martedì 31 luglio 2012

SICUREZZA,CHIAMI LA SICUREZZA!

Titolo ironico per il breve post di oggi dove si fa riferimento tramite l'articolo preso da Repubblica on-line sulla vicenda del carabiniere rapito a Sana'a che poi è il responsabile per la sicurezza dell'ambasciata italiana nello Yemen.
Questo paese,noto per i sequestri lampo di turisti da parte di tribù locali per ottenere denaro o scambi di prigionieri o altro,una volta erano considerati pure una sorta di"must"ove si poteva veramente scoprire la vera ospitalità yemenita in quanto i prigionieri sono sempre stati trattati bene.
Vorrei vedere i titoli e i commenti dei giornali fascisti italiani in cui perennemente in casi di rapimenti di viaggiatori e di operanti in progetti solidari e umanitari(forse perchè tutti o quasi comunisti?)si parli di lasciarli là perchè"se la sono cercata",e se ora siano così oltraggiosi verso questo"addetto alla sicurezza",evidentemente non sua ma di quella degli altri,spero.
Nella speranza di una pronta liberazione del carabiniere sequestrato,lo attendiamo a braccia aperte nei salotti della D'Urso,di Vespa e di Vinci:chissà se verrà promosso come capita spesso in questi casi per aver svolto al peggio il suo lavoro,come gli ormai lontani"eroi"Cocciolone e Bellini divenuti tali per essere riusciti a farsi abbattare il Tornado dall'esercito iracheno.

Yemen, "Spadotto rapito da un bandito"
Chiesta immunità e risarcimenti
Fonti del ministero dell'interno .yemenita ricostruiscono il rapimento del carabiniere italiano. Sarebbe prigioniero di un capo tribù ricercato per atti di banditismo nella provincia petrolifera di Marrib. Il militare, addetto alla sicurezza dell'ambasciata, è stato sequestrato a Sana'a 1 domenica.

SANA'A - Alessandro Spadotto, il carabiniere addetto alla sicurezza dell'ambasciata italiana a Sana'a rapito domenica 2, è stato preso in ostaggio da membri di una tribù non legata ad Al Qaeda ed è tenuto prigioniero nella provincia petrolifera di Marrib. Lo hanno riferito fonti del ministero dell'Interno yemenita. Secondo la Reuters, i rapitori hanno anche avanzato delle richieste per il rilascio: vogliono la liberazione di un loro parente detenuto, un indennizzo e la restituzione di terreni che sostengono essere di loro proprietà nella capitale yemenita. Sembra così escluso qualsiasi collegamento con Al Qaeda.

I servizi di Sicurezza sono impegnati a ottenere "la liberazione dell'ostaggio il più rapidamente possibile", assicura il ministero degli Interni yemenita. Secondo il ministero il carabiniere è stato rapito dalla tribù degli Al-Jalal e in particolare da Ali Nasser Hariqdane, ricercato per il suo coinvolgimento in atti di banditismo. Ali Nasser Hariqdane vorrebbe cosi fare pressioni sulle autorità perchè abbandonino le azioni legali nei suoi confronti e chiederebbe il risarcimento da parte dello Stato.
In precedenza membri di alcune tribù avevano accettato di lasciare la sede del ministero dell'Interno a Sana'a che avevano occupato domenica per chiedere più posti di lavoro.
La richiesta arriva dopo una giornata di contatti 3 tra il ministro degli Esteri Giulio Terzi e il titolare degli interni yemenita, Abu Bakr al Qirbi. Il Comitato olimpico dello Yemen ha lanciato oggi un appello per la liberazione di Spadotto: "E' un atto che nessuno può approvare ed è contrario alle nostre tradizioni", ha detto all'Ansa Naela Nasser, capo della delegazione yemenita alle Olimpiadi.

E ieri intanto la procura di Roma ha aperto un fascicolo sul rapimento di Spadotto. L'ipotesi di reato presa in considerazione dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Francesco Scavo è sequestro con finalità di terrorismo. Gli inquirenti sono in attesa di informative sulle modalità del sequestro da parte della Farnesina e dai Carabinieri del Ros.
(31 luglio 2012)

sabato 28 luglio 2012

SALUTE O LAVORO?

Il blocco di un'intera città da parte degli operai in sciopero dell'Ilva di Taranto ha avuto notevole risonanza negli organi d'informazione classici,poichè migliaia di lavoratori hanno protestato per la chiusura degli impianti da parte del Gip per via delle emissioni dannose che lo stabilimento siderurgico più grande ed inquinante d'Europa(con circa il 92% della diossina prodotta in Italia ed il 10% in Europa).
Mentre da un lato gli scioperanti con la loro rivolta hanno ottenuto la provvisoria riapertura dello stabilimento dall'altro a Taranto si continua a morire e ad ammalarsi per le polveri e le emissioni che l'Ilva sputa fuori.
E'assodato che con delle tecniche moderne utilizzate in tutto il mondo(impianti Corex)le emissioni mortali possono essere ridotte fino al 90% ma il gruppo Riva,che si è arricchito con denaro facile con l'impianto siderurgico non pensando a salvaguardare operai ed ambiente,mai ha attuato queste pratiche che avrebbero potuto salvare molte vite.
Infatti in uno studio eseguito dai periti epidemiologici per la procura di Taranto sono stati quantificati nell'arco di sette anni ben 11550 morti riconducibili alle emissioni dell'Ilva e 26999 ricoveri,una cifra la cui percentuale ambientale è di gran lunga più elevata rispetto alle medie nazionali e non.
L'articolo è preso da Senza Soste e per un approfondimento riguardo ai numeri e alla storia di questa azienda rimando a Wikipedia:http://it.wikipedia.org/wiki/Ilva .
Il padrone delle ferriere che soffoca Taranto.
Il problema dell'Ilva si chiama Riva che ha intascato per anni facili profitti non facendo nulla per mettere al sicuro lo stabilimento e la città. Serve un esproprio per bonificare sul serio la fabbrica. Lavoro e ambiente devono allearsi
Francesco Maresca
Il Giudice delle indagini preliminari, dopo aver depositato, già da diversi giorni, le conclusioni dell’indagine sulla situazione ambientale a Taranto, in rapporto alle emissioni in atmosfera, in mare e sul terreno, causate dall’Ilva, ha sequestrato gli impianti dell’area ghisa (cokerie, il camino E 312 dell’agglomerato e gli altiforni), e messo agli arresti domiciliari 6 dirigenti tra cui Emilio Riva, proprietario dello stabilimento e suo figlio Nicola (in realtà fatto dimettere alcuni giorni fa proprio in previsione di questo provvedimento insieme al massimo gruppo dirigente).
I "Soloni" dello stabilimento hanno agito in anticipo per non restare senza dirigenti. Infatti, sono stati sostituiti immediatamente con altri dirigenti già presenti in fabbrica, mentre Nicola Riva è stato sostituito dall’ex prefetto di Milano, Ferrante (lo stesso che era stato candidato per il centrosinistra a Milano contro la Moratti prima di Pisapia).
Nei giorni scorsi, in previsione di questo provvedimento ci sono state diverse mobilitazioni. E ancora una volta abbiamo assistito ai capi che fomentavano in vario modo gli operai, con messaggi sms di questo tipo: “Operai non muovetevi dagli impianti, stanno per arrivare i carabinieri, presidiate”. Non si è capito bene cosa volessero che gli operai facessero. Forse “la resistenza armata?”. All’Ilva di Taranto c’è questa cappa di forte influenza che "patròn" Riva ha sugli operai attraverso i capi e i dirigenti, esercitata non solo tramite la paura, ma, soprattutto, perché i lavoratori sono stati lasciati negli anni alla mercé delle pressioni e dell’ideologia padronale. Mentre le organizzazioni sindacali, nonostante un buon numero d’iscritti, pensano più a litigare fra loro che a mettere un argine alla prepotenza dei capi e dirigenti.
Comunque, ieri 26 luglio, quando la notizia del sequestro si è diffusa la rabbia è esplosa. Oltre cinquemila operai si sono riversati sulle strade che fiancheggiano lo stabilimento, principalmente la strada statale Appia. Poi, un lungo corteo è venuto verso la città, attraversando la Taranto antica, bloccando il famoso Ponte girevole, uno degli snodi della città. Quando lo stabilimento era dello Stato, i governi che si sono succeduti hanno sempre fatto orecchie da mercante nonostante le mobilitazioni degli operai che si rifiutavano di intervenire su impianti molto malsani. Il sindacato Flm (allora sigla unitaria che riuniva Fiom, Fim e Uilm) coniò uno slogan molto bello: “La salute non si vende”. Giusto. Ma dopo qualche anno di lotte per ambientalizzare lo stabilimento, a vuoto, i lavoratori completarono quello slogan con: “La salute non si vende... ma nemmeno si regala”. Con la privatizzazione le cose si sono complicate. La vecchia classe operaia, stanca e demotivata, già in parte uscita col prepensionamento, è stata definitivamente decimata da una nuova ondata di prepensionamenti dovuti alla legge sull’esposizione all’amianto. La nuova classe operaia, assunta soprattutto grazie ai contratti di formazione-lavoro e altri ancora più precari, è stata lasciata alla mercé dei nuovi proprietari: la famiglia Riva. Il nuovo gruppo dirigente ha formato questi lavoratori a propria immagine, portando un attacco senza precedenti alle organizzazioni sindacali. Basta pensare che le iscrizioni sono passate dal 70- 80% nell’azienda pubblica a meno del 30% dopo la privatizzazione. Fra gli impiegati si è passati invece da circa il 50% a zero. E' anche vero che le segreterie dei tre sindacati “suggerivano” ai delegati di "lasciar stare" i nuovi assunti per occuparsene dopo. I risultati di questa tattica li vediamo oggi, con il sindacato che arranca dietro all'attivismo della dirigenza.
C’è da dire che alcune cose sono state fatte ma rispetto all’inquinamento che produce l’Ilva si tratta di poca cosa. Per esempio, la legge regionale per abbattere le emissioni delle diossine. Ma c’è tanto da fare per le polveri, per il benzo(a)pirene e altri inquinanti. Oggi quello che va perseguito non è il provvedimento della giudice ma la cacciata della famiglia Riva. Il governo deve prendere atto che Riva ha contribuito a massacrare Taranto, pensando poco o niente all’ambiente, accampando la scusa delle risorse economiche che ci vorrebbero per bonificare lo stabilimento e che lui non ha; nel frattempo si è riempito le tasche di profitti che la fabbrica di Taranto gli ha offerto su di un piatto d’argento.
Fra il 2000 e il 2004 ci sono stati altri tre accordi di programma per l’ambientalizzazione, stipulati alla Regione Puglia, i quali non hanno prodotto niente, ma che sono serviti a salvare Riva condannato per inquinamento e per i numerosi morti sul lavoro. Quando la condanna è giunta alla Cassazione, infatti, il Comune e la Provincia di Taranto si sono ritirati dalla costituzione di parte civile, annullando in extremis la condanna.
I lavoratori dell’Ilva si devono liberare dall’abbraccio mortale dei “padroni delle ferriere”; liberarsi dai falsi amici che i capi e i dirigenti fingono di essere. La difesa dei posti di lavoro si otterrà rivendicando l’esproprio dello stabilimento da parte dello Stato, per cambiare le tecnologie produttive, che esistono, come per esempio gli impianti Corex, già in uso in varie parti del mondo, che riducono i vari inquinanti di circa il 90%.
Non bisogna lasciare nelle mani di nessuno il vostro futuro. Auto-organizzarsi in comitati di lotta, per controllare direttamente quello che avviene nella “stanza dei bottoni”. Poiché, la salvaguardia dei posti di lavoro, il miglioramento delle condizioni di lavoro e della vivibilità della città, non potrà che essere che per opera della classe operaia stessa!
Tratto da Il Megafono quotidiano

