sabato 31 dicembre 2016

CENSURA O NON CENSURA?

Risultati immagini per libertà espressione internet
La questione emersa nelle ultime ore sulle censure e la libertà di espressione in Internet non è di facile spiegazione e comprensione perché se da un lato può porre fine ad una sequela di notizie palesemente od in parte false raccontate per creare panico o peggio ancora odio,dall'altra in certi contesti di regime oppure di informazione sui soliti canali informativi,quali carta stampata e televisione,indirizzata dal governo di turno può essere problematica.
L'articolo preso da Contropiano(/litalia-chiede-alleuropa-censurare )si pone delle domande emerse dalle dichiarazioni del capo dell'antitrust italiano Pitruzzella,dopo le polemiche di basso interesse dell'ex premier giullare e quelle un poco più serie che stanno riguardando parlando globalmente il caso tra Russia e Usa,e della necessità di porre freno a notizie non veritiere capaci come scritto sopra di indurre ad essere populisti e pecoroni,non citando palesemente Grillo e il suo blog ma facendo pensare.
Il vero problema quasi atavico nella relativamente breve vita di Internet è sapere chi controlli la divulgazione delle notizie e soprattutto chi possa vigilare sui controllori,dispute non ancora dissipate tra chi vorrebbe che fossero gli Stati sovrani ad assolvere a questo compito oppure l'Ue(parlando dell'Italia)oppure in maniera diretta i social networks ed i gestori dei vari siti e blog.

L’Italia chiede all’Europa di censurare la libertà di espressione su internet


ZeroHedge analizza freddamente il significato delle dichiarazioni del nostro capo dell’antitrust, Pitruzzella, in merito alle “fake news”. Come al solito, dietro una richiesta apparentemente ragionevole, si cela una verità inconfessabile. L’establishment vuole mettere in atto un “Ministero della Verità” orwelliano, una schiera di individui non eletti, ovviamente coordinati da Bruxelles, che non rispondono a nessuno delle loro azioni ma che possono decidere cosa è vero e cosa no. Chi controlla il presente controlla il passato, e chi controlla il passato controlla il futuro (Orwell, 1984).
 
di ZeroHedge, 30 dicembre 2016 – tradotto da Malachia Paperoga per http://vocidallestero.it/
I primi sono stati gli Stati Uniti, poi la Germania, che ha dato la colpa di quello che non funziona nella società alle “false notizie”, e non, per esempio, a una serie di terribili decisioni prese dai politici. Ora è il turno dell’Italia di chiedere di porre fine alle “false notizie”, cosa che di per sé potrebbe non essere preoccupante. Tuttavia, il modo in cui Giovanni Pitruzzella, capo dell’antitrust italiano, chiede all’Unione Europea di “agire” su quelle che sarebbero “notizie false”, consiste a dir poco in una repressione totale della libertà di espressione e darebbe ai governi la libertà di mettere a tacere qualsiasi fonte che non rispetti la propaganda dell’establishment.
In un’intervista al Financial Times, Pitruzzella ha detto che le regole sulle “false notizie” su internet sarebbero meglio gestite dallo stato piuttosto che dalle società dei social media come Facebook, un approccio già adottato in precedenza dalla Germania, che ha richiesto a Facebook di porre fine all’”hate speech” (discorso di odio, ndVdE) e ha minacciato di multare il social network fino a  500.000 euro per ogni “falso” post.
Pitruzzella, a capo dell’antitrust dal 2011, ha detto che “i paesi dell’UE dovrebbero istituire organismi indipendenticoordinati da Bruxelles e modellati sul sistema delle agenzie antitrust — che potrebbero rapidamente etichettare le notizie false, rimuoverle dalla circolazione e infliggere ammende se necessario.”
In altre parole, una serie di burocrati non eletti, che non rendono conto a nessuno, si riunirebbero tra loro per decidere quali sono e quali non sono le “notizie false”, e poi – rullo di tamburi – “le rimuoverebbero dalla circolazione.” D’altra parte, considerando che una settimana fa Obama ha dato all’Europa il via libera ad ogni forma di censura e sospensione della libertà di parola, quando il Presidente uscente degli Stati Uniti ha votato la “Direttiva per contrastare la Disinformazione e la Propaganda“, nessuno dovrebbe sorprendersi che un’Europa improvvisamente imbaldanzita ricorra a tali misure agghiaccianti.
Così, con l’Europa sull’orlo di implementare una sfrenata censura, ecco lo specchietto per le allodole atto a giustificarla.
La Post-verità in politica è uno dei motori del populismo ed è una delle minacce per le nostre democrazie” ha detto Pitruzzella al FT. “siamo giunti a un bivio: dobbiamo scegliere se lasciare internet com’è, il selvaggio west, o se ha bisogno di regole che tengano conto del modo in cui è cambiata la comunicazione. Penso che abbiamo bisogno di impostare tali regole e questo è il ruolo del settore pubblico”.
Traduzione:  presto dipenderà da Bruxelles decidere quali contenuti Internet sono adatti al vasto pubblico europeo, perché, a meno che non intervenga un burocrate, le “notizie false” scateneranno sempre più populismo e non, per esempio, anni di riforme politiche fallite o di decisioni sbagliate della Banca Centrale.
In breve, è tutta colpa di internet se il sistema politico europeo è scosso da una reazione anti-establishment senza precedenti, che non ha nulla a che fare con, be’, con nient’altro.
Come nota il FT, la richiesta di Pitruzzella arriva in un contesto di crescenti preoccupazioni per l’impatto delle “false notizie” sulla politica nelle democrazie occidentali, compreso il voto sulla “Brexit” e le elezioni americane di quest’anno. In Germania, che nel 2017 va incontro alle elezioni parlamentari , il governo sta progettando una legge che imporrebbe multe fino a 500.000 euro sulle società dei social media per la diffusione di “notizie false”.
Gli alleati di Matteo Renzi, l’ex primo ministro, hanno anche sostenuto che le “false notizie” hanno contribuito alla sua sconfitta nel referendum di dicembre sulla riforma costituzionale, che ha portato alle sue dimissioni, anche se la sconfitta è arrivata con un margine di 20 punti percentuali. Almeno non hanno dato la colpa agli hacker russi… per ora.
Quindi, anche supponendo che limitare la libertà di espressione sia la risposta giusta, perché non imporre alle piattaforme l’auto-controllo?
Beh, secondo Pitruzzella sarebbe inopportuno affidare questo compito all’autoregolamentazione da parte dei social media. “Le piattaforme come Facebook hanno creato grandi vantaggi per il pubblico e i consumatori: stanno facendo la loro parte come operatori economici, adottando politiche che modificano i loro algoritmi per ridurre questo fenomeno”, ha detto. “Ma controllare le informazioni non è il compito delle compagnie private. Storicamente questo è il compito dei pubblici poteri. Essi devono garantire che le informazioni siano corrette. Non possiamo delegarlo completamente.”
Conosciamo almeno un italiano che sarebbe d’accordo (vedi immagine in testa).
E proprio come “Lui”, Pitruzzella ha minimizzato le preoccupazioni sul fatto che la creazione di agenzie statali per monitorare le false notizie introdurrebbe una forma di censura, affermando che si potrebbe “continuare ad utilizzare un internet libero e aperto”… fino a quando tutti i membri dell’internet “aperto” sono d’accordo con quello che le agenzie decidono essere vero e indiscutibile. Ma secondo lui ci sarebbe un vantaggio, in quanto ci sarebbe una “terza parte” pubblica — indipendente dal governo — pronta ad  “intervenire tempestivamente nel caso che venga leso l’interesse pubblico”.
Al momento, l’unico modo in cui le “notizie false” possono essere combattute — almeno in Italia — è attraverso il sistema giudiziario, che è notoriamente lento. “La rapidità è un elemento critico” ha detto Pitruzzella, quindi qual è la soluzione? Ma ovviamente un Ministero della verità.

Il Movimento di opposizione 5 Stelle  è spesso etichettato come il principale facilitatore in Italia delle “false notizie”, attraverso il blog del suo fondatore, il comico Beppe Grillo, e una rete di altri siti web affiliati al partito. Ma Pitruzzella ha rifiutato di citarli come i principali colpevoli. “Non so se questo è vero, non vorrei criticare nessuno, nemmeno il Movimento 5 stelle. Ma credo che, se non ci sono regole, molti possono approfittarsene.”
Naturalmente, una volta che la libertà di espressione verrà sottoposta a  censura, Pitruzzella non avrà nessun problema non solo a criticare chi non è d’accordo con lui, ma anche a chiudere prontamente i loro canali di espressione sulla rete.
*****
La storia politica del "neutrale" Pitruzzella si è tutta svolta all'ombra degli antichi potentati democristiani, tra cui spicca il ruolo di consulente giuridico per le giunte regionali siciliane di Cuffaro e Lombardo.
La scheda biografica più asettica rintracciabile è quella su Widipedia,  ma non è difficile fare i collegamenti tra ruoli ricoperti e interessi "societari" difesi. Che a un personaggio simile – di cui non ricordiamo un solo intervento sulla materia assegnatagli, ovvero le concentrazioni di cartello tra imprese, contrarie alla concorrenza – sia attribuito un potere qualsiasi su questioni che riguardano la libertà di un paese, è di per sé preoccupante…

venerdì 30 dicembre 2016

SIAMO TUTTI LICENZIABILI


Risultati immagini per il profitto giustifica il licenzamento

La notizia della Cassazione di inizio mese che prevede il licenziamento di un dipendente giustificandosi solo col fatto che agendo così si possa trarre più profitto,è una triste ed allarmante notizia che però non trova impreparati la maggior parte di chi si ha voluto scavare nemmeno troppo a fondo sulle inqualificabili conseguenze del job act(madn dove-sta-l'inganno ).
Non c'è molto da aggiungere all'articolo di Milano & Finanza(cassazione-il-profitto )dove il licenziamento per giusta causa non solo può venire attuato per gravi crisi economiche oppure a perdite di fatturato e buchi di bilancio.
Ormai un'azienda può mettere come voce in quest'ultimo una sorta di accantonamento economico relativo alla riduzione del numero dei dipendenti,una sorta di salvadanaio se i bilanci dovessero perdere e addirittura già una scusa nel caso di previsioni di guadagni al di sotto delle aspettative già preventivamente gonfiati.
L'ennesima prova che la tanto propagandata e sventolata politica dei job acts sia stata solo fumo negli occhi dei lavoratori,non una buona politica nel settore del lavoro come tanto decantata dal maiale Poletti e dal governo del conta balle fiorentino ma una riforma cucita addosso ai padroni come nessun altro governo di destra abbia mai osato proporre ed attuare.

