanza delle nuove leve ha stupito i più. Certo la scommessa, come la posta in gioco, era grossa. Riuscire a generalizzare un’annunciata opposizione specifica al governo, e porre inequivocabilmente il punto della situazione, dimostrare che o si cambia tutto o nulla cambia, non era immediato. Ma per chi c’era a Roma, evidentemente, è stato un gioco da ragazzi.
Un gioco da ragazzi come spaccare cose a caso, uno scherzo piromane, il lancio d’oggetti ed il dileggio dell’autorità, ritrovando in ciò che è innato – in ciò che ingenuamente esalta le vite annoiate, fin da bambini, nel grigio della metropoli – una pratica di emancipazione, anche solo temporanea, una pratica d’attacco alla polizia e all’urbanistica, come simboli imminenti di tutti i veti e le costrizioni preordinate. L’assalto del presente, la sovversione della normalità, come a Londra il 6 novembre dello stesso anno gli studenti contro la sede del partito conservatore e la riforma dell’istruzione superiore. La breccia di Roma dell’anno 2010, la spinta in tutt’Italia a non chiedere più permessi e a non porger l’altra guancia quando di fronte si ha un manganello, rappresentano la vittoria della vita indomita contro i calcoli, le imposizioni e gli opportunismi della politica di piazza e di palazzo.
Sull’altra faccia della medaglia invece, ancora una volta un ragazzo rimasto sull’asfalto col volto insanguinato. Questa volta un quindicenne liceale, anche questa volta frenato di fronte ad una camionetta della polizia, nella spontaneità d’un animo liberato in un moto d’euforia collettiva. Ma questa volta, a spaccare la testa al manifestante non sono state le forze dell’ordine in divisa, è stato il servizio d’ordine dell’ennesimo tentativo di riciclo, questa volta in chiave universitaria, degli avvoltoi di movimento. Sono stati i gran promotori del “conflitto mimato” che evidentemente hanno percepito come minaccia, fin dalle assemblee alla Sapienza i giorni precedenti, quello che per la maggior parte dei presenti in strada sarebbe diventato il successo della manifestazione: una massa di giovanissimi arrabbiati che senza concordati trasformano in retroguardia le leadership delle vecchie egemonie; le mummie rimaste sole coi propri scudi a stabilire per tutti, senza più un gregge, obbiettivi e modalità della giornata.
Ma come insegna una buona norma dell’opportunismo politico, quando non riesci a sconfiggere l’avversario allora ti ci devi alleare. Così per tutti i benpensanti, giovani e vecchie cariatidi di movimento, giornalisti e opinionisti sinistronzi, ora finalmente protagonista non è più la mancanza di responsabilità di un gruppo ristretto di teppisti ma la legittima espressione della frustrazione di giovani privati del proprio futuro. Improvvisamente la colpa dei disordini è della militarizzazione e della zona rossa, per una volta le colpe sono tutte di governo e celerini. Forse questa volta neanche pacifisti delatori, come a Genova nel 2001, invocherebbero le cariche sui violenti anziché contro di loro.
Insomma, sbirri si nasce, ribelli si diventa; soprattutto nel momento in cui la sovversione delle dinamiche sociali diventa comprensibile, nel momento in cui un crepa si apre nella quotidianità, ed il passaggio, da cui sbucare incontrollati, inizia ad allargarsi. Da questo varco, il 14 dicembre a Roma, ragazze e ragazzi hanno fatto irruzione nelle strade senza sentirsi più soli, assaltando il presente per non aver più nulla da mendicare domani. Il passaggio è aperto; non si riuscirà a richiudere facilmente. Dopo dieci anni da quella che fu la sommossa e la mattanza del luglio genovese, la paura sta cambiando nuovamente di campo, e i poliziotti non dormono forse più sonni tanto tranquilli. Denunce, associazioni a delinquere, perquisizioni e arresti ne sono la riprova. Riempiamo allora gli zaini di audacia e rabbia, scegliamo bene i nostri complici e andiamo. Non un passo indietro, questo è solo l’inizio verso la riconquista di noi stessi.

Noi la nostra barricata l’abbiamo già scelta da tempo.
Noi non stiamo con gli sbirri.

mercoledì 29 giugno 2011

LA DIFFERENZA TRA INSULTO ED INSULTO RAZZISTA


Premetto che per apportare alcune delucidazioni nell'articolo odierno mi avvarrò di un linguaggio deprecabile in quanto per poter spiegare bene la faccenda,visto che in molti casi si è creata una confusione mentale totale,le dovrò usare come esempio per forza.
La notizia presa dal sito"Bergamonews.it"e ripreso dal sito di Atalantini.com(che alla fine fornisce un link sul protagonista non per sua volontà)parla di un purtoppo normale episodio di razzismo avvenuto a Falconara tra due formazioni giovanili marchigiane dove in una milita un ragazzo che a breve farà parte della formazione bergamasca.
Di padre italiano e madre brasiliana questo adolescente ha la pelle un poco troppo scura per certi dementi e ad un grave insulto razzista da parte di un ragazzino della squadra avversaria l'allenatore della compagine del Portorecanati Matteo Possanzini(fratello del più noto bomber Davide),ha avuto la prontezza e diciamo pure i coglioni per ritirare la squadra perdendo così pure l'incontro a tavolino poichè l'arbitro non aveva sentito l'offesa.
Grande gesto di questo coach nonostante la sconfitta anche se alla fine del torneo per la cronaca la sua squadra ha comunque vinto:il racconto del fattaccio è qui sotto ma prima la doverosa precisazione.
Leggendo tra i commenti del sito dei tifosi della Dea (http://www.algeri.net/public/com/comfullheadline.php?subaction=showfull&id=1309244062&archive=&start_from=&ucat=2&) è emerso un comune sdegno nei confronti del razzismo e un plauso a mister Possanzini per il suo gesto ma con alcuni però.
Alcuni storditi ancora confondono l'insulto razzista con l'insulto e visto che in materia di improperi e bestemmie ho un lungo collaudo che praticamente mi porterà all'inferno posso provare a spiegarne la differenze.
Parlando con la sostanziale distinzione che abito in nord Italia,sono cattolico e di pelle bianca un insulto razziale è dire negro di merda,uno territoriale è terrone bastardo o napoletano coleroso e se la metto dal punto di vista religioso ebreo bastardo(se aggiungiamo pure la politica fascista di merda).
Un mio stesso connazionale che vive a Palermo direbbe lo stesso cambiando l'insulto territoriale verso me come bergamasco di merda(e zecca stronza se è pure un ratto di fogna)...se prendo un nigeriano musulmano io potrei essere un infedele di merda e bianco del cazzo.
Nei commenti di cui sopra c'è chi ancora mette sullo stesso piano il"figlio di puttana"che è un insulto con un"negraccio di merda torna in Africa"(che è la testuale ingiuria proferita verso il ragazzino della partita)che è un insulto razzista:secondo me i seppur pochissimi(due-tre deficienti in salsa nerazzurra)che mettono le situazioni sullo stesso piatto difendono l'operato di Possanzini e parlano di essere contro il razzismo solo per comodo in quanto implicato un futuro calciatore atalantino.
Chiusa la lunga parentesi propongo un paio di links in cui avevo già speso un paio di parole e che sarebbero inutili anche quelle poche in quanto il razzismo è frutto dell'ignoranza e della paura prima di tutto di se stessi e quindi poi degli altri e del diverso:(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2010/01/razzismo-e-paura.html e http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2009/04/fuori-i-razzisti-dagli-stadi-e-dalla.html).

La storia - E' accaduto nelle Marche al 14enne Dani Ficola, che dalla prossima stagione giocherà a Bergamo.
Insulti razzisti a futuro atalantino
E Possanzini Jr. ritira la squadra.
 
