venerdì 29 maggio 2015

IL NEMICO SEMPRE PIU' A SUD

L'articolo preso da Senza Soste aggiunge qualcosa in più,se necessario,all'ignoranza leghista in fatto di conoscenza di materia d'immigrazione,e in questo post ci si limita solo a questo sennò le pagine sarebbero davvero molte da dedicare al tema.
Questi elementi(da notare Buonanno in trasferta libica nella foto)fanno della paura e dell'odio verso chi non si conosce bene(meridionali prima,immigrati e rom adesso,tra qualche tempo alieni o qualcuno o qualcos'altro s'inventeranno di sicuro)più che il loro inno di battaglia il grosso parafulmine della loro politica del disprezzo.
Gli italiani non sono al sicuro,di certo di fronte ai leghisti,e la percezione di questo fatto è amplificata dalla disinformazione quotidiana di parte e complice del clima di terrore che caratterizza il linguaggio elettorale leghista.
Quindi ora che il sud Italia e i fascisti sono terreno di caccia per i voti di Salvini & company ci si trova a cercare il nemico più a sud ancora,frotte di immigrati disperati che rischiano la vita ancor prima di poter imbarcarsi sui barconi della morte in mano ai nuovi mercanti di schiavi.

L'isterismo leghista.

L’isterismo leghista sta facendo presa sul comune senso della territorialità che è un sentimento costitutivo primitivo di qualsiasi razza vivente. Insieme all’affermazione del proprio senso della realtà, dei propri credo e degli usi va di pari passo l’insicurezza del sé. Il cerchio si chiude proprio sull’insicurezza reale e psicologica rispetto alla minaccia.
La minaccia dell’invasione da parte degli infedeli che arrivano con i barconi, avidi di rubare e portatori di nuove malattie tiene banco e nel contesto attuale di riduzione drastica del tenore di vita medio è una leva politica razzista vantaggiosa a favore del determinato Salvini unto da qualche sangue di santo originario di qualche zona delle terre “pure”.
E’ un isterismo infatti e una contraddizione il fatto di recarsi presso i “terroni” per metterli in guardia verso i “più terroni” e se non fosse che a sud poi si supera l’equatore e si ritrova un’altra gradazione climatica il leghismo continuerebbe ad oltranza.
I problemi ci sono e sebbene i capitali finanziari si possono muovere e determinare condizioni di vita impossibili dove qualcuno ci guadagna sempre con la stessa logica degli scafisti d’altro canto invece le persone no: non sono libere di andare dove vogliono. Esistono i confini politici all’interno del quale ci sono regole e principi originati da evoluzioni storiche e politiche di quella data comunità di persone. Nel tempo i confini politici sono diventati più importanti dei confini geografici i quali grazie alle tecnologie sono sempre meno importanti.
La tv satellitare e i vettori per lo spostamento hanno eliminato le barriere creando tecnicamente un contesto esteso di scambio.
Il leghismo per far giustizia dei furti in casa e dell’interpretazione violenta del Corano preferisce entrare in conflitto preventivamente avendo individuato l’invasione silenziosa del nemico, mettendo in guardia la popolazione italiana già carica di nervoso. La leva politica razzista infatti è vantaggiosa per Salvini ma la soluzione è ben lontana.
A Livorno di invasioni ce ne sono state diverse nel tempo, via terra, via mare, via aria e non erano affatto invisibili. Nazisti tedeschi arrivati col compiacimento fascista dove l’intento era di invadere l’esterno qualsiasi esso fosse e americani che da sud verso nord hanno proceduto con bombardamenti a tappeto non ancora “chirurgici”. Ma Salvini lo sa?
I problemi di integrazione ci sono eccome, lo vediamo e spesso ci rendono insofferenti e arrabbiati per furti ricevuti all’interno della propria casa oppure per “vedersi passare avanti”, uno slogan ormai sulla bocca di molti, o per la limitazione della frequentazione degli spazi comuni, però con l’isterismo non si risolve nulla. E’ lecito e ragionevole confidare con l’avanzamento di una buona politica comunitaria e una serie di iniziative diplomatiche orientate alla pacificazione senza che un credo originario dichiari guerra ad un altro di differente matrice culturale. Scienziati di ogni nazionalità hanno lavorato in team per risolvere le sfide tecnologiche mentre in campo politico invece siamo sempre al punto di parlare di confini politici. Eliminiamoli. Così come è accaduto nel campo della mobilità planetaria.
Siamo coinvolti in un recente processo di pacificazione europeo sebbene la guerra economico-finanziaria che si sta giocando sulla pelle di masse di cittadini sia devastante ma tanta gente non isterica non se la sente di bombardare i barconi nel Mediterraneo.
Facciamo un test a Salvini: armiamolo di pistola e imbarchiamolo su una barca accostandone poi una piena di gente dell’Africa. Vediamo se spara.
per Senza Soste, Jack RR
22 maggio 2015

giovedì 28 maggio 2015

LA SINISTRA SI RISVEGLIA.IN SPAGNA,NON QUI

Piccola riflessione sol voto delle elezioni comunali della scorsa settimana in Spagna dove i due partiti storici degli ultimi decenni Partito Popular e i socialisti del Psoe hanno perso milioni  di elettori che hanno preferito non votare o meglio dare il loro consenso verso la nuova sinistra di Ciudadanos o ancor di più a Podemos.
E ancora in Italia ad esultare per le vittorie degli altri(vedi anche Grecia)quando per il momento le nostre coalizioni di sinistra vera faticano a superare se messe assieme il 4-5% in eventuali votazioni nazionali:a breve le regionali che interesseranno sette regioni italiane tasteranno il polso alla sinistra per vedere se l'agonia continuerà o se da uno stato di coma apparente ci si possa ridestare.
In Spagna comunque queste elezioni sono un bell'auspicio per quelle politiche del prossimo novembre,ed in zone come Euskal Herria la sinistra potrebbe davvero trionfare riuscendo a presentare i propri candidati in partiti che per anni sono stati illegalizzati,Garzon permettendo naturalmente visto che mancano ancora sei mesi alle prossime consultazioni.
Articolo preso da Infoaut.

Spagna, amministrative: crisi del bipartitismo e frammentazione

Forte affermazione di Podemos, Ciudadanos e delle forze ostili al centralismo spagnolista. Ma vota meno di uno/a spagnolo/a su due.Guardiamo ai risultati delle elezioni comunali spagnole con un misto di interesse e distacco, lontani tanto dai facili entusiasmi di chi spera di importare qui da noi ennesima formula magica per rilanciare una sinistra che non smette di fare gli stessi errori, quanto da chi giudica e liquida quanto avviene fuori dalla propria cinta ammantata di purezza rivoluzionaria. Un voto è un voto, non una rivoluzione e nemmeno un significativo passaggio di rottura. Cionondimeno può rappresentare qualcosa di interessante se spia sintomo di processi più ampi.

Quello che è interessante in Spagna, più e diversamente dalla Grecia, è che lì la sedimentazione politica di nuove forze partitiche è stata filiazione diretta di un movimento sociale, “cittadinista” finché si vuole ma capace di dar voce all’insoddisfazione di ampi strati popolari e di una classe media presa nel suo divenire in crisi - a differenza che da noi, sprovvista di un ampio risparmio privato di riserva, totalmente risucchiata dall’indebitamento e sull’orlo quando non già completamente inglobata nei processi di incipiente proletarizzazione.

La differenza da quel che avviene in Grecia, questo almeno ci pare, non sta tanto nel fatto, come spesso si sostiene, che là l’ascesa di Syriza è corrisposta al punto di caduta dei movimenti mentre in Spagna il passaggio al politico sarebbe avvenuto in forme più dirette. Quel che più conta è che la nascita di Podemos da dentro il 15M  è avvenuta in un contesto sociale, politico e storico di più avanzata disgregazione delle forme politiche novecentesche e delle soggettività che esse rappresenta(va)no. E questo è vero soprattutto per le giovani generazioni. Tanto la Spagna quanto la Grecia sono state negli ultimi decenni pesantemente finanziarizzate, vivendo entrambe l’illusione drogata di una ripresa economica. Ma mentre nella penisola iberica tutti i rivolgimenti di questi anni avvenivano su un precedente deserto politico, in quella ellenica il peso delle trascorse esperienze politiche (partitiche e non) aveva un’altra incidenza, col bagaglio di esperienze di un dopoguerra lungo 50 anni e lo spessore di una società mediamente più politicizzata.

Proponendo queste timide riflessioni, non siamo sedotti dall’ossessione del nuovo a tutti i costi né rimpiangiamo i bei tempi andati di un politico più esplicito e meglio connotato. Non diciamo che una situazione è “meglio” e l’altra “peggio”, prendiamo atto di alcune differenze dentro tratti di comunanza.



Panoramica del voto

Come in parte ci si poteva attendere, i timori dell’establishment politico-istituzionale spagnolo, dalla transizione post-franchista perennemente occupato, ad alternanza, da Popolari e Socialisti, si sono trasformati in incubi reali: se insieme le due forze storiche assommavano fino a ieri 2/3 dell’elettorato, delineando un bipolarismo de facto, oggi superano a mala pena il 50%. Se a Madrid il Pp si conferma in testa alle preferenze, l’emorragia di consensi è stata però significativa e il testa a testa si è giocato contro l’organizzazione di Pablo Iglesias che con l’alleanza tattica coi socialisti si appresterebbe a governare la capitale.

