giovedì 31 dicembre 2015

ATTENTI AL CANONE

Dall'anno prossimo,quindi tra poche ore,in Italia il canone della Rai verrà pagato direttamente nel bollettino del fornitore dell'energia elettrica e lo Stato pensa così di recuperare somme importanti dall'evasione di questa tassa che è la più trascurata e anche tra quelle più discusse delle intere imposte italiane.
E' sempre stato difficile soprattutto negli ultimi anni associare la libertà d'informazione su quello che realmente offre la tv di Stato nei contenuti dei propri palinsesti e in particolar modo nei telegiornali e nei talking show,a quello realmente proposto.
La liberalizzazione dei canali ha ovviato solo in parte a questo visto che storicamente le emittenti Mediaset della famiglia Berlusconi e quelle Sky della famiglia Murdoch,per citarne solo due tra le più importanti e che hanno la possibilità di avere canoni a parte per poter trasmettere,in quanto è risaputo che entrambe tirano l'acqua al proprio mulino.
Ma quello che diventerebbe anticostituzionale saranno i fatti che le imposte da legge devono essere progressive e che quindi i 100 Euro da pagarsi in dieci rate verranno pagate sia da chi abbia un reddito annuo di 10mila Euro o di 1milione di Euro senza differenza alcuna.
L'altro punto è quello anticipato sopra dove la Rai non è più un servizio essenziale e volendo il canone non potrebbe essere pagato a patto dell'oscuramento delle emittenti del corollario della televisione di Stato.
L'articolo di Senza Soste sviscera questi piccoli ragionamenti ponendo anche delle cifre sulle somme evase ma non su quelle che dovrebbero essere incamerate che  entrerebbero a far parte di un fondo per la riduzione della pressione fiscale.
Inoltre si elencano le persone che verrebbero esentate dal pagamento(dagli ultrasettantacinquenni con redditi bassi arrivando agli appartenenti delle forze armate ai diplomatici di altri paesi)spiegando che si potrebbe fare un'autocertificazione se non si possiedono televisioni,radio o computers,ma nel caso di controlli si entrerebbe(nel caso di colpevolezza)nell'ambito del penale oltre che a quello del civile.
 
Cave canone
Carlo Musilli - tratto da http://www.altrenotizie.org
 
Costerà meno, ma non diventerà né più semplice né più equo. Per ora sono queste le sole certezze sul nuovo canone Rai. La legge di Stabilità arrivata in Parlamento la settimana scorsa prevede che nel 2016 l'importo da pagare calerà da 113,5 a 100 euro e che l'imposta sarà inserita nella bolletta elettrica. I dettagli tecnici sulle modalità di pagamento e sulle sanzioni sono demandati a un decreto del Tesoro che dovrà essere emanato di concerto con il ministero dello Sviluppo economico e con l'Autorità per l'Energia entro i 45 giorni successivi all'approvazione della manovra.
La novità del canone in bolletta dovrebbe abbattere l'evasione: le risorse così recuperate nel biennio 2016-2018 (e in eccesso rispetto ai bilanci di previsione Rai, s'intende) saranno destinate al fondo per la riduzione della pressione fiscale. Il governo, per prudenza, non quantifica il maggiore gettito che prevede d'incassare, ma la somma non deve essere irrisoria, considerando che oggi il tasso di evasione del canone è stimato al 27% (pari a 540 milioni di euro l’anno), il più alto fra quelli di tutte le imposte italiane e di tutti i canoni radiotelevisivi d'Europa. Il pagamento sarà probabilmente diviso in sei rate da 16,66 euro l'una e inizierà con la prima bolletta della luce successiva alla scadenza del pagamento della tassa sulla tv, fissata al 31 gennaio.
L’imposta sarà dovuta solo per la prima casa, partendo dal presupposto che l'esistenza di una fornitura di "energia elettrica nel luogo ove è situata la residenza fa presumere la detenzione o l'utenza di un apparecchio atto o adattabile alla ricezione del servizio pubblico radiotelevisivo". Chi non ha in casa né una televisione né una radio (tablet e smartphone, per ora, sono esclusi dalla norma) potrà richiedere l'esenzione inviando un'autocertificazione all'Agenzia delle entrate. Ciò implica che dall'anno prossimo gli evasori, oltre a dover pagare una sanzione amministrativa (fin qui si è parlato di 500 euro, ma in molti pensano che sarebbe una multa eccessiva), saranno perseguibili anche in sede penale, perché violeranno la legge 445 del 2000 sull'autocertificazione.  Insomma, le novità non sono poche e andranno digerite in breve tempo.
La difficoltà tecnica più complicata da superare riguarda l'inserimento del canone nelle bollette, visto che in Italia - dopo la liberalizzazione del 2007 - le società autorizzate a emettere fatture elettriche sono ben 461, si fanno una concorrenza spietata e (giustamente) non hanno alcun interesse a collaborare per diventare esattori dello Stato.   Già l'anno scorso le utility coinvolte mettevano in luce diversi problemi legati a questa innovazione. Innanzitutto, con l’aggiunta del canone aumenterebbero per le imprese gli oneri di gestione e di riscossione, il che potrebbe riflettersi sulle bollette, rischiando di annullare i risparmi prodotti dalla riduzione del canone. Gli utenti, poi, sono liberi di cambiare fornitore anche più volte nel corso di un anno e ciò provocherà verosimilmente un gran caos nella riscossione dell'imposta sulla tv pubblica. Anche l'equazione bolletta della luce = presenza di una tv o di una radio in casa, per quanto in apparenza ragionevole, rischia di risolversi in uno di quei pasticci che producono fiumi di ricorsi. In gioco ci sarebbe nientemeno che il principio di uguaglianza stabilito dalla Costituzione, visto che i contribuenti in possesso di tv o radio, ma che al contempo non sono intestatari di una bolletta elettrica, risulterebbero esentati.
D'altra parte, al di là dello sconto di 13 euro e 50 centesimi l'anno, gli stessi contribuenti hanno poco di cui rallegrarsi. Le nuove norme in arrivo, infatti, non risolvono nemmeno uno dei problemi strutturali legati al canone, che è sempre stato e continuerà a essere uno tributi più odiati dagli italiani. Almeno per due ragioni.
Primo: è slegato dal reddito, perciò contraddice il principio della progressività delle imposte, anch'esso stabilito dalla Costituzione.
Secondo: ora che il monopolio è un lontano ricordo e il mercato radiotelevisivo è più che aperto, quello offerto dalla Rai non è più un servizio essenziale e andrebbe pagato solo da chi vuole usufruirne.
In altri termini, dovremmo essere liberi di scegliere se versare il canone e guardare la Rai, oppure risparmiare il denaro e ritrovarci con la Rai oscurata. Si può obiettare che il servizio pubblico deve essere sostenuto da tutti perché è concepito nell'interesse della collettività e non delle famiglie Berlusconi (Mediaset Premium) e Murdoch (Sky). In teoria il ragionamento è più che giusto, ma nella pratica conviene far pace con la realtà. Davvero qualcuno crede ancora alla favola del pluralismo garantito dal servizio pubblico?
La Rai è sempre stata il regno della lottizzazione fra i partiti e la riforma della governance varata da questo governo non favorisce affatto l'indipendenza dell'azienda. Al contrario: non solo conferma il dominio della politica sulla Rai, ma accentra addirittura il potere, visto che il nuovo super-amministratore delegato sarà nominato dal Cda su proposta del Tesoro, quindi dell'Esecutivo. Quanti italiani pagherebbero 100 euro l'anno per consentire tutto questo, se potessero scegliere?

LA POLITICA DEI PROCLAMI A DANNI AVVENUTI

Gli articoli presi da Infoaut(http://www.infoaut.org/index.php/blog/varie/item/16185-smog-25000-morti-ogni-anno-per-le-polveri-sottili )con contributo sonoro e da Senza Soste,parlano dell'inquinamento atmosferico e dell'emergenza smog createsi per la mancanza di precipitazioni e dall'uso indiscriminato di mezzi automobilistici,inceneritori e in minor parte del riscaldamento.
Ma mentre il governo che ieri tramite il ministro dell'ambiente Galletti elargirà dodici milioni di Euro per affrontare questa priorità,si parla di provvedimenti restrittivi soltanto per due voci elencate qui sopra,le auto e l'utilizzo di caldaie e camini,mentre non si pone il problema degli inceneritori,o dei termovalorizzatori che fa più chic,che sono oltre che la causa di migliaia di morti e di malattie croniche(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/09/i-dati-arpa-sullaumento-di-malattie.html ),anche dei primi attori tra chi contribuisce a questa pessima qualità dell'aria.
Oltre alle soluzioni tappa buchi dell'esecutivo i soliti sbruffoni della politica spettacolo(Grillo,Salvini,Berlusconi tra gli altri)parlano di situazione provocata da anni di lassismo politico,proprio quando almeno gli ultimi due governavano,e di scelte progettuali sbagliate,e su qui non ci piove.
L'incentivo all'utilizzo degli inceneritori è proprio uno dei cavalli di battaglia del Pd,che per inciso a Cremona ha preso per il culo migliaia di persone durante l'ultima campagna elettorale,ma i peggiori politicamente parlando sono gli adepti del Movimento 5 stelle che chissà negli anni precedenti dov'erano,sono nati politicamente solo qualche anno fa e prima non avevano problemi a sputtanare l'ambiente e non avevano mai votato nessuno in vita loro?
Come detto prima la politica dei proclami e del preoccuparsi dell'ambiente e della natura,che di riflesso condizionano totalmente la nostra salute,arriva solamente quando il danno è stato provocato ed è difficile porre una soluzione almeno a breve termine.
Con le scelte di ieri verranno penalizzate ancora le classi più deboli che dovranno pagare e caro il fatto di dove cambiare caldaie che consumano troppo e male(ma almeno qui potrebbe entrare in gioco il fattore sicurezza)e che dovranno rottamare coattamente le proprie vecchie auto,che presumibilmente non hanno ancora cambiato perché non se ne possono permettere una nuova.

Smog: 25.000 morti ogni anno per le polveri sottili.
 