Cassazione, il profitto giustifica il licenziamento.

Secondo i giudici della Corte di Cassazione, come riportato da Italia Oggi, il licenziamento di un dipendente potrà essere giustificato anche solo in vista della migliore e della più efficiente organizzazione produttiva dell'impresa o dalla ricerca della maggiore redditività della stessa, ovvero del maggior profitto.

Il profitto giustifica il licenziamento. È questa la nuova e rivoluzionaria fattispecie di licenziamento riconosciuta per la prima volta nel nostro ordinamento da una recente sentenza della Corte di cassazione (sentenza n. 25201 del 7 dicembre 2016). Si tratta, scrive Italia Oggi, di un ampliamento di campo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo che potrà ricorrere, adesso, non solo nei casi «straordinari» come le situazioni economiche sfavorevoli, ma anche in quelli «ordinari» in cui l’azienda decide di sopprimere una funzione per aumentare la redditività e quindi, in ultima istanza, il profitto.
Con la sentenza in esame i giudici di legittimità compiono una vera e propria rivoluzione copernicana affermando per la prima volta e chiaramente che un licenziamento non sarà più giustificato solo se necessario a fronte di una crisi economica o una perdita di bilancio o un calo di fatturato che metta a dura prova se non addirittura a rischio l’andamento dell’azienda. Il licenziamento di un dipendente, secondo i giudici della Corte di cassazione, potrà essere giustificato anche solo in vista della migliore e più efficiente organizzazione produttiva dell’impresa o dalla ricerca della maggiore redditività della stessa: alias maggior profitto.
In altri termini, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per essere legittimo d’ora in avanti non dovrà più essere considerato la extrema ratio ma uno dei possibili sbocchi dell’autonomia organizzativa e decisionale dell’imprenditore sottratta al vaglio del giudice del lavoro (a cui spetterà unicamente di verificare in concreto l’esistenza della ragione dedotta dell’azienda e il nesso di causalità tra la ragione dedotta e il licenziamento di quel particolare dipendente).

giovedì 29 dicembre 2016

NON AVRAI ALTRO DIO ALL'INFUORI DI ME


Risultati immagini per beppe grillo dio
Riassumendo le ultime puntate della telenovela del Movimento cinque stelle in cui altro non si può trarre la conclusione che siano ormai oltre che allo sbando totale pure sempre più pericolosi socialmente con le ripetute politiche populiste e le repentine battute all'indomani della strage di Berlino promettendo propaganda elettorale di destra forse sulla base di commenti sui social piuttosto che un vero lavoro di politica.
Fatto sta che proclami e proseliti i 5 stelle li fanno dal blog di Beppe Grillo,organo ufficiale di divulgazione del padre padrone del movimento,che poi è stato il primo a nascere e ottenere voti sull'onda dell'affermazione e del successo di internet con tutte le controindicazioni e le perplessità che ciò comporta.
Da sempre politica di destra prima ancora della loro nascita ufficiale(vedi:madn entomologia-politica ,madn un-contenitore-pieno-di-vuoto ),revisionisti(madn revisionismo-sul-blog-di-grillo )e fiancheggiatori di Caga Povnd(madn di-nuovo-grillo-braccetto-di-ca$$a-povnd. ),e mi fermo solo per non accumulare troppo materiale.
Un movimento dove ovunque è andato a parte fuochi di paglia e alcune rare eccezioni(come a Parma col dissidente Pizzarotti)non ha combinato nulla di positivo,anzi proprio nulla,e dove in altre regioni o comuni o ben si vede al Parlamento sono quelli dell'astensione ad oltranza anche su argomenti dove per forza devi avere un posizione che sia dalla parte giusta o meno.
Il trittico di articoli sotto parte da quello preso da Contropiano(roma-movimento-5-stelle-al-bivio-rottura-obbedienza )e che parla di Roma dove in sei mesi c'è stata una tal bufera da rendere impossibile nemmeno volendo districare ed imbastire una trama per un thriller,con accuse,dimissioni ed omissioni,sputtanamenti e intrallazzi con la criminalità emersi prontamente dagli ambienti degli ex immacolati della politica italiana(madn gli-immacolati ).
Il secondo è tratto da Senza Soste(dibattistanomics-antifascismo )parla di Di Battista,un volto nuovo ma dentro già vecchio e marcio che con Di Maio rappresentano la longa manus del fascismo all'interno del gruppo grillino come già evidenziato sopra.
L'ultimo più gossipparo di Dagospia(beppe-grillo-ha-pubblicato-elogio-povertà )ma anche veritiero parla di Grillo che parla della povertà come una bella condizione di vita elogiando tale stato sociale mentre tutti sappiamo con chi gira e quali siano i suoi possedimenti:naturalmente non è il primo che parla di questo ma facendo caso solo i ricchi hanno lodato e celebrato la povertà.
Per non dimenticarci il Grillo razzista che incita i carabinieri a "punzecchiare" i marocchini e come anticipato con i fatti berlinesi a rimpatriare subito i migranti irregolari e ad abolire il trattato di Schegen(ilfattoquotidiano)come un Salvini o un Iannone,una Le Pen o un Farage qualsiasi:perché lui è proprio come loro.

Roma, il Movimento 5 Stelle al bivio tra rottura e obbedienza.

di Rete dei Comunisti
Nelle ultime settimane la giunta romana è tornata nell’occhio del ciclone. L’arresto di Raffaele Marra, le indagini sull’assessore Muraro costretta a dimettersi, il passo indietro di alcuni esponenti di punta dell’amministrazione capitolina e infine la bocciatura della previsione di bilancio da parte dell’Organo di Revisione Economico Finanziaria hanno riportato Virginia Raggi e la sua maggioranza al centro dell’attenzione. 
E’ chiaro a tutti che quanto accade a Roma potrebbe rappresentare per il Movimento Cinque Stelle il trampolino per la vittoria delle prossime elezioni politiche e per un eventuale accesso al governo nazionale, oppure un serio momento di crisi che potrebbe portare il movimento ad una spaccatura o ad un declino nei consensi e nella credibilità.
A parte il continuo linciaggio mediatico e politico al quale la maggioranza in Campidoglio viene quotidianamente sottoposta, balza agli occhi il fatto che un movimento che ha fatto dell’onestà la sua stella polare, oggi rischia di venire impallinato da quella magistratura che tutto è tranne che un potere neutrale e indipendente. Ma anche dall’incapacità da parte dei pentastellati di esprimere una classe dirigente capace di far fronte a situazioni complicate.
Ma la vicenda più significativa è rappresentata dal conflitto con l’Oref sul bilancio capitolino, che potrebbe indicare nel giro di poche settimane la direzione che il Movimento 5 Stelle prenderà rispetto alle importanti sfide economiche che finora ha rimandato.
Alla Giunta Raggi – che sicuramente pecca di improvvisazione e incompetenza – i revisori dei conti dell’Oref che hanno bocciato la previsione di bilancio 2017-2019 contestano soprattutto la mancanza di rigore e il non rispetto dei severi vincoli imposti dal governo nazionale e dall’Unione Europea, a partire dalle privatizzazioni delle partecipate e dal diktat del patto di stabilità. L’Oref chiede meno spese e più tagli, confermando che al di là delle maggioranze politiche e dei governi, nazionali e locali,  esiste un meccanismo di governance indipendente, un “pilota automatico”, imposto da Bruxelles e da Francoforte che nega sovranità e autonomia e costringe l’amministrazione entro gli assai ristretti margini dell’austerity e del pareggio di bilancio.
La giunta Raggi aveva cercato di aggirare i vincoli esterni infarcendo il bilancio di multe, concessioni edilizie ed escamotage contabili, che però non sono serviti a passare l’esame, ed ora dovrà riscrivere la previsione di bilancio per i prossimi tre anni decidendo quali scelte strategiche adottare.
Se a Roma il Movimento 5 Stelle chinerà la testa di fronte ai diktat e al cosiddetto rigore, correggendo il bilancio a suon di tagli e privatizzazioni, negherà le richieste e le aspirazioni di quegli ampi settori popolari, di quelle periferie metropolitane che hanno decretato la vittoria di Virginia Raggi, ripetendo “in piccolo” il voltafaccia di cui si è già reso protagonista il governo Tsipras in Grecia. La situazione romana dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, l’impossibilità di forzare la gabbia dell’Unione Europea senza metterla complessivamente in discussione. Un motivo in più che dovrebbe spingere il Movimento 5 Stelle non solo a insistere sulla celebrazione di un referendum nazionale sulla permanenza dell’Italia nell’Eurozona ma a difendere esplicitamente l’uscita di Roma dalla moneta unica.

