martedì 31 maggio 2016

GLI SCONTRI DI LOVERE

Lo scorso sabato all'indomani della solita pagliacciata che i fascisti propinano a Rovetta in Val Seriana in provincia di Bergamo(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/05/domenica-rovetta.html )ci sono stati momenti di tensione tra i vari presidi antifascisti posti presso l'ingresso del cimitero di Lovere e i celerini posti a difesa dei ratti di fogna.
Che come al solito sotto la protezione degli sciacalli in divisa hanno reso omaggio a due aguzzini che sono stati giustiziati dai partigiani appena dopo la Liberazione,in un atto dovuto e logico visto che dopo il settembre del 1943 i repubblichini a fianco dei nazisti terrorizzavano picchiando ed ammazzando chiunque si metteva in mezzo ai loro piani.
L'articolo preso da Infoaut(http://www.infoaut.org/index.php/blog/antifascismoanuove-destre/item/17157-lovere-polizia-e-fascisti-a-braccetto-caricato-il-presidio-antifascista )che contiene un comunicato della rete antifascista di Bergamo "ALDO DICE 26 x 1" ,chiaro circa la scelta della celere di proteggere i nostalgici vigliacchi e di attaccare con violenza e senza aver ricevuto nessuna provocazione delle persone che manifestavano il loro dissenso,ferendo alla testa due settantenni presenti(aggiungo pure questo link:http://www.ecn.org/antifa/article/5041/rovetta-45-volte-il-saluto-fascista---albertazzi-rastrellatore-di-partigiani ).
Celerini e fascisti stessa razza,stessa merda.

Lovere, polizia e fascisti a braccetto. Caricato il presidio antifascista.

A sette giorni dallo scivolone in occasione della manifestazione contro la campagna referendaria di Matteo Renzi, la questura di Bergamo si macchia di un altro episodio caratterizzato da un misto di incompetenza e di violenza gratuita.

Lovere ogni anno viene concessa la piazza a fascisti e nazisti per commemorare la morte di due legionari della Tagliamento del R.S.I., la scusa è sempre quella: una sfilata di fascisti vilmente “nascosta” dietro una pseudo cerimonia commemorativa in onore di due fascisti rei di crimini aberranti, feriti gravemente dai partigiani il 26 aprile 1945 nella lotta di Liberazione, in seguito gettati nel lago. L’agibilità di cui godono i neonazisti e fascisti che si presentano a Lovere ogni anno è enorme e ingiustificata, quest’anno si è assistito ad un ulteriore “passo in avanti” ed è sempre più difficile tracciare il confine tra le forze dell’ordine e i fascisti, sempre più difficile capire se sia solo mera incompetenza a muovere le ultime mosse in piazza della questura di Bergamo, o se ci sia da sommarvi una vera e propria connivenza con i fascisti del terzo millennio. Che andassero d’accordo è chiaro da tempo, la cronaca della giornata di ieri restituisce un quadro desolante di simbiosi totale tra forze dell’ordine e fascisti.
Sulla città, per tutta la giornata, gli antifascisti vogliono dare una presenza il più possibile diffusa, andando a insediarsi in tre luoghi diversi per dare un segnale forte ed efficace, ma anche costretti dalla volontà delle autorità di far sfilare i nazisti e fascisti per le vie di una città che ha avuto i propri tredici martiri della lotta partigiana e che ne vede così sfregiata la memoria. E’ proprio in piazza dei XXIII martiri di Lovere che si vede una prima componente antifascista rappresentata dall’ANPI. Al cimitero invece, ad esprimere l’indignazione per la sfilata fascista, è organizzato un presidio da Rifondazione Comunista. Infine, la rete antifascista bergamasca ALDO DICE 26X1 sceglie quest’anno di dare un segnale direttamente sul luogo dove avviene la “commemorazione” sul lungo lago.
Le gestione di due di queste tre piazze da parte della questura di Bergamo denota la follia totale in cui versa. Nel presidio antifascista sul lungo lago si assistono a scene deliranti: viene deliberatamente fatto avvicinare e addirittura entrare nel presidio un ragazzo con chiari intenti provocatori malcelati da ingenuità. Le forze dell’ordine, che non si accorgono dell’ingresso del neofascista tra le fila degli antifascisti, sono però subito pronte ad intervenire invece non appena si leva qualche insulto e spintone. E’ evidente che DIGOS e celere (ovviamente schierate rivolte verso gli antifa) fossero al corrente di quanto stesse per accadere e che non aspettassero altro che la situazione per il poveretto si complicasse in maniera tale da giustificare un intervento repressivo massiccio. Volendo tuttavia lasciare il dubbio, possiamo lasciare pensare a noi stessi e all’opinione pubblica che sia solo una incredibile, totale, impressionante incompetenza a non permettere a una dozzina di agenti della DIGOS e una trentina di celerini di accorgersi dell’avvicinamento di un neofascista al presidio antifascista nel giorno in cui sono in piazza col preciso compito (a detta loro) di interporsi fra fascisti ed antifascisti. La commemorazione dei fascisti intanto è tutelata e i nostalgici sono liberi di gettare la loro corona commemorativa. Anzi no, c’è un quarto presidio antifascista a sorpresa, in acqua: una barca con bandiera rossa si avvicina al motoscafo dei fascisti e impedisce, con l’azione di disturbo, il lancio della corona. A questo punto la situazione degenera: le forze dell’ordine prendono una serie di decisioni che palesano l’assoluta collaborazione con i fascisti e l’assoluta follia violenta nei confronti di chiunque altro. Non solo, contrariamente a quanto avvenuto negli ultimi anni, è concesso ai fascisti di formare un corteo verso il cimitero, ma viene presa l’allucinante decisione di sgomberare il presidio di Rifondazione davanti al cimitero stesso, bloccando contemporaneamente la componente antifascista sul lungo lago.
Ebbene sì: per permettere ai rifiuti della storia di sfilare per Lovere e compiere i loro “riti” apologetici, il dirigente Murtas dà l’ordine di caricare un presidio composto da persone palesemente del tutto pacifiche. Ovviamente gli uomini della celere non perdono l’occasione di sfoggiare un atteggiamento violento e improbo, degno dei fascisti appunto.
Risultato? Due persone anziane all’ospedale, con la testa rotta e la vista compromessa. Subito pronta la velina della questura che parla di due agenti contusi nel tentativo di forzare il blocco della polizia: fotografie e video smentiscono ogni atteggiamento aggressivo da parte degli antifascisti presenti, trattandosi per lo più di persone di una certa età, difficilmente immaginabili nel tentativo di sfondare un cordone di celerini.
Una velina che parla di feriti tra le forze dell’ordine come quella di sabato scorso per le contestazioni a Renzi, riportando i 15 giorni di prognosi refertati al dirigente Grasso, lo stesso dirigente che ieri era in piazza vispo e saltellante nel guidare il reparto celere. Quale dedizione al dovere.
Durante la protesta contro Renzi e la sua campagna referendaria abbiamo assistito ad una violenta repressione del dissenso, pratica in forte odore di fascismo.
Con l’atteggiamento inqualificabile e ingiustificabile nella giornata di ieri a Lovere abbiamo visto la commistione ineluttabile tra forze dell’ordine e neofascisti, negli intenti e nelle pratiche.
Inutile dire che faremo qualsiasi cosa per contrastare questa pericolosa successione di eventi.

NO PASARAN!

lunedì 30 maggio 2016

IGNORANTI E FELICI?

Le sintesi del contributo qui sotto preso da Contropiano(http://contropiano.org/news/politica-news/2016/05/30/ci-vogliono-poveri-ignoranti-felicemente-silenti-079809 )può essere riassunta nella simpatica vignetta in alto ma è opportuno fare qualche distinzione e qualche passo oltre al semplice fatto dell'essere ignoranti,ed in fondo tutti chi più e chi meno lo siamo.
Ma quella di cui si parla è quella più aggressiva e più pericolosa,è quella che può portare oltre a non vedere il male del mondo ma addirittura a farne parte,a fomentarlo,coltivarlo e propagandarlo.
Effettivamente il lato negativo che porta al razzismo,all'intolleranza ed al pregiudizio a volte prende il sopravvento su quello se non proprio positivo su quello meno negativo,quello che secondo studi scientifici ma basta guardarsi attorno,è ciò che ci rende più felici in quanto meno si sa e meno ci si pone delle questioni e più ci creiamo meno aspettative e quindi meno problemi.
Tutto ciò naturalmente esplicato come ignoranza personale e non collettiva,con quest'ultima che può essere aiutata dall'ambiente che ci circonda e dalle notizie(e da chi che le propone)che ci vengono date soprattutto dai mass media.
E' utile sempre cercare di ragionare con la propria testa,sbagliando a volte certo,ma confrontandosi dove possibile con chi la pensa diversamente da te,vagliando le informazioni disponibili prendendole da più fonti.
E se Internet da un lato ci ha rincoglioniti e parecchio un po' tutti,dall'altro offre proprio un gran numero di possibilità di cercare le notizie non facendo riferimento ad un unico o a pochi canali informativi.
Perché,e lo vediamo tutti i giorni in casa,al lavoro,per strada,che l'ignoranza accompagnata dalla presunzione di sapere è una di quelle cose che fanno più arrabbiare e che ti fanno dire di non discutere mai con un'idiota o un ignorante perché prima ti trascina al tuo livello e poi ti batte con l'esperienza.
 
Ci vogliono poveri e ignoranti.Ma felicemente silenti.
 
di Alessandro Avvisato.
 
