sabato 30 luglio 2016

IL FASCISMO SI CURA LEGGENDO,IL RAZZISMO SI CURA VIAGGIANDO

Prendendo spunto da un articolo trovato girovagando in rete tratto dal giornale on-line Villaggio giovane(villaggiogiovane2010 )che parla delle messe in onore di Mussolini che si tengono un po in tutta Italia per commemorare il maiale che è stato appeso a testa in giù in Piazzale Loreto nella data della sua discesa negli inferi,si parte da una frase dello scrittore e politico basco Miguel de Unamuno che dice "il fascismo si cura leggendo,il razzismo si cura viaggiando".
Frase azzeccata che racchiude in se un messaggio profondo messo con parole semplici che dice che l'ignoranza e la paura che portano ad odiare il diverso si possono combattere istruendosi e conoscendo persone e culture differenti dalla nostra.
Lo faccio alla vigilia di un viaggio in Indonesia che mi porterà a conoscere nuovi luoghi e nuove terre abitante da gente che parla una lingua diversa e che ha un modo di vivere e di pensare differente dal mio,e lo faccio come sempre cercando di assorbire il massimo da quello che verrà offerto cercando di non giudicare e apprezzando tutto quello che la natura e l'uomo ha saputo offrire in un posto molto distante dall'Italia.
Un paese che è stato dominato e conquistato da differenti imperi e nazioni,per citare solo qualcuno l'Indonesia ha subito influenze indiane,arabe,portoghesi e olandesi,per arrivare alla sovranità dopo la seconda guerra mondiale e con conflitti interni che lentamente stanno sparendo e che ne hanno segnato la storia recente con personaggi come Sukarno e Suharto su tutti che hanno contribuito nel bene e nel male a rendere questo paese un crogiolo di popolazioni,culture,religioni e lingue differenti.
Perché lo slogan nazionale indonesiano è Bhinneka Tunggal Ika,che significa Uniti nella Diversità.

IL FASCISMO SI CURA LEGGENDO, IL RAZZISMO SI CURA VIAGGIANDO di Silvia Franzoni ’90

(citazione da Miguel Unamuno, scrittore basco)
In quest’atmosfera di tensioni e pessimismo diffuso dovuti essenzialmente alla crisi economica, sociale e politica, sono molte le vicende e le notizie che passano in secondo piano, vuoi perché non fanno molto rumore, vuoi perché non interessano l’ambito nazionale, ed ecco che allora le prime avvisaglie di una decadenza di valori e di memorie storiche vengono completamente ignorate, passando inosservate. Sto parlando di un fatto accaduto non più tardi del 28 aprile. A Catania il rettore della chiesa di San Gaetano alle Grotte, Antonio Lo Curto, ha celebrato una messa in suffragio di Benito Mussolini. Oltre all’indignazione istintiva che ho provato appena letto il trafiletto presente su Facebook, sono rimasta attonita leggendo i seguenti fatti: la curia di Catania è a conoscenza che tale funzione viene annualmente eseguita, e la prima provocazione spontanea a cui viene da pensare è come sia possibile che la Chiesa taccia, con consenso, su questa indegna assurdità, mentre dal rito della messa, che dovrebbe essere l’espressione cristiana più alta dell’accoglienza dell’altro, vengono ostracizzate categorie di persone ritenute “indegne” e non cristiane, e ovviamente mi riferisco ai divorziati e agli omosessuali (che sicuramente a causa di questa esclusione forzata provano dolore, sofferenza spirituale e solitudine). Il secondo pugno allo stomaco l’ho ricevuto leggendo queste frasi, dette direttamente dal prete: << Mussolini era una brava persona, magnanimo e giusto, come Federico II di Svevia >>; << Benito ha solo commesso alcuni errori, come le leggi razziali e la guerra. Ma sono errori che tutti possiamo fare >>. Come è possibile spazzare via decenni di buia dittatura, con tutto ciò che ha comportato, dimenticandosi le atroci conseguenze che ha avuto per l’Italia e per gli italiani, e ridurre il tutto all’assioma “alcuni errori” ? Purtroppo sono convinta che questa gente non abbia risposte, perché è più semplice cadere nell’illusione e nella grossolanità che “la società in cui viviamo oggi abbia bisogno di ordine e unità che solo la dittatura di Mussolini è stata capace di costruire”, piuttosto che interrogarsi su quali siano le nuove strade sociali, culturali, politiche ed economiche da intraprendere dopo questa crisi. Proseguendo nella lettura dell’articolo scovato sul Fatto Quotidiano, si legge che la funzione è stata eseguita con rito bizantino in greco (seconda provocazione: questo prete e questa gente ha mai letto qualche documento sul Concilio Vaticano II? Sicuramente no, a dimostrazione di quanto sia facile usare ancora oggi il Cristianesimo per giustificare le proprie credenze e azioni che non derivano certo dal vangelo!) e che attorno all’altare erano state poste quattro bandiere, che secondo il prete simboleggiano le anime della Sicilia: siciliana, spagnola borbonica, tedesca e greca. Terza provocazione: perché la Chiesa tace di fronte all’uso improprio dell’altare, in cui a mio parere l’unica bandiera eventualmente ammissibile è quella piena di colori con la scritta PACE? Alla fine della funzione la gente, incluso il prete, non si è fatta certo mancare il saluto romano con il braccio alzato, a riprova che un sentimento di nostalgia dei tempi passati non è morto e sepolto con la fine della guerra e con l’avvento della Repubblica Italiana. Le istituzioni e noi cittadini italiani di questo 2012 siamo davvero pronti e vaccinati al virus dell’odio razziale, della paura che si trasforma in violenza, dell’ignoranza che si trasforma in dittatura? I rischi che questa crisi economica e sociale sta portando con sé sono come un potente virus che ci rende tutti febbricitanti e malaticci, mentre le nostre metaforiche difese immunitarie dei valori e delle leggi costituzionali vengono spazzate via, da questo vento imponente di nostalgia, per una dittatura che in passato ci ha distrutto.
A niente valgono i documentari sulla memoria, i libri di chi ha vissuto quegli anni, i racconti dei nostri nonni e bisnonni, perché quando qualcosa non si è vissuto direttamente sulla propria pelle si rimane in qualche modo “esposti al virus”, soprattutto quando sono trascorsi già sessant’anni (sembrano pochi, ma per coloro che provano sentimenti favorevoli ad un dittatore sono già troppi!). È stato chiesto al prete perché ricordare questo personaggio, e la risposta che è stata fornita è la seguente: << Ricordando lui si ricordano anche le vittime della Resistenza, i caduti della repubblica di Salò, le vittime delle foibe e della guerra in generale >>… Una mia amica giustamente ha scritto su Facebook che non si possono ricordare le vittime di una dittatura mediante il suo carnefice, e non posso che concordare con tale affermazione. Le vittime non possono essere poste sullo stesso piano di chi le ha mandate a morte, poiché il senso di giustizia umana ci permette di riconoscere alle prime onore e dignità ogni volta che le ricordiamo, mentre ai secondi possiamo solo riconoscere la codardia e la viltà di chi si nasconde dietro a giochi di forza e potere! Mi sembra giusto terminare questo articolo con le parole di una ragazza che ha vissuto gli orrori di una dittatura e che è morta sotto il giogo dell’odio, ricordando ciò che ha scritto nel suo diario e scolpendo queste frasi nella nostra coscienza e nella nostra memoria, perché il gesto del “non dimenticare mai” non sia vuoto e privo di significato: << Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possano crescere al punto da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime: così, grandi edifici e torri, costruiti dagli uomini con le loro mani, s’innalzano sopra di noi, ci dominano, e possono crollarci addosso e seppellirci. >> (Etty Hillesum, Diario 1941-1943)

venerdì 29 luglio 2016

IL FLNC IN LOTTA TRA LA FRANCIA E DAESH

E' assodato che la Francia sia uno dei bersagli maggiormente colpiti dalla ferocia infame dei miliziani Isis ed in Europa è praticamente il primo bersaglio sul quale si accaniscono questi invasati senza palle che si proclamano martiri e che in realtà sono solo dei fanatici incapaci di ragionare con la propria testa.
L'articolo di Infoaut(infoaut corsica-flnc-sfida-daesh )parla delle dichiarazioni del Fronte di Liberazione Nazionale Corso che nonostante si sia dichiarato sciolto ha ancora parecchia importanza e raccoglie molte adesioni nell'isola occupata storicamente prima dagli italiani e poi dai francesi.
L'annuncio è quello di un elevato stato di allerta in quanto sia la Francia che i combattenti per l'indipendenza della Corsica sono al corrente di personaggi legati a Daesh sarebbero intenzionati a colpire il territorio corso.
Flnc chiede ai musulmani di lottare assieme a loro contro il colonialismo francese e contro Daesh intimando a questi ultimi che se solo provassero a compiere attentati sul suolo corso la loro reazione sarà forte,con risposte determinate e senza scrupoli.
I movimenti indipendentisti corsi,che hanno vinto il ballottaggio elettorale del dicembre 2015 con la vittoria della formazione di Pè a Corsica(vedi:madn il-ballottaggio-in-franciae-in-corsica )affermano altresì che la loro lotta non è razzista e xenofoba(per chi non lo sapesse)in quanto loro col fascismo non hanno nulla a che fare e che anzi sono strenui nemici di questa idea così come lo sono dell'integralismo dell'Isis,che tanto si somigliano nei proclami e nei fatti.

Corsica. FLNC sfida Daesh: “in caso di attacchi risponderemo senza scrupoli”.

Con un comunicato inoltrato in mattinata alla redazione di Corse-Matin il FLNC, l'organizzazione armata indipendentista corsa, prende posizione in merito ai conflitti terroristici che minacciano di investire anche la Corsica (qui la versione integrale). Senza remore il FLNC attacca Daesh e punta il dito sulle responsabilità dello Stato francese e della sua politica imperialista. “La Corsica – afferma l'organizzazione – è a tutt'oggi considerata dal mondo politico internazionale come un territorio francese e la Francia è il paese più nel mirino dopo gli Stati Uniti: ciò significa che il nostro paese può essere colpito in ogni momento colpito da una o più azioni dello Stato Islamico”.

Su quali piani il Fronte intende giocare la propria battaglia? Se è vero che la guerra proclamata da Daesh è deterritorializzata per definizione è chiaro da tempo come è nella radicalizzazione salafita nel cuore dell'occidente che sorge la vera minaccia terroristica. E' qui, nei livelli bassi della società corsa, tra i giovani senza futuro in cerca di radicalità, che il Fronte intende giocare la propria partita individuando un duplice nemico: gli islamisti radicali in Corsica, impegnati ad “arruolare i giovani nell'abisso del fanatismo” e lo Stato francese, responsabile con la propria politica imperialistica “della catastrofe che stiamo vivendo”.

Sarà necessario che la Francia la finisca con la sua attitudine a intervenire militarmente e a dare lezioni di democrazia a tutto il mondo se vuole evitare che i conflitti che semina per il mondo ritornino come un boomerang sul suo territorio. Non solo, dunque lo Stato francese è responsabile per il suo protagonismo predatorio negli scenari internazionali, ma, segnala il Fronte, è responsabile anche nelle dinamiche interne, in quanto ben conosce le reti salafite in Corsica. “Se una tragedia dovesse verificarsi da noi lo Stato francese avrebbe una parte importante di responsabilità poiché conosce i salafiti in Corsica (sarebbero 8 e sappiamo per certo che uno degli Imam corsi è un informatore della polizia). Il popolo corso ha pagato fin troppo il prezzo della vostra storia imperialista. Rispettate i vostri impegni, state al vostro posto ed evitate di provocare il mondo che vi circonda. Può darsi che allora riuscirete ad arginare la violenza che oggi vi aggredisce”.