Aria tossica e inquinanti alla stelle in tutto il Paese con Comuni e Regioni, come di consuetudine, che si muovono in ordine sparso, firmano divieti nel tentativo di arginare l’emergenza . A Roma, ad esempio, si viaggia a targhe alterne oggi e domani. A Milano il Comune ha deliberato 3 giorni di blocco totale del traffico da oggi fino al 30 dicembre dalle dalle 10 alle 16. Il sindaco Giuliano Pisapia parla di «un passo coraggioso mai fatto in precedenza». E anche se il leader della Lega Matteo Salvini parla di «una cazzata.. che non risolve i problemi» gli studi dell’Arpa (Agenzia della Regione Lombardia) risponde Pisapia dicono che il blocco totale è l’unico strumento che abbia una qualche efficacia.
Il Sindaco di Brescia Emilio Del Bono ha invece prorogato fino al 31 l’ordinanza per contenere l’ atmosferico derivante da traffico e da impianti termici: il fermo della circolazione dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 18, agli autoveicoli Euro 3 diesel destinati al trasporto di persone. L’ordinanza impone inoltre pure di ridurre di due ore al giorno l’attivazione delle caldaie, che non potrà superare le 12 ore giornaliere, nonché di diminuire di un grado (da 20 a 19 con due gradi di tolleranza) la temperatura negli edifici.

Il Governo intanto ha convocato un vertice d’emergenza per mercoledì 30 per fare fronte all’inquinamento. Una riunione per coordinare gli interventi. Sono stati invitati i presidenti di Regione, i sindaci dei grandi centri urbani e il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio. «L’emergenza smog che si sta verificando in molte grandi città italiane può durare ancora molto» ha spiegato Galletti, quindi «la nostra risposta deve essere coordinata e “di sistema”, non in ordine sparso».

Il presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni ha invece convocato per le 18.30 di oggi al Pirellone un Tavolo di coordinamento con i vertici di Anci Lombardia e con le altre principali istituzioni. Lo scopo è dare un ordine all’azione dei comuni lombardi sulle iniziative antismog e valutare il coordinamento delle altre Regioni della pianura Padana.

Ma con l’allarme si moltiplicano le polemiche. Tra i primi a sollevare le critiche è il leader del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo, che dal suo blog in un post dal titolo “Morti di guerra in tempo di pace”: scrive “Il 2015 si chiuderà secondo l’Istat con 68mila morti in più rispetto al 2014. Come ai tempi delle grandi guerre e attacca, “premier e ministri sono una sciagura per il Paese, non si rendono conto di ciò che accade nel Paese. Litigano per mezzo punto percentuale di Pil e fanno decreti lampo di domenica per salvare le banche mentre passeggiano incuranti sui cadaveri di 68mila italiani che non hanno saputo proteggere”.

I Verdi si rivolgono invece al commissario straordinario di Roma Francesco Paolo Tronca: “Snocciolando i dati dei livelli delle polveri sottili PM10 nella capitale sembra di leggere un bollettino di guerra” afferma il portavoce dei Verdi di Roma Gianfranco Mascia. “Non capiamo perché il responsabile della salute dei cittadini, il facente funzioni di Sindaco Commissario Straordinario Tronca, non voglia prendere quei drastici provvedimenti che servono a bloccare l’inquinamento da polveri sottili”.

Intanto arrivano impietosi i dati diffusi dal progetto VIIAS. Nel 2015 si sarebbero potute salvare 11mila vite umane se i limiti di legge sulle Pm10 e Pm2.5 fossero stati rispettati e di 14 mila per NO2 (diossido di azoto ): 25 mila cittadini italiani oggi sarebbero in vita se la legge fosse stata rispettata: questi sono i dati del dipartimento epidemiologia inseriti nel progetto Viias, valutazione integrata dell’impatto dell’inquinamento sull’ambiente e sulla salute. Sempre secondo questo studio la vita degli italiani si accorcia ogni anno di 10 mesi.

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Rifiuti, in Italia record di inceneritori
L’Italia continua a ignorare la legge che impone la differenziata al 65%. Secondo il Rapporto Rifiuti Urbani 2015 di Ispra in aumento le tonnellate di rifiuti mandati a incenerire. Legambiente: “Nessuno vuole i termovalorizzatori, tranne le grosse multinazionale che hanno investito in questi impianti per fare business”
 
Elisa Murgese - tratto da http://www.wired.it
 
L’Italia continua a scegliere i termovalorizzatori, ignora le leggi che lei stessa fa sulla raccolta differenziata e aumenta il carico di rifiuti mandati a incenerire.
Emettono diossine, sono inquinanti. Nessuno vuole i termovalorizzatori suo suo territorio. “Peccato che le grosse multinazionali hanno investito in questi impianti per fare business”, racconta a Wired.it Laura Brambilla, responsabile nazionale Comuni ricicloni per Legambiente. Dati alla mano, secondo il Rapporto Rifiuti Urbani 2015 di Ispra, nonostante una lieve diminuzione dal 2013 al 2014, resta il costante aumento dei rifiuti mandati a incenerire, passati da 3,8 milioni di tonnellate nel 2005 a 5,1 lo scorso anno (+34,8%). Secondo i dati dell’Istituto superiori per la protezione e la ricerca ambientale, sono 44 gli inceneritori per rifiuti urbani attivi nel 2014, la maggior parte dei quali presenti al nord (29 impianti), di cui quasi la metà localizzati in Lombardia. Numeri che l’inchiesta civica partecipata #riciclozero sta cercando di monitorare.
Una mappatura dell’Italia che brucia ideata dalla giornalista Rosy Battaglia e realizzata con la rete di supporto di Cittadini Reattivi, per creare un fermo immagine di impianti attivi, autorizzati e previsti.
“Negli ultimi quattro anni il numero degli inceneritori è leggermente diminuito – precisa a Wired.it Rosanna Laraia, responsabile servizio rifiuti di Ispra – Questo non perché vi è stata un’inversione di tendenza ma solo perché si è chiuso qualche vecchio impianto. Inoltre, la scelta di dismettere alcuni inceneritori non significa che si sia diminuito il quantitativo di rifiuti inceneriti, che invece resta ancora a livelli molto alti”. In Italia, infatti, il 17% dei rifiuti urbani prodotti è mandato nei termovalorizzatori mentre il 31% viene ancora smaltito in discarica. Quasi un 50% tra discariche e inceneritori, quindi, contro il 42% di recupero e riciclaggio. Il ritratto di un’Italia che arranca, se si considera che il Pacchetto rifiuti approvato dal Parlamento Europeo il 2 dicembre chiede agli Stati di ridurre al 10% lo smaltimento in discarica entro il 2030.
“Laddove è presente un termovalorizzatore sul territorio, questo è abbinato a una scarsa raccolta differenziata”. Non ha dubbi Laura Brambilla, la responsabile nazionale Comuni ricicloni, delle ragioni economiche che spingono i Comuni verso discarica e inceneritori. “Si potrebbero almeno smantellare gli impianti obsoleti e invece registriamo richieste di ampliamento e ristrutturazione – continua Brambilla – Se raccogliere in modo differenziato costa molto di più rispetto a incenerire o, ancor peggio, mandare i rifiuti in discarica, allora nessun Comune sarà incentivato a differenziare”. Una situazione aggravata, secondo la rappresentante di Legambiente, dall’assenza di un sistema capace di premiare le amministrazioni green. “Ogni città può scegliere se differenziare i rifiuti o mandarli in discarica senza che vi siano né incentivi né punizioni”. Un meccanismo che sembra ignorare l’obbligo di legge del 65% di differenziata.
“Non si dovrebbe potere scegliere se differenziare o meno, ma la legge è ignorata da quanti dovrebbero fare i controlli – continua la responsabile di Comuni Ricicloni – Grazie a questi mancati controlli, i sindaci non hanno alcun motivo per rendersi ‘antipatici’ ai loro cittadini obbligandoli a mettere i bidoni per differenziare sul loro balcone. Inoltre, nel Mezzogiorno si arriva alle situazioni limite in cui oltre l’80% dei cittadini non pagano la tassa rifiuti. Un contesto di illegalità, dove i Comuni dovrebbero sostenere costi elevatissimi per essere a norma di legge”. Così, mentre le amministrazioni non rispettano l’obbligo a differenziare e i cittadini decidono di non pagare la tasse sui rifiuti, la scelta più praticata resta quella più economica.
Ma se la logica a guidare le amministrazioni resta una pura scelta di risparmio, ecco spiegato perché la percentuale di raccolta differenziata si attesta ancora al 45%. Anche se si nota un aumento di tre punti rispetto al 2013, infatti, l’Italia è in ritardo di sei anni rispetto al conseguimento degli obiettivi che lei stessa si era fissata per il 2008. Ancora all’orizzonte, invece, il traguardo del 65% di riciclata che si sarebbe dovuto raggiungere nel 2012. Risultati che si traduco in una penisola spaccata in due, con il Nord capace di raggiungere il 57% di differenziata e un Mezzogiorno indietro di almeno dieci punti percentuali, con il centro fermo al 41% e il Sud al 31%. Superano l’obiettivo del 65% fissato dalla normativa Veneto e Trentino Alto Adige. Ma se sono ben oltre il 50% anche Friuli Venezia Giulia e Lombardia, le sorelle calabresi e siciliane compensano con un 19 e 12,5%. Pessimi risultati anche in Puglia, Basilicata e Molise, mentre in Campania (48% di differenziata) e Abruzzo (46%) la spinta ecologica appare in grande crescita.
Altro nesso importante tra termovalorizzatori e differenziata, il fatto che gli impianti spesso sono dimensionati su obiettivi di raccolta differenziata inferiori rispetto a quelle previsti per legge. Caso emblematico la Liguria, dove il termovalorizzatore è stato calibrato sull’attuale bassissimo livello di rifiuti differenziati (35%). In altre parole, se la Regione dovesse migliorare i risultati di differenziata, l’impianto avrebbe comunque bisogno dello stesso quantitativo di rifiuti per funzionare. Rifiuti che la Liguria dovrebbe essere costretta a fare arrivare da altre zone d’Italia. Un quadro diverso si registrerebbe se gli impianti fossero calibrati in base all’obiettivo di legge del 65% di differenziata, creando anche una spinta – alle Regioni – per riallinearsi con una norma ormai ignorata. Un panorama che stride ancora di più, visto che “secondo il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti le Regioni che non presenteranno un piano rifiuti concreto dovranno aspettarsi l’arrivo di un nuovo termovalorizzatore”, conclude Brambilla. Per un problema rifiuti che sembra volersi risolvere, ancora una volta, buttando la spazzatura tra le fiamme.
 