Se la giunta Raggi vorrà rispettare le sue promesse di cambiamento e discontinuità dovrà necessariamente disobbedire ai diktat, alle pastoie, ai ricatti. E per farlo dovrà affidarsi e affiancarsi all’organizzazione e alla mobilitazione di quei settori sociali e popolari che hanno dato mandato al Movimento 5 Stelle di rompere con le passate gestioni anche dal punto di vista economico e sociale, e non solo sul fronte dell’onestà (punto sul quale Raggi e company si sono oltretutto dimostrati poco accorti, disattendendo le chiare indicazioni dei leader nazionali del partito e riconfermando a capo della macchina amministrativa un personale politico e tecnico ereditato da ‘Mafia Capitale’).
Numerosi forze sociali e politiche, sindacati di base, realtà territoriali e associative di varia natura hanno ripetutamente incalzato l’amministrazione capitolina in questo senso, manifestando anche la propria disponibilità a sostenere eventuali scelta coraggiose e battagliere adottate dalla giunta. A Roma, così come in altre città, esistono ampi settori sociali interessati ad un cambiamento di rotta netto, ed è a questi che devono far riferimento le amministrazioni targate 5 stelle se vogliono uscire dall’impasse.

Finora però i segnali giunti dal Campidoglio e dallo stato maggiore del partito di Grillo sono stati altalenanti.
Stando ad alcune dichiarazioni dei collaboratori di Raggi, non sembra che la sua amministrazione intenda ingaggiare una battaglia complessiva contro i vincoli di bilancio. Senza una violazione di questi vincoli, sostenuta da una mobilitazione sociale e popolare, il Campidoglio non potrà fare altro che tagliare i servizi, privatizzare, licenziare, come hanno fatto in passato gli schieramenti politici nei confronti dei quali il M5S pretende di essere alternativo.

Invece sul fronte politico generale la presa di posizione di Grillo a proposito del ‘rimpatrio di tutti gli immigrati irregolari’ (certamente non nuova da parte del fondatore e leader del Movimento) espressa all’indomani dei fatti di Sesto San Giovanni potrebbe prefigurare una sterzata dei 5 Stelle verso posizioni conformiste e d’ordine, anche se non condivise da tutto il movimento come dimostrano le numerose prese di posizioni critiche.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Dibattistanomics e antifascismo. Per un 2017 di confusione.

Uscita dall' Euro ma non dall'UE tramite referendum consultivo, reddito di cittadinanza e molto altro. Per ora nel programma di volontà di governo dei 5 stelle c'è molta confusione. E nel frattempo per governare da soli c'è l'assalto agli elettori di destra.

L’intervista di Minoli a Di Battista,condotta dall’ex giornalista di Rai 2 per mettere in difficoltà il proprio interlocutore, in effetti qualcosa di inaccettabile lo fa venire fuori. Ad esempio, la solita riduzione dell’antifascismo, da parte di Di Battista, a problema archeologico. Operazione oltretutto curiosa nel momento in cui, con un convinto no al referendum, lo stesso movimento 5 stelle ha difeso la costituzione nata dall’antifascismo. A Di Battista, che è persona gentile e alla mano, sembra sfuggire un elemento essenziale che non sta solo nelle sue convinzioni ma di tutto il movimento 5 stelle: tutte le volte che viene invocata la violazione della democrazia, e i pentastellati lo fanno regolarmente, ci si appella a qualcosa di elementare introdotto nelle nostre società proprio dall’antifascismo. L’idea che tutta la società debba, e possa, reagire di fronte alla violazione della democrazia. Al contrario, tanto più l’antifascismo viene mummificato (e qui non ci riferiamo a Di Battista) o reso archeologico (e qui i Di Battista ci mettono del suo) tanto più la violazione della democrazia rischia di essere vista come un male accettabile. Del resto antifascismo e democrazia, in molte forme molto diverse tra loro, sono sinonimi.
Negare l’attualità dell’antifascismo, come elemento costituente della vita sociale, è rendere debole l’attualità della democrazia. E’ un ABC oggi dimenticato, non per colpa del M5S ma della sinistra ci mancherebbe.  Ma così la democrazia di base, la partecipazione, l’informazione -tutti strumenti del fare politica invocati dal M5S- vengono meno come valore nella società proprio nel momento in cui l’antifascismo viene delegittimato anche dagli stessi esponenti pentastellati. Lo stesso autoritarismo -che è sempre chiamato in causa, invece del più militante antifascismo,  quando si pensa che la democrazia viene messa in pericolo- diviene in questo modo un concetto vago, poco spendibile nelle dinamiche di comunicazione. Ma, registri di condoglianze per Fidel a parte, che servono per le cerimonie delle nostre parti, la netta impressione è che il movimento 5 stelle abbia già fatto il pieno di consensi a sinistra, basta vedere il poco di consenso elettorale rimasto ai partiti della sinistra istituzionale. Non a caso alcuni elementi di un programma di sinistra, come il reddito di cittadinanza, rimangono qualificanti per il M5S. Magari in una veste paternalistica, molto adatta alle mediazioni nei gruppi parlamentari ma poco alle economie innervate di tecnologia, ma rimangono. Il punto è che, a prescindere dalla legge elettorale che verrà fuori il prossimo anno, il M5S, visto che vuol governare da solo (nemmeno la DC di De Gasperi e Scelba lo fece), ha bisogno di crescere ulteriormente. E per crescere sta andando a pescare dove i voti ci sono e la loro rappresentanza politica è più debole (visti Berlusconi e Salvini) ovvero a destra. E quindi l’antifascismo diventa archeologico proprio per questa esigenza, autoreferenziale, di governare da solo che ha il movimento 5 stelle.
Naturalmente in questi casi la confusione sarà massima: da una parte continueranno le aperture a destra, dall’altra si cercherà, per non perdere elettorato acquisito, di tranquillizzare a sinistra. In nome di un pragmatismo paziente formato santità da regno dei cieli, di questa confusione, si potrebbe anche fare finta di nulla. Non fosse altro perché è proprio questa confusione a creare il M5S per quello che è: un potente detonatore del sistema politico. Fino ad esaurimento della dinamite, s’intende.
Il punto è che la confusione non solo rimane ma a livello, per così dire, idelogico ma aumenta sul piano dei lineamenti di programma economico. Una cosa da nulla se non fosse che l’Italia è in declino economico da un quarto di secolo. Di sicuro una cosa, paradossalmente, tranquillizza: solo le dittature in economia hanno le idee chiare. Pinochet sperimentò le teorie economiche dei Chicago Boys sulla pelle dei cileni, Hitler nominò ministro dell’economia Hjalmar Schacht, già presidente della Banca di Germania, quello dell’epica battaglia contro l’inflazione, legato (toh) a J.P Morgan. Schacht portò la disoccupazione in Germania, in pochissimi anni, da sei milioni di unità a zero. Il dettaglio della seconda guerra mondiale, visto che l’occupazione di massa tedesca era legata al riarmo, qui lo tralasciamo. Insomma, nel movimento 5 stelle, per calmare tutti quelli che parlano di fascismo alle porte, il problema non sta nel piano dittatoriale nascosto dietro l’angolo, pronto per essere eseguito. Non si deve, venga perdonato il gioco di parole, confondere la confusione strutturale del movimento 5 stelle con il fascismo alle porte. Piuttosto si deve notare come questa confusione sia produttiva per prendere voti a destra e sinistra. E quindi far saltare questo sistema politico. Mentre sia distruttiva quando si tratta di impostare delle politiche di uscita dal declino italiano. E quindi ricostruire il paese. E qui, appunto, Di Battista quando si è dilungato, su Die Welt, sulla visione dell’economia del M5S ha confermato di aggiungere confusione economica a confusione politica. Ecco qualche pillola di Dibattistanomics. Mettiamo come titolo un paio di slogan su cui si basta con breve commento.
  • Uscita dall’Unione monetaria ma non dall’Unione Europea
Deve essere chiaro a tutti favorevoli o contrari: se salta l’Euro in Italia, terza economia dell’Eurozona, salta l’Euro. Se salta l’Euro salta l’unione europea. Non c’è via di mezzo. Salta una moneta sulla quale sono modellati, anche per i paesi non euro, governance continentale multilivello della concorrenza, dei trasporti, della ricerca, della finanza, dei sistemi di pagamento, del diritto, dei trasporti etc. Prendersela con chi ci ha portato fino a questo punto di rischio è lecito. Sperare in soluzioni da Facebook no. Le soluzioni radicali, auspicabili quando il capitale è in salute figuriamo ora che non lo è, devono essere praticabili. Altrimenti si fa il dottor Stranamore a propria insaputa. E con queste frasi i fatti sono due: o non si sa a cosa si va incontro o lo si tace. In ogni caso non si danno soluzioni all’altezza del problemache è drammatico e gigantesco.
  • Referendum consultivo sull’uscita dall’euro.
In concreto sarebbe la paralisi del paese, una volta che il M5S vincesse le elezioni. Nessuna politica economica si potrebbe mettere in piedi in attesa del Day one (il referendum) perchè rimanere o lasciare significa politiche economiche troppo diverse. Non esistono politiche di transizione in questi casi. Non solo, se una volta vincessero i “leave”, all’inglese, ci sarebbe il dettaglio di un paese ancora più paralizzato perché uscito politicamente ma non economicamente dall’euro. Visto che passare dal referendum, oltretutto consultivo, alla rottura dell’eurozona, e alla rinegoziazione di centinaia di trattati bilaterali, di ogni tipo, con quasi tutti i paesi del mondo, e con l’universo bancario-finanziario, sarebbe più complicato che l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue.  Perchè, se i problemi si vogliono prendere sul serio vanno tarati nella giusta dimensione, uscire dalla moneta unica è persino più complicato e rischioso che uscire dall’Ue.  Lo scenario più probabile, in una paralisi in una situazione del genere, qui vede le borse incenerire l’Italia all’istante dopo la più spettacolare fuga dei capitali di sempre. E senza strumenti alternativi causa indeterminatezza della situazione. Insomma, il trionfo di una economia alla Pol-Pot, azzeramento dell’economia occidentale in un paese solo, senza bisogno di arrestare mezza Cambogia.
Basterebbero i due punti prima esposti per fermarsi.  Ma bisogna anche capire che, di fronte a ostacoli insormontabili, il M5S una volta al governo non si comporterebbe come il dottor Stranamore, non preparerebbe colpi di stato o distruggerebbe un continente. Semplicemente applicherebbe, moltiplicandoli, i comportamenti adottati nelle città: polemiche interne, paralisi, tattiche di prolungamento della propria sopravvivenza. Ci fermiamo quindi solo a rilevare, con qualche flash, il persistere di convinzioni di cui Di Battista si fa portavoce. Ad esempio a sovradeterminare la rappresentanza delle piccole e medie imprese, insistendo sul loro finanziamento da parte della fiscalità generale, quando l’evoluzione tecnologica le sta severamente selezionando. Così come il sistema bancario, che, con l’evoluzione tecnologica, non sarà più lo stesso. Non essendo già più quell’oggetto, tratto da chissà quale slide, di cui parlano i 5 stelle. La retorica delle startup, della piccola e media industria andrebbe irrobustita di almeno due visioni ampiamente realistiche: una sul tipo di forma di estrazione della ricchezza supportare nell’evoluzione tecnologica del credito, della produzione e della logistica. Altrimenti, leggendo Di Battista, entra in vigore solo un meccanismo di detassazione che tiene in vita le asfittiche PMI italiane solo finchè lo stato può detassare e finchè le banche fanno credito (a tenersi larghi).  Eppoi come si incrocia questa visione con la politica industriale del paese e tenendo conto della vera riforma del lavoro, e delle reazioni sociali, che il M5S vorrebbe fare: il reddito di cittadinanza. Ci fermiamo qui, consapevoli che in queste, a tratti generose, dichiarazioni sull’economia la confusione, come si vede, non manca. Come quella che vuole l’erogazione del reddito di cittadinanza subordinata alla ricerca attiva di un lavoro. Misura surreale quando, causa una miscela tra disoccupazione tecnologica e cambiamenti dell’economia, ci sono zone del paese che il lavoro come lo conosciamo ora non lo vedranno più. Ma è inutile, quando i due lineamenti guida di un programma politico (separazione Ue e euro, referendum sull’euro) nel migliore dei casi non tengono, accanirsi nei dettagli. Il M5S è un movimento giovane è anche possibile che, sbattendo la testa con la realtà, trovi una strada più legata a solide impostazioni che a tattiche di marketing.
Solo che chi vuol governare da solo, qui ed ora, deve avere le idee molto chiare. Altrimenti non la casta e i poteri forti ma la realtà e la storia presenteranno un conto molto, molto salato. Ma per ora limitiamoci a osservare il 2017 di confusione.
redazione, 12 dicembre 2016