Questa è una piccola storia di calcio, ma molto istruttiva. La scorsa settimana a Falconara si è giocato un torneo per Giovanissimi, ragazzini di 13 e 14 anni. Uno di quei tornei estivi nei quali l'importante è partecipare, una piccola vetrina per giovani promesse. In campo, in una delle prime partite del quadrangolare, c'erano l'Ancona e il Portorecanati allenato da Matteo Possanzini, 28 anni, fratello di Davide, ex attaccante di AlbinoLeffe e Brescia, tecnico emergente del calcio giovanile. In campo, nel Portorecanati, anche Dani Ficola, difensore centrale, 14 anni "reali", ma fisico e testa da diciottenne, che tra poco più di un mese sarà a Bergamo per aggregarsi ai Giovanissimi dell'Atalanta. Ficola ha una particolarità: è italianissimo, ma è di colore. La mamma, infatti, è brasiliana e ha sposato un marchigiano. Bene, a un certo punto dela partita, dopo un innocuo contrasto, Dani è stato insultato da un avversario. Non una semplice parolaccia, ma qualcosa di molto più pesante. "Negraccio di merda, torna in Africa". Dani e i suoi compagni si sono ribellati, anche se non c'è stata rissa, ma soltanto tanto nervosismo. Possanzini junior ha fatto di più: ha preso sotto braccio Ficola in lacrime e gli altri suoi giocatori e se n'è tornato negli spogliatoi. Partita finita. Bisognava dare un segnale forte. Di fronte a un insulto razzista, per di più in una sfida tra ragazzini, il calcio si deve fermare. La beffa è che il Portorecanati ha poi avuto partita persa a tavolino per aver abbandonato il campo, perché l'arbitro sostiene di non aver sentito l'insulto razzista. Poco male, perché nei giorni successivi il torneo è continuato, Dani ha ricevuto le scuse dei genitori del ragazzino che lo aveva insultato (e che nella partita successiva ha indossato addirittura la fascia di capitano) e la finale è stata proprio Ancona-Portorecanati. Ha vinto la squadra di Dani, 2-1. Ma la vera vittoria è stata in quella partita persa a tavolino.
Chi è Dani Ficola? Leggi il nostro articolo sul ragazzo CLICCANDO QUI

martedì 28 giugno 2011

FOGNA NUOVA LE PRENDE A MANTOVA

Fortunatamente gli immigrati,che siano clandestini o meno a me non importa,stanno prendendo sempre più coscienza della loro situazione di sfruttati e di emarginati dalla maggior parte delle persone(le cretine)e poco alla volta cominciano a ribellarsi a fatti,persone(ratti di fogna)e piccoli movimenti ideologici nostalgici(tipo fogna nuova in questo esempio che riporto)e visto che le parole rimangono inascoltate cominciano a far girare dei sani calci in faccia.
L'input a questo breve pensiero è dato dall'aggressione che un gruppetto di ragazzi stranieri ha effettuato legittimamente contro una marmaglia di fognanovisti a Mantova,che hanno avuto la peggio nonostante le solite recriminazioni postume di chi vuole passare come vittima dopo aver provocato e reiterato un'idea che alla faccia loro in Italia è tutt'ora reato.
E questo è il minimo che queste merde devono aspettarsi quando escono dai tombini per piazzare gazebi su suolo pubblico,al di sopra del loro livello abituale di vita,e la presa di posizione di questi ragazzi immigrati è positiva in quanto danno manforte a tutti gli antifascisti che lottano da sempre per far piazza pulita di questi agglomerati d'idiozia.
L'articolo di Indymedia Lombardia cita come fonte il locale quotidiano"La gazzetta di Mantova".

Mantova - Immigrati aggrediscono militanti di Forza Nuova.

http://gazzettadimantova.gelocal.it/cronaca/2011/06/26/news/immigrati-ag...
MANTOVA. Ora di punta del passeggio tardopomeridiano, pieno centro storico: scoppia la rissa tra militanti di Forza Nuova, che dal loro gazebo davanti a Sant’Andrea distribuivano volantini, e un gruppo di giovani immigrati. Ad avere la peggio uno degli appartenenti al movimento di estrema destra, colpito al volto da un calcio. La polizia, che indaga sul caso, al momento non ha fermato nessuno.
Ma torniamo alle sette di ieri sera. In piazza Mantegna, ai piedi della scalinata di Sant’Andrea erano rimasti tre dei circa quindici militanti di Forza Nuova che nel primo pomeriggio avevano installato un banchetto informativo e cominciato a distribuire volantini ai passanti. Messaggi contro «l’invasione degli immigrati», il campo nomadi, la stazione ferroviaria rifugio degli stranieri, il tempio indù in costruzione a Pegognaga, i profughi arrivati anche nella nostra provincia. «E’ ora di dire basta» campeggiava al centro del foglietto bianco.
Non si sa esattamente da chi sia partita la provocazione. Sta di fatto che a un certo punto, il gruppo di circa quindici immigrati, tutti molto giovani, arriva di fronte al banchetto dei militanti di destra. Qualcuno racconterà poi che i ragazzi stranieri erano passati in piazza Mantegna qualche minuto prima, si erano allontanati per poi fare ritorno. I due gruppi prima si affrontano a male parole, poi qualcuno arriva alle mani. Uno dei militanti, un ragazzo di vent’anni, probabilmente vedendo che la situazione si surriscaldava troppo, si siede sui gradini e in quel momento - questo quanto ricostruto dalla Digos - viene raggiunto da un calcio in pieno volto. Subito vengono chiamati il 118 e la polizia, gli immigrati si disperdono e il giovane ferito viene accompagnato al pronto soccorso dell’ospedale. Non è grave, però ha riportato un trauma al rachide cervicale oltre ad una contusione alla mascella.
Indignata la reazione del portavoce regionale di Forza Nuova, che ha rilasciato subito una dichiarazione alla stampa: «Ieri era la prima uscita del nostro gruppo a Mantova ; il responsabile provinciale Marco Carnevali con una quindicina di militanti aveva installato il gazebo per dare informazioni e raccogliere informazioni. Alle sei erano rimasti solo in tre. E sono stati aggrediti da un gruppo di immigrati che hanno distrutto il gazebo e si sono avventati sui ragazzi; è la prima volta che ci succede in Italia. Ma non finisce qui. Nei prossimi giorni verremo in massa a Mantova».
Daniela Marchi

lunedì 27 giugno 2011

TIRA E TIRA...E ALLA FINE SI SPEZZA

E alla fine oltre al senso metaforico della corda tesa che prima o poi si spezza e a distanza di una sola settimana dal Natale pagano-padano(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2011/06/il-circo-domenica-si-ferma-pontida.html)ecco che pure la praticità si aggiunge al simbolismo di un movimento che sta per estinguersi dalla faccia dell'Italia,o almeno dalla sua parte settentrionale poichè il seme malato di questo va(ffanculo)pensiero non è mai attecchito.
L'articolo breve di Repubblica on line ed il video tratto da Tv Varese news colgono l'attimo della rottura della corda che ha procurato il ferimento di trenta leghisti e purtoppo si vedono anche un paio di bambini che piangono spero solo spaventati mentre per gli adulti non me ne interessa praticamente nulla.
Che la corda incriminata fosse stata un made in China e non di possente canapa padana?Mentre gli inquirenti del Csi Pontida indagano non ci rimane che apprezzare questa settimana partita dal ritrovo carnascialesco della scorsa domenica e tutta una settimana di tensioni tra Bossi e Maroni,culminata in una caduta colossale che altro non è che la normale fine della lega nord e dei suoi adepti,ovvero tutti col culo in terra.

IL CASO

Tiro alla fune alla festa della Lega
la corda si spezza sul Ticino, 30 feriti

La manifestazione organizzata dal Carroccio tra le sponde lombarda e piemontese
Il cavo teso attraverso il fiume ha ceduto facendo cadere tutti i lombardi.

Sono una trentina, secondo quanto si è appreso sul posto, i contusi e due le sospette fratture fra i militanti leghisti caduti a terra oggi pomeriggio, quando alla festa della Lega di Sesto Calende, si è spezzata la fune che era stata tesa sul Ticino per la sfida tra le due sponde. Tra i feritin il segretario regionale Giancarlo Giorgetti. La manifestazione lungo il fiume si è poco dopo conclusa, ovviamente più in fretta di quanto previsto.

I militanti feriti La fune si spezza

Sul lungofiume di Sesto Calende è fra l'altro arrivato da poco il leader della Lega Nord Umberto Bossi. A piazza ormai semivuota, Bossi ha rinunciato al previsto intervento dal palco e si è seduto a sorseggiare una bibita ai tavolini all'aperto di un bar, senza fermarsi a parlare coi giornalisti. Il leader del Carroccio è in compagnia, tra gli altri, del capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, del presidente del Piemonte, Roberto Cota, del capo delegazione all'Europarlamento Francesco Enrico Speroni e dell'europarlamentare Mario Borghezio.           

venerdì 24 giugno 2011

THE NUMBER OF THE BEAST

Tra le decine di canzoni dei britannici Iron Maiden è stata davvero dura trovarne una da poter mettere come emblema per rappresentare uno dei gruppi che hanno realmente hanno cambiato e contribuito a diffondere il verbo dell'heavy metal in tutto il mondo:alla fine la scelta è piombata su"The number of the beast"che incarna l'anima ribelle e anticonformista di questa band che da quasi quarant'anni ci omaggia delle sue performance artistiche strabilianti con dei musicisti di primissimo livello che difficilmente verranno eguagliati negli anni a seguire.D'altronde fanno parte della leggenda dell'hard rock e con la loro attività che non si è ancora fermata sono uno tra i miei gruppi preferiti da ascoltare a volume massimo per potere saggiarne la loro potenza appieno.
La formazione attuale vede come capostipite l'immenso battista Steve Harris,con il cantante Bruce Dickinson dall'estensione vocale da far paura,i chitarristi Adrian Smith e Dave Murray oltre a Janick Gers fino ad arrivare al batterista Nicko McBrain.
Tutte queste persone hanno già scritto la storia della musica nell'olimpo degli Dei del rock,e potrò gustarmeli tutti domani sera ad Imola quando saliranno sul palco al termine di una lunga giornata di concerti nella prima data del Sonisphere Festival(vedi http://it.sonispherefestivals.com/) come degna conclusione di un sabato che vedrà esibirsi prima di loro gente come Slipknot e Motorhead.
Maggiori info sulla storia degli Iron Maiden si possono trovare al sito di Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Iron_Maiden e quindi non mi resta che scrivere in calce il patto col demonio...Up the Irons!!!