La costruzione di un’ideologia nauseabonda è un lavoro lungo, faticoso, con grade dispendio di mezzi. Addirittura sproporzionati – in apparenza – rispetto all’obiettivo.
L’ideologia in costruzione – di cui ci stiamo occupando – deve affiancare una condizione reale: noi che non stiamo “in alto”, nella scala sociale del potere, dobbiamo essere persuasi che in fondo stiamo benissimo così. E se la situazione peggiora di giorno in giorno, beh, ce lo meritiamo, perché non siamo abbastanza “competitivi”. Per poter stare sereni – ahia! – in una condizione squallida, bisogna sapere anche poco; e infatti stanno distruggendo da oltre 30 anni, a piccoli slittamenti regressivi, sia la scuola che l’università pubbliche. Non dobbiamo insomma essere messi a conoscenza dei meccanismi di funzionamento del reale (del “sistema”, si diceva giustamente qualche tempo fa), in modo da poter essere meglio indirizzati verso spiegazioni ad hoc, rigorosamente false ma “credibili” e persuasive. Esempio semplice: stiamo peggio, e peggio pagati, per colpa degli immigrati “che ci rubano il lavoro”. L’effetto al posto della causa (è l’impresa che paga meno, per essere a sua volta più “competitiva”), e il gioco è fatto.
Insomma, l’ignoranza è una iattura per gli schiavi, che così non possono mai emenciparsi dalla loro – nostra – triste condizione. Qualche imbecille “di sinistra”, tanti anni fa, provò persino a trasformare – ideologicamente, ovvio – questa iattura in una “fortuna”. Nacque così l’elogio dell’assenza di memoria (o Erkenntnistheorie), per cui il non sapere come e perché i tuoi predecessori nella rivolta avessero perso avrebbe permesso l’esplodere una radicalismo più forte. Naturalmente è accaduto il contrario, ovvero la “pace dei cimiteri” della coscienza, perché l’ignoranza paralizza anche nella difesa della propria vita (anche nei lager c’era chi sperava fino all’ultimo di essere risparmiato, lui individualmente), proprio mentre il potere consolida e arricchisce le proprie conoscenze “controrivoluzionarie”, costruendo archivi e scuole di formazione per sbirri e infiltrati, monitorando ogni pur pallido apparire di “critica del presente”.
Tempi passati, non senza gravi danni per la soggettività antagonista.
Ora – sulla stessa linea – si dà da fare direttamente il bestiario mediatico mainstream. Qui sotto vi proponiamo di dare un’occhata a un articoletto apparso oggi sull’edizione italiana dell’Huffington Post, che riprende “ricerche” fatte in ambiente anglosassone.
Tesi ideologica: l’ignoranza è la chiave della felicità. Prove a favore: lo dice anche la scienza.
Basta una sbirciata per cogliere immediatamente l’inganno, alquanto volgaruccio. l’”ignoranza che ci aiuta a essere felici”, nella ricerca citata, è quella relativa al futuro individuale. E in effetti sarebbe impossibile vivere davvero sapendo già cosa ci accadrà.
Il professore australiano che propala questa felice ignoranza non ha però alcuna intenzione “universalistica”. In altri termini, non estrapola affatto una tesi “scientifica” a favore dell’ignoranza in generale. Il mondo va conosciuto, studiato, “saputo”. Mentre la propria vita futura è bene che riservi sempre molte sorprese, almeno sul piano delle esperienze di vita, affettive, amicali, esperienziali.
Al contario, se non si mette questo preciso confine tematico alla “virtù dell’ignoranza”, si scrivono corbellerie miranti a far credere che l’ignoranza in genere porta felicità.
Una volta questa ideologia aveva altri modi di dire, in forma di proverbi: “i soldi non portano la felicità”, ecc. Ora ne abbiamo versione 2.0.

*****

“L’ignoranza è la chiave della felicità”. La ricerca: “È ciò che ci rende davvero liberi”

Ilaria Betti, L’Huffington Post
Meno sai e meglio stai”, recita un detto, e a dargli ragione è anche la scienza. Se ciò che facciamo ogni giorno non è altro che pensare, immagazzinare quante più informazioni possibili, anticipare il futuro nella nostra mente, forse sarebbe meglio imparare ad arrendersi al “nemico”: l’ignoto, il non sapere. Sarebbe proprio questa la chiave della felicità, secondo uno studio della Australian National University: “Solo l’ignoranza ci dona la vera libertà”, spiega Michael Smithson, professore della Research School of Psychology.
“Per assaporare l’autentica libertà personale hai bisogno di non conoscere alcune parti della tua vita presente e futura. Se tutto è già scritto per te, se sai già come andrà a finire, sei meno libero di compiere delle scelte e di prendere decisioni”, afferma lo studioso. E proprio per rimpiazzare quel “vuoto” si accendono in noi la curiosità e la creatività: ecco perché soprattutto gli artisti, gli artigiani, gli scienziati e gli imprenditori dovrebbero accogliere l’ignoranza e riempirla di nuove idee. “C’è sempre qualcosa che ignoriamo, altrimenti non avremo nulla da scoprire”, aggiunge Smithson.
Per aiutare le persone a scoprirsi (felicemente) ignoranti, il professore ha lanciato il corso online gratuito “Ignorance!”, il cui sottotitolo recita: “Scoprite cosa è l’ignoranza, come nasce, cosa ci si può fare e il suo ruolo nella società e nella cultura”. Analizzando anche il lato negativo che porta al razzismo e al pregiudizio, ciò che vuole fare con il sito è soprattutto combattere contro lo stereotipo della persona ignorante e perciò da denigrare: “L’ignoranza è in ognuno di noi. È rilevante in ogni disciplina e professione, nella vita di tutti i giorni”. E conviene: “Immaginate di sapete la trama e il finale del vostro libro prima di leggerlo. O di sapere già quale sarà il vostro regalo di compleanno o di Natale”. Nessuno, assicura il professore, accetterebbe mai un “affronto” simile.

domenica 29 maggio 2016

MEGLIO RICORDARE LE VITTIME DEL GRAPPA CHE ALBERTAZZI

Il redazionale di Contropiano(http://contropiano.org/documenti/2016/05/29/giorgio-albertazzi-fascista-non-pentito-079768 )parla del trattamento usuale che viene dato ai morti famosi dove si tende sempre ad addolcire la pillola sulla loro vita passata nel caso questa sia stata segnata da fatti degni di infamia e di ambiguità.
E la morte dell'ex sottotenente fascista Giorgio Albertazzi divenuto famoso come attore soprattutto teatrale,di scheletri nell'armadio ne aveva parecchi e mai si è pentito del suo passato di rastrellatore al fianco degli invasori nazisti in azioni che contribuirono alla cattura ed alla fucilazione o impiccagione di 171 persone in quello che divenne il tristemente famoso"Rastrellamento del Grappa"avvenuto nel settembre del 1944 ai tempi della repubblica di Salò,oltre alla morte di altri 300 partigiani che caddero durante gli scontri.
Quindi più che ricordare questo nemico dell'Italia e degli italiani sarebbe meglio ricordare i morti che ha avuto sulla coscienza ma di cui mai si è pentito:a contributo anche questo documento su quello che avvenne nella zona del Grappa ad opera dei nazifascisti(http://docplayer.it/7718591-Voglio-concludere-con-il-messaggio-che-ci-viene-da-due-testi-poetici-di-due-grandi-scrittori-del-novecento.html ).

Giorgio Albertazzi,fascista non pentito.

di redazione Contropiano.
Come spesso accade in Italia, la morte di un personaggio famoso, di un personaggio pubblico, viene accolta con un colpo di spugna dal mondo dei media, dai giornali e dalle tv. Ogni volta è una gara a cancellare le vicende oscure della vita appena cessata e a incensare, santificare il personaggio in questione, appena venuto a mancare.
E’ stato il caso anche di Giorgio Albertazzi, deceduto pochi giorni fa. Sono stati davvero in pochi i ‘coccodrilli’ che hanno dato il giusto rilievo al passato fascista del “grande attore teatrale”. “Passato” fino ad un certo punto, visto quanto Albertazzi diceva di se stesso e della sua militanza nella repubblichetta mussoliniana di Salò. L’articolo che segue risale al 6 luglio 2006, e non ci risulta che negli ultimi 10 anni l’attore nato a Fiesole abbia dato segni di ravvedimento…