14 dicembre 2015

mercoledì 30 dicembre 2015

BALLE SPAZIALI

Ieri sera una delle prime notizie su un po' quasi tutti i notiziari della sera facevano resoconto del lungo intervento di fine anno del premier Renzi,che con le sue slide e i gufetti ha snocciolato numeri sulla ripresa economica con le famiglie che aumentano i loro consumi e mi sono chiesto dove cazzo vive questo imbecille.
Lui e come prima altri premier hanno pensato e detto delle balle enormi e magari qualche cittadino ci ha creduto nonostante la fatica ad arrivare alla fine del mese è sempre più enorme e sempre più pesante.
Io mi domando davvero dove voglia arrivare questo arricchito con i tagli sulla spesa pubblica e sulle manovre che privilegiano chi è già benestante e affossano non solo i poveretti(quelli lo pigliano sempre)ma anche la media borghesia con scelte in materia finanziaria ed economica di scarsa lucidità.
L'articolo preso da Infoaut fornisce un riassunto di quello che già milioni di persone vivono quotidianamente sulla propria pelle,il vedersi presi per il culo da politici sempre più lontani dai reali bisogni dei cittadini e che hanno ormai perso il polso della situazione ormai da tempo.

La realtà dietro il finto ottimismo renziano di fine anno.

Come sempre accade, durante l’ultima settimana dell’anno i tecnici delle previsioni ci ricordano quanto ancora sarà duro andare avanti e cercare di tirare a campare nell’anno che abbiamo davanti.
Previsioni che poi si tramutano in realtà e che sottolineano l’ammontare degli aumenti sulla spesa che coinvolge il 90% delle famiglie che vivono in Italia. Il 2016 sicuramente vedrà quel 90% delle famiglie fare i conti con le balle, anch’esse reali, di chi continua a decantare la crescita di un paese che invece sta annaspando nella quotidiana povertà, trovandosi sempre più lontana dalle rassicuranti parole del premier Renzi ripetute nella consueta conferenza stampa di fine anno.

Ascoltando il discorso del Presidente del Consiglio riguardante la ripresa dei consumi da parte delle famiglie si capisce bene che si tratta delle parole di chi mente sapendo di mentire.

Si parla di aumenti pari a 550 euro annui per nucleo familiare, che vanno a pesare su bisogni di prima necessità, della vita di tutti i giorni. Nel dettaglio gli aumenti saranno sui 45 euro per i trasporti (aerei, treni, taxi, trasporto pubblico, traghetti, ecc.) e 30 euro per le tariffe autostradali. Per quanto riguarda la spesa alimentare il salasso è pari a 200 euro mentre altri 300 riguarderanno i prezzi per la spesa al dettaglio. In questo caso i consumi aumenteranno solo per il mondo della grande distribuzione che saprà far correre le famiglie da un supermercato ad un altro in cerca dell’offerta migliore per fare quadrare i conti a fine mese (altro che risalita dei consumi). Ultimi gli aumenti sui servizi bancari di 20 euro e 9 per quelli postali.

Fa ridere sentir parlare poi di risparmi sulle bollette di luce e gas pari a 60 euro annui, in quanto saranno risparmi di cui non potranno godere tutti e che per di più si infrangono davanti alle parole del presidente del Codacons Rienzi: dal 2004 a dicembre 2014 le tariffe energetiche hanno registrato nel nostro paese un aumento medio del 39,2%, determinando una spesa complessiva per famiglia più alta di 470 euro rispetto a 10 anni fa (188 euro l’aumento che ha riguardato la luce, 282 quello del gas). Tenendo conto, tra l’altro, che degli ultimi dieci anni più di metà li abbiamo vissuti con la crisi sulle spalle.

Nonostante i media si siano affannati a parlare di dati in crescita per la spesa inerente a cenoni e regali, la realtà rimane la stessa, ovvero che il fatto di festeggiare il Natale o il Capodanno in questo paese non è un dato di crescita ma mera consuetudine. Ma da qui a parlare di ripresa dei consumi ce ne passa, risparmi per le famiglie all’orizzonte non se ne vedono e a poco servirà augurare a reti unificate un buon 2016 facendo perno sulla promessa di una fantomatica crescita occupazionale e una ripresa dei consumi, perchè al netto dei discorsi campati per aria dal governo, si tratterà di un altro anno fatto sacrifici per i soliti noti, di tagli che riguarderanno sanità, scuola, lavoro, ecc.

C’è una previsione che nessun tecnico può fare però e che sicuramente si inserirà nel 2016 con maggior vigore: quella che riguarderà le lotte per la casa, il reddito e la dignità, che continuano a coinvolgere sempre più persone. Che sia un anno di lotta!

martedì 29 dicembre 2015

MORTALITA' MISTERIOSA?

Se n'era già parlato in più occasioni durante gli ultimi mesi,in campo europeo con l'aumento constatato del 43% della mortalità infantile in Grecia(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/08/laumento-della-mortalita-infantile-in.html )oppure per rimanere in Italia quando si erano elencati i tagli alla sanità(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/07/macelleria-sociale.html )oltre a quelli all'istruzione e che già si era ampiamente capito dove si era andati a parare:o hai i soldi o rimani nell'ignoranza,nella povertà e muori.
Anche dagli Usa,dov'è uscito un studio basato sugli ultimi 14 anni e redatto da scienziati(http://contropiano.org/scienza/item/34481-il-programma-dovete-morire-anche-negli-usa-si-comincia-a-morire-prima )dall'esplicito titolo"Come l'austerità uccide",le continue restrizioni al sistema sanitario,in un paese che il governo nostrano mira ad arrivare dove ci si può permettere di curarsi solamente con un'assicurazione privata,stanno aumentando esponenzialmente i tassi di mortalità.
Tasso che,e qui arriviamo all'articolo di Senza Soste sotto che contiene un link preso da Repubblica,dove è certificato dall'Istat che durante quest'anno c'è stata un'impennata dell'11% rispetto allo scorso anno,fatto che non accadeva dagli anni quaranta.
E tenendo conto che ai tempi c'era la guerra in casa e che oggi non ci sono state catastrofi naturali oppure epidemie mortali,è ovvio che non ci ammaliamo di più ma che ci curiamo peggio,e anche se i dati sono ancora disaggregati per sesso,età e cause,nei primi otto mesi sono morte 45 mila persone rispetto al 2014 con una tendenza che a fine anno sarà di 68 mila unità.
E chiaro che il disegno del governo,non solo di quello attuale ma grande merito va all'attuale esecutivo,che la linea sulle pensioni e sulla sanità porta ad una più ampia e tragica indigenza soprattutto delle fasce più deboli della società come i bambini e gli anziani in particolar modo.
E questi dati non sono commentabili col fatto che la popolazione sta sempre più invecchiando perché i dati studiati non portano a questo come spiegato nell'articolo:questo andamento sarà sempre peggio col proseguire del tempo se la situazione non cambia alla radice del problema con gli ospedali tramutati in aziende e i costi degli esami diagnostici a carico dei cittadini.
Come già detto da Gino Strada la sanità deve costare quanto serve,non c'è altra ragione.
 
Il programma "dovete morire prima" sta avendo successo. Picco di mortalità nel 2015.
Dante Barontini - tratto da http://www.contropiano.org

La guerra in casa, contro la propria popolazione. Il programma “dovete morire” messo in campo dall'Unione Europea (e non solo) va avanti alla grande. I nostri lettori ricorderanno come più volte abbiamo sintetizzato con questo slogan - “dovete morire prima” - diversi provvedimenti del governo che tagliavano bilanci della sanità prestazioni mediche e sociali (ultimo esempio le 208 prestazioni diagnostiche dichiarate “inappropriate” dalla scienziata senza laurea che dirige il relativo ministero), pensioni, allungamento dell'età lavorativa, ecc.
Il ragionamento che proponevamo era semplice, quantitativo, ma inoppugnabile: se si va ad intaccare i livelli di welfare e i diritti del lavoratore conquistati nel dopoguerra si diminuisce immediatamente, e ancor più nel corso degli anni, l'aspettativa di vita della popolazione.
Ed ecco che le statistiche ufficiali arrivano a confermare la facile previsione. Diciamo che siamo rimasti colpiti anche noi dalla rapidità con cui quello che era solo un ragionamento si è andato trasformando in realtà. Macabra.
L'Istat, pochi giorni fa, ha reso noti i dati sul bilancio demografico relativo ai primi otto mesi del 2015. E il primo numero che balza letteralmente alla gola è quello dei morti, in drastico aumento: +45.000 rispetto allo stesso periodo del 2014, con un tendenziale annuale che arriva a +68.000; 666mila morti nel 2015 contro i 598mila dello scorso anno. Un aumento dell'11,3% che trova analogie solo con gli anni della guerra. Della guerra sul nostro territorio, per esser chiari.
I dati non sono ancora disaggregati (per età, posizione sociale, cause, ecc), ma si sa già che l'aumento riguarda soprattutto la componente femminile (+41.000), presumibilmente nella fasce più anziane. Le altre cause di morte di cui si hanno le statistiche (incidenti stradali o sul lavoro) presentano variazioni minime, ben lontane da quelle riguardanti l'intera popolazione.
Sulle cause, in attesa di dati più articolati, ci si può sbizzarrire. È colpa della diminuita protezione del sistema sanitario pubblico (quindi dei tagli alla spesa in questo settore) oppure della diminuzione generale di reddito e in specifico del blocco delle pensioni? Detto altrimenti: si muore di più perché non vengono più garantite una serie di prestazioni o perché non ce la fai a pagare il ticket (aumentato) sui medicinali che dovresti assumere? Una domanda quasi superflua. In entrambi i casi si torna infatti alle politiche di austerità volute, nell'ordine, dalla Troika (Ue, Bce, Fmi) e dai governi nazionali.
 Il dato fondamentale da tener presente è infatti l'improvviso aumento della mortalità. Come spiega il prof. Gian Carlo Blanciardo, demografo di Neodemos, questo aumento non può essere attribuito all'invecchiamento della popolazione:
Osservando come è cambiata la composizione per età dei residenti tra il 1° gennaio del 2014 e alla stessa data del 2015 scopriamo subito che, a fronte di 159mila unità in meno nella fascia d’età fino a 60anni, se ne contano in più 70mila in età tra 61 e 70 anni, 40mila tra 71 e 85 anni e 62 mila con oltre 85 anni. Lo spostamento verso le età più “mature” è ben evidente, ma è sufficiente a spiegare un aumento della mortalità nell’ordine dei 68mila casi annui di cui si è detto? La risposta è no. Le modifiche nella struttura della popolazione spiegano solo in minima parte la maggior frequenza di decessi. Infatti, se i rischi di morte fossero restati invariati rispetto a quelli osservati di recente (Istat 2014), l’aumento del numero di persone anziane avrebbe dato luogo solo a 16mila decessi in più rispetto al 2014. E le altre 52mila unità aggiuntive a cosa sono dovute?
Inevitabilmente – in assenza di pandemie e altre catastrofi del genere – bisogna pensare ai cambiamenti nella struttura dei redditi, nella loro distribuzione, nella riduzione delle prestazioni del welfare. Come conclude lo stasso Bianciardo, una variazione così forte
E’ un evento “straordinario” che richiama alla memoria l’aumento della mortalità nei Paesi dell’Est Europa nel passaggio dal comunismo all’economia di mercato (Fig. 2): un “déjà vu” che non vorremmo certo rivivere. Il controllo della spesa sanitaria sempre e a qualunque costo – in un momento di recessione economica – può avere effetti molto pesanti sul già fragile sistema demografico. Dobbiamo esserne consapevoli.
Il problema è che “la politica” - Troika e governo – ne è perfettamente consapevole. Questo è proprio quello che vanno cercando per ridurre drasticamente la spesa pubblica, le cui due voci di spesa più consistenti sono per l'appunto sanità e pensioni (la terza è la scuola, e anche lì la “mortalità” educativa va crescendo a passo di carica). Quale taglio può essere più efficace dell'annientamento di una quota rilevante dell'utenza sociale?
24 dicembre 2015
vedi anche