The number of the beast.

I left alone my mind was blank
I needed time to get the memories from my mind

What did I see can I believe that what I saw
that night was real and not just fantasy

Just what I saw in my old dreams were they
reflections of my warped mind staring back at me

Cos in my dreams it's always there the evil face that twists my mind
and brings me to despair

The night was black was no use holding back
Cos I just had to see was someone watching me
In the mist dark figures move and twist
was all this for real or some kind of hell
666 the Number of the Beast
Hell and fire was spawned to be released

Torches blazed and sacred chants were praised
as they start to cry hands held to the sky
In the night the fires burning bright
the ritual has begun Satan's work is done
666 the Number of the Beast
Sacrifice is going on tonight

This can't go on I must inform the law
Can this still be real or some crazy dream
but I feel drawn towards the evil chanting hordes
they seem to mesmerise me...can't avoid their eyes
666 the Number of the Beast
666 the one for you and me

I'm coming back I will return
And I'll possess your body and I'll make you burn
I have the fire I have the force
I have the power to make my evil take its course
Il numero della bestia.

Sono partito da solo la testa vuota
avevo bisogno di ricordare

cos'ho visto? devo credere che ciò che ho visto
quella notte era vero e non immaginazione ?

cosa ho visto nei miei sogni ? erano
riflessi della mia mente malata che mi fissava ?

perché nei miei sogni c'è sempre questo volto
diabolico che mi piega la mente e mi fa disperare ?

la notte era oscura era inutile trattenersi
perché dovevo vedere se qualcuno mi guardava
nella nebbia figure scure si agitano e contorcono
era vero o era l'inferno ?
666 il numero della bestia
inferno e fiamme nati per venire liberati

le torce bruciavano e le sacre litanie innegiavano
quando stanno per urlare portano le mani al cielo
nella notte i fuochi sono intensi
il rituale è iniziato l'opera di Satana ha inizio
666 il numero della bestia
il sacrificio si attua stanotte

non può continuare così devo informare la polizia
è ancora vero p è un sogno folle
ma mi sento attirato dalle orde sataniche che cantano
mi sento ipnotizzato... non riesco a evitare gli occhi
666 il numero della Bestia
666 il numero per me e te

vengo di nuovo ritornerò
ti possiederò e ti farò bruciare
ho il fuoco ho la forza
ho il potere di liberare il male

giovedì 23 giugno 2011

BENEMERITI STUPRATORI

Non è la prima volta che nel blog si parla di violenza poliziesca,e la più infame e miserabile è quella compiuta nei confronti delle donne sia in stazioni o comandi di quelle che dovrebbero essere le forze dell'ordine sia nei tanto famigerati lager di detenzione per migranti,i Cie.
Due esempi presi a caso da questo sito(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/search?q=addesso e http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2009/11/violenza-contro-chi-non-vuole-piu.html )si aggiungono al resoconto tratto da Senza Soste in cui si parla dell'arresto del maresciallo della benemerita merda dei carabinieri Massimo Gatto,presunto stupratore seriale di almeno undici donne avvenuti nelle stanze della caserma da lui comandata.
Vedremo se le indagini porteranno alla colpevolezza e ad una condanna esemplare di questo tutore del disordine,vigliacco nel suo modo d'agire dentro e fuori la cloaca della sua sede di"lavoro":è ora di finirla di leggere sui giornali e vedere in televisione questi comportamenti che puntualmente si concludono in un nulla di fatto.
Proprio domani a Torino comincerà il raduno nazionale dell'arma in una tre giorni di:sperpero di denaro pubblico,autoincensamenti di onori,di correttezza civica e morale(purtoppo la minor parte della loro attività)e che invece vedono sempre più invischiati assassini,torturatori,spacciatori e stupratori.
D'altronde lo si è sempre cantato:la disoccupazione vi ha dato un bel mestiere,mestiere di merda...carabiniere!

Comandante dei carabinieri violenta 11 donne
Massimo Gatto, maresciallo dei carabinieri: sarebbe, costui, un vero esempio di correttezza civica e morale, secondo gli scopi dell’Unione nazionale cavalieri d’Italia, di cui è vicepresidente nazionale e presidente provinciale? Riportiamo, così com’è, la notizia Ansa sull’ennesimo stupratore (seriale) in divisa.
Abusi su arrestata, militare in manette. Comandante carabinieri violenta 11 donne
MILANO – Era arrivata in Italia da pochi giorni dalla Polonia, senza conoscere una parola di italiano. L’avevano subito arrestata per un banale furto in un centro commerciale e poi portata nella cella di sicurezza di una stazione dei carabinieri, in attesa del processo.
E’ stato proprio là, in quella caserma in un piccolo comune alle porte di Milano, che la ragazza, appena 19 anni, è andata incontro stando alle indagini della Procura milanese a una terribile umiliazione: abusata per due giorni dal militare più alto in grado. Così il comandante della stazione dei carabinieri di Parabiago, Massimo Gatto, 47 anni, è finito oggi in carcere per aver costretto la ragazza a subire 48 ore di violenze. Ma non solo.
Emerge dalle indagini coordinate dal procuratore aggiunto, Pietro Forno, e dal pm Cristiana Roveda oltre dall’ordinanza firmata dal gip Enrico Manzi, che il maresciallo sarebbe anche un violentatore seriale. Nei capi di imputazione, infatti, gli vengono contestati altri sei episodi nei confronti di altrettante donne di cui l’uomo avrebbe abusato o che avrebbe cercato di molestare.
Prostitute o donne che per una denuncia o per un consiglio si erano presentate in caserma. Inoltre, gli investigatori del nucleo operativo del Comando provinciale di Monza hanno individuato altre quattro donne che hanno subito abusi dal militare, alla fine degli anni ’90. In questo caso, pero’, i fatti di reato risultano prescritti.
Il sospetto degli inquirenti inoltre è che ci siano anche altre vittime e per questo Forno, che guida il pool ‘reati sessuali’, ha lanciato un invito a tutte “le persone che hanno avuto esperienze similari” di rivolgersi ai carabinieri o alla stessa Procura di Milano. La ragazza polacca era stata arrestata il 15 gennaio scorso per aver rubato dei giochi elettronici in un centro commerciale. E’ stata rinchiusa nella camera di sicurezza della stazione, in attesa del processo per direttissima. Il comandante Gatto, stando all’ordinanza, le si è subito avvicinato, invitandola a uscire dalla cella per fumarsi una sigaretta con lui in bagno, dove poi sarebbero avvenuti gli abusi. Ripetuti anche nelle ore successive e il giorno seguente, non in cella ma sempre dentro la caserma. La ragazza dopo aver patteggiato la pena il 17 gennaio in Tribunale, si è precipitata negli uffici della Polfer di Milano per presentare la denuncia per le violenze subite. Denuncia che è stata trasmessa al pm di turno che ha subito ascoltato il racconto della giovane.
Gli inquirenti hanno poi raccolto le testimonianze dei colleghi del comandante, dalle quali è emerso che l’uomo poteva aver avuto gli stessi atteggiamenti con altre donne, le quali invitate a denunciare in passato, non l’avevano fatto. Sentite dai pm nell’inchiesta, però, sei donne, tra cui due sorelle, hanno raccontato di aver subito violenze o tentativi di violenza, tra il 2004 e il 2010. Tra queste, emerge dall’ ordinanza, ci sono una prostituta romena, una ex prostituta che si era presentata in caserma per una denuncia, un’altra donna che era andata nella stazione per un problema con la patente, altre due che si erano presentate per una denuncia.
Infine, anche una donna che era andata nella stazione a esporre la sua difficile situazione coniugale. In più, i pm sono riusciti a ricostruire anche gli abusi sessuali subiti da altre quattro donne negli anni Novanta, ma quei fatti sono oramai prescritti. Gatto è accusato di violenza sessuale aggravata per aver agito nei confronti di una persona in stato di privazione della libertà, di concussione sessuale e perquisizione arbitraria, perché avrebbe perquisito la ragazza straniera, quando già era stata controllata da un militare donna. L’interrogatorio di garanzia è fissato per venerdì [nel carcere di San Vittore] davanti al gip Manzi. (Fonte: Ansa 22 giugno 2011)

mercoledì 22 giugno 2011

MA CHE PADANIA?