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

MA BEPPE GRILLO HA PUBBLICATO L'ELOGIO DELLA POVERTÀ PERCHÉ QUEST'ANNO NON C'ERA POSTO NEL RESORT DI BRIATORE A MALINDI? - GIUSEPPE DE RITA: ''GIUSTO I RICCHI POSSONO PREDICARE LA POVERTÀ'' (PER GLI ALTRI) - NEL BRANO DI PARISE PUBBLICATO DA GRILLO SI PARLA DI QUANTO SIANO SUPERFLUI I 'CRETINISSIMI' YACHT. COME QUELLO DOVE BEPPONE HA PASSATO IL FERRAGOSTO 2016, DEL MILIONARIO ENRICO DE MARCO?

1.IL POST DI BEPPE GRILLO SUL SUO BLOG: ''IL RIMEDIO È LA POVERTÀ'', DI GOFFREDO PARISE



2.GRILLO A FERRAGOSTO SULLO YACHT DI ENRICO DE MARCO, RE DELLA SIMILPELLE, CON GIORGIO GORI E L'AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA MONDADORI. NON ERA IL 1985, MA QUATTRO MESI FA (UNO SCOOP DI DAGOSPIA)



3.BEPPE GRILLO CI SPIEGA IL VALORE DELLA POVERTÀ AFFITTANDO CASA A 14MILA EURO A SETTIMANA
Giovanni Drogo per www.nextquotidiano.it

Nemmeno a Natale Beppe Grillo perde l’occasione per ricordarci quali siano i veri Valori della vita. Quest’anno lo fa con un brano di Goffredo Parise sulla povertà. Non quella di spirito naturalmente, ma quella materiale. Con il suo messaggio di Natale Grillo vuole essere un po’ profeta della decrescita felice (fuori tempo massimo) contro il consumismo sfrenato di questi giorni e un po’ Pepe Mujica.

Lo fa prendendo a prestito le parole di Parise per dire che “povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua“. Il che è davvero interessante visto che è noto che Grillo possiede una seconda casa non necessaria, la villa a Marina di Bibbona dove ogni tanto ha organizzato le riunioni di fedelissimi e Direttòri vari.

Proprio di questa villa sulla riviera degli Etruschi l’Huffington Post e La Stampa ci facevano sapere qualche tempo fa che può essere affittata alla modica cifra compresa tra i 13 ed i 14 mila euro a settimana. Sarà una casa necessaria? Ne dubitiamo, ma questa non è certo l’unica occasione in cui Grillo fa sfoggio di ciò che ha e che ha – sia ben chiaro – perché ha lavorato e non perché ha rubato (come i politici!1). Ciò non toglie che gli appelli al pauperismo morale lanciati sull’house organ del partito stridano con lo stile di vita di Grillo (e di molti dei suoi parlamentari “griffati”). Continua Parise dal blog di Grillo:


Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche”

Ed è proprio per questo che il comico genovese e capo politico del MoVimento 5 Stelle quest’estate ha scelto di trascorrere il Ferragosto a bordo dell’Aldebaran, lo yacht da 42 metri dell’imprenditore Enrico De Marco, re della simil-pelle. Il tutto in una delle location meta per antonomasia del vippume e dei ricchi italici: Porto Cervo. Eppure nel 2010 il blog di Beppe ospitava questo intervento contro le imbarcazioni di lusso dei paperoni italiani e i “furbetti dello yacht

Basta creare una società di noleggio, va bene anche in Italia, ma è molto meglio nei paradisi fiscali così la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate impazziscono. Ma se vai a vedere, pochi, pochissimi noleggiano le barche. Gli altri fanno contratti fittizi con fratelli e cugini. Risultato: così non si paga l’Iva sull’acquisto, sul combustibile, sulle riparazioni, sul posto barca.

Curiosamente nel 2007 proprio l’Aldebaran era stato protagonista di una vicenda simile scoperta dalla Guardia di Finanza. Qualche tempo prima, nel Capodanno del 2015, Grillo invece se la spassava in Kenya a Malindi nel resort di proprietà di Flavio Briatore. Nel 2013 infine, quando il Paese appena uscito dalle elezioni politiche non era ancora in grado di formare un Governo Grillo rinviò l’incontro al Quirinale perché impegnato a fare vacanza in Costa Smeralda. Un impegno senza dubbio “necessario” e non derogabile, per il bene del Paese. Continua Parise:

Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con parsimonia e avarizia. No, è qualcosa di astratto e di religioso al tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita

E improvvisamente scopriamo che forse Grillo non ha letto poi così bene quello che ha scritto Parise nel 1974, perché a ben guardare se c’è uno che non sa cosa sia la povertà e che si comporta proprio nel modo stigmatizzato da Parise è proprio il capo del M5S.
I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare nell’euforia del benessere. I ragazzi sanno che a una certa età (la loro) esistono obblighi sociali e ideologici a cui, naturalmente, è obbligo obbedire, non importa quale sia la loro “qualità”, la loro necessità reale, importa la loro diffusione.

Quando Parise scriveva queste parole Grillo aveva 26 anni, era lui uno dei ragazzi ai quali lo scrittore si rivolgeva. Oggi, a 68 anni suonati Grillo è uno di quei padri che disprezzano le cose necessarie della vita nell’euforia del benessere. E come tutti i padri Grillo ha l’ambizione di fare la predica “ai suoi ragazzi”.

4.GIUSEPPE DE RITA: "GRILLO? LODA I POVERI CHI POVERO NON È. LA NOSTRA IDENTITÀ SI FONDA SULLA CRESCITA"
Alessandra Longo per ''La Repubblica''

La povertà come ideologia nazionale, la povertà come filosofia politica ed economica . Il Grillo natalizio si lancia in un elogio del minimo e necessario , attingendo ad un Goffredo Parise del 1974, anno di preausterity berlingueriana. È il mito Cinque Stelle della decrescita felice che riaffiora nel "manifesto" di fine anno, accanto alla linea cupa e muscolare sull' immigrazione.

Ma povero è davvero bello? Lo chiediamo a Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, che risponde con l' esperienza del sociologo e la saggezza dei suoi 84 anni: I cantori dei poveri non sono mai i poveri. I poveri non cantano.... Serge Latouche, padre della decrescita felice, non è nelle corde del professore: No, non credo alla decrescita felice.

Questo Paese ha formato la sua identità sulla crescita, la decrescita significherebbe perdita di identità. Sono francamente sorpreso dall' uscita di Grillo.

Professore, di questi tempi è raro che la politica parli di povertà, non le pare?
Indubbiamente non capita spesso ma devo specificare che povertà non è la parola giusta per descrivere la società italiana di oggi.

Qual è la parola giusta?
Sono due, non una: sobrietà e arbitraggio. La sobrietà nasce dalla stanchezza per l' edonismo consumista, dalla casa piena di cose, dalla crisi iniziata nel 2007. Noi del Censis l' abbiamo definita, due o tre anni fa, la riscoperta dello scheletro contadino dell' Italia, una spina dorsale forte, piedi per terra e cervello fino. Né povertà né consumismo illusorio.

E l' arbitraggio?
Gli italiani adesso arbitrano su tutto, fanno la spesa pensando a che cosa serve e a che cosa non serve, meglio le scarpe dei vestiti, di cui abbiamo pieni gli armadi, meglio i voli low cost , i bed and breakfast, meglio fare la spesa per la famiglia al discount... .