lunedì 28 dicembre 2015

ACCOSTAMENTI INGIUSTIFICATI

L'articolo proposto oggi è frutto di un ragionamento e di un pezzo scritto in contrapposizione ad uno che evocava un parallelismo tra le Brigate Rosse e l'Isis basato su congetture e su elementi talmente insignificanti e tirati assieme solo per semplicisti numeri riguardanti coincidenze su delle date che il giornalista indicato dovrebbe sotterrarsi completamente di merda.
Persone che fanno del male al giornalismo stesso ma in Italia è pieno di sciacalli che sparlano e disinformano alla stessa frequenza con la quale vanno al gabinetto,e il contributo preso da Senza Soste rimanda ai tempi del post 13 novembre parigino con delitto del compagno Riccardo Dura ammazzato assieme ad altri tre nel famoso eccidio di Via Fracchia a Genova(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/search?q=via+fracchia ).
Il solo confronto del giovane trentenne originario del messinese e il fanatico miliziano Isis Abaaoud ucciso durante la notte delle stragi parigine è un esempio che giornalisticamente non ha un senso né socialmente né politicamente,un anacronismo fatto solo per riempire le pagine di un quotidiano(Il Secolo XIX)da uno scribacchino(Marco Peschiera)che evidentemente ma molta confusione in testa o peggio è stato intimato a scrivere tali accostamenti inesatti e impropri.

Paralleli Isis-Br sulla stampa italiana: un commento di Barbara Balzerani.

Senza aggiungere parola alcuna, perche’ sarebbe inutile e ridondante, vi lascio con un testo di Barbara Balzerani.

Un commento a uno dei tanti articoli di merda usciti dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi
[QUI un commento di Enrico Porsia, ex militante Br della colonna genovese]
tratto da da baruda.net

In questi ultimi giorni, dopo gli attentati di Parigi, abbiamo dovuto misurare il livello raggiunto dai media, dai commentatori, dai politici, nella gara di mistificazione dello stato di salute delle “relazioni internazionali”. Naturalmente i nostri illustri maître à penser non si sono lasciati scappare l’occasione per sbandierare il parallelo tra l’Isis e le Brigate Rosse, con relativo pannicello caldo dei rimedi democratici già sperimentati negli anni ’70. Tra i tanti spicca un articolo comparso su Il Secolo XIX a firma Marco Peschiera. Qui si passa di livello e l’attenzione si accentra sul fenotipo del terrorista: dal brigatista Dura ad Abaaoud, il terrore fa rima con kalashnikov, recita il titolo dell’articolo. Ho dovuto aspettare prima di poterlo commentare per non farmi travolgere dalla furia e dalla tentazione di difendere la memoria di Roberto, perché Marco Peschiera non è all’altezza di un nemico e perché Roberto non ha bisogno di essere difeso. La miseria che ha guidato tanta penna è difficilmente raggiungibile, dalla sottolineatura lombrosiana della somiglianza fisica, gli occhi, la barbetta, il sorriso, dei due psicopatici serial killer, fino a informarci di altre strabilianti similitudini: stessa età e stessa ora in cui sono stati ammazzati. Il giornalista ci dice che Riccardo Dura è stato un bambino abbandonato dal padre, cresciuto da una madre con cui aveva un rapporto difficile. Un disadattato cresciuto in una periferia di emarginati. Fino ad incontrare le Brigate Rosse. E’ vero, Roberto non è venuto fuori da una famigliola con la gallina e il mulino bianco, faceva parte di una generazione che ha buttato all’aria convenzioni e istituzioni, come la famiglia, ma ha trovato il modo di ricostruirsene una, facendosi amare dai compagni che l’hanno conosciuto e farsi “adottare” da nonna Caterina, la cui altezza mette ancora più in evidenza l’evidente nanismo del signor Peschiera. E’ vero Roberto non si era adattato, e che difetto sarebbe? Roberto non era un borghese, più o meno piccolo, adattato al sistema più ingiusto nella storia dell’umanità e neanche un emarginato conformato agli ingranaggi dell’esclusione delle nostre periferie. Roberto era un comunista, un rivoluzionario ed era in numerosa compagnia nella sua disaffezione ad adattarsi. Non ancora pago l’articolista ci dice che, nonostante i suoi titoli da killer esperto, non aveva partecipato al sequestro di Aldo Moro perché neanche Mario Moretti, “l’enigmatico capo delle Br ricco di contatti con ambienti massonici e di spionaggio”, si fidava di lui, nonostante l’avesse “usato” anche per i rifornimenti in medio oriente di carichi di armi, soprattutto i famosi Kalashnikov. Armi usate non solo dall’Isis ma soprattutto a via Fani! E qui la professionalità del signor Peschiera raggiunge il culmine, visto che ormai anche i bambini sanno la marca e l’efficienza dei mitra usati quel 16 marzo. Ma non è certo la corrispondenza ai fatti che preoccupa il giornalista. Gli basta il fango per esporre le sue tesi.Il cadavere di Riccardo Dura, giustiziato dallo Stato nel sonno.Siamo alla fine del racconto. Roberto muore ammazzato insieme agli altri compagni “crivellato di colpi in un covo, in mutande e maglietta” con “tre buchi nella testa”. E’ vero Roberto era in mutande e non solo perché stava dormendo ma anche perché i comunisti come lui, per straordinaria simbologia, non hanno tasche, né conti all’estero. Disadatti al grande affare della politica. A Roberto hanno sparato in testa Sono entrati di notte, mentre dormiva e non con l’intenzione di neutralizzarlo. Come è stato per altri e altre. A quei tempi sarebbe stato strano il contrario. E allora perché non si dice invece di straparlare di sistemi democratici per combatterci? Ma è giusto così, perché con gli strumenti della democrazia un pugno di potenti ha saccheggiato, compiuto assassinii e genocidi, affamato e depredato risorse, scatenato guerre, comprato e corrotto…Di recente sono andata sulla tomba di Roberto, a Staglieno. Ho carezzato la lapide, la foto, la dedica dei suoi compagni, ho risentito per intero lo stesso dolore. Se ne faccia una ragione signor Peschiera. Per tanti non adatti Roberto è stato un fratello, un compagno fidato, amato, rispettato, mai dimenticato. Si auguri di meritare la stessa fortuna.
26 novembre 2015

domenica 27 dicembre 2015

LE GRAZIE DI MATTARELLA

Due delle tre grazie concesse dal Presidente della Repubblica Mattarella sono esplicitamente di carattere politico e non giudiziario(che riguarda Massimo Romani detenuto prima in Thailandia e successivamente in Italia per traffico di droga)in quanto i due agenti della Cia Robert Seldon Lady e Betnie Medero furono coinvolti nel sequestro dell'Imam di Milano Abu Omar avvenuto nel 2003(vedi:https://it.wikipedia.org/wiki/Caso_Abu_Omar ).
Con la scusa dell'extraordinary rendition che prevede l'ingerenza dei servizi segreti Usa in tutto il mondo dove possono arrestare e in questo caso praticamente sequestrare ed espatriare chiunque sospettato di terrorismo,Abu Omar fu rapito e mandato prima in Germania e poi in Egitto dove venne incarcerato e torturato risultando ampiamente innocente su tutto quello che era stato accusato.
Ricordiamoci pure l'intromissione del Sismi con implicati soprattutto Pollari e Mancini anche loro poi processati e non incriminati,mentre tre agenti della Cia vennero condannati(uno graziato già da Napolitano)senza comunque passare un giorno di carcere ed estradati in Usa.
Queste grazie hanno dimostrato ancora il totale servilismo verso gli Stati Uniti che praticamente da anni organizzano direttamente la nostra politica estera in un periodo storico dove essa non esiste nemmeno grazie a persone e collaboratori incompetenti.
Segnalo anche gli indulti di fine anno degli Usa e firmati da Obama che coinvolgono decine di persone legate soprattutto a crimini riguardanti il narcotraffico,ma non i prigionieri politici nonostante i solleciti delle associazioni per i diritti dell'uomo(http://contropiano.org/internazionale/item/34477-obama-concede-l-indulto-ai-narcotrafficanti-ma-non-ai-prigionieri-politici ).

Sequestro Abu Omar: Mattarella grazia due agenti della CIA.

Mattarella ha firmato ieri la grazia per 2 ex agenti della Cia coinvolti nel sequestro di Abu Omar: il più noto 007 ed ex capocentro di Milano, Robert Seldon Lady, e Betnie Medero, anche lei agente nel Belpaese.
Che questo Presidente della Repubblica stia di fatto continuando l’operato del suo predecessore Napolitano si era già visto a livello nazionale, con le varie firme che accompagnano ogni passo del Governo Renzi quando questi si trova a dover fare i “conti” con il Colle.