Oggi le immagini proprio non vogliono farsi caricare,vedremo più avanti,comunque oggi partendo dalle dichiarazioni razziste di Bricolo portavoce leghista al Senato dove non ha sprecato parole di disprezzo nei confronti dei clandestini e degli immigrati e di quelli che non parlano un dialetto delle valli quasi(non che manchino i compagni pure lì),si riaffermano le ultime grida partite da Pontida di un animale ferito e presto morto.
I soliti copricati cornificati,le spade di plastica e gli scudi di legno oramai fanno parte del folcklore e della leggenda di un movimento che non durerà più di trent'anni,con il destino segnato da una involuzione politica che al posto di cercare orizzonti e margini sempre più ampi si chiude a riccio nel provincilismo più bieco ed ignorante.
Cari padanici è giunto il momento di tirare i remi in barca o di emigrare visto che i veri stranieri in Italia siete voi,non vi cagano nemmeno più gli altri alleati della maggioranza e pure il resto degli italiani sono stufi di sentire che ne avete piene le balle o che volete molta gente fuori dalle balle:a furia di voler cacciare via gente,odiare chi è immigrato oppure diverso per fede religiosa,scelta politica o sessuale o chi ha il colore della pelle diverso dal vostro siete diventati voi i discriminati e gli emarginati.
Solo che siete troppo ignoranti per poterlo capire,quindi fate un favore all'intera umanità tacendo per sempre oppure seppellendovi nella merda di cui vi cibate e che continuate a gettare addosso a tutti.
Articolo sulla fine di una terra che non esiste,per l'appunto la padania,tratto da Senza Soste.
Pontida, la Lega finalmente verso il binario morto
Guardando le immagini del raduno di Pontida, il ventiduesimo o il venticinquesimo a seconda delle stime, ci si chiede davvero come sia stato possibile che un partito come la Lega sia stato preso sul serio oltre la val Trompia o la val Brembana.
Già, perchè la Lega che esce dal raduno di Pontida del 2011 è niente più di un partito valligiano. Le cui grida di secessione, lanciate dalla base al raduno annuale, hanno il valore politico di un partito che è fuori dal governo delle grandi metropoli del nord e complessivamente minoritario, e non di poco, se si considerano i voti di tutti i partiti dalla Liguria al Friuli Venezia Giulia. Insomma, la Lega è ottima per lo spettacolo televisivo del fine settimana, per dirette e talk show, ma politicamente è ormai alla fine di una bolla speculativa dilatatasi per un ventennio oltre ogni ragion d'essere. Si guardi al calendario politico di queste ultime settimane: il collasso dell'occupazione, la crisi greca, l'elettorato che in massa ha liquidato il centrodestra sono tutti fenomeni che, secondo la Lega, potrebbero essere affrontati con lo spostamento di quattro ministeri al Nord e qualche sgravio fiscale agli artigiani. Evidentemente siamo al marketing politico artigianale per un partito nazionale dei valligiani. Ma con una differenza però. Per un ventennio la Lega ha costruito, in un paese che si faceva tanto più provinciale tanto più i problemi si facevano globali, egemonia culturale e senso comune. Oggi il Carroccio parla un linguaggio che, a parte le battute, è impermeabile non solo agli italiani ma anche alla stragrance maggioranza degli abitanti del nord.
Non se ne è accorta la tv, che registra sempre i fenomeni in ritardo, e nemmeno il Pd che non ha mai avuto una grossa confidenza con la realtà. Ma i fatti sono testardi: la Lega, a differenza dell'ultimo ventennio, sta dimostrando da sola che non è più politicamente nè socialmente decisiva per formare governi.
Probabilmente per questo motivo non ha staccato la spina a Berlusconi. Per rimanere nell'unica combinanzione possibile di potere che gli garantisce rendita di posizione. Ma tutte le rendite in politica finiscono e adesso sta suonando la campana della fine della rendita della Lega. Per questo meglio neanche rimarcare più di tanto che Maroni, a Pontida, ha parlato di Padania indipendente. Niente male per il ministro degli Interni di un altro paese. Segnamoci questi dettagli perchè la Lega ha riscritto interi capitoli del ridicolo in politica che vanno conservati a futura memoria. Come va conservata menzione di tutti quelli che l'hanno presa sul serio come "partito dei ceti produttivi", del "federalismo", del "Nord". Nessuna di queste categorie è applicabile alla Lega. Che invece ha rappresentato l'ultimo sussulto della cultura dell'Italia bigotta, consumista e rurale del nord, in abito postmoderno e allargato ai ceti urbanizzati impauriti dalla crisi. Un sussulto oggettivamente non in grado di ridefinire l'architettura costituzionale di un paese, di rilanciarne la capacità di produrre ricchezza e meno che mai di assorbire conoscenza (prerequisito per il rilancio di qualsiasi paese). La Lega, quanto l'esperienza Berlusconi sarà finita, si candiderà così ad essere l'MSI, su base etnico-regionale, del XXI secolo. Un pacchetto di voti, ricavati da un consenso identitario, fuori dai grandi schieramenti talvolta utilizzato per scopi incoffessabili. Con una rete locale di sindaci che si distinguerà più per il sinistro folkore di qualche provvedimento che per la capacità di incidere sulla vita dei propri territori. In fondo, visto lo spessore politico-culturale della Lega, per tacere di quello umano, anche troppo.
per Senza Soste, nique la police
20 giugno 2011

martedì 21 giugno 2011

IL PERU' E IL SUO AVVENIRE


Il parallelismo tra la storia recente peruviana e quella sudamericana in generale si nota in questo post che è un aggiornamento su quello che politicamente sta accadendo nella parte meridionale del nuovo continente,dove a piccoli passi"el pueblo"si sta riprendendo in mano il proprio destino e futuro.
La vittoria di Ollanta Humala nello stato andino dopo i ballottaggi di inizio giugno contro Keiko Fujimori,la figli dell'ex dittatore che ha padroneggiato per parecchi anni,è il segno di una discontinuità con amicizie statunitensi e capitaliste,un ritorno alle origini con una maggiore attenzione agli indigeni che potranno avere benefici e vantaggi e non espropri,botte ed assassinii come avvenuto fino a non molto tempo fà.
E fa parte dell'immediato passato(ancora attivo)pure il movimento comunista di Sendero Luminoso(più info su Wikipedia:http://it.wikipedia.org/wiki/Sendero_Luminoso )cui voglio riportare un omaggio e un tributo alle molte persone trucidate durante una rivolta carceraria avvenuta nell'arco di una notte di venticinque anni addietro massacrate dal regime fascista:maggiori dettagli si possono leggere approfittando dell'articolo di Senza Soste che è la fonte pure del secondo contributo.

19 giugno 1986: Sendero Luminoso e la "matanza de los penales".
La notte tra il 18 e il 19 giugno i militanti di Sendero Luminoso, partito comunista peruviano, rinchiusi nelle carceri di Lurigancho, EL Fronton e Santa Barbara si ribellano al durissimo regime carcerario a cui sono sottoposti, riuscendo a neutralizzare e prendere prigioniere alcune guardie.
Le richieste dei carcerati sono molteplici: il riconoscimento di status di prigionieri di guerra, il miglioramento del vitto,l'accelerazione dei processi e le visite familiari,ma soprattutto il rifiuto del trasferimento nella nuova struttura-lager denominata Castro Castro, in costruzione nei pressi di Lima, in cui temevano di essere uccisi.
La risposta del governo fascista peruviano è durissima, vengono fatte intervenire le forze speciali dell'esercito in tutte e tre le strutture carcerarie e praticamente tutti i detenuti fatti prigionieri verranno successivamente massacrati.
A Lurigancho i prigionieri, che sono riusciti ad impadronirsi del carcere, vengono avvisati dal direttore che hanno 10 secondi per arrendersi, in caso contrario ci sarà l'intervento della Guardia Repubblicana. Dieci secondi dopo la squadra fa saltare la porta metallica ed esplodere una parete ed entra nel carcere. I detenuti rispondono alle esplosioni delle granate e alle raffiche di mitragliatrice lanciando di molotov. Durante la strenua resistenza portata aventi dai prigionieri per molte ore muoiono una trentina di carcerati. Quando gli altri si arrendono ed escono dal carcere con le mani alla nuca, un membro dell'esercito spara ad un detenuto arreso: si susseguono spari alla bocca o alla nuca. Tutti i 126 carcerati che hanno preso parte alla rivolta, anche coloro che si sono arresi, vengono portati nel cortile del carcere e fucilati.
A El Fronton, invece, i senderisti riescono a prendere prigioniere sei guardie carceraire e ad impadronirsi delle loro armi: e la resistenza prosegue per tutto il giorno. Alle sei del pomeriggio prende il via l'operazione da parte delle forze della Marina, che bombarda i padiglioni del carcere. I prigionieri, sapendo che la rivolta a Lurigancho è stata sedata nel sangue e che tutti i detenuti sono stati uccisi, si rifiutano di arrendersi. Dopo numerosi tentativi di dialogo falliti, il giorno successivo si realizza un nuovo assalto, che costringe i sopravvissuti ad arrendersi. I detenuti escono dichiarando la resa, ma vengono suddivisi a gruppi di cinque, portati nel cortile del carcere e fucilati. A El Fronton muoiono 140 compagni.
Nel carcere femminile di Santa Barbara le rivendicazioni delle detenute sono le stesse: l'operazione viene portata avanti dalla polizia. Alle undici l'irruzione avviene da tre punti, la porta esterna, il terrazzo e il dormitorio delle guardia. Le compagne, barricare in una sezione del carcere, si difendono con lance e frecce costruite artigianalmente. Le truppe entrando sparando raffiche di mitragliatrice che uccidono due detenute che sono costrette, dopo ore di durissimi scontri, ad arrendersi definitivamente.
tratto da http://www.infoaut.org

Ollanta Humala: dal Perù un altro schiaffo al neoliberismo.