Ma non sono poveri.
No. Il ciclo dei grandi investimenti, degli operai che diventavano piccoli imprenditori, l' affermazione del ceto medio, gli acquisti della prima e della seconda casa, i 40 anni fiammeggianti della crescita, tutto questo è finito. Oggi il grande risparmio, che pure c' è, viene usato per creare altro risparmio, il patrimonio, che pure c' è, viene messo a reddito. Non c' è un modello nuovo, c' è un momento di sospensione in continuità culturale con quello precedente.

Gli italiani sobri, come li definisce il Censis, non sembrano contenti, anzi.
In effetti è così: sobri, arbitri attenti dei propri consumi, ma non propriamente allegri.

Grillo li vorrebbe più poveri e felici.
La sua sortita mi sorprende. Uno come lui, con il fiuto dell' attore comico, ha sempre saputo interpretare bene le emozioni, anche quelle identitarie, prova ne è il Vaffa. Stupisce che Grillo dica agli italiani: "Siate miserrimi!". Poi magari mi sbaglio, visto che lui raddoppia i voti. Magari intercetta pulsioni alla povertà che io non vedo.

Meno consumi, meno tutto: l' apologia dell' essenziale.
Ah sì certo. La sconfitta elettorale può essere "meravigliosa", la povertà bella... È come se in un angolo del grillino medio ci fosse sempre una "base liquida", un' attitudine a rendere le cose commoventi e in quanto commoventi belle.

Lei, invece, non si commuove pensando alla decrescita felice.
Non ci ho mai creduto. Abbiamo un' identità di Paese costruita sulla crescita. Persino i cinesi, quando sono sbarcati a Prato, hanno fiutato la nostra identità. Abbiamo avviato ora una fase diversa, di sobrietà e arbitraggio, ma siamo in linea con il modello identitario .

Roma ha già voltato pagina: Natale all' osso, artisti di strada non pagati, poche luci, pochi mezzi di trasporto. Modello pauperista.
Non parlo di Roma, ho 84 anni, rischio di sentirmi male, mi viene uno stranguglione...

Non sarà che certe riflessioni sulla povertà sono snob?
Infatti, predicare la povertà è molto consumista.

In che senso?
Per esempio noi, partendo da Grillo, stiamo usando la parola povertà e abbiamo consumato una pagina di giornale....

mercoledì 28 dicembre 2016

BANCHE:SOCIALIZZARE I DEBITI,PRIVATIZZARE I GUADAGNI

Risultati immagini per socializzare i debiti e privatizzare i guadagni
Come era già stato preventivato da più parti il salvataggio delle banche italiane ed in primis quella del Monte dei Paschi di Siena tanto cara a Renzi ed ai vertici del Pd(non tanto credo del loro elettorato comune e i risultati li staremo a vedere)sarà in larga parte a carico dello Stato pronto ad investire 20 miliardi di Euro nel famoso decreto salva risparmi,specchietto per le allodole che in realtà va a parare i culi dei banchieri,senza nemmeno un accenno serio almeno alla nazionalizzazione delle banche aiutate.
Con la Bce e l'Unione Europea pronte a stare col fiato sul collo del governo in attesa che questo gli si rivolti contro e pronti ad incassare questi soldi con gli interessi,la vergognosa prontezza ed efficacia nel mettere a punto questi sotterfugi fanno capire quanto lo Stato se lo vuole davvero applichi il suo potere decisionale in brevissimo tempo.
Ed ancora una volta per socializzare i debiti di aziende,in questo caso banche,private per poi far guadagnare ma solamente ai privati beneficiari illustri e privilegiati di questi prestiti,i futuri guadagni che giungeranno da questa operazione(vedi:madn privatizzazioni , madn sempre-piu-privato-in-entrambe-i-sensi e per il caso Mps:le-banche-la-nuova-fiat ).
Gli articoli di Senza Soste(cura-alla-greca-tutti/ )e di Contropiano(montepaschi-nazionalizzata-socializzare-le-perdite )esprimono il loro disappunto e la ferma idea che interventi di questo genere senza che ci siano prospetti di migliorie per il popolo intero con agevolazioni su mutui,investimenti per le imprese a tassi irrisori e possibilità di contrarre debiti con interessi non da aguzzini,siano solamente un intervento pubblico inadeguato per i bilanci disastrati dovuti non alla crisi ma alla gestione alla cazzo delle banche indebitate che riusciranno a cavarsela alla grande rispetto alla plebe.
Perché ora lo Stato non s'interessa più della sanità,dell'istruzione,dei trasporti e delle pensioni in quanto i privati le sanno far funzionare meglio mentre se una banca va a rotoli l'imperativo è l'intervento in pompa magna dello Stato.

Salvataggio Mps: una cura “alla greca” contro tutti noi.

Soldi pubblici ma futuri profitti privati. Il caso MPS verso la cura greca: soldi nostri ma benefici a fondi e investitori stranieri.


Nuovi capitoli del caso MPS.Questo paese non sarà più lo stesso dopo il “salvataggio” (lo abbiamo già ipotizzato in questo articolo sui tagli a welfare e sanità). In molti lo intuiscono ma a volte manca il dettaglio per avere tutti i pezzi davanti.
Guardate questo titolo dal sito finanza.com: “Mps: Bce chiede 8,8 miliardi di aumento, vuole trattamento alla greca. Oggi titoli sospesi”. Voi direte, ma come prima di Natale i miliardi necessari, per la ricapitalizzazione, erano 5 e ora sono quasi 9? E’ solo una parte del problema come è solo una parte del problema il fatto che questi soldi sono sottratti ai servizi alla sanità e alla spesa sociale. Come è solo una parte del problema quanto ci rimetteranno i risparmiatori, gente come ne conosciamo tanta.
Il problema più grosso, l’avete capito da soli, è quel “alla greca”.  Vediamo se dalle parole di Varoufakis si intuisce qualcosa. Ecco come il popolare ex ministro greco commenta il complesso dell’operazione di salvataggio delle banche greche: “malgrado le iniezioni di capitale [soldi dei greci che si sono ridotti in miseria ndr] per circa 47 miliardi di euro…, la quota del patrimonio netto dei contribuenti [il peso del settore pubblico nelle banche]  è passata da oltre il 65% a meno del 26%, mentre gli hedge fund e gli investitori stranieri (ad esempio, John Paulson, Brookfield, Fairfax, Wellington e Highfields) si sono accaparrati il 74 per cento del patrimonio bancario [greco] investendo appena 5,1 miliardi di euro”.
Così si capisce cosa significa alla greca. Noi investiamo, in soldi altrimenti destinati a uno stato sociale che ne ha bisogno, la maggioranza dei soldi per salvare MPS (mangiata dal PD tra l’altro) e i grandi investitori esteri, con la minoranza dei soldi si beccano il controllo facendo il bello e il cattivo tempo nelle politiche bancarie. Avendo così peso, come in Grecia, per chiedere ulteriori privatizzazioni etc.
redazione, 27 dicembre 2016
Ecco l’articolo di Varoufakis
http://www.eunews.it/2015/12/18/la-grande-rapina-alle-banche-greche/47209
Sempre sull’argomento MPS un altro eloquente articolo e titolo
http://www.communianet.org/rivolta-il-debito/mps-soldi-pubblici-profitti-privati

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

MontePaschi “nazionalizzata”, per socializzare le perdite.