Il risultato più significativo è però sicuramente quello di Barcellona, dove la più votata è una donna di 41 anni, cresciuta politicamente nei picchetti contro i pignoramenti degli Afectados por la Hipoteca (PAH) che ha contribuito a fondare, seguita dai (battuti) indipendentisti della Convergencia i Unió dell’attuale presidente uscente della Generalitat.  Buona affermazione anche degli indipendentisti catalani di sinistra della Cup.

Nella Navarra, là dove i Regno di Spagna s’interseca con l’ostile territorio basco, i conservatori federalisti dell’UPN (versione navarra del PNV basco) hanno perso più di 20.000 voti e insieme ai socialisti locali e ai popolari totalizzano mendo di Podemos, Bildu e altre forze autonomiste di sinistra. (Significativa però, la flessione di Bildu nella roccaforte basca di Gipuzkoa → Strana notte elettorale. Risacca da lettura e comparazioni di voti&tendenze).

Nel resto del regno quel che si registra è, come già detto, l’impossibilità dei precedenti protagonisti della vita politica spagnola di formare coalizione di governo nelle amministrazioni comunali. Il quadro è compromesso non solo dall’exploit (atteso) di Podemos ma anche da quello più recente, speculare e da centro-destra di Ciudadanos, formazione populista che ha catturato dallo spettro di centro-destra la critica dell’establishment, attestandosi come terzo partito del paese.



I nodi politici

Se Pablo Iglésias può aver ben ragione, pro domo sua, nell’esultare per i risultati e dichiarare secco “l’inizio della fine del bipartitismo in Spagna”, i dettagli sul campo sono un po’ meno nitidi e le mani, per governare, dovrà sporcarsele parecchio. Come osservano non pochi commentatori del mainstream, il successo di Podemos è anche dovuto a una moderazione dei toni per attrarre un elettorato più moderato. Su Madrid si profila un’alleanza coi socialisti mentre un po’ dappertutto Ciudadanos si appresta a scompaginare le carte dichiarandosi disposto ad alleanze a geografia variabile con Pp, Psoe e Podemos.

Se per la nuova forza di sinistra, l’apertura per le amministrative è tattica e finalizzata alla penetrazione nel governo dei territori, ponendosi come trampolino di lancio per la sfida vera – le elezioni politiche di novembre – il potenziale di rottura e l’incarnazione degli umori anti-sistemici dovranno fare i conti con le capacità di cattura delle politiche di coalizione finalizzate all’amministrazione territoriale e il mestiere dei socialisti alleati.

Soprattutto, la tenuta del capitale politico fin qui accumulato, se terrà senza farsi logorare dall’esperienza amministrativa, dovrà essere in grado domani di tener testa agli assassini in doppio petto della Troika. Il nodo che conta non sarà dunque la vittoria  a Barcellona o Madrid, ma la sfida a Bruxelles e Berlino (su questi punti rimandiamo a quanto abbiamo scritto sulla situazione greca → Il punto sulla Grecia).

Last but not least, l’affluenza al voto, giudicata positiva dal media mainstream perché cresciuta dello 0, 6 % (!), non arriva al 50 % degli aventi diritto. E il dato non può non dar da pensare (questo sì in linea con tutto il continente europeo). Mentre ci si eccita per spostamenti a una cifra dentro uno spettro che “rappresenta” solo metà della popolazione adulta di una nazione, l’altra metà non vota: per disinteresse o qualunquismo, per disincanto… ma forse un po’ anche perché non sente le proprie istanze e interessi rappresentabili o difendibili da nessuna delle opzioni in campo.

mercoledì 27 maggio 2015

POROSHENKO AFFAMA I SUOI SUDDITI

L'articolo odierno preso da Contropiano(http://contropiano.org/articoli/item/30984 )prende spunto dall'omicidio del comandante dei"ribelli"filo russi della Brigata Prizrak per parlare degli ultimi sviluppi della guerra in Ucraina-Donbass.
Questa morte oltre a quella di altri tre miliziani,secondo Kiev frutto di dissapori interni alla brigata ma secondo altre fonti avvenuta per mano dei sabotatori ucraini,è solo l'ultima di una serie di altri decessi dovuti ad una guerra che dovrebbe essere in uno stato di tregua,ma che è solamente unilaterale.
Infatti i sovracitati sabotatori stanno compiendo il loro compito presso le vie di comunicazione delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk,ed i morti che siano civili o militare sono un danno collaterale.
Evidentemente all'Ue e alla Nato che sostengono l'esercito ucraino,queste violazioni alla tregua poco importano e continuano nel loro intento di annientare la resistenza della Novorossija:l'altra parte del contributo parla di Poroshenko che si sta arricchendo alle spalle degli stessi ucraini che lo avevano votato,e soprattutto i pensionati ora sono ridotti alla fame.
Il leader ucraino è uno degli uomini più ricchi del suo paese con un patrimonio stimato in 750 milioni di Dollari,frutto della sua azienda dolciaria(è chiamato anche il Re del cioccolato)e di azioni in imprese metallurgice,automobilistice e nel settore bancario e dei mass media.

Ucraina alla fame, Poroshenko - sempre più ricco - stringe la morsa.