Domenica 4 giugno, il giorno del ballottaggio delle presidenziali peruviane, l’esponente conservatore Pedro Pablo Kuczynski, arrivato terzo al primo turno e relegato al ruolo di opinionista, si domandava in tutti gli studi televisivi come potesse accadere che un Paese con alti indici di crescita e senza inflazione potesse votare un candidato come Ollanta Humala.
Forse ha potuto accadere perché i discorsi sulla crescita e sull’inflazione ormai sono minestra riscaldata, e non incantano più nessuno neanche in Perù: su una popolazione di 28 milioni di abitanti, più di dieci milioni vivono in povertà, e sono aumentati del 60% nell’ultimo quinquennio, soprattutto nelle aree più svantaggiate, in particolare le comunità indigene che secondo la· Banca Mondiale comprendono tra il 25 e il 48% del totale della popolazione. Inoltre un terzo dei cittadini non dispone di acqua e fognature, Lima fa registrare uno degli indici di tubercolosi più alti al mondo, il dengue è molto diffuso e i bambini denutriti sono il 30%. E dall’altro lato della medaglia tra il 2006 e il 2010 più di 37 miliardi di dollari sono usciti dal Paese sotto forma di profitti delle multinazionali dell’industria estrattiva presenti in Perú.
Humala ha promesso di distribuire meglio le immense ricchezze del Paese, rappresentate dai giacimenti di argento, rame, zinco, stagno e oro. E ha anche promesso che impedirà di depredare e svendere queste risorse. La gente si aspetta che faccia qualcosa per alleviare la povertà e la miseria, l’analfabetismo e le malattie che affliggono la maggioranza dei peruviani.
L’avversaria di Humala era Keiko Fujimori, figlia del presidente dittatore degli anni ’90, candidata dell’ortodossia neoliberista. Gennaro Carotenuto la descrive così: “E’ una figura di nessuno spessore, una prestanome, non tanto del padre che pure libererebbe dal carcere dove sconta la sua pena a 25 anni per assassinio, violazioni dei diritti umani e corruzione, ma dei poteri forti facilissimi da identificare con un tuffo all’antico e con un elenco solo apparentemente stantio: multinazionali straniere, soprattutto del settore estrattivo e delle comunicazioni; élite peruviana che controlla il sistema mediatico più razzista del continente, ambasciata degli Stati Uniti.
Ollanta Humala ha vinto sostenuto dalla coalizione Gana Perù che ha ottenuto 47 seggi su 130 in parlamento e sarà dunque costretta a costruire un'ampia alleanza di partiti per poter governare. In occasione del ballottaggio Humala si era assicurato l’appoggio dell’ex presidente Toledo, un altro degli eliminati al primo turno, e perfino dello scrittore Mario Vargas Llosa, anticomunista viscerale, fanatico detrattore di tutti i governi di sinistra latinoamericani, la cui posizione forse si spiega soltanto con il fatto che anni fa Vargas Llosa avrebbe voluto diventare presidente lui stesso ma trovò a sbarrargli la strada proprio Fujimori.
La sinistra tradizionale, la nuova sinistra, intellettuali, organizzazioni civiche e un settore liberale antifujimorista sono confluiti nello schieramento di Ollanta Humala. Un ampio fronte sociale che ha di fronte a sé un compito difficilissimo: avviare un processo di cambiamento verso un modello che assicuri una migliore distribuzione della ricchezza. Gli economisti di Humala parlano di riforma fiscale, di lotta alla corruzione e contro l’evasione fiscale come principali strumenti per ottenere le risorse necessarie. In futuro forse si potrà parlare di una nuova Costituzione, dato che Perù e Cile sono gli unici Paesi latino americani che conservano quasi inalterate le costituzioni elaborate da una dittatura, ma attualmente è prematuro parlarne e l’ancora fresco ricordo del referendum venezuelano dovrebbe consigliare cautela. La sfida principale sarà quella di “eludere” il Trattato di Libero Commercio firmato con gli USA nel 2009 che costituirà una palla al piede di non poco conto.
Humala potrà contare sull’appoggio degli altri Paesi progressisti del continente, dai confinanti Ecuador e Bolivia, con cui si sta creando un’interessante dorsale andina post-neoliberista, al Venezuela e soprattutto al Brasile.
Il presidente venezuelano Chávez aveva sostenuto con molto vigore Humala alle elezioni di cinque anni fa, e secondo alcuni commentatori la radicalità dell’esperienza bolivariana aveva spaventato una parte dell’elettorato peruviano. In queste elezioni Humala si è appoggiato a consulenti del PT brasiliano e a parere di molti il vero vincitore è proprio il governo di Dilma Rousseff, che ha in ballo con il nuovo mandatario andino diversi affari di grande rilievo economico e politico (vedi la traduzione che abbiamo pubblicato sul nostro sito dopo il primo turno http://www.senzasoste.it/le-nostre-traduzioni/il-5-giugno-ballottaggio-in-per-svolta-a-sinistra-con-ollanta-humala).
Sempre in una logica internazionale i grandi sconfitti sono soprattutto gli Stati Uniti, la cui scacchiera continua a perdere pezzi e per i quali, a parte il Cile riconquistato di recente dalla destra, da quelle parti l’unico vero alleato rimasto è la solita “portaerei Colombia”.
L’uscita di un Paese così importante dall’orbita degli USA e dall’economia neoliberista è comunque il tratto fondamentale e più entusiasmante delle elezioni peruviane e ci pare decisamente ingeneroso Gennaro Carotenuto quando descrive Ollanta Humala come “l’ex-militare con qualche scheletro nell’armadio e un discorso pubblico con tratti autoritari e nazionalisti”, invitando a votare per lui turandosi il naso. Abbiamo visto di meglio, ma anche di peggio.
Per Senzasoste Nello Gradirà
7 giugno 2011
Nota: alcuni brani sono tratti da articoli del portale www.rebelion.org, che invitiamo a consultare per approfondimenti

lunedì 20 giugno 2011

L'ANARCHIA NEL PALLONE

Post storico calcistico che guarda principalmente all'Argentina con incursioni in tutto il mondo con la storia di alcuni clubs più o meno noti che hanno avuto la medesima nascita avvenuta grazie all'impegno di alcuni anarchici che si sono raggruppati dando battesimo a tali società.
Tratto da Senza Soste l'articolo pone lo stretto rapporto tra la vita politica e quella sportiva,legata a doppio filo,in cui almeno nei primi anni di esistenza,ha saputo creare un'unione di persone animate dagli stessi desideri,passioni ed ideologie.
Tali squadre,tutte nate in quartieri popolari,hanno attinto proprio in tali luoghi sia i loro primi giocatori che i propri tifosi,arrivando in alcuni casi al top del livello calcistico mondiale come nel caso dell'Argentinos Juniors.

Calcio e anarchia.