Mattarella, compiacendo le richieste fatte nel 2013 all’allora presidente Napolitano da parte di Obama, ha così firmato la grazia per i due agenti condannati (si fa per dire) per il sequestro di Abu Omar nel 2003. Nel caso di Medero il provvedimento riguarda la pena ancora da espiare (tre anni di reclusione) estesa anche alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, mentre per Seldon Lady, condannato a nove anni di reclusione, la grazia riduce la pena di due anni. La prima grazia relativa alla vicenda di Abu Omar arrivò nel 2013 per mano di Napolitano nei confronti di Joseph Romano, colonnello dell’aviazione USA di stanza alla base di Aviano e anche lui coinvolto nel sequestro.

Nessuno di questi ha fatto un giorno di galera e mai lo farà, ormai da anni sono tornati in America. Dopo gli attacchi alle torri gemelle del 2001 fu lanciata la campagna chiamata "Extraordinary rendition” che dava agli agenti USA la possibilità di sequestrare in qualsiasi stato alleato tutte quelle persone che a diverso titolo era indagate o sospettate con l'accusa di terrorismo. La storia del sequestro Omar è nota: sequestrato a Milano dai servizi segreti, venne spedito prima in Germania e poi trasferito in un carcere egiziano, dove venne ripetutamente torturato durante la detenzione. La Cia ne aveva richiesto la testa e con l’aiuto del Sismi e dei Ros venne portato a termine il piano.

Una vicenda che vede la solita compartecipazione di servizi segreti italiani e americani cui spesso la storia ci ha abituato: coperture, diritti violati e torture portate avanti per la "Ragion di Stato", con i governi Berlusconi prima e Prodi dopo che si appellarono al segreto di stato per scagionare gli agenti italiani non appena i due Pm Spataro e Pomarici iniziarono a spiccare mandati d’arresto, mentre per gli uomini a stelle e strisce ancora in territorio italiano fu sufficiente rimpatriarli.

Fin qui tutto "normale" e simile ad un film di spionaggio, peccato che in questo caso gli attori di questa storia siano veri, così come reali sono gli anni di prigionia e le torture che sono state inflitte ad Abu Omar. Ma soprattutto, nei film gli agenti appaiono segreti e con nomi che non verranno mai fuori, nascosti dalla cortina del "TOP SECRET" dello Stato e dei suoi apparati, mentre in questo caso i magistrati Spataro e Pomarici hanno avuto i nomi e cognomi degli agenti coinvolti (26 solo della Cia). Nessun colpo di scena quindi e nessuna rete dei servizi inviolabile: pare non servisse molto per arrivare alle personalità coinvolte in questo caso. Accade spesso che le maglie dei servizi segreti portino ombre lunghe su diversi fatti nazionali e internazionali, altre volte però i nomi vengono alla luce semplicemente perché qualcosa è andato storto o perché non vi è comunque la certezza di non poter arrivare a determinare condanne reali per gli agenti coinvolti.

Pare che nella vicenda Abu Omar ci siano tutte e due queste motivazioni. Il finale per questi ”uomini dello Stato” rimane sempre il solito: sollevati da qualsiasi responsabilità. Una cosa è certa, la volontà di Mattarella di attuare una promessa data dal suo predecessore e quella di dare una mano Renzi, che potrà spendere la grazia davanti ad un Obama riluttante rispetto all’entrare nell’affare Italia vs India.

In ogni caso da parte dell’amministrazione statunitense si può levare, come già per il predecessore Napolitano, un caloroso: “Thank you Mr. Mattarella!”.

giovedì 24 dicembre 2015

IN GOD THEY TRUMP

L'articolo preso da Senza Soste parla degli ultimi sviluppi pre elettorali negli States ed in maniera particolare riferendosi alle primarie repubblicane e ai modi autoritari e reazionari,per non dire xenofobi e razzisti,che il probabile vincitore tra questi Donald Trump sfoggia nelle sue dichiarazioni che molto ricordano le urla di Hitler e Mussolini.
L'incitamento ad una crociata anti islamica e il ricordo della politica rooseveltiana durante la seconda guerra mondiale dove gli immigrati italiani,tedeschi e giapponesi furono internati in campi di detenzione,sono presenze abituali nei comizi del miliardario americano.
Perché gli allora nemici nel conflitto bellico possono ora esserlo non gli appartenenti ad un determinato Stato ma quelli che professano la stessa religione in un parallelismo che a parte essere anacronistico è discriminatorio ed offensivo.
Anche perché la politica che dovrebbe avere caratteri democratici di Obama è il contrario negli intenti con guerre,invasioni e occupazioni in parecchie nazioni mediorientali dove la connotazione di carattere islamico è la predominante.
Dai fatti di San Bernardino poi sono cambiati gli accessi col Visa free in alcuni paesi che potevano usufruire di ingressi con metodi meno burocratici,ed è già stata proposta una legge che proibisca ricongiungimenti familiari con persone musulmane e forti limitazioni verso questi ultimi.
 
Usa tra fascismo, isteria e Donald Trump
Michele Paris - tratto da http://www.altrenotizie.org  
 
Il fascismo strisciante che pervade la classe dirigente americana continua a trovare sfogo nelle uscite pubbliche del candidato alla presidenza per il Partito Repubblicano, Donald Trump. La più recente “proposta” dell’attuale favorito per la nomination, cioè lo stop pressoché totale all’ingresso dei musulmani negli Stati Uniti, è stata condannata da molti a Washington, anche se essa si inserisce in un clima di isteria anti-islamica che la politica e i media ufficiali sembrano alimentare in maniera deliberata.
L’imprenditore miliardario aveva affermato lunedì nel corso di un comizio in South Carolina che la misura sarebbe di natura temporanea, in attesa che il governo elabori una strategia adatta contro la minaccia del terrorismo jihadista. Per giustificare il divieto di ingresso negli USA per coloro che professano la fede musulmana, Trump ha fatto riferimento alla decisione presa dall’amministrazione Roosevelt durante la Seconda Guerra Mondiale di chiudere in campi di detenzione gli immigrati di origine giapponese, tedesca e italiana, vale a dire a uno degli episodi più gravemente lesivi delle libertà individuali nella storia americana.
Trump è stato subito investito da un’ondata di polemiche ma il giorno successivo ha rilasciato una serie di interviste televisive nelle quali ha soltanto parzialmente rettificato le precedenti dichiarazioni, sostenendo che i musulmani con cittadinanza americana sarebbero esclusi dal bando nel caso tornassero negli USA dopo essersi recati all’estero, per poi confermare sostanzialmente i concetti già espressi.
Simili “sparate” di Donald Trump non sono una novità per la campagna elettorale in corso e in molti continuano a minimizzarne la portata, giudicandole come l’espressione di un candidato imprevedibile e fin troppo schietto, sebbene attestato su posizioni decisamente estreme rispetto al baricentro politico Repubblicano.
Se le affermazioni di Trump appaiono per contenuto e forma effettivamente al di là di quanto i suoi colleghi repubblicani hanno proposto in questi mesi, la sostanza delle sue parole è tuttavia di fatto coerente con la linea avanzata dal partito e dagli altri candidati alla Casa Bianca.
Il secondo favorito alla nomination repubblicana nei sondaggi, il senatore del Texas Ted Cruz, aveva ad esempio già chiesto di vincolare l’accoglimento dei profughi siriani alla loro fede, ammettendo i cristiani ed escludendo invece i musulmani. Più di un’aspirante alla presidenza, tra cui lo stesso Trump, si era detto inoltre favorevole a mettere sotto sorveglianza tutte le moschee sul suolo americano.
Almeno anche un politico Democratico, il sindaco di Roanoke, in Virginia, qualche settimana fa aveva citato favorevolmente l’internamento degli americani di origine giapponese durante il secondo conflitto mondiale, lasciando intendere che quel provvedimento adottato in piena guerra contro il nazi-fascismo potrebbe essere ipotizzabile anche oggi, essendo in atto una guerra contro il fondamentalismo islamista.
La deriva autoritaria che lasciano intravedere simili dichiarazioni conferma la disposizione anti-democratica della classe dirigente borghese negli Stati Uniti e non solo. A ricordare la disponibilità a calpestare senza troppi scrupoli gli stessi principi democratici fissati da quest’ultima era stato quasi due anni fa il giudice ultra-reazionario della Corte Suprema, Antonin Scalia, il quale in un discorso pubblico aveva invitato i suoi ascoltatori a non illudersi circa la possibilità che l’istituzione di campi di detenzione per gli oppositori dello stato non possa tornare a essere una realtà anche oggi nell’eventualità di una qualche crisi nazionale.Il ritorno nel dibattito politico di richieste e proposte più adatte a uno stato totalitario che non a una democrazia liberale non è ovviamente un’esclusiva degli Stati Uniti. L’istigazione di sentimenti anti-musulmani e xenofobi, assieme all’ingigantimento di una minaccia terroristica che è peraltro la conseguenza delle politiche occidentali di aggressione dei paesi arabi, è alla base di recenti leggi e disegni di legge per aumentare a dismisura i poteri di sorveglianza delle forze di sicurezza - come in Francia e in Gran Bretagna - o ha già favorito il via libera parlamentare all’autorizzazione ad allargare le operazioni di guerra contro l’ISIS/Daesh dall’Iraq alla Siria, com’è accaduto ancora a Londra.
Tornando agli Stati Uniti, anche gli stessi critici di Donald Trump sono responabili del clima di eccitazione anti-musulmana, a cominciare dall’amministrazione Obama. Il presidente Democratico ha tenuto un discorso al paese sul terrorismo domenica scorsa, nel quale ha tra l’altro attaccato i Repubblicani per le loro proposte anti-islamiche, tralasciando però di ricordare come la politica estera da egli stesso promossa continui a risolversi in guerre devastanti e occupazioni militari di paesi musulmani.
Sul fronte Repubblicano, poi, sono state molteplici le voci di coloro che hanno sostanzialmente approvato la più recente proposta di Trump. Il già citato senatore Cruz, considerato in ascesa dai sondaggi più recenti, ha formalmente respinto lo stop indiscriminato agli ingressi dei musulmani negli USA ma ha elogiato il suo collega/rivale per avere sollevato la questione della sicurezza dei confini americani.
Altri ancora hanno cercato di giustificare le loro simpatie per le tirate fascistoidi di Trump con la presunta sintonia di quest’ultimo con la popolazione statunitense. Trump, cioè, starebbe soltanto dando voce a sentimenti razzisti diffusi nel paese, quando in realtà, a parte alcune frange estreme e l’elettorato Repubblicano facente capo al fondamentalismo cristiano, sembra esserci ben poco entusiasmo per le posizioni di estrema destra della classe dirigente di Washington tra lavoratori e classe media. Politici e media agitano piuttosto lo spettro dell’islamismo integralista per avanzare la propria agenda reazionaria e dividere la popolazione lungo linee razziali e religiose, oscurando deliberatamente le implicazioni di classe alla base della crisi della società americana.
Il più recente prodotto legislativo di questo clima avvelenato è stata l’approvazione questa settimana da parte della Camera dei Rappresentanti di una serie di restrizioni al programma trentennale di ingresso negli Stati Uniti senza la necessità di un visto per i cittadini di 38 paesi. La misura, che dovrebbe servire a rendere più sicuro il paese, ha ottenuto il sostegno di ogni singolo deputato Repubblicano e della larghissima maggioranza di quelli Democratici.
La nuova legge, appoggiata anche dalla Casa Bianca, dovrà ora superare l’ostacolo del Senato e potrebbe imporre controlli più severi su coloro che intendono entrare negli USA dopo avere visitato negli ultimi cinque anni almeno uno di questi quattro paesi: Iran, Iraq, Siria e Sudan.
La preoccupazione principale che avrebbe guidato la stesura del provvedimento è legata al numero relativamente elevato di cittadini europei recatisi in Siria per combattere nei ranghi dell’ISIS/Daesh, poi tornati in patria e quindi potenzialmente in grado di entrare in America senza la necessità di ottenere un visto.Anche sorvolando sul fatto che, almeno inizialmente, i musulmani con passaporto di un paese occidentale che hanno raggiunto la Siria sono stati spesso incoraggiati dai loro governi, visto l’identico obiettivo dell’abbattimento del regime di Assad, la misura in discussione al Congresso di Washington va considerata come un altro dei tentativi di alimentare i sentimenti anti-islamici e di ampliare i poteri di controllo sui singoli cittadini.Infatti, le restrizioni al regime “visa-free” sarebbero implementate principalmente in risposta alla strage della scorsa settimana a San Bernardino, in California, dove hanno perso la vita 13 persone.
Questa legge, però, non avrebbe contribuito a evitare il massacro, visto che Tashfeen Malik, una dei due responsabili dell’attacco assieme al marito di passaporto USA, Syed Farook, non era giunta negli Stati Uniti dal Pakistan grazie a questo programma, bensì a un altro lasciato inalterato dal provvedimento, quello ciè che consente di evitare le pratiche per l’ottenimento di un visto ai futuri coniugi di un cittadino americano.
10 dicembre 2015