E che Stato sia… Alla fine MontePaschi viene ripresa sotto il controllo pubblico, come sempre avviene quando “il mercato” fallisce. Nessuno – neanche l'Unione Euroea, che ha autorizzato l'operazione – mostra neanche un briciolo di stupore. Essì che viviamo in un mondo dominato dall'ossessione per la privatizzazione di tutto ciò che è pubblico, dall'astio scandalizzato verso qualsiasi ruolo dello Stato nell'economia.
Facciamo un breve elenco?
Lo Stato non deve occuparsi della sanità, ma lasciarla gestire dai privati, che lo sanno fare meglio”.
Lo Stato non deve occuparsi dell'istruzione, ma lasciarla gestire dai privati, che lo sanno fare meglio”
Lo Stato non deve occuparsi delle pensioni, ma lasciarle gestire dai privati, che lo sanno fare meglio”
Lo Stato non deve occuparsi del trasporto – locale e nazionale -, ma lasciarlo gestire dai privati, che lo sanno fare meglio”.
Eccetera. Scusate la ripetitività, ma il “pensiero unico” che domina sui media e nelle frasi degli “opinionisti” difetta di fantasia.
Naturalmente, tantomeno “lo Stato non deve occuparsi delle banche”, perché non ci dovrebbe essere attività economica che i privati sappiamo fare meglio. Ma quando una banca fallisce, viva l'intervento dello Stato!!
Purché sia temporaneo, naturalmente… Giusto il tempo di risanare, tappare i buchi con soldi pubblici, fare un nuovo piano industriale, e poi via!, lo Stato si tolga nuovamente dai piedi “perché i privati sanno fare meglio”.
In sintesi, il piano del governo Gentiloni-Renzi per MontePaschi è proprio questo, con qualche dettaglio tecnico in più. Non solo. Questo piano configura un format con cui affrontare altre crisi bancarie alle porte, perché il sistema creditizio italiano sarà pure “messo meglio di altri” – come blaterava Renzi fino a qualche settimana fa – ma comunque mostra falle paurose.
In dettaglio. Il piano di salvataggio è concordato passo passo con l'Unione Europea, che sorveglierà anche le modalità e l'entità degli eventuali rimborsi per gli “obbligazionisti subordinati”, ovvero quei correntisti inesperti che erano stati dalla banca a mettere i propri soldi sui bond fuori mercato emessi dalla banca stessa. Un meccanismo truffaldino utilizzato da tutte le banche – basta ricordare i suicidi e le manifestazioni dei correntisti truffati da Banca Etruria – per rastrellare liquidità da investire in operazioni finanziarie di tipo speculativo.
La prima mossa riguarda proprio la garanzia (pubblica) della liquidità necessaria a MontePaschi per continuare ad operare. Nelle ultime settimane infatti, oltre alle perdite accumulate e alle “sofferenze” (oltre 27 miliardi…), l'istituto di Siena ha ovviamente registrato una fuga dei depositi, soprattutto quelli superiori ai 100.000 euro, per paura del fallimento o dell'inizio della procedura chiamata bail in (che per l'appunto chiama in causa, oltre ad azionisti e obbligazionisti, anche i normali correntisti al di sopra di quella cifra).
Per garantire la liquidità il governo aveva preparato un decreto che mette a disposizione 150 miliardi (quasi il 10% del Pil!) per affrontare tutte le crisi bancarie. Ovviamente sperano di non doverli utilizzare, se non in minima parte, ma non esiste alcuna certezza che non possa accadere.
L'ingresso dello Stato avviene con l'acquisto del “pacchetto di riferimento” delle azioni Mps, oggi a un livello molto basso, ed è previsto dall’articolo 32 della direttiva europea sul sistema bancario «Brrd». L'impegno deve però essere temporaneo; poi le quote del MontePaschi, una volta risanato, dovranno essere rimesse sul mercato.
Ma la spesa più grande è la ricapitalizzazione dell'istituto, ovvero – come minimo – quei 5 miliardi che “il mercato” ha ritenuto di non dover impegnare nel salvataggio.
Dal punto di vista contabile, per lo Stato, si tratta di aumentare il debito pubblico, già particolarmente alto. Ma secondo le regole europee questa operazione non finirebbe per gravare sul deficit (il che avrebbe richiesto una maxi manovra correttiva sulla legge di stabilità). Per questo motivo il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan può dire che “l’operazione è una tantum e non strutturale”.
L'ingresso dello Stato azzera tutte le mosse preparatorie fatte fin qui nel tentativo di fare un “salvataggio di mercato”, compressa la “conversione” delle obbligazioni in azioni, cui avevano aderito un po' di clienti retail. Stesso discorso per il “piano industriale” fin qui messo a punto (chiusura di sportelli, licenziamenti, ecc). Sarà il ministero del Tesoro a redigerne uno. E idem anche per lo smaltimento dei non performig loans (i crediti inesigibili o “sofferenze”), di cui verranno determinati nuovi criteri.
Il principale resterà comunque la «condivisione dei costi» (burden sharing) a carico degli obbligazionisti subordinati, che subiranno la conversione forzata a prezzi molto più bassi rispetto a quelli ipotizzati dal meccanismo volontario. Messa così, sarebbe una fregatura in stile Banca Etruria, ma il governo asserisce di aver ricevuto l'autorizzazione della Commissione Europea per rimborsare quasi completamente («minimizzare o rendere inesistenti» le perdite) gli sventurati obbligazionisti. Vedremo.
Anche perché l'Unione Europea, come detto, sorveglierà da vicinissimo ogni passaggio dell'operazione Per esempio, sarà la Commissione a dare il via libera al prezzo di conversione dei bond subordinati, così come le modalità di rimborso per i piccoli investitori.
Per reperire i fondi necessari – fino a 20 miliardi, a breve termine (non solo per Mps) – lo Stato italiano emetterà nuovi titoli di debito, che avranno impatto appunto sulla contabilità del 2017 e produrranno un costo per il pagamento degli interessi.
Nelle pieghe del decreto varato nella notte ci sono molte altre decisioni riguardanti il sistema bancario, come gli sgravi fiscali per le imposte differite (Dta), il rinvio della trasformazione in spa di alcune banche popolari, interventi sulla banche di credito cooperativo, ecc.
Dunque, c'è stata una prima nazionalizzazione di una banca. La cosa sarebbe addirittura da salutare con favore, se fosse duratura e dunque strutturale. Ma così non è. Il capitale finanziario multinazionale non tollera intrusioni durature del “pubblico” nella più privata delle attività economiche. Lo Stato viene invocato perciò come “crocerossina” dei privati, e per il tempo strettamente necessario alle cure.
Non è una novità Si chiama “socializzazione delle perdite” – tutti i debiti vanno a carico nostro -, mentre i profitti (quando ci saranno di nuovo, anche per Mps) debbono restare strettamente privati. Ci mancherebbe….

C'E' MOLTO DI PIU' DIETRO AGLI APPALTI CONSIP

Risultati immagini per tullio del sette e luca lotti
Sembrerebbe che l'inchiesta sugli appalti Consip riguardi solo Roma e Napoli,ma spulciando dietro le carriere degli indagati emerge che è Firenze l'origine di questa ennesima storia di corruzione e di criminalità che vedono politica,imprenditori,dirigenti pubblici e forze dell'ordine insieme nell'orgia del profitto e del potere sulle spalle degli altri.
Gli articoli del Messaggero(appalti_consip_interrogato_ministro_lotti )e Infoaut(semper-fidelis-quando-il-“marcio”-sta-nei-carabinieri )parlano delle indagini e degli interrogatori di personaggi quali il ministro dello sport Luca Lotti,l'ad di Consip(la società incaricata per gli acquisti della pubblica amministrazione italiana la cui proprietà è del ministero dell'economia e della finanza)Luigi Marroni,il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette e l'imprenditore Alfredo Romeo,accusato di aver corrotto l'alto dirigente Consip Marco Gasparri.
A coronare questi giri di affari sporchi il testimone Filippo Vannoni,presidente di Publiacqua che è la società che ha in gestione il servizio idrico fiorentino,così come il già citato Marroni era stato il direttore generale dall'azienda sanitaria di Firenze ed ex assessore della regione Toscana per la sanità,mentre Lotti è un pappa e ciccia da sempre con Renzi.
Questi intrecci se districati e comprovati porterebbero a scoperchiare altri casi di corruzione e di cattiva gestione all'interno di ambiti pubblici che hanno visto uno sperpero di denaro di tutti i cittadini e un giro di mazzette milionario che coinvolgono anche papà Renzi il cui figlio aveva nominato sia il presidente Consip Luigi Ferrara anche vicesegretario generale della Presidenza del Consiglio e Del Sette a comandante generale dei carabinieri.

Appalti Consip, interrogato il ministro Lotti: non sapevo nulla dell'indagine.

Ha negato le accuse durante un interrogatorio durato circa un'ora e mezza il ministro dello Sport, Luca Lotti, sentito dai pm della procura di Roma per la vicenda degli appalti Consip. Rispondendo alle domande del pm di Roma Mario Palazzi, il ministro avrebbe affermato, in base a quanto si apprende, di «non avere mai saputo nulla di indagini» relative alla Consip. Il ministro durante l'atto istruttorio è stato assistito dall'avvocato Franco Coppi.

Riferendosi all'amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni, che sentito come persona informata sui fatti dai magistrati di Napoli avrebbe fatto il nome dell'allora sottosegretario, Lotti ha detto di «non frequentarlo» e di
«averlo visto solo due volte nell'ultimo anno».

Lotti è indagato per rivelazione del segreto d'ufficio e favoreggiamento. Il procedimento è uno stralcio dell'inchiesta avviata a Napoli sugli appalti Consip e inviata a Roma per competenza territoriale. Nell'inchiesta è indagato anche il comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Semper fidelis: quando il “marcio” sta nei Carabinieri.

Non è certo una novità che il ruolo delle forze dell’ordine, in questo caso dei Carabinieri, sia saliente in campo politico, economico, finanziario e soprattutto nei suoi legami con la corruzione. Non ci stupisce il fatto che l’intera Arma dei Carabinieri, in particolare proprio nella figura del Comandante Generale, sia completamente a servizio dei poteri politici e finanziari di questo Paese, affermiamo questo concetto da sempre. Lo stesso non si può certo dire dei quotidiani e delle principali cariche dello Stato, che invece hanno la malsana abitudine di mostrarsi solo in situazioni che spesso e volentieri sfiorano il ridicolo.
E’ infatti di ieri la notizia che il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette è indagato per favoreggiamento e rivelazione del segreto istruttorio nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti Consip. Da quanto emerso il Comandante Generale dei Carabinieri avrebbe intralciato un’importante indagine per corruzione portata avanti da tre Pm napoletani (H.Woodcock, E.Parascandolo e C.Carrano).
Ma proviamo a far luce sui fatti. L’imprenditore Alfredo Romeo di Napoli è indagato con l’accusa di aver corrotto Marco Gasparri, alto dirigente della Consip. Le accuse si riferiscono ad una grande gara d’appalto del 2014 denominata FM4, della quale tre lotti andrebbero direttamente alla società di Alfredo Romeo. Il Consip è una società per azioni del Ministero dell’Economie e delle Finanze (MEF), che ne è l’azionista unico, ed opera secondo i suoi indirizzi strategici, lavorando al servizio esclusivo della Pubblica Amministrazione, come cita direttamente il sito del Consip. Insomma un ginepraio fitto tra corruzione, gare d’appalto e fondi pubblici che ammontano ad un valore pari all’11% della spesa pubblica nel settore.
Così martedì i carabinieri del Noe e i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Napoli sono entrati nell’ufficio di Luigi Marroni, l’amministratore delegato di Consip nominato dal Governo Renzi nel 2015 e hanno dato il via all’interrogatorio dal quale è emerso che alcune settimane fa, proprio Marroni aveva incaricato una società privata di compiere un vero e proprio repulisti negli uffici del Consip. Un’azione che esce fuori dall’ordinario e che lascia chiaramente molti dubbi. In men che non si dica ecco che emerge un dato importante: “E’ stato il presidente della Consip Luigi Ferrara a dirmi che lo aveva messo in guardia il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette” dichiara Marroni.
Ricordiamo che Renzi aveva nominato nel 2015 Luigi Ferrara a vicesegretario generale della Presidenza del Consiglio e nel 2014 Tullio Del Sette a comandante generale dei carabinieri.
Quindi ricapitolando abbiamo una tavola marcia imbandita di corruzione alla quale al momento sono seduti un importante imprenditore (Alfredo Romeo), un alto dirigente del Consip (Marco Gasparri) e il comandante generale dei Carabinieri (Tullio Del Sette). Ovviamente non sono gli unici ad essere indagati o a risultare tra i nomi all’interno delle indagini. Infatti tra questi è emerso anche quello di Tiziano Renzi, il paparino del creatore del Giglio Magico, che ad oggi di magico non ha proprio niente se non le continue ed infinite sorprese che ogni giorno vengono a galla come sacchi d’immondizia dispersi in mare.
Guardiamo questi fatti con grande disillusione poiché se è vero che la Procura di Napoli ha fatto emergere questi legami, per tanti anni abbiamo assistito a sequele di indagini cadute nel nulla poiché i poteri politici e finanziari controllano quelli giudiziari.