Il calcio, come tutti sanno fu inventato il Inghilterra e poi 'esportato' nel resto del mondo dai marinai e dagli operai specializzati incaricati di rigenerare ogni giorno il capitale della borsa di Londra. In Buenos Aires, lo giocarono gli operai dei cantieri navali, i ferrovieri e i panettieri, affiliati alla Federacion Obrera Region Argentina, un sindacato capace in appena tre anni, di dichiarare 775 scioperi. E ad essa, fanno in riferimento squadre come ‘ Los Martires de Chicago’, che poi diventerà ‘ Los Argentinos Juniors’ fondata il 15 agosto dell’anno 1904 in una biblioteca anarchica del quartiere della Avellaneda, il quartiere proletario per eccellenza. I‘ Martires’, vincono 2-1 contro il ‘Sol de la Victoria. E l'anno dopo patiscono la sconfitta più disastrosa , contro ‘La Prensa’. La squadra dell'odiatissimo e reazionario quotidiano di Buenos Aires.I giocatori vestono una maglia nera con una stella rossa , mentre il nome di ‘Martiri’ ricorda i cinque anarchici condannati a morte e impiccati a Chicago il 4 maggio del 1886.
Malgrado in tutto il mondo nascessero squadre di forte impronta anarchica, come l’Hayduk di Spalato che si chiamava in origine ‘Anarkho’o il ‘Libertarios futebol clube’ della città di Santos in Brasile, il movimento , per quanto riguarda il calcio si divideva. Ma gli operai che praticano uno sport, di quelle polemiche non se ne danno per inteso e men che meno gli anarchici di Buenos Aires, loro vogliono continuare a giocare a calcio.La squadra dei ‘ Martiri’ passa con grande disinvoltura da sconfitte disastrose a vittorie folgoranti. In questa altalenanza di risultati non è estraneo il modulo di gioco adottato. La squadra si dispone con un 2-3-5, e con un modulo come questo, non può che andare in questo modo. Il primo maggio del 1906, sempre all’ Avellaneda, nasce l’Independiente. Il club lo fondano gli impiegati di un magazzino inglese, il ‘Ciudad de Londres’ che si proclamano ‘Indipendenti dai padroni’ I 'Martiri' si sono fatti ormai un nome tra i tanti club che stanno nascendo allora a Buenos Aires, tanto che nel 1912 viene loro proposto di entrare a far parte della Liga Central. Proposta che i dirigenti e i giocatori rifiutano con sdegno, perché loro in prima divisione ci vogliono arrivare per meriti sportivi e non certo per decreto.
I ‘Martiri’ vivono con spasmodica attesa la partita contro il ‘Club Sportivo Palermo’. Il ‘Palermo è infatti la squadra della borghesia che vive e lavora nel quartiere omonimo. E’ in quel quartiere che il 25 gennaio 1923 Kurt Gustav Wilckens ammazza il colonnello Varela. ‘Ha ucciso i miei fratelli’ dice ai poliziotti che l'hanno appena arrestato e tutti capiscono subito cosa egli intende dire. Varela ha fatto ammazzare in Patagonia due anni prima più di 2000 braccianti.Nascono anche altre squadre di calcio come quella fondata da Tomas Basanez lo scudo, i colori erano quelli anarchici e a Buenos Aires i suoi tifosi sono conosciuti come i ‘defensores de la huelga’, perché fanno da servizio d’ordine ai picchetti e alle manifestazioni operaie.E’ stato fondato anche il ‘Chacarita’, in una biblioteca anarchica del Barrio Independencia, nei pressi del più grande cimitero della città. Dove fu sepolto Severino Di Giovanni l’anarchico fucilato dalla dittatura. Nel 1925 fu inaugurato in avenida de San Martin y Punta Arenas il nuovo stadio.
Ma ormai tutto cambiava. Negli anni ’30 cominciava ad affermarsi il professionismo e il calcio proletario spariva. Cominciarono quelli del ‘River ’quando nel 1932 acquistarono per una cifra inaudita un centravanti .Anche lo Juniors si adeguò e cominciò a comprare e a vendere giocatori.E soprattutto abbandonò il quartiere che lo aveva visto nascere, trasferendosi al barrio della 'Paternal' nel centro di Buenos Aires. Lo 'Juniors' cominciò anche a vincere. Conquistò infatti il torneo del 1984, il campionato nazionale del 1985 e quello del 2010. Vinse anche una coppa 'Libertadores' e una 'Interamericana'. Tra i tanti vi giocò il divino Diego che con 116 reti è anche il miglior marcatore nella storia del club.Lo 'Juniors' era però diventato un club come tanti altri e nulla ormai ricordava quello che era stato un tempo. Però, come quasi sempre succede nella storia, ci sono dei fili sottili e tenaci da dipanare. Esistono infatti club che si rifanno a quei tempi.Oggi del calcio che fu dei 'Martiri' e di tante altre squadre , se ne trovano tracce. In Brasile, nella squadra del 'Primo Maggio' che si definisce: 'Anarchico-Autonoma' . La ‘Rash Skinheads Rojos y Anarquistas’, la ‘rete’ degli skinheads ha gruppi sportivi anche ad Oaxaca, la città messicana che da anni si autogestisce e che resiste allo stato messicano. Nella San Francisco Bay c'è l’ ‘Anarchist Soccer League’.La squadra migliore che partecipa al campionato è il ‘Kronstadt’, chiamata così in onore dei marinai rivoluzionari.
Un compagno del ‘Kronstadt’, prima di una partita, rispondendo a un intellettuale, supponente come lo sono di solito quelli di sinistra , che gli chiedeva se il gioco del calcio non lo allontanasse dalla rivoluzione , ha risposto:‘ Se non posso giocare a calcio, non voglio avere nulla a che fare con la tua rivoluzione’.Non si sa quale sia stato il risultato finale di quella partita ma in fondo non importa.
tratto da Senza Soste n.59 (aprile 2011)

venerdì 17 giugno 2011

IL CIRCO DOMENICA SI FERMA A PONTIDA

Ebbeni sì,anche quest'anno il grande circo dei mostri padani farà bella mostra(scusate il gioco di parole)in quel di Pontida domenica prossima,dove senza tendone ma con bestie,clowns,scherzi della natura(non i freaks)armati di spada,corna e scudi sfileranno sotto al palco dove grugniranno l'élite della rappresentanza della sega nord.
E che sbraiteranno codesti cancri della società italiana se non ricatti contro il regime,odio verso il diverso e razzismo straripante e roboante,il tutto annaffiato da alcol(anche se certi cervelli rimangono d'idiozia purista ed essenziale senza aiuto etilico)e da chissà quali sostanze attinte direttamente da calderoni stile Asterix o da magiche ampolle di sacre acque.
Per un giorno all'anno questi cavalieri,guerrieri e combattenti in salsa verde monopolizzeranno il menù dei titoli dei telegiornali suscitando interesse e pubblicità secondo le linee direttive delle reti che le trasmetteranno:io mi auguro potesse piovere una bella cascata di merda scrosciante sulle loro teste,tanto da poter confondere eternamente sterco su sterco in un abbraccio divino con sottofondo musicale wagneriano.
Come controproposta all'evento della località bergamasca ecco un controevento organizzato per la prima domenica di luglio a Brenta,una location più vicina a Gemonio terra natìa dell'Umberto nazionale(ops!,padano!)con la locandina posta proprio qui sotto prima del graffiante e ironico commento di Don Zauker che per l'occasione ha attinto molto a Tolkien ed al suo Signore degli anelli.
Pontida Comics.

Ritorna anche quest’anno il più grande appuntamento per gli appassionati di fantasy, giochi di ruolo, combattimenti tra elfi oscuri e commercialisti in nero, evasione fiscale, luoghi comuni e razzismo.
Sì, stiamo parlando dell’ormai consueto Festival di Pontida Comics, dove orde di orchi, elfi, nani e concessionari Dacia si raduneranno per avere per una volta l’impressione di vivere nel loro mondo immaginario, degno del miglior Tolkien.
La loro Terra di Mezzo si chiama Padania, e al pari di quella creata dall’estro dello scrittore inglese, è una regione geografica completamente inventata con un cocktail di riti, tradizioni e popolazioni anch’esse partorite dal magico mondo della fantasia e dell’opportunismo.
Come al solito, la manifestazione sarà aperta a tutte le influenze.
Sì, perché questi padani si sentono vicini agl’irlandesi (per via del colore verde), ma anche ai baschi (per via della volontà indipendentista), così come ai druidi (con i cui riti celebrano i loro matrimoni e battesimi, pur professandosi ardentemente cattolici), ai vichinghi (per via delle corna), ai normanni (non sanno perché, ma gli piace il nome), e ai nazisti dell’Illinois (per via di Borghezio). C’è da dire, altresì, che nessuno di questi popoli e organizzazioni vuole essere vicino a loro, perché se ne vergognano.
La popolare kermesse sarà animata dai famosi canti padani, tipo “Pota Pota”, “O mia bela madunina” e altri canti leghisti e da combattimenti tra Uruk-hai di Isengard contro Odontotecnici di Biella.
Verranno serviti i tradizionali e saporitissimi piatti padani, come la polenta e… ehm… la polenta con qualcos’altro dentro… e poi… e insomma, il gran finale sarà dedicato al discorso del loro grande leader e guida spirituale: l’Ümbert.
Quest’anno in particolare il discorso è poi attesissimo, per il clima di tensione creato con un’accuratissima campagna stampa che ha fatto crescere l’hype per la performance di Bossi a livelli di guardia; ma noi siamo in grado di svelarvene in anteprima alcuni dei passi più importanti.
“Padani… rrrrgghh… figli del Dio Po, ma feroci difensori della fede Cattolica e del Santo Padre, tranne qüando dice cose che non ci tornano comode, come con i referendum e l’accoglienza per gl’immigrati, oggi è il giorno in cüi… bleah… grunf… brott… sput… negri di merda… zingaropoli… noi abbiamo centomila fucili e… granf… Roma ladrrronaaargh… stacchiamo la spina… föra dai ball… musulmani bedüini… cülo… governo… A casa… popolo sovrano… moschee, zingari, rapine nelle ville… ministeri al nord… ponte di Messina a Bergamo alta… immigrati di merda… secessione… riforma fiscale… taglio tasse… l’Islam… i finocchi… guerracivile… glob… broooot… arf… arf… cüüülo… coglioni… stronzo… federalismo… Napoletani südici… spazzatura… sinistra di merda… noi ce l’abbiamo düro… governo… NOI SIAMO STUFI!
A questo punto dovrebbe levarsi
il latrat l’urlo di ovazione del popolo padano, qualche Nazgul e alcuni impiegati dell’INAIL e tutti potranno tornarsene a casa contenti.
Il popolo verde a lavorare dalla mattina alla sera e i loro capi a servire con umiltà e obbedienza, come hanno sempre fatto, l’amico Silvio. Senza il quale non sarebbero mai potuti andare a Roma ladrona e viverci per circa 15 anni da veri signori, in culo alla Padania e a quei sempliciotti che quando Bossi saluta alzando il dito medio si esaltano guardandolo, quel dito, invece della Luna.