Sono previsti per oggi i funerali del comandante della brigata “Prizrak” (Fantasma) Aleksej Mozgovoj, ucciso in un attentato sabato scorso insieme alla sua portavoce e a tre miliziani della sua scorta, oltre a due civili che, al momento dell'attentato, stavano transitando a bordo di un'altra vettura, lungo la strada Perevalsk-Lugansk. Se da un lato appare poco credibile la versione fornita da Kiev, di una “resa dei conti” da parte di gruppi mafiosi, danneggiati dalle scelte di politica interna della “Prizrak” e di Mozgovoj personalmente; se d'altro canto le fonti sia della Repubblica Popolare di Lugansk, sia di quella di Donetsk, parlano di un centinaio di gruppi di guastatori ucraini all'opera nel Donbass e uno di questi gruppi avrebbe anche rivendicato l'attentato; in ogni caso è certo che, proprio per gli orientamenti politico-militari di Mozgovoj, il suo assassinio non rimarrà senza conseguenze anche interne alla Repubblica di Lugansk. Intanto, nella tarda serata di ieri, tiri di artiglierie ucraine su Gorlovka, nella repubblica Popolare di Donetsk, hanno causato la morte di tre persone: una bimba di 11 anni, suo padre e un altro civile; ferite altre quattro persone, tra cui un miliziano. Ancora a Donetsk, secondo quanto dichiarato dal vice Ministro della difesa Eduard Basurin, hanno iniziato ieri il proprio lavoro nell'area dell'aeroporto gli osservatori del Centro congiunto russo-ucraino per il controllo e il rispetto del cessate il fuoco; gli operatori della commissione  lavoreranno “a specchio”: ufficiali russi su un versante e militari ucraini su quello opposto della linea di contatto, presumibilmente fino al 28 maggio. Questo, mentre artiglierie da 23 mm e mortai da 82 mm ucraini hanno preso di mira edifici civili e strutture agricole nella zona di Slavjanoserbsk, nella Repubblica di Lugansk; distrutto l'edificio che ospita la sede dei veterani della Guerra patriottica. Non ci sarebbero vittime.
Nella Repubblica di Lugansk, a opera di gruppi di sabotatori ucraini, sono stati divelti alcuni metri di rotaie ed è stata seriamente danneggiata una locomotiva sulla linea Lutughino-Semejkino; mentre una mina inesplosa era stata in precedenza rinvenuta non lontano dalla stazione ferroviaria di Donetsk.
E' in questa situazione che il Presidente della Rada suprema, Vladimir Grojsman, ha sottoscritto martedì scorso la dichiarazione parlamentare - la Rada aveva adottato la specifica risoluzione lo scorso 21 maggio – sull'abbandono, da parte ucraina, di ogni impegno dato dalla Convenzione sui diritti dell'uomo, nel Donbass. Con ciò il governo si libera anche ufficialmente le mani per ogni atto terroristico nei confronti della popolazione della Novorossija. Già dall'estate 2014, il governo ucraino aveva esteso i poteri di polizia e giudici, per quanto riguarda arresti preventivi (fino a 30 giorni), indagini preliminari e diritti supplementari concessi ai procuratori. Lo scorso febbraio era stato quindi introdotto il coprifuoco, con grosse limitazioni alla permanenza di chiunque nelle strade. La risoluzione della Rada dovrebbe quindi ora, nelle intenzioni ucraine, ufficializzare quanto già in atto, senza mancare di precisare che non si escludono ulteriori limitazioni relative ad altri articoli delle Convenzioni internazionali sui diritti civili e politici.
Sarà dunque un caso che, secondo un recente sondaggio condotto in Ucraina dall'agenzia internazionale TNS, oltre la metà dei cittadini (51%) si sia dichiarata scontenta delle mosse del presidente Poroshenko e il 68% dell'attività del governo e del premier Jatsenjuk? Per quanto riguarda il governo, ovviamente, l'insoddisfazione degli ucraini è data soprattutto dalle “riforme” dettate dal FMI sulla politica tariffaria (gas, acqua, spese municipali, ecc.), che sta riducendo letteralmente alla fame la stragrande maggioranza dei lavoratori e, soprattutto, dei pensionati. Per quanto riguarda Petro Poroshenko, secondo il sondaggio egli non avrebbe mantenuto la maggior parte delle promesse elettorali, in primo luogo per la stabilizzazione economica e per la soluzione dei problemi politici nel Donbass, come anche per il miglioramento dei rapporti con la Russia e il rafforzamento dei legami con l'Unione Europea.
Ma, a quanto pare, non sono queste le preoccupazioni più stringenti di Poroshenko: secondo quanto riportato ieri dal Servizio ucraino della BBC (quindi, nemmeno particolarmente ostile all’establishment) il presidente, in questo anno al potere, si sarebbe occupato molto più della propria condizione personale che non di quella del paese. Anche se il servizio stampa presidenziale informa che Poroshenko ha devoluto interamente in beneficenza il proprio stipendio statale (123 milioni di grivne – una grivna equivale a 0,0439 euro), in base alla dichiarazione dei redditi per il 2014 (dunque, in via ufficiale) egli sarebbe divenuto più ricco “di alcune volte” rispetto al 2013. Questo, sullo sfondo della crisi generale dell'Ucraina, ormai sull'orlo del default e, come scrive la BBC, nonostante “serie difficoltà contro cui si sarebbe scontrato il business privato di Poroshenko in Russia e in Crimea. Come è riuscito il presidente> scrive ancora la BBC , di cui il 90% da dividenti e percentuali su depositi? E' comunque un fatto che, ancora secondo le fonti ufficiali, lo stabilimento di Kiev della “Roshen” (della sua catena, che occupa il 18° posto nella classifica mondiale delle industrie dolciarie, con stabilimenti in Ucraina, Russia, Lituania e Ungheria: non a caso, Poroshenko è detto il “re del cioccolato”) avrebbe aumentato i profitti di circa 9 volte. Ma ulteriori entrate sarebbero venute al presidente anche dalla Banca di investimento internazionale, legata a lui e a suo padre e, oltre l'industria dolciaria, Poroshenko possiede azioni di imprese in altri settori della metallurgia e dell'industria automobilistica, nel settore bancario e dei mass media, per un patrimonio complessivo valutato da Forbes in 750 milioni di dollari, che lo pone all'ottavo posto tra gli uomini più ricchi d'Ucraina.
Il tutto, nella cornice di un potere golpista che aveva fatto della “lotta alla corruzione” il proprio specchio per le allodole e dietro lo scudo di una Costituzione ucraina che proibisce al presidente di occuparsi direttamente del proprio business. Ma, quanto valore venga attribuito alla Costituzione in un paese soggetto alle direttive e agli ordini diretti di Banca mondiale e FMI, appeso al nodo scorsoio dei “crediti” europei e statunitensi e “consigliato” nelle proprie scelte militari dagli ufficiali USA e Nato, Kiev lo ha dimostrato in un anno di operazioni terroristiche nel Donbass. Operazioni ben lungi dall'essere concluse, come confermano anche le ultimissime notizie. Se da una parte i principali sponsor dell'Ucraina, amministrazione USA e Comando Nato, dichiarano che “la posizione della Russia nei confronti dell'Ucraina è diventata più aggressiva”, lo stesso Poroshenko ha sottoscritto ieri la nuova dottrina strategica messa a punto dal Consiglio di difesa e di sicurezza. In base alla nuova strategia, le forze armate ucraine saranno maggiormente orientate verso un'integrazione militare e militare-industriale con Ue e Nato, per affrancarsi del tutto dall'industria militare russa e opereranno per “il ristabilimento dell'unità territoriale nel quadro delle frontiere ucraine riconosciute internazionalmente”. Non c'è bisogno di spiegare cosa ciò possa significare nei confronti dello status di autonomia politico-territoriale del Donbass e dei mezzi pianificati da Kiev per assicurarsene l'inadempienza.

sabato 16 maggio 2015

L'UE E LA POSSIBILE GUERRA SULLE COSTE LIBICHE


L'articolo preso da Senza Soste parla di un possibile,l'ennesimo,intervento militare Onu sulle coste libiche per stroncare il traffico di esseri umani nel Mar Mediterraneo,il tutto su mandato dell'Unione Europea.
Perché quest'ultima,formalmente d'accordo con i principali fautori di questa soluzione,Francia,Italia e Gran Bretagna,non è legittimato se richiesto solo dall'Europa:sarebbe invece investita nel ruolo di coordinatrice se tale mandato uscisse al di fuori del palazzo di vetro.
Sotto vi sono tutte una serie di controindicazioni sull'uso di una forza militare che sembrerebbe sia navale che aerea,dall'impossibilità di individuare con certezza i barconi dei nuovi schiavisti al fatto  che adesso la Libia,dalla caduta di Gheddafi,non ha un governo centrale ma almeno un paio più i vari "signori" della guerra.

Libia. Bruxelles pianifica l'intervento militare.

Sergio Cararo - tratto da http://contropiano.org/

Le potenze europee, Italia, Francia e Gran Bretagna in testa, stanno scaldando i motori per un intervento militare in Libia. Secondo il quotidiano britannico The Guardian , l
’Unione europea ha messo a punto un piano che prevede una serie di attacchi militari contro le imbarcazioni in partenza dalla Libia per ostacolare l’arrivo dei migranti verso l’Europa attraverso il mar Mediterraneo. Il quotidiano britannico aggiunge che l’Ue intende ottenere su questo scenario il mandato dell’Onu per legittimare l’intervento armato nelle acque libiche.
Il comitato militare dell’Ue ha infatti licenziato il cosiddetto Cmc, sigla che sta a indicare “Concetto per la gestione di crisi”, e che sarà la struttura “ad hoc” che per coordinare l’azione militare in Libia una volta ottenuto il via libera dell’Onu. Il quotidiano La Stampa è riuscito a leggere la bozza della risoluzione che verrà discussa lunedi prossimo al vertice dei ministri degli esteri dell'Unione Europea. Secondo quanto se ne deduce, l’obiettivo è chiaro: “Cattura e/o distruzione delle strutture che consento il contrabbando, nelle acque libiche, all’ancora, attraccate o a terra”. L'obiettivo dichiarato è quello di “interrompere il modello di business dei trafficanti, con sforzi sistematici per identificare, catturare, sequestrare, e distruggere le barche e le strutture usate dai contrabbandieri di essere umani”. Secondo il documento la missione militare europea avrà “un mandato esecutivo” e “potrebbe essere militare e congiunta (navale e aerea)”.
Il documento affronta anche un problema rilevante, ossia l' assenza di un accordo su questo da parte dei libici, sia nella versione del governo di Tobruk che del governo di Tripoli. In questo caso la sorveglianze e l’azione delle acque non internazionali può avvenire solo con una risoluzione Onu «Capitolo VII», cosa che si va discutendo in queste ore. Secondo gli esperti militari europei l’operazione “dipenderà dalle attività di Intelligence, la cui condivisione sarà fondamentale”. Si porrà “l’alto rischio di danni collaterali” (vittime fra i migranti) e l’esigenza di un quadro per stabilire cosa fare di eventuali criminali arrestati. Le risorse saranno messe a disposizione dagli Stati europei, con Francia, Regno Unito e Italia pronti a inviare navi, aerei e soldati. Il documento include la possibilità che i militari europei possano agire anche a terra, “anche se sarebbe ideale che vi fosse il consenso locale”. Gli obiettivi dichiarati sono: barche, depositi di carburante, strutture di attracco. Più realisticamente sarà invece il posizionamento di navi militari davanti alle coste libiche come “deterrenza” e il controllo, anche terrestre, della fascia costiera.
Questo scenario di intervento militare non trova però d'accordo nessuno dei due “governi” libici. A dire “no” alla possibilità di un intervento militare cè quello di Tobruk, legato mani e piedi all'Egitto e all'Arabia Saudita. L’ambasciatore all'Onu del governo libico di Tobruk ha chiesto alle Nazioni Unite di non intervenire, ma di aiutare il suo esercito. “Non siamo stati nemmeno consultati”, ha detto l’ambasciatore al Palazzo di Vetro, Ibrahim Dabbashi, aggiungendo che l’idea di schierare più imbarcazioni al largo delle coste libiche per salvare i migranti è “totalmente stupida” perché incoraggerebbe ancora più migranti ad arrivare in Libia, rendendo più difficile il controllo da parte delle autorità locali. Netto no anche alla distruzione dei barconi, perché – ha affermato – sarebbe difficile distinguerli da altre imbarcazioni.
Il bombardamento dei barconi e delle coste libiche non convince neanche l'altro governo libico, quello di Tripoli. Il generale Ayoub Amr Ghasem, ufficiale della guardia costiera libica di Tripoli, controllata dal governo islamista, ha dichiarato a Il Fatto Quotidiano, che colpire le imbarcazioni potrebbe rivelarsi una strategia inutile. “I trafficanti non hanno delle vere e proprie flotte o equipaggiamenti speciali da distruggere. L’operazione non avrebbe successo perché i nostri nemici non hanno una vera e propria struttura”, ha spiegato Ghasem, sottolineando come non sia possibile individuare dei punti fissi di partenza: “Si raggruppano sulla costa per mettere in acqua le barche cariche di migranti e poi scompaiono in pochissimo tempo. Questo avviene ogni volta in punti diversi e le navi difficilmente tornano vuote nello stessa località”.
Un intervento militare in Libia ormai è alle porte e sarà in larga parte ostile ai soggetti in campo sul territorio libico. In molti volteranno la faccia per "non vedere, non sapere e non vedere" quello che accadrà sull'altra sponda del Mediterraneo predisponendosi a convivere serenamente con l'orrore. L'emergenza sugli sbarchi dei migranti si presta ad ammantare questa nuova guerra asimmetrica della copertura "umanitaria". Si avverte sin da ora la difficoltà con cui dovranno fare i conti i movimenti contro la guerra più coerenti, che proprio sull'aggressione alla Libia nel 2011 verificarono come il consenso all'interventismo militare europeo avesse aperto brecce politiche e morali anche tra i pacifisti. Ciò non significa che non occorra fare opera di chiarezza, controinformazione e iniziativa contro l'avventurismo militarista dell'Unione Europea contro la sponda sud del Mediterraneo. Un primo appuntamento potrebbe già essere quello del 2 giugno sul quale sta circolando un appello che invita sin da ora a entrare in campo contro le “guerre umanitarie”, anche quando le pianificano a Bruxelles e non solo a Washington.
14 maggio 2015