venerdì 27 luglio 2012

PERQUISIZIONE E MORTE

La morte di Santino Fois,avvenuta ad inizio luglio di quest'anno,ha avuto rilevanza mediatica pressochè nulla,ed è giusto porre rimedio tramite l'articolo preso da Contropiano(http://www.contropiano.org/it/archivio-news/archivio-news/item/10312-santino-fois-morto-per-fatalit%C3%A0-coloniale )dove si cerca di trovare un nesso tra la morte per infarto del sessantaquattrenne sardo e la perquisizione domiciliare avvenuta da parte delle forze di occupazione italiane così come gli isolani chiamano la sbirraglia.
Il fatto che una decina di forze del disordine siano state impiegate in un'azione partita da una segnalazione anonima secondo cui nella casa del Fois fossero state presenti tante armi(fatto poi non rivelatosi veritiero)ed il fatto che le merde in divisa non abbiano chiamato i soccorsi nonostante i malori dell'uomo sono un'altra macchia per queste bestie.
I partecipanti al raid per ora non sono nemmeno sotto indagine,e l'organizzazione"A Manca pro s'Indipendentzia"sta lottando affinchè giustizia sia fatta.

Santino Fois: morto per 'fatalità' coloniale.

Mentre gli stanno perquisendo la casa alla ricerca di armi, un uomo di 64 anni viene colpito da un infarto. Invece di prestargli le cure necessarie i poliziotti continuano la perquisizione, e l'uomo muore. L'organizzazione sarda A Manca pro s’Indipendentzia lancia un'inchiesta.

La mattina del 6 luglio 2012 moriva a Nugoro Santino Fois. Lollovese, 64 anni, Santino non era impegnato in politica, non era appartenente alla nostra organizzazione, tuttavia è sempre stato un grande amico di molti compagni di a Manca e tante volte ha dato una mano all’organizzazione mettendosi a disposizione nella realizzazione delle iniziative. La sua morte, imprevedibile ed inaspettata, ha gettato tutti nello sconforto. Ma l’accaduto diventa, oltreché umanamente triste, anche politicamente inquietante. Santino è morto infatti a seguito di una perquisizione poliziesca nella sua abitazione. Provati dalla perdita del caro amico, ma determinati nel fare luce su una vicenda troppo sbrigativamente archiviata come “fatalità”, una apposita commissione della nostra organizzazione si è messa al lavoro per costruire delle indagini – le uniche finora svolte – che spieghino come sono andate realmente le cose quella maledetta mattina del 6 luglio.

Sin da subito gli elementi emersi dalla testimonianza delle pochissime persone presenti durante i suoi ultimi istanti si sono rivelati assolutamente inquietanti. Mano a mano che le indagini di A Manca vanno avanti – e non sono tuttavia ancora concluse – lo scenario sembra sempre più mostrare una pesante responsabilità delle Forze d’Occupazione Italiane nella morte di Santino.

Andiamo per ordine:

alle 7.30 circa si presentano a casa di Santino, dopo aver suonato a tutti i campanelli del palazzo, cinque poliziotti (due in divisa e tre in borghese) per eseguire una perquisizione alla ricerca di armi. Tra i cinque che operano in casa e gli otto (tra “catturandi” e scientifica) che stanno nel cortile davanti alla palazzina si contano 13 agenti, senza considerare gli altri due che seguivano l’operazione a distanza. Un po’ troppi forse, considerando che si trattava di un uomo di 64 anni, assolutamente non atletico e con una protesi al ginocchio, residente in una palazzina che ha una sola via d’uscita: quella presidiata da ben otto poliziotti. Appare dunque già nella stessa maniera di porsi, considerando il tipo di reato, la persona da perquisire e il dispiegamento di forze, un eccesso di zelo, se così si può dire. Eppure il capo della squadra mobile di Nugoro, Fabrizio Mustaro, in un’intervista alla stampa rilasciata l’indomani definiva questo vero e proprio assedio come «una normale perquisizione prevista dall’art. 41 Tulps. Una consueta attività preventiva alla ricerca di armi».

In casa inizia la perquisizione, con Santino e la moglie visibilmente agitati, e in assenza di un avvocato. La perquisizione va avanti senza alcun esito, e questo fa andare in escandescenze il poliziotto che coordina, il quale inizia ad urlare ai suoi sottoposti di cercare bene perché deve esserci qualcosa. Sostengono infatti di aver ricevuto una lettera anonima in cui vengono avvisati che la casa di Santino sia “piena di armi”. Invece di tranquillizzarsi perché ha davanti un cittadino che non ha commesso alcun reato, il dirigente si infuria e urla, avvisando con tono minaccioso che a breve sarebbero andati a cercare anche in altri luoghi di pertinenza di Santino, quali la cantina e la casa del fratello.

Nel frattempo Santino, certamente anche a causa del forte stress a cui è sottoposto, inizia a sentirsi male. Nella sua vita Santino ha scontato alcuni anni di carcere, accusato per un sequestro di persona che lui non ha mai commesso, e difatti era stato anche risarcito dallo Stato per l’ingiusta detenzione. Sapeva bene, quindi, che esiste la possibilità di essere incarcerati ingiustamente, e questa eventualità lo preoccupava molto, considerando anche le apprensioni che aveva nei confronti della moglie malata. Pur sapendo di non dover avere niente da temere dal punto di vista della consumazione di un reato, la sua agitazione era dunque ben motivata.

Gli agenti trascurano completamente le sue lamentele che dicono chiaramente di accusare un forte dolore nella parte sinistra del petto. Forse pensano che sia uno stratagemma dell’accusato per distrarli, ma la legge non li autorizza a supporre stratagemmi di fronte a chiari segnali di infarto. Difatti mentre Santino, pallido e sudato, continua ad accusare questi sintomi, anziché chiamare immediatamente un’ambulanza per farlo visitare, pensano bene di intimargli di scendere le scale e andare ad aprirgli la cantina.

Va detto, per inciso, che anche il più inesperto sa bene che è fondamentale, per salvare la vita a un infartuato, evitargli assolutamente qualsiasi movimento e fargli prestare immediatamente le cure. I poliziotti, che vengono preparati tramite corsi di preparazione medica a prestare le prime cure a un infartuato. Loro questo non lo sapevano forse. Decidono quindi, rabbiosi per l’esito negativo della perquisizione domiciliare, non solo di non prestare le cure dovute alla persona in pericolo di vita, ma per giunta di obbligarlo a scendere ben quattro rampe di scale!