giovedì 16 giugno 2011

COMPAGNO GABBIANO

Non che prima della lettura tratta dal quotidiano genovese"Il secolo XIX"i gabbiani non mi piacessero ma dopo la descrizione dell'accaduto di queste ultimi giorni mi stanno molto più simpatici oltrechè aver guadagnato molti punti nella scala delle mie preferenze animalesche.
Infatti la polizia penitenziaria ha il suo bel da fare contro dei disobbedienti gabbiani che nel carcere di Marassi attaccano le guardie ad ogni cambio turno arrivando al punto di dover indossare dei caschi protettivi.
Il motivo di tali aggressioni sta nel fatto che molti di questi uccelli hanno nidificato in alcuni anfratti del carcere e che quindi cercano di difendere la prole,ma come nel film"Gli uccelli"di Alfred Hitchcock c'è una frase che dice:"Ma signora,assalire è una parola un pò grossa:gli uccelli non hanno mica l'abitudine di assalire la gente senza motivo"e voglio sognare che questi gabbiani attacchino gli sbirri proprio perchè siano dei compagni pure loro,per difendere a loro modo i carcerati stipati tra le celle in numero quasi il doppio del consentito.
E dopo i barbagianni decantati dai Punkreas ecco ora i leggiadri,ispiratori e protagonisti di tante storie di mare i gabbiani,che dall'alto del loro planare ci guardano e proteggono contro chi ci vuole del male.

Gli uccelli contro le forze dell’ordine.

I gabbiani all’attacco dei poliziotti di Marassi.

Genova - Dal mare al penitenziario: i gabbiani reali di Marassi, ad ogni cambio di guardia
degli agenti, non perdono occasione per attaccarli. A parte i noti problemi delle Case Rosse,
che ospitano, con carenza di personale, oltre 800 detenuti contro i 450 posti regolamentari, la polizia si trova davanti a questa ulteriore «fastidiosa criticità».  
 
Gli uccelli, non proprio uccellini, con un’apertura alare di circa 150 centimetri e un becco potente, hanno nidificato sul tetto del carcere, e quando i poliziotti della penitenziaria si danno il cambio di guardia nelle garitte collocate vicino al luogo dove sono stati costruiti i nidi, un gabbiano alfa lancia un grido dal muro dello stadio. Accorrono quindi i compagni, e aggrediscono l’agente che si avvicina al nido.
I poliziotti sono stati così costretti a dotarsi di caschi al momento del cambio della guardia.
«La cosa può far sorridere - scrive Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe -, ma crea non pochi problemi ai colleghi, tanto che, per garantirne l’incolumità, sono stati messi a loro disposizione dei caschi che abitualmente non usiamo per quel tipo di servizio armato». La questione è già da tempo stata posta all’attenzione alla Direzione del carcere, ma in Liguria c’è una legge regionale che tutela la nidificazione, e non sarà possibile rimuovere il nido, almeno fino a quando i piccoli non saranno cresciuti.

mercoledì 15 giugno 2011

SVOLTA NELL'INDAGINE SULL'ASSASSINIO DI AZIZ AMIRI

L'anno scorso appena accaduto il fatto della morte del giovane Aziz Amiri avvenuta per mano di un merdoso carabiniere s'era già capito che qualcosa fosse stato accuratamente insabbiato nelle indagini(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/search?q=mornico+)ed ora a distanza di un annio e mezzo ecco trapelare,dal lavoro svolto dall'avvocato dei familiari della vittima e soprattutto dall'eco che il caso ha avuto negli Usa tanto da essere etichettato da Hillary Clinton come omicidio controverso(per privazione arbitraria o illegale della vita)molto più di un'ombra su una morte che è stata etichettata come incidente troppo in fretta.
Quella sera a Mornico al Serio i fatti non sono stati raccontati troppo dettagliatamente,molte lacune sono emerse(da parte della difesa dei rappresentanti del diciottenne marocchino)mentre il Pm Maria Cristina Rota aveva richiesto l'archiviazione del caso a marzo:per la cronaca rimando ai primi due articoli tratti da Indymedia Lombardia che richiamano pure l'accusa del Dipartimento di Stato statunitense.
L'ultimo articolo invece rilancia la tesi difensiva in quanto il carabiniere che ha sparato al ragazzo lo ha fatto con un'arma non d'ordinanza,quindi quasi un regolamento di conti(i due fermati quella sera a Mornico erano in possesso di cocaina)piuttosto che un colpo partito"accidentalmente"come scritto nei verbali di queste merde.
Già tra il 2005 ed il 2007 (http://www.bergamonews.it/bassa/articolo.php?id=18092)
la bassa bergamasca era stata teatro di giustizia fai da te su presunti casi di spaccio da parte di appartenenti alle forze del disordine che pestarono e rapinarono numerosi immigrati e quindi la matrice di questo che sembre essere sempre più un delitto volontario potrebbe avere risvolti più personali che altro.

Un altro caso Aldrovandi.
http://www.repubblica.it/cronaca/2011/06/13/news/ucciso_carabiniere-1760...

"Ucciso dal carabiniere
un altro caso Aldovrandi"
Gli avvocati: no all'archiviazione per la morte di Aziz. Il rapporto del Dipartimento di Stato Usa: "Omicidio controverso". La tragedia di un anno fa nel Bergamasco finisce nel rapporto americano sui diritti umani.

dal nostro inviato PAOLO BERIZZI

MORNICO AL SERIO (Bergamo) - Un "omicidio controverso". Firmato, Hillary Clinton. "Controverso" come i casi di Sandri, di Cucchi, di Aldrovandi. Un ragazzo che muore; uomini delle forze dell'ordine che finiscono sotto inchiesta. Per non perdere il filo che da una tragica notte a Mornico al Serio - tremila abitanti nella pianura bergamasca - porta a Washington negli uffici del Dipartimento di Stato americano, bisogna raccontare come ha smesso di vivere - da innocente - un ragazzo marocchino di 18 anni. Aziz Amiri. In un parcheggio di via Verdi sono le nove di sera del 6 febbraio 2010. L'unica colpa di Amiri è di essere seduto sul lato passeggero di un'utilitaria, una Peugeut 206, guidata da un connazionale che ha cinque anni più di lui e che per tentare di sfuggire ai carabinieri - in macchina ci sono 30 grammi di cocaina - inserisce la retromarcia e sperona l'auto dei militari (in borghese). Uno scende, cade a terra, si rialza, infila il braccio all'interno della Peugeut attraverso il finestrino abbassato; il guidatore marocchino (non è armato, riuscirà incredibilmente a scappare a piedi) prova a disarmare il carabiniere. A quel punto parte il colpo che uccide Amiri. Fin qui la cronaca.
La procura di Bergamo apre un'inchiesta. Il carabiniere, appartenente al nucleo operativo radiomobile di Bergamo, è indagato per omicidio colposo. Stando alla sua versione e a quella del collega impegnato con lui in un servizio antidroga - le uniche su cui si basano
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le indagini, le uniche disponibili, del marocchino fuggito non si è più avuta traccia - il colpo sarebbe partito accidentalmente. Ma a più di un anno restano molti punti oscuri nella ricostruzione della vicenda messa a verbale dai militari. A partire dallo sparo. Uno solo, secondo i carabinieri. Due, addirittura tre secondo almeno un testimone - un abitante della zona - che però non è mai stato sentito dal gip. Che cosa è successo davvero quella notte? Quanti e quali sono i dubbi da chiarire se persino il Dipartimento di Stato americano (diretto dal segretario di Stato Hillary Clinton) nel annuale rapporto dedicato al rispetto dei diritti umani ha classificato la vicenda di Amiri tra gli "omicidi controversi" (il delitto di Mornico figura nel capitolo titolato "privazione arbitraria o illegale della vita")?
C'è stato abuso di potere da parte del carabiniere che ha sparato? A breve il gip Bianca Maria Bianchi dovrà decidere, sulla base degli elementi acquisiti finora, se accettare o respingere la richiesta di archiviazione presentata a marzo dal pm Maria Cristina Rota. Due le alternative alla chiusura del caso: restituire gli atti alla procura per un approfondimento delle indagini oppure aprire un processo. "È doveroso fare luce sulla morte di Amiri - dicono l'avvocato Tatiana Burattin e il procuratore Paolo Bulleri, che difendono e rappresentano la famiglia della vittima -. Chiediamo di sapere la verità su quello che è successo. Oltretutto Amiri era il passeggero e cioè una persona innocente". Per fare nuova luce sull'omicidio il difensore del ragazzo marocchino ha presentato una relazione tecnica firmata da Alberto Riccadonna (caso Sandri-Spaccarotella e prima ancora Unabomber).
La perizia balistica solleva diversi interrogativi. Primo fra tutti: perché viste le circostanze (auto della vittima bloccata e guidatore non più al posto di guida) il carabiniere ha introdotto il braccio armato nell'auto perdendo il controllo dell'arma? La mossa appare quantomeno imprudente: i due marocchini non erano armati, ma in caso contrario cosa sarebbe successo? E se, viceversa, si fosse sospettato che la vittima potesse essere armata, introdursi all'interno della vettura non sarebbe stato un suicidio? "Si poteva intimare ad Amiri di uscire dalla vettura - in un momento in cui la situazione fosse completamente sotto controllo - senza doversi avvicinare a una distanza "rischiosa"", scrive Riccadonna. Altro dubbio: come è possibile che l'altro marocchino - appunto disarmato - sia riuscito a scappare a piedi sotto il naso dei due carabinieri uscendo dall'auto e allontanandosi? Era così difficile trattenerlo all'interno dell'auto? Nel rapporto del Dipartimento di Stato americano non si entra nei dettagli. L'omicidio di Amiri viene semplicemente definito "controverso". E si ipotizza un "uso sproporzionato della forza". Forse è già abbastanza.
(13 giugno 2011)
“Come Cucchi, Aldrovandi e Sandri”: ora la Clinton punta i riflettori sul caso di Aziz Amiri