Giorgio Albertazzi, ex spalla dei nazisti continua a dire: non mi pento

Notte e nebbia. Più notte che nebbia. «Di che cosa dovrei pentirmi? Non amo il pentimento, un sentimento cattolico che disprezzo», così parla di sè Giorgio Albertazzi nel libro che Aldo Cazzullo ha appena pubblicato (“I grandi vecchi”, Mondadori). A sua discolpa, al massimo, aggiunge: «Un uomo è ciò che ha fatto, ma anche ciò che pensa». Più in là, due pagine dopo, si autoassolve: «Io avevo 18 anni, tiravo di boxe, ero forte e veloce. Partigiani in giro non ce n’erano, e devo dire che non ne ho mai visti, se non nella primavera del ’45».
Invece i partigiani li ha visti e molto molto da vicino. Era lui, infatti – il sottotenente Giorgio Albertazzi, insieme al sottotenente Prezioso e al comandante tenente Giorgio Pucci, responsabile della terza compagnia, 63° battaglione M – a guidare l’“operazione Piave”, il grande rastrellamento antipartigiano del settembre 1944 sul Grappa. I documenti erano lì, infilati in una busta “Tagliamento”, insieme alle carte di un processo intentato dal tribunale di Milano a 13 legionari dopo la Liberazione e sono stati resi noti ieri da una anticipazione della rivista MicroMega al Corriere dell Sera. Giorgio Albertazzi c’era.
“I battaglioni del Duce siamo noi, l’elite guerriera della Rsi con la emme (M) rossa”, già. Fu appunto uno di questi battaglioni, il 63°, a collaborare, entusiasticamente, dal 20 al 27 settembre 1944, ad una vasta operazione di rastrellamento messa in atto dai nazisti, che causò gravi perdite alle formazioni partigiane. Il battaglione, appartenente alla LegioneTagliamento, era formato da varie compagnie e una di queste, la terza, aveva per ufficiale proprio il sottotenente Giorgio Albertazzi. Tra il “bottino” di guerra, tre soldati inglesi fucilati e cinque “banditi” uccisi (tra essi il leggendario capitano Giorgi, cioè il comandante della brigata partigiana Italia Libera, Ludovico Todesco).
Albertazzi c’era, ha visto e fatto. Un incontro coi partigiani molto ravvicinato, cruento. I documenti sono autentici, di prima mano. Inconfutabili. Vengono direttamente dal “Diario” militare dello stesso 63° battaglione, Manoscritto firmato di pugno dal medesimo tenente Giorgio Pucci e conservato negli archivi militari, oggi il “Diario” è reperibile su Internet. «8 lunedì, dopo mezz’ora di ostinata e violentissima sparatoria la resistenza viene domata e i banditi lasciano sul terreno 11 morti. 9 martedì. Dopo una ostinata lotta durata circa mezz’ora veniva ucciso un bandito e catturati 8. Venivano pure catturate due donne, una delle quali moglie di un bandito, ed un renitente alla leva. Gli 8 banditi catturati vengono passati per le armi. 17 mercoledì. Alle 4,30 la 3a compagnia attacca in località Mottalciata le cascina Mondova e Caprera nelle quali risultavano asseragliati elementi ribelli»…
Su internet il “Diario” si arresta all’agosto 1944. Il seguito, gli ultimi sette giorni del sanguinoso settembre ’44, è stato appunto rinvenuto nella busta “Tagliamento” con gli atti processuali di Milano
A ritrovarli, cercando altre piste, è stata una studiosa di Vicenza, Sonia Residori, laureata in lettere, ricercatrice dell’Istituto sulla storia della Resistenza (del cui direttivo è membro) della stessa città, autrice di saggi e libri sulla storia delle donne e sulla demografia storica, (nel 2004 è uscito il suo volume, “Il coraggio dell’altruismo”, edizioni CR di Verona, nell’ambito della collaborazione con l’Istituto storico della Resistenza).
«Lavorando con Monica Lanfranco, ho indagato a lungo sul tema guerra e violenza sulle donne, guerra e stupri. Tra i campi di questa ricerca, appunto, l’operato della legione Tagliamento in azione sul Grappa nell’utima guerra, ivi inclusi le Brigate Nere e i battaglioni M, responsabili del terribile rastrellamento che dal 20 al 27 settembre 1944 ha avuto luogo in quella zona. Il nome di Albertazzi è uscito per caso, lui comandava il 2° plotone della 3° compagnia. Ma io volevo solo documentare quello, di quanto gli italiani si sono sporcate le mani qui sul Grappa». Solo a Bassano del Grappa, dice Sonia Residori, «i deportati sono stati 300-400 e i fucilati o impiccati 170».
La sua ricerca, corredata di allegati e documenti sulle gesta della 3° compagnia Battaglione M del sottotenente Albertazzi, uscirà sotto forma di libro in ottobre con il titolo “L’aristocrazia vicentina di tutte le guerre”, sempre per le edizioni CR di Verona.
Nel libro citato, Aldo Cazzullo scrive che «Albertazzi è molto attento alle sue parole. Anni fa, racconta, è accaduto che fossero strumentalizzate. “Militanti di Rifondazione mi contestarono chiamandomi fucilatore non pentito. Io non mi pento di quanto ho fatto. A maggior ragione non mi pento di quanto non ho fatto. E io non ho fucilato nessuno”».
Il Diario del 63° lo inquadra in una luce diversa. Lui c’era, quando si fucilava. E forse farebbe bene a pentirsi, cristianamente o meno. O almeno a “capire” quel tragico passaggio in cui incorse la sua gioventù (sul quale peraltro nessuno è disposto a fare sconti).
O forse gli fa ombra la memoria, gli fanno velo i fantasmi malamente rimossi del passato, non ricorda o forse mente? Nella intervista a Cazzullo con molta baldanza nega di avere mai visto i cosidetti partigiani, né da vicino né da lontano. Nella sua autobiografia – “Un perdente di successo” – pubblicata da Rizzoli nel 1988, invece afferma, testuale: «Forse non dovrei dirlo, non sta bene!, ma io i partigiani li ho sempre visti scappare, le poche volte che li ho visti» (brano riportato anche dal “Corriere della sera” di ieri).
Farebbe bene a pentirsi. Farebbe bene a raccontare la realtà nuda e cruda: sono stato un fucilatore (o tra coloro che comandavano i fucilatori). E lui che non ha avuto nemmeno la “bella morte” – quella che, si dice, in nome del duce andavano cercando quelli come lui – ha preferito darsela: «Dopo il 25 aprile, riparai ad Ancona…, dove misi in scena pièce sul Primo maggio e sui repubblicani spagnoli, sotto il falso nome di Glauco G. Albe, per sfuggire alle reti dell’epurazione».
“Battaglioni del duce siamo noi”, già. Giovanni Pesce è francamente indignato. «Si dovrebbe vergognare. E almeno sentire il dovere di tacere. Egregio signor Albertazzi, i partigiani non scappavano, combattevano, morivano con le armi in pugno e non cedevno nemmeno davanti ai plotoni di esecuzione comandati dai “ragazzi di Salò”.

Fonte: http://www.marx21.it/component/content/article/42-articoli-archivio/11385-giorgio-albertazzi-ex-spalla-dei-nazisti-continua-a-dire-non-mi-pento.html#sthash.OBTjfgui.feKjL5oJ.dpuf

LO STATO E I CONTI PUBBLICI DEI COMUNI

I due articoli proposti da Senza Soste anche se temporalmente sono stati pubblicati a distanza di parecchi mesi tracciano un profilo sulle privatizzazioni che si equiparano comunque tenendo conto di alcuni cambi in corsa che il governo ha apportato,naturalmente in peggio.
Perché negli ultimi anni tutti i comuni italiani,chi più e chi meno,hanno dovuto far fronte a tagli lineari che lo Stato ha imposto,oltre a bilanci condizionati pesantemente dal patto di stabilità che quest'anno è stato superato e che ha fatto respirare di più le ragionerie e le tesorerie comunali.
Quello che è stato detto nel corso degli ultimi anni secondo cui la privatizzazione di beni e servizi erogati dai comuni come ultimo tassello della macchina centrale di Roma sia stato un passaggio obbligatorio è una bugia bella e buona.
Infatti,parlando anche dell'esperienza di Crema,se da un lato la razionalizzazione delle aziende pubbliche e di quelle partecipate sia stato un dovere,dall'altro si poteva scegliere sia la gestione in house che un proseguimento o un inizio di un misto tra pubblico e privato e sia il privato vero e proprio con l'indizione di bandi.
Tenendo conto che le amministrazioni hanno voluto far credere che l'ultima soluzione era stata praticamente l'unica via imposta dallo Stato,come detto fatto non veritiero,in certi casi non vi è stato presente nemmeno un bando di gara(vedi per esempio a Crema con il caso Lgh-A2A ora sotto la lente d'ingrandimento dell'antitrust per questo motivo).
L'ultimo decreto Madia ha fatto si che se un comune avesse deciso di gestire beni e servizi in house,per conto suo e pubblicamente,avrebbe dovuto dimostrare che i privati non sarebbero stati in grado di svolgere lo stesso compito in maniera migliore.
Quindi la frase dell'immagine sopra è molto più che lo specchio della realtà che si sta vivendo in Italia,lo Stato taglia,le amministrazioni sono con l'acqua alla gola e la privatizzazione è servita su un piatto d'argento,questi i links:http://www.senzasoste.it/nazionale/uragano-madia-sui-bilanci-comunali e http://www.senzasoste.it/politica/l-impossibile-economia-pubblica .

Uragano Madia sui bilanci comunali. 
Con i nuovi decreti, i Comuni sono braccati e costretti a privatizzare, dovendo giustificare perché non affidano al privato i servizi essenziali. 
 