Ma è alla cosiddetta zona grigia dei musulmani corsi che il comunicato si rivolge primariamente. L'appello è schietto e manifesta la necessità di sottrarsi alla doppia minaccia di Daesh e dello Stato francese combattendoli assieme: “per vivere serenamente sulla nostra terra bisognerà, se sarà necessario, resistere con noi per vincere i fanatici islamisti. Resistere – aggiunge il comunicato – significa prendere posizione: manifestando al nostro fianco contro l'islam radicale, aiutandoci a liberarci dalla tutela francese, segnalandoci le derive che constatate tra i giovani senza lavoro tentati dalla radicalizzazione
Il FLNC rilancia su un progetto di lotta comune: “abbiamo il dovere di cercare la capacità di far sì che un popolo, piccolo di nome, sia grande per il suo progetto di vita in comune. Se lo Stato Islamico rivendicherà delle azioni terroristiche sul nostro suolo, noi potremmo batterlo solo insieme”.

La situazione in Corsica è stata particolarmente tesa nell'ultimo anno. A seguito di alcuni atti di vandalismo contro un mezzo dei vigili del fuoco in un quartiere di Ajaccio a prevalenza musulmana, nel dicembre 2015, una manifestazione spinta da tensioni razziste, diede fuoco a un centro di preghiera musulmano. Il FLNC legge questo episodio come un fatto orchestrato per ingenerare una strategia della tensione che corrisponderebbe alla volontà dei salafiti di importare anche in Corsica la politica di Daesh. Il Fronte dichiara di essersi attrezzato contro questo scenario e porta i primi risultati a riguardo: “possiamo affermare che la nostra organizzazione ha permesso nel mese di giugno di sventare un attentato sul nostro territorio in un luogo altamente frequentato”. In questo senso il FLNC si rivolge direttamente ai miliziani di IS: “sappiate che qualsiasi attacco contro il nostro popolo riceverà da parte nostra una risposta una risposta determinata e senza scrupoli


In chiusura di comunicato i miliziani del FLNC precisano come la loro sfida non debba essere confusa con la propaganda razzista. Anzi questa alimenta la situazione drammatica che bisogna fronteggiare contro Daesh. Quindi sottolineano che “coloro che tra di noi sentono delle affinità con partiti o associazioni di estrema destra, corse o francesi, hanno sbagliato lotta. Il FLNC non è il rifugio per i frustrati di una lotta razziale o xenofoba. Niente di ciò che difendiamo assomiglia alle ideologie fascistoidi che alimentano gli spiriti fragili e i social network in questo momento. Non è così, non è mai stato così e non lo sarà mai.
Noi confidiamo nella forza dei nostri giovani, nella loro capacità di resistere all'oscurantismo e di creare una società più giusta e le condizioni di un avvenire più nobile, più sereno e più equilibrato. In questo ci avrà al suo fianco.

GAETANO BRESCI E IL REGICIDIO


Oggi si parla di storia e più precisamente si ricorda la ricorrenza del regicidio di Umberto I re d'Italia avvenuto per mano dell'anarchico Gaetano Bresci che con tre rivoltellate lo uccise a Monza nel 1900.
L'Italia in quel periodo non se la passava molto bene,almeno le classi meno abbienti e più povere dove la gente moriva di fame ed infatti due anni prima nella prima metà dell'anno 1898 tutto il paese aveva avuto dei moti popolari di protesta per via della situazione sociale ai limiti e oltre della sopportazione umana.
A Milano vi furono gli episodi più gravi divenute famose col nome delle quattro giornate di Milano(ma anche con nome di protesta dello stomaco)quando ci fu la ribellione totale dei cittadini ridotti alla miseria che assaltavano i forni visto che la scintilla principale fu l'aumento di quasi il doppio del prezzo del grano e quindi del pane mentre il ceto popolare cominciava ad istruirsi ed il socialismo faceva i suoi primi passi nella testa della gente.
Il tutto fu sedato nel sangue con l'intervento dell'esercito sotto la guida del generale Bava Beccaris su mandato del governo e per l'appunto del re Umberto I che causarono la morte di un centinaio di persone e il ferimento di diverse centinaia.
Anche questo fu sicuramente uno dei motivi che portarono l'operaio tessile Bresci interessato dalla politica fin da giovanissimo a compiere l'omicidio del re:l'anarchico più celebre d'Italia era già stato incarcerato a Lampedusa ed emigrò negli Usa tornando in Italia verso la fine dell'ottocento.
Articolo preso da Infoaut(infoaut storia-di-classe )con questo di Wikipedia sui moti milanesi(wikipedia )

29 luglio 1900: Gaetano Bresci uccide il re.

Il 21 luglio 1900 il re d'Italia Umberto I raggiunge, come quasi tutte le estati, la sua residenza di Monza, città nella quale vive e si incontra con la sua amante, Eugenia.
Il 29 luglio è una calda domenica in Brianza e il re, dopo aver cenato, esce dalla propria dimora per presenziare ad un evento mondano, la premiazione degli atleti della società di ginnastica Forti e Liberi.
Dopo la premiazione Umberto I monta in carrozza per tornare alla residenza ma, riconoscendo tra la folla che fa ala un ufficiale, si alza in piedi per salutarlo: è in questo momento che viene colpito da tre proiettili di revolver.
Il re era già stato oggetto di due tentativi di attentati negli anni precedenti: il primo a Napoli nel 1878 quando era stato colpito da un colpo di pugnale inferto da Giovanni Passante, disoccupato, ed il secondo nel 1897, quando Pietro Acciarito da Artena, anch'egli disoccupato, aveva cercato di accoltellarlo.
Mentre il re ha già perso conoscenza e la carrozza si avvia velocemente verso a villa reale, un uomo viene immediatamente arrestato in mezzo alla folla, senza opporre alcuna resistenza, e senza fare dichiarazioni: è Gaetano Bresci, anarchico.
Gaetano Bresci ha 31 anni, è un tessitore di seta nato nel pratese, attivo nel tentativo di rovesciare le miserrime condizioni in cui versano lui e la propria famiglia, nonché tutto il proletariato contadino ed urbano, sin dagli anni dell'adolescenza. Già arrestato e confinato per un anno a Lampedusa in seguito alla partecipazione ad uno sciopero, nel 1897 aveva deciso di abbandonare l'Italia, per trasferirsi in America, dapprima a New York e in seguito a Paterson.
Durante il suo soggiorno in America Gaetano continua però a seguire le vicende politiche della sua terra natale, e in particolare rimane molto colpito dalla durissima repressione messa in atto dal regio esercito contro il popolo che, ormai stremato,aveva assaltato i forni nella Milano del 1898. A seguito di questa insurrezione (la "protesta dello stomaco"), infatti, vi furono più di cento persone uccise e centinaia di feriti, mentre il generale Fiorenzo Bava-Beccaris, al comando dell'operazione, venne insignito della Croce dell'ordine militare dei Savoia.
A tutt'oggi non si sa come e quando sia maturata in Bresci l'idea del regicidio, ma con buona probabilità sono da escludersi le teorie che lo vorrebbero sorteggiato in un gruppo di anarchici americani, così come quelle complottiste sostenute da Giolitti.
Bresci, difeso dall'avvocato Francesco Saverio Merlino, verrà processato per regicidio e condannato all'ergastolo. Il 23 gennaio 1901 verrà trasferito nel carcere di Santo Stefano presso Ventotene, dove gli verrà dato il numero di matricola 515.
Egli indosserà la divisa degli ergastolani, con le mostrine nere che indicano i colpevoli dei delitti più gravi, i piedi saranno legati da spesse catene.
Il 22 maggio 1901 un dottore verrà chiamato nella sua cella per constatarne la morte: la versione ufficiale sarà suicidio, ma le circostanze della sua morte desteranno non poche perplessità. Le voci interne al penitenziario sosterranno che tre guardie avrebbero fatto irruzione nella cella, lo avrebbero immobilizzato con una coperta, e lo avrebbero massacrato di botte (nel gergo carcerario questo si chiama "fare il santantonio").
Un delitto di Stato sarebbe quindi la pena per un delitto contro lo Stato, nonostante la pena di morte fosse stata abolita dal Codice Zanardelli nel 1889.

giovedì 28 luglio 2016

LA FUGA DI CAPITALI DELLA EXOR


La foto qui sopra che rappresenta l'intreccio tra i padroni,la finanza e la politica è il quadro ideale cominciato con protagonisti differenti più di cent'anni fa e che ora si ritrova con questi giocatori in campo che continuano a fare danni ai conti dello Stato regalando milioni di Euro a società che d'ora in poi non restituiranno in tasse nemmeno uno(madn ridateci-indietro-i-soldi )
Infatti dopo la partenza della Fiat verso gli Usa con la fusione che ha portato alla Fca tanto voluta dal cittadino canadese Marchionne,amministratore delegato della stessa,il presidente John Elkann ha fatto sì che la Exor spa ora abbia la sede legale in Olanda ed il rampollo ormai cresciuto della famiglia Agnelli naturalmente cerca di pagare sempre meno tasse e soprattutto ha deciso di non pagarle in Italia.
La Exor è il primo gruppo economico italiano per fatturato che ha interessi e partecipazioni ovunque,dal settore automobilistico(Fca,New Hollande,Iveco,Ferrari),banche,editoria,assicurazioni e naturalmente mani in pasta in politica con lo stesso Marchionne che disse "Renzi lo abbiamo messo lì noi".
Da qui ora ci saranno revisioni al ribasso del Pil,una sempre più precaria situazione lavorativa degli ormai pochi operai che fanno capo all'ex Fiat e a società del giro,un mancato gettito di denaro dopo che gli Agnelli hanno beneficiato di immense somme di denaro dallo Stato e da sempre,si calcola nei soli anni novanta dieci mila miliardi di Lire,ricordando i privilegi già ai tempi del fascismo e dell'immediato dopoguerra.
L'articolo di Contropiano(contropiano agnelli-fuga-un-secolo-rapine )parla delle angherie e delle furbate successe a Torino e in tutta Italia e rilancia un pezzo di cinque anni fa dove già era previsto il tutto,la fuga di capitali ma non di cervelli.