Pertanto rimaniamo in attesa degli sviluppi continuando a pensare che un sistema fondato su corruzione, clientelarismo, e giochetti di potere sia un sistema da combattere e distruggere.

martedì 27 dicembre 2016

RISOLUZIONE ONU INDIGESTA

Risultati immagini per colonialismo israeliano
Il casino tirato in piedi dal primo ministro israeliano Netanyahu è di una arroganza allarmante e di un isterismo proprio del suo essere che è anche quello del suo Stato che semplicemente,a detta della maggioranza della gente che ci vive,il migliore di tutti.
Innegabile il primato di occupazioni coloniche,di stragi nei territori palestinesi,nell'essere al di sopra di tutte le leggi e le risoluzioni come nel caso dell'ultima dell'Onu proprio sulle colonie e votata da 14 Stati su 15 con gli Usa che si sono incredibilmente astenuti e proprio questo volta faccia degli eterni alleati ha fatto montare tutta la furia dell'instabile mentalmente Netanyahu.
Che come un folle ha subito richiamato gli ambasciatori rei di aver votato la sacrosanta risoluzione che impedisce ad Israele di continuare a costruire colonie nei territori palestinesi con la solita scusa dell'antisemitismo che da sempre viene portata come schermo da lui e da altri politicanti israeliani.
Il medley di articoli è proposto da Senza Soste(sulle-colonie-israeliane )approfondisce bene tutta la questione nata alla vigilia di Natale e che sta continuando con la scelta di continuare a costruire case nella zona di Gerusalemme est e di portare avanti progetti di realizzazione di colonie in barba a quanto deciso dall'Onu e contro tutte le convenzioni stipulate.

Sulle colonie israeliane nei territori palestinesi: risoluzioni, articoli e reazioni.

Una raccolta di articoli su cosa sta accadendo in seguito alla risoluzione ONU che condanna la strategia dello stato di Israele di occupazione di territori palestinesi.

PALESTINA/ISRAELE. Il testo della risoluzione Onu sulle colonie.

tratto da Nena News traduzione di Amedeo Rossi seguire il testo della risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 23 dicembre. Hanno votato a favore 14 Stati membri su 15, gli Stati Uniti si sono astenuti.
New York, 27 dicembre 2016, Nena News – Il Consiglio di Sicurezza, riconfermando le sue risoluzioni sull’argomento, comprese le 242 (1967), 338 (1973), 446 (1979), 452 (1979), 465 (1980), 476 (1980), 478 (1980), 1397 (2002), 1515 (2003 e 1850 (2008), guidato dalle intenzioni e dai principi della Carta delle Nazioni Unite e
riaffermando, tra le altre cose, l’inammissibilità dell’acquisizione di territori con la forza, riconfermando l’obbligo di Israele, potenza occupante, di attenersi scrupolosamente ai suoi obblighi legali ed alle sue responsabilità in base alla Quarta Convenzione di Ginevra riguardanti la protezione dei civili in tempo di guerra, del 12 agosto 1949, e ricordando il parere consuntivo reso dalla Corte Internazionale di Giustizia il 9 luglio 2004,
condannando ogni misura intesa ad alterare la composizione demografica, le caratteristiche e lo status dei territori palestinesi occupati dal 1967, compresa Gerusalemme est, riguardante, tra gli altri: la costruzione ed espansione di colonie, il trasferimento di coloni israeliani, la confisca di terre, la demolizione di case e lo spostamento di civili palestinesi, in violazione delle leggi umanitarie internazionali e importanti risoluzioni,
esprimendo grave preoccupazione per il fatto che le continue attività di colonizzazione israeliane stanno mettendo pericolosamente in pericolo la possibilità di una soluzione dei due Stati in base ai confini del 1967,
ricordando gli obblighi in base alla Roadmap del Quartetto, appoggiata dalla sua risoluzione 1515 (2003), per il congelamento da parte di Israele di tutte le attività di colonizzazione, compresa la “crescita naturale”, e lo smantellamento di tutti gli avamposti dei coloni costruiti dal marzo 2001,
ricordando anche l’obbligo, in base alla Roadmap del Quartetto, delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese di mantenere operazioni concrete intese a prendere misure contro tutti coloro che sono impegnati in azioni terroristiche e a smantellare gli strumenti terroristici, compresa la confisca di armi illegali,
condannando ogni atto di violenza contro i civili, comprese le azioni terroristiche, così come ogni atto di provocazione, incitamento e distruzione,
riprendendo la propria visione di una regione in cui due Stati democratici, Israele e Palestina, vivano uno di fianco all’altro in pace all’interno di frontiere sicure e riconosciute,
sottolineando che lo status quo non è accettabile e che passi significativi, coerenti con la transizione prevista nei precedenti accordi, sono urgentemente necessari per (i) stabilizzare la situazione e ribaltare le tendenze negative sul terreno, che stanno costantemente erodendo la soluzione dei due Stati e rafforzando una realtà dello Stato unico, e (ii) creare le condizioni di efficaci negoziati sullo status definitivo e per il progresso della soluzione dei due Stati attraverso questi negoziati e sul terreno,
1. riafferma che la costituzione da parte di Israele di colonie nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme est, non ha validità legale e costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale e un gravissimo ostacolo per il raggiungimento di una soluzione dei due Stati e di una pace, definitiva e complessiva;
2. insiste con la richiesta che Israele interrompa immediatamente e completamente ogni attività di colonizzazione nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme est, e che rispetti totalmente tutti i propri obblighi a questo proposito;
3. ribadisce che non riconoscerà alcuna modifica dei confini del 1967, comprese quelle riguardanti Gerusalemme, se non quelle concordate dalle parti con i negoziati;
4. sottolinea che la cessazione di ogni attività di colonizzazione da parte di Israele è indispendabile per salvaguardare la soluzione dei due Stati e invoca che vengano intrapresi immediatamente passi positivi per invertire le tendenze in senso opposto sul terreno che stanno impedendo la soluzione dei due Stati;
5. chiede a tutti gli Stati, tenendo presente il paragrafo 1 di questa risoluzione, di distinguere, nei loro contatti importanti, tra il territorio dello Stato di Israele e i territori occupati dal 1967;
6. chiede passi immediati per evitare ogni atto di violenza contro i civili, compresi atti di terrorismo, così come ogni azione di provocazione e distruzione, chiede che a questo proposito i responsabili vengano chiamati a risponderne, e invoca il rispetto degli obblighi in base alle leggi internazionali per rafforzare i continui sforzi di combattere il terrorismo, anche attraverso l’attuale coordinamento per la sicurezza, e la condanna esplicita di ogni atto di terrorismo;
7. chiede ad entrambe le parti di agire sulla base delle leggi internazionali, comprese le leggi umanitarie internazionali, e dei precedenti accordi ed obblighi, di mantenere la calma e la moderazione e di evitare azioni di provocazione, di incitamento e di retorica incendiaria, con il proposito, tra le altre cose, di attenuare l’aggravamento della situazione sul terreno, di ricostituire la fiducia, dimostrando attraverso politiche e azioni concrete un effettivo impegno a favore della soluzione dei due Stati, creando le condizioni necessarie alla promozione della pace;
8. chiede alle parti di continuare, nell’interesse della promozione della pace e della sicurezza, di esercitare sforzi congiunti per lanciare negoziati credibili sulle questioni riguardanti lo status finale nel processo di pace del Medio Oriente e nei tempi definiti dal Quartetto nella sua dichiarazione del 21 settembre 2010;
9. invita a questo proposito ad intensificare ed accelerare gli sforzi e il sostegno ai tentativi diplomatici internazionali e regionali che intendono raggiungere senza ulteriori ritardi una pace complessiva, giusta e definitiva in Medio Oriente sulla base delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite, dei parametri di Madrid, compreso il principio di terra in cambio di pace, dell’iniziativa araba di pace e della Roadmap del Quartetto e una fine dell’occupazione israeliana iniziata nel 1967; sottolinea a questo proposito l’importanza dei continui sforzi di promuovere l’iniziativa di pace araba, della Francia per la convocazione di una conferenza di pace internazionale, i recenti tentativi del Quartetto, così come quelli dell’Egitto e della Federazione Russa;
10. conferma la propria determinazione ad appoggiare le parti attraverso i negoziati e nella messa in pratica di un accordo;
11. riafferma la propria determinazione ad esaminare mezzi e modi per garantire la completa applicazione delle sue risoluzioni a questo proposito;
12. chiede al segretario generale di informare il Consiglio ogni tre mesi sull’attuazione delle decisioni della presente risoluzione;
13. decide di seguire attivamente la questione.