Tra le ultime settimane del 2015 e le prime del 2016 gli enti locali sono stati investiti dal combinato di nuove norme, derivanti dai decreti attuativi Madia e dalle nuove leggi sul bilancio comunale, che sono destinate ad incidere sulla vita economica dei territori. Dunque, di riflesso, sulla vita sociale. Si tratta quindi di entrare nella logica di questo combinato di norme. Spesso infatti si insiste molto, quando si parla di questi temi, sulla citazione della lettera della legge in sé, invece che sulla logica che la muove. Oppure si prende per buono il marketing delle leggi - che le vuole innovative, eque e socialmente progressiste - o, per analizzarle, si importa acriticamente il linguaggio del mondo delle professioni. Come se un linguaggio tecnico fosse, di per sé, non solo neutro ma anche infallibile. Allo stesso tempo si fa spesso l’errore di pensare una legge come qualcosa in grado di incidere in modo coerente sul piano sul quale legifera, di plasmarlo secondo la propria volontà. Non è così, basta ricordarselo per capire dove portano davvero certe leggi. Analizziamo quindi sinteticamente cosa accade, con il testo unico Madia e le nuove leggi sul bilancio comunale, alle partecipate e alle amministrazioni locali.
Panorama
Con gli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, molte essenziali funzioni pubbliche di servizio e di assistenza sono passate dallo stato centrale agli enti locali regionali e territoriali. Lo sviluppo di un sistema di tassazione locale, nello stesso periodo, è stato funzionale proprio a questo passaggio. Come è naturale in questi casi attorno alla crescita, mai organica o coerente, di queste funzioni, si è sviluppata un’economia (di servizi, di fornitori, di consulenze, di vere e proprie esternalizzazioni, di offerta di prodotti finanziari). Funzionalità e disfunzionalità di questi processi erano regolate da una precisa dinamica: quella di una economia locale governata da fondi pubblici e da quelli privati che gli ruotavano attorno. Servizi comunali, rete di istituzioni locali, aziende partecipate, rappresentavano la struttura politico-amministrativa di questo genere di economia. Il modello è entrato in crisi per due fattori: il primo, all’inizio strisciante poi dirompente, è quello della finanziarizzazione dell’economia. Per cui la guida dell’economia, deve passare dalla finanza pubblica a quella privata. Finanza che si crea un ruolo proprio nel declino degli interventi pubblici. Per cui gli enti locali diventano sempre più un’opportunità di privatizzazione e sempre meno questione di servizi da erogare. Il secondo è dovuto alla crisi del 2008 che impone ancora oggi, a livello continentale, di usare i fondi pubblici per stabilizzare le banche togliendo risorse alle istituzioni. E, nel 2011, direttamente nella lettera dei banchieri centrali al governo italiano, sono proprio gli enti locali ad essere indicati come i soggetti da privatizzare. Non è un caso che esca, in quel periodo, il patto di stabilità come definito dalla legge 118/2011, quello che blocca investimenti e spese dei Comuni. Lo scorso anno il sindaco (Pd) di Lido di Camaiore, dalle colonne del Tirreno indicava il corpo di leggi e norme del patto di stabilità come un qualcosa che impediva la funzione fondamentale assegnata ai Comuni dalla Costituzione: indirizzare lo sviluppo dell’economia locale. Senza risorse, in effetti, impossibile dargli torto.
L’economia di gruppo del pubblico e del privato: la logica delle trasformazioni
I decreti Madia, che riguardano la riforma dell’amministrazione nel suo complesso, e le nuove disposizioni sul bilancio (la legge 125 del 2015 ma anche le disposizioni contenute nella legge di stabilità e nel milleproroghe) non sono materia che va intesa come pura misura contabile. Ma come misure che intervengono su una logica che si è consolidata negli anni: espellere l’intervento pubblico nell’economia locale, anche attraverso l’economia generata dall’erogazione dei servizi, quindi contrarre i bilanci. Generando quello che lo stesso Fmi chiamerebbe moltiplicatore fiscale negativo: ovvero una diminuzione del Pil locale maggiore delle risorse economiche “liberate” dai tagli. Ma a quale tipo di economia guardano i decreti Madia e e le nuove norme sul bilancio? All’economia di gruppo del pubblico e del privato. Per l’economia di gruppo, già guardando allo storico testo Economia dei gruppi e bilancio consolidato (Marchi-Zavani, Giappichelli, 1998) si capisce la logica che si vuol favorire: l’implementazione del bilancio consolidato, già sperimentale negli anni scorsi, di una amministrazione comunale come gruppo (Comune più partecipate, per capirsi). In modo da tagliare risorse, personale, investimenti nella sinergia delle componenti di tale gruppo. E più si taglia (innumerevoli sono le storie di tagli negli accorpamenti da economia di gruppo), più si deprime l’economia locale. Favorendo però un altro tipo di economia di gruppo: quella privata. Il testo unico Madia sui servizi pubblici, approvato il 26 febbraio, è infatti meno “privatizzante” della bozza entrata nel Consiglio dei Ministri il 20 gennaio ma introduce un principio molto importante. Quello che vuole che il Comune che intenda affidare servizi in house o ad azienda speciale, debba giustificare il mancato ricorso al privato. In poche parole siamo al rovesciamento, e al peggioramento della già privatizzante logica della sussidiarietà: là dove si voleva che il privato intervenisse dove il pubblico non disponeva di risorse, oggi il pubblico deve dimostrare di fare il privato meglio del privato. Altrimenti il servizio deve essere affidato al privato. E il privato in grado di fornire servizi a prezzi concorrenziali è quello pienamente inserito nell’economia dei gruppi: si pensi alle multiutility. Si capisce quindi cosa avviene promuovendo un’economia dei gruppi sui territori: si deprime doppiamente l’economia territoriale, con il pubblico che fa gruppo per risparmiare, con il privato che entra nell’economia delle partecipate con la logica, tipica dell’economia dei gruppi privati, dell’economia di scala che può permettersi il massimo ribasso.
Nuove leggi sul bilancio nella vita dei Comuni e testo unico Madia
A questo punto diventa comprensibile la logica economica delle nuove regole per il bilancio delle amministrazioni comunali, quello definito dall’ultima legge di stabilità. Non a caso il bilancio 2016-2018 è un bilancio consolidato di gruppo e non della semplice amministrazione comunale. In alcuni Comuni, tra cui Livorno, lo era già, in termini sperimentali, da qualche anno. Ma oggi, a differenza del passato, il bilancio di gruppo non è una fotografia di quello che accade ma un documento che vincola l’intero gruppo al pareggio di bilancio complessivo entro il 2018. Le partecipate quindi devono contribuire all’obiettivo di pareggio di bilancio entro quel periodo. A quel punto possono entare in gioco le leggi Madia: un Comune “inefficiente”, non in grado di fare meglio del privato dovrà alienare alcuni servizi. E così il cerchio si chiude: le nuove leggi di bilancio forzano, quanto possibile, il pareggio di gruppo, il testo unico favorisce le alienazioni dei servizi “inefficienti”. Per i Comuni gli anni difficili saranno dal 2017 in poi visto che, per quest’anno, è previsto l’allentamento del patto di stabilità. Ma già da quest’anno ci sono difficoltà: ci sono già nel 2016 restrizioni alla spesa corrente (stima Legautonomie Toscana), c’è il minor trasferimento di risorse dello Stato centrale, e il limite del 25 per cento alla reintegrazione degli organici pone difficoltà serie di funzionamento agli uffici in servizi sempre più complessi. Senza contare che l’autonomia impositiva dei Comuni viene azzerata. Per cui diviene impossibile prelevare ai più ricchi per redistribuire con una politica di tassazione locale. In questo modo il bilancio di gruppo dei Comuni deve essere per forza restrittivo, come accade nei magazzini dei bus quando l’economia di “gruppo” significa prendere pezzi da un autobus, cannibalizzarlo e fare funzionare i rimanenti. Mentre il privato che ha l’economia di scala a proprio favore, grazie alla finanziarizzazione dell’economia stessa, può intercettare tutti i servizi che ritiene profittevoli. Mentre il Pil locale si deprime. Visto che la contrazione del pubblico sgonfia l’economia locale, mentre il privato che arriva nutre l’economia privata di scala, non quella territoriale. Madia e bilancio sono quindi strumenti tecnici di queste dinamiche. Il resto è per i retori dell’efficienza, della legalità e della “lotta agli sprechi”. Quella che non ammetterà mai la verità: lo spreco, in queste leggi, siamo noi e i servizi ai quali abbiamo diritto.
Pubblicato sul numero 114 (aprile 2016) dell'edizione cartacea di Senza Soste
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
 
L’impossibile economia pubblica
Il paradosso ideologico dell’articolo 81 della Costituzione di fronte al nuovo ciclo di privatizzazioni
 
L’approvazione del nuovo articolo 81 della Costituzione, avvenuta con il consenso di tutto l’arco parlamentare nel maggio 2012, è all’origine del nuovo paradossale ciclo di privatizzazioni dei restanti lembi di economia pubblica italiana. Nel giro di pochi mesi sono state privatizzate Poste e Ferrovie (quest’ultime ancora in corso di privatizzazione), gli ultimi due colossi economici ancora di proprietà statale, senza che nessuno abbia avuto da ridire e anzi con il benestare di tutte le forze politiche. Le stesse che da anni spingono per la definitiva privatizzazione di tutta l’economia “municipalizzata”, quella cioè legata ai servizi pubblici comunali. E questo per l’ormai dichiarato motivo per cui se tra ceti politici c’è una lotta allo spodestamento del gruppo concorrente, socialmente tutti i “rappresentanti” politici in parlamento condividono lo stesso modello economico, il liberismo, nelle sue vesti corporative (centrodestra) o transnazionali (centrosinistra). Se però nel precedente ciclo di privatizzazioni, tra la metà degli anni Novanta e i primi Duemila (sempre inequivocabilmente a trazione centrosinistra, tanto per non confondere i protagonisti in campo), le giustificazioni erano sostanzialmente di due tipi: da una parte “fare cassa” con la vendita di determinati beni pubblici; dall’altra migliorare l’efficienza delle imprese sottratte al controllo statale, oggi è intervenuta una nuova e più sottile opera di convincimento: la privatizzazione è la soluzione al problema degli investimenti produttivi, investimenti impossibilitati allo Stato per via del “debito pubblico” o dei “vincoli europei” (qui, quo e qua per rendersi conto di cosa parliamo, ma ancora qui). Ci troviamo di fronte però ad un paradosso zenoniano, stranamente poco rilevato da chi vorrebbe opporsi al governo Renzi. Secondo tutti gli analisti economici, l’unico modo per far ripartire la domanda e dunque l’occupazione è quello di far ripartire gli investimenti. Questi però sono vietati costituzionalmente, visto che l’articolo 81 impone allo Stato (ad ogni livello amministrativo, dal governo alle regioni ai comuni) il pareggio di bilancio quindi vieta deficit economici. L’investimento è però, per definizione, una spesa anticipata, investita – per l’appunto – dunque è una forma di deficit economico. Se però questo è vietato legalmente, l’unica possibilità d’investimento non può che provenire dal settore privato. Tale paradosso è riproposto a giustificazione di ogni processo privatizzante. Ad esempio, la giunta Marino (quello di sinistra, il menopeggio, paladino dei sinceri antifascisti e oggi dei nostalgici del Pds) ne ha fatto un punto dirimente della propria vicenda politica capitolina. Il sillogismo è (apparentemente) lineare: i servizi di Ama e Atac vanno migliorati, per migliorarli bisogna investire molto denaro, il Comune di Roma non può investire perché non può fare deficit, dunque l’unica soluzione è vendere (Esposito in alcune riunioni aveva parlato addirittura di regalare) ai privati. Non fa una piega. E’ chiaro che se si ragiona solo a valle del ragionamento (i servizi – o più in generale l’economia – pubblica va migliorata nel quadro condiviso imposto dall’articolo 81), l’unica soluzione diventa quella di svendere il più possibile tutte le aziende pubbliche ai privati. Anzi, sempre partendo dalla fine, appare sensata anche la provocazione di Esposito: se l’unico modo per migliorare il servizio è l’investimento privato, meglio regalare le aziende che farle pagare, almeno si liberano risorse per ulteriori investimenti. Evidentemente il discorso va preso a monte, all’origine del cambio di paradigma politico che ha derubricato il senso della nostra Costituzione, perché altrimenti il paradosso di Esposito rischia di apparire condivisibile, e infatti così appare per vasti strati di opinione pubblica ormai convinti che l’unica soluzione per riattivare gli investimenti sia la privatizzazione generale dell’economia.
Come rilevato lucidamente da Vladimiro Giacché nel suo ultimo libro, il senso complessivo degli articoli fondamentali della nostra Costituzione, che di fatto hanno impresso una direzione al nostro sviluppo economico, è quello per cui lo Stato si impegna attivamente alla rimozione degli ostacoli di ogni tipo all’eguaglianza dei cittadini. A tal fine ha imposto (non consigliato o raccomandato, ma sancito obbligatoriamente) la persecuzione di precisi diritti individuali e collettivi (i vari diritti inviolabili: salute, istruzione, lavoro, associazione, domicilio e via dicendo). Tali diritti non rispondono a logiche economiche, vanno assicurati a prescindere. Le aziende statali che in qualche modo hanno a che fare con i diritti inviolabili dell’uomo sanciti in Costituzione hanno come obiettivo allora quello di assicurare il determinato servizio, non di produrre profitti. La questione, di per sé ovvia nella Prima repubblica, ha subito un rovesciamento con il graduale processo di “managerializzazione” dei dirigenti pubblici. Di colpo l’obiettivo prioritario delle aziende pubbliche non è stato più quello di assicurare un servizio (d’altronde già pagato dalle tasse), ma realizzare un margine economico, cioè migliorare i conti aziendali cercando di produrre profitti. Questo fatto oggi viene dato per assodato ma così non è, perché mentre un impresa privata non opera(va) nel campo dei diritti fondamentali dell’uomo, le aziende pubbliche (o alcune di esse), garantiscono proprio quei diritti. Le ferrovie, le autostrade e i trasporti pubblici urbani riguardo al diritto allo spostamento; le Poste per il diritto alla corrispondenza e alla comunicazione; le aziende dell’energia (ad esempio l’Enel), per l’assicurazione dei servizi legati alle utenze di vario tipo, e così dicendo per ogni ramo dell’economia pubblica. In altre parole un servizio va (andava) garantito anche se questo fosse in perdita, perché appunto legato ad un diritto. Se però il paradigma viene ribaltato e al centro viene posto l’equilibrio dei conti e il possibile profitto, gli unici servizi possibili divengono quelli economicamente sostenibili, mentre quelli che non lo sono vengono automaticamente tagliati. In aggiunta, proprio in funzione del “miglioramento dei conti”, si è proceduto nel tempo ad un innalzamento vertiginoso delle tariffe legate ai vari servizi. In questo senso risulta esemplare la risposta data a Susanna Tamaro da Mauro Moretti, ex ad della Ferrovie. Alla scrittrice, lamentandosi della mancanza di collegamenti tra alcune città italiane, veniva risposto che “in Friuli Venezia Giulia non c’è mercato e non investiamo”. In tale frase è racchiusa la rivoluzione copernicana avvenuta nel nostro paese (ma più in generale in tutta Europa), tra diritti inviolabili e risultato economico. Si investe dove c’è mercato, si tralascia il resto. Per cui oggi è più confortevole viaggiare tra Roma e Milano col Freccia Rossa piuttosto che l’interregionale degli anni Ottanta, ma quello che era un diritto (a spostarsi lungo tutto il territorio nazionale), è divenuto un privilegio (i prezzi del servizio escludenti gran parte della popolazione), e soprattutto il prezzo del miglioramento di una tratta viene pagato abolendo le tratte meno redditizie, impedendo fisicamente gli spostamenti a chi risiede lontano dai maggiori centri urbani del paese.
Arrivando ad oggi, la situazione paradossale, come dicevamo, è dunque questa: lo Stato per riattivare la domanda dovrebbe investire ma lo stesso Stato è impedito ad investire da una norma costituzionale votata da tutta la politica nazionale (pure dai malpancisti keynesiani, dai possibilisti, dai leghisti, eccetera). In un quadro del genere, bloccato dal pareggio di bilancio, l’unica politica di investimenti possibile è quella del settore privato, e questo è il motivo alla base dell’assuefazione generale, della rassegnazione, alla privatizzazione inevitabile. Meglio un investimento privato che nessun investimento, è il sillogismo introiettato dall’opinione pubblica, in questo facilitata dal pensiero unico politico-mediatico. E’ un escamotage retorico che sterilizza ogni credibilità di un opposizione alle privatizzazioni, perchè apparentemente entra in contraddizione con una politica di investimenti che è la sola opzione al ritorno all’occupazione. E’ allora uno dei terreni da cui ripartire, dalla radicale riformulazione dell’articolo 81 della Costituzione, e questa dovrebbe essere una delle pregiudiziali attraverso cui testare l’alternativa tra le varie proposte politiche in campo.
6 dicembre 2015