Agnelli in fuga dopo un secolo di rapine.

di Claudio Conti.
Non c’era rimasto molto, della Fiat-Fca in Italia. Quindi il trasferimento della sede legale della Exor, la holding che guida Fca, Ferrari, Cnh e Partner Re una galassia di altre società, compresa la Giovanni Agnelli e C. Sapaz – autentica cassaforte della dinastia torinese – può sembrare un episodio tra tanti. Ma era anche l’ultimo legame relativamente forte tra quella galassia e il paese in cui è cresciuta come un tumore, guidandone la distorsione di uno sviluppo mai determinato in base ad esigenze strategiche”collettive” (neanche quelle più biecamente nazionaliste), ma sempre in base al bilancio aziendale.
L’obiettivo dichiarato dal pallido rampollo della dinastia – quel John Elkann che proprio non riesce a diventare più conosciuto del fratello minore e scapestrato (Lapo) – è un classico dello storytelling finanziario: creare «una struttura societaria più semplice», corrispondente a un profilo di gruppo sempre più multinazionale. Anzi: esclusivamente multinazionale e senza più nulla di “italiano”, se non quel tanto di aura “creativa” che può servire nel marketing.
Il paese in cui Fiat/Fca pagherà le tasse è dunque l’Olanda, la patria del feroce Jeroen Dijsselbloem, il capo dell’Eurogruppo che distribuisce lezioni di austerità epunizioni bibliche (chiedere ai greci per averne un elenco necessariamente sintetico). E le pagherà agli “arancioni” perché lì sono più basse. Stop. Non c’è nessun altro “valore occidentale”, nessuna mistica dell’impresa capitalistica, tantomeno alcuna “responsabilità sociale dell’impresa”.
Le pagherà in Olanda perché l’Unione Europea permette una asimmetria davvero destabilizzante: preme sugli Stati per una politica di bilancio “centralizzata” da Bruxelles e improntata al rigore ordoliberista, ma consente la massima differenziazione delle politiche fiscali applicate alle imprese. Che ovviamente si spostano – come sede fiscale, molto più che come insediamenti produttivi – là dove i governi scelgono di tenerle basse per “attirare capitali stranieri”. Un meccanismo distorsivo e falsificante anche sul piano statistico, perché in questo modo il Pil (prodotto interno lordo) di quei paesi cresce improvvisamente senza che il paese in questione abbia minimamente incrementato le proprie attività produttive. L’esempio dell’Irlanda, nella recente analisi diPanofsky, è semplicemente illuminante (http://contropiano.org/news/news-economia/2016/07/17/ruggito-della-tigre-celtica-le-statistiche-falsate-081799).
Di riflesso – ma di questo difficilmente troverete traccia negli entusiatici commenti dei media di regime – la scomparsa della Fiat dai conti nazionali si tradurrà in una diminuzione del Pil italiano, dunque in un peggioramento degli indici tenuti presenti dai parametri di Maastricht (debito/Pil, deficit/Pil, ecc), quindi in una impossibilità di rispettare gli obiettivi dichiarati dal governo e imposti dall’Unione Europea per i prossimi anni.
E tutti abbiamo imparato a nostre spese come ogni “sforamento” si traduca automaticamente in tagli di spesa e aumento della tassazione indiretta, ovvero quella più distorsiva in quanto si applica ai consumi, non al reddito. L’Iva, per esempio, con un innalzamento previsto dalle varie “clausole di salvaguardia” in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi fissati dal Fiscal Compact.
La ristrutturazione della matrioska societaria di casa Agnelli non finisce qui. Il quotidiano di Confindustria riferisce che “il consiglio di amministrazione di Exor ha approvato il progetto di fusione per incorporazione di Exor in Exor Holding, società olandese interamente controllata da Exor.” Difficile per i non addetti ai lavori capire cosa significa questo gioco delle tre carte sotto il comune logo Exor, ma il tutto si riassume in una cosa assai semplice: Exor – la holding che guida Fca, Ferrari, Cnh e Partner Re una galassia di altre società – diventa a tutti gli effetti una società olandese e contribuirà dunque nel bene e nel male (conoscendo gli Agnelli, possiamo già prevedere più mali che benefici) all’economia di quel paese.
Fine della storia. Resta da spiegare a che titolo i Marchionne e gli Agnelli continuino a gestire la politica italiana (“Renzi lo abbiamo messo lì noi”, disse Marchionne a pochi giorni dall’ascensione in cielo del contafrottole fiorentino), come hanno fatto nel corso dell’ultmo secolo.
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La pubblicistica sul rapporto di sudditanza tra Italia e Fiat è sterminata. Per un riassunto sintetico, vi riproponiamo qui uno dei tanti articoli che – ben cinque anni fa – interpretavano il “modello Pomigliano” e il “programma Italia” come un passo deciso verso l’uscita della Fiat da questo paese:

Come gli Agnelli hanno rapinato l’Italia lungo un intero secolo

Maria Rosa Calderoni | su Liberazione
Gioanin lamiera, come scherzosamente gli operai chiamavano l’Avvocato, ha succhiato di brutto; ma prima di lui ha succhiato suo padre; e prima di suo padre, suo nonno Giovanni. Giovanni Agnelli Il Fondatore. Hanno succhiato dallo Stato, cioè da tutti noi.
E’ una storia della Fiat a suo modo spettacolare e violenta, tipo rapina del secolo, questa che si può raccontare – alla luce dell’ultimo blitz di Marchionne – tutta e completamente proprio in chiave di scandaloso salasso di denaro pubblico. Un salasso che dura da cent’anni. Partiamo dai giorni che corrono. Per esempio da Termini Imerese, lo stabilimento ormai giunto al drammatico epilogo (fabbrica chiusa e operai sul lastrico fuori dai cancelli). Costruito su terreni regalati dalla Regione Sicilia, nel 1970 inizia con 350 dipendenti e 700 miliardi di investimento. Dei quali almeno il 40 per cento è denaro pubblico graziosamente trasferito al signor Agnelli, a vario titolo.
La fabbrica di Termini Imerese arriva a superare i 4000 posti di lavoro, ma ancora per grazia ricevuta: non meno di 7 miliardi di euro sborsati pro Fiat dal solito Stato magnanimo nel giro degli anni. Agnelli costa caro. Calcoli che non peccano per eccesso, parlano di 220 mila miliardi di lire, insomma 100 miliardi di euro (a tutt’oggi), transitati dalle casse pubbliche alla creatura di Agnelli.
Nel suo libro – “Licenziare i padroni?”, Feltrinelli – Massimo Mucchetti fa alcuni conti aggiornati: «Nell’ultimo decennio il sostegno pubblico alla Fiat è stato ingente. L’aiuto più cospicuo, pari a 6.059 miliardi di lire, deriva dal contributo in conto capitale e in conto interessi ricevuti a titolo di incentivo per gli investimenti nel Mezzogiorno in base al contratto di programma stipulato col governo nel 1988». Nero su bianco, tutto “regolare”. Tutto alla luce del sole. «Sono gli aiuti ricevuti per gli stabilimenti di Melfi, in Basilicata, e di Pratola Serra, in Campania».
A concorrere alla favolosa cifra di 100 miliardi, entrano in gioco varie voci, sotto forma di decreti, leggi, “piani di sviluppo” così chiamati. Per esempio, appunto a Melfi e in Campania, il gruppo Agnelli ha potuto godere di graziosissima nonché decennale esenzione dell’imposta sul reddito prevista ad hoc per le imprese del Meridione. E una provvidenziale legge n.488 (sempre in chiave “meridionalistica”) in soli quattro anni, 1996-2000, ha convogliato nelle casse Fiat altri 328 miliardi di lire, questa volta sotto la voce “conto capitale”.
Un bel regalino, almeno 800 miliardi, è anche quello fatto da tal Prodi nel 1997 con la legge – allestita a misura di casa Agnelli, detentrice all’epoca del 40% del mercato – sulla rottamazione delle auto. Per non parlare dell’Alfa Romeo, fatta recapitare direttamente all’indirizzo dell’Avvocato come pacco-dono, omaggio sempre di tal Prodi.
Sempre secondo i calcoli di Mucchetti, solo negli anni Novanta lo Stato ha versato al gruppo Fiat 10 mila miliardi di lire. Un costo altisssimo è poi quello che va sotto la voce”ammortizzatori sociali”, un frutto della oculata politica aziendale (il collaudato stile “privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite”): cassa integrazione, pre-pensionamenti, indennità di mobilità sia breve che lunga, incentivi di vario tipo.
«Negli ultimi dieci anni le principali società italiane del gruppo Fiat hanno fatto 147,4 milioni di ore di cassa integrazione – scrive sempre Mucchetti nel libro citato – Se assumiamo un orario annuo per dipendente di 1.920 ore, l’uso della cassa integrazione equivale a un anno di lavoro di 76.770 dipendenti. E se calcoliamo in 16 milioni annui la quota dell’integrazione salariale a carico dello Stato nel periodo 1991-2000, l’onere complessivo per le casse pubbliche risulta di 1228 miliardi». Grazie, non è abbastanza. Infatti, «di altri 700 miliardi è il costo del prepensionamento di 6.600 dipendenti avvenuto nel 1994: e atri 300 miliardi se ne sono andati per le indennità di 5.200 lavoratori messi in mobilità nel periodo».
Non sono che esempi. Ma il conto tra chi ha dato e chi ha preso si chiude sempre a favore della casa torinese. Ab initio. In un lungo studio pubblicato su “Proteo”, Vladimiro Giacché traccia un illuminante profilo della storia (rapina) Fiat, dagli esordi ad oggi, sotto l’appropriato titolo”Cent’anni di improntitudine. Ascesa e caduta della Fiat”. Nel 1911, la appena avviata industria di Giovanni Agnelli è già balzata, con la tempestiva costruzione di motori per navi e sopratutto di autocarri, «a lucrare buone commesse da parte dello Stato in occasione della guerra di Libia».
Non senza aver introdotto, già l’anno dopo, 1912, «il primo utilizzo della catena di montaggio», sulle orme del redditizio taylorismo. E non senza aver subito imposto un contratto di lavoro fortemente peggiorativo; messo al bando gli “scioperi impulsivi”; e tentato di annullare le competenze delle Commissioni interne. «Soltanto a seguito di uno sciopero durato 93 giorni, la Fiom otterrà il diritto di rappresentanza e il riconoscimento della contrattazione collettiva» (anno 1913).
Anche il gran macello umano meglio noto come Prima guerra mondiale è un fantastico affare per l’industria di Giovanni Agnelli, volenterosamente schierata sul fronte dell’interventismo. I profitti (anzi, i “sovraprofitti di guerra”, come si disse all’epoca) furono altissimi: i suoi utili di bilancio aumentarono dell’80 per cento, il suo capitale passò dai 17 milioni del 1914 ai 200 del 1919 e il numero degli operai raddoppiò, arrivando a 40 mila. «Alla loro disciplina, ci pensavano le autorità militari, con la sospensione degli scioperi, l’invio al fronte in caso di infrazioni disciplinari e l’applicazione della legge marziale».
E quando viene Mussolini, la Fiat (come gli altri gruppi industriali del resto) fa la sua parte. Nel maggio del ’22 un collaborativo Agnelli batte le mani al “Programma economico del Partito Fascista”; nel ’23 è nominato senatore da Mussolini medesimo; nel ’24 approva il “listone” e non lesina finanziamenti agli squadristi.
Ma non certo gratis. In cambio, anzi, riceve moltissimo. «Le politiche protezionistiche costituirono uno scudo efficace contro l’importazione di auto straniere, in particolare americane». Per dire, il regime doganale, tutto pro Fiat, nel 1926 prevedeva un dazio del 62% sul valore delle automobili straniere; nel ’31 arrivò ad essere del 100%; «e infine si giunse a vietare l’importazione e l’uso in Italia di automobili di fabbricazione estera». Autarchia patriottica tutta ed esclusivamente in nome dei profitti Fiat. Nel frattempo, beninteso, si scioglievano le Commissioni interne, si diminuivano per legge i salari e in Fiat entrava il “sistema Bedaux”, cioè il “controllo cronometrico del lavoro”: ottimo per l’intensificazione dei ritmi e ia congrua riduzione dei cottimi.
Mussolini, per la Fiat, fu un vero uomo della Provvidenza. E’ infatti sempre grazie alla aggressione fascista contro l’Etiopia, che la nuova guerra porta commesse e gran soldi nelle sue casse: il fatturato in un solo anno passa da 750 milioni a 1 miliardo e 400 milioni, mentre la manodopera sale a 50 mila. «Una parte dei profitti derivanti dalla guerra d’Etiopia – scrive Giacché – fu impiegata (anche per eludere il fisco) per comprare i terreni dove sarebbe stato costruito il nuovo stabilimento di Mirafiori». Quello che il Duce poi definirà «la fabbrica perfetta del regime fascista».
Cospicuo aumento di fatturato e di utili anche in occasione della Seconda guerra mondiale. Nel proclamarsi del tutto a disposizione, sarà Vittorio Valletta, nella sua veste di amministratore delegato, a dare subito «le migliori assicurazioni. Ponendo una sola condizione: che le autorità garantissero la disciplina nelle fabbriche attraverso la militarizzazione dei dipendenti». Fiat brava gente.
L’Italia esce distrutta dalla guerra, tra fame e macerie, ma la casa torinese è già al suo “posto”. Nel ’47 risulta essere praticamente l’unica destinataria dell’appena nato “Fondo per l’industria meccanica”; e l’anno dopo, il fatidico ’48, si mette in tasca ben il 26,4% dei fondi elargiti al settore meccanico e siderurgico dal famoso Piano Marshall.
E poi venne la guerra fredda, e per esempio quel grosso business delle commesse Usa per la fabbricazione dei caccia da impiegare nel conflitto con la Corea. E poi vennero tutte quelle autostrade costruite per i suoi begli occhi dalla fidata Iri. E poi venne il nuovo dazio protezionistico, un ineguagliabile 45% del valore sulle vetture straniere… E poi eccetera eccetera.
Mani in alto, Marchionne! Questa è una rapina.