venerdì 15 maggio 2015

LE BUFALE DI MEDIASET

L'articolo di oggi e preso da Senza Soste parla del susseguirsi delle bufale fornite dai mass media ed in particolare a quelle Mediaset legate all'ex premier Berlusconi che in maniera sempre più copiosa e che in modo direttamente proporzionale per fortuna vengono segnalate e smentite.
Questi stratagemmi elettorali che permeano di sospetto e di odio i più deboli,ora i migranti ed i rom ieri i meridionali,sono creati scientificamente per ingrassare le fila dei partiti razzisti e xenofobi che come iene ed avvoltoi stanno ai piedi del prezzemolino Salvini sempre più presente soprattutto in televisione.
Le tecniche di fomentare questo odio secondo l'articolo possono favorire a lungo termine pure un vantaggio per l'attuale governo in caso di una sfida elettorale che si possa concludere al ballottaggio.

Bufale e notizie create ad arte: Mediaset licenzia un giornalista per non perdere la faccia.


Non si contano più ormai le bufale e le notizie create ad arte in rete per screditare in genere gli immigrati e per pompare in modo martellante quella interpretazione della realtà che vuole l'immigrato come male assoluto del nostro tempo. Si tratta di una tecnica studiata a tavolino che premia tre soggetti politici in particolare.
I primi sono quei partitini fascisti e xenofobi che ora puntano a raggiungere percentuali importanti alleandosi con Salvini.
Il secondo sono la Lega e Salvini stesso che non hanno mai raggiunto in passato queste percentuali nei sondaggi e che cavalcano l'onda monotematica dell'immigrazione.
Il terzo è il partito del potere incarnato in Italia da Renzi e alle dirette dipendenze della troika e dei capitali finanziari. Per loro si tratta di un duplice vantaggio: da una parte distolgono lo sguardo e l'interpretazione della crisi dal saccheggio globale di beni pubblici, lavoro, welfare e servizi che il liberismo compie quotidianamente e scientificamente. Dall'altra concentrano su Salvini e la destra xenofoba molti voti, scegliendosi il rivale in caso di ballottaggio con la certezza di vincere. La Lega infatti, a differenza dei 5 Stelle, è un partito molto meno trasversale e molto più aggressivo così che molto elettorato moderato e anche di sinistra si rifugerebbe per paura nel voto a Renzi. Un Renzi che con il suo avvento alla guida del Pd un anno e mezzo fa ha spostato nettamente verso destra la barra del primo partito del paese, con la conseguenza appunto che oggi la destra italiana porta il nome di Matteo Salvini. Quando, infatti, il Pd slitta su posizioni centriste molto simili a quelle che tradizionalmente appartenevano alla destra berlusconiana, la destra non può far altro che slittare anch'essa verso posizioni più estreme, diciamo pure fasciste visto lo sdoganamento definitivo di Casa Pound al fianco di Salvini. In altre parole, se il Pd fa il Jobs Act, alla destra rimane solo da parlare di immigrati e rom.
Questo è il contesto che fa da cornice alla produzione giornaliera di bufale e falsi scoop. Ma finché questi sono frutto di qualche ebete ammaestrato che li spamma su Facebook si tratta di un fenomeno marginale, a cui abboccano solo gli sprovveduti (che comunque sono un numero significativo in questo paese). Diverso è se un network televisivo nazionale che domina la tv via cavo e il digitale terrestre come Mediaset fa questo tipo di servizi. Qui si va nel campo del colpo di stato digitale.
Ecco una serie di link che raccontano questa vergogna.
L'ultimo episodio lo ha mostrato Striscia la Notizia che ha smascherato Quinta Colonna:
Prima di questo ricordiamo quando 3 settimane fa Servizio Pubblico smascherò Mattino 5 che, avendo Salvini in studio, volle omaggiarlo di un servizio creato su misura per lui:
Redazione - 13 maggio 2015

giovedì 14 maggio 2015

NAPOLITANO E LA RESISTENZA

Ho pescato un articolo tenuto da parte da tanto tempo,addirittura dalle dimissioni dell'ex Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano che sembrano essere passati anni ma dobbiamo guardarci indietro solo fino a gennaio.
L'articolo di Infoaut è uno tra i tanti che parla dei trascorsi fascisti dell'ex presidente ed ex esponente di spicco del Pci,che non solo faceva parte dei Guf(gruppi universitari fascisti)ma che lavorava per la propaganda ideologica fascista con azioni e scritti.
Lo stesso politico successivamente nel corso degli anni fece intendere che si era iscritto a tale associazione per spiare e successivamente sabotare il lavoro dei fascisti.
Napolitano è stato tutto sommato un capo dello Stato mediocre così come vuole la prassi italiana,con alcuni alti e bassi durante gli anni(vedi Pertini e Cossiga)e con un ordinamento costituzionale che vuole la Presidenza della Repubblica un posto che alla fine conta poco o nulla dal punto di vista decisionale.

Nel giorno delle dimissioni di Napolitano lo vogliamo ricordare così, da giovane.


Quello che pochi sanno, o omettono nel santificare Re Giorgio, oggi dimissionario è il suo passato. Oggi nel giorno delle sue dimissioni vogliamo ricordarlo così, da giovane, pieno di entusiasmo come si addice ad un iscritto ai GUF, i Gruppi Universitari Fascisti (GUF)
Durante l’università, Napolitano fu iscritto ai Gruppi Universitari Fascisti (GUF), un gruppo a cui si iscrivevano su base volontaria gli studenti dell’università e dell’accademia.

All’interno del GUF, Napolitano prese parte alle attività teatrali (Teatroguf) e cinematografiche (Cineguf). Napolitano recitò anche in alcuni spettacoli – tra cui, nel ruolo di protagonista, in Viaggio a Cardiff di William Butler Yeats – messi in scena dal GUF a Palazzo Nobili, a Napoli. La compagnia si chiamava Teatro degli Illusi. Scrisse anche alcuni sonetti in dialetto napoletano con lo pseudonimo di Tommaso Pignatelli.

Molti anni dopo Napolitano spiegò la sua appartenenza ai GUF, e la sua risposta venne riportata in un articolo del 2006 pubblicato da Edmondo Berselli. Napolitano, in quell’occasione, definì il GUF «un vero e proprio vivaio di energie intellettuali antifasciste, mascherato e fino a un certo punto tollerato». All’interno del GUF e nell’ambiente universitario conobbe alcuni degli uomini che lo avrebbero accompagnato nel resto della sua carriera. Tra gli altri c’erano Antonio Ghirelli, che sarebbe diventato giornalista: direttore del TG2, dell’Avanti! e collaboratore del Sole 24 ore, morto l’anno scorso. Ghirelli – come ha detto lo stesso Napolitano – lo «convinse della dolorosa necessità che l’Italia per salvarsi doveva perdere la guerra». Conobbe anche il regista teatrale e drammaturgo Giuseppe Patroni Griffi, morto nel 2005, e il regista cinematografico Francesco Rosi.

Peccato che di questa notizia non c’è traccia nella sua biografia ufficiale curata dal Quirinale, anzi sul documento riportato non ci sono solo omissioni ma notizie consapevolmente false: «Fin dal 1942, a Napoli, iscrittosi all’Università, ha fatto parte di un gruppo di giovani antifascisti». In tale contesto, ecco cosa scriveva il nostro volontario militante dei GUF: «L’Operazione Barbarossa civilizza i popoli slavi: dato che il nostro sicuro Alleato [è] lanciato alla conquista della Russia vi è la necessità assoluta di un corpo di spedizione italiano per affiancare il titanico sforzo bellico tedesco, allo scopo di far prevalere i valori della Civiltà e dei popoli d’Occidente sulla barbarie dei territori orientali.»