sabato 28 maggio 2016

EDUARDO GALEANO E IL MERCATO

12990843_10207238696223835_893102136779110817_n
Breve commento ad un pezzo tratto da "Il Manicomio" di Eduardo Galeano e che parla del mercato visto come l'indice mondiale della paura che i vari attori del potere sventolano al popolo nel caso di guerre e di carestie,di povertà,di propagande di regime,del capitalismo e di tutto quello che fa arretrare l'umanità dal punto di vista sociale ed economico(http://contropiano.org/corsivo/2016/04/13/hasta-luego-eduardo-077838 ).
Quasi poesia più che prosa queste poche righe scritte da una delle firme più autorevoli che il continente Sudamericano abbia mai avuto l'onore di avere tra le sue fila,morto l'anno scorso nel suo Uruguay(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2015/04/la-morte-di-eduardo-galeano.html ).

Hasta luego,Eduardo.

di Eduardo Galeano
Hasta luego Eduardo … (Montevideo, 3 settembre 1940 – Montevideo, 13 aprile 2015)
“Ma il vero autore del panico planetario si chiama Mercato.
Questo signore non ha nulla a che vedere con l’indimenticabile luogo del quartiere dove si va in cerca di frutta e verdura. E’ un onnipotente terrorista senza volto, che sta in ogni luogo, come Dio, e crede di essere, come Dio, eterno.
I suoi numerosi interpreti annunciano: “Il Mercato è nervoso”, e avvertono: “Non bisogna irritarlo”. Il suo frondoso manuale criminale lo rende temibile. Ha trascorso la vita rubando il cibo, assassinando lavori, sequestrando paesi e fabbricando guerre. Per vendere le sue guerre, il Mercato semina paura. E la paura crea il clima. La televisione si occupa del fatto che le torri di New York tornino a crollare ogni giorno. Cos’è rimasto del panico all’antrace? Non solo un’indagine ufficiale, che poco o nulla ha accertato su quelle lettere mortali: è rimasto anche uno spettacolare aumento del bilancio militare degli Stati uniti. E i milioni che quel paese destina all’industria della morte non sono una caruncola di tacchino. Appena un mese e mezzo di queste spese basterebbe a cancellare la miseria dal mondo, se non mentono le cifrette delle Nazioni unite.
Ogni volta che il Mercato invia un ordine, la luce rossa dell’allarme lampeggia nel “pericolosometro”, la macchina che converte tutti i sospetti in evidenza. Le guerre preventive uccidono in base ai dubbi, non alle prove.”
Eduardo Galeano, Manicomio

MA QUANTO CI SONO COSTATI(E CI COSTERANNO)I MARO' ASSASSINI?

Il breve contributo postato oggi preso da La Stampa(http://www.lastampa.it/2016/05/27/italia/cronache/caso-mar-girone-torna-in-italia-sabato-pomeriggio-I3zSNC9XWdMD2wTIHAM7YJ/pagina.html )è così in quanto il rientro dell'assassino Salvatore Girone,che assieme a Massimiliano Latorre già in Italia per motivi di salute,che sono i due militari della marina italiani responsabili diretti della morte dei due pescatori indiani Valentine Jelestine e Ajesh Binki,non merita molto più spazio di quello che hanno avuto in quattro anni.
Meglio parlare proprio di quello che in molti hanno chiamato gli "effetti collaterali" di questa vicenda,proprio i due pescatori del Kerala che hanno perso la vita e che hanno segnato veramente nella loro esistenza due famiglie,voglio parlare anche delle gite dei parlamentari italiani a New Delhi,di tutti i soldi pubblici spesi in tribunali,avvocati,vitto e alloggio presso la nostra ambasciata,di tutto il fango sparso sull'India e sul popolo indiano,sul modo di fare giornalismo spietato e a senso unico dei mass media italiani con pochissime eccezioni.
E stiamo pronti a questi due che faranno comparsate in tv spaziando da Porta a Porta a Domenica Live,contesi tra Vespa e la D'Urso,pronti a scendere in politica,pronti a venire onorati(perché si sa che in Italia chi sbaglia viene decorato dai tempi di Cocciolone & Bellini ai macellai di Bolzaneto)e glorificati già da oggi con la presenza a Ciampino all'arrivo di Girone che verrà accolto da due ministri mentre a ricordare la strage di Piazza della Loggia(anche per fortuna)non ci saranno personalità rappresentative dello Stato che ha insabbiato e deviato le indagini(e forse ci sarà risparmiata almeno l'esibizione alla parata del 2 giugno festa della Repubblica).
Tutto questo per ricordare che io sono dalla parte dei pescatori indiani e dell'India che si è comportata fin troppo bene con i due marò concedendogli la prigione dorata in ambasciata,il rientro di Latorre per motivi di salute e questo di Girone per obbedire alla decisione del tribunale arbitrale dell'Aia e a quella successiva della corte suprema indiana.
Leggi anche questo:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2013/01/noneroima-errori.html .

Marò, attesa per il rientro di Girone in Italia.

Il fuciliere di Marina è atteso a Ciampino verso le ore 18. Ad attenderlo la Pinotti.

Il fuciliere di Marina Salvatore Girone riabbraccerà i familiari. Il marò ha lasciato New Delhi a bordo di un volo della Etihad Airways diretto ad Abu Dhabi e il suo arrivo è previsto per oggi, sabato, intorno alle 18 a Ciampino. Ad accoglierlo ci saranno i ministri degli Esteri Gentiloni e della Difesa Pinotti.

Dopo l’autorizzazione concessa giovedì dalla Corte Suprema indiana, Girone ha ottenuto un Exit Visa da parte delle autorità indiane che gli ha consentito di lasciare il Paese, accompagnato dall’ambasciatore d’Italia Lorenzo Angeloni.

LEGGI ANCHE:
- Il marò torna a casa con il cane Argo: “E’ stato fondamentale nella solitudine”

- La tentazione: i due in parata il 2 giugno. Renzi ci ripensa, troppe polemiche

venerdì 27 maggio 2016

IL FEELING TRA REGIONE LOMBARDIA E NEONAZISTI

L'articolo a firma di Saverio Ferrari pubblicato oggi da"Il Manifesto"(http://ilmanifesto.info/il-fascismo-non-e-unopinione-e-un-crimine/ )richiama l'ultimo vergognoso raduno avvenuto a Caidate(Va)che ha visto estremisti neonazisti di una comunità militante di stronzi parlare liberamente ad un tavolo con una bandiera svasticata affissa al tavolo.
La foto che li rappresenta è questa così tanto per informare che se vedrete queste merde in giro attenzione che sono pericolosi e armati e naturalmente girano in branco perché presi uno ad uno non so se riuscirebbero ad essere così convincenti sia fisicamente ma soprattutto cerebralmente.
Comunque l'articolo è una forte denuncia alla regione Lombardia e a Milano in particolare per tutte le volte che hanno permesso più per complicità che per indifferenza spazio a questi vigliacchi addirittura concedendo onorificenze e privilegi,e vi sono elencati esempi di infamia che in un paese normale non sarebbero minimamente tollerati(in Germania per esempio se ne starebbero tutti in galera immediatamente).

Il fascismo non è un’opinione, è un crimine .

La petizione.
Lanciata su change.org e trasferitasi poi nelle piazze, è in corso in Lombardia la campagna di raccolta firme per mettere fuori legge le organizzazioni neofasciste e neonaziste. La Regione guidata dal leghista Maroni è ormai tra le principali mete europee di incontri, raduni e concerti dei nuovi seguaci di Hitler e di Mussolini. Il prossimo oltraggio a Milano, domenica 5 giugno, con il torneo di calcetto promosso da Lealtà azione .