da http://bgreport.org/?p=3514&utm_medium=facebook&utm_source=twitterfeed

Omicidio di Aziz Amiri a Mornico al Serio: verso l’archiviazione?
MORNICO AL SERIO (BG) – Il Dipartimento di Stato americano ha classificato l’episodio come “omicidio controverso”. Il caso Amiri figura nel capitolo titolato “Privazione arbitraria o illegale della vita” di un importante Rapporto (inglese – italiano) che il Dipartimento di Hillary Clinton dedica ogni anno allo stato dei diritti umani nei vari paesi del mondo. Paesi tra i quali l’Italia non fa certo eccezione. Nella lunga serie di episodi poco chiari finiti sotto la lente di ingrandimento dell’Amministrazione Obama il Rapporto 2010 cita, tra gli altri, i casi di Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri e Stefano Cucchi. Mentre in Italia il caso rischia l’archiviazione, a finire sotto osservazione negli USA è proprio ciò che accadde quella sera del 6 febbraio 2010, quando a Mornico al Serio in provincia di Bergamo, Aziz Amiri, ragazzo marocchino di 18 anni, rimane ucciso in circostanze ancora tutte da chiarire, per un colpo di proiettile sparato dall’arma di un carabiniere.
La versione dei fatti resa dai due militari coinvolti parla di un solo colpo partito accidentalmente in seguito ad una colluttazione. Ma a più di un anno dalle indagini restano molti punti oscuri nella ricostruzione della vicenda fatta dai due carabinieri.
Anzitutto sul numero di proiettili esplosi quella sera a Mornico non vi è alcuna certezza. Almeno un testimone ha dichiarato subito dopo i fatti di aver sentito il rumore di più di uno sparo di arma da fuoco. Forse addirittura tre. Ciò nonostante questa persona non sarebbe mai stata sentita dal GIP nel corso dell’indagine preliminare. E del resto non risulta che alcun residente della via in cui è avvenuto l’omicidio sia mai stato chiamato a testimoniare.
Anche la ricostruzione della dinamica dell’omicidio andrebbe maggiormente approfondita. Rimangono ancora senza risposta tutti i dubbi sollevati dal perito balistico di parte, uno dei massimi esperti italiani del settore, che può vantare nel suo curriculum importanti esperienze professionali in diverse indagini eclatanti: una su tutte il caso di Unabomber.
Elementi che sarebbe stato opportuno approfondire già nel corso dell’indagine preliminare: a breve il GIP Bianca Maria Bianchi dovrà infatti decidere, sulla base degli elementi acquisiti finora, se accettare o respingere la richiesta di archiviazione presentata a marzo dal PM Maria Cristina Rota. Due per il GIP le alternative alla chiusura del caso: la restituzione degli atti alla Procura per un approfondimento delle indagini oppure l’apertura del vero e proprio processo. Una decisione, quest’ultima, in cui certamente spera ora l’avvocato che difende le ragioni della famiglia Amiri, Tatiana Burattin, che ha presentato un’opposizione alla richiesta di archiviazione.
Giunto nel nostro paese da appena due mesi, Aziz Amiri quella sera era seduto sul lato passeggeri di una Peugeot 206 in compagnia di un connazionale. L’auto ferma, davanti al marciapiedi, in un parcheggio non distante dall’oratorio di Mornico, paese della bassa bergamasca. Il conducente discute con un uomo in piedi, appoggiato alla portiera. Quell’uomo, avrebbero detto poi i carabinieri, era un loro informatore. Aveva infatti da poco avvisato i militari che i due marocchini avevano a bordo diverse dosi di cocaina.
All’improvviso una Fiat Punto si arresta dietro l’auto dei due marocchini. Due carabinieri in borghese scendono e si avvicinano alla Peugeot intimando l’alt. A questo punto l’indagine si affida, come unica versione dei fatti, alla successiva ricostruzione fornita dai due militari dell’Arma. Il conducente dell’auto inserisce la retro nel tentativo di fuggire per sottrarsi all’arresto. Ma l’auto civetta dei militari impedisce ogni via di fuga. Le ripetute manovre del marocchino alla guida – nella speranza di aprirsi un varco speronando la Fiat Uno con il lato posteriore della macchina – fallisce dopo pochi secondi. In quei momenti concitati, uno dei carabinieri perde l’equilibrio. Dopo essersi rialzato il militare estrae la pistola e la punta contro il conducente della Peugeot, che, sempre secondo la versione dell’Arma, afferra la mano del carabiniere nell’estremo tentativo di disarmarlo. E’ a questo punto che sarebbe partito il colpo mortale che raggiunge Aziz Amiri al torace. Per Aziz ancora pochi attimi, poi non c’è più nulla da fare. Nella Peugeot verranno rinvenute alcune dosi di cocaina. Ma nessun’arma.
Cosa è successo veramente quella notte del 6 febbraio 2010 a Mornico al Serio, tanto da aver attirato l’attenzione del Dipartimento di Stato americano? Oltre all’indagato e al suo collega, solo un uomo conosce oggi tutta la verità dei fatti. Ma è irreperibile. Prima dell’arrivo dei soccorsi infatti, il marocchino alla guida della Peugeot, amico di Aziz ed unico testimone oculare dell’omicidio, riesce inspiegabilmente a darsi alla fuga a piedi. Cosa ha impedito a due militari armati di trattenere un uomo solo, rimasto chiuso in una vettura bloccata?
E’ forse anche a partire da questi dubbi che il Dipartimento di Stato americano chiede ora all’Italia di fare chiarezza sul caso. E sono proprio questi interrogativi che tormentano da oltre un anno la famiglia Amiri, che si aggrappa ora alla tenue speranza che la giustizia italiana voglia far piena luce sull’omicidio del giovane Aziz.

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Omicidio di Aziz: il carabiniere non impugnava un’arma di ordinanza.

http://bgreport.org/?p=3526

Sul caso aumentano i punti oscuri. Paolo Bulleri, che tutela gli interessi dei famigliari: “Una morte ancora senza spiegazioni”(Ascolta l’intervista audio). Ma la PM Maria Mocciaro: “Indagini puntuali”.

MORNICO AL SERIO (BG) – Non era una pistola di ordinanza la Beretta calibro 9 che ha sparato il colpo mortale per Aziz Amiri. Il carabiniere che ha ucciso il diciottenne Aziz la sera del 6 febbraio 2010 impugnava infatti una pistola personale. Chi ha autorizzato ad uscire dalla caserma di via delle Valli un carabiniere in servizio senza l’arma di ordinanza?
Se confermata, la notizia rilanciata dai media nella giornata di ieri, solleverebbe ulteriori interrogativi sul caso Amiri. Eppure il pubblico ministero Maria Mocciaro, che ha chiesto l’archiviazione per il carabiniere indagato per omicidio colposo, sostiene di aver fatto il proprio dovere fino in fondo, con “indagini puntuali e approfondite”. Le osservazioni del Dipartimento di Stato americano? “Non mi interessano molto”. Liquida così la Mocciaro il Rapporto annuale sui Diritti Umani nel Mondo con il quale Washington classifica l’omicidio di Aziz come “controverso”.
Ma Paolo Bulleri, che tutela la famiglia Amiri, si chiede quali fossero esattamente le disposizioni ricevute dai due militari in borghese. Molti i dubbi sollevati sulla dinamica dell’operazione antidroga. Perché i due militari sono intervenuti senza chiamare rinforzi? Come è potuta finire in tragedia un’operazione contro due persone disarmate? Bulleri esprime lo sconcerto della famiglia di fronte alla richiesta di archiviazione per una morte ancora senza spiegazioni.