(GIORGIO NAPOLITANO, in “BÒ”, giornale universitario del GUF di Padova, Luglio 1941)

L’anno successivo, il 1942, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli. Durante gli anni universitari, entra a far parte politicamente e concretamente dei Gruppi universitari fascisti (GUF), collabora attivamente al settimanale dei fascisti universitari di Napoli “IX maggio” in una rubrica di critica teatrale che si coniuga con la sua passione per il teatro, per cui debutta anche come attore, per parti di secondo piano, grazie alla compagnia teatrale GUF presso il Teatro degli Illusi al Palazzo Nobili. Nell’autobiografia, Dal Pci al socialismo europeo (Laterza), Napolitano tenta di stravolgere quell’esperienza di fascista autentico millantandola come una sorta di infiltrazione di antifascismo dentro quel crogiolo della brodaglia culturale della gioventù fascista maturata e condivisa (interventista, guerrafondaia a favore dell’Asse e contro le demoplutocrazie): «L’organizzazione degli universitari fascisti era in effetti un vero e proprio vivaio di energie intellettuali antifasciste mascherato e fino a un certo punto tollerato».

Del resto non stupisce poi che in un’ANSA del 26 giugno di quest’anno per il centenario dell’omonimo Giorgio, il fascista segretario di redazione della rivista Difesa della Razza nel 1938, Almirante si sia espresso così: «è stata espressione di una generazione di leader di partito che, pur da posizioni ideologiche profondamente diverse, hanno saputo confrontarsi mantenendo reciproco rispetto, a dimostrazione di un superiore senso dello Stato che ancora oggi rappresenta un esempio».

mercoledì 13 maggio 2015

OSAMA BIN LADEN PRIGIONIERO E POI UCCISO?

L'articolo di Senza Soste parla della rivelazione subito smentita dall'intelligence Usa del giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh secondo cui l'ex ricercato numero uno,il nemico pubblico Osama Bin Laden venne ucciso durante un'incursione dei marines americani.
Secondo Hersh,comunque già ai tempi le modalità e le tempistiche del raid erano state fin da subito contestate,Osama si trovava ad Abbottabad non per nascondersi ma prigioniero della polizia pachistana:poi il resto è storia che già è diventata leggenda carica di episodi dubbi e misteri.

L’uccisione di Osama Bin Laden. Seymour Hersh demolisce la “grande bugia”.

Il giornalista e Premio Pulitzer Seymour Hersh demolisce quella che a molti era sembrata la grande menzogna, ossia la versione ufficiale dell’uccisione di Osama Bin Laden. Già il modo con cui il cadavere era stato frettolosamente gettato in mare, ufficialmente per evitare pellegrinaggi alla tomba e per rispettare il rito islamico che vuole  i cadaveri seppelliti entro il tramonto, era parso quantomeno sospetto.
 Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, "ha mentito sull'operazione per uccidere Osama bin Laden" e "nascosto il ruolo delle forze speciali pachistane per prendersi tutti i meriti". E’ questa un parte dell'accusa alle autorità stauTnitensi esposta da Hersh in un articolo sul London Review of Books. L’articolo esce a quattro anni di distanza dal raid condotto ad Abbottabad. Secondo il giornalista, Obama si sarebbe affrettato ad annunciare al mondo la morte di Osama Bin Laden, al contrario degli accordi presi con i pachistani, creando confusione tra i funzionari dell'intelligence poi costrett a sostenere la ricostruzione dei fatti confezionata da Obama. "Mentire fa parte del modus operandi degli Stati Uniti" ha scritto Seymour Hersh, noto per le sue inchieste, il quale ha basato le sue accuse su alcune fonti statunitensi, tra cui "un alto funzionario dell'intelligence in pensione".
Secondo l'ex giornalista del New York Times, che aveva già accusato Obama nel 2013, definendo la sua versione dei fatti "una grande bugia", i pachistani tenevano Osama Bin Laden prigioniero nel compound di Abbottabad da anni, prima di negoziare con gli statunitensi i termini dell'operazione per uccidere il leader di Al Qaida. La Cia era venuta a sapere del luogo dove si trovava non da un "lavoro di intelligence" e d un spia dentro Al Qaida, come sostenuto dagli statunitensi dopo il raid, ma grazie a un funzionario dell'intelligence pakistana, che sperava così di ottenere la taglia di 25 milioni di dollari.
Nel suo pezzo, Hersh fornisce una spiegazione alternativa del raid stesso e dell'annuncio del presidente Obama dell'uccisione di Bin Laden. In primo luogo, fu un ufficiale dell'intelligence pakistana ad entrare nella ambasciata statunitense ad Islamabad e ad offrire informazioni su dove si trovasse Bin Laden nel mese di agosto del 2010, in cambio voleva i 25 milioni di dollari di ricompensa. L'amministrazione Usa quindi cercò conferme da alti funzionari pakistani e la prova del DNA che l'uomo all'interno del complesso fosse Bin Laden. Ci furono poi lunghe trattative tra gli Stati Uniti e i pakistani  sui termini del raid. Insieme con il denaro, gli Stati Uniti avrebbero offerto altre concessioni se il Pakistan avesse collaborato, ma soprattutto se fosse rimasto in silenzio sulla versione ufficiale della missione. Un pakistano con stretti legami con il gruppo dirigente dell’ISI (i servizi segreti pakistani) ha rivelato a Hersh che “c'era un affare con i vostri ragazzi in alto. Eravamo molto riluttanti, ma doveva essere fatto - non per arricchimento personale, ma perché tutti i programmi di aiuti americani ci avrebbero tagliato fuori. I vostri superiori hanno detto che se non avessimo permesso il radid potevano anche morire di fame e l'ok è stato dato mentre il direttore generale dell’Isi, Ahmed Shuja Pasha era a Washington. L'accordo non era solo per tenere i rubinetti aperti, ma Pasha è stato detto che ci sarebbero più chicche per noi”.
12 maggio 2015

martedì 12 maggio 2015

LE PETROLMONARCHIE ARABE VOGLIONO LA TESTA DI ASSAD

Il concetto base espresso dall'articolo preso da Senza Soste è chiaro:le petrolmonarchie arabe per far passare l'accordo sul nucleare iraniano vorrebbero imporre al Presidente Usa Obama la testa del siriano Assad.
Ormai Assad è visto peggio dei guerriglieri dell'Isis che stanno controllando un'ampia fetta del territorio siriano,combattuti strenuamente a nord dai curdi nella zona al confine con la Turchia e più in basso dall'esercito governativo appoggiato dagli hezbollah libanesi e dagli iraniani.
Domani e il 14 maggio ci sono infatti degli incontri tra Obama ed i rappresentanti delle sovra citate petrolmonarchie rappresentate dall'Arabia Saudita,che sta continuando la sua sporca invasione nel territorio yemenita,tanto per ricordarlo(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/03/nello-yemen-e-guerra_26.html ).