Basterebbe partire dalla sponsorizzazione di lunedì 17 maggio del torneo di calcetto promosso dal gruppo neofascista di Lealtà azione, previsto per domenica 5 giugno a Milano, nel giorno stesso in cui la città è chiamata al voto per il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale. Stiamo parlando della regione Lombardia guidata dal leghista Roberto Maroni.
Ancor prima, nell’aprile del 2012, in occasione di un raduno di reduci repubblichini, la stessa giunta fece pervenire una corona di fiori al cimitero Maggiore che fu beffardamente, come riportato dal Corriere della Sera, posta a fianco di un’insegna delle SS.
Sta anche in questi atti una delle ragioni non secondarie per cui la Lombardia si è progressivamente collocata a livello europeo come meta di incontri, raduni e concerti di ispirazione neonazista. Quasi impossibile ricordarli tutti, dalla “festa” del 20 aprile 2013 a Malnate (Varese) per il “compleanno” di Adolf Hitler all’incontro del 15 giugno dello stesso anno a Rogoredo, promosso dagli Hammerskin con gruppi neonazisti da tutta Europa, al convegno milanese di Casa Pound con Alba dorata del 15 marzo 2014, al concerto nazi del 1° novembre dello scorso anno a Trezzano, con arrivi da Germania, Austria e Finlandia, al meeting internazionale di Forza nuova a Cantù a metà settembre dello scorso anno, con organizzazioni europee antisemite, al festival nazionale di Casa Pound a Castano Primo, sempre lo scorso settembre, all’Hammerfest 2015 del 28 novembre passato. Ultimo, in ordine di tempo, un convegno il 20 maggio promosso a Caidate (Varese) dalla cosiddetta «Comunità militante dei Dodici raggi» (Do.Ra) con tanto di svastica al tavolo della presidenza.
Tra complicità e indifferenze
In alcune di queste occasioni si è addirittura giunti all’esibizione di gruppi musicali banditi nei Paesi d’origine. Un caso unico in Europa che ha fatto di questa regione un’enclave accogliente, grazie al mancato contrasto di questure e prefetture, secondo i nuovi dettami governativi volti a consentire lo svolgimento di qualsiasi manifestazione razzista o apologetica del fascismo, accompagnato dall’indifferenza di importanti amministrazioni comunali, vedi Milano. Il bilancio della giunta Pisapia, sotto questo profilo, è decisamente negativo.
In un crescendo, tra colpevoli silenzi, disattenzioni, ma anche alcune complicità, si è passati in novembre dall’iscrizione al Famedio, dove sono posti i nomi dei cittadini illustri di Milano, di Franco Maria Servello (il federale missino dei tempi di San Babila e dell’uccisione con una bomba a mano il 12 aprile 1973 dell’agente di polizia Antonio Marino nel corso di una manifestazione dallo stesso promossa), alla posa per la prima volta di una corona del Comune (grazie all’assessore Franco d’Alfonso) in omaggio dei caduti repubblichini al campo 10 del cimitero (dove giacciono anche le spoglie di diverse SS), allo scandaloso sfilare in ordine militare sia il 24 che il 25 aprile, nel giorno della Liberazione, di folti gruppi di neonazisti nello stesso cimitero al grido di «Sieg Heil!». Mai nulla di simile in precedenza era accaduto.
Nelle strade e nelle piazze
Di fronte a questo evolversi, a partire dal dicembre scorso, un ampio arco di forze, composto tra gli altri da diverse sezioni dell’Anpi, dalla Fiom e dall’Arci di Milano, dall’associazione Dax e dal comitato Carlo Giuliani, dalle reti antifasciste di Brescia, Cantù, Cremona, Sondrio e Varese, da Memoria antifascista e dall’Osservatorio democratico sulle nuove destre, ha promosso su change.org una petizione popolare on-line («Per la messa fuori legge di tutte le organizzazioni neofasciste e neonaziste») rivolta al Presidente della Repubblica e ai presidenti di Camera e Senato per la messa fuori legge di tutte le organizzazioni neofasciste e neonaziste.
Lo slogan, «il fascismo non è un’opinione come le altre è un crimine», si ispira alla famosa frase di Giacomo Matteotti, assassinato dai fascisti nel 1924 dopo aver denunciato in Parlamento i brogli elettorali e le ruberie del nascente regime.
La campagna si è presto allargata al contributo di altri soggetti non solo lombardi e da aprile si è trasferita nelle piazze e nelle strade con banchetti e presidi superando a oggi complessivamente le 25 mila firme. Continuerà fino alla fine dell’estate. Alcune legittimazioni nella campagna elettorale in corso a Milano, dalla presenza di dichiarati neofascisti nelle liste della Lega alla disinvoltura del Pd, il cui segretario metropolitano, Pietro Bussolati, si è recentemente confrontato amabilmente con il candidato sindaco (Nicolò Mardegan) della lista sostenuta da Casa Pound (con buona pace del ministro Boschi), dicono della bontà e necessità di questa iniziativa.

UN PRESIDENTE DA BOCCIA(RE)

Dopo aver vinto la battaglia per la presidenza di Confindustria sul fil di lana contro l'altro candidato Alberto Vecchi,il neo vincitore Vincenzo Boccia è prevalso per una manciata di voti e ieri alla presenza di ministri e del Presidente Mattarella ha fatto il suo discorso d'insediamento.
Che non promette nulla di buono per i lavoratori ma anche per le piccole imprese che riassumendo il suo pensiero o si uniscono in maniera da crescere,possibilmente legandosi alle filiere delle multinazionali,oppure scompariranno.
Nonostante la presenza delle piccole imprese che sono l'ossatura della forza lavoro italiana e la gran maggioranza come percentuale numerica,rischiano di chiudere in numero sempre maggiore e di lasciare a casa migliaia di lavoratori visto l'intervento chiaro di Boccia ma anche l'azione delle banche che negli ultimi anni hanno negato liquidità verso queste realtà.
Renzi,che è stato messo al governo da Confindustria(così almeno disse Marchionne),da buon potente ma pure da buon cane si è sempre fatto prodigo per gli interessi dei grandi imprenditori italiani,vedi i suoi tour ultimi in medio oriente,ed infatti Boccia ha parole buone per il ducetto fiorentino e approva pienamente sia la politica del job act e sia le riforme costituzionali.
Articolo di Contropiano:http://contropiano.org/altro/2016/05/27/linquietante-cambio-passo-della-confindustria-079669 .

L'inquietante cambio di passo della Confindustria.

di Stefano Porcari
Il neopresidente della Confindustria, Boccia,  si è presentato ai suoi iscritti – imprenditori e prenditori di varia natura – con il primo discorso di investitura dopo la sua risicatissima vittoria alla guida dell’organizzazione padronale nel nostro paese. Due i passaggi che chiariscono il cambio di passo in corso: l’epoca della piccola impresa è finita (dunque addio per sempre a “il piccolo è bello”) e piede sull’acceleratore  per le riforme controcostituzionali  volute dal governo perché . A pag. 17 della sua relazione Boccia sottolinea che sono sei anni – dal 2010 – che la Confindustria chiede la modifica del titolo 5 della Costituzione e la fine del bicameralismo.
Il cambio di passo conferma la visione politica generale della Confindustria. Per le piccole imprese italiane, nel processo di concentrazione/gerarchizzazione produttiva in Europa non c’è più posto.  Quindi devono crescere e concentrarsi o morire, devono trovare il loro posto nelle filiere internazionali guidate dalle multinazionali (subendone tutte i ricatti) o chiudere, devono dare sufficienti garanzie alle banche o resteranno senza accesso al credito. Le banche appunto. L’unica critica è un invito a “visitare i capannoni e a non stare solo negli uffici”. Si realizza così davanti agli occhi dei Brambilla o degli eredi del made in Italy, lo scenario peggiore, da pochi intuito e da molti temuto. In un sistema industriale composto quasi al 90% da piccole imprese nate per aggirare lo Statuto dei Lavoratori o come proiezione naturale di migliaia di operai licenziati dalle grandi fabbriche e diventati “imprenditori di se stessi”, è come se il cielo fosse caduto sulla testa. Del resto sono i numeri a dire che dal 2007 a oggi migliaia di piccole e medie imprese industriali o dei servizi hanno dovuto chiudere i battenti, sia per la recessione sia per l’atteggiamento delle banche che, nonostante la liquidità a disposizione, hanno sistematicamente negato qualsiasi contributo alla tenuta o allo sviluppo del sistema industriale italiano. Non solo. Le uniche banche che in qualche modo – inclusi quelli truffaldini – avevano mantenuto un rapporto con il territorio (le cosiddette banche popolari), sono state messe alle strette. Liquidate, costrette a cercarsi una banca più grande alla quale aggregarsi.
In tutto questo, sia Boccia che l’ex di Confindustria diventato ministro – Calenda – hanno trovato la faccia tosta di riaffermare la necessità delle riforme istituzionali come urgenza per la ripresa. Quanto l’abolizione del Senato o la sua trasformazione in un baraccone di nominati possa incidere sul Pil resta ancora un mistero sul piano economico. Diventa più chiaro sul piano politico. La Confindustria vuole le mani libere su tutto, non solo sui licenziamenti, la riduzione dei salari, l’aumento dei ritmi di lavoro ma anche sulle procedure su cui si costruiscono i percorsi legislativi e i poteri decisionali. I padroni pensano ormai che è tempo di un cambiamento di paradigma sulle forze fondanti di questo paese e della Costituzione che si erano dati per ricostruirlo dopo le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale. Boccia e i suoi non hanno più in mente il “patto tra produttori” in cui sia lavoro che capitale contribuivano – scontrandosi o accordandosi – alla crescita del paese, ma hanno in mente un “patto tra proprietari” simile a quello statunitense, in cui sono i rapporti e le condizioni di proprietà a diventare prioritari e decisivi, sia sul piano economico che su quello ideologico, incluso l’accesso alla rappresentanza elettorale. Un ritorno all’indietro di almeno al secolo che manda in soffitta anche il suffragio universale.
Infine, ma non per importanza, è decisivo mettere a fuoco il presupposto di questo processo. Molti giornali oggi dicono che “la Confindustria di schiera con Renzi”. E’ un errore di visione clamoroso.  I termini vanno rovesciati. E’ Renzi che ha fatto e sta facendo quello che vuole la Confindustria, la European Round Table of Industrialists e le multinazionali. Del resto era stato Marchionne (uscito da una Confindustria diversa da quella di Boccia) a confermare che: “Renzi ce lo abbiamo messo noi”. Più chiaro di così! Per non suscitare inquietudini tutto lo chiamano “governance”, in pratica è un regime fondato su interessi ben definiti e organizzati: quelli dei ricchi.

giovedì 26 maggio 2016

POLIZIOTTI IMPUNITI PER L'OMICIDIO FERRULLI

Un aggiornamento triste sulla vicenda di Michele Ferrulli,il cinquantunenne attivista della lotta per la casa e contro gli sgomberi ammazzato da quattro poliziotti la sera del 30 giugno 2011(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/search?q=michele+ferulli )che vede i suoi aguzzini e assassini assolti dall'accusa di omicidio preterintenzionale dalla corte d'appello di Milano.
Ha ragione la figlia di dire che anche stavolta i giudici hanno deciso di non decidere di punire come giusto degli imputati in divisa con una condanna,l'ennesima della lunga lista delle morti dove sappiamo chi è Stato ma dove non si riesce ad arrivare ad una pena corrispondente al reato commesso ma che anzi in taluni casi si sono avuti avanzamenti di grado in carriera.
Un altro capitolo vergognoso di insabbiamenti e di omertà,di difesa della casta privilegiata degli appartenenti alle forze dell'ordine che non solo abusano del loro potere ma che trovano in giudici dalla mente corrotta la complicità per uscire puliti dai processi,sempre che ci si arrivi.
 