Cosa sia successo nel tragitto che da casa sua, tramite le scale, porta alla cantina lo sanno solo i poliziotti. Sta di fatto che quando Santino è giunto davanti alla sua cantina si è accasciato al suolo, perdendo conoscenza. Solo a quel punto gli inquirenti hanno chiamato un’ambulanza, che peraltro è arrivata in pochissimi minuti vista la breve distanza dell’ospedale da casa di Santino. Ma a quel punto il tempo utile era ormai passato, e non certo per responsabilità dell’ambulanza. Mentre Santino moriva loro proseguivano ostinatamente la perquisizione nella sua cantina, alla disperata ricerca di armi. Alla fine la perquisizione ha dato esito negativo: nessun’arma è stata trovata.

Le indagini da parte nostra, come detto, proseguono per fare piena luce sulla vicenda. Nonostante la raccolta di tanti elementi, restano ancora tanti lati oscuri. Resta da capire, ad esempio, perché al Pronto Soccorso del San Francesco di Nugoro non conoscessero l’identità di un cadavere arrivato con un’ambulanza chiamata dalla polizia: infatti gli infermieri chiamavano col cellulare di Santino agli ultimi numeri registrati, chiedendo a chi rispondeva se sapesse chi fosse il proprietario di quel telefono, e chiedendo di andare lì per il riconoscimento del cadavere. Resta da capire, ad esempio, perché non sia stata fatta l’autopsia e chi e perché si sia opposto alla sua esecuzione. Chiunque si sia opposto e per qualsiasi motivo, rispettando le opinioni e i sentimenti dei parenti nel caso sia stato per decisione loro, ha a parer nostro commesso un errore. Da un’autopsia potrebbero emergere chiaramente ulteriori responsabilità da parte dei membri delle Forze d’Occupazione, dato che si potrebbe vedere chiaramente che Santino ha effettuato degli sforzi mentre era sotto infarto, dimostrando quindi la pesante responsabilità dei poliziotti nella sua morte.
Da parte nostra, spingeremo affinché la vicenda non venga coperta dall’impunità del silenzio, anche a costo di far chiedere una riesumazione della salma per verificare questi gravi indizi a carico delle Forze d’Occupazione.

Siamo convinti che Santino Fois non sia morto, come qualcuno molto comodamente voleva far credere, per fatalità.

Chiediamo a tutti presenza, sostegno e partecipazione, affinché questa ennesima storia di soprusi non cada – come tante altre, purtroppo – nel silenzio e nell’impunità.

A Manca pro s’Indipendentzia

mercoledì 25 luglio 2012

GREBA OROKORRA

Preso da Indymedia con i relativi links ecco la notizia dello sciopero generale convocato da varie sigle sindacali,da organizzazioni e collettivi baschi per mercoledì 26 settembre nella zona di Euskal Herria sotto l'amministrazione spagnola(Hegoalde)contro i tagli che il governo spagnolo vuole e sta attuando contro la crisi e che definisce"inderogabili".
Come si può notare la situazione di rivolta e di protesta che si hanno in Spagna e nei Paesi Baschi sono molto differenti da quella italiana,dove a noi sembra scivolare tutto addosso e senza proteste dure come quelle degli indignados,dei minatori asturiani e delle organizzazioni basche.
Già da più di un mese,durante il dibattito per l'articolo 18 dove i sindacati italiani praticamente da fine maggio hanno deciso di fare uno sciopero generale per settembre senza tener conto che le riforme verranno fatte durante l'estate,tutta l'orbita che dovrebbe tutelare i lavoratori sonnecchia godendosi le vacanze che evidentemente la classe operaia non può più permettersi,e a parte piccole situazioni(vedi Basiano e la zona dell'hinterland milanese)la lotta è pressochè nulla.
La situazione di Euskal Herria,pur avendo posto la data del greba orokorra(sciopero generale)a settembre come noi,da mesi e ancor'oggi ha delle manifestazioni di protesta su tutto il proprio territorio che a far confronto con le nostrane non c'è minimo paragone:come sempre i Paesi Baschi possono essere solo d'esempio per la costanza nella lotta che ogni giorno portano nelle strade e nei loro cuori.
26 Settembre – Hego Euskal Herria allo sciopero generale.

Articolo originale: http://toolate.noblogs.org/post/2012/07/25/26-settembre-hego-euskal-herr...
Traduzione di: http://ciempozuelosantifa.wordpress.com/2012/07/24/26-de-setiembre-hego-...
LAB, CNT, ELA, EHNE, STEE-EILAS, HIRU, ESK, CGT e decine di collettivi lanciano lo sciopero generale contro i tagli del Governo spagnolo.
Rappresentanti della ELA, LAB, ESK, STEE-EILAS, EHNE, Hiru, CGT-LKN, CNT e più di un centinaio di organizzazioni sociali si sono riunite questa mattina in Bilbao per lanciare l’appuntamento allo sciopero generale del prossimo 26 settembre in Hego Euskal Herria contro i tagli del Governo spagnolo.
Hanno denunciato che il Presidente spagnolo, Mariano Rajoy, «mente» all’assicurare che «non c’è oltra alternativa» ed hanno avvertito che «scenderanno nelle stade» per chiedere che i provvedimenti del Governo del PP «non si impongano» in Hego Euskal Herria.
Etxaide ha assicurato che il presidente del Governo del PP, Mariano Rajoy, “mente” all’assicurare che “non c’è altra alternativa” e hanno affermato che i tagli “ci fanno prendere la strada della Grecia”. “Così non c’è via d’uscita, solo un deserto economico e sociale”.
A suo giudizio, il quinto sciopero generale che terra in Hego Euskal Herria risponde alla “gravità” della situazione, e stima che la “unica” risposta possibile è “agitare le strade” per “obbligare a prendere le decisioni che cambino questa dinamica”.
Da parte dei collettivi sociali è stata fatta questa chiamata:
Irailak 26 Settembre
GREBA OROKORRA
Come organizzazioni sindacali e sociali ci vediamo nella necessità di unire le forze per dare una risposta collettiva e forte. Per dire NO al peggioramento della vita della popolazione; ai continui tagli ad educazione, sanità e servizi sociali; o nel lavoro. Quindi scenderemo nelle strade per reclamare diritti sindacali e sociali, servizi pubblici di qualità.
I sindacati e le organizzazoni sociali che convocano questo sciopero generale, fanno notare che non c’è altra alternativa che la mobilitazione per cambiare la realtà politica. Per tutto questo, chiamiamo allo sciopero generale in Hego Euskal Herria il giovedì 26 settembre.
Boltxe Kolektiboa si unisce all’appello, ed invita a tutte le realtà che si muovono in questo senso.
http://boltxe.info/

martedì 24 luglio 2012

NEOCOLONIALISMO IN AFRICA

Prendendo spunto da un commento anonimo postato su Indymedia ecco un'analisi condivisibile sulla nuova ondata di un colonialismo che nel secolo scorso aveva diviso a fettine l'Africa a piacimento di molti stati europei,con la prevalenza di francesi e inglesi ma con ingerenze pure italiane,olandesi,portoghesi,belghe e spagnole.
Dalla guerra in Libia,oggetto di spartizioni economiche fin da quando l'idea della battaglia era solo una bozza,a fianco dei suddetti Stati ora sono gli Usa che vogliono spadroneggiare nel continente africano,con un accanimento che sempre ha contraddistinto la politica estera a stelle e strisce.
Non solo,facendo i due esempi dell'Egitto e della stessa Libia gli Usa e gli stati colonialisti europei sovvertendo i governi da loro chiamati regimi a ragione o torto,altro non fanno che aiutare i movimenti terroristisci,Al Qaeda su tutti,ad avere grandi proseliti tra le popolazioni invase.
Si vede che gli Usa non hanno imparato nulla dalle lezione della guerra afgana negli anni 80 quando per contrastare i russi diedero il potere(e le armi)in mano ai talebani con risultati nefasti per l'intero popolo americano:quando si vuole influire,occupare e lucrare sulla vita di una nazione bisogna fare i conti molto bene,prima di pentirsene amaramente.

Dopo la caduta degli ultimi regimi laici, l’Africa ormai è una “terra di nessuno” preda di Al Qaeda, Usa e alleati.