mercoledì 23 dicembre 2015

NESSUN TERRORISMO PER I NO TAV

La sentenza,l'ennesima per quanto riguarda la resistenza al progetto Tav imposto dai diktat della politica italiana europea soprattutto per spartirsi milioni di Euro tra politicanti collusi e costruttori,vede cadere l'accusa di terrorismo per gli imputati Chiara,Claudio,Niccolò e Mattia,che comunque hanno selle spalle il pesante fardello di tre anni e mezzo da scontare ancora frutto del primo grado(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2014/05/no-terrorismo-per-i-prigionieri-no-tav.html ).
L'assurda pena da scontare per aver presumibilmente danneggiato un compressore durante un presidio doveva essere aumentata a dismisura in quanto su suggerimento dell'ormai al di fuori dei giochi(ma solo in apparenza)Caselli prima i piemme Rinaudo e Padalino e poi il procuratore generale Maddalena si erano accaniti contro i quattro in maniera persecutoria e personale direi,uscendone fuori dalla corte d'appello con le ossa rotte con la consapevolezza di aver fatto la figura degli idioti e dei falliti.
Articolo di Infoaut.

“Non fu terrorismo” e ora andatevene in pensione!.

Non è terrorismo, lo dice anche la corte d’appello che quest’oggi ha assolto Chiara, Claudio, Nicolò e Mattia per questo reato andando poi a confermare la condanna di 3 anni e 6 mesi del primo grado.
Un ko secco, a fronte del tentativo della Procura Torinese di convincere la giuria popolare, attraverso argomenti “suggestivi”, ad inquadrare le azioni di lotta al cantiere nell’alveo del terrorismo e non in un contesto di lotta e conflitto più generali.
Possiamo dire che ce l’hanno messa tutta, partendo dai fatti universalmente riconosciuti come attacchi terroristici (metropolitana di Londra tra gli altri) fino a rispolverare la storia di casa nostra, dalle Brigate Rosse ai Nar…
Ci ha provato anche oggi Il procuratore generale Maddalena nelle sue repliche, stimolando ulteriormente la sua memoria storica fino a citare la morte di Giangiacomo Feltrinelli durante un’azione di sabotaggio nel 1972 a Segrate.
Maddalena, Padalino e Rinaudo avevano la missione di far trionfare il teorema del pensionato Caselli, ma hanno fallito clamorosamente. Certo, magari faranno ricorso perché una battaglia personale la si porta avanti fino alla fine, ma nulla cambierà.
Noi possiamo dire però ciò che resta di questa brutta storia ed è l’immagine di una procura che si fa politica e decide di provare a fermare un movimento popolare come il nostro che fa paura ai poteri forti di questo paese.
Restano impressi i volti di questi personaggi in cerca di gloria che concedono interviste e trattano con disprezzo ed arroganza chiunque provi a mettersi sulla loro strada.
Resta la collusione e il silenzio imbarazzante di molti, della stampa in genere in primis, che non ha risparmiato spazi alla loro propaganda mentre ha volentieri taciuto le nostre ragioni e tentativi di difesa.
Quello che abbiamo fatto noi invece è stato lottare dal primo fino all’ultimo giorno, insieme agli imputati No Tav, raccontando fino allo sfinimento le nostre ragioni e la realtà di quel pezzo di montagna che stanno distruggendo con la militarizzazione e la violenza.
Ne avremo molte di cose da dire, ma ci riserviamo di farlo poco alla volta.
Ora invitiamo Maddalena ad andarsene finalmente in pensione, di organizzare col suo amico Caselli, che non crediamo gli porterà rancore, qualche torneo di scopone nei circoli chic che di sicuro già frequentano. Altri, accumunati dall’età e dagli stessi valori morali, ne troveranno a tenergli compagnia…
Che si lascino tutto alle spalle, dichiarando la sconfitta e il loro fallimento.
Non ci aspettiamo di sicuro che qualcuno li chiami a rispondere delle schifezze a loro attribuibili, ma almeno non vedremo più quotidianamente la loro faccia sui tg, né sentiremo pronunciare in maniera ossequiosa i loro nomi.
Quelli, oramai, rimarranno scritti in tutte le sentenze del processo per il compressore bruciato con a fianco la parola FALLITI.

da notav.info

martedì 22 dicembre 2015

LA TORNATA ELETTORALE SPAGNOLA

I pronostici delle elezioni politiche svoltesi in Spagna domenica scorsa sono stati rispettati con qualche leggera variazione che quanto riguarda le percentuali ma con un esito finale di difficile governabilità che è stato ampiamente dimostrato.
Le principali forze in campo,la destra del Pp e i socialisti del Psoe,hanno perso parecchi elettori che si sono orientati verso gli eredi del movimento degli Indignados,Podemos,e verso la forza contrapposta di destra dei Ciudadanos che hanno incamerato la voglia di cambiamento di milioni di persone.
Podemos ha trionfato particolarmente in Euskal Herria ed in Catalunya,da sempre in lotta per l'indipendenza da Madid,dove le forze dell'estrema sinistra hanno avuto una battuta d'arresto soprattutto per quanto riguarda i Paesi Baschi.
Ora Rajoy non ha praticamene nessuna possibilità di poter formare un nuovo governo senza affrontare il discorso politico del compromesso storico che sarebbe l'unica via per poter portare avanti un esecutivo di larghe intese tra forze politiche opposte.
Articolo preso da Infoaut.

Elecciones in Spagna: larghe intese unica condizione di governabilità.

I popolari sono il primo partito nelle elezioni politiche in Spagna ma Mariano Rajoy non ha la maggioranza per governare. Il PP ottiene il 28,7% dei voti e 122 seggi su 350 nel nuovo Congresso di Madrid. Il quadro si è frammentato sancendo la fine storica dell'alternanza popolari / socialisti che aveva retto i governi della Spagna post franchista dal '77. Questo il primo risultato conseguito da Podemos, terzo partito con il 20,6% dei consensi e 69 deputati, che ha dato ora una spallata determinante agli equilibri del bipartitismo costringendo le condizioni di governabilità a uno scenario ipotetico da larghe intese con un tandem di maggioranza popolari/socialisti. Rajoy e Sanchez ancora non hanno escluso categoricamente questa ipotesi che anzi sembra tra le più plausibili. Si tratta d'altra parte della traiettoria di una transizione continentale del governo ordoliberale – dalla Germania della Merkel, all'Italia renziana che nel PD assume, compie e supera le larghe intese - che allo stesso tempo descrive il compimento della parabola storica delle sinistre socialiste nell'integrazione del comando neoliberale e il loro contestuale esaurimento di risorse ideologiche, non diremmo autonome, ma quanto meno più articolate e non del tutto sovrapponibili rispetto alla narrazione sistemica. Per il PSOE si tratta del risultato peggiore dal 1977, 22,1% e 91 deputati. Mai era sceso sotto i cento parlamentari.