Caso Ferrulli: ancora impunità per la polizia.
 
La notizia può essere sintentizzata in una frase attraverso le parole della figlia di Michele Ferrulli, manovale di 51 anni morto mentre quattro poliziotti lo stavano ammanettando e picchiando.
Secondo Domenica Ferrulli i giudici "non hanno avuto il coraggio di condannare solo perché sul banco degli imputati c'erano quattro rappresentanti delle forze dell'ordine".
Michele Ferrulli è morto il 30 giugno 2011. Era stato fermato a Milano per degli schiamazzi notturni (dicono) e l'arresto veniva giustificato con l'oltraggio a pubblico ufficiale (fattispecie che, comunque, non prevederebbe l'arresto). Michele è stato gettato atterra, ammanettato e picchiato ferocemente fino a quando non ha avuto un arresto cardiaco fatale.
Oggi l'assoluzione da parte dei giudici della corte d'appello di Milano. Ancora una volta i tribunali danno assicurano l'impunità rappresentanti delle forze dell'ordine che “eccedono”. D'altronde la violenza (fisica o giudiziaria) della polizia è uno strumento fondamentale di controllo della popolazione e mantenimento dei privilegi per chi è al potere.
Nella situazione di impoverimento generale del paese le parole di Domenica Ferrulli colgono un aspetto importante, ovvero che le forze dell'ordine sono una casta privilegiata: non hanno subito nessun taglio ai bilanci e i singoli agenti godono di vergognosi privilegi economici (ne parliamo qua).
Ma il caso di Michele è l'ulteriore conferma che le forze dell'ordine hanno anche il privilegio di poter agire a proprio piacimento anche oltre la legge.

GLI SCIOPERI FRANCESI

L'articolo preso da Infoaut(http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/17110-proteste-contro-il-governo-in-francia-comincia-a-mancare-la-benzina )è di lunedì e racconta dei primi disagi dovuti allo sciopero contro la loi travail francese approvata con trucchi due settimane circa addietro(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2016/05/passa-col-trucco-la-loi-travail.html ).
In questi giorni la protesta è continuata ed i sindacati,i lavoratori e i manifestanti tra i quali una massiccia presenza di studenti,non solo non hanno fatto un passo indietro ma anzi hanno alzato il tiro e fare benzina in Francia ora è veramente difficile causa il blocco delle raffinerie ed ora c'è il forte rischio che pure le centrali nucleari possano chiudere o limitare la capacità di fornire energia di fatto paralizzando tutto il paese.
Di contro il governo sta imponendo alla polizia il pugno duro contro questi blocchi e contro le manifestazioni di piazza causando scontri violenti contro chi non vuole stare al giogo di un sistema capitalistico che toglie sempre più diritti alla classe lavoratrice francese.

Proteste contro il governo, in Francia comincia a mancare la benzina.

Dopo oltre due mesi di proteste il movimento contro jobs act francese non si ferma e continua con le azioni contro il governo di Manuel Valls.  Nessuno Oltralpe sembra essere cascato nella falsa promessa che si possano barattare diritti per avere posti di lavoro e il governo francese è sempre più in difficoltà. Da diversi giorni, su iniziativa dei sindacati CGT e Force ouvrière, sono cominciati i blocchi alle raffinerie e ai depositi di carburante per colpire l’economia fino al ritiro della contestatissima Loi Travail, sola possibilità che resta al movimento dopo decine di manifestazioni ignorate dai politici al governo. Se fin dall’inizio della protesta l’intenzione è stata quella di colpire politici e grandi imprenditori “dove gli fa male”, fino ad oggi il vero motore della protesta erano stati gli studenti delle scuole superiori e i partecipanti a Nuit Debout, l’acampada per il ritiro della legge. Negli ultimi giorni invece i sindacati sembrano essere usciti dal loro torpore e hanno organizzato decine di blocchi di raffinerie, porti e depositi di carburante. Sei delle otto raffinerie francesi sono bloccate in questo momento da scioperi o picchetti con effetti che iniziano a farsi sentire direttamente sulle pompe di benzina, per ammissione del governo almeno pochi giorni di blocco hanno già messo in difficoltà 1’500 stazioni di servizio e alcune prefetture del nord della Francia hanno cominciato a razionare l’accesso al carburante.
“Non c’è bisogno di dar fastidio ai nostri compatrioti con questi blocchi” ha dichiarato il primo ministro Valls facendo appello al senso di responsabilità dei manifestanti. Che la situazione inizi a preoccupare seriamente Valls e Hollande lo dimostra il pungo duro usato dalla polizia contro i blocchi. Anche se il governo ostenta tranquillità diverse centinaia di agenti in assetto antisommossa sono stati inviati a sgomberare i manifestanti. A Lorient, dove centinaia di portuali bloccavano un importante deposito di carburante, la polizia è intervenuta in forze nella giornata di venerdì per smantellare le barricate montate dai lavoratori facendo uso di lacrimogeni e manganelli. I manifestanti hanno risposto lanciando pietre e oggetti contro i poliziotti, un agente ha avuto un dente rotto da un sasso. A Dunkerque domenica la polizia è intervenuta per sgomberare altri due depositi petroliferi. Polizia in azione anche a Rouen ma nella notte tra domenica e lunedì uno nuovo importante deposito è stato bloccato a Fos sur Mer da circa 500 manifestanti che hanno costruito barricate per prevenire l’arrivo delle forze di polizia.

La determinazione dei manifestanti sta già portando i primi frutti, il governo ha fatto marcia indietro sulle misure della Loi travail che toccavano la categoria degli auto-trasportatori dopo che questi avevano bloccato numerosi caselli autostradali la settimana scorsa: “Questo primo importante risultato deve incoraggiare tutti i lavoratori a raggiungere il movimento, arriveremo fino in fondo” ha dichiarato Catherine Perret, segretario confederale della CGT.

Martedì ci sarà un nuovo sciopero dei ferrovieri, mentre giovedì è stato dichiarato l’ottavo sciopero generale per tutte le categorie e nei prossimi giorni sono previste nuovi picchetti per bloccare completamente gli snodi marittimi francesi.

mercoledì 25 maggio 2016

TRE GIORNI PER EUSKAL HERRIA

Quello rappresentato sopra nella locandina è solamente l'atto conclusivo che si terrà sabato sera a Segrate(Mi)presso il Csa Baraonda di un fine settimana tutto dedicato alla solidarietà a Euskal Herria da parte dei comitati di Euskal Herriaren Lagunak lombardi con eventi che cominceranno domani a Brescia e che proseguiranno venerdì a Bergamo per finire a Milano come spiegato qui sopra.
Incontri che vedranno anche altre realtà di popoli in lotta per la propria libertà e che saranno conditi da dibattiti,cene e concerti che vedranno presenti compagni baschi e italiani insieme per lottare,per discutere e per divertirsi.

Tre giorni di iniziative in solidarietà con Euskal Herria - 26/27/28 maggio

Giovedì 26 maggio 2016 | COBAS . via Carolina Bevilacqua 9 . BRESCIA
Partigiani nel cuore d’Europa
: la resistenza basca contro repressione e tortura
dalle ore 21:00 incontro con un rappresentante dell’organizzazione internazionalista basca Askapena sull’attuale situazione politica tra lotte popolari, repressione e processi politici
Evento FB: https://www.facebook.com/events/1763029980600293/

Venerdì 27 maggio 2016 | BARRIO CAMPAGNOLA . Via Ferruccio Dall'Orto . BERGAMO
DA EUSKAL HERRIA AL PILMAIKEN,UNITI NELLA LOTTA CONTRO LA REPRESSIONE DI STATO.dalle ore 21: incontro con un portavoce della resistenza Mapuche del Pilmaiken e un rappresentante dell'organizzazione internazionalista basca Askapena, sull'attuale situazione politica tra lotte popolari, repressione e processi politici.