Lo ha dimostrato l’episodio del sequestro della cooperante italiana Rossella Urru destinato chiaramente a non essere l’ultimo, che l’Africa è attualmente regnata da una malvessazione senza regole.
Dopo la caduta dell’ultimo baluardo dittatoriale, quello della Libia di Gheddafi, che, seppure immobilizzante e terrorifico nei confronti dalla popolazione, almeno garantiva una certa protezione contro infiltrazioni destabilizzanti, ci si chiede se qualcuno nel frattempo, ne abbia approfittato ponendo la sue radici fatte di interessi strategici, tornaconti settari d’occidente e di organizzazioni islamiste e pseudo-religiose di cui AlQaeda è solo una parte della galassia.
Si sapeva che gli Usa non vedevano di buon occhio l’alleanza italiana con Gheddafi per i contratti del petrolio e per un senso di colpa verso il passato coloniale italiano a Tripoli.
L’Italia di Berlusconi-Bossi aveva promesso alla Libia che, in cambio di una stretta sul flusso dei clandestini, avrebbe investito in Libia con infrastrutture. Purtroppo sappiamo com’è andata, che la festa è stata rovinata dalla primavera araba, la quale non è altro che l’autunno dell’occidente e degli USA.
Probabilmente la violenza in molte regioni dell’Africa aumenterà. Perché è nella confusione che le multinazionali fanno affari, affari sporchi avallati da governi che sfruttano la carenza di legislazione, per es. sulla tracciabilità dei minerali, ecc., o comunque rifiutano criteri di responsabilità e trasparenza.
Perché è nell’interesse dei padroni del pianeta a confermare ed imporre il dollaro come moneta di scambio privilegiata, sgombrando il terreno da possibili rivali.
Perché quello che si prefigura all’orizzonte è una nuova ondata di neocolonialismo, soprattutto da parte di Usa e Francia che da alcuni decenni combattono per frenare l’espansione cinese.
A chi arriva primo ad aggiudicarsi il pezzo di terra, poco gli importa dei morti, dei rapimenti, dei lavoratori sfruttati; l’importante è il profitto e contare di più nel mondo.

venerdì 20 luglio 2012

E SONO UNDICI

L'articolo di oggi che commemora la morte per mano della polizia fascista italiana del combattente Carlo Giuliani parla non solo della sua vita stroncata da un gesto che ha alle spalle molte scelte e decisioni,ma pure della diseguaglianza delle pene cui avevo fatto riferimento più volte nel corso delle ultime settimane riguardanti le condanne alla sbirraglia tutta e quelle ai compagni giudicati con capi d'imputazione gravissimi.(Vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/07/chi-saccheggia-e-lo-statochi-devasta-e.html ).
A conti fatti in Italia(ancor senza il reato di tortura nel proprio codice penale)il massacro fisico di una persona costa molto meno che spaccare una vetrina,e questo fa incazzare molto chi lotta,ed è perciò che l'articolo sotto preso da Indymedia(dal blog Mujeres libres Bologna)si intitola"Genova non è finita!".
Questo giorno rattrista un poco i nostri animi ma allo stesso modo incoraggia sempre nel fare qualcosa di più nel tempo,nonostante che lo stesso passi ed anno dopo anno quella data del 2001 sembra così lontana:nel ricordo e nella consapevolezza che le idee di Carlo non moriranno mai dobbiamo continuare a lottare contro questo Stato per avere giustizia e libertà.

GENOVA NON E' FINITA!
Venerdì 13 luglio si è tenuta alla Corte di Cassazione il processo a carico di dieci attivist@ che
avevano partecipato alle manifestizioni contro il G8 di Genova del 2001.
Il reato che è stato loro contestato e per cui, ad alcun@ di loro è stata confermata la condanna, è quello di "devastazione e saccheggio"risalente al codice penale fascista ancora in vigore. La definizione di questo reato è molto ambigua: si tratta, infatti, di una somma di condotte, ciascuna delle quali, se presa singolarmente, sarebbe punita in modo meno grave da altre norme penali.
Gli elementi che integrano il reato sono: l’ordine pubblico messo in crisi e il danneggiamento
ripetuto di beni, anche tramite “compartecipazione psichica” tra gli/le imputat@.
Per dirla in breve, non occorre aver effettivamente“devastato”, ma è sufficiente essere presente mentre gli/le altr@ devastano!!
Cinque degli/delle imputat@, Carlo A., Antonino , Dario , Carlo C. e Luca, sono stati rimandati a giudizio per la mancata concessione dell'attenuante di aver agito per “suggestione di una folla in tumulto”.
Per gli/le altr@ attivist@ sono state confermate le condanne con delle riduzioni che non superano l'anno: Marina è stata condannata a 12 anni e tre mesi, Alberto a 10 anni di reclusione e Ines, a cui è
stata sospesa la carcerazione perchè ha una figlia piccola, a 6 anni e sei mesi.Francesco e Vincenzo, due dei manifestanti che avevan ricevuto le condanne più pesanti, rispettivamente 15 anni e più di 13 anni, si sono resi irreperibili quando è stato emesso l'ordine dicarcerazione.
L'assurdità di queste pene risulta particolarmente evidente se paragonata alla sentenza emessa sempre dalla Corte di Cassazione, lo scorso 5 luglio, nei confronti dei vertici delle forze dell'ordine,
responsabili della “macelleria messicana” avvenuta nelle scuole Diaz.Dopo 11 anni di avanzamenti di carriera e impunità (come ad esempio il caso di De gennaro, ex capo della polizia durante il G8 e ora
sottosegretario di Stato della presidenza del Consiglio), nessuno di loro dovrà passare un giorno in carcere, ma subiranno soltanto un'interdizione temporanea dai pubblici impeghi.
Una condanna che è stata inflitta loro non per aver massacrato degli/delle innocent@ (questa
accusa è caduta in prescrizione), ma per aver falsificato delle prove.Cosa significa tutto questo? Appare chiaro come i “diritti di una vetrina” vengano presi più in considerazione dei diritti umani. Le
condanne che hanno subito i/le dieci manifestant@ rappresentano la condanna ad un intero movimento, e vorrebbero essere da esempio per il futuro.
Ingiustizia è stata fatta una seconda volta: dopo una vita -quella di Carlo - cancellata e le torture subite in quelle giornate, a distanza di 11 anni, è la vita dei e delle condannat@ ad essere stata
devastata e saccheggiata!!!
Diamo tutta la nostra solidarietà e complicità ai compagni e alle compagne che hanno sperato e lottato per un cambiamento, e a Francesco e Vincenzo, augurando loro di non dover mai vedere il cielo attraverso delle sbarre.
“Avevamo ragione.Abbiamo perso.Il nemico si tiene gli ostaggi.
Fino a quando la marea non monterà un’altra volta”. (Wu Ming 4)
Collettivo femminista Mujeres Libres
Mujeres-libres-bologna.noblogs.org

giovedì 19 luglio 2012

AFFONDEREMO ASSIEME ALLA SICILIA?

La notizia del possibile fallimento della regione Sicilia,però prontamente smentita dal governo grazie anche ai 400 milioni di Euro scuciti sull'unghia,ha scosso il mondo sociale italiano soprattutto con reazioni di rabbia,vergogna,indignazione e soprattutto d'impotenza visto che la Sicilia è stata sempre difficile da gestire visto le troppe collusioni con la mafia ed un clientelismo che ha raggiunto punte epiche.
La regione autonoma a statuto speciale siciliana governata malissimo da Raffaele Lombardo,ha debiti miliardari(in Euro)e ha all'interno un'organigramma zeppo di gente pagata dallo Stato e che praticamente non fà nulla se non sperperare queste risorse pubbliche con una gestione del patrimonio a dir poco oscena.
I soli stipendi,partendo da Lombardo e passando per i dirigenti ed arrivando a tutti i dipendenti pubblici,potrebbero far sopravvivere l'intero paese ed invece non bastano nemmeno per la stessa Sicilia,ed è evidente uno spreco di denaro che fa riflettere e molto,ed i primi ad incazzarsi sono proprio i siciliani che si vedono traditi e presi per il culo dai nomi,soliti e non,legati alla criminalità organizzata.
L'articolo preso da"Il Manifesto"parlano delle possibili ed augurate dimissioni del presidente siciliano e del rischio default che non avrebbe ripercussioni disastrose solo sull'isola ma anche su tutta l'Italia.
La Sicilia commissariata da Monti
vince il pressing di Confindustria.
Il premier Mario Monti ieri ha inviato una nota ufficiale al governatore della regione a statuto speciale per chiedere se "risponde al vero la volontà di dimettersi il 31 luglio". Ma la mossa puzza di commissariamento: niente elezioni in caso di dimissioni del governatore. Neanche sull'isola.
Massimo Giannetti

Le pressioni di Confindustria da una parte e dell'Udc dall'altra hanno colto nel segno. La loro richiesta di «commissariare la regione Sicilia a rischio crac» ha trovato le orecchie di Mario Monti non solo pronte all'ascolto ma a passare direttamente ai fatti. «Facendosi interprete delle gravi preoccupazioni riguardo alla possibilità che la Sicilia possa andare in default», il presidente del consiglio ha infatti preso carta e penna e ha scritto una lettera al governatore Raffaele Lombardo «per avere conferma dell'intenzione, dichiarata pubblicamente, di dimettersi il 31 luglio» per decidere di conseguenza. «Infatti - continua la missiva del premier - le soluzioni che potrebbero essere prospettate per un'azione dell'esecutivo non possono non tener conto della situazione di governo a livello regionale ma anzi devono essere commisurate ad essa, in modo da poter utilizzare gli strumenti più efficaci e adeguati".
Tradotto, il governo tecnico di Roma prende davvero in considerazione la richiesta di rinviare le elezioni regionali anticipate d'autunno (nel caso in cui Lombardo rassegnasse le dimissioni) per inviare in Sicilia dei commissari. E' un'ipotesi possibile ma non di facile attuazione. Le intenzioni minacciose di Palazzo Chigi - accolte al volo da un Pdl in disfacimento che tutto vorrebbe in questo momento tranne andare alle elezioni, ha scatenato infatti le barricate del partito di Lombardo e degli alleati di Fli. Silenzio invece da parte del Pd, con un piede dentro e uno fuori dal governo.