Il nodo resta quali incidenti di percorso possano determinarsi in questo processo di transizione ancora aperto e affatto determinato nei suoi progetti. In questo senso il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha dichiarato che farà di tutto per non far governare il Partido Popular. Un messaggio che, nello stesso tempo, suona come un avvertimento ai socialisti e un auspicio per Podemos stesso affinché non si formi una maggioranza di governo e si possa così tornare al voto in primavera. La critica anti-casta, anti-corruzione e anti-austerity che ha demolito PP e PSOE segnando una linea di inimicizia politica e sociale, nello scenario post elettorale associa partiti corrotti a partiti di governo. Nel suo posizionarsi all'opposizione si tratta di un'attestazione probabilmente indispensabile a Podemos che ancora, dopo un autunno difficile, con l'insufficiente risultato in Catalunya di settembre, le difficoltà del partito in Andalusia e i sondaggi sulla crisi di consensi, sembra in cerca di tempo e risorse simboliche adeguate per riaggiornare orizzonti e speranze di cambiamento attendibili dopo il tracollo greco.
Anche i risultati eclatanti conseguiti in Euskal Herria e Catalunya, dove Podemos diventa primo partito rappresentano varchi possibili per invertire alcuni quadri statici. Se in Euskal Herria l'arresto della sinistra abertzale di Bildu sembra aver premiato Podemos, in Catalunya, dopo le ambiguità di settembre, quando Podemos, non pronuncianciandosi sull'indipendenza, prestò il fianco a critiche incrociate che portarono al fallimento della propria lista Catalunya Si Que Es Pot che non raggiunse neanche il 10%, ora Podemos si candida a principale interlocutore delle istanze catalaniste in vista delle riforme costituzionali. Iglesias ha teso in queste ore la mano al PSOE se dovesse accettare il referendum catalano. La questione delle riforme, che investe anche una perversa legge elettorale riflesso dell'impianto bipolare, peserà tanto nei giochi per la formazione di un esecutivo rappresentando forse l'ultima occasione per PP e PSOE per salvare la pelle. Non a caso Renzi suggerisce che un Italicum à la Iberica avrebbe comunque garantito un “vincitore”.
Un quarto attore della contesa, responsabile della demolizione del bipolarismo, Ciudadanos, la forza di Albert Rivera, il cosiddetto estremista di centro, un volto televisivo d'assalto, interprete da destra della critica anti-casta, pur registrando un'affermazione consistente, non è stato all'altezza delle aspettative. Non ha replicato l'exploit alle autonomiche catalane del 27 settembre e ha fallito nell'obiettivo politico di rappresentare l'ago della bilancia nei futuri assetti politici, proponendosi eventualmente anche come stampella del PP. La somma dei seggi del PP e di Ciudadanos non raggiungerebbe comunque la maggioranza utile alla formazione di un esecutivo essendosi la formazione di Rivera attestata al 13,9% dei consensi con 40 deputati.
Quello di ieri è innanzitutto un voto di sfiducia all'asse popolari-socialisti. Una sfiducia, come confermato da un'affluenza al voto in leggero aumento rispetto al 2011, in cerca di strumenti di politicizzazione e comunque espressione di forze nuove dentro la società iberica. Queste sono cresciute anche dentro o in parallelo con i movimenti di critica all'austerità e non sono disponibili a venir ricondotte a un quadro interamente occupato dai partiti al contempo fonte e realizzazione del comando ordoliberale. La nuova instabilità del quadro politico, prima della proposta di chi prova, come Podemos, a raccogliere da queste forze un mandato politico – per inciso, operazione mai riuscita ai nostrani 5 stelle -, è l'elemento più significativo di queste elezioni generali, rappresentando in ogni caso una possibilità destinata a contare come dato di lungo periodo da ora in avanti.

sabato 19 dicembre 2015

LA MORTE DI JOHN TRUDELL

E' morto negli scorsi giorni John Trudell,nativo americano secondo come fama per la lotta per i diritti degli indiani d'America forse solo a Leonard Peltier(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/search?q=leonard+peltier ),due figure importanti nello scenario della lotta sociale in Usa.
L'articolo preso da "Il Manifesto" racconta brevemente il suo credo politico ed il modo di agire pacifico che nonostante questo lo portarono ad essere arrestato durante una manifestazione e nel mentre della prigionia l'Fbi gli incendiò la casa sterminando la sua famiglia.
Ovviamene nessuno fu mai incriminato per tali delitti e l'Fbi insabbiò se stessa in quell'episodio:da quel giorno la lotta di Trudell influenzò anche la sua carriera si artista sia come poeta che come cantante ed attore.

Cuore di tuono si è fermato.
 
Stati uniti. Scompare all’età di 69 anni, il sioux-santee John Trudell, poeta, cantante, attore e attivista per le minoranze native americane. La sua musica era amata da Bob Dylan e i suoi discorsi erano odiati dall’Fbi, che non esitò a perseguitarlo ed è da molti ritenuto il vero responsabile dell’incendio che sterminò tutta la sua famiglia nel 1979.
 
L’8 dicembre scorso, dopo una lunga malattia, è morto John Trudell, nativo americano Sioux-Santee, conosciuto come poeta, cantautore, attore e attivista per le minoranze indigene. Era nato in Nebraska il 15 febbraio del 1946 ed era cresciuto nella riserva indiana Santee, al confine con il Sud Dakota. Il tumore che gli ha preso la vita si è portato via anche un simbolo, un riferimento, un pezzo importante di storia della resistenza cinquecentenaria dei popoli nativi americani.
La storia di John Trudell vale la pena di essere ricordata, perché piena di avvenimenti importanti e anche tragici, che ne hanno segnato profondamente il percorso umano, politico e artistico. A 17 anni lasciò la scuola per arruolarsi in Marina e, come tanti altri nativi americani discriminati come cittadini ma apprezzati come carne da macello, partì per il Vietnam. Poi, nel 1967, abbandonò la carriera militare.

La rivolta di Alcatraz

Trudell abbracciò l’impegno civile prendendo parte alla storica occupazione dell’isola di Alcatraz, nel 1969, assieme a migliaia di altri nativi americani di tutte le tribù, per denunciare i diritti calpestati delle popolazioni indigene. Trudell fu anche una delle voci più alte che testimoniavano quotidianamente quel che accadeva ad Alcatraz, in una trasmissione radiofonica notturna. L’occupazione andò avanti fino al 1971, ma i media e i politici di allora insabbiarono quella rivolta pacifica, facendo di tutto per distogliere l’attenzione da quelle sacrosante rivendicazioni.
Nel frattempo Trudell era diventato uno degli esponenti di spicco dell’Aim (American Indian Movement). Nel 1974, quando era presidente nazionale del Movimento, durante una riunione di preparazione per la Conferenza intertribale dei trattati, Trudell parlò dei mutamenti che dovevano prodursi in seno al movimento stesso, affinché diventasse possibile ottenere risultati positivi per i popoli nativi. E non erano mutamenti da poco: «Dobbiamo abituarci a pensare in termini di comprensione e amore — affermò nel suo discorso -. Invece siamo caduti nella rete dell’odio contro l’uomo bianco. Per quello che ci ha fatto. E quest’odio affiora spesso. Ma è necessario che cominciamo a capire i sistemi del colonialismo. I sistemi usati dai bianchi per sfruttarci e tenerci sotto il loro potere. Il nostro nemico non sono gli Stati uniti. Il nostro nemico non è il singolo uomo bianco. Il nostro nemico è l’uomo bianco nella sua collettività sociale. Ci vendono i fucili e ci guadagnano sopra. Ci hanno ridotto al punto di poter profittare delle nostre paure e delle nostre emozioni. E pensano ancora di poterci insegnare qualcosa con i loro manganelli, i loro fucili e le loro bibbie. Ma se studiate la loro strategia generale vedrete che essi approfittano della nostra militanza e del nostro spirito per cercare di separarci e isolarci dal resto della nostra gente.. A me pare che quando succede un fatto come Wounded Knee gli uomini bianchi che sono dalla nostra parte dovrebbero prendere loro stessi il fucile e battersi contro gli altri bianchi».

Schedato in 17mila pagine

Inevitabilmente Trudell finì sul libro nero dell’Fbi, che su di lui aprì un fascicolo di ben 17mila pagine. Ormai gli era stata dichiarata una guerra aperta, totale. Ma il peggio per lui purtroppo doveva ancora arrivare. Nel 1979 si trovava a Springfield, a capo di una manifestazione contro le intimidazioni e la violenza esercitate dall’Fbi contro le popolazioni native. Venne bruciata una bandiera americana, vennero intonati cori di protesta e ci furono scontri in seguito ai quali Trudell venne ferito e poi arrestato.
Dodici ore dopo la dimostrazione, mentre era recluso nell’infermeria del carcere, ignoti appiccarono il fuoco alla sua casa, uccidendo sua moglie Tina, che era incinta, i loro tre figli piccoli e la madre di lei. Fu tutto archiviato come «incendio accidentale», ma per molti quel massacro aveva un nome e un mandante, cioè l’Fbi, solo che era impossibile da perseguire giuridicamente per l’ovvia mancanza di prove e testimoni.
Trudell finì letteralmente spezzato da quella vicenda, smise i panni della protesta attiva e lasciò che nuovi linguaggi emergessero, sia per lenire le sue ferite interiori che per continuare a denunciare l’ingiustizia. Scoprì così nella poesia un nuovo modo di comunicare il suo pensiero: «Il chiudere le vostre porte / non ci chiuderà mai fuori / il chiudere le vostre porte / può solo chiudervi dentro», ricordavano i suoi versi.
E dal successivo incontro con Jackson Browne, che poi divenne suo produttore, nacque un’interazione tra poesia e musica, un incontro fra tradizione e blues. Già il suo secondo album, Aka as Graffiti Man, nel 1986 venne definito da Bob Dylan «il miglior disco dell’anno». Da allora John Trudell ha continuato ad affiancare l’attività poetica e musicale a quella politica e oggi la sua discografia conta ben 16 album. L’anno scorso gli è stato assegnato il Premio Tenco, nell’edizione dedicata alle «Resistenze».
Negli anni ’90, per la prima volta, si sperimenta anche come attore, nel film diretto da Michael Apted, uscito nel 1992, Cuore di tuono, dove Trudell interpreta praticamente se stesso nel ruolo dell’attivista Kimmy Doppio Sguardo. Nel cast figuravano anche attori come Val Kilmer, Graham Greene e Sam Shepard.
Lo stesso Apted l’anno precedente aveva girato un altro documentario, Incident a Oglala, che narrava la storia del lakota-cippewa Leonard Peltier, storico prigioniero politico ed emblema dei nativi americani finiti ingiustamente in carcere. Poi, nel 2005, dopo dieci anni di lavorazione, viene presentato al Sundance Festival un film biografico intitolato Trudell e diretto dalla regista Heather Rae.
Quella volta che incontrai a Roma Trudell, nel 1999, lui era in Italia per una serie di concerti e doveva esibirsi con la sua band al Big Mama. Lo avvicinai e gli parlai dei miei corrispondenti nativi americani prigionieri nel braccio della morte, chiedendogli se si potesse fare qualcosa per il vecchio cherokee Ray «Running Bear» Allen (la cui vicenda fu seguita ampiamente dal manifesto), che aveva avuto la data d’esecuzione segnata sul calendario. Lui mi squadrò, quasi come stesse facendo una radiografia alla mia anima, poi disse semplicemente: «Tra la prima e la seconda parte del concerto, sali sul palco, hai il mio appoggio totale e tutto il tempo che vuoi per fare l’appello in sostegno di Running Bear».