mercoledì 27 luglio 2016

IL MENO PEGGIO VERSIONE USA


Esaustivo e preciso l'articolo proposto oggi da Contropiano(contropiano clinton-trump )che in poche parole riesce a sintetizzare il clima statunitense preelettorale ora che ufficialmente i due candidati alle presidenziali di novembre sono Donald Trump e Hillary Clinton.
Alla fine i due nomi forti e dati per vincenti fin dalla prima ora ce l'hanno fatta con il repubblicano che ha avuto vita facile con l'ultimo candidato Cruz la democratica Clinton ha avuto più gatte da pelare con l'avversario Sanders(madn bernie-sanders ).
Ma il pezzo sotto si ferma sul fatto che come accade in Europa da anni Italia compresa,c'è la corsa a votare il meno peggio che è anche la corsa a non votare del tutto con percentuali di astensionismo che nel vecchio e nel nuovo continente tendono sempre più ad essere il primo partito.
Se da un lato c'è un Trump per un'economia nazionalista,cosa anche da non condannare,è evidente che il suo retaggio xenofobo da ultra conservatore lo fa un candidato pericoloso,anche la Clinton dal canto suo è a favore di nuove guerre,del Ttip e di un potere ancor maggiore della Nato( quindi degli Usa su scala mondiale)è una scelta avventata e dannosa pure lei.
Ovvio che Sanders poteva essere lo stesso un cliente tosto per Trump ma gli Usa il termine anticapitalismo e socialismo non sono ancora visti di buon occhio dalla maggioranza democratica e figurarsi di quella repubblicana,e come sottolineato i primi preferirebbero una Clinton perdente piuttosto che un Sanders che propone temi così fuori pensiero negli Stati Uniti.

Clinton-Trump.Come si fa a distinguere tra peste e colera?

di Girogio Cremaschi.
Bernie Sanders ha raccolto un valanga di no e anche fischi quando ha proposto ai suoi sostenitori di votare Hillary Clinton pur di battere Donald Trump. Non credo che sia perché tra di loro ci siano simpatie per il miliardario reazionario. Ma perché la candidata ufficiale del partito democratico rappresenta la pura continuità dell’establishment contro cui i seguaci del senatore del Vermont si sono mobilitati. Clinton è per la Nato, per il TTIP, per la globalizzazione e le delocalizzazioni che hanno devastato l’industria americana. Trump promette di tassare i prodotti che le grandi imprese americane, tutte, costruiscono all’estero per risparmiare sul costo del lavoro e vuole mettere in discussione il WTO. Clinton promette nuovi interventi americani, nuove guerre per esportare democrazia, mentre Trump vuole che gli Stati uniti siano più isolazionisti e si occupino dei problemi di casa loro. Certo poi Trump sparge veleni e minacce xenofobe e sessiste ed in ogni caso è poco credibile come NoGlobal, ma come si fa a sostenere la candidata di Wall Street , delle multinazionali, della grande finanza? Come si fa a votare assieme Bloomberg?
La situazione politica degli Stati Uniti somiglia sempre di più a quella della vecchia Europa. Che per altro da decenni fa il possibile per copiare il modello politico degli USA. Il risultato è che la sinistra ufficiale è diventata la paladina di un sistema sempre più ingiusto e in mano ai ricchi, mentre la destra reazionaria finisce per occupare lo spazio vuoto in mezzo alle popolazioni impoverite.
Bernie Sanders aveva rotto questo gioco e portato di nuovo in campo la ragione sociale dimenticata della sinistra: l’anticapitalismo. Sanders sarebbe stato l’avversario più difficile per Trump, quello capace di smascherarne il finto interesse per le condizioni del popolo. Ma il partito democratico preferisce perdere con Clinton che vincere con un senatore che parla di socialismo. E ha fatto letteralmente, come ha svelato WikiLeaks, carte false per farlo perdere di fronte alla candidata del Palazzo.
Alla fine le elezioni presidenziali USA sono diventate l’alternativa tra la peste ed il colera, come dice in Francia chi ha lottato contro la Loi Travail e non voterà mai più per Hollande senza per questo scegliere Le Pen. Con queste altrenative la politica democratica non esiste più, questo dicono le elezioni negli Stati Uniti come molte di quelle che si annunciano in Europa. E infatti sempre meno persone vanno a votare su entrambe le sponde dell’Atlantico.

martedì 26 luglio 2016

TRA UN ATTACCO TERRORISTICO E L'ALTRO PASSA LA LOI TRAVAIL


Volutamente fatta passare nel silenzio tra un attacco e l'altro dell'Isis.la Francia è riuscita a far passare lo scorso giovedì la loi travail su stile job act renziano che i socialisti al governo hanno voluto varare nonostante le centinaia di migliaia di lavoratori,pensionati e studenti che hanno riempito le strade e le piazze di tutto il paese(madn gli-scioperi-francesi ).
I pochissimi accorgimenti attuati in questi mesi dopo le proteste sono nulla a fronte dei nuovi scenari in materia lavorativa che aiutano i padroni e gli sciacalli dello sfruttamento di lavoro e che lasciano gli operai e tutti gli altri lavoratori alla mercé dei loro capricci.
L'articolo di Contropiano(contropiano loi-travail-legge-sindacati-battuti )spiega anche il dissenso dei sindacati che tra un cordoglio e l'altro di Valls e di Hollande promettono ancora battaglia in previsione di un tonfo elettorale socialista già a partire dalle prossime elezioni.

La "Loi Travail" è legge,sindacati battuti promettono battaglia.

di Marco Santopadre
Alla fine, nonostante mesi di manifestazioni, scioperi, blocchi, picchetti, occupazioni da parte dei sindacati più combattivi, delle organizzazioni giovanili e studentesche e della sinistra più o meno radicale, il jobs act alla francese, la controriforma del lavoro fortemente voluta dal presidente socialista Hollande e imposta da Unione Europea e Medef – la CONFINDUSTRIA di Parigi – è stata definitivamente approvata ieri.
Il premier Manuel Valls ha salutato su Twitter “un grande passo per la riforma del nostro Paese: più diritti per i nostri lavoratori, più visibilità per le nostre piccole e medie imprese, più posti di lavoro”.
In realtà la legge riduce in maniera consistente i diritti dei lavoratori: rende più facili e meno onerosi per le imprese i licenziamenti, concede priorità ai contratti aziendali rispetto a quelli nazionali di categoria, aumenta i ritmi e gli orari di lavoro in alcuni comparti, prevede finanziamenti a fondo perduto alle aziende con la scusa di combattere la disoccupazione giovanile in crescita, un po’ sul modello di quanto previsto dalla analoga legge imposta in Italia da Matteo Renzi.
Mentre le opposizioni di sinistra hanno annunciato un ricorso alla Corte Costituzionale per bloccare la ‘Loi Travail’, che porta il nome della ministra del Lavoro Myriam El Khomri, i sindacati hanno promesso una ripresa della mobilitazione a partire dal 15 settembre, ma per ora hanno dovuto incassare una sconfitta. Quattro mesi di mobilitazioni anche dure non hanno smosso il governo quasi di una virgola, e il premier Valls è riuscito a portare a casa il risultato senza grandi scossoni.
Certo, qualche miglioramento scioperi e proteste l’hanno ottenuto. Rispetto al draconiano testo presentato a marzo dall’esecutivo socialista, Hollande e Valls hanno dovuto cancellare alcuni dei punti previsti, facendo arrabbiare la destra che ha attaccato strumentalmente il governo in vista delle elezioni dell’anno prossimo, e la Medef, che ha parlato di ‘legge snaturata’ accusando i socialisti di essere incapaci di respingere ‘il ricatto dei sindacati e degli estremisti’.
Nel testo approvato ieri, rispetto alla prima stesura, sono spariti la fissazione di un tetto alle indennità di licenziamento (da 3 a 15 mesi di retribuzione) confermando la discrezionalità attualmente concesso ai giudici del lavoro; la possibilità per le multinazionali di imporre piani di ristrutturazione comprendenti il taglio dei dipendenti sulla base dell’andamento degli impianti francesi e non – come attualmente previsto – su quello dell’intero gruppo; l’opportunità per le piccole e medie aziende di concordare con il singolo dipendente alcune variazioni dell’orario di lavoro.
Ma resta comunque la gravità di un provvedimento che precarizza ulteriormente il mercato del lavoro e concede un’enorme vantaggio alle imprese, riducendo il potere contrattuale del singolo lavoratore e i margini di manovra dei sindacati. Nel testo della ‘Loi Travail’ resta ad esempio la possibilità per le imprese di licenziare per motivi puramente economici, ad esempio semplicemente in seguito ad un calo dei ricavi. Confermato anche il referendum aziendale al quale può ricorrere l’impresa nel caso di accordo approvato da uno o più sindacati che hanno almeno il 30% dei consensi: in caso di vittoria l’intesa viene applicata e chi si oppone può essere licenziato per ragioni economiche. Cancellata la possibilità di veto da parte di sindacati che vantano almeno il 50% dei consensi. La nuova legge introduce anche la possibilità per un’impresa di concordare con i sindacati una flessibilità dell’orario per far fronte a un aumento della domanda e non solo in caso di difficoltà.
Per evitare il voto dell’Assemblea Nazionale, dove il governo sul provvedimento in questione non può contare sulla maggioranza vista l’opposizione anche di una consistente pattuglia di deputati socialisti, il governo ha fatto ricorso al meccanismo della fiducia ed in mancanza di mozioni contrarie la legge è stata approvata grazie al ricorso, per la terza volta in poche settimane, dell’articolo 49.3 della Costituzione che prevede di bypassare il parere dei ‘rappresentanti del popolo’.
Ma i socialisti, già alle prese con una sostanziosa emorragia di consensi negli ultimi mesi, potrebbero pagare assai caro, dal punto di vista politico-elettorale, il risultato ottenuto.
Secondo un recente sondaggio dell’istituto Odoxa per il quotidiano Les Echos, sette francesi su dieci sono “scontenti” per l’approvazione finale del provvedimento. E tra gli elettori di Hollande e Valls solo il 52% si dice «soddisfatta». Nonostante i forti e prolungati disagi provocati da quattro mesi di scioperi e blocchi di servizi e attività produttiva – aerei, treni, porti, depositi di carburante e pompe di benzina – il 55% dei francesi ritiene che la Cgt e le altre forze sindacali che si sono opposte alla Loi Travail facciano bene a riprendere la protesta a settembre nonostante la legge sia stata approvata dal parlamento. O meglio, dal governo, visto l’esautoramento dell’Assemblea Nazionale.