«La lettera del presidente del consiglio al presidente della Regione siciliana è irrituale e viola le regole fondamentali dell'autonomia regionale e della democrazia politica», attacca Carmelo Briguglio, vice presidente dei deputati e coordinatore siciliano di Fli: «Francamente - aggiunge - viene percepita come una inelegante quanto palese imbeccata di lobby politiche e industriali che vogliono condizionare il quadro politico in Sicilia e impedire che gli elettori di una grande regione del Paese, le cui condizioni finanziarie sono non dissimili da altre, possano tornare all'esercizio del diritto fondamentale che è quello del voto per rinnovare democraticamente le proprie istituzioni rappresentative». Briguglio ma anche il numero due di Fli, Italo Boccino, definiscono l'uscita di Monti «una gaffe istituzionale di particolare gravità alla quale il presidente farà bene a porre rimedio».

A sollecitare l'azzeramento del governo siciliano era stato l'altro ieri l'ex presidente di Confindustria Ivan Lo Bello, attualmente numero due degli industriali dell'isola, che in un'intervista al Corriere della Sera aveva chiesto a Monti «di mettere mano ai conti della Regione superando l'autonomia». Secondo Lo Bello il bilancio regionale sarebbe appunto «vicino alla bancarotta - con 5 miliardi di buco - determinata da anni di gestione dissennata e clientelare». Una situazione che metterebbe presto a rischio il pagamento degli stipendi dei 20 mila dipendenti.
«In Sicilia non c'è alcun rischio default» assicura l'assessore all'economia Gaetano Armao: «Il bilancio della Regione è stato parificato dalla Corte dei Conti e questa è la risposta migliore». Ma a dare man forte alla fotografia di Lo Bello, sul fronte politico è sopratutto il capogruppo Udc al senato, Giampiero D'Alia, segretario regionale del partito di Casini, secondo cui «l'indebitamento della Sicilia sarebbe addirittura superiore ai «21 miliardi». Controreplica l'assessore alla sanità, Massimo Russo: «Il nostro bilancio è in perfetto equilibrio. C'è in atto una strumentalizzazione politica da parte di chi non vuole le elezioni».

Raffaele Lombardo intanto non conferma né smentisce le dimissioni a fine mese, ma ha chiesto e ottenuto un incontro con Monti per il 24 luglio.

mercoledì 18 luglio 2012

IRAN O SIRIA,QUALE LA PRIMA?

Ormai in molti,messi i panni di veggenti e maghi col cilindro in testa,vedono nella sfera di cristallo delle nuove gerre in arrivo,e si parla ormai da mesi insistentemente di Siria e Iran come i due prossimi scenari di un conflitto cucito su misura dagli Usa,appoggiati a brevissima distanza da Israele e dal blocco occidentale succube della bandiera a stella e strisce.
Evidentemente,visto la fine della guerra in Iraq e avvicinandoci al termine di quella in Afghanistan,ormai sponsorizzata da sempre meno nazioni tra cui la nostra,c'è un interesse economico nel creare nuove situazioni di ostilità e seppur con motivi differenti i due stati(canaglia come dicono in americano)mediorientali corrispondono perfettamente alla descrizione che gli Usa vogliono farci arrivare.
L'articolo preso da Indymedia a firma di Alessandro Cacciatore evidenzia dei percorsi che già da anni sono stati intrapresi per minacciare queste due nazioni,oltre a Nord Corea,Venezuela e altre in orbita canagliesca,e nonostante i crimini commessi all'interno dei due paesi,ovviamente c'è del vero ad accusare certi atteggiamenti di Siria e Iran,la reazione è spropositata e soprattutto l'informazione è come al solito distorta.

Siria e Iran, le prossime due guerre sono già iniziate.
Metto in fila i fatti. Il 15 maggio ha preso avvio al confine giordano-siriano, la più grande esercitazione militare congiunta mai fatta in Medio Oriente. Vi partecipano 12.000 soldati di 47 paesi Nato e arabi, inclusa l’Italia. Dopo qualche giorno una serie di potenti esplosioni scuotono Damasco, uccidendo decine di soldati e ufficiali. Passa ancora qualche giorno e, mentre Bashar Assad è a colloquio con Kofi Annan, si viene a sapere di un orrendo massacro di oltre 100 persone nel villaggio di al-Houla.
Un’ondata di indignazione scuote il “mondo libero”. Il “sanguinario” Bashar viene additato come il responsabile. Cento morti sotto le sue bombe. Tutti civili. Il coro unanime non perdona. Austria, Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia, Spagna, Stati Uniti, espellono gli ambasciatori della Siria. Il generale Martin Dempsey, Capo dello Stato Maggiore degli Stati Uniti dichiara: “Queste atrocità rendono più probabile un intervento militare”.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani informa però che solo meno di 20 morti sono stati colpiti dal fuoco dei cannoni. “La gran parte delle altre vittime è stata sommariamente trucidata, sgozzata, in due incidenti separati a Taldoun”. Sembra che “intere famiglie” siano state abbattute e uccise nelle loro case. E’ questa pare, la ragione per cui il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non è in grado di dire chi ha commesso l’eccidio. Quindi non si pronuncia. Ma i paesi sopra elencati, a quanto pare, sanno invece già tutto. C’è solo un testimone, salvo per miracolo, che riferisce di avere visto squadre di assassini in abiti civili irrompere in alcune case inneggiando a Bashar Assad.
Ma questa storia, invece di diminuire i sospetti, li accresce. Non è difficile inneggiare a Bashar mentre si sgozza un bambino. Chiunque può farlo, anche un nemico di Bashar. Le guerre di Irak e di Libia sono state precedute da episodi molto simili. Anche quella del Kosovo. La storia si ripete, ma il mainstream, che l’ha creata, se la dimentica. Coazione a ripetere.
Poi emergono le fonti di Bashar Assad. Nessuno, in Occidente le usa, le cita, le conosce. C’è l’elenco degli uccisi. Dei 49 bambini di al-Houla, uccisi, ben 31 appartengono alla stessa famiglia. In tutto le vittime, donne e bambini, sono membri di solo quattro famiglie. Ci sono anche le foto, tremende, degli sgozzati.
Una cosa molto strana, oltre che molto orribile. Un’inchiesta dovrebbe rispondere a molte domande: perché l’accanimento proprio contro quelle famiglie? Di che religione erano? Ma a Washington, Roma, Londra, Parigi ecc, tutto è già chiarissimo. Tutto congiura per rendere necessario un intervento armato dall’esterno. Bashar Assad è, oltre che sanguinario, anche autolesionista.
E ora uno sguardo all’Iran. Qualcuno ha organizzato un cyber-attacco, con un nuovo virus, contro i centri di comando iraniani. Il nuovo virus si chiama “Flame”. Ed è molto più insidioso di quello “Stuxnet”che, nel 2010, distrusse diverse centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. “Flame” permette di guardare tutto ciò che passa sullo schermo di un computer, non importa di chi e dove è situato, e anche di dirigere a distanza quello che deve fare. Chi è l’autore dell’offensiva? Il vice premier di Israele, Moshe Yaalon, dice: “Chi ritiene che l’Iran sia una minaccia è ovvio che prenda le sue misure”. Inutile commentare perché è tutto chiarissimo. Più utile è tirare le somme.
Le due guerre, contro la Siria e contro l’Iran, sono già in corso. E noi italiani ci andremo di corsa, guidati da Giorgio Napolitano. Io invece penso che dovremmo chiedere al Governo italiano di dichiarare preventivamente, il più presto possibile, che l’Italia non andrà in guerra contro nessuno e non parteciperà a nessuna guerra, né umanitaria, né preventiva. Ovvio che non c’è all’orizzonte una tale volontà di Governo. Ma, se vogliamo evitare di farci arrostire, sarebbe bene che glielo imponessimo.
www.informarexresistere.fr/2012/06/02/siria-e-iran-le-prossime-due-guerr......
L’espulsione degli ambasciatori siriani è una chiara minaccia della NATO contro il popolo siriano
La Rete dei Comunisti esprime forte preoccupazione e condanna per l’espulsione dell’Ambasciatore della Repubblica Araba Siriana a Roma, Khaddour Hasan decisa dal Ministro degli Esteri Terzi.
Una scelta gravissima che segue di due settimane le dichiarazioni che ha rilasciato lo stesso Terzi quando ha ricevuto alla Farnesina il responsabile del CNS. In quelle dichiarazioni il Ministro degli Esteri del Governo Monti ribadiva la necessità di un intervento militare straniero a sostegno all’Esercito Siriano Libero, con lo scopo di abbattere l’attuale governo. Ieri , martedì 29 maggio, simultaneamente, in maniera coordinata Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Spagna, Olanda , Canada e Australia, hanno proceduto all’espulsione degli ambasciatori siriani dai rispettivi paesi, aggravando deliberatamente la crisi diplomatica. Una decisione che è stata presa, proprio nel momento in cui gli ispettori dell’ONU e Kofi Annan stavano svolgendo la loro missione. Mentre secondo gli ispettori dell’ONU, il massacro di Houla ha delle responsabilità tutte da chiarire, per le cancellerie occidentali è diventato il casus belli da utilizzare per dare seguito ai progetti di aggressione militare. Registriamo come una pericolosa conferma di questa deriva bellicista contro la Siria, le dichiarazioni rilasciate dal premier israeliano Netanyahu, che ha sollecitato l’intervento internazionale così come è stato per la Libia. Nel luglio del 2006, e nel dicembre 2009 quando Israele attaccò con una sproporzione di forza e terrore il Libano e la Palestina, provocando oltre 3000 morti, nessun Ambasciatore sionista fu cacciato o richiamato per protesta. Dalla basi NATO di Camp Darby partirono, invece i rifornimenti di armi per quelle criminali azioni israeliane.
L’espulsione del personale diplomatico siriano, è un passaggio grave, è una decisione presa all’interno della coalizione politica e militare della NATO, la cui missione oggi è quella di estendere e sostenere la supremazia dei poli imperialisti statunitense ed europeo sull’area medio orientale, ricca di risorse e geograficamente strategica. La crisi economica internazionale, accelera la competizione tra blocchi politico-economici per assicurarsi risorse a prezzi più vantaggiosi. In questo scenario, la Siria rappresenta una anomalia, per il suo assetto politico ed economico, e per la ragione che insieme all’Iran, alla resistenza libanese e palestinese ha costruito il Fronte Antimperialista che negli ultimi decenni ha bloccato il progetto imperialista del Grande Medio Oriente.
Dieci anni di guerre umanitarie hanno portato alla distruzione degli Stati nazionali preesistenti e consegnato alla barbarie ed alla violenza i popoli dell’Iraq, dell’Afganistan e più recentemente della Libia. Le guerre umanitarie hanno provocato oltre un milione di morti, in molti casi, la NATO ha sperimentato contro le popolazioni armi di distruzione di massa. Città, siti storici, al pari delle altre ricchezze di questi paesi non sono stati risparmiati dalla distruzione e dal saccheggio.
La Rete dei Comunisti condanna con forza e senza alcuna esitazione le decisioni assunte dal Ministro Terzi, dal governo Monti e dalle forze politiche, anche e soprattutto di “sinistra” che lo sostengono, che si stanno rendendo colpevoli della preparazione dell’ ennesima aggressione neocoloniale e stanno coinvolgendo il popolo italiano nella ennesima guerra di rapina a carattere imperialista. Ancora una volta il silenzio e la complicità dell’ex movimento pacifista assume la precisa funzione di sostenere la necessità degli interventi militari umanitari nascondendo la natura e gli scopi stessi di queste guerre di rapina.
Dichiariamo il nostro netto rifiuto alle aggressioni militari nei confronti degli altri popoli e denunciamo gli interessi politici ed economici imperialisti che sono il vero obiettivo che muove la borghesia europea e i suoi rappresentanti politici, sempre più spesso della consociativa opposizione parlamentare oltre che di governo, dei singoli paesi , ovviamente compresa l’Italia che cerca con la cieca collaborazione il suo residuo spazio espansivo. Esprimiamo la solidarietà al popolo siriano sconvolto dalla guerra civile e sosteniamo le forze di classe, progressiste e i comunisti siriani nella loro battaglia in difesa dell’indipendenza, per la democrazia sociale, per l’autodeterminazione politica e socio-economica, e per la pace.
Alessandro Cacciatore
www.informarexresistere.fr/2012/06/02/lespulsione-degli-ambasciatori-sir......