Per le petromonarchie la fine di Assad viene prima della lotta all'Isis. 
ll 13 e 14 maggio a Washington i re sunniti chiederanno a Barack Obama piani concreti per abbattere subito il presidente siriano. E’ la contropartita all’accordo tra gli Usa e l’Iran sul programma nucleare di Tehran. L’Arabia saudita, impegnata nella guerra contro i ribelli sciiti nello Yemen, guida la riscossa sunnita nella regione.
di Michele Giorgio – tratto da Il Manifesto
Roma, 9 maggio 2015, Nena News – Da giorni si parla della battaglia di Qalamoun, regione strategica della Siria centrale a ridosso del confine con il Libano, come “d ecisiva” per le sorti della guerra civile. Uno scontro che vede riuniti nell'”Esercito della Conquista” i qaedisti di Nusra e diverse formazioni islamiste e jihadiste contro l’esercito governativo in difficoltà e sempre più bisognoso del sostegno dei combattenti libanesi di Hezbollah e dei volontari iraniani. Più a nord lo Stato Islamico (Isis) intanto consolida il controllo del territorio siriano già sotto il suo controllo e continua ad avanzare. Ora appare vicino a strappare ai governativi anche l’aeroporto di Deir Ezzor. Eppure, senza ridimensionare il bagno di sangue quotidiano, il destino della Siria sarà forse scritto il 13 e 14 maggio. I quei due giorni le petromonarchie sunnite del Golfo, guidate dall’Arabia saudita, incontreranno Barack Obama. Al presidente americano di fatto detteranno le loro condizioni per digerire l’accordo definitivo sul nucleare iraniano che gli Stati Uniti e gli altri Paesi membri del gruppo 5+1 si preparano a concludere con Tehran entro il 30 giugno. Non si limiteranno a chiedere soltanto altre armi americane dell’ultima generazione, come scrive qualcuno. Vogliono la testa del presidente siriano Bashar Assad, subito, per accettare, comunque a malincuore, l’apertura storica di Washington al loro nemico, l’Iran.
Re Salman dell’Arabia saudita, a capo della coalizione sunnita (Tempesta Decisiva) che ha messo in piedi a marzo per bombardare in Yemen i ribelli sciiti Houthi (ma sono centinaia i civili uccisi), pretende che il presidente Usa cambi radicalmente la sua politica verso la Siria. Vuole con forza che Obama faccia della caduta di Assad la sua priorità e metta in secondo piano la lotta all’Isis e ad al Qaeda. I prossimi colloqui a Washington sono stati preceduti qualche giorno fa dalla riunione, di fatto un gabinetto di guerra, del Consiglio di Cooperazione del Golfo (le sei petromarchie) – alla quale è intervenuto il presidente francese Francois Hollande, il primo leader straniero a farlo dal 1981, e che si è chiusa con la decisione di un meeting al più presto dell’opposizione siriana a Riyadh per discutere il dopo Assad – e dalla visita preparatoria in Arabia saudita del Segretario di Stato americano John Kerry. Nelle capitali del Golfo va avanti il conto alla rovescia, i giornali locali da giorni scrivono di questo incontro con Obama che dovrà sancire il pieno ritorno della supremazia regionale agli arabi e ai musulmani sunniti.
Da quando si è seduto sul trono saudita, Salman ha messo da parte le esitazioni del suo predecessore Abdullah ed è passato all’offensiva contro l’Iran, grazie anche a un inedito coordinamento con il leader turco Erdogan, visceralmente anti-Assad. La campagna militare in Yemen è solo l’esempio più visibile della svolta impressa da Re Salman. Perchè dietro le quinte i sauditi, assieme ai cugini-rivali del Qatar, sono in buona parte all’origine dei recenti sviluppi avvenuti sul campo di battaglia siriano a danno delle forze governative. I finanziamenti e le forniture di armi ora affluiscono senza sosta ai cosiddetti “ribelli moderati”, stretti alleati di al Nusra, e addestrati in Turchia e Giordania dai consiglieri militari Usa. Per Salman l’unica soluzione è quella militare. Per questa ragione ha bloccato sul nascere la cauta disponibilità a negoziare con Damasco che l’opposizione siriana aveva manifestato a inizio anno. Così facendo ha reso una farsa i colloqui in corso per l’organizzazione della conferenza Ginevra 3 per un futuro della Siria fondato su negoziati. Per Assad e per l’alleanza Iran-Siria-Hezbollah invece non dovrà esserci alcun futuro. Solo in questo modo, pensa il re saudita, l’Iran sarà ridimensionato.
Secondo il noto giornalista ed analista arabo Abdel Bari Atwan, Riyadh cerca risultati immediati in Siria approfittando dei prossimi 40 giorni in cui l’Iran avrà le mani legate e non potrà permettersi passi falsi perchè impegnato a concludere l’accordo sul nucleare. Sarà una estate molto calda per il Medio Oriente, prevede da parte sua l’analista Urayb ar-Rintawi del quotidiano giordano Addoustur. Dopo Yemen, Iraq e Siria – scrive – anche altri paesi, come il Libano, sono a forte rischio, in conseguenza dei rivolgimenti regionali innescati dall’accordo sul nucleare iraniano e l’interventismo delle monarchie sunnite. La lotta all’Isis è messa da parte, aggiungiamo noi, in ogni caso è solo una copertura per i sauditi. L’obiettivo di Riyadh era e resta la caduta di Damasco e l’isolamento dell’Iran.
9 maggio 2015

lunedì 11 maggio 2015

RAUL CASTRO IN ITALIA



Ieri c'è stato l'incontro tra il presidente cubano Raul Castro,di ritorno da Mosca per le celebrazioni per il settantesimo anniversario della vittoria sovietica sul nazifascismo,con Papa Francesco ed il premier Renzi.
Udienza privato dove Castro ha ringraziato il Papa per aver avvicinato Cuba agli Stati Uniti dopo decenni di gelo e di tensione tra lo Stato caraibico che non ha mai fatto un passo indietro contro il vicino colosso continentale.
Ci si aspetta ora la fine dell'embargo e il depennamento ufficiale dalla lista dei paesi terroristi:nel pomeriggio c'è stato pure l'incontro con Renzi che è apparso cordiale come l'indole del nostro premier sorridente ed affabile ma sempre pronto a trafiggerti alle spalle,speriamo di no per questa volta.
Articolo preso da Senza Soste.

Raul Castro in Italia. Incontri con Papa Francesco e Renzi.


Papa Francesco ha incontrato questa mattina il presidente di Cuba, Raul Castro, in una udienza privata di circa 55 minuti tenutasi in Vaticano.Raul Castro, è in viaggio per l'Europa insieme con il vice presidente del Consiglio dei Ministri, Ricardo Cabrisas e il ministro degli Esteri Bruno Rodriguez.
Parlando alla stampa, il leader cubano ha detto che ha ringraziato il Papa per il suo contributo al processo di ripristino delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti ed ha anche rimarcato le aspettative del popolo cubano per la visita di Papa  Francesco per l'isola caraibica, in programma per il prossimo settembre. Raul Castro è in Italia dopo aver partecipato a Mosca alle celebrazioni per il 70 ° anniversario della vittoria sul fascismo.

Successivamente Raul Castro ha avuto un incontro e una conferenza stampa a Palazzo Chigi con Renzi dove ha ribadito che "Noi non avremmo mai dovuto essere inclusi nella lista dei paesi terroristi. Forse il prossimo 28 maggio il Senato degli Stati Uniti ci toglierà da questa famosa lista". "Noi - aggiunge Castro - veniamo accusati di non rispettare i diritti umani. Ma chi li rispetta nel mondo? Da noi la salute è un diritto per tutti come l'istruzione. Noi riconosciamo di aver compiuto degli errori ma i diritti umani non devono essere strumentalizzati per mala-politica". Renzi dal canto suo ha twittato la fotografia insieme a Raul Castro affermando che si è aperta una pagina nuova.


Il discorso integrale di Raul Castro: http://video.repubblica.it/mondo/conferenza-stampa-con-renzi-tutto-il-discorso-di-raul-castro/200470/199517

domenica 10 maggio 2015

ALFANO ALIMENTA LO SCHIAVISMO

Breve introduzione ad un articolo di Contropiano(http://contropiano.org/politica/item/30644-migranti-da-far-lavorare-gratis-in-piazza-per-spazzare-lo-schiavismo )che parla di una prossima iniziativa Cispm(Coalizione Internazionale Sans-papiers,Migranti,Rifugiati e Richiedenti asilo)per protestare contro la proposta del ministro dell'interno Alfano di far lavorare gratis i migranti che giungono in Italia.
Tale pretesa a me e non solo è puro schiavismo,è come il lavoro malpagato dei giovani e meno giovani dell'Expo,un modo truffaldino di ottenere lavoro a costo zero stile lager:da notare che la foto qui sopra è presa dal sito del Pd,Renzi su questo deve darsi una mossa e subito tipo ripristinare immediatamente l'operazione Mare Nostrum naturalmente con il sostegno Ue.

"Migranti da far lavorare gratis? In piazza per spazzare lo schiavismo".

"Il ministro Angelino Alfano chiede ai comuni di far lavorare gratis migranti e richiedenti asilo che risiedono nei loro territori. Come se non bastasse il sistema del business dell’accoglienza, che ha visto la sua massima espressione in “Mafia capitale”, con lo sfruttamento dei lavoratori e la trasformazione dei migranti in merce di scambio a discapito dei loro diritti e dignità”, è la reazione di Aboubakar Soumahoro, portavoce della Coalizione Internazionale Sans-papiers, Migranti, Rifugiati e Richiedenti asilo (CISPM) e membro dell’Esecutivo Nazionale USB.
“Finalmente si chiude il cerchio delle leggi o dispositivi che introducono le nuove forme di schiavitù nel XXI secolo – ironizza Soumahoro  - perché è la schiavitù il comun denominatore tra l’ennesima scandalosa e incivile richiesta del ministro Angelino Alfano, la legge Bossi-Fini, il jobs act e il lavoro gratis a Expo”.
“A questo punto andremo in piazza con palette e scope il prossimo 22 maggio, nell’ambito della Giornata Internazionale d’Azione contro il Regolamento Dublino III, per la regolarizzazione e la rottura tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Chiamiamo tutti a portare con sé palette e scope, ma per spazzare via ogni forma di razzismo, sfruttamento e schiavitù”, conclude Soumahoro.

sabato 9 maggio 2015

SETTANT'ANNI DALLA PRIMA GIORNATA DELLA VITTORIA SUL NAZIFASCISMO

Oggi ricorre la data ufficiale della vittoria dell'Unione Sovietica contro il nazifascismo,e la grande parata militare organizzata dall'attuale premier russo Putin è stata snobbata dai paesi occidentali che vogliono "dare un segnale di distinzione rispetto a quello che è successo nell'ultimo anno con l'annessione della Crimea e con le tensioni in corso a est dell'Ucraina",così le parole del ministro degli esteri italiano Gentiloni,che è un po' la solfa che accomuna gli Stati al giogo Usa.
Lo stesso esponente politico italiano è comunque presente assieme ad altri ed ha voluto omaggiare i caduti comunisti sovietici all'altare del milite ignoto ed ha ammesso il grande contributo russo alla vittoria sul nazifascismo in Europa.
L'articolo è preso da Contropiano(http://contropiano.org/cultura/item/30652-settanta-anni-fa-la-vittoria-contro-il-nazifascismo )e parla della cronologia degli eventi che nel 1945 portarono alla caduta di Berlino e della Germania con in appendice il discorso alla nazione di Stalin,e voglio proporre pure un articolo preso da Il sole-24 ore che parla della parata militare(http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-05-09/mosca-via-colossale-parata-i-70-anni-vittoria-sovietica-nazismo--093223.shtml?uuid=ABAlHNdD )dove un intervento dell'ex Presidente Urss Gorbaciov parla senza mezzi termini di disprezzo l'assenza dei leaders occidentali:"ignorare questa opportunità di mostrare la loro attitudine rispetto alla lotta intrapresa dall'Unione Sovietica contro il fascismo diventa un segno di disprezzo verso chi ha sofferto grandi perdite,verso lo sconfinato coraggio mostrato da questo popolo nel combattere la peste nera".