Marco Santopadre

lunedì 25 luglio 2016

LA SITUAZIONE AFGANA


Mentre l'informazione occidentale fornisce dettagli sempre più piccoli e fa spettacolo e speculazione sulle vittime francesi e bavaresi nel resto del mondo soprattutto in Africa e in Asia il terrorismo non da tregua e l'altro giorno un attentato suicida ha mietuto ottanta morti e duecento feriti,molti dei quali gravi,a Kabul in occasione di una manifestazione di protesta degli hazari.
Che sono islamici sciiti una minoranza nel disastrato Afghanistan dove i vari clan talebani hanno il comando nonostante il governo fantoccio statunitense,dove l'Isis sta tentando di entrare sempre più nella vita negli afgani come sta facendo nel vicino Pakistan con più successi.
Visto che i talebani a loro volta sono restii ad entrare attivamente e combattere per Daesh e decine di loro sono già stati trucidati dalle milizie estremiste nel paese dove Al Qaeda è nata,ed hanno una visione più territoriale e il loro primo scopo è la cacciata della Nato e del governo piegato ai suoi voleri di Kabul cominciando ad avere colloqui con gli influenti Russia,India e Cina.
Articolo di Contropiano:contropiano kabul-massacro-degli-odiati-hazara .

Kabul,il massacro degli odiati hazara.

di Enrico Campofreda
E’ stato un lampo, non la luce agognata, a portarsi via decine di afghani d’etnìa hazara. Venivano in gran parte dalla provincia di Bamyan e protestavano contro il governo che aveva cambiato il tragitto della linea d’alta tensione progettata dall’impresa Tutap che coinvolge ben cinque nazioni (Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan, Afghanistan e Pakistan). Una mega impresa, fra le poche che forniscono servizi alle comunità, finanziata da una grande banca asiatica (Asian Development Bank). Gli hazara di fede sciita, da sempre poco amati dalla maggioranza pashtun totalmente sunniti, si vedevano penalizzati perché il progetto li tagliava fuori dal percorso, mutando un’iniziale direttrice. Così avevano marciato in migliaia, sfidando l’aria che da oltre due anni tira nel Paese diventato ovunque, capitale compresa, territorio off limits per tutti. Nessun militare del Resolute support, dell’esercito di Ghani, e neppure certi signori della guerra suoi alleati, riesce a controllare quasi nulla del territorio. Ci vivono ma possono essere colpiti. Per le presenze occulte, mirare ai manifestanti è stato fin troppo facile. Hanno usato kamikaze nascosti sotto dei burqa che si mescolavano ai partecipanti, come le donne celate sotto il velo integrale che passavano per via.
Nessuno ha voluto controllarle nonostante il punto d’arrivo della marcia si trovasse in una zona centrale di Kabul, Deh Mazang circle. Il castigo è stato tremendo: all’ospedale di Emergency di Kabul sono giunti oltre duecento feriti, molti in condizioni disperate, mentre nella piazza si contavano ottanta corpi maciullati. L’attentato risulta sanguinosissimo come non se ne vedevano da tempo e sarebbe potuto essere ancor più devastante perché la cintura d’un terzo kamikaze non è esplosa, circostanza che fa pensare a una preparazione non professionale degli ordigni. La determinazione stragista era, però, elevatissima e indica il desiderio d’imporsi nella strategia del terrore riapparsa pesantemente in ogni provincia afghana. Dietro le bombe, secondo quanto ha divulgato la Bbc, ci sarebbe un gruppo legato all’Isis che vuol introdurre anche nel disastrato territorio afghano quei massacri diffusi e inaspettati di civili come sta facendo in Pakistan. I talebani locali hanno preso le distanze e condannato l’azione. Ma il Daesh da circa due anni cerca adepti e alleanze in tutta l’area e l’ha trovata in alcuni dissidenti dalla linea unitaria dei Talib. Rinata non tanto con l’elezione di Mansour (avvenuta un anno fa e durata pochi mesi poiché a primavera il neo leader è caduto vittima d’un drone), ma dal suo rimpiazzo con Haibatullah.
Questi è un mullah vicino alla Shura di Quetta, benvisto anche da un fondamentalista doc come l’integerrimo Sirajuddin Haqqani. Eppure le emanazioni di Al Baghdadi continuano a farsi sotto, hanno iniziato ad agire nel territorio cuscinetto delle Fata, le aree tribali fra Afghanistan e Pakistan dove ogni clan talebano ha una presenza stanziale o passeggera. Hanno puntato sulla dissidenza dei Tehreek-e Taliban da due anni attivi e cattivissimi nel vendicare colpo su colpo la guerra che gli conducono i due Sharif di Islamabad, bombardando i villaggi del Waziristan, zona di provenienza di questo gruppo talebano. Insomma hanno cercato d’infilarsi nelle crepe che si erano create dopo la morte del mullah Omar (2013) tenuta a lungo nascosta, ma deleteria per le direttive da dare al movimento. Secondo le indicazioni di Al Baghdadi puntano anche al grande Medio Oriente e hanno cercato d’inserirsi nei distretti centro occidentali di Farah ed Helmand uccidendo decine di talebani. Verso i civili usavano il doppio gioco del terrore con esecuzioni clamorose, come quelle effettuate con esplosivo attaccato alle teste dei malcapitati che non volevano farsi reclutare e le lusinghe di salari mensili di almeno 500 dollari (quanto guadagna un soldato dell’esercito di Ghani) per chi li avesse seguiti.
In quelle province non gli è andata bene, i turbanti locali li hanno respinti, ma nel distretto di Nangarhar, non lontano da Kabul, hanno stabilito una solida testa di ponte, tanto che i vertici talebani preoccupati del fenomeno oltre un anno fa hanno organizzato un reparto speciale d’un migliaio di esperti e fidatissimi miliziani pronti a colpirli nelle enclavi frequentate. Alcuni scontri ci sono stati con perdite reciproche, ciò che prosegue è una lotta a distanza, dove gli stessi attentati, come quello di ieri e altri realizzati in Pakistan, hanno una tragica funzione di propaganda. La partita è violentissima e non esclude alcun colpo, come del resto le reciproche accuse. L’Isis afghano afferma fra l’altro che i talib proteggano gli infedeli, come il wahabbismo considera i credenti sciiti oppure che siano solidali coi talebani dei territori pakistani che sarebbero infiltrati e diretti dall’Intelligence locale. Insomma una campagna senza quartiere che, unisce alla visione islamica differente anche obiettivi di medio e lungo termine diversi. Come Qaeda l’Isis mostra una visione panislamica e agisce su un ampio orizzonte internazionale combattendo gli infedeli ovunque per creare un grande Califfato; i talebani mostrano una visione locale: vogliono liberare la terra natìa dall’occupazione occidentale Nato e abbattere il governo servile di Kabul. Nei loro piani strategici rivolti contro l’imperialismo occidentale e il nemico e concorrente sunnita versione Al Baghdadi hanno avviato informali ma sostanziali incontri diplomatici coi rappresentati di Iran, Russia e Cina. L’opera d’un governo ombra che conta più di quello fantoccio sostenuto da Washington.

Enrico Campofreda

domenica 24 luglio 2016

IL CAPITALISMO COLONIALE SARAS STAVOLTA FERMATO


Giunge dalla Sardegna finalmente una buona notizia frutto delle lotte che sempre più vedono impegnati gli abitanti della splendida isola italiana sempre più sensibili ai temi ambientali che vengono combattute di pari passo alle lotte antimilitariste,infatti la Sardegna è piena di basi e poligoni militari usate anche da stranieri come israeliani e statunitensi(vedi:madn la-regione-sardegna-e-le-esercitazioni ).
La società petrolifera e di produzione energetica Saras non potrà trivellare le zone adiacenti il comune di Arborea nell'oristanese in quanto il Consiglio di Stato non ha tenuto conto bocciando il ricorso al Tar dell'azienda che è uno dei simboli del capitalismo coloniale che voleva sondare la zona che fa parte di un territorio protetto vincolato dal piano regionale da undici anni.
Scrivi Saras e leggi Moratti in quanto la famiglia è la fondatrice e proprietaria attuale di questa società dove si verificano sovente incidenti anche mortali e che però ha mire espansioniste in tutta la zona della provincia di Oristano che sembrerebbe avere il sottosuolo ricco di metano,quindi c'è da esultare per lo stop al "progetto Eleonora" ma bisogna sempre stare all'erta in modo che la Sardegna non sia ancora sfruttata e violentata.
Articolo preso da Contropiano:contropiano/sardegna-sconfitta-la-saras-dei-moratti-niente-trivellazioni-ad-arborea .