Sopra l’albero di Natale

John Trudell ci lascia ora alle soglie del nostro Natale cristiano, che per il suo popolo è anche il Natale dell’invasore e dell’oppressore.
Così ci piace ricordare alcuni versi di una sua poesia tratta dal libro Stickman, pubblicato in Italia nel 1995 con le edizioni Selene e intitolata proprio Per l’albero di Natale: «L’invasore dà inizio alla sua purificazione invernale /con il Natale /dice che è per onorare Cristo /che egli ha ucciso, il principe della pace /è ora onorato con il sacrificio degli alberi /gli assassini con le loro asce ti ammazzano parente mio /e poi ti elettrificheranno con luci e decorazioni / … la felicità degli invasori sembra senza profondità /il loro Natale è solo il dono dei regali e l’uccisione degli alberi /la pace condivisa è perduta nel vendere e nel comprare /per loro vi è sempre un prezzo /e questo è quello che pagano per il tuo inutile sacrificio…».

venerdì 18 dicembre 2015

PAUL "IL ROSSO" BREITNER

Il mio lontano ricordo di Paul Breitner calciatore è legato indissolubilmente alla finale vinta dall'Italia contro la Germania nel gremito stadio Bernabeu nella storica conquista della Coppa del Mondo,dove comunque riuscì a siglare il gol della bandiera dei tedeschi(allora dell'Ovest).
Ultimamente ho scoperto la storia al difuori del campo di gioco del Breitner persona,uno dei calciatori più anticonformisti degli anni settanta,uno che girava con una Vespa rossa,aveva poster di Mao e del Che in casa e aveva una chioma afro che ai tempi era sinonimo di tossico o teppista.
Vita vissuta legata alle scelte calcistiche quando da idolo nel Bayern Monaco andò nell'allora franchista Real Madrid per un mucchio di quattrini e fece poi ritorno in patria per finire di nuovo nella sua Baviera.
A suo onore la decisione di non voler partecipare ai mondiali Argentini quando nel 1978 c'era la dittatura di Videla.
Nell'articolo di Leonardo Capanni c'è molto di più di quello che ho riassunto in poche righe su questo calciatore dal talento immenso e da una vita sportiva e privata al di fuori della norma(http://zonacesarini.net/2015/01/02/dal-libretto-rosso-di-mao-alla-firma-per-il-real-di-franco-lambigua-corsa-di-paul-breitner/ ).

Dal Libretto Rosso di Mao alla firma per il Real di Franco. L’ambigua corsa di Paul Breitner.

Un cesto afro e i poster di Che Guevara e Mao Tse-tung appiccicati alle pareti. Un contratto milionario coi blancos espressione diretta del regime di Franco e quella barba iconica rasata per la pubblicità di un dopobarba. Chi è Paul Breitner? Splendori e miserie di una delle figure calcistiche più ammirate e controverse del secolo breve.

Paul Breitner, uno dei dominus del calcio tedesco, è ancora ricordato per le sue convinzioni anticonformiste fuori dal terreno di gioco e per le sue (a volte) discutibili scelte professionali nell’arco di una carriera intensa, forse irripetibile. Esemplificazione in carne, ossa e basette del concetto di giocatore universale; di quelli che Sacchi apostroferà come “a tutto campo, tutto tempo”. Difensore, terzino, centrocampista metodista, regista, esterno a lunga percorrenza e perfino ala.
Breitner è anzitutto un calciatore 15 anni avanti rispetto al suo tempo: uno squarcio di futuro che spacca partite e linee tattiche con un movimento costante, una padronanza tecnica da ambidestro e un’elevata intensità di corsa connessa ad un’intelligenza tattica rara. Quello che oggi chiameremmo top player, ma che preferiamo ricordare semplicemente come fuoriclasse.

Ma Paul il Rosso è qualcosa di più. Trascende la dimensione calcistica, mutando in icona giovanile. A 20 anni ha il vezzo di presentarsi agli allenamenti del Bayern Monaco col Libretto Rosso di Mao Tse-tung sotto braccio, insieme ad una capigliatura degna di Jimi Hendrix o dei padri fondatori della disco-funk statunitense. Di più: è dichiaratamente schierato all’estrema sinistra. Almeno da giovanissimo.
Un bavarese per difetto, con cuore e mente vicine ad Alexander Platz. In tempi in cui la Guerra Fredda e la linea di divisione culturale est-ovest erano il fulcro di ogni avvenimento mondiale.
Paul, figura scomoda e chiacchierata in quella pianura uggiosa e umida, ordinata e conformista quale è la sua terra natia: la Baviera. Gira con un Maggiolone giallo e una Vespa Primavera rossa, ha un salotto tappezzato in perfetto stile DDR con Che Guevara e Mao appesi come santini sul muro, è ateo e ama fumare giganteschi sigari, ovviamente cubani.
Agli occhi di tutti è, sostanzialmente, la versione glam-pop di un esponente della Banda Baader-Meinhof. Che però, anziché progettare rapimenti armati e cercare di destabilizzare l’ordine costituito, gioca divinamente a pallone.
Facendo vincere tre Meisterschale al Bayern, un Europeo e un Mondiale alla Germania. Nonostante una convivenza da lunghi coltelli e litigate furiose col Kaiser, Franz Beckenbauer: primus inter pares di quella formidabile nazionale e del Bayern Monaco di Maier, Hoeness e Gerd Muller. Il leader borghese e tradizionalista di una nazione in forte ascesa, alla urgente ricerca di nuove imprese da consegnare ai posteri.

Paul Breitner – o meglio “Der Afro” però non è soltanto un collettore di simpatie giovanili e curiosità extra-calcistiche. È un personaggio sfaccettato, controverso. Dopo l’esperienza trionfale del Bayern e del Mondiale vinto in casa, con gol in finale all’Arancia Meccanica di Cruijff e Michels, decide di convolare a nozze con la caterva di pesetas del Real Madrid. Un trasferimento choc.
Tanti saluti alla Baviera e all’appartamento tappezzato di poster e volumi rivoluzionari, accetta i blancos e la loro strettissima vicinanza col regime franchista. Quello del Generalissimo è uno degli ultimi, soffocanti regimi autoritari proto-fascisti ancora in piedi in Europa. E la svolta di Paul il Rosso è faccenda epocale.

Breitner firma e va a conquistare due campionati, una Copa del Generalìsimo e una grande beffa del destino con la camiseta blanca. Ovvero: una semifinale di Coppa dei Campioni persa proprio contro il Bayern Monaco. Con tanto di sonoro bagno di fischi nel “suo” Olympiastadion: un’umiliazione indelebile.
Contestato, subissato di fischi e insulti Breitner esce in silenzio, a capo chino, cedendo l’accesso alla finalissima ai bavaresi in quel pomeriggio di un giorno da cani. Dopo tre anni e una valanga di soldi intascati, Breitner torna in Germania. Ritorna a giocare in Bundesliga grazie alla Jagermeister. O meglio, grazie ai soldi del patron della Jager.

Trasloca in un piovoso paese di 190.000 anime nel mezzo della Bassa Sassonia, finendo così a Braunschweig. L’esperienza dura un solo anno, in un contesto tecnicamente modestissimo e poco avvezzo a personalità straripanti come quella di der Afro. Che si congederà da compagni e società con una scarna lettera battuta a macchina:
“Vi faccio un favore a tutti: me ne vado”.
Eloquente. Glaciale. Senza fronzoli o particolari attenzioni: in perfetto stile Breitner. E qui arriva l’ennesima svolta di una carriera anomala: Monaco. Destinazione Bayern. Sì, quelli dei fischi e della contestazione violenta. Quelli che non gli avevano perdonato la fuga per flirtare con i soldi del Caudillo di Spagna.
Il Bayern ormai naviga in acque mosse, cupe. La squadra dei phanomen non esiste più, cancellata dalla carta d’identità del Kaiser Franz, di Sepp Meier e dell’amico e compagno di scorribande Uli Hoeness. Ma Paul non è tipo da scoraggiarsi, stavolta si gioca l’ultima vera chance nel pieno della maturità calcistica.
Fa da chioccia ad una nuova generazione ancora acerba, eredita la fascia di capitano e forma un duo imprescindibile assieme a quel giovane attaccante con un fisico da statua marmorea e una coordinazione da étoile del Bolshoi: è Karl-Heinz Rummenigge.
Nasce la Breitnigge, come la chiamano dalle parti dell’Altstadt. È la coppia che porterà in dono due Meisterschale e due coppe di Germania al Bayern ed un Europeo alla nazionale. Poi l’atto conclusivo – il più amaro – la finale mondiale al Bernabeu, nella Spagna appena rinata dalle ceneri del franchismo. Dove Breitner segnerà, ma a passare alla storia sarà il grido allucinato di un altro tuttocampista: Marco Tardelli.

Nel mezzo, per non farsi mancare un’altra scelta ad alto contenuto infiammabile, Paul decide di tirarsi fuori dal Mondiale del 1978. Lui, almeno stavolta, pare irremovibile: il Mondiale della vergogna in Argentina non lo gioca. Con Videla e la sua dittatura di generali al comando nulla da spartire.
Proprio come l’altra grande icona del calcio degli anni ’70, Johan Cruijff. Un atto tranchant, netto, inflessibile. Con lo stesso stile di quella lettera spedita ai compagni della Bassa Sassonia. Una personalità fuori dall’ordinario. In tempi in cui ogni decisione, frase, atto e perfino vestito o capigliatura si connotavano quali precise scelte dal sapore politico.
Breitner l’indecifrabile, precursore di un calcio che si è fatto immagine e marketing. Con buona pace di Mao Tse-Tung. Paul il Rosso, una delle prime star mediatiche prestate al mondo del pallone. Suo malgrado. O forse no.