Sabato 28 maggio 2016 | CSA BARAONDA . Segrate (MILANO)Il 28 Maggio Csa Baraonda, Red Internacional en defensa del Pueblo Mapuche e Euskal Herriaren Lagunak Milano vogliono unire,attraverso un iniziativa, due lotte simili fra di loro ma distanti sulla cartina geografica: da una parte la lotta del popolo mapuche,in particolare la lotta della comunità del Pilmaiken che resiste contro l'intromissione capitalista delle multinazionali energetiche nel loro territorio e contro la repressione dello stato cileno, e dall'altra parte la lotta del popolo basco per l'indipendenza e il socialismo.Entrambe le lotte vengono colpite da processi politici e repressione ingiustificata.
DA EUSKAL HERRIA AL PILMAIKEN,UNITI NELLA LOTTA CONTRO LA REPRESSIONE DI STATO.-Dalle 18 apertura,griglia Popolare e vegan food
-dalle ore 20 incontro con un portavoce della resistenza Mapuche del Pilmaiken e un rappresentante dell organizzazione internazionalista basca Askapena, sull'attuale situazione politica tra lotte popolari,repressione e processi politici.
-Dalle 22 in concerto Banda Bassotti Ortega Dogo(pacha mama crew) | Edsound (from Parigi) | Kroys(from Parigi) | Beppe Rebel | Abya yala crew
dopo il concerto DJ set (ska,rocksteady,reggae. electro cumbia)
Il ricavato dell'iniziativa andrà a sostenere le comunità Mapuche in resistenza del Pilmaiken
INGRESSO A SOTTOSCRIZIONE dalle 18 alle 20: 5 euro / dalle 20 in poi : 8euro
Evento FB: https://www.facebook.com/events/1701291526801302/
EHL MILANO

LA SECONDA PALMA D'ORO DI KEN LOACH

A distanza di dieci anni il regista britannico Ken Loach rivince il festival internazionale di Cannes con il film "I,Daniel Blake" che come diversi suoi lavori parla delle condizioni di vita precarie dei ceti meno abbienti e della lotta di classe.
Già regista osannato non solo dalla sinistra inglese ma anche da quella europea e mondiale,Ken Loach nel 2012 rifiutò di ricevere un premio al Torino film festival in quanto in quei giorni nel capoluogo piemontese vi furono delle lotte dei lavoratori del museo del cinema e lui voleva essere dalla loro parte(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/11/la-coerenza-di-ken-loach.html ).
L'articolo preso da Contropiano(http://contropiano.org/interventi/2016/05/25/la-palma-doro-loach-lipocrisia-neoliberista-del-corriere-079558 )parla dell'attacco di un giornalista che collabora con La Repubblica-L'Espresso che attacca uno del Corriere della Sera per via del commento sul film che ha vinto la Palma d'oro.
Che poi non siano veri critici cinematografici e che si accusi una testata piuttosto che l'altra di neoliberismo è tutta un'altra faccenda.

La Palma d’Oro a Loach e l’ipocrisia neoliberista del “Corriere”



Non avendo visto il film con cui Ken Loach ha appena vinto la Palma d’Oro al festival di Cannes non sono in grado – né lo sarei anche se lo avessi visto, dal momento che non sono un critico cinematografico – di darne una valutazione estetica. Tuttavia ho avuto modo di vedere molti dei suoi film precedenti e di apprezzarne sia il valore formale – dal modesto punto di vista di uno spettatore – sia l’impegno politico e sociale che nel corso della sua lunga carriera non è mai venuto meno (la foto che lo ritrae sul palco di Cannes con la Palma d’Oro nella mano sinistra e il pugno destro alzato in un gesto dall’inequivocabile significato ideologico ne fa testimonianza). È dunque evidente che, date che le mie risapute idee “veteromarxiste”, e la mia simpatia per le sinistre “antagoniste”, il mio giudizio su quest’ultimo film  (dopo che lo avrò visto) sarà apriori indiziato di tendenziosità.
Ciò detto, dubito che la valutazione del Corriere della Sera, affidata alla penna del critico “patentato” della testata, Paolo Mereghetti, sia altrettanto sospetta, ancorché per ragioni opposte. Il pollice verso è già implicito nel titolo sul verdetto della giuria di Cannes, definito “superficiale” e accusato di incoronare “un comizio scontato”. Poi arriva la stroncatura: “I, Daniel Blake è più un comizio politico che un film (lo ha confermato anche il regista col suo discorso di ringraziamento), un’intemerata ideologica che trasforma un carpentiere in un agnello sacrificale lasciato solo di fronte all’insensibilità sociale dello Stato. Non mettiamo in dubbio che sia così per la classe operaia inglese ostaggio di governi reazionari, ma in un film sentiamo il bisogno di un linguaggio meno schematico, di una messa in scena meno ricattatoria, di una recitazione meno convenzionale”.
In tutta questa tirata stizzita (a proposito di intemerate…) l’unica valutazione strettamente estetica, di fatto è quella relativa alla recitazione. Tutto il resto riguarda fondamentalmente il contenuto ideologico, del film, e non senza palesi contraddizioni. Per esempio: se Mereghetti “non mette in dubbio” (ma è davvero così?) che la classe operaia inglese sia ostaggio di governi reazionari, a che pro ironizzare sul carpentiere “trasformato” in agnello sacrificale dall’insensibilità sociale dello Stato? Vuol forse dire che quel carpentiere non è membro della classe operaia ridotta a ostaggio, e quindi non può essere un agnello scarificale, ma viene “spacciato” come tale dalla narrazione ideologica del regista?
Passiamo al linguaggio “schematico”: in generale (vedi il cinema di Eisenstein e il teatro di Brecht) la rappresentazione artistica del conflitto di classe è quasi di necessità “schematica”, nella misura in cui mette in scena, stilizzandola, una relazione antagonistica fra soggetti sociali. Certo, nessuno impedisce a Mereghetti di condividere il giudizio del ragionier Fantozzi  su La corazzata Potemkin (“una boiata pazzesca”), così come è libero di pensare che l’attuale conflitto sociale non possa né debba essere ridotto a un rozzo schema duale, anche se il fatto che 64 super ricchi detengono oggi patrimoni pari a quelli posseduti da tre miliardi e mezzo di altri esseri umani tenderebbe a suggerire che questa scelta ha una qualche giustificazione…
Infine il capolavoro di ipocrisia racchiuso in quella rivendicazione di una messa in scena meno ricattatoria. Viene in mente la canzone di Fo e Jannacci in cui si dice che il povero non deve piangere perché il suo lamento fa male al re. Il re, in questo caso, è quel lettore medio del Corriere che, condividendo il pensiero unico neoliberista di cui questa testata è ormai l’indiscusso organo ufficiale, non vuole essere “ricattato” da vecchi arnesi filocomunisti come Loach, i quali si permettono di ricordargli che le sue idee producono vittime sacrificali…
  • da http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it

martedì 24 maggio 2016

GIORNALISTA CHI?

La definizione di giornalista per un personaggio come Paolo Del Debbio potrebbe avere una sua valenza se accostiamo il suo nome a quello della professione che pensa di ricoprire se facciamo riferimento a quei giornalisti che fanno dell'essere di parte e di assolvere al proprio mestiere leggendo veline che vengono da altri e propagandando notizie gonfiate se non palesemente false.
Per il resto accostare il cognome Del Debbio alla professione giornalista è un'offesa per le migliaia di uomini e donne che arrivano a rischiare la vita e in alcune parti del mondo anche a morire,Italia compresa,nel tentativo di portare a conoscenza di tutte le persone i fatti che accadono sia essi di cronaca,politica,o di qualsiasi tema legato a far comprendere senza stratagemmi e influenze ciò che accade in tutto il mondo.
Del resto parlare male dei suoi programmi televisivi è superfluo e gratuito visto l'immondizia che propone,e l'articolo sotto preso da Senza Soste parla direttamente di Quinta Colonna di Rete 4(vedi:http://www.senzasoste.it/media-e-potere/quinta-colonna-la-triangolazione-perfetta-del-fascioleghismo )dove bastano una manciata di minuti per poter vedere la propaganda della destra a tutto vantaggio dei vari Salvini,Meloni,Santanché col burattinaio Mediaset Berlusconi che muove il tutto e che cerca come al solito di creare una realtà tutta propria.
Del resto lo stesso Del Debbio ha sempre lavorato in Fininvest e in Mediaset scendendo in campo con Forza Italia di cui è stato uno dei primi supporter fin dalla nascita,un uomo(di merda)che ha fatto del populismo e dell'odio verso gli altri una misera aspirazione di vita.
 
Quinta Colonna: la triangolazione perfetta del fascioleghismo.
tratto da http://www.dinamopress.it
Ieri sera, su Rete 4, è andato in scena un format disegnato intorno alla destra più xenofoba e fascista. Che continua a soffiare sul fuoco, utilizzando la cronaca nera per la campagna elettorale.
 
La trasmissione Quinta Colonna di Paolo Del Debbio, a lungo dirigente di Fininvest passato poi alla politica sempre sotto l'ala di Berlusconi e tornato poi alla tv da conduttore, ieri sera ha confermato di tenere fede al proprio titolo, presentandosi per l'ennesima volta come la quinta colonna del razzismo e della xenofobia. Contenuti mostruosi resi potabili al grande pubblico tramite il format del talk show. Un mix di slogan violenti travestiti da ovvietà e buon senso.
In onda ieri sera la triangolazione perfetta del “fascioleghismo”. Per l'ennesima volta a mettere in moto la macchina un caso di cronaca, quello di una ragazza violentata al Prenestino, e la conseguente tensione nel quartiere nei confronti dell'insediamento abusivo di via Teano, da cui proverrebbero i due presunti autori della stupro.
Le telecamere di Quinta Colonna si piazzano proprio all'esterno dell'insediamento, mentre la polizia blinda tutta la zona. Dietro al padre della ragazza si parano decine di militanti di Casa Pound (ospiti fissi dei collegamenti di Del Debbio) che, minacciosi, si piazzano all'ingresso del campo, lanciando anche oggetti all'interno. Intanto in studio a fare sponda a quello che succede in strada Daniela Santanché (la pasionaria di Forza Italia che a Roma ha disertato l'appoggio a Marchini per spalleggiare Giorgia Meloni) e il segretario del Carroccio Matteo Salvini.
Il repertorio è sempre lo stesso: castrazione chimica, tutti a casa loro, i cittadini sono stufi e se succede qualcosa di brutto la colpa sarà di chi non è intervenuto. Al posto dell'informazione va in onda un cocktail esplosivo di emozioni negative, di esasperazione della percezione d'insicurezza, di “non sono razzista ma” e “togliere tutti i bambini ai rom”. Emozioni che eccitano gli animi, che si ripercuotono nella sfera della rete, tramite i commenti alla trasmissione sui vari social network (inutile proporre qui il campionario degli orrori) ma i cui effetti si artigliano saldamente nel reale.
E il clima che si crea grazie a spazi come quello di Quinto Colonna fa comodo a tutti gli attori che lo generano. Da chi, come le forze dell'estrema destra, si fanno imprenditori della xenofobia per le strade, a chi, come Salvini e Santanché, incassano poi nelle urne. E ovviamente a Del Debbio che all'interno del palinsesto di Mediaset si occupa di dar voce alla destra-destra. Marciare divisi per colpire uniti. Un clima irrespirabile, costruito anche grazie a panzane e bufale, e tutto giocato sulla pelle dei migranti additati come il nemico da combattere nella guerra tra gli ultimi.
Anche per questo il 21 maggio, quando Casa Pound ha annunciato un corteo nazionale a Roma per “Difendere l'Italia”, c'è bisogno di una piazza piena e dell'impegno di tutti.
17 maggio 2016