domenica 31 gennaio 2016

TREGUA DI QUALCHE ORA TRA RENZI E LA MERKEL

La visita che il premier Renzi ha fatto alla cancelliera tedesca Merkel negli scorsi giorni ha fatto riappacificare per qualche ora i due politici che nelle settimane e nei mesi scorsi,ma diciamo anche da quasi sempre,hanno litigato a distanza sia sui conti economici che per le questioni legate ai migranti.
L'articolo preso da Senza Soste da anche un taglio mediatico riuscendo a far capire con una ricerca della redazione,che in Germania la notizia non ha interessato praticamente in nessun modo la stampa ed i media teutonici.
Perché in effetti Renzi si è presentato da partner europeo minoritario e le sue sfuriate amplificate dai nostri media all'estero non hanno nessuna eco,nell'indifferenza più totale visto che lo affermo ormai da tempo che in materia di politica europea ed estera non contiamo nulla.
Quindi i proclami urlati dal premier non eletto lasciano il tempo che trovano al di là dei nostri confini e dalla Germania non ha portato a casa niente a differenza degli incontri mediorientali più proficui per i soliti noti se non qualche strigliata non riportata dai media italiani e un obbligo di interventi militari nelle zone calde del pianeta.

Sulla indimenticabile visita di Renzi a Berlino.

La visita di Renzi a Berlino può restare in memoria come una di quelle indimenticabili. A patto che sia chiaro di cosa si sta parlando. Non farebbe male, ad esempio, registrare la differenza di attenzione dedicata all’evento nei due paesi: dopo il colloquio, tra la cancelliera tedesca e il presidente del consiglio italiano, i siti mainstream italiani erano affollati di foto e di commenti. Mentre nel mainstream tedesco lo spazio toccava quota zero. E non siamo andati a monitorare qualche sito distrattamente: abbiamo guardato, nell’ordine, i siti di Die Welt, Der Spiegel, della Frankfuter Allgemeine, del Tagesspiegel, della Handelsblatt e del telegiornale della Ard. Spazio a Renzi: zero. Dall’Italia abbiamo trovato un servizio sulla mafia (brand nazionale che non tradisce mai) e una foto della torre di Pisa (e per un periodico livornese non è il massimo). Su una rete all news tedesca abbiamo trovato un lungo servizio sulle tecniche di fabbricazione delle motoseghe, con tanto di intervista ai tester, ma di Renzi nessuna traccia. Se si voleva trovare qualche commento bisognava fare una ricerca su Google News tedesco perché nella schermata delle notizie principali, anche lì, Renzi non c’era. Andando, grazie a Google News, nelle pagine interne dei siti dei giornali abbiamo trovato articoli e commenti che parlano di un Renzi in accordo con la Merkel e un non proprio lusinghiero pezzo delle pagine economiche della Frankfurter Allgemeine su Renzi (o meglio sulle amicizie da Carrai alla Boschi). Insomma il tutto è stato rappresentato come la visita a Berlino di un minore, che si trova alla fine d’accordo con la sorella maggiore e che pensa soprattutto alle clientele della bottega sotto casa. Non è propriamente così, l’Italia ha una bomba di debito pubblico da far sembrare, in caso di crisi, la vicenda del debito sovrano europeo del 2011-12 un refolo di vento primaverile.
Ma guardiamola dal punto di vista di Berlino: Renzi è un signore che si agita per pochi decimi di punto di manovra sul Pil da farsi scontare da Bruxelles, la famosa flessibilità di bilancio, esprime un potere che conta, quello bancario-finanziario, piuttosto ridotto (specie se si pensa alle sole banche) e nei momenti topici è sempre docile (vedi la crisi Tsipras). Infatti alla Germania preme più la crisi polacca, che rischia di far perdere un alleato importante ad est, o consolidare l’alleanza con la Turchia che deve portare questo paese ad essere un immenso hotspot, leggi campo profughi di dimensioni inedite, per i prossimi flussi di migranti. E sicuramente teme più la Brexit, possibile uscita della Gran Bretagna dall’Ue che in Italia si trascura seriamente, cosa che comunque porterà certo Berlino a fare concessioni, semmai, prima a Londra e poi, se necessario, a Roma. Poi che la strategia di Renzi risulti aggressiva è vero: ma solo nelle fantasie delle riunioni redazionali di Repubblica o dell’Unità. Se poi sulla stampa italiana si fantastica di partnership a tre tra Francia, Germania e il nostro paese bisogna dire che sognare, per chi ha questo genere di onirico, non costa nulla. Renzi continuerà a dire nei tg che “L’Italia è un grande paese” e gli altri paesi continueranno a considerarlo il giusto. Come è accaduto con l’ultima visita di Renzi a Parigi, relegata tra le notizie francobollo su Le Monde.
E qui qualche considerazione politica: Renzi si gonfia come una rana solo sui media italiani. Media che non solo sono pettegoli, provinciali e autoreferenziali. Ma soprattutto in grado di fare sistema, un format militarizzato attorno al presidente del consiglio, senza alcuna reale opposizione politica a tutto questo. Davvero c’è da rimpiangere Berlusconi, la cui presenza sopra le righe almeno faceva scattare proteste e interrogativi sul livello di democrazia presente nei media italiani. Renzi non si è nemmeno risparmiato la gestione da Minculpop e da telegiornale Luce dei dati Istat (e, a quanto sappiamo, dell’Istat stessa), sul presunto stato di ripresa dell’economia, ed ha raggiunto nel corso dell’anno precedente livelli di conclamata parodia. Tanto che gli indici di fiducia dei consumatori non sono mai stati così alti negli ultimi 5 anni. Ma non perché circolino soldi o solide garanzie di ripresa ma perché la rilevazione, diciamo creativa, degli indici di fiducia, specie se aggregata nelle notizie assieme a dati reali gonfiati oltre l’inverosimile, fa molto “effetto ripartenza economica” sui media. C’è quindi da chiedersi sul serio perché non ci siano reazioni serie nei confronti di una propaganda blindata e sfacciata. In un paese dove pullulano i maestri di retorica barocca della democrazia deliberativa (dal basso, procedurale, orizzontale..) l’assenza della minima reazione nei confronti della democrazia nella comunicazione non è problema da poco.
L’altro elemento da considerare è cosa l’Italia porti a casa da questi summit mediatizzati (solo dalle nostre parti, come si vede). Padoan al vertice sulle banche, per ora, l’unico effetto che ha realizzato è quello di far crollare, di nuovo, i titoli bancari. E quella dei crediti non esigibili è una bomba che, in caso di esplosione, può portare grossi danni economici, politici e finanziari. Renzi, a Berlino, non solo non ha ottenuto nulla ma si è dovuto spendere in una dichiarazione congiunta sulla Turchia dalla quale si capisce che sicuramente andranno fondi ad Ankara, strategica per la prossima crisi dei migranti, mentre invece sono incerti ruolo e destini di Roma per le prossime ondate di profughi nel Mediterraneo. E il problema non è di poco conto visto che sulla gestione dei flussi di migranti si gioca una complessa partita economica e politica tale da mettere in discussione, come è stato detto pubblicamente anche a Bruxelles, la stessa integrità della Ue.
Insomma l’Italia sta fallendo, o bluffando, nella rappresentazione della più classica politica di potenza, leggi sbattere i pugni sul tavolo a Bruxelles, ed è sostanzialmente presa nella gabbia della governance Ue. Decimi di punto più decimi di punto meno. I contenziosi tra Italia e Germania restano quindi corposi
1) sulla questione banche dove la Germania può concedere poco visto anche lo stato di Deutsche Bank, che ha registrato nel 2015 un passivo superiore persino ai tempi della crisi Lehman, che impone di tener deboli i sistemi concorrenti e di mantenere fondi ben finanziati in patria in caso di emergenza
b) sulla flessibilità di bilancio tanto più invisa a Berlino di fronte a una situazione economia di rallentamento globale e di rischio bolla finanziaria a maggior ragione globale
c) sulla gestione delle prossime emergenze flussi migratori dove la Germania, non da sola, intende sganciare quanto possibile a sud tutte le contraddizioni sociali del fenomeno. Sempre considerando che ci sono crisi internazionali in cui il peso di Roma è destinato a decrescere quanto più aumenta quello del partner grosso ovvero Berlino (Siria, Libia, da non dimenticare Afghanistan).
Questa visita di Renzi costellata di nulla di fatto può però, come scrivevamo all’inizio, risultare indimenticabile. Specie se nel prossimo futuro scatteranno due dispositivi della governance europea. Il primo che guarda alle banche il relativo controllo della Bce, che ha rafforzati poteri di vigilanza e indirizzo dopo l’unione bancaria del 2015, in caso di grossa crisi degli istituti bancari nazionali. Il secondo riguarda sanzioni e possibile commissariamento di parte del bilancio italiano, modalità presenti nel two e nel six pack firmati pochi anni fa dal nostro paese, in caso di mancata capacità di rientro dai pochi decimi punti di flessibilità di bilancio strappati dal governo italiano. E’ bene essere chiari: ad oggi l’Italia non è in grado di rientrare neanche di questi decimi di punto. E qui se scattasse il terzo meccanismo, il MES votato pure dall’Italia, in caso di crisi grossa potremmo davvero parlare di occupazione del paese con altri mezzi. Il viaggio di Renzi come quell’ultimo nulla di fatto, quindi indimenticabile prima della tempesta? Vedremo. Di sicuro le crisi globali, economiche e finanziarie, ci sono. Quelle geopolitiche, dalla Libia alla Siria, pure. Nel frattempo il Matteo Renzi show, genere minore della politica spettacolo, continua nel silenzio di un paese stordito che pensa solo a sopravvivere.
redazione, 30 gennaio 2016

venerdì 29 gennaio 2016

STATUE NUDE COPERTE E NEFANDEZZE ALLA LUCE DEL SOLE

Si è fatto un gran chiasso per le statue nude coperte da pannelli che sono poste nel Campidoglio e nei musei capitolini a Roma dove il Presidente iraniano Rohani ha incontrato in successione Renzi,Mattarella e Papa Francesco.
Il Fatto Quotidiano(http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/26/rohani-copre-le-statue-in-campidoglio-rispettare-la-cultura-altrui-distruggendo-la-propria/2407744/ )parla di una doppia offesa volgare nei confronti delle culture italiane ed iraniane e più globalmente a quella occidentale cristiana e quella mediorientale islamica.
Forse a ragione direi ma si è scatenato un polverone mediatico creato ad arte per far tacere altre nefandezze che accadono sotto gli occhi di tutti senza essere coperte da pannelli.
Ma questo è solo un tema visto che il governo,proseguendo il tour itinerante ma stavolta ospitando a casa propria,continua questuante gli scambi mediorientali dopo quello in Arabia Saudita(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/11/renzi-darabia.html )per accaparrarsi appalti per quelle che poi sono sempre i soliti Finmeccanica,Eni,Agusta e pochissimi altri.
L'Iran,che viene paragonato all'Arabia in questi giorni ma provate a dare dell'arabo ad un iraniano,è certamente un paese che ha delle forti questioni interne da condannare senza ombra di dubbio come una zelante politica di elargizione delle pene di morte anche verso gli omosessuali in molti casi,ma che comunque essendo a maggioranza di religione islamica sciita nulla ha che condividere con nazioni dove vige la Sharia propria di Stati islamici sunniti(come la già citata Arabia).
Oltre modo avendo avuto la possibilità e la fortuna di aver visitato l'Iran(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2008/06/viaggio-in-iran.html )ai tempi dell'ex demonio in terra Ahmadinejad posso con certezza affermare che gli iraniani non sono nel modo più assoluto dei mangia cristiani o tagliatori di gole,se ci fosse il caso di chiarirlo.