Sardegna:la Saras dei Moratti,niente trivellazioni ad Arborea.

di Luca Fiore
Non capita spesso di dare belle notizie, ma quella che è arrivata all’inizio della settimana dalla Sardegna lo è davvero. La Saras, uno dei colossi industriali italiani, uno dei principali gruppi energetici del paese, è stato sconfitto. Grazie ad anni di mobilitazioni e di battaglie dei comitati e dei cittadini di Arborea, paese a vocazione agricola e turistica di appena 4000 anime nel Campidano, l’azienda del gruppo Moratti non potrà trivellare in cerca di metano.
A bocciare il famigerato ‘progetto Eleonora’ (provocatoriamente intitolato ad uno dei principali simboli dell’identità nazionale sarda) è stato il Consiglio di Stato che ha respinto definitivamente il ricorso presentato dalla Saras contro la bocciatura da parte del Tar sardo del piano presentato dall’impresa. Nell’esprimere il suo punto di vista il Consiglio di Stato si è richiamato al Piano paesaggistico approvato nel 2005 dalla giunta regionale guidata allora da Renato Soru e ad altri vincoli restrittivi, affondando così il progetto dell’impresa dei Moratti che prevedeva di trivellare, in cerca di gas, dei terreni contigui alla zona lacustre di S’ena Arrubia, sulla costa oristanese. Un territorio però protetto, così come tutta la fascia costiera fino a trecento metri dal mare in tutta l’isola, da un vincolo paesaggistico stabilito appunto nel Piano regionale varato undici anni fa.
Nonostante la patente illegalità delle sue richieste la Saras ha insistito presentando prima ricorso al Tar e poi al Consiglio di Stato, che però gli hanno dato entrambi torto facendo tirare un sospiro di sollievo ai comitati – a partire da quello ribattezzato ‘No al Progetto Eleonora” – ai cittadini e agli enti locali che si erano da subito opposti ai voraci appetiti dei Moratti, sostenuti invece nel 2009 dalla giunta Cappellacci.
“Il Gruppo societario energetico ha insistito nel voler portare avanti a ogni costo il proprio progetto di ricerca di gas naturale e, successivamente, di estrazione. Non importa la totale contrarietà della popolazione locale, delle imprese e delle associazioni agricole, di ogni compagine sociale e, in prima fila, del Comitato “No al Progetto Eleonora”. L’arroganza della speculazione energetica rappresentata da questi pretesi beneficatori non conosce limiti. Ora ha avuto la risposta sul piano giuridico, uscendone con le ossa rotte” ha commentato sul suo sito il ‘Gruppo d’Intervento Giuridico onlus’ che ha sostenuto le rivendicazioni della comunità locale nella battaglia sul ricorso al Consiglio di Stato.
Esultano i contadini e gli allevatori, i pescatori, gli attivisti ambientalisti e i movimenti di sinistra, gli indipendentisti e quei piccoli imprenditori che hanno puntato sulla qualità. Che ora sperano che la sconfitta della Saras scateni un effetto domino e faccia prevalere le ragioni del buon senso, dell’ambiente e delle comunità su quelle dello sfruttamento coloniale e inquinante dell’isola, sequestrata da un numero altissimo di ‘servitù militari’ e da vari siti industriali e minerari nella stragrande maggioranza dei casi ormai chiusi e abbandonati dopo decenni di contaminazione ambientale.
Il 2015 e i primi mesi del 2016 hanno visto un risorgere della mobilitazione ambientalista e antimilitarista in varie porzioni dell’isola, con il rilancio della mobilitazione contro i progetti inquinanti, le basi e i poligoni militari.
Difficile dire se quella ottenuta grazie al Consiglio di Stato sarà una vittoria definitiva contro la Saras che evidentemente non rinuncerà facilmente alle sue mire sull’Oristanese, il cui sottosuolo potrebbe celare vasti giacimenti di metano. E i Moratti possono anche valutare l’opportunità di cominciare a trivellare da qualche altra parte della Sardegna, magari in un territorio dove sperano di incontrare una resistenza popolare minore e una classe politica più disponibile a farsi comprare.

Luca Fiore

sabato 23 luglio 2016

BAMBINI RUBATI E QUELLI NON ANCORA NATI

L'oggetto dei due articoli proposti oggi hanno vedono i bambini in primo piano in due vicende però distanti tra loro e che necessitano di diversi commenti fermo stante che si parla di denunce e di ricorsi fatti da adulti ma che vedono come vittime in prima persona proprio loro.
Il primo preso dal Corriere(http://sociale.corriere.it/adozioni-italiani-ladri-di-bambini-inchiesta-choc )e parla di un'inchiesta condotta dal giornalista Fabrizio Gatti pubblicata ad inizio mese sul settimanale L'Espresso(espresso.repubblica.it/archivio )durata quattro anni e che vede accusare il meccanismo delle adozioni di minorenni(in questo caso si parla di bambini provenienti dal Congo)ed in particolar modo l'associazione Aibi e del lavoro delle commissioni pubbliche italiane e congolesi e di arresti,ripicche,sequestri e torture in una triste vicenda di compravendita di esseri umani.
C'è anche la reazione della stessa Aibi e le responsabilità anche del nostro governo e della commissione per le adozioni internazionali che in questa storia non hanno controllato a dovere molte richieste di adozione col risultato di vedere venire bloccate anche quelle iniziate con tutti i crismi del caso.
Il secondo articolo di Repubblica Milano(milano.repubblica-cronaca )parla invece dei bambini che dovranno nascere e delle difficoltà delle coppie sterili che trovano nel loro cammino per poter usufruire della programmazione medicalmente assistita.
Infatti il Tar della Lombardia ha ritenuto illegittima la sentenza della regione di far pagare agli assistiti del servizio sanitario pubblico gli aiuti per la fecondazione assistita eterologa,così come si è espresso il Consiglio di Stato interpellato dalle associazioni che si occupano delle persone che hanno difficoltà ad avere figli.

Adozioni, «Italiani ladri di bambini»: inchiesta choc su L’Espresso. Per Ai.Bi. si tratta di “accuse diffamatorie”.

di Gianluca Testa  
Milano-Una notizia da far tremare i polsi e che getta ombre – diffondendo un malcelato sgomento – nel mondo delle organizzazioni che si occupano di adozione internazionale. Stavolta non ci sono storie a lieto fine. Nessuna foto commovente da prima pagina. Il ricordo della bambina congolese che in aereo fa una treccina nei capelli del ministro Maria Elena Boschi è solo un ricordo. Come un ricordo è l’inno di Mameli cantato dai bimbi partiti da Kinshasa e arrivati a Ciampino per iniziare un nuova vita – dopo lunghe peripezie burocratiche – con la famiglia adottiva italiana.
Oggi questo mondo si è svegliato sentendo suonare un campanello d’allarme. Anzi, una sirena. Perché in copertina, nel nuovo numero de L’Espresso appena uscito in edicola, c’è un titolo choc. Proprio come l’inchiesta che segue nelle pagine interne: «Minori sottratti ai genitori in Congo per darli a famiglie italiane attraverso un’associazione milanese che ha nascosto la verità».
Il titolo di prima pagina, che copre gli occhi di un bimbo africano, è esplicito, doloroso, tagliente: «Ladri di bambini». A firmare l’inchiesta è il giornalista Fabrizio Gatti, lo stesso inviato che una decina di anni fa si finse un migrante «ripescato in mare» per raccontare la vita nel centro di permanenza temporanea di Lampedusa. Dall’interno.
L’INCHIESTA
Stavolta il tema è un altro. Stiamo parlando dei bambini del Congo sottratti alle loro famiglie dai «trafficanti insospettabili» per farli arrivare in Italia. «I casi dimostrati sono almeno cinque. Ma è soltanto la punta dell’iceberg» scrive Gatti.
«L’indagine avviata dalla Commissione per le adozioni internazionali (Cai), cioè l’autorità di controllo della Presidenza del Consiglio su enti e procedure di adozione, ha un seguito ancor più sconvolgente» si legge nell’inchiesta. «L’organizzazione in Africa ha potuto operare grazie alle presunte coperture e alle omissioni dei vertici dell’associazione “Aibi – Amici dei bambini” di San Giuliano Milanese. Secondo le segnalazioni raccolte, i responsabili di Aibi non hanno denunciato quanto sapevano, hanno fornito informazioni non corrispondenti al vero. E, attraverso i loro assistenti locali, avrebbero addirittura ostacolato la partenza per l’Italia di decine di bimbi, mettendo così a rischio il trasferimento di tutti i centocinquantuno minori già adottati in Congo da famiglie italiane».
Proprio pochi giorni fa Cai ha diffuso gli ultimi dati sulle adozioni internazionali: in cinque anni  le autorizzazioni rilasciate all’ingresso di minori in Italia sono dimezzate. Dalle 4.130 del 2010 si è passati a 2.211 dell’anno scorso.
I PRESUNTI SOPRUSI
Il settimanale ha ricostruito la vicenda attraverso l’aiuto di una fonte interna ad Aibi, a contatti diretti con Kinshasa e a un lavoro d’inchiesta sull’associazione iniziata addirittura quattro anni fa.
«Abbiamo così assistito a un film horror. Diciotto bambini tra i 3 e i 13 anni, anche loro già adottati da genitori italiani e quindi con cognome italiano, sono stati tenuti in ostaggio per un anno e mezzo, fino al 29 maggio scorso, in due orfanotrofi a Goma, nella regione più pericolosa nell’Est del Paese africano. Una bambina di 9 anni, figlia adottiva di una coppia di Cosenza, è sparita nel nulla. Altri piccoli sono stati bloccati da un commando e portati al sicuro soltanto dopo lunghe trattative. Un affidatario congolese, che su richiesta della Commissione adozioni della Presidenza del Consiglio e su mandato dell’autorità giudiziaria locale aveva messo in salvo quei bambini, come ritorsione è stato arrestato per una settimana su ordine del presidente del Tribunale dei minori di Goma: lo stesso giudice che Aibi, nelle comunicazioni interne, indica come proprio partner. Durante la detenzione l’affidatario è stato torturato: lo hanno immerso in una buca con gli escrementi della prigione, lo hanno picchiato e gli hanno ustionato i genitali».
LE NOMINE
La vicenda ha risvolti politici. Secondo l’inchiesta, infatti, il presidente di Aibi, Marco Griffni, «quando ha probabilmente intuito di essere sotto indagine» ha cominciato «la sua guerra personale contro la presidente della Commissione per le adozioni internazionali, il magistrato di lungo corso Silvia Della Monica». Risultato?
«Il 10 maggio scorso Matteo Renzi, con una decisione a sorpresa – scrive ancora Gatti – si è arreso alle pressioni: ha infatti annunciato che si sarebbe ripreso le deleghe di presidente della Cai affidate due anni fa a Silvia Della Monica, confermata solo come vicepresidente, per assegnarle al ministro Maria Elena Boschi. Così come poi è avvenuto. Un atto che ha messo in crisi proprio nel momento più delicato l’operazione di salvataggio degli ultimi 18 bambini ancora in ostaggio a Goma».
Secondo Gatti – che parla di arresti, torture e depistaggi – «il governo sapeva dell’inchiesta su Aibi». Ma non è tutto. Il tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, infatti, «aveva già censurato” il presidente dell’associazione Griffini “per aver omesso di denunciare una rete di pedofili che violentava i bambini in un orfanotrofio in Bulgaria e produceva con loro film pornografici».
LA REPLICA
Ieri Aibi ha diffidato la direzione del settimanale dal pubblicare il servizio che oggi è in edicola perché «riporterebbe gravi diffamazioni e veicolerebbe calunnie». L’associazione dice che «di tutte le attività compiute o di cui si è avuta notizia nella Repubblica Democratica del Congo, è sempre stata informata la Commissione per le adozioni internazionali per iscritto». Poi ha aggiunto:
«Le adozioni internazionali nel paese si svolgono, come in ogni altro Stato, sotto la responsabilità delle autorità pubbliche dei due paesi coinvolti» e «nessuna sentenza di adozione né l’ingresso in Italia dei bambini adottati può avvenire senza l’autorizzazione della stessa Cai e delle autorità congolesi».
Aibi ricorda inoltre di aver denunciato – oltre due anni fa alla Cai e alle autorità congolesi e oltre un anno e mezzo fa in Procura, a Milano – «notizie relative alla esistenza di anomalie nelle procedure di adozione in Congo».
@CorriereSociale

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Eterologa, il Tar boccia la Lombardia: "Illegittima la fecondazione a pagamento".

La decisione nel merito del ricorso di un'associazione contro la normativa introdotta dal Pirellone. Nello stesso senso si era già espresso il Consiglio di Stato concedendo una sospensiva.

Il Tar della Lombardia ha dichiarato "illegittima" la "decisione della Regione Lombardia di porre a carico degli assistiti il costo delle prestazioni per la fecondazioni assistite di tipo eterologo". E' scritto nella sentenza depositata sul ricorso presentato dall'associazione 'Sos Infertilità Onlus' contro la Regione.