martedì 17 luglio 2012

PER IL REATO DI TORTURA IN ITALIA

L'ennesimo appello per vedere riconosciuto ed applicato penalmente il reato di tortura prosegue,e prendo spunto da un articolo tratto da Repubblica on-line dove la madre di Federico Aldrovandi,la signora Patrizia Moretti,ribadisce che questo nuovo capo d'accusa costituirebbe primo un deterrente e secondo una sostanziale aggravante nel caso di condanne per pestaggi e per massacri come quello subito da suo figlio e che ha portato alla morte del giovane ragazzo ferrarese.
Se in Italia,che si crede un paese democratico e pronto a dettar legge soprattutto in nazioni al di fuori dei confini europei,fosse veramente liberale,nell'ordinamento giuridico sarebbe previsto questo tipo di reato,cosa che invece non è fattibile per ora.
Quindi ecco il richiamo della signora Moretti tramite una raccolta di firme on-line affinchè la tortura rientri come violazione gravissima nel codice penale italiano.

La madre di Aldrovandi: “Una legge contro la tortura”.

Il dolore e la memoria. Vuole evitare ad altre mamme di “soffrire come ho sofferto io”. Patrizia Moretti è la madre di Federico Aldrovandi, lo studente ferrarese ucciso la notte del 25 settembre 2005 da quattro poliziotti. “Oggi è il compleanno di mio figlio e vorrei onorare la sua memoria con il vostro aiuto: insieme possiamo superare le vergognose resistenze ai vertici delle forze dell’ordine e battere gli oppositori che faranno di tutto per affossare la proposta”. Ovvero: una legge che dia attuazione, anche in Italia, della Convenzione Onu contro la tortura. Per “mettere fine all’impunità di stato, restituendo giustizia alle vittime di tortura e di altri crimini odiosi”.
“La morte di mio figlio non è un’eccezione”. Patrizia Moretti ricostruisce: “I poliziotti condannati per aver picchiato e ucciso mio figlio non andranno in carcere e sono ancora in servizio. C’è un solo modo per evitare ad altre madri quello che ho dovuto soffrire io: adottare in Italia una legge contro la tortura”. Perché “la morte di mio figlio non è un’eccezione: diversi abusi e omicidi commessi dalle forze dell’ordine rimangono impuniti. Ma finalmente possiamo fare qualcosa: alcuni parlamentari si sono uniti al mio appello disperato e hanno chiesto di adottare subito una legge contro la tortura che punirebbe i poliziotti che si macchiano di questi crimini. Per portare a casa il risultato però hanno bisogno di tutti noi”.
E l’appello, rilanciato da Avaaz, in poche ore ha raccolto oltre 50mila adesioni. L’obiettivo è raggiungere le 100mila firme, da consegnare ai ministri Severino e Cancellieri.
Questo il testo della lettera indirizzata ai ministri e a tutti i parlamentari:
Vi chiediamo di adottare immediatamente una legge forte contro la tortura che garantisca che gli agenti delle forze dell’ordine che commettono reati gravi non siano più al di sopra della legge e non possano più restare in servizio. Tutti gli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico dovrebbero essere identificabili. E’ ora di rispettare la Convenzione Onu contro la tortura e di mettere fine all’impunità di stato, restituendo giustizia alle vittime di tortura e di altri crimini odiosi.
Su Avaaz la pagina per sottoscrivere l’appello. E qui il sito Giustizia per Aldro. Tra le adesioni: Articolo21.

lunedì 16 luglio 2012

IL PICCOLO DI ALEMANNO

Ennesimo scandalo politico a Roma dove un altro elemento della cricca di Alemanno è stato arrestato,ovvero il vicepresidente del consiglio comunale,Samuele Piccolo,altro tassello del mosaico immenso di parentopoli e amicolpoli che il podestà della capitale ha assunto con incarichi pubblici(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2011/01/alemagno.html ).
Assieme a Piccolo manco a dirlo apposta sono stati arrestati pure il fratello,il padre(ai domiciliari)e indagata la madre...una famiglia di criminali che mi fa ricordare quella di Bossi:l'articolo preso da Repubblica on-line traccia il profilo di questo delinquente,votato da ben 12mila persone alle ultime elezioni grazie ad una campagna martellante in cui ha speso tanti soldi,troppi secondo la magistratura.
Un altro figlioccio di Alemanno è in carcere,e pian piano tra amici e parenti in Atac o in comune lo stillicidio continua,e piccoli e grandi criminali vengono allo scoperto anche se il fascio con la fascia tricolore si dice fiducioso nelle indagini degli inquirenti.


Comune, arrestato vicepresidente del consiglio
accusato di finanziamento illecito ai partiti

Samuele Piccolo ai domiciliari con il padre Raffaele. In carcere il fratello Massimiliano, considerato "capo, organizzatore e promotore" di una associazione a delinquere. Indagata la madre. L'inchiesta è coordinata dai pm Paolo Ielo, Mario Palazzi e Barbara Sargenti. Sospeso dal Pdl. Per la campagna elettorale del 2008 allestito un call center con 500mila contatti.
Il vice presidente del consiglio comunale di Roma, Samuele Piccolo (Pdl), è finito agli arresti domiciliari con le accuse di associazione a delinquere, finanziamento illecito ai partiti e appropriazione indebita. E' stato, dunque, sospeso "a scopo cautelare dal Popolo delle Libertà fino a che non sarà concluso l'iter giudiziario che lo riguarda", come confermato dal deputato e coordinatore Pdl del Lazio, Vincenzo Piso, e da Gianni Sammarco, deputato e coordinatore del Pdl di Roma.

Il ritratto di Samuele Piccolo / Mister preferenze e signore delle tessere

L'autista di Piccolo al servizio della famiglia. E Samuele "prendeva ordini da Massimiliano"

Ai domiciliari anche il padre, Raffaele, insieme ad altre quattro persone. Per la Procura il "capo, organizzatore e promotore" dell'associazione a delinquere è il fratello di Samuele Piccolo, Massimiliano,finito però in carcere. Si trovava in vacanza fuori Roma ed è rientrato nella capitale proprio per costituirsi a Rebibbia dopo aver saputo di essere il destinatario di un provvedimento cautelare emesso a suo carico del gip Filippo Steidl. Ad accompagnarlo nella struttura penitenziaria l'avvocato Luca Petrucci.