Rohani ‘copre’ le statue in Campidoglio: rispettare la cultura altrui distruggendo la propria?.

Se ne sta discutendo assai, da prospettive diverse e con soluzioni interpretative spesso antitetiche. In occasione della visita del presidente iraniano Hassan Rohani in Campidoglio, sono state coperte da pannelli bianchi su tutti e quattro i lati alcune statue di nudi dei Musei Capitolini. Lo si è fatto – questa la spiegazione – per rispetto verso la cultura islamica, che notoriamente con i nudi ha un rapporto diverso, diciamo così, rispetto a quella occidentale.
Mi sia consentito un telegrafico commento a questa vicenda, che di per sé nemmeno meriterebbe una discussione, essendo in effetti ben altri i problemi di cui occuparsi nel tempo della disoccupazione giovanile al 40 per cento e della distruzione programmata dei diritti sociali in nome della competitività universale elevata a nuovo Vangelo.
La vicenda del presidente iraniano Hassan Rohani in Campidoglio è la prova lampante del fatto che la stolidità non ha limiti. La domanda che si pone – l’unica filosoficamente e culturalmente rilevante – è la seguente: per rispettare le altre culture è necessario rinunciare alla propria? Per rispettare l’altro occorre negare, offendere, umiliare e distruggere il proprio?
O non bisogna, invece, riconoscere che il rispetto dell’altro deve necessariamente passare per il riconoscimento del proprio e che, dunque, si possono rispettare le culture e le identità altrui se e solo se si dispone di una propria cultura e di una propria identità?
Diciamolo apertamente, con enfasi e senza tema di smentite: solo chi ha una sua cultura e sue radici può rispettare quelle altrui e dialogare con esse. Dietro il finto rispetto delle culture altrui mediante l’occultamento (peraltro non richiesto dall’Iran, dall’Islam e da nessuno) della propria, sta in realtà un processo di desimbolizzazione integrale: attraverso il quale si produce uno spazio neutro e vuoto, senza alto né basso, senza simboli e senza cultura, l’ideale per lo scorrimento illimitato e nichilistico della forma merce e per il proliferare della sottocultura del consumo.
Il fanatismo economico oggi dilagante non mira al multiculturalismo e al politeismo dei valori e dei simboli: aspira invece al monoculturalismo del consumo e al monoteismo del mercato, ed è per questo che chiede agli islamici di cessare di essere tali (identificando senza riserve l’islam e il terrorismo) e ai cristiani di essere cristiani (aprendosi all’altro e abbandonando “superstizione” e “fanatismi”).
Basti anche solo pensare alle strategie pubblicitarie, che mostrano bambini con colore della pelle diversi e con differenti provenienze, tutti però vestiti con le medesime marche. Il plurale è sussunto sotto il singolare del mercato e dell’economia, del consumo e del valore di scambio. Sparisce la cultura, resta il vuoto nichilistico dell’economia e del mercato, ovviamente salutato ipocritamente come “laicità”, “progresso”, “rispetto delle alterità”.
Quella che voleva essere una forma di rispetto della cultura altrui, si è invece rivelata una doppia volgarissima offesa ai danni della cultura: un’offesa alla nostra cultura, ‘nascosta’ con il falso pretesto ‎del rispetto delle alterità; un’offesa alla cultura degli islamici e all’Iran in quanto tali, pateticamente concepiti come barbari incapaci di intendere e di accettare la cultura occidentale.

giovedì 28 gennaio 2016

ONGI ETORRI KARLOS

Della vicenda di Karlos Garcia Preciado si era già parlato su questo blog lo scorso marzo(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/03/karlos-askatu.html )quando il giovane basco venne arrestato a Roma su sollecito delle autorità spagnole dopo una lunga latitanza che lo ha costretto ad andarsene dal suo paese per non affrontare una assurda condanna di ben 16 anni per il sospetto di aver danneggiato una banca durante una kale borroka.
Basti pensare che in Italia quella pena non si dà nemmeno a chi compie un omicidio,e le vicissitudini di Karlos,come quelle solo ultime in ordine di tempo vedi Lander e Aingeru,è potuta accadere con una condanna basata su testimonianze estorte con la tortura oppure creata ad arte dalla polizia spagnola,e nell'articolo preso da Infoaut fa specie che il famigerato tribunale madrileno dell'Audiencia Nacional abbia potuto scarcerare Karlos,che si è fatto dieci mesi di isolamento a Rebibbia per poi passare gli ultimi due a Rossano Calabro.
Ongi etorri Karlos!
 
Askatasunaren haizea, vento di libertà: Karlos è libero.
 
Karlos è stato assolto!
 
Karlos Garcia Preciado, il nostro compagno, condannato in spagna nel 2000 a 16 anni di carcere per il presunto danneggiamento di una banca, e costretto a lasciare il paese basco e a vivere in clandestinità in Italia, con un altro nome, fino a febbraio dello scorso anno quando l’interpol e la digos italiana l’hanno arrestato.

Il tribunale supremo di madrid, nell’udienza del 21 gennaio ha finalmente deciso per l’assoluzione. Non conosciamo ancora le motivazioni ma poco ci importano, l’abbiamo detto per mesi e Karlos l’ha gridato ancora più forte, era una sentenza assurda come le tante che nel sistema giuridico spagnolo perseguitano la popolazione di Euskal Herria. Giustamente, per questo e per la sua libertà Karlos si era sottratto all’arresto in Spagna dove avrebbe dovuto scontare anni di carcere senza nessuna ragione e fondamento.
Nelle prossime ore Karlos potrà finalmente uscire dal carcere di Rossano Calabro dove è recluso da più di due mesi, dopo 10 mesi in isolamento nel carcere di Rebibbia.
Siamo stupiti e increduli per l’esito di questa sentenza, che si conclude con un’inaspettata assoluzione, perchè nessuna fiducia abbiamo nei tribunali, né in quelli italiani, né in quelli spagnoli.

Ricordiamo che l’Italia a dicembre ha servilmente avallato le richieste del regno spagnolo, concedendo l’estradizione, e solo per la determinazione degli avvocati e dei compagni di Andoain, il paese di Karlos, questa storia è riuscita ad arrivare dopo tanti anni nell’aula del tribunale supremo di madrid, dove finalmente ha trovato la conclusione.
Nonostante questo non possiamo non pensare ai 14 anni di latitanza cui Karlos è stato costretto a vivere.
Non possiamo non pensare all’arresto nel febbraio del 2015, in presenza di suo figlio piccolo e a un anno intero di reclusione in italia, in isolamento a Roma e poi nel carcere di Rossano Calabro, lontano dalla sua famiglia e dai suoi amici.
Non possiamo non pensare alle centinaia di dissidenti baschi che ad oltre 4 anni dalla fine del conflitto armato continuano a scontare pene assurde nelle carceri spagnole e francesi con sentenze che li condannano per reati dimostrabili solo con prove costruite ad arte dai servizi spagnoli o con testimonianze estorte sotto tortura.

Vento in poppa per i fuggiaschi!
Tutti e tutte libere!
Presoak eta iheslariak kalera!
Amnistia eta Askatasuna!
Daje karlos ti aspettiamo a Roma..è tempo di festeggiare!

mercoledì 27 gennaio 2016

GEZA KERTESZ ALLENATORE DELL'ATALANTA E VITTIMA DELLA SHOAH

Nell'articolo preso dal sito di Atalantini.com(http://atalantini.gecosistemi.com/com/comfullheadline11.php?subaction=showfull&id=1453894200&archive=&start_from=&ucat=2& )si parla di un articolo già proposto anni addietro e che fa riferimento alla storia di una delle vittime dalla Shoah che è stato allenatore dell'Atalanta nel biennio 1938-39 e che troverà la morte per mano dei nazisti il 3 febbraio 1945 in Ungheria,sua terra d'origine.
La storia romanzata degli ultimi istanti di vita di Géza Kertész è toccante e coincide con la sua fine tragica come quella mi milioni di ebrei perseguitati dalla folle ideologia nazifascista,in quello che rimane il più grande sterminio di massa che la storia abbia mai avuto dall'esistenza dell'uomo sulla terra.
Un altro articolo preso da Bergamopost(http://www.bergamopost.it/chi-e/lallenatore-dellatalanta-che-salvo-gli-ebrei/ )parla di Géza Kertész dai suoi successi di allenatore fino alla morte

Nel giorno del ricordo della Shoah ricordiamo Géza Kertész.

Allenatore atalantino, ungherese, ebreo, Géza Kertész morto nell'Olocausto. Oggi il mondo ricorda la Shoah e lo facciamo anche noi con questo bel pezzo che abbiamo pubblicato 5 anni fa.

Ventisette gennaio.
Il professor Caudano, che della memoria è cultore, questa giornata se la sente addosso. E anche se a scuola ai ragazzi non ha detto nulla, in cuor suo ci pensa: non gli paiono tempi in cui ci si possa permettere il lusso di dimenticare alcunché, se mai ve ne sono stati.
Anni fa, neolaureato, accompagnò i suoi in un viaggio organizzato dalla diocesi di Jesi sul Danubio, e fecero sosta anche a Mauthausen. Ne conserva immagini indelebili: il paesino ridente, la strada che sale una collina infiorata e ilare e poi, dietro una curva, improvvisamente, le torrette, i fili spinati, le mura: i torvi segni della follia.
Ogni volta, il ventisette gennaio riguarda le poche foto che realizzò. Non erano ancora i tempi del digitale e della bulimia da scatto: si centellinavano le inquadrature, i rullini avevano limiti precisi (12, 24, 36 pose al massimo), si ignorava l'esito fino a sviluppo avvenuto. Tutto induceva alla parsimonia, eppure qualcosa di bello gli venne, quella volta. E non solo dal duomo di Ulm o nell'incanto di Passau, no: anche dentro il Lager, dove aspettò sempre che il gruppo fosse passato, per immortalare corridoi, baracche, docce e vialetti in un vuoto spettrale.