Nella stessa direzione si era espresso il Consiglio di Stato che aveva accolto la contestazione delle associazioni che hanno fatto ricorso: si crea una disparità di trattamento rispetto a chi accede a una fecondazione omologa, a carico del servizio sanitario. "Riteniamo di essere nel giusto - è il commento del governatore della Lombardia, Roberto Maroni - e perciò presenteremo ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar su eterologa". In una nota ufficiale la Regione Lombardia chiarisce che "l'annullamento delle delibere riporta la situazione allo status quo ante, cioè al giorno prima dell'adozione di quegli atti: in quel giorno le prestazioni PMA eterologhe erano lecite, ma non garantite dal servizio pubblico".

QUANDO PISAPIA ATTACCAVA: "SCELTA OSCURANTISTA"

Quella della disparità è la motivazione centrale con cui il Consiglio di Stato ha censurato la delibera, ritenendo tra l'altro che, diversamente, in attesa del giudizio di merito, la coppia che non può sostenere l'onere economico, potrebbe perdere l'età potenzialmente fertile per accedere alla fecondazione. I giudici avevano comunque rinviato la decisione definitiva al Tar della Lombardia che ora ha emesso il suo verdetto.

Nella sentenza è spiegato che è "fondato" il ricorso nella parte in cui si considera illegittima la scelta della Regione di far pagare per intero l'eterologa, se confrontata con quanto accade invece con la PMA omologa, per la quale l'assistito paga solo il ticket. "Il trattamento deteriore riservato alla PMA di tipo eterologo appare illegittimo - è scritto - anche per violazione del canone di ragionevolezza, attesa la riconducibilità di questa allo stesso genus della PMA di tipo omologo, assoggettata invece al pagamento del solo ticket".

"Di conseguenza, vanno dichiarate illegittime le deliberazioni regionali impugnate nella parte in cui si è stabilito di porre a carico degli assistiti il costo delle prestazioni per la PMA di tipo eterologo, unitamente alla previsione delle relative tariffe", ribadisce la sentenza. Il Tar ha invece rigettato la parte del 
in cui 'Sos infertilità' chiedeva di dichiarare come illegittima la sospensione delle procedure per il rilascio di nuove autorizzazioni e accreditamenti ai Centri di PMA. Questo perché, secondo la sentenza, la sospensione è "necessaria per consentire di adeguare gli standard operativi e le tecniche di effettuazione della PMA alle più moderne tecnologie e di adattare le procedure anche alla luce del recente riconoscimento della possibilità di ricorrere alla PMA di tipo eterologo".

venerdì 22 luglio 2016

BOICOTTARE L'IMPERO OTTOMANO


A pochi giorni di distanza dal fallito golpe turco sul quale aleggiano ancora misteri(madn sarebbe-stato-un-golpe-giusto-se-vero? )prosegue la vendetta di Erdogan che dopo le uccisioni dell'immediato putsch ha prodotto centinaia di arresti tra militari,prefetti,magistrati,docenti,poliziotti e giornalisti oltre che un'altra epurazione che non è mai terminata che è quella di emittenti radiofoniche e televisive e gruppi editoriali che non sono di suo gradimento.
Come sempre detto questa brutta piega verso un'islamizzazione radicale ed integralista dello Stato,che ha portato allo sgozzamento di militari sul ponte di Istanbul al grido di Allah è grande e ronde di persone che malmenavano le donne prive di velo,è un perfetto continuo con la politica di vendita di armi e di copertura e favoreggiamento dei miliziani Isis.
La Turchia ha proclamato tre mesi di stato d'emergenza di fatto dando maggiori poteri alla polizia di regime e la creazione di tribunali speciali e carceri per i golpisti(dovranno necessariamente costruirne nuove visti i numeri spropositati di arrestati)e le reazioni mondiali a questo sono molto scarse e quelle italiane addirittura scoregge come ci si è abituati da Gentiloni.
Tuttavia escludendo per un attimo Erdogan e la Turchia e comunque riconoscendo la democraticità e la legittimità del risultato elettorale le purghe di chi ha complottato contro uno Stato sovrano(al contrario dell'Italia)sono ammissibili nel rispetto delle regole dei diritti umani che il sultano ha già deciso di sorvolare alla faccia di chi tifa ancora per l'ingresso della Turchia in Europa.
Che è sempre più una riedizione dell'Impero ottomano che quant'altro,e bisognerebbe cominciare a boicottare i prodotti turchi e decidere fino a quando ci sarà il regime Erdogan(ma io lo faccio dalla lontana vicenda di Ocalan-madn ocalan-liberokurdistan-libero )di non visitare il territorio turco anche se pieno di ricchezze naturali,paesaggistiche e culturali.
Articolo preso da Nena News(http://nena-news.it/in-turchia-e-stato-demergenza/ ).

In Turchia è stato d'emergenza.

Ieri sera il presidente Erdogan ha annunciato la misura che segue a giorni di purghe di massa. Che continuano senza sosta

dalla redazione
Roma, 21 luglio 2016, Nena News – Ieri sera, dopo 5 ore di riunione del Consiglio di Sicurezza, il presidente Erdogan ha annunciato tre mesi di stato di emergenza nel paese, dopo il tentato golpe di venerdì scorso. “L’obiettivo è assumere in modo più efficace le misure necessarie ad eliminare la minaccia alla democrazia del nostro paese, lo Stato di diritto e i diritti e le libertà dei nostri cittadini”, ha detto.
Un discorso carico di retorica, viste le epurazioni di massa che da giorni stanno colpendo decine di migliaia di persone, dipendenti pubblici, funzionari di ministeri, poliziotti, giudici. Lo stato di emergenza è stato dichiarato sulla base dell’articolo 120 della Costituzione, che limita la misura speciale ai sei mesi di tempo. L’entrata in vigore è di questa notte, alle 1: darà più poteri al Ministero degli Interni (e quindi alla polizia) e ai governatori locali nel condurre arresti e indagini, mentre gli arrestati potranno essere detenuti per periodi più lunghi di tempo.
“Non c’è niente di cui preoccuparsi – ha aggiunto Erdogan – L’autorità e la volontà dei leader civili crescerà e non faremo alcun compromesso sulla democrazia”.
Insomma, secondo il presidente, tutto procederà normalmente: proseguiranno i progetti infrastrutturali previsti, saranno portate avanti le riforme economiche già decise e i diritti dei cittadini non saranno intaccati. Eppure questo avviene già: ai 10mila arrestati in poche ore dentro esercito, polizia e magistratura, si è aggiunta in pochi giorni una lista abominevole di persone sospese dai propri incarichi, una mannaia che ha colpito oltre 50mila persone:
Nel mirino c’è soprattutto l’educazione, con 20mila dipendenti pubblici sospesi, 21mila privati privati delle licenze di insegnamento e 1.577 rettori di università che ieri sono stati sostituiti con personalità vicine all’Akp.
Dietro sta la paranoia – reale? – dello Stato parallelo che secondo Erdogan è stato imbastito negli anni dall’ex alleato e ora acerrimo nemico, l’imam Fethullah Gulen, considerato il responsabile di una rete capillare che ha infestato scuole, istituti educativi, magistratura e forze armate. Non è un caso che una lunga lista di istituti scolastici è già pronta: 524 istituti sono giù stati chiusi.
Inoltre il governo ha vietato agli accademici di lasciare il paese, chiesto a chi è fuori di rientrare immediatamente e imposto ai nuovi dirigenti scolastici e universitari di denunciare i dipendenti che sospettano di tradimento. Ieri si sono registrati i primi concreti attacchi alla stampa, con una rivista chiusa per aver pubblicato una vignetta satirica sul golpe e altre agenzie web sospese. Oscurato anche WikiLeaks che era riuscito a pubblicare oltre 300mila mail inviate da indirizzi del partito di Erdogan, l’Akp. Pare che molte si riferissero proprio a Gulen e altre alla base Nato di Incirlik.
Dall’alto del palco di Ankara, ieri sera, dove ha arringato per l’ennesima notte una folla di sostenitori, il presidente si sente intoccabile. E promette vendetta: dalla riunione del Consiglio di Sicurezza è uscita anche la proposta concreta di creazione di tribunali speciali e carceri ad hoc in cui rinchiudere i golpisti o presunti tali. Ad oggi non si hanno prove o indicazioni di indagini in corso: il pugno di ferro è stato calato sula Turchia sulla base di liste di proscrizione pronte da tempo. Cosa che spiegherebbe, dicono gli analisti, perché i golpisti abbiano deciso di agire prima del previsto, proprio in vista della “pulizia” che il governo aveva già in mente di operare.
A garantire Erdogan dalle critiche che in queste ore stanno fioccando – in particolare dalla Germania e dall’Unione Europea – sono le politiche stesse assunte dai suoi alleati occidentali. Che ieri ha tenuto a ribadire: dopo gli attacchi di Parigi, anche la Francia ha dichiarato lo stato di emergenza che continua a rinnovare senza grosse polemiche. Nena News.

giovedì 21 luglio 2016

SOTTOVOCE


Processo Olgettine, Senato nega uso intercettazioni di Berlusconi. Scambio di accuse tra dem e M5s
Mentre il mondo ma oggi parlo esclusivamente dell'Italia sono stati monopolizzati dalle drammatiche vicende francesi e turche,da noi anche dalla strage del treno in Puglia ma per ora scordandosi per esempio dei morti che continuano ad esserci nel Donbass e in Palestina,sottotono e sottovoce stanno passando notizie che dovrebbero interessare molto più l'opinione pubblica.
Parto innanzitutto dai due contributi presi da Repubblica(www.repubblica.it/politica )e da Contropiano(contropiano ai-politici-italiani-la-tortura-piace )che parlano di due argomenti discussi negli ultimi giorni in Parlamento e che sono rispettivamente la negazione del Senato di poter usare le intercettazioni telefoniche di Berlusconi nel caso delle olgettine e il rinvio della discussione dell'inserimento del reato di tortura e dei nuovi regolamenti sulle prescrizioni e sulle intercettazioni(guarda caso)a dopo l'estate.
Il caso olgettine,modelle e non,prostituzione,droga,stupri di minorenni e quant'altro con il litigio e lo scambio di accuse tra piddini e grillini su chi abbia potuto far accadere questo ennesimo regalo all'ex presidente puttaniere.
Il caso torture con un Alfano sempre più indisponente e dalla parte(sempre e comunque)dei torturatori in divisa in modo che possano giocare ancora con i manganelli fino(e dopo presumibilmente)a settembre.
Segnalo altri link sul vergognoso atteggiamento del Coisp nei giorni del ricordo di Carlo Giuliani(contropiano carlo-giuliani-facebook-censura-zerocalcare e senza soste perche-la-pagina-facebook-di-zerocalcare-e-stata-oscurata )con i soliti insulti gratuiti alla sua memoria e col caso del fumettista Zerocalcare minacciato in rete in quanto partecipante ad un incontro in Piazza Alimonda,massima solidarietà all'autore.
Un altro ancora,e questo pesantemente taciuto o ridotto a poche righe o a qualche secondo sui notiziari televisivi,che riguarda le decine di arresti in Calabria e in tutta Italia di politici,mafiosi,faccendieri,assicuratori e imprenditori legati a doppio filo per le famose grandi e inutili opere quali Mose,Tav ed Expo per citare i casi più eclatanti(contropiano quella-fatale-attrazione-della-mafia-le-grandi-opere ).