Le indagini sono partite da verifiche svolte dall'Agenzia delle Entrate e in particolare dall'ufficio centrale antifrode. Accertamenti poi sono stati condotti, su delega della Procura, dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza della capitale guidato dal generale Virgilio Pompon. L'inchiesta è coordinata dai pm Paolo Ielo, Barbara Sargenti e Mario Palazzi. In totale sono sette i provvedimenti di custodia cautelari firmati dal gip. In base all'impianto accusatorio, attraverso una serie di società sarebbero stati creati finti crediti Iva e dirottati i fondi drenati al fisco all'attività politica del vicepresidente del consiglio comunale. Questa mattina sono scattate le perquisizioni degli uomini del nucleo di polizia tributaria di Roma nell'ufficio del consigliere comunale romano del Pdl in Campidoglio. La Guardia di finanza avrebbe acquisito carte e documenti.

In particolare a Samuele Piccolo si contestano tre diversi episodi di finanziamento illecito con riferimento all'ultima campagna elettorale amministrativa. Si tratta di cene elettorali e anche dell'organizzazione dei call center per il cui allestimento sarebbero stati sottratti al fisco 122mila euro. A capo dell'organizzazione, secondo le conclusioni dei magistrati, Massimiliano Piccolo che ha avuto un ruolo di vertice insieme al padre Raffaele. Ai domiciliari anche quattro persone legate all'attività imprenditoriale dei Piccolo. Si tratta di Franco Cannone, Silvia Fortuna, Rosario Meglio e Riccardo Sorbara. Complessivamente sono 13 le persone coinvolte e indagate, tra queste anche Elena Ciaravolo, madre di Samuele Piccolo. Il giudice ha invece respinto la richiesta di arresto fatta per Ezio D'Angelo, assessore nel municipio VIII.

Dagli uomini della Gdf sono stati sequestrati 2 milioni di euro di Massimiliano Piccolo, fratello del vicepresidente del consiglio comunale. Per i pm della Procura di Roma il denaro sarebbe il frutto dei reati fiscali. Gli inquirenti hanno anche eseguito il sequestro del 50 per cento delle quote di una società immobiliare. I crediti fittizi dell'Iva venivano investiti dai Piccolo anche nell'acquisto di case.

Elezioni e call center. Nella tornata elettorale del 2008, quella che ha portato Gianni Alemanno a diventare sindaco della capitale, il giovanissimo consigliere (allora di An), Samuele Piccolo, classe 1981, fu quello più votato: entrò in Campidoglio con 12mila voti. La sua fu una campagna elettorale sul territorio, imponente ma anche porta a porta: fatta di maxi cartelloni e iniziative nei centri anziani, manifesti ovunque e incontri con i cittadini. Ma soprattutto coordinata da un call center efficentissimo che portò Piccolo a trionfare con un vero e proprio boom di preferenze elettorali.

"Ad inizio attività - scrivono i magistrati - sono state somministrate al call center una lista di circa 500mila anagrafiche di abitanti di Roma, da chiamare secondo esigenze, che fossero inviti a cena, ricerca rappresentati di lista, appuntamenti, avendo ben specificato di non utilizzare le stesse anagrafiche per più di un evento per non incorrere nell'incontrare sempre le stesse persone".

Dell'attività del call center, creato in via Casilina 1803d in un seminterrato dove era stata sistemata la segreteria politica di Piccolo nel 2010 quando era candidato per le elezioni regionali, il gruppo Piccolo, sarebbe rimasto "insoddisfatto, tanto da affidare ad un legale una valutazione circa le eventuali azioni da intraprendere". Ad ogni modo fu poi "fatto un piano di cene da rispettare, con indicato il numero di persone da invitare in base alla capienza del ristorante e di quante avevano necessità di incontrare per strategie politiche. Alcune cene si sono aggiunte in seguito in base a necessità e poteva capitare di informarli anche la mattina prima della cena, tenendo in considerazione che le postazioni da richieste erano ben 268, un numero altissimo di operatori che, chiamando contemporaneamente ad una media di 12 chiamate con risposta l'ora per otto ore al giorno avrebbero dovuto sviluppare un numero elevatissimo di inviti".

Alemanno.
Con poche parole il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha commentato: "Sulla vicenda di Piccolo abbiamo fiducia nel lavoro della magistratura e speriamo in un rapido chiarimento di questa vicenda sicuramente molto brutta". L'pposizione invece pretende chiarimenti. "La notizia sull'arresto di Samuele Piccolo, primo dei consiglieri eletti nel Pdl e vicepresidente dell'assemblea capitolina getta l'ennesima ombra inquietante sull'amministrazione Alemanno - hanno dichiarato Umberto Marroni, capogruppo Pd, e Gemma Azuni, capogruppo di Sel - Chiediamo che sia fatta piena luce sulla vicenda e di verificare se siano intercorsi rapporti tra le società della famiglia Piccolo e il Comune di Roma. Pur nella presunzione di innocenza appare opportuno che il consigliere Piccolo, in attesa del svolgimento del procedimento della magistratura, si dimetta immediatamente almeno dalla carica vicepresidente dell'assemblea capitolina al fine di tutelare l'istituzione".
(13 luglio 2012)

sabato 14 luglio 2012

CHI SACCHEGGIA E' LO STATO,CHI DEVASTA E' IL CAPITALE

Come anticipato giusto una settimana fà all'indomani della sentenza contro la sbirraglia rea della macelleria messicana avvenuta alla scuola Diaz,ieri a Genova la mano della magistratura è stata pesantissima contro le dieci persone accusate di devastazione e saccheggio per gli scontri del 2001.
Pur essendo giudicati per danni contro cose e non persone hanno avuto pene gravissime che arrivano fino a quindici anni,sanzione,per fare un esempio,data ultimamente ad un prede pedofilo che ha violentato sette bambini e per un uomo che ha sgozzato il padre anziano nel sonno.
Mentre gli sbirri esecutori materiali dei pestaggi se la sono cavata con una lavata di capo ed i loro superiori sono stati licenziati,questi compagni hanno avuto solo un lievissimo decurtamento della pena:ovvio che sono stati usati due pesi e due misure e che l'ingiustizia italiana ha fatto nuovamente il proprio sporco dovere.
L'articolo preso da Indymedia racconta la sentenza della Cassazione di Genova,ennesima vergognosa prova che di passi in avanti in materia di giustizia se ne devono fare,pur sempre tenendo conto che la faccenda di queste condanne non finisce qui e che si possono e si devono organizzare delle manifestazioni di protesta contro questa merda di verdetto.

Genova G8: Cassazione, ingiustizia è fatta.

Ore 19.45, la sentenza viene letta in Cassazione. Ci vogliono alcuni minuti perché le posizioni sono diverse per i dieci manifestanti condannati per devastazione e saccheggio. Alla fine, queste le prime notizie, ci sono cinque manifestanti che si sono visti annullare la condanna con rinvio al processo di appello, tre ricalcoli di pena e due conferme della condanna ma il dato che non varia, al di là delle posizioni personali e soggettive – importantissime – è il dato politico. Come si fa ad arrivare undici anni dopo un terzo grado di giudizio per dieci manifestanti che sono accusati per azioni contro cose, mentre la sentenza per le sevizie e le torture nel caso Diaz ha visto condanne, ma senza carcere?
L’Avvocato Romeo a Radio Popolare: “Cinque persone da oggi entrano in carcere e altre cinque affronteranno un nuovo processo. La Cassazione ha confermato l’impianto della Coprte d’Appello. Per noi difensori ingiustizia è fatta. Il prezzo dei cittadini condannati è enorme, per azioni che sono state commesse su cose e non verso persone”.
Un verdetto che non modifica il primo e il secondo grado. Il reato fu inserito ai tempi dl fascismo, ma è quanto di più utile per la repressione contemporanea, che non riguarda solo i fatti di Genova undici anni fa, ma anche tutte le occasioni in cui si esprime il dissenso, anche in forma non pacifica, ma comunque contro cose e non persone.
Con la sentenza della Cassazione ci sono persone che sconteranno fino a quindici anni di carcere. Con buona pace per chi non solo se l’è cavata con una sospensione di qualche anno, grazie alle coperture guadagnate con la divisa. Il paragone con la sentenza per la Diaz è inevitabile. Quale devastazione e saccheggio si chiedeva ieri in una lettera appello Enrica Bartesaghi, presidentessa del Comitato Verità e Giustizia per Genova, che abbiamo pubblicato in questo stesso articolo.
Davanti alle immagini delle persone pestate, in ospedale, a Bolzaneto, dentro la scuola, vessate, torturate, oggi è svelato il grado di giustizia di cui si è capaci nelle aule di giustizia. Per non parlare della politica, che in undici anni non è stata solo assente, ma colpevolmente responsabile.
da eilmensile
http://www.eilmensile.it/

venerdì 13 luglio 2012

HOLLANDE E LA PATRIMONIALE

La notizia odierna presa dal blog"I segreti della casta"(http://isegretidellacasta.blogspot.it/ )raffronta due modi di agire politicamente ed economicamente alla recessione creata da chi ci governa,ed il paragone è tra la Francia di Hollande e l'Italia di Monti.
Mentre da noi sappiamo bene quali e quanti sacrifici ci stiano caricando sul groppone nel tentativo di salvare banche e gli interessi dei soliti noti,i nostri vicini abbassano la soglia dell'età pensionabile aumentando il salario minimo e soprattutto applicano una bella tassa patrimoniale ai contribuenti più ricchi,che poi sono anche quasi tutti gli sfruttatori del popolo intero.
Mentre in Italia la parola"patrimoniale"rimane tabù,in Francia le imposte verso chi guadagna più o meno meritatamente sono belle toste come giusto che sia:chi più riceve più deve dare e non il contrario!
Chi ha un reddito,cifre che metto assieme ora per fare un esempio,di oltre 50 mila Euro annui netti secondo me dovrebbe essere tassato molto più di chi fa fatica a prenderne 12mila,e più il reddito aumenta più la percentuale deve aumentare...chi prende 500mila Euro l'anno dovrebbe venire tassato pesantemente,alla faccia dei piagnistei dei padroni che pur di mantenere un tenore di vita elevato tagliano posti di lavoro fregandosene della gente.