Oggi, dopo i giorni della neve, sui colli marchigiani osa un sole timido, che rende ambrato e dolce il pomeriggio. Il professore, come per un rito laico, ha riletto una pagina di Claudio Magris proprio su Mauthausen, ha risfogliato il suo album e ora sta cercando un testo per il primo scritto di Italiano del secondo quadrimestre. Deve far svolgere un riassunto in una prima, ma gli occorre un brano che possegga alcuni requisiti: vorrebbe infatti che non fosse né troppo breve né troppo lungo, né troppo semplice né troppo complesso, e che i ragazzi vi ritrovassero e riconoscessero alcune delle nozioni che hanno studiato, dall'inizio “in medias res” alla tecnica del “flash-back”.
Sfoglia antologie e libri suoi, passa di autore in autore, da Benni a Tonino Guerra, da Singer a Salinger, da Buzzati a Tabucchi. Niente: un racconto è troppo prolisso, l'altro troppo oscuro, l'altro troppo breve.
Il tempo passa e Caudano ha paura di non approdare a nulla. Ripiegare su qualcosa qualcosa di già utilizzato altri anni non gli va. Gli pare una sconfitta.
Allora, tanto varrebbe che se lo inventasse lui il racconto con le caratteristiche giuste... Se lo dice quasi per scherzo, ma poi si ferma a valutare quell'idea balzana, e se ne lascia tentare: scriverlo lui, questo benedetto testo, e poi somminstrarlo ascrivendolo a un autore fittizio. Tanto, un ragazzino di prima che ne sa?
Così ci può mettere ciò che vuole, delle diavolerie narratologiche che gli tocca affrontare seguendo le imposizioni dei programmi ministeriali.
La sfida con se stesso lo stimola, e potrebbe risolvergli davvero il problema.
Tanto più che è il ventisette gennaio, e lui da tempo ha in mente un volto e una storia. Anche se dell'uomo titolare del volto conosce in pratica soltanto quello, e della storia quasi niente.
Meglio, si dice: mi divertirò a inventare.
Sono quasi le cinque quando siede al tavolo inizia a scrivere fitto, con la sua ordinata grafia:

“Che ne sanno questi soldati tedeschi? Di sicuro non sanno chi sono né sanno nulla della mia vita. Gli avranno detto di venirmi, di venirci a prendere, e loro avranno immaginato il perché. Ma niente di più. Soprattutto, loro non possono indovinare che cosa mi porto io nel cuore e a che cosa mi piace pensare adesso, per regalarmi una consolazione con le ultime immagini che mi sfilano nella mente. Chi sono, lo sapevano quelli che li hanno mandati a prendermi, se mai. Ma forse anche loro sapevano solo che sono ebreo. E basta. Che siamo ebrei, anzi. Io e il mio amico Áron, che ora piange disperato e mi dice Géza è colpa mia, se non mi avessi ospitato a quest'ora non saresti qui, Géza questi ci fucileranno fra poco, hai capito? Sì, ho capito, l'abbiamo capito appena hanno bussato alla porta e si è sentita la loro lingua risuonare gelida e spigolosa sul pianerottolo, ma io gli sorrido senza parlare, e lo accarezzo sui capelli, mentre lui sussulta piangendo, la testa sul tavolo, la schiena curva. Povero Áron. La colpa non è sua. Forse è della mia vicina, o della portinaia, o chissà. Io preferisco pensare che sia solo del caso e che non esista nessuno che si vende la vita di qualcun altro per pochi soldi. Ho la faccia di un uomo buono, io; sono sempre stato un uomo buono. Intelligente e buono. Perché il primo tratto della vera intelligenza non può essere che la bontà, mi diceva sempre mia madre.
Áron non smette di piangere. Io gli sto accanto, gli sussurro che non ce l'ho con lui e intanto ricordo. Mi aggrappo ai ricordi.
Neanch'io so questo perché, o forse sì, lo so.
Io, Géza Kertész, ungherese nato a Budapest sotto il regno di Sua Maestà l'Imperatore Francesco Giuspeppe I d'Absburgo nel mese di novembre dell'anno 1894, a pochi istanti dalla mia morte penso a una piccola e bellissima città italiana che qui nessuno conosce né ha visto mai, ma che io porto nel cuore.
Come per una segreta rivincita.
O come per riandare a una lontana premonizione. O per scacciarla.
Di mestiere, ho fatto prima il calciatore e poi l'allenatore di calcio.
Amavo il verde del campo, l'odore dell'erba e il cielo azzurro sopra le corse, le fughe, le piroette e il pallone di cuoio scuro che si alzava così spesso, quasi a tentarlo.
Per un infortunio, ho iniziato presto ad allenare, in Italia.
Questi soldati non sanno niente, figurarsi...
Triste approdo, in uno stanzone lurido e poi nel cortile di caserma che intravedo li fuori e che Áron non ha il coraggio di guardare, triste tanto più per uno come me, che ha il calcio e lo sport nel sangue.
In Italia ero un allenatore stimato, in ascesa.
Avevo idee innovative, adoravo il calcio come la letteratura, pensavo che una buona squdra deve essere come un buon libro, piacevole e insieme con dei contenuti, capace di arrivare al suo fine.
Giocavano bene, i miei ragazzi.
Sono stato allenatore da molte parti.
Prima nelle serie inferiori: Liguria, Campania, Sicilia. E alla fine in serie A a Roma, la capitale. Ne sono scappato quando la guerra mi ha costretto. Rimanerci sarebbe stato un azzardo senza senso. Ma sono stato allenatore sia della Lazio sia della Roma.
In ogni caso, prima di Roma, in serie B ci fu la piccola e bellissima città.
Lì il cielo era di un azzurro limpidissimo, quando era azzurro. Il pane, una delizia. La città era come su due livelli, quella bassa, moderna, e il borgo antico, quella alta.
Lo stadio,costruito da poco, era giù; io però abitavo in alto: un sortilegio di tetti e campanili, strade strette e fontane. Mi affascinavano la piazza, le mura, i colli intorno.
La squadra aveva disputato il suo primo campionato di serie A, l'anno precedente, ed era retrocessa. Avevano una grande smania di riscatto. Mi chiamarono perché c'era un nuovo presidente che ambiva anche a un gioco arioso. La gente ci seguì entusiasta, quella gente che mi volle subito bene, forse perché ero un uomo pulito e leale, e si vedeva; forse perché ero un austrungarico di nascita, e loro sotto gli austriaci in fondo erano stati bene; o forse perché è gente saggia e laboriosa, che sa distinguere quelli di cui si può fidare.
In campo, ricordo due nomi su tutti: il giovanissimo Amedeo Amadei, il fornaretto di Frascati, argento vivo addosso, che poi ritrovai alla Roma, e un ragazzo splendido e serissimo, umile, il centrocampista Severo Cominelli, ineguagliabile.
Eravamo una bella squadra.
Peccato fosse il '38 e cominciassero a soffiare i venti avvelenati che mi hanno portato fino a questo osceno luogo e a questo istante atroce.
Cercavo di non sentirli. Era tutto troppo perfetto perché la cieca crudeltà della Storia potesse rovinarlo. Giocammo un campionato strepitoso, l'impresa più squillante a Firenze, tre a zero contro i favoriti che poi in effetti si sarebbero aggiudicati il torneo. Tante trasferte vittoriose, da Vigevano a Lodi, da Sanremo a Casale.
Poi, poi venne l'ultima in casa, contro il Venezia...
Noi secondi a 43 punti.
Il Venezia, terzo a 41.
Si sale in due sole. Fiorentina e una fra noi e loro.
Possiamo al limite anche perdere, basta che segniamo un goal, perché decisivo è il quoziente reti. Invece, perdiamo uno a zero e restiamo in serie B.
Se ne dissero di tutti i generi.
Più persone, quando me ne andai chiamato dalla Lazio, mi salutarono con le lacrime agli occhi; e in un paio mi sibilarono all'orecchio che dentro la squadra qualcuno aveva tradito, nella partita decisiva.
Che ero troppo buono...
Io non ci ho mai creduto, però.
Come non voglio credere, adesso, che qualcuno abbia volutamente venduto me e Áron a questa morte inutile e stupida.
Altrimenti, quella maledetta partita con il Venezia sarebbe davvero stata davvero una premonizione oscura sul mio destino, e io questo non lo posso accettare.
Perché io di quell'anno, forse il più entusiasmante che abbia vissuto, preferisco tenermi negli occhi il campo da gioco, i pomeriggi di sole e di gioia, la mia squadra che vince e il profilo della città alta sullo sfondo del tramonto, come lo vedevo a fine allenamento nei giorni di primavera.
La mia esistenza non è né in quel finale assurdo né in questo.
Io ho avuto e sono stato altro.
Áron piange piano.
Fra poco grideranno il suo nome e cognome, poi il mio. Sono precisi, i tedeschi: seguiranno l'ordine alfabetico anche per mandarci a morire.
Sorriderò. Sorriderà, Géza Kertész .
Ma a una squdra e a una città lontane, e alla sua vita felice finché ha potuto essere vita”.

Posa la penna, Caudano. I fogli son colmi di parole e di cancellature.
Può essere quello il finale?
E può reggere, il racconto?
No, Elvio è un buon lettore e lo sa: è stata una fatica totalmente inutile.
Il suo testo è non solo il peggiore di tutti quelli che ha passato in rassegna, ma anche il meno adatto per un riassunto in una prima.
Suonano le sette: tempo ormai di passare da sua madre, e per la verifica di domani gli rimane ancora tutto da risolvere. Ha solo perso tempo.
Per una volta, però, non gliene importa.
Forse, aveva solo voglia di scrivere e di fantasticare sul volto umanissimo di Géza Kertész, ed è contento di averlo fatto.
Anche se non servirà a nulla perché nessuno leggerà quel tributo di affetto al più sfortunato degli allenatori passati da Bergamo e dall'Atalanta.
Alla sua promozione persa sul filo e alla sua esistenza persa per niente.

Secundus
"Figurine"
28/01/11


------------------------------------------------------------------------------------------

L’allenatore dell’Atalanta che salvò gli ebrei.