Settanta anni fa la vittoria contro il nazifascismo.
                                                                                                    
Una foto che racconta un momento decisivo della storia del XX Secolo. La bandiera con la falce e martello sul Reichstag di Berlino in realtà era stata issata il 30 aprile e le truppe tedesche si arrenderanno ufficialmente l'8 maggio, ma è la data del 9 maggio che verrà indicata dall'Unione Sovietica come la Giornata della Vittoria sul nazifascismo.


Qui di seguito gli eventi bellici del 1945 sulla frontiera orientale che portarono le truppe sovietiche fino al cuore di Berlino.
12 gennaio
Le forze sovietiche lanciano una massiccia offensiva dalle posizioni occupate lungo la Vistola e il Nida, nella Polonia centrale. L’offensiva libera completamente il territorio polacco dalle truppe tedesche e consente all’esercito sovietico di avanzare fino al fiume Oder, in Germania, e portarsi a meno di 170 chilometri da Berlino.
17 gennaio
All’avvicinarsi delle truppe sovietiche, le SS cominciano l’ultima evacuazione dei prigionieri del complesso di Auschwitz, costringendoli a marce forzate che li porteranno all’interno del Reich. Queste evacuazioni diventeranno poi note come “marce della morte”.
25 gennaio
Le SS cominciano l’evacuazione finale del campo di concentramento di Stutthof.
27 gennaio
Le truppe sovietiche liberano Auschwitz, trovando ancora vivi circa 7.000 prigionieri, tra il campo principale e quelli secondari.
13 febbraio
La 70ª Brigata di Carri armati dell’Esercito Sovietico libera il campo di concentramento di Gross-Rosen.
Le truppe dell’Armata Rossa accettano la resa delle ultime unità tedesche e ungheresi che ancora combattono a Budapest, in Ungheria.
7 marzo
Le truppe americane attraversano il Reno a Remagen, in Germania, l’ultimo ostacolo all’avanzata verso il cuore della Germania.
4 aprile
La 4ª Divisione Corazzata e l’89ª Divisione di Fanteria della Terza Armata statunitense liberano Ohrdurf, un campo secondario di Buchenwald. Una settimana più tardi, dopo aver visitato Ohrdurf, il generale Eisenhower ordina una minuziosa documentazione delle atrocità perpetrate dai nazisti nei campi di concentramento, affinché nessuno in futuro possa negare che siano avvenute.
11 aprile
Truppe americane appartenenti alla 3ª Divisione Corazzata e alla 104ª Divisione di Fanteria liberano il campo di concentramento di Mittelbau-Dora, a Nordhausen, in Germania, trovando ancora in vita pochi prigionieri che erano stati abbandonati nel campo.
La 4ª Divisione Corazzata e l’80ª Divisione di Fanteria dell’esercito americano liberano più di 21.000 prigionieri a Buchenwald.
12 aprile
Forze dell’esercito canadese liberano circa 880 prigionieri nel campo di Westerbork, in Olanda.
15 aprile
Il 63° Reggimento Anti-carri e l’11ª Divisione Corazzata dell’esercito inglese liberano circa 60.000 prigionieri a Bergen-Belsen.
20 aprile
Di fronte all’avanzata dell’esercito inglese, la Gestapo impicca 20 bambini ebrei che erano stati usati per esperimenti medici. L’impiccagione viene eseguita nello scantinato della Scuola Damm, ad Amburgo, in Germania.
20-22 aprile
Le SS iniziano le marce forzate per trasferire i prigionieri dal campo di concentramento di Sachsenhausen. Il 22 aprile, alcune unità della Prima e della 47ª Armata Polacca liberano circa 3.000 prigionieri che erano stati lasciati nel campo.
21 aprile
Le truppe sovietiche circondano Berlino. Il giorno precedente, Adolf Hitler aveva annunciato ai suoi più fidati collaboratori che non avrebbe mai abbandonato la capitale.
21-25 aprile
A Mauthausen, funzionari delle SS uccidono con il gas 1.441 detenuti malati.
23 aprile
La 90ª Divisione di Fanteria dell’esercito americano libera il campo di concentramento di Flossenbürg, in Germania.
25 aprile
Le truppe americane e quelle sovietiche s’incontrano a Torgau, in Germania.
28 aprile
Funzionari delle SS uccidono nelle camere a gas di Mauthausen 33 membri del Partito Socialista e del Partito Comunista austriaci; questa sarà l’ultima uccisione compiuta in nome del Terzo Reich.
29 aprile
La 42ª e la 45ª Divisione di Fanteria e la 20ª Divisione Corazzata dell’esercito americano liberano circa 32.000 prigionieri a Dachau.
30 aprile
Hitler si toglie la vita nel suo bunker, a Berlino. Le truppe sovietiche liberano più di 2.000 prigionieri a Ravensbrück. In questo stesso mese, prima dell’arrivo dei Sovietici, le SS uccidono nelle camere a gas tra i 5.000 e i 6.000 prigionieri.
Fine aprile-inizio maggio
I partigiani della resistenza comunista, guidati dal comandante Josip Tito, liberano il campo di concentramento di Jasenovac, in Croazia.
2 maggio
A Berlino, l’esercito tedesco si arrende ai Sovietici.
4 maggio
Le forze britanniche liberano il campo di concentramento di Neuengamme, vicino ad Amburgo, in Germania.
5 maggio
L’11ª Divisione Corazzata americana libera gli ultimi prigionieri rimasti nei campi di concentramento di Gusen e Mauthausen, in Austria.
7-9 maggio
Le forze armate tedesche si arrendono incondizionatamente, il 7 maggio sul fronte occidentale e il 9 su quello orientale. Le forze alleate proclamano l’8 maggio 1945 Giorno della Vittoria in Europa (V-E Day). Le forze sovietiche proclamano il 9 maggio 1945 giorno ufficiale della fine della guerra.
9 Maggio
Le truppe sovietiche entrano nel campo-ghetto di Theresienstadt. Soldati dell’Armata Rossa liberano il campo di concentramento di Stutthof, vicino a Danzica.
Qui di seguito invece il Discorso della Vittoria di J. V. Stalin del 9 Maggio 1945. Potrà piacere o meno ad alcuni dei nostri lettori ma è un pezzo di storia, decisiva nella sconfitta del nazifascismo. In tal senso va preso, contestualizzato e valutato:
Compagni! Compatrioti e Compatriote!
Il grande giorno della vittoria sulla Germania è arrivato. La Germania fascista, costretta in ginocchio dall’Armata Rossa e dalle truppe dei nostri Alleati, ha riconosciuto la sconfitta e dichiarato la resa incondizionata. Il 7 maggio, un atto preliminare di resa è stato firmato nella città di Reims. L’8 maggio, a Berlino, i rappresentanti dell’Alto Comando tedesco, alla presenza dei rappresentanti del Comando Supremo delle truppe alleate e del Comando Supremo delle truppe sovietiche, hanno firmato l’atto finale di resa, che è diventato effettivo alle ore 24.00 dell’8 maggio. Conoscendo le abitudini da lupo dei governanti tedeschi, che considerano i trattati e gli accordi come pezzi di carta, non abbiamo alcun motivo di prestare fede alla loro parola. Ciò nonostante questa mattina, in conformità con l’atto di resa, le truppe tedesche hanno iniziato a deporre le armi e ad arrendersi in massa alle nostre truppe. Questo non è un pezzo di carta. Questa è l’effettiva capitolazione delle forze armate della Germania. In realtà, un gruppo di truppe tedesche nel settore della Cecoslovacchia rifiuta ancora di arrendersi, ma confido che l’Armata Rossa sarà in grado di riportarle alla ragione. Ora abbiamo pieni motivi per affermare che lo storico giorno della sconfitta definitiva della Germania, il giorno della grande vittoria del nostro popolo sull’imperialismo tedesco, è arrivato. I grandi sacrifici che abbiamo affrontato per la libertà e l’indipendenza della nostra Patria, le incalcolabili privazioni e sofferenze che il nostro popolo ha sofferto durante la guerra, i nostri pesanti sacrifici nelle retrovie e al fronte, che trovano posto all’altare della nostra Patria, non sono stati vani, ma sono stati coronati dalla vittoria completa sul nemico. La lotta secolare dei popoli slavi per la loro esistenza e indipendenza si è conclusa con la vittoria sull’aggressore tedesco e la tirannia tedesca. D’ora in poi, la grande bandiera della libertà dei popoli e della pace tra i popoli sventolerà sull’Europa. Tre anni fa, Hitler dichiarò pubblicamente che il suo compito includeva lo smembramento dell’Unione Sovietica e la separazione da essa del Caucaso, dell’Ucraina, della Bielorussia, delle regioni baltiche ed altre. Disse apertamente: “Dobbiamo distruggere la Russia in modo tale che non sia mai più in grado di risorgere”. Questo avveniva tre anni fa. Ma le folli idee di Hitler erano destinate a rimanere irrealizzate - il corso della guerra le ha disperse come polvere al vento. In realtà, si è verificato l’opposto di quanto gli hitleriani sognavano nei loro deliri.
La Germania è totalmente sconfitta. Le truppe tedesche si arrendono. L’Unione Sovietica è vittoriosa, quantunque non abbia alcuna intenzione di smembrare o distruggere la Germania. Compagni! La nostra Grande Guerra Patriottica si è conclusa con la nostra completa vittoria. Il periodo della guerra in Europa si è chiuso.
Un periodo di sviluppo pacifico è stato avviato. Congratulazioni per la nostra vittoria, miei cari compatrioti e compatriote! Gloria alla nostra eroica Armata Rossa, che ha difeso l’indipendenza della nostra Patria e conquistato la vittoria sul nemico! Gloria al nostro grande popolo, il popolo vincitore! Gloria eterna agli eroi caduti combattendo il nemico e che hanno dato la vita per la libertà e la felicità del nostro popolo!  