Processo Olgettine, Senato nega uso intercettazioni di Berlusconi. Scambio di accuse tra dem e M5s.

Grillo: "Pd salva Silvio in cambio sì a referendum". Il voto a scrutinio segreto. Zanda, capogruppo democratici: "Certo del nostro voto a favore uso telefonate. Meno certo che altri gruppi, che erano su questa posizione, l'abbiano poi mantenuta nell'urna"


Roma-Il Senato salva Berlusconi, ed è bagarre tra dem e grillini. L'Aula di Palazzo Madama, con voto a scrutinio segreto, non ha dato l'autorizzazione all'utilizzo di intercettazioni telefoniche tra Silvio Berlusconi e le cosiddette Olgettine. I voti favorevoli sono stati 120, i contrari 130 e 8 gli astenuti. La Giunta per le immunità parlamentari aveva chiesto il via libera all'autorizzazione, ma solo per tre delle 11 intercettazioni inviate al Senato dalla magistratura milanese, e che erano state effettuate in un'altra indagine con al centro una presunta truffa su finanziamenti pubblici, poi archiviata. Quelle tre erano quelle che si riteneva che fossero finite nell'indagine casualmente. Si trattava di conversazioni cosiddette "casuali", ossia i pm non potevano prevedere "che si sarebbe intercettato il Parlamentare" e quindi non avevano l'obbligo di chiedere all'epoca l'autorizzazione al Parlamento. Sulle altre c'era il dubbio, e così sono state stralciate. Il Cavaliere, sempre ad Arcore per completare la riabilitazione dopo l'operazione al cuore, tira un sospiro di sollievo e Fi esulta.

Ma è scontro, ora, sul voto segreto con scambio di accuse tra M5s e Pd. Subito dopo la votazione dell'assemblea, i senatori grillini hanno protestato tanto che il presidente Pietro Grasso ha sospeso la seduta. Beppe Grillo, sul suo blog, accusa: "È un inciucio che non finisce mai". "Ora che il referendum costituzionale si avvicina - continua il post - il Pd salva Silvio in cambio di un benevole atteggiamento, suo e del suo potente impero mediatico, nei confronti della consultazione popolare. Il #PdSalvaSilvio, ma chi salverà il Pd dal giudizio popolare?".

 Uscendo dall'emiciclo, esponenti del Pd hanno attaccato sostenendo che, complice il voto segreto, a votare per il no all'utilizzo delle intercettazioni sono stati i grillini. "Prove di alleanza in aula tra M5s e destre", è l'accusa del senatore dem Andrea Marcucci. Rincara la dose contro i 5Stelle la vicesegretaria dem Debora Serracchiani. "I moralizzatori della politica italiana, quelli dello streaming e del vaffa- commenta - quando si va al sodo mostrano la vera faccia: zero scrupoli e accordi sottobanco con la destra". "Purghe interne sanzionate dai tribunali, parentopoli accertata, partito eterodiretto da una società privata - aggiunge Serracchiani - e adesso anche lo scambio di favori con i forzisti: questo il ritratto di chi si propone come l'unica vera alternativa alla politica".

M5s: "Nazareno risorto". "il Patto del Nazareno è risorto", replicano i 5Stelle. "Il Pd con il voto segreto - avverte il capogruppo del Movimento, Stefano Lucidi - salva Berlusconi e prova a puntellare la sua sempre più scricchiolante maggioranza. Un modo subdolo, dando la colpa ad altri come già accaduto in altre occasioni, giocato sulla pelle della Giustizia, per provare ad assicurarsi anche un comportamento benevolo da parte dei berlusconiani e del loro potente sistema mediatico nel referendum costituzionale".

Zanda: "Certo del nostro voto, ma non di quello degli altri". Il capogruppo Pd, dopo lo scontro con i grillini, e forse anche per rispondere a chi sospetta che alcuni senatori democratici abbiano votato in favore di Berlusconi, conferma che il partito ha rispettato quanto deciso dalla Giunta. "Sono certo - dichiara il presidente dei senatori dem, Luigi Zanda -  che il mio gruppo ha votato compattamente a favore della decisione della Giunta di concedere all'autorità giudiziaria l'uso delle intercettazioni di Silvio Berlusconi". "Sono molto meno certo - prosegue - che, nel voto segreto, ci sia stato lo stesso comportamento da parte di gruppi che pur avevano espresso, nel dibattito d'Aula, la stessa posizione. Siamo di fronte ad un episodio analogo a quello del 1993, quando la Lega salvò Bettino Craxi".

Il processo. Il fascicolo oggetto del voto in Senato contiene in tutto 11 intercettazioni tra l'ex premier e due 'Olgettine' e aveva subito in Giunta un iter travagliato. Le intercettazioni sono relative al 2012, quando Berlusconi era deputato. Il gip di Milano ha ritenuto di inviare le carte al Senato, cioè all'ultima Camera dove Berlusconi è stato parlamentare, perché l'inchiesta su Ruby Ter (dove l'ex Cavaliere è accusato di corruzione di testimone) è stata formalizzata nel 2013 quando era senatore. Le intercettazioni resteranno comunque agli atti del procedimento Ruby ter ma potranno essere utilizzate dai pm come prove a carico soltanto nei confronti delle ragazze e non dell'ex premier.  Per il gip Stefania Donadeo, che lo scorso primo ottobre aveva accolto la richiesta del procuratore aggiunto Pietro Forno e dei pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, quelle telefonate "appaiono rilevanti" nell'ambito dell'inchiesta con al centro il reato di corruzione in atti giudiziari, perché dimostrerebbero le "trattative" per elargire "alle due donne somme di denaro" e regalare loro "immobili" in cambio di una sorta di "lealtà processuale". Il procedimento è in fase di udienza preliminare con la prossima udienza fissata per il 3 ottobre.

Il processo Ruby ter.  Nelle conversazioni inviate alla Giunta del Senato, alle "pressanti richieste" delle due giovani ("Olgettine"), in passato ospiti delle serate ad Arcore, "di adempimento degli obblighi di dazione di quanto promesso", Berlusconi "subordina" il loro "atteggiamento processuale". L'ex Cavaliere, infatti, avrebbe chiesto "esplicitamente a Barbara Guerra di convincere Iris Berardi a revocare la costituzione di parte civile" e nella telefonata del 12 aprile 2012 la showgirl "confermava a Berlusconi che avrebbe messo 'i suoi buoni uffici' per convincere 'la matta' (Berardi, ndr), ad abbandonare la strada scelta". E dal diario della brasiliana agli atti dell'inchiesta, secondo il gip, "si evince ancor più quanto e perché Berlusconi dovesse temere la deposizione testimoniale della stessa, atteso che vi si fa esplicito riferimento ad una relazione di tipo prostitutivo tra i due quando la Berardi era ancora minorenne". Le due Olgettine, dopo essersi costituite parti civili nel processo Ruby 2 a carico di Fede, Mora e Minetti, ritirarono la loro costituzione. E nelle intercettazioni, come scrive il gip, Berlusconi "non esitava ad ordinare alla Guerra" di revocarla, chiamando la revoca "quella cosa lì".

Il video di accusa. Gli inquirenti potranno usare come prova documentale a carico di Berlusconi il video di una telefonata filmata dalla stessa Barbara Guerra mentre parlava con l'ex Cavaliere nel giugno 2013 (alla presenza anche di Alessandra Sorcinelli) e nella quale l'ex premier, tra le altre cose, diceva: "Ho fatto un assegno io ieri di 160.000 euro per pagare i mobili della casa". E Guerra: "Ascolta, Silvio, non è casa mia quella! Sono in mezzo a una strada ancora! Dopo 4 anni di merda! Ma stiamo scherzando?".

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Ai politici italiani la tortura piace.

di Redazione Contropiano.
Trent’anni fa è stata approvata la Convenzione Onu contro la tortura, definendo questa pratica come rato con chiarissime parole: “il termine «tortura» designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate”. Si deve sottolineare come la definizione sia pensata proprio per i “funzionari pubblici” sotto qualsiasi regime politico, tanto che la tortura viene distinta con precisione dalle conseguenze di “sanzioni legittime”.
L’Italia ha ratificato la Convenzione con appena nel tre anni di ritardo, nel 1989. Senza mai varare però una legge che rendesse operativa quella convenzione.
Nel 2015 la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per i fatti del G8 di Genova, spiegando che in Italia le varie polizie si sentono legittimate a torturare fermati e arrestati proprio per l’assenza di sulla tortura.
Il Pd ha rabberciato in Commissione Giustizia del Senato, che doveva raccordare il testo approvato alla Camera con quello approvato dal Senato, un testo molto cauteloso sul tema, adottando oltretutto una definizione della “tortura” in modo molto diverso da quanto previsto nella Convenzione Onu (“Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa”), che nell’affollarsi di parole interpretabili apre varchi giganteschi ai futuri avvocati messi alla difesa degli agenti accusato di questo reato, vanificando di fatto l’effetto deterrente di una legge penale. Per esempio, con questa definizione potrebbe essere condannato per tortura un dipendente di una casa di cura “manesco”, ma difficilmente un poliziotto o un carabiniere.
Ma anche questo nulla sembra troppo a decisivi sostenitori del governo o loro ex compari nei governi Berlusconi.
Angelino Alfano: “Evitiamo messaggi fuorvianti nei confronti delle forze dell’ordine”Fabrizio Cicchitto: “Sono inutili gli sproloqui sul terrorismo se si indeboliscono le forze dell’ordine e il sacrosanto disegno di legge sul reato di tortura non va bene in questa formulazione, no si devono accomunare le forze dell’ordine e i delinquenti”.Carlo Giovanardi: “Sono penalizzate le forze dell’ordine, si graziano i delinquenti”. “I sindacati di polizia sono tutti d’accordo per l’altolà a questa legge. Noi siamo solidali con i sindacati di polizia e il Cocer dei carabinieri che si oppongono al disegno di legge sulla tortura, che è un provvedimento intriso di pregiudizi nei confronti delle forze dell’ordine”. Ne consegue che gli unici sindacati rispettati da Giovanardi sono quelli di polizia…
Erika Stefani (Lega): “nel momento in cui il poliziotto effettua l’arresto, nel prendere il delinquente probabilmente esercita una violenza nei confronti di un soggetto che è quanto meno sottoposto alla sua vigilanza o custodia, quindi arrivava a commettere un reato di tortura e ad avere una punizione addirittura aggravata fino a quindici anni in quanto pubblico ufficiale”.
Riccardo Mazzoni (Ala – Verdini): “I vertici delle Forze dell’ordine hanno in particolare messo l’accento sul rischio che con questa legge non si possa più garantire l’ordine pubblico, perché ogni tafferuglio potrebbe essere seguito da un diluvio di denunce alla magistratura”.
Se ne può trarre un’unica conclusione: per una parte consistente e decisiva della “classe politica” italiana gli agenti delle varie polizie devono sempre avere massima discrezionalità nell’uso della violenza, altrimenti non potrebbero fare nulla.
Di conseguenza, per questi politici i poliziotti di ogni arma sono dei torturatori autorizzati che non devono aver nulla da temere dal loro datore di lavoro. Lo Stato. Che in regime di democrazia parlamentare, sia pure borghese, sarebbe in teoria il nostro rappresentante.
Se vi sembra illogico come un uroboro, non è colpa nostra.