Lo chiamano “lo Schindler del Catania”, perchè fu alle pendici dell’Etna in cui trovò la sua città italiana d’adozione e perchè proprio in Sicilia ricordarono per primi il suo terribile destino, anticipato da gesta profondamente nobili sul lato umano. Géza Kertész, però, è passato anche da Bergamo dove allenò la Dea e sfiorò la promozione in massima serie.
Profeta nel Sud Italia. In Italia ci arriva a metà degli anni Venti, quando uno stragrande numero di allenatori ungheresi si dirige verso la penisola. La prima meta è Carrara, dove, curiosamente, verrà sostituito da Imre Payer, tre volte tecnico dell’Atalanta. Al Sud trova maggior spazio fra terza e seconda serie fino a vincere il campionato di Serie C con il Taranto nel 1937. Nel 1938 i nerazzurri puntano al ritorno in Serie A e si affidano al coach magiaro che, nel frattempo, è diventato uno dei sostenitori del “Sistema” (o WM), ovvero lo schema con 3 difensori, 4 mediani e 3 punte introdotto da Herbert Chapman in Inghilterra. Assieme a lui, arriva dalla Roma, in prestito, un ragazzo diciassettenne al quale Kertész dà immediatamente grande fiducia: Amadeo Amadei, futuro centrattacco di Roma, Inter e Napoli.
La promozione sfumata a Bergamo. Nonostante il “Fornaretto”, come verrà simpaticamente chiamato nella capitale, l’Atalanta faticherà molto a trovare la via del gol e sarà probabilmente questo a fare la differenza al termine del torneo. L’Atalanta ingrana la quarta nel girone di ritorno ed inanella una serie di vittorie importanti, anche se due arriveranno a tavolino per intemperanze del pubblico a Casale Monferrato e Vigevano. Il colpaccio di Firenze del 7 maggio (3-0 con reti di Scategni, Nicolosi e Cominelli) sembra il preludio alla promozione con quattro giornate d’anticipo, ma si rivela un incredibile boomerang. La Dea, infatti, perde 4-1 a Vercelli e non va oltre il pari con Anconitana e Spal: la promozione si decide all’ultima giornata nello scontro diretto interno con il Venezia e basterebbe un pareggio per ritornare dopo solo un anno in Serie A. Il gol di Pernigo, nel secondo tempo, premia i lagunari ed il sogno promozione termina, così come termina l’esperienza bergamasca di Géza Kertész.
Sulle panchine delle due romane. Il tecnico magiaro, però, raccoglie i frutti di quanto seminato a Bergamo e troverà prima una panchina alla Lazio e poi a Catania. Nel 1942, infine, viene richiamato nella capitale, questa volta per sostituire Alfréd Schaffer, suo connazionale e artefice dello scudetto di pochi mesi prima. Schaffer rientrerà in Ungheria per poi allenare il Bayern Monaco fino alla morte improvvisa, sopraggiunta durante un viaggio in treno in Baviera a guerra appena conclusa. La guerra è anche la ragione per cui Kertész deve abbandonare la Roma, perchè nel frattempo il torneo nazionale è stato sospeso e presto la sua Ungheria sarà invasa dalla Germania nazista dopo l’armistizio separato di Horthy, poi destituito dal golpe di Szálasi.
Ritorno in Ungheria. Già nel 1943, però, il coach è ritornato a casa e siede per la prima volta sulla panchina di una squadra ungherese: allena l’Ujpest in uno dei pochi campionati mantenuti attivi, nonostante il conflitto. Passa un anno e la vita nella capitale è terribile: il regime delle Croci Frecciate, l’assedio dell’Armata Rossa alle porte della capitale ungherese e la deportazione degli ebrei diventano un peso insostenibile per Géza Kertész, sulla cui attività, però, scende un alone a metà fra il mistero e la leggenda, perchè, di ciò che accade nei suoi ultimi mesi di vita, non è rimasto in piedi praticamente nulla.
Dallam, gli allenatori-partigiani. Gábor Andreides è uno storico ungherese, ma è anche un appassionato di calcio italiano e ha dedicato un libro ai 78 allenatori magiari che stazionarono in Italia fra gli anni Venti e Trenta, portando il calcio nazionale a vincere due mondiali, di cui uno proprio a scapito dell’Ungheria, nel 1938. Cosa accade nel 1944 fra gli allenatori ungheresi? «Va detto innanzitutto che la storia non è chiara nemmeno per noi ungheresi, ma è plausibile che grazie ai contatti con Tóth-Potya, che in precedenza aveva allenato l’Ambrosiana Inter e la Triestina, Kertész entrò a far parte di questa rete clandestina che si opponeva ai nazisti chiamata Dallam, che in ungherese significa Melodia». E come mai questa storia è rimasta sconosciuta? «Queste persone, anzi, questi che non esito a definire eroi, erano un gruppo piuttosto raro nell’Ungheria dell’epoca, perchè la maggior parte degli oppositori alle Croci Frecciate e ai Nazisti erano simpatizzanti di sinistra ed erano vicini all’Unione Sovietica, mentre i componenti di Dallam erano liberali e conservatori, appartenenti alla borghesia cittadina o alla piccola ala filobritannica dell’esercito. Ad esempio Tóth-Potya era un ufficiale di complemento dell’aeronautica». È possibile che le loro imprese siano state tenute nascoste dal successivo regime comunista? «È possibile che anche per questa ragione la storia ungherese sia stata costretta a dimenticarsi di questi personaggi e dico con profondo dolore che le vicende di Dallam siano tutt’oggi fra le meno conosciute».
I ponti di Budapest. Il compito dei componenti di Dallam è simile a quello dei diplomatici dei paesi neutrali: protezione degli ebrei rimasti a Budapest e condannati a rimanere nel ghetto sino alla deportazione in Polonia e Germania, consegna dei salvacondotti per chi cercava rifugio nelle case delle legazioni straniere e supporto alle truppe e ai servizi segreti dei paesi in guerra con la Germania, come ad esempio Stati Uniti ed Inghilterra. Si adopereranno, purtroppo inutilmente, anche per salvare dal bombardamento il ponte Francesco Giuseppe, ora conosciuto come Ponte della Libertà.
A una settimana dalla resa. «Il gruppo a cui appartenevano Kertész e Tóth-Potya venne tradito da alcuni delatori e molto rapidamente vennero fatti prigionieri», racconta Andreides. Nel 1980, ancora in epoca comunista, venne pubblicato su un’enciclopedia storica il resoconto dell’attività clandestina di Tóth Potya: il 6 dicembre venne prelevato dalla Gestapo (e si presume, con lui, anche Kertész) e venne processato per alto tradimento. I due, assieme ad altri oppositori ungheresi e tedeschi, conosceranno la morte lo stesso giorno, il 6 febbraio 1945, all’interno del Palazzo Reale di Buda, che in quel momento ospitava la sede del ministero dell’Interno, dopo numerose torture. Meno di una settimana dopo le truppe tedesche abbandoneranno il castello ed il 13 febbraio la città si arrenderà alle truppe sovietiche. Nel 1946 i due allenatori furono sepolti, l’uno accanto all’altro, nel cimitero di Kerepesi a Budapest. A dare l’ultimo saluto a Géza Kertész fu la figlia Kata, che ricoprì di bara la terra durante una commossa cerimonia funebre.

martedì 26 gennaio 2016

BAD BANK

Visto che il tema sta ancora imperversando nei notiziari e sulla rete dopo aver cercato di descrivere il crollo dei titoli bancari e delle borse in generale(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2016/01/la-crisi-delle-bance-e-dei-mercati.html )ecco un altro contributo preso da un sito che si occupa di economia(https://www.forexinfo.it/Bad-Bank-che-cos-e )per cercare di entrare nel merito delle già citate bad banks.
Che è un metodo nuovo ma non recentissimo con cui le banche vogliono creare società per inglobare dei crediti anomali venuti a crearsi per le attività non sempre lecite e trasparenti con cui le banche hanno avuto a che fare,e la proposta italiana all'Europa è proprio la creazione di una bad bank per poter salvare i bilanci di molti istituti di credito con l'acqua alla gola.
Per far questo,oltre ad aver il bene placito dell'Ue,come spiega l'articolo in modo breve ma con una semplicità disarmante,"sono i contribuenti a salvare le parti deteriorate delle banche",con ancora contributi statali che dovrebbero essere rimpinguati dall'Europa in caso di esito positivo.
Come sempre spiegato anche se ci fosse l'approvazione per la bad bank i problemi non sarebbero comunque risolti così facilmente visto che questa non è comunque una soluzione eterna ma solo temporanea con lo Stato che dovrebbe vigilare su ogni istituto di credito...proprio come fatto fino adesso.
Comunque da ignorante in materia questo sembra molto simile ad un riciclaggio di denaro sporco.

Bad Bank: cos’è e a cosa serve? Ecco perché l’Italia ne ha bisogno.

Che cos’è e a cosa serve una Bad Bank? Ecco tutto ciò che c’è da sapere sulla «banca cattiva» e perché le banche italiane premono per velocizzarne la creazione..

gli ultimi mesi, e soprattutto negli ultimi giorni, non si fa altro che parlare di Bad Bank. Le banche italiane, sovraccariche di crediti deteriorati, sperano nella creazione di questo particolare veicolo per risolvere al più presto la situazione. Negli ultimi giorni si sono create delle tensioni tra il premier italiano Matteo Renzi e i vertici della Commissione Europea i quali si mostrano poco inclini a permettere una soluzione di questo tipo per le banche italiane.

Italia: ultimi giorni di Borsa molto difficili per le banche

Con l’ingresso sulla scena europea del Bail-in, diventa più difficile per l’Italia utilizzare questo particolare veicolo. Che cos’è una Bad Bank? Può da sola risolvere i problemi del sistema bancario italiano?
In questi giorni, ma più in generale negli ultimi mesi, in Italia si sta parlando molto riguardo alla costituzione di una Bad Bank per risolvere la questione dei crediti deteriorati. Le banche italiane infatti soffrono di un eccessivo ammontare di non-performing loans (NPL) pari a oltre €200 miliardi (3 volte la media europea). E’ necessario quindi per il sistema bancario italiano depurare le parti sane degli istituti di credito al fine di alleggelirli dal peso degli NPL.
Nelle scorse sedute borsistiche, i titoli azionari di 6 banche italiane sono stati vittima di pesanti sell-off dovuti alla preoccupazione degli investitori (e alla speculazione) causata dalla notizia che la BCE stesse effettuando una verifica dei crediti deteriorati di questi 6 istituti di credito.
Hanno spiccato in particolare i forti ribassi registrati sulle azioni di banca MPS e banca Carige che sono gli istituti di credito più a rischio vista la quantità di crediti deteriorati detenuta in portafoglio.
In questo senso non hanno aiutato le tensioni createsi tra il premier italiano Matteo Renzi e i vertici della Commissione Europea che hanno enfatizzato i timori di investitori e risparmiatori riguardo alla creazione della Bad Bank. Perchè tutta questa attenzione per la “banca cattiva”?

Bad Bank: che cos’è?

La Bad Bank è uno speciale veicolo attraverso il quale le banche in difficoltà depurano il bilancio da titoli tossici detenuti in portafoglio. Una volta creato questo veicolo, viene confluito in esso tutta la parte (o una parte) del portafoglio della banca che ne fa uso comprendente titoli tossici (che possono essere, come in questo caso, crediti anomali di difficile riscossione).
La Bad Bank, una volta ricevuti questi titoli, gestisce i portafogli deteriorati in maniera completamente autonoma correndone ovviamente tutti i rischi che ne conseguono.
Una volta che vengono ricevuti in carico i portafogli anomali, viene effettuata una scissione azionaria attraverso l’emissione di azioni privilegiate (in genere sottoscritte dallo Stato) e di normali azioni ordinarie che vengono poi immesse sul mercato.
Una volta effettuata questa operazione, la Bad Bank provvede alla liquidazione dei titoli deteriorati una volta che il gap tra il valore nominale di questi ultimi ed il valore del mercato si assottiglia. In sintesi, con la Bad Bank sono i contribuenti a salvare le parti deteriorate delle banche.
Quest’ultimo punto è ciò che fa storcere il naso all’Unione Europea sull’utilizzo di tale strumento da parte dell’Italia. La normativa sugli aiuti di Stato fa in modo di rendere la creazione della Bad Bank più difficile, vista poi la contemporanea entrata in vigore del meccanismo di salvataggio interno delle banche: il Bail-in.
In questo senso, al vaglio del governo italiano ci sarebbe la possibilità che la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) si faccia da garante della Bad Bank visto che, tecnicamente, non è un organo statale.

Italia, Bad Bank: perché è urgente crearla?

L’obiettivo del governo italiano è quello di far smaltire al sistema bancario l’ingente ammontare dei crediti deteriorati, in modo da riequilibrare i bilanci degli istituti di credito che in questo modo dovrebbero semplificare e velocizzare l’emissione di nuovi crediti volti a stimolare l’economia del Bel Paese.
Perché tutto questo ammontare di crediti deteriorati? I motivi sono vari. Per prima cosa, l’ammontare di NPL in genere cresce al crescere delle difficoltà del sistema impresa ed è per questo che continuano ad aumentare.
Come si sà, sono anni che le imprese italiane faticano ad andare avanti a causa dell’eccessivo carico fiscale che, oltre a ridurre i guadagni, fa in modo di rendere meno competitivo il sistema impresa.
In secondo luogo, il sistema bancario italiano ha aumentato l’esposizione sui non performing loans a causa anche dell’erogazione di crediti di dubbia solvibilità emessi nelle gestioni passate.
Di recente infatti ha destato scalpore il caso delle 4 banche fallite interessate dal decreto salva-banche, costrette al default a causa dell’eccessivo carico di crediti in sofferenza ed incagli (derivanti da dubbie gestioni delle erogazioni) che ne hanno compromesso definitivamente la normale attività gestionale.
In questo caso, gli istituti falliti sono stati salvati attraverso la costituzione di una Bad Bank, che si è fatta carico dei crediti deteriorati, mentre la parte “sana” delle banche è stata messa in vendita ed è in attesa di acquirenti.
Ha destato scalpore però ciò che è accaduto agli obbligazionisti subordinati di queste banche che hanno visto azzerare il valore dei loro risparmi. Ciò che è accaduto a questi risparmiatori non è altro che un “assaggio” di Bail-in.

Italia, Bad Bank: da sola basta?

Un altro motivo per cui le banche italiane soffrono è che dopo la crisi finanziaria recente, non è stato permesso al Paese di poter risanare il sistema bancario, come invece accaduto ad altre nazioni europee come ad esempio la Spagna, a causa dell’elevato debito pubblico.
La Bad Bank è quindi una soluzione? Sicuramente porta un grosso vantaggio alle banche che ne potranno usufruire (ammesso che l’UE approvi la creazione) ma da sola non basta.
Di sicuro, il processo di integrazione delle popolari e delle banche che usufruiranno dell’eventuale creazione della Bad Bank (come ad esempi MPS) farà in modo di riassettare il sistema bancario italiano in modo da renderlo più efficiente.
Oltre a riformare il sistema bancario, urge un intervento profondo sulla struttura dell’economia dell’Italia in modo da aumentare l’occupazione, i redditi e i profitti delle imprese in modo che si verifichino molti meno casi di crediti deteriorati. Inoltre, è necessaria un’approfondita vigilanza sugli istituti di credito per non permettere il verificarsi di nuovi casi di mala gestione.
Questo compito andrà in parte assolto dallo Stato italiano che dovrà vigilare sugli istituti più piccoli, mentre per le banche ad “alta significatività” sarà la BCE a monitorare la situazione, il che, con il Bail-in in atto, non c’è motivo di essere sereni.

lunedì 25 gennaio 2016

IL DASPO DI PIAZZA DI PISA

In diverse realtà ultras italiane ci sono state proteste all'indomani della decisione della notifica di sei provvedimenti di daspo effettuata nei confronti di persone che hanno partecipato a Pisa lo scorso 14 novembre ad una manifestazione contro la Lega Nord.
Ebbene queste sei persone,tra le quali una donna cinquantunenne già diventata nonna,non potranno accedere a manifestazioni sportive per i prossimi tre anni in questa che è una vicenda assurda ma figlia di una logica di repressione che negli ultimi anni ha visto il mondo del calcio fare da cavia per tutte le altre manifestazioni di piazza(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/11/le-nuove-norme-antimanifestanti.html ).
L'articolo preso da Infoaut sponsorizza le prime iniziative organizzate per protestare contro questa scelta che vìola ogni diritto di manifestare in qualsiasi luogo fisico e per qualsiasi motivazione sia essa ideologica che sportiva.

Daspo di piazza. A Pisa le prime iniziative in programma.

Circa venti giorni fa la questura di Pisa ha notificato 6 provvedimenti di Daspo, divieto di accedere ad ogni tipo di manifestazioni sportive, ad altrettanti partecipanti ad una manifestazione contro la Lega Nord che si è tenuta a Pisa lo scorso 14 novembre.
Da subito non sono mancati momenti di solidarietà soprattutto nelle curve: Pisa, Cosenza, Parma, Perugia, Reggio Calabria per citarne alcune. Diversi striscioni sono apparsi durante le partite e la vicenda è arrivata anche negli studi di alcune trasmissioni televisive e su alcune fanzine di ultras.

La gravità di questi provvedimenti che mira a limitare la libertà personale è parsa subito un avvertimento politico intimidatorio e ritorsivo: il "Daspo di piazza" che può essere applicato grazie alla legge Renzi-Alfano del 22 agosto 2014, n°119, convertita con modificazioni nella legge del 17 ottobre 2014, n°146, appare come un atto repressivo e di disciplinamento nei confronti di chi lotta.

Per questi motivi la città di Pisa ha iniziato una campagna per contrastare questi nuovi Daspo e venerdì 29 gennaio si terrà un'assemblea cittadina dove verranno organizzate alcune iniziative e sarà presentato il Comitato "No Daspo di piazza".

Di seguito il comunicato di presentazione dell'iniziativa:

NO DASPO DI PIAZZA

La libertà non si diffida!

All'inizio di gennaio la questura di Pisa ha avviato sei procedimenti che porteranno al Daspo per altrettante persone, con il conseguente divieto di frequentare lo stadio e assistere a eventi sportivi. Queste persone sono "colpevoli" di aver partecipato a una manifestazione il 14 novembre, ma fino a ora non è pervenuta alcuna denuncia.

Siamo di fronte a un uso innovativo della diffida, utilizzata in questo caso in riferimento a eventi totalmente slegati dal mondo del tifo o dello sport; in particolare è la prima volta in Italia che vengono avviati questi procedimenti in seguito a un corteo.

Da subito numerose voci si sono sollevate contro questi procedimenti; da una parte è stata evidenziata l'insensatezza: si impone un divieto legato allo sport in seguito a fatti di tutt'altro tipo. Ma soprattutto è sotto gli occhi di tutti come questo possa costituire un pericoloso precedente nelle limitazioni delle libertà personali: se oggi si limita la libertà di frequentare eventi sportivi a seguito di un corteo, domani potrebbe essere per uno sciopero, un'occupazione studentesca, un picchetto contro gli sfratti, o per qualsiasi atto considerato come turbativo dell'ordine pubblico da parte della questura!

Per questi motivi abbiamo deciso di collaborare con le sei persone che rischiano il Daspo e dare vita a un percorso di opposizione a questi provvedimenti illegittimi e incostituzionali, utilizzano sia gli strumenti dei ricorsi legali, sia l'informazione e la comunicazione per mobilitare l'opinione pubblica sull'accaduto.
 VENERDI' 29 GENNAIO, ORE 21.00

presso il Circolo Arci Pisanello (via Marsala 2, Pisa)

Presentazione pubblica della campagna

"NO DASPO DI PIAZZA - La libertà non si diffida"

Saranno discusse nel dettaglio, con il rappresentante legale Tiziano Checcoli, le misure in questione e presentate le iniziative di solidarietà fino a ora in programma; saranno inoltre raccolte idee e contributi per il buon proseguimento della campagna, con l'obiettivo del ritiro di questi sei provvedimenti.

domenica 24 gennaio 2016

IL REFERENDUM NO TRIV SI FARA'


Importante decisione della Corte Costituzionale che si è pronunciata positivamente nei confronti di tutte le regioni italiane che hanno portato avanti la lotta contro le trivellazioni per l'estrazione di petrolio in mare.
Quindi si è sostenuta la tesi che il governo ha sbagliato ed è stato autore di un inganno nella legislazione che deve regolare le attività petrolifere in terra e in mare con la soglia della distanza delle dodici miglia marine dalla costa.
Il breve articolo preso da Contropiano(http://contropiano.org/ambiente/item/34852-stop-alle-trivellazioni-il-referendum-si-fara )parla della notizia arrivata la scorsa settimana e propongo un post del marzo 2013 che parla dello shale gas e dei pericolosi e potenzialmente tragici effetti collaterali di questa pratica di estrazione di gas e di petrolio(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2013/03/shale-gas.html ).

Stop alle trivellazioni. Il referendum si farà.

La Corte Costituzionale dà ragione ai movimenti ed alle Regioni referendarie e ammette il quesito sul mare. Con il conflitto di attribuzione è possibile il recupero anche degli altri due quesiti.
Apprendiamo con grande soddisfazione che la Corte Costituzionale ha ammesso il quesito referendario sul mare, così come riformulato dalla Corte di Cassazione. I cittadini saranno chiamati a esprimersi per evitare che i permessi già accordati entro le 12 miglia possano proseguire anche oltre la scadenza, per tutta la “durata della vita utile del giacimento”. Rimane fermo il limite delle 12 miglia marine, all’interno delle quali non sarà più possibile accordare permessi di ricerca o sfruttamento.
La sentenza della Corte Costituzionale dimostra come le modifiche alla normativa apportate dal Governo in sede di Legge di Stabilità non soddisfacevano i quesiti referendari e, anzi, rappresentavano sostanzialmente un tentativo di elusione.
Tre dei sei quesiti depositati da 10 regioni il 30 settembre 2015 sono stati recepiti dalla Legge di Stabilità, il quarto viene ora ammesso dalla Consulta, mentre sugli ultimi due quesiti è stato promosso da sei Regioni un conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento. I due quesiti riguardano la durata dei permessi e il Piano delle Aree, abilmente abrogato dal Governo nella Legge di Stabilità. Il Piano obbliga lo Stato e i territori a definire quali siano le aree in cui è possibile avviare dei progetti di trivellazione. Si tratta di uno strumento di concertazione stato-regioni che risulta essere fondamentale soprattutto in vista del referendum confermativo delle riforme costituzionali che, con la riforma del titolo V, accentrano il potere in materia energetica nelle mani dello Stato.
Roma, 19 gennaio 2016

venerdì 22 gennaio 2016

L'ACCANIMENTO DELLA MAGISTRATURA NEI CONFRONTI DEI COMPAGNI

Le sentenze di ieri verso i primi quattro imputati arrestati per la manifestazione antifascista avvenuta lo scorso anno a Cremona(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/01/il-gusto-acre-della-battaglia.html )sono state pesanti e in perfetta linea con l'indirizzo che la magistratura italiana tiene nei confronti di giovani e non antagonisti antifascisti rispetto a chi viene imputato e poi giudicato ed è appartenente ad associazioni o gruppi di carattere di estrema destra.
E ciò si allarga al campo del No Tav piuttosto per il diritto alla casa o su temi ambientali contro discariche,contro caserme e contro zone militari che hanno in comune persone di appartenenza politica riconducibili alla sinistra,che sono perseguitati prima dalla polizia e poi da piemme zelati che infarciscono le lor accuse di terrorismo e di altre aggravanti.
Detto questo l'articolo preso da Infoaut parla di quello successo ieri a Cremona con a margine le dichiarazioni del piemme Di Martino e soprattutto quelle del sindaco Pd Galimberti che gongolano alla condanna dei quattro compagni ammettendo più o meno inconsciamente una vicinanza all'estrema destra e al fatto grave che nella città delle tre t si parli di imminenti chiusure dei centri sociali e non della chiusura del covo fascista di Caga Povnd.
Massima solidarietà agli arrestati e a tutti quelli che devono ancora subire il processo.

24 gennaio antifa, condanne di 4 anni a testa per primi imputati.

Alle 12.45 di oggi è stata emessa la prima sentenza dal tribunale di Cremona per i fatti legati alla manifestazione nazionale antifascista del 24 gennaio.
Manifestazione avvenuta dopo l’attacco squadrista e fascista del 18 gennaio contro il centro sociale Dordoni che mandò, tra le altre cose, in coma Emilio, compagno del Dordoni.

I primi quattro imputati sono stati condannati in primo grado a quattro anni di detenzione; è stata infatti confermata la pesante accusa di devastazione e saccheggio, retaggio del fascista codice Rocco.

Il pm Fabio Saponara, contestando il reato di devastazione e saccheggio, aveva chiesto 5 anni di reclusione per i due giovani cremonesi e per Matteo, compagno leccese e studente universitario a Bologna, 4 anni e 8 mesi per Mauro, antifascista bresciano.