venerdì 8 maggio 2015

LA GRAN BRETAGNA SI CONSERVA


I risultati delle elezioni britanniche avvenute ieri hanno sconfessato le indicazioni di voto e tutte le previsioni con una schiacciante vittoria dei conservatori che fino a poche ore prima venivano dati in un testa a testa con i laburisti.
Mentre la sconfitta più forte l'ha avuta il partito razzista Ukip che è stato penalizzato dal sistema maggioritario inglese ed in Scozia gli autonomisti di sinistra hanno fatto quasi l'en plein sottraendo molti voti ai laburisti che sinceramente negli ultimi hanno si stanno comportando come il Pd in Italia non capendo bene dove finisca la loro linea politica e cominci quella dei conservatori.
Articolo preso da Senza Soste.

Gran Bretagna a Cameron, Scozia agli autonomisti di sinistra


La Gran Bretagna resta conservatrice, un po' a sorpresa. Mentre la Scozia si allontana decisamente da Londra, sia come aspirazioni regionali che come orientamento politico-sociale.
A scrutinio ancora non concluso, le proiezioni della Bbc - in genere un po' più attendibili di quelle italiane - attribuiscono a David Cameron una maggioranza quasi assoluta (325 seggi), che presuppone la conferma del governo di coalizione con i liberaldemocratici di Clegg (12 seggi appena). Questi ultimi hanno rischiato la scomparsa dopo quattro anni passati a far da "spalla" ai conservatori, ma non cambieranno probabilmente linea, autocondannadosi all'erosione finale.
Malissimo i laburisti (232 seggi), che non sono riusciti a ricostruirsi una credibile identità "post-blairiana", rianendo a metà del guado. Su di loro grava quasi per intero il successo degli autonomisti scozzesi guidati da Nicola Sturgeon che conquistano ben 56 seggi sui 59 a disposizione per le Highlands. Un successo clamoroso, ad appena un anno dalla sconfitta di misura nel referendum per l'indipendenza, per una linea di politica economica e sociale agli antipodi della recente politica "inglese" (sia in versione conservatrice che laburista, di fatto indistinguibili).
Il sistema elettorale basto sui collegi uninominali ha ridotto a  pura testimonianza (1 o 2 seggi) la presenza dei "leghisti" dell'Ukip, guidata da Nigel Farage, nonostante una percentuale di voti (oltre il 12%, ben superiore all'8% del lib-dem, che pure portano a casa più seggi).
In ogni caso, però, si conferma la frammentazione crescente della rappresentanza politica britannica, a dispetto di una legge elettorale ovunque benedetta perché ha contribuito per quasi 70 anni a garantire un bipolarismo quasi perfetto. Ma non c'è sistema che possa "semplificare" una società frammentata, a meno di non ricorrere - come in Italia con il cosiddetto Italicum - a una torsione centralizzatrice senza contrappesi. E senza democrazia, dunque.
L'altro elemento chiaro è la "provincializzazione" progressiva della Gran Bretagna, tentata dall'uscita dall'Unione Europea (e nemmeno ha dovuto provare le piacevolezze dell'euro...) al punto che potrebbe essere lo stesso Cameron a indire un referendum sulla permanenza o meno nella Ue (anche questo voto potrebbe far rinviare la decisione, visto che l'Ukip, pur scescendo del 9%, non ha sfondato). L'indipendentismo scozzese, infatti, preme sullo stesso fronte, pretendendo per di più un allentamento dei vincoli interni rispetto a Londra.
La borsa della City ha festeggiato la vittoria conservatrice, ma sono molti gli analisti che sottolineano come l'evoluzione inglese confermi una riduzione del "peso internazionale" dell'ex Impero. Il che potrebbe aumentare le frizioni - sul piano commerciale, intanto - tra Unione Europea e Stati Uniti. Che a quel punto potrebbero trovare più sensato "spingere" per rafforzare il "fronte del Pacifico".
8 maggio 2015

giovedì 7 maggio 2015

ECO REATI RIMANDATI

Breve introduzione ad un articolo preso da Contropiano(http://contropiano.org/ambiente/item/30630-approvare-la-legge-sugli-ecoreati-subito-senza-modifiche )che parla dei continui intoppi e rimandi del decreto legge sui così detti eco reati,che è un appello firmato da giornalisti e videoreporter che hanno lavorato con inchieste sulla Terra dei fuochi(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2013/11/terra-dei-fuochi-e-di-camorra.html ).
Il governo continua a giocare con questa legge che viene sballottata da una Camera all'altra con emendamenti su emendamenti per correggerla,e più ci si mette mano e più si ammorbidiscono le pene sugli eco criminali.
Va da se che fino ad ora nessuno degli imputati ha pagato con la galera l'interramento di rifiuti tossici e nocivi nella zona campana,ma anche nel resto d'Italia chi produce inquinamento è stato punito solo con pene pecuniarie.

Approvare la legge sugli ecoreati subito,senza modifiche.


Un appello di giornalisti e videoreporter che hanno fatto inchiesta sulla Terra dei Fuochi e la devastazione ambientale in Campania, chiede che il governo e il Parlamento non spianino la strada alle società che producono inquinamento, nocività e devastazioni del territorio e della salute pubblica.
"Siamo giornalisti che negli ultimi anni hanno raccontato attraverso articoli e video reportage il dramma della Terra dei Fuochi. Un lavoro che abbiamo svolto con passione e grande partecipazione intraprendendolo come un contributo professionale e personale per impedire che i veleni inquinino ancora la nostra terra. In questi anni abbiamo visto gli eco criminali farla franca troppe volte. Processi gravi, con imputati colpevoli di traffico illecito di rifiuto o di aver sversato volutamente i veleni nelle terre della Campania, finiti in prescrizione. Criminali in giacca e cravatta - per lo più - cavarsela con una banale sanzione amministrativa. Chi ha inquinato non ha mai pagato davvero. Questo perchè nel nostro paese la legislazione sui reati ambientali è assolutamente insufficiente. Abbiamo visto indagini minuziose delle procure finire in un nulla di fatto per uno strumento normativo inadeguato. Da troppo tempo il parlamento italiano si rimpalla l'approvazione del disegno di legge sugli ecoreati. Un provvedimento che pensiamo sia indispensabile per dare un impulso decisivo alla lotta alle ecomafie ed agli ecocriminali di ogni sorta. Da mesi e mesi i passaggi istituzionali si susseguono con continui rimpalli. Dopo l'approvazione in Senato e l'inserimento all'ordine del giorno dei lavori della Camera dei Deputati eravamo fiduciosi su un'approvazione definitiva del disegno di legge. Invece il provvedimento è stato rispedito al Senato grazie ad un emendamento presentato dal governo. Un ennesimo rallentamento che non fa altro che giovare ai devastatori dell'ambiente ed a chi mette a rischio la salute dei cittadini. Come giornalisti e giornaliste vorremmo scongiurare di trovarci ancora una volta a dover raccontare quello che con tristezza abbia constatato in questi anni: chi inquina non paga.
Per questo facciamo appello alle forze parlamentari per approvare in tempi rapidi e certi il disegno di legge sugli ecoreati senza alcuna modifica che possa indebolire il provvedimento. Ci uniamo all'indignazione espressa dai movimenti e dalle associazioni ambientaliste che in questi giorni hanno protestato contro il governo per i ritardi accumulati. Siamo certi che in questo paese chi inquina deve pagare. Siamo anche coscienti che gli amici degli ecocriminali si annidano ovunque. E' tempo di battere un colpo per rendere chiaro da che parte si sta.
Gaia Bozza, Pino Ciciola, Amalia De Simone, Stefania Divertito, Vincenzo Iurillo, Cristina Liguori, Giuseppe Manzo, Angela Marino, Antonio Musella, Enrico Nocera, Ciro Pellegrino, Nello Trocchia, Alessio Viscardi