La Francia tassa i ricchi, abbassa età pensionabile e aumenta i salari. Alla faccia della Fornero.

Ha aumentato il salario minimo del 2%. Ha abbassato la soglia per le pensioni di anzianità a 60 anni. Ha annunciato un’aliquota sui redditi dei ricchi al 75%, una tassa sui dividendi del 3% e sulle scorte petrolifere del 4%. Ha assicurato che aumenterà i contributi - già altissimi - e l’imposta di successione e che recupererà la vecchia patrimoniale. Infine, ha promesso 65mila assunzioni nel settore pubblico. Insomma, per i fautori del libero mercato e delle riforme strutturali, François Hollande è un incubo. Se Mario Monti avesse azzardato una sola di queste misure, il famigerato spread avrebbe toccato vette inarrivabili.
 
Eppure, tutto tace. Mentre sui quotidiani stranieri, in particolare su quelli anglosassoni, i titoli continuano a somigliarsi tutti (tra i più gettonati: «la luna di miele finirà presto» e «la vie en rose durerà poco»), sui mercati finanziari l’incantesimo regge. Anzi. Non più tardi di lunedì i rendimenti sui titoli di Stato francesi a tre e a sei mesi, per la prima volta nella storia, sono stati negativi. Segno che il mercato pensa che la Francia somigli molto più alla Germania che alle peccaminose Italia o Spagna. Segno che la “rossa” Parigi è diventato un porto sicuro, alla pari dei Paesi “falchi” guidati da austeri conservatori à la Merkel che anelano allo zero deficit come alla panacea di tutti i mali.
 
Certo, anche Hollande si è impegnato sul rigore. I numeri però sono numeri. Nel primo trimestre dell’anno il debito è salito all’89,3% del Pil e il deficit veleggia a fine anno verso il 4,5%. Il premier Jean-Marc Ayrault si è impegnato a ridurlo sotto il 3% l’anno prossimo e di azzerarlo quello dopo. Ma anche le stime sul Pil sono state riviste allo 0,4% quest’anno e all’1-1,3% per l’anno prossimo. E Hollande non ci pensa neanche, per dire, a rimandarsi le assunzioni nel pubblico o a toccare la legge sui licenziamenti come gli chiedono in molti.
Gli analisti, ovvio, avvertono che bisogna guardare ai rendimenti dei bond decennali e non a quelli a brevissimo termine. E che nei prossimi mesi sono destinati a risentire dell’«effetto Hollande», se non farà anche riforme strutturali. Però lo spread francese, intanto, è inchiodato a 110 punti, a distanze siderali dal nostro. Con tutto che in Francia, negli ultimi 5 anni sono spariti 400mila posti nel manufatturiero e il Pil pro capite è sceso negli ultimi 10 dal 95 al 90% di quello tedesco. E con tutto che una settimana fa i maggiori economisti e imprenditori hanno chiesto allarmati uno «shock per il rilancio della competitività», che è un noto punto debole dell’economia oltralpe. I mercati, per ora, se ne infischiano.

mercoledì 11 luglio 2012

LA MARCIA E' ARRIVATA A MADRID

Come previsto dalla tabella di marcia(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/07/la-marcia-verso-madrid.html )i minatori asturiani sono giunti a Madrid oggi accolti da migliaia di manifestanti solidali con loro ma anche da centinaia di agenti facenti parte della sbirraglia fascista spagnola armata fino ai denti e che con la violenza ha in tutti i modi ostacolato l'arrivo a destinazione della lunga marcia dei lavoratori in rivolta.
L'articolo preso da La Repubblica mostra foto degli scontri e una breve cronaca costellata da numerosi feriti ed arresti,con la polizia che ha sparato lacrimogeni e pallottole di gomma ad altezza uomo(si sono già dimenticati del decesso del tifoso dell'Athletic Bilbao qualche mese fà).
Madrid oggi sembrava una piccola Genova di undici anni addietro,dove gli schiavi in divisa hanno massacrato su ordine del governo di destra che oggi ha annunciato salassi per la popolazione iberica.

SPAGNA

La marcia dei minatori arriva a Madrid
violenti scontri in piazza con la polizia
Decine di feriti e cinque arresti dopo che i manifestanti hanno lanciato oggetti contro gli agenti che hanno reagito sparando proiettili di gomma.

MADRID - Tensione alle stelle a Madrid. I tagli ai sussidi hanno scatenato la protesta dei minatori, che hanno lanciato sassi, bottiglie e petardi contro la polizia in tenuta anti-sommossa, che ha reagito sparando proiettili di gomma. Il bilancio provvisorio degli scontri tra manifestanti e agenti è di 76 feriti (33 poliziotti) mentre sarebbero 5 le persone arrestate.

LE FOTO DEGLI SCONTRI 1

Le forze dell'ordine si sono difese con i propri scudi dal lancio di oggetti e hanno sparato in aria i proiettili di gomma per disperdere la folla. "C'è stata una carica di fronte al ministero dell'Industria", ha affermato un portavoce della polizia di Madrid. Cinque persone sono state arrestate. A poche centinaia di metri di distanza, un altro gruppo di manifestanti, all'esterno dello stadio Santiago Bernabeu ha lanciato pietre e lattine contro gli agenti. "Via, via", hanno urlato i manifestanti. "Queste sono le nostre armi", hanno proseguito, alzando le mani.

Gli incidenti vanno a infiammare una situazione sociale già molto tesa dopo che il premier Mariano Rajoy ha varato ieri una manovra da 65 miliardi 2 che prevede tra le altre cose il taglio
delle tredicesime per gli impiegati statali.

I minatori, alcune centinaia arrivate nella capitale dopo una lunga marcia di oltre 400 chilometri partita dalle regioni settentrionali del Paese, si sono unite alla massa di lavoratori di altri settori, la maggior parte dei quali pacifici, che manifestavano contro le politiche economiche del governo.

LE FOTO DELLA MARCIA 3

Non sono i primi scontri tra minatori e polizia in oltre un mese di proteste nelle città minerarie del nord in seguito alla decisione di Madrid di tagliare i sussidi all'industria dai 301 milioni di euro dello scorso anno ai 111 attuali. I sindacati hanno denunciato che queste decisioni distruggeranno l'industria mineraria, che si fonda sui sussidi statali per reggere l'urto delle importazioni a prezzi più concorrenziali: a rischio ci sono 8mila posti di lavoro, 30mila considerando anche l'indotto.
(11 luglio 2012)

martedì 10 luglio 2012

SEDI DI CAGAPOUND DA INTERRARE!

Breve articolo preso da Indymedia che riprende un paio di articoli che riguardano le ben note amicizie che il gruppo nazifascista di Cagapound ha con la criminalità di tutta Italia ed in particolar modo si parla oggi della zona romana e campana.
Due nomi noti(veramente solo ai quattro ratti della congrega razzista)che sono messi accanto a quelli di pericolosi delinquenti che hanno nella camorra e nel narcotraffico le loro basi di sussistenza:è sempre bene ricordare che questi nuovi fasci del terzo millennio altro non sono che dei malavitosi che hanno fatto delle loro conoscenze un briciolo di notorietà politica soprattutto nella decina di metri al di fuori delle loro cloache di sedi(che naturalmente in una maniera o nell'altra andrebbero richiuse ed interrate perchè sempre fogna si parla).

Casapound: camorra e narcotraffico, indagini in corso.

Andrea Antonini, vicepresidente di Casapound, consigliere al XX Municipio di Roma, già gambizzato nel 2011.
Pietro Casasanta, responsabile del gruppo "La Salamandra", emanazione diretta di Casapound, inserito nel contesto delle associazioni di Protezione Civile.
I baldi fascisti del terzo millennio rischiano il rinvio a giudizio.
Pare abbiano aiutato il boss camorrista e narcotrafficante Mario Santafede a rendersi latitante testimoniando il falso per far rilasciare un documento di identità a suo favore (ovviamente intestato ad altra persona realmente esistente).
Correva il giorno 29 luglio 2008, il boss era latitante da 4 anni, Casasanta e Antonini all'ufficio anagrafe dissero che era proprio Filippo Lo Brutto quello che stava richiedendo la carta di identità. Invece era Mario Santafede, che burloni...
Gli articoli sono presi da "Il Fatto quotidiano" e "Paese Sera"
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/09/antonini-leader-di-casapound-...
http://www.paesesera.it/Cronaca/Aiuto-boss-per-un-documento-falso-Indagi...