*****

Un Netanyahu furibondo convoca ambasciatori il giorno di Natale

tratto da Contropiano
Un Netanyahu furibondo per la sconfitta in sede di Nazioni Unite nella risoluzione che chiede lo stop alla ulteriore colonizzazione israeliana sui Territori Palestinesi, ha convocato per il giorno di Natale tutti gli ambasciatori degli Stati che hanno votato a favore della risoluzione Onu contro le colonie ebraiche in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e per manifestare loro, uno alla volta, il forte disappunto di Israele. Netanyahu ha convocato anche l’ambasciatore Usa in Israele Daniel Shapiro.
L’astensione storica degli Usa all’Onu ha infatti consentito al Consiglio di sicurezza di approvare la risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani in Cisgiordania.
I media israeliani hanno dato grande risalto alla notizia, in particolare per il giorno scelto per la convocazione degli ambasciatori. Un anonimo diplomatico occidentale, citato da Haaretz, ha mostrato sorpresa per la convocazione nel giorno di Natale: “Cosa avrebbero detto a Gerusalemme – ha osservato – se un ambasciatore israeliano fosse stato convocato nel giorno di Kippur?”.
Netanyahu ha poi informato i propri ministri che cancellerà un imminente incontro con il premier inglese Theresa May. Non ci sono per ora conferme da fonte ufficiale. La Gran Bretagna è tra i 14 paesi che hanno votato a favore della Risoluzione contro le colonie ebraiche in Cisgiordania e a Gerusalemme est.
*****

OPINIONE. Anche la legge evidenzia il colonialismo di Israele

tratto da Nena News di Oren Yiftachel (insegnante di geografia politica e giuridica nel Negev ed ex copresidente di B’tselem)
Sia che si tratti di terra coltivata (Negev) che incolta (Cisgiordania), si troverà uno stratagemma legale per trasferirla da mani arabe a mani ebraiche.
Durante il periodo coloniale il concetto giuridico di terra nullius è stato utilizzato per definire terre senza diritti di sovranità o proprietà come terre di nessuno. Ciò per centinaia di anni ha fornito agli europei una giustificazione legale per strappare il controllo di territori e persone ai quattro angoli della terra. Questo concetto, reso ora nullo, affermava tra le altre cose, che le terre dei popoli nativi di America, Africa, Asia ed Australia, che non erano formalmente accatastate o gestite in modo “moderno”, erano da considerarsi “prive” di diritti legali.
Questo approccio ha avuto varie versioni, a seconda di chi comandava, ma la sostanza era la stessa: tutto ciò che aveva preceduto l’invasione europea -storia, cultura, agricoltura e leggi tradizionali – era cancellato. Il principale strumento che permetteva agli europei di esercitare il controllo, oltre alla violenza, era la legge. L’invasore, che era anche il legislatore, garantiva che l’accaparramento delle terre a danno dei nativi sarebbe sempre rimasto coperto da un ingannevole e mistificatorio velo di “legalità”.
[Il concetto di] terra nullius, come un modo di pensare e una “categoria” di sistemi legali, ha operato nel mondo fino a XX° secolo inoltrato, quando è emersa una legislazione opposta, che sostiene i diritti umani e riconosce quelli dei popoli indigeni. La nuova tendenza ha gradualmente ammesso che anche le culture e i popoli colonizzati hanno i propri legittimi sistemi di leggi, di proprietà e di governo.
Nel caso “Mabo” del 1992, la Corte Suprema australiana ha formalmente ribaltato il concetto giuridico di terra nullius, e molti altri Paesi hanno fatto altrettanto. La dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni del 2007 delinea le nuove norme internazionali, che rispettano le leggi consuetudinarie e proibiscono l’appropriazione di terre e risorse dei nativi o il trasferimento forzato di comunità autoctone.
La scorsa settimana il controverso disegno di legge israeliano noto come “Legge per la Regolarizzazione”, che intende legalizzare insediamenti ebraici (“avamposti”) non autorizzati in Cisgiordania ha superato la prima lettura. Questo disegno di legge può a buon diritto far parte della legislazione globale sulla terra nullius. Può darsi che sia in ritardo di un secolo, ma, in nome dell’occupazione e dell’insediamento coloniale -in questo caso, ebraico -, questa legge cancellerà la validità dei precedenti sistemi di proprietà in vigore da secoli. Come hanno ribadito i dirigenti dei coloni (“Smettiamola di chiedere scusa!”), nessuno gli impedirà di violare le leggi internazionali e ignorare etica e giustizia.
E’ una classica posizione colonialista. Proprio come i colonizzatori che hanno importato le loro leggi dalle capitali europee, gli abitanti di Amona (tutti coloni ebrei, naturalmente) mirano a importare le loro leggi dallo Stato occupante. Bisogna sottolineare che, secondo le norme internazionali, nessuno Stato ha l’autorità di emanare leggi riguardanti territori al di fuori dei propri confini nazionali o dichiarare proprietà di quello Stato terreni di questi territori.
Naturalmente ciò non significa che non ci siano milioni di ettari di terre ebraiche e israeliane che sono stati acquisiti o registrati in modo corretto, o che il diritto degli ebrei all’autodeterminazione sia minacciato. Per niente. Questa consapevolezza mette in una luce più chiara l’ingiustizia dell’appropriazione di terre attraverso inganni legali, mentre un tale furto non è per niente necessario allo Stato ebraico.
Comunque è altresì importante non esagerare l’importanza della legge attualmente in discussione, in quanto aggiunge solo un ulteriore, ancora più brutale livello al sistema che è iniziato 70 anni fa, attraverso il quale le terre palestinesi sono state trasferite agli ebrei con mezzi che “legalizzano” l’esproprio da parte dello Stato.
La messa in pratica dell’approccio della terra nullius è iniziata nel 1948 e si è aggravata dopo il 1967 – quando l’esproprio a danno di singoli individui ha riguardato le collettività, impedendo la realizzazione di uno Stato palestinese. E’ importante ricordare nell’attuale polemica che lo Stato per 70 anni ha cancellato, attraverso iniziative legali contorte e riguardanti la sicurezza, la maggior parte dei precedenti diritti legittimi dei palestinesi.
Stando così le cose, il cosiddetto “forte dissenso”, di cui si parla, tra persone che sarebbero a favore della “certezza del diritto”- Isaac Herzog [del partito Laburista. Ndtr.], Benny Begin [del Likud. Ndtr.] e Avichai Mendelblit [capo della procura militare. Ndtr.]– e “trasgressori della legge”, come Naftali Bennett e Uri Ariel [ministri e dirigenti del partito di estrema destra dei coloni. Ndtr.], può essere visto come una mossa di facciata. La nuova legislazione nella sua essenza non è nuova. Cambierà semplicemente i tempi: invece di dichiarare che le terre in apparenza erano di proprietà dello Stato ebraico fin da prima dell’insediamento dei coloni, la legge permetterà di dichiarare che lo sono dopo anni di insediamento delle colonie.
Ogni arabo che vive nelle Galilee, nel Triangolo [zona centro-settentrionale di Israele a maggioranza palestinese. Ndtr.] e soprattutto nel Negev può testimoniare che metodi simili sono stati utilizzati anche là per svuotare il sistema autoctono dei diritti di proprietà. In quelle regioni lo Stato ha spesso dichiarato terre arabe “vuote” o “abbandonate”, “morte” o “necessarie per finalità pubbliche (ebraiche)”, ed ha trasferito la proprietà a ebrei.
I metodi per trasformare in ebraiche terre palestinesi in Cisgiordania sono dettagliati in un nuovo rapporto di B’tselem, sotto il titolo “Espellere e sfruttare”. Questo rapporto documenta nei particolari la recente storia di terreni attorno a tre località palestinesi nei pressi di Nablus: Azmut, Deir al-Khatab e Salem. Il quadro generale è noto e inquietante: vasti appezzamenti di terre dei villaggi sono stati progressivamente trasferiti a ebrei attraverso varie misure che hanno incluso la creazione di aree di sicurezza, strade asfaltate ad accesso limitato, costituzione di avamposti illegali, registrazione come proprietà abbandonate e destinazione di territori a riserve naturali.
Il rapporto completa un ampio studio di B’tselem del 2012 intitolato “Sotto le mentite spoglie della legalità”, che ha documentato i modi in cui Israele ha manipolato le leggi ottomane ed inglesi per trasferire terre private palestinesi in mani israeliane ed ebraiche. Il rapporto ha dimostrato per la prima volta che Israele non solo ha gravemente violato le leggi internazionali, ma anche quelle nazionali, stravolgendo le norme fondiarie ottomane e britanniche. Ciò nonostante l’obbligo per lo Stato di conservare ogni norma legale già esistente nelle regioni occupate.
Il processo distorto in Cisgiordania si basa sul fatto di dichiarare che terre incolte nelle zone agricole dei villaggi possono essere dichiarate terre statali – benché, secondo il diritto ottomano, ognuna di tali terre non coltivate debba essere prima offerta ai precedenti proprietari, poi al villaggio di appartenenza o essere venduta con un’asta pubblica.
Israele ha ignorato le clausole più scomode del diritto ottomano e le ha sostituite con ordinanze del Mandato [inglese sugli ex territori dell’impero ottomano. Ndtr.], che erano concepite per delimitare le terre pubbliche in un contesto completamente diverso. Questa distorsione ha fornito le basi di una massiccia ed illegale “israelificazione” delle terre palestinesi. Inutile dire che i governanti ottomani e inglesi che hanno emanato queste leggi non hanno mai espropriato terre palestinesi (o ebraiche) in questo modo.
Fin dal 1970 Israele ha utilizzato una simile manipolazione della legge nel Negev, dichiarando terre non formalmente registrate in due momenti storici diversi – nel 1858 e nel 1921 – come “mewat”, ossia “terre morte”. Queste sono presumibilmente terre incolte, non occupate, abbandonate e periferiche, senza proprietario e pertanto terre statali. Israele ha fatto tutto ciò nonostante l’appartenenza storica delle terre ai