Il 24 gennaio c'eravamo tutti e tutte!

L'antifascismo non si arresta!

giovedì 21 gennaio 2016

LA CRISI DELLE BANCHE E DEI MERCATI

All'articolo preso da Infaut aggiungo poco in quanto parla di tecnicismi in materia finanziaria di cui capisco non molto ma che fanno avere un'idea complessiva di quello che sta accadendo e che occupa le prime pagine dei quotidiani e le principali notizie dei telegiornali.
La crisi delle banche europee e soprattutto quelle italiane,le forti perdite che le Borse quotidianamente realizzano e le fughe di azionisti che temono per i crediti deteriorati(soldi che sono impossibili da recuperare in caso di fallimento)sono diventati ormai argomenti che minacciano chi abbia investito più o meno denaro in azioni o in bond.
La crisi del mercato asiatico e la flessione economica della Cina,non ho mai capito perché quando la loro economia andava bene era un male per noi ed ora che va meno bene è un male lo stesso,sta trainando gli altri mercati in un forte ribasso e anche se il petrolio ha praticamente un valore così basso che non si raggiungeva da anni,le materie prime,il prezzo dei voli in aereo e la benzina stessa non calano se non in maniera decisamente non proporzionale.
Ma comunque avevo già fatto la premessa che in economia e finanza ci capisco poco o forse non ci fanno capire e sapere abbastanza per tenerci ancora buoni,anche se per poco credo:fatto sta che l'ultima frase del contributo si chiude con proclami o minacce(vedete voi)di rivoluzioni,ma la storia ci ha già insegnato che in particolari momenti politici,storici ed economici è la guerra l'atto finale per avere un nuovo inizio,speriamo proprio di no.
 
Perché crollano le banche? Quando la crisi bussa col conto.

Ne parlavamo già a fine anno in occasione del pasticcio salvabanche, nonostante il training autogeno del ministro Padoan il 2016 si annunciava già sotto i peggiori auspici per il sistema creditizio italiano. E infatti, sono bastate tre settimane perché i titoli bancari perdessero il 16,9%. Lunedì non serve più di qualche rumors quanto a una possibile inchiesta della BCE sui cosiddetti crediti deteriorati (i soldi ormai impossibili da recuperare anche per la più accanita società di riscossione) per scatenare il panico e la corsa alle vendite. A poco sono servite le rassicurazioni della BCE sul fatto che l'indagine non riguarda specificatamente l'Italia, il rimbalzo è stato minimo e le perdite sono ricominciate nella giornata di oggi. Con buona pace di chi vedeva la crisi di fine dicembre come qualcosa che riguarda esclusivamente piccole banche del territorio, nel movimento speculativo sono stati coinvolti anche tanti istituti maggiori, Monte dei Paschi in testa che ha perso da fine anno il 38% (mica male dopo una ricapitalizzazione di tre miliardi solo 9 mesi fa!) ma anche Banca Popolare e Unicredit.
Al centro delle preoccupazioni la bomba: 350 miliardi di crediti deteriorati che tichettano nei forzieri numerici degli istituti. Un'enormità che corrisponde al 17,1% del PIL italiano e che, soprattutto, si situa ben al di sopra della media europea. Secondo i dati dell'EBA, se nell'UE i crediti spazzatura sono il 5,6% del totale, l'Italia si attesta su una media del 16,7%, con punte 32% proprio al Monte dei paschi. I 350 miliardi sono divisibili in "incagli" (150  miliardi) e "sofferenze" (200 miliardi) secondo una distinzione manierista tra soggetti insolventi temporaneamente o in maniera definitiva (tanto la luce è sempre in fondo in tunnel…). In teoria sono crediti che dovrebbero essere acquistati da una bad bank appositamente creata per fungere da pattumiera dove buttare questa bomba che continua a crescere (+ 2 miliardi rispetto al mese d'ottobre scorso secondo i dati diffusi oggi dall'ABI) e che rischia di creare ogni giorno di più un fuggi fuggi generale al primo (foss'anche falso) campanello di allarme.

Il condizionale è d'obbligo perché, nonostante i quasi 380'000 euro di soldi pubblici che si è intascata la Boston consulting per i suoi consigli in materia, le trattative tra governo italiano e Bruxelles sulla creazione della bad bank sembrano ancora essere in alto mare contribuendo ad alimentare nervosismo. Pesano inoltre sui mercati diversi fattori.

Il primo riguarda l'incertezza sul reale valore del pattume: quanto valgono effettivamente i crediti deteriorati? Gli istituti italiani li hanno iscritti in media al 44% del valore nominale ma il decreto salvabanche del dicembre scorso ha valutato le esposizioni di Banca Etruria & co a soltanto il 17%. Una differenza non da poco sapere se 200 miliardi di sofferenze ormai ne valgono 88 o soltanto 34.

Il secondo concerne proprio gli effetti, diretti e indiretti, del "decreto Salvabanche" di dicembre e delle disastrose conseguenze della normativa bail-in. Al di là dei balli degli sciamani del rating del credito privato, ciò che conta è la percezione del rischio da parte dei risparmiatori. Ed è ovvio che le gesticolazioni di fine anno di Renzi & soci non avrebbero ridato fiducia al più credulone degli obbligazionisti: chi sa che ormai si ritroverà col culo per terra con le nuove norme di salvataggio europeo sta correndo ai ripari vendendo i propri titoli. L'abbandono dei bond bancari da parte della famiglie segue una traiettoria di medio periodo che continua dal 2012 a ritmo serrato e solo rispetto a l'anno scorso si contano 57 miliardi di bond in meno. Ma i dati non prendono ancora in conto proprio l'effetto Banca Etruria che sembra essere più che importante: le prime sedute dell'anno sul mercato delle obbligazioni subordinate sono state catastrofiche e hanno accellerato vertiginosamente questo trend già avviato.

In più ci sono le "tensioni" tra il governo italiano e Bruxelles. Il premier ha ormai capito che nel contesto della decomposizione dell'UE e dell'anti-europeismo crescente deve fare un minimo di voce grossa con la commissione se vuole restare a galla. Semplici boutade contro Junker a favor di telecamere che però stanno costando care a Renzi che, c'è da star sicuri, risponderà prima di subito ai sacrosanti appelli alla responsabilità europea.

Ma l'analisi della cause contingenti e le retoriche della truffa rischiano di occultare il dato di fondo. La crisi del settore creditizio è il conto, dilazionato, di una stagnazione dell'economia italiana che dura ormai sostanzialmente dall'inizio degli anni 2000 a cui si aggiunge un mercato immobiliare il cui valore non fa che scendere dal 2007. Lo sfasamento tra facilità dell'accesso al credito (ovviamente, per alcuni...) e perdurare della crisi si ripercuotono inevitabilmente sulle esposizioni delle banche. Nel magico mondo degli zerovirgola dei nostri governanti la ripresa è arrivata, garantita dalla deregolamentazione del mercato del lavoro e dai regali fiscali agli imprenditori. Peccato che, anche a voler prendere per buone le ottimistiche previsioni degli yesmen renziani, di ciò che della crisi si è lasciata dietro nessuno si è preoccupato. Un atteggiamento che era possibile fino a quando le conseguenze si facevano sentire solo su disoccupati, senza casa, piccoli subfornitori falliti e precari. Ora che si ripercuotono sugli attivi delle banche, i nodi vengono al pettine, a riprova del fatto che viviamo in una sistema in cui le sofferenze bancarie verranno sempre prima di quelle delle persone.

Sullo sfondo un economia mondiale bloccata. L'inflazione (e i consumi) in Europa non ripartono nonostante i migliaia di miliardi di euro regalati a costo zero alle banche col quantitative easing; l'economia cinese è al minimo storico dopo 25 anni ed evidentemente non riesce a far virare il transatlantico verso i consumi interni come vorrebbero i dirigenti di Pechino; l'aumento dei tassi della FED sta avendo forti ripercussioni su alcuni paesi emergenti che avevano massicciamente preso a prestito dollari praticamente gratis fino a qualche settimana fa; della guerra dei prezzi sul petrolio si vedono solo gli effetti negativi dell'economia dei paesi produttori e sull'inflazione senza che il consumo aumenti di alcunché vista la mancanza di reddito sempre più diffusa anche nei grandi poli occidentali. Le disuguaglianze intanto galoppano con sessantadue  esseri umani che posseggono ricchezze tali da pareggiare quelle dei 3,5 miliardi di persone più povere del pianeta, a riprova che chi sta sopra non conosce crisi.

Il minimo sarebbe una bella rivoluzione potrebbe pensare qualcuno...

mercoledì 20 gennaio 2016

LE TIFOSERIE ANALIZZATE DALLA DIGOS

L'articolo odierno preso da ecn.org parla del rapporto annuale stilato dalla Digos che parla dei gruppi di tifoseria organizzata presenti in Italia e stilato a fine dello scorso anno.
Oltre all'appartenenza politica vi sono dati riguardo gli scontri,episodi di razzismo,feriti tra tifosi e forze dell'ordine,numero di daspo e di arresti suddivisi tra le varie categorie presenti in Italia.
Mentre il numero totale degli appartenenti a gruppi di estrema destra o generalmente di destra aumentano ma calano minimamente come numero complessivo di gruppi,questi ultimi di sinistra o generalmente di sinistra aumentano numericamente(e minimamente)come numero,mentre i gruppi misti o quelli non schierati sono più o meno allo stesso livello.
Va detto che le tifoserie delle squadre con storicamente più supporters sono tutte o quasi orientate verso la destra più o meno estrema,mentre i gruppi tendenzialmente di sinistra sono presenti in città e comunque in realtà che attirano meno numero di tifosi.
E' da contraddistinguere anche secondo il tema del razzismo vere e propri insulti verso giocatori di colore o di determinate etnie piuttosto che quelli di discriminazione territoriale che vengono catalogati,a torto o ragione,entro questo insieme.
Senza fare alcun commento ho proposto questi numeri,di discussioni e di considerazioni ce ne sarebbero da farne molte e chi mastica calcio oppure è presente costantemente dentro questa realtà sa dare un proprio giudizio e avere una idea sull'andazzo del movimento ultrà italiano.

Digos, calcio: tifoserie di estrema destra in maggioranza.

Digos: tifoserie di estrema destra in maggioranza. Secondo le indagini della Digos, tra questi club, 151 (a fronte dei 155 del campionato 2013/2014) hanno manifestato un orientamento politico. In particolare, 40 gruppi risultano orientati su posizioni di estrema destra (a fronte dei 46 del campionato 2013/2014), 21 su posizioni di estrema sinistra (20 nel 2013/2014), 45 hanno assunto una generica connotazione di destra (47 nel precedente campionato), 33 genericamente di sinistra (32 nel 2013/2014), mentre 12 sodalizi hanno manifestato una ideologia c.d. “mista” caratterizzata dalla presenza di esponenti sia di estrema destra che di estrema sinistra (10 nel campionato 2013/2014). Con riferimento invece alla consistenza numerica, 17.502 tifosi circa risultano appartenere a gruppi “politicizzati” (a fronte dei 17.312 censiti nella stagione calcistica 2013/2014).

Razzismo negli stadi. Per quanto riguarda il fenomeno del razzismo negli stadi, nel campionato 2014/2015 si sono verificati 28 episodi, 23 dei quali si sono manifestati in cori razzisti, perlopiù nel noto verso scimmiesco (uh-uh) rivolto ai giocatori di colore (per i quali sono stati denunciati 11 tifosi).

L'articolo completo:

Calcio, aumenta la violenza negli stadi

Campionato di calcio: applicata la prima diffida internazionale. In calo club e supporter. Estrema destra in maggioranza nelle curve. Seicento arbitri aggrediti, 181 finiti in ospedale. Più violente le serie minori

Firenze è la città con più Daspo emessi: 184 nell'ultima stagione calcistica
Tifo violento, Napoli seconda in Italia ma il trend negativo è in calo
Calcio: 2.160 Daspo nella stagione 2014-2015, il Lazio sorpassa la Campania

ROMA - Aumentano le violenze all'interno o nelle immediate vicinanze degli stadi durante il campionato dei professionisti (serie A, B e Lega Pro). Diminuiscono devastazioni, aggressioni e episodi di vandalismo all'esterno: sui territori cittadini, presso i caselli e gli autogrill autostradali. I Daspo nel calcio sono stati 2160, contro i 3 del rugby. Le curve sono per la maggior parte di destra, e gli arbitri, compresi i campionati dilettantistici, aggrediti sono stati 600, dei quali 181 sono finiti in ospedale. Sono queste le novità più significative del "rapporto annuale" dell'Osservatorio sulle manifestazione pubbliche, sportive e non.

"La stagione 2014-15 presenta un trend negativo", ha detto il capo della Polizia Alessandro Pansa. "Rispetto all'anno precedente è aumentato il numero di feriti sia tra le forze dell'ordine che tra gli steward, a fronte di un massiccio di forze dell'ordine - quasi 77mila agenti in serie A - diverso è invece l'inizio della stagione in corso (2015/2016) ove si riscontra un bilancio positivo ed un calo dei feriti", ha concluso il prefetto Pansa.

Per garantire l'ordine pubblico durante il campionato calcistico, il numero degli operatori delle forze dell’ordine impiegate per gli incontri di calcio risulta aumentato del 14,8% (da 185.686 a 213.166. In serie A, B e Lega Pro, il numero degli uomini in divisa è cresciuto del 12,2% (da 154.410 a 173.278), si legge nel rapporto.

Prima applicazione Daspo internazionale. A un anno dall'entrata in vigore della legge che ha inasprito le norme contro le tifoserie violente dopo la morte del tifoso napoletano Ciro Esposito (coinvolto a maggio negli incidenti di Roma prima della finale di Coppa Italia), a essere colpito dal primo provvedimento di Daspo internazionale è stato, qualche settimana fa, un tifoso livornese. Il questore ha punito un ultrà che a Cannes, nel luglio scorso, durante l'amichevole Olympique Marsiglia - Livorno, ha lanciato all'interno dello stadio un candelotto fumogeno. Il questore di Napoli ha avviato - ma la procedura è ancora in corso - l'istruttoria per comminare il Daspo internazionale a tre tifosi partenopei arrestati per rissa in Danimarca il 22 ottobre durante la partita di Europa League, Midtjylland-Napoli.

I DATI L'infografica

Firenze, il Daspo di Gruppo. Il dato rilevante di un aumento del 247% dei Daspo comminati dalla Questura di Firenze nella passata stagione calcistica 2014/2015 rispetto alla precedente è determinato da un Daspo di Gruppo emesso dal Questore di Firenze il 27 settembre 2014 a carico di 79 tifosi del Brescia che si erano scontrati (mentre si recavano ad assistere a Perugia-Brescia) con tifosi del Verona (che si recavano ad assistere ad Roma-Verona) presso l’area di servizio Chianti sud in provincia di Firenze). Al contrario, il forte decremento del 90% dei Daspo comminati dalla Questura di Livorno nella passata stagione calcistica 2014/2015 rispetto alla precedente è determinato da circa 100 Daspo comminati dal Questore di Livorno il 20 ottobre 2013, in occasione della partita Livorno-Sampdoria, a carico di tifosi della Sampdoria che si erano presentati allo stadio di Livorno senza essere muniti, come prescritto, della "tessera del tifoso".

Campionato di calcio: in calo i Daspo (2160 contro 2472). Relativamente alla stagione sportiva 2014-2015 sono stati irrogati 22385 Daspo (di cui 2160 relativi al calcio), rispetto ai 2472 adottati in quella precedente 2013-2014 (di cui 2346 relativi al calcio), con un decremento pari al 9,5%. I calciatori colpiti da Daspo sono stati 54, i dirigenti sportivi 37, i bagarini 19. E poi un dirigente di impianto sportivo, e un giudice di gara.

I Daspo totali. La rilevazione statistica effettuata al 30 giugno 2015 evidenzia che, sull’intero territorio nazionale, risultano attivi 5040 Daspo, di cui 4848 emessi in occasione di partite di calcio, 94 nel basket, 21 nell’automobilismo, 17 nel tennis, 15 nel motociclismo, 14 nel calcetto, 10 nell’hockey, 6 nel pugilato e pallavolo, 3 nel rugby, 2 nella pallamano e nell’ippica, 1 nel ciclismo e nella pallanuoto. La metà dei Daspo viene inflitta a uomini tra i 18 e i 30 anni.

I motivi dei Daspo. La stagione sportiva è stata caratterizzata dalla irrogazione di 1769 provvedimenti conseguenti alla commissione di reati specifici (fatti criminosi compiuti in occasione di partite di calcio o in contesti direttamente riconducibili agli incontri sportivi), mentre ne sono stati irrogati 276 quale misura di prevenzione, 85 a titolo di pena accessoria dall’autorità giudiziaria e 30 nell’ambito dell’attività di contrasto alla xenofobia (Legge Mancino). Una sentenza del tribunale de La Spezia ha stabilito che la violazione dell'obbligo di firma all'interno di una Daspo giudiziale non è reato.

Più diffide nelle serie minori. Nella stagione sportiva appena conclusa, come in quelle passate, i fatti violenti che hanno determinato l’emissione di diffide hanno riguardato essenzialmente partite relative alle serie minori del campionato, rispetto alla serie A e B. Tuttavia, anche se in termini assoluti i fatti che hanno determinato l’emissione di diffide hanno riguardato soprattutto partite disputate nelle serie minori, dal confronto dei dati con il numero di partite di calcio disputate, si rileva una leggera prevalenza delle emissioni di diffide nell’ambito della Serie A, che registra una media di poco più di un Daspo a partita.

Le tifoserie più colpite dai Daspo. Dall’analisi delle tifoserie maggiormente colpite dai provvedimenti, si evidenzia che, nel corso del campionato appena
concluso, risulta che i più colpiti dalle diffide sono i tifosi del Bari, Roma, Brescia, Juventus, Napoli, Verona, Reggina, Atalanta e Salernitana. Dal trend dei Daspo dell'ultimo triennio, il record delle più colpite spetta alla Juventus (93,6), seguita dal Napoli (72) e dalla Roma (64).

Tifoserie più astiose. Nel 72% dei casi è ancora l’astio tra le tifoserie la causa principale degli scontri, seguita dalla conflittualità con le forze dell’ordine (23%). Nella stagione sportiva 2014 - 2015 le tifoserie che si sono dimostrate particolarmente astiose sono quelle della Lazio (coinvolta in 5 episodi di
violenza su un totale di 57), Brescia (4 episodi), Ascoli e Roma (3 episodi).

Molti arresti tra tifosi stranieri. I 246 tifosi arrestati sono riconducibili a 58 tifoserie tra queste emergono quelle del Feyenoord (35 arrestati), della Croazia (17) e della Dinamo Minsk (13) a conferma delle particolari criticità che in questa stagione sono state registrate negli incontri internazionali. Tra le squadre che militano nei campionati professionistici Juventus e Roma hanno il numero maggiore di tifosi arrestati (10).

A Bari il record di denunce. Per quanto concerne i 1.306 tifosi denunciati si segnalano le tifoserie del Bari, Brescia, Roma e Napoli, rispettivamente con 102, 98, 59 e 50 tifosi indagati.

Bombe carta, fumogeni e petardi negli stadi. L'ultimo campionato 2014 - 2015, ha registrato un incremento medio del 4,5% degli incontri con feriti. Un lieve aumento rispetto al passato. Ma se si guarda il dato relativo ai soli campionati professionistici (serie A, B e Lega Pro), l'incremento diventa preoccupante, essendo del 22%. "Ciò ha dimostrato - si legge nella relazione dell'Osservatorio - un vero e proprio salto di qualità nel livello di pericolosità, con un aumento degli atti illegali all’interno degli impianti, specie dovuto al largo uso di artifizi pirotecnici".

Criticità in aumento nelle adiacenze degli stadi. Lo stadio, grazie alle misure organizzative introdotte, presenta il livello minimo di criticità. Infatti sono solo il 12% gli episodi che si registrano all’interno degli impianti. Mentre le adiacenze rimangono il punto più delicato per la gestione dei servizi di ordine pubblico con il 68% degli episodi. Sempre meno gli scontri durante le gare (5%) quando le tifoserie sono ben divise tra loro. Le fasi di afflusso, con il 55% degli scontri, e di deflusso, con il 40%, sono i momenti più critici nella gestione dell’ordine pubblico.

Criticità in calo lontano dagli stadi. "L'ultimo campionato, rispetto al precedente, fa registrare una contrazione dei casi di turbativa all’ordine pubblico, con un decremento delle situazioni critiche nelle zone esterne agli impianti e sul restante territorio cittadino interessato alle competizioni calcistiche". "Trend positivo - commenta il Viminale - confermato anche negli ambiti stradali e ferroviari, ove si evidenzia l’assenza di incidenti significativi ed un ridottissimo numero di episodi di intemperanza".

Feriti tra civili, aumentano nel campionato professionisti. "Mentre in serie A, B e Lega Pro risultano aumentati i feriti tra civili del 18% (da 69 a 82), il dato medio riferito al totale delle gare monitorate registra una forte diminuzione, pari al 26,5% (da 142 a 125).

Feriti tra le forze dell'ordine, in aumento il dato complessivo. "Indicazioni contrastanti si rilevano dall’analisi dei dati relativi ai feriti tra i civili: mentre in serie A, B e Lega Pro risultano aumentati del 18% (da 69 a 82), una forte diminuzione, pari al 26,5% (da 142 a 125) si registra nel dato riferito al complesso delle gare monitorate. Tale dato comunque è fortemente condizionato dal negativo andamento di una sola gara (Roma- Feyeenord) che ha fatto registrare ben 39 feriti".

Feriti tra gli steward in calo. "Prendendo in considerazione i feriti tra gli steward si registra, invece, un trend in diminuzione, sia considerando le sole gare di A, B e Lega Pro, (-25,9%, da 27 a 20), sia se si contemplano tutte le altre gare dei tornei ove è previsto il loro impiego, (incontri internazionali,Tim Cup, Coppa Italia Lega Pro), ove si assiste ad una diminuzione del 10% (da 40 a 36)".

Aumentano gli arrestati. "Sul fronte delle attività di contrasto, mentre i denunciati risultano in contrazione, sia complessivamente (-16,9%), che nelle sole
serie professionistiche (-26,3%) gli arrestati sono in controtendenza nel quadro generale con un incremento del 53% (da 160 a 246)".

Criticità in serie B e Lega Pro. Durante il campionato 2014-2015 (2.732 incontri di calcio), rispetto alla stagione precedente, si è riscontrato un netto miglioramento degli indici in serie A mentre in serie B e Lega Pro si è registrato un incremento delle criticità.

Partite internazionali, gli olandesi i più violenti. La situazione peggiore si è registrata negli incontri di Europa League, ove in una sola gara “Roma -
Feyenoord” si sono verificati scontri, prevalentemente provocati dai tifosi olandesi, che hanno causato il ferimento di 39 operatori delle forze dell’ordine e 5 tifosi.

Calano club e supporter. In Italia risultano attivi 382 club (a fronte dei 403 censiti nel campionato 2013/2014), composti da circa 39.600 supporter (a fronte dei 40.260 del precedente campionato).

Digos: tifoserie di estrema destra in maggioranza. Secondo le indagini della Digos, tra questi club, 151 (a fronte dei 155 del campionato 2013/2014) hanno manifestato un orientamento politico. In particolare, 40 gruppi risultano orientati su posizioni di estrema destra (a fronte dei 46 del campionato 2013/2014), 21 su posizioni di estrema sinistra (20 nel 2013/2014), 45 hanno assunto una generica connotazione di destra (47 nel precedente campionato), 33 genericamente di sinistra (32 nel 2013/2014), mentre 12 sodalizi hanno manifestato una ideologia c.d. “mista” caratterizzata dalla presenza di esponenti sia di estrema destra che di estrema sinistra (10 nel campionato 2013/2014). Con riferimento invece alla consistenza numerica, 17.502 tifosi circa risultano appartenere a gruppi “politicizzati” (a fronte dei 17.312 censiti nella stagione calcistica 2013/2014).

Razzismo negli stadi. Per quanto riguarda il fenomeno del razzismo negli stadi, nel campionato 2014/2015 si sono verificati 28 episodi, 23 dei quali si sono manifestati in cori razzisti, perlopiù nel noto verso scimmiesco (uh-uh) rivolto ai giocatori di colore (per i quali sono stati denunciati 11 tifosi).

Seicento arbitri aggrediti. La stagione appena conclusa ha registrato 600 episodi di violenza a danno degli ufficiali di gara, dei quali 181 hanno richiesto il ricorso a cure sanitarie in particolare nei campionati dilettanti. I 600 episodi sono spalmati da Nord a Sud lungo lo stivale in maniera abbastanza uniforme anche se solo la Sicilia detiene il primato negativo di 128 casi. Oltre il 30% dei giudici di gara aggrediti ha fatto ricorso alle cure mediche. Più dell’82% delle violenze subite sono “fisiche gravi”. Di queste, 60 sono state consumate ai danni di ragazzi di 16/17 anni e 15 hanno riscontrato da 2 a 30 giorni di malattia. L’andamento non è legato alla singola regione o all’ubicazione sul territorio, ma la problematica è comune a livello nazionale. I calciatori incidono con il 69% sul totale delle violenze ed i dirigenti con il 24%. I terzi hanno un’incidenza del 13% sugli episodi violenti.


http://www.repubblica.it/cronaca/2015/12/19/news/calcio_dati_daspo-129752720/

martedì 19 gennaio 2016

ANCHE A BRUXELLES SI SONO ACCORTI DI GENTILONI L'INCAPACE



Anche a Bruxelles si sono accorti di Gentiloni l'incapace,voglio cominciare rimarcando il titolo di questo post preso da Repubblica(http://www.repubblica.it/politica/2016/01/18/news/tensioni_italia-ue_gentiloni_da_bruxelles_polemiche_inutili_-131513340/ )viste le ultime dichiarazioni del Presidente della Commissione Europea Juncker che schernisce l'attuale titolare del ministero degli esteri in quanto afferma che con Roma non c'è nessun interlocutore,ed io aggiungerei serio.
Perché già dalla risposta di Gentiloni(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2014/11/gentiloni-ministro-degli-esteri.html )si capisce la pochezza di un ministro di scarsissima levatura che risponde che in Italia c'è un governo,diciamo anche l'ennesimo non eletto dai cittadini,che in politica estera ha in comune credo assieme agli ultimi dieci,una totale assenza di conoscenza e di calcoli riguardo la politica estera.
Perché ormai siamo considerati pressoché zero in Europa e figuriamoci ne resto del mondo,pronti ad elemosinare con i vari premier che si sono succeduti delle commesse d lavoro all'estero mentre il vero made in Italy ormai non esiste più svenduto ad attori provenienti fuori dall'Italia.

Irritazione Juncker, fonti Ue: "A Roma nessun interlocutore". Gentiloni risponde: "C'è un governo".

Continua il botta e risposta fra il presidente della Commissione Ue Juncker e l'esecutivo italiano. Mogherini: "Sulla flessibilità in campo economico e sull'immigrazione l'Italia e la Commissione lavorano per raggiungere gli stessi obiettivi".

Dopo le polemiche dei giorni scorsi tra il governo italiano e la Commissione europea e lo scambio di battute al vetriolo tra il premier Matteo Renzi e il presidente dell'esecutivo Ue Jean-Claude Juncker, oggi il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, al suo arrivo al Consiglio Affari esteri, è intervenuto nel dibattito con un appello al buon senso. Ma c'è preoccupazione nei piani alti delle istituzioni europee per i rapporti con l'Italia.
Secondo fonti Ue, Jean-Claude Juncker era e resta amico di Matteo Renzi ed il miglior alleato dell'Italia. Ma il presidente della Commissione Ue venerdì ha sostanzialmente perso la pazienza a causa di troppi malintesi, nati perché "Bruxelles non ha un interlocutore per dialogare con Roma sui dossier più delicati".
La risposta italiana non si è fatta attendere. "L'Italia ha un Governo nel pieno dei suoi poteri - replica Gentiloni - Abbiamo un continuo dialogo con le istituzioni, abbiamo un ministro degli Esteri, dell'Interno, dell'Economia".
Per Giovanni Toti, che prima di essere eletto presidente della Regione Liguria faceva l'eurodeputato di Forza Italia, la vera rottura è fra Renzi e Mogherini.

L'appello di Gentiloni. Come accennato, il ministro degli Esteri questa mattina, prima di entrare al Consiglio affari esteri, ha provato a smorzare i toni: "Francamente credo che da Bruxelles siano arrivate delle polemiche che io considero inutili. Noi non partecipiamo. Teniamo, certo, alle nostre posizioni, ma lo facciamo come lo fa ciascun Paese discutendo sui diversi argomenti".
In risposta anche alla battuta dell'alto rappresentante Federica Mogherini ("Stupido creare divisioni in Europa"), Gentiloni ha aggiunto: "Penso che la situazione in Europa sia molto delicata sia sul fronte economico che sul fronte migratorio e credo che vada affrontata senza accenti polemici come quelli che ho sentito da Bruxelles nei giorni scorsi".

L'origine dello scontro. Le polemiche con Juncker hanno avuto origine da un generale il malumore nei confronti dell'operato della Commissione non solo da parte del governo italiano. A preoccupare Francia, Germania e Italia è un sostanziale rallentamento su una serie di temi ritenuti determinanti: piano di investimenti, flessibilità, occupazione e, non in ultimo, il flusso dei migranti. La richiesta comune a Juncker è quella di un "cambio di passo", per arrivare in tempi rapidi a una svolta soprattutto sul fronte economico e sociale.

I temi del Consiglio Affari esteri. Al centro della riunione odierna dei ministri degli esteri europei il tema della Siria. "Lavoriamo - ha ricordato ancora Gentiloni -  per dare un segnale europeo di spinta sulla crisi umanitaria in Siria" che "non è mai stato così grave". "Far partire i negoziati fra regime e forze di opposizione il 25 gennaio (la data proposta dal mediatore Onu Staffan de Mistura per l'inizio delle trattative, ndr) - ha aggiunto - è più che mai urgente. Il negoziato non è facile e la voce dell'Europa può contribuire a renderlo possibile".

Mogherini: "Roma e Bruxelles dalla stesa parte". Anche Mogherini ha ribadito che l'Ue ha la responsabilità di includere nell'agenda internazionale la necessità di "mettere fine alla catastrofe in Siria e di lavorare per garantire l'accesso umanitario nelle città del Paese".

"È chiaro - ha detto l'alto rappresentante per la politica estera Ue - che siamo dalla stessa parte". È chiaro - ha aggiunto - che io lavoro per tutta l'Unione europea e i cittadini europei, ma la mia storia politica, le mie idee e la mia nazionalità non scompaiono da un giorno all'altro". E, rispondendo alle indiscrezioni sulla presunta assenza di interlocutori nel governo italiano, diffuse oggi a Bruxelles, ha aggiunto che "i canali con il governo italiano ci sono, funzionano, sono aperti e ci sono scambi costanti. Da quello che vedo quotidianamente, il lavoro comune funziona: l'invito è quindi a seguire le fonti ufficiali e non quelle non specificate".
"Su due questioni fondamentali come la flessibilità e l'immigrazione Ue e Italia lavorano con gli stessi obiettivi e in un anno di lavoro sono stati introdotti strumenti che prima non c'erano e questo grazie all'Italia e alla Commissione".
"Non significa che tutto quello che è stato fatto basti o vada bene, ma se guardiamo indietro di un anno, non esisteva né la flessibilità né la gestione dei flussi. È l'agenda politica italiana, di altri Stati membri e anche della Commissione. Stiamo dalla stessa parte anche se mi sembra che questo forse sfugga ad alcuni commentatori".
La situazione in Siria è "disastrosa", per questo per l'Unione europea "occorre proteggere il processo, fragile ma importante, per porre fine al conflitto siriano". La linea dell'Ue, ha spiegato Mogherini, è lavorare per "superare la guerra civile e contrastare Daesh, che resta una minaccia per il Paese e per la regione". Il percorso, ha lasciato intendere l'Alto rappresentante, non sarà in discesa. "Non mi aspetto che questo processo sia facile e veloce, ma dobbiamo permettere che cominci". Per questo in primo luogo "dobbiamo porre fine ai conflitti interni". In tal senso Mogherini ha tenuto a precisare che la conferenza sulla Siria del 4 febbraio "sarà conferenza dei donatori, ma sarà anche una conferenza politica per discutere come gestire" la crisi e trovare una soluzione al conflitto.

In primavera delegazione Ue in Iran.  Federica Mogherini, e altri commissari Ue, si recheranno in primavera in Iran per esplorare possibili aree di cooperazione dopo l'attuazione dell'accordo sul nucleare. Scopo della visita, "studiare in dettaglio con la nostra controparte quali campi di cooperazione pratica possiamo esplorare dopo le elezioni parlamentari del Paese".

Il razzo a Kabul. Quanto, infine, al razzo esploso nei pressi dell'ambasciata italiana a Kabul, Gentiloni ha chiarito che l'obiettivo "non era direttamente l'Italia", ma più in generale "le rappresentanze diplomatiche occidentali e la Nato".

Il sottosegretario Gozi: "Nessun problema con la Commissione". Sulla stessa linea di Mogherini anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli Affari Europei, Sandro Gozi. "Non è vero - ha detto - che ci siano problemi fra il governo italiano e l'alto rappresentante per la politica estera Ue Federica Mogherini. "Non abbiamo problemi personali con nessuno in Commissione - ha aggiunto - e non c'è nessun problema di dialogo sui singoli dossier tra governo e commissione europea". E se il problema esiste nei rapporti di Roma con i "piani alti" dell'Esecutivo comunitario, "ben venga" un'eventuale iniziativa per "riavviare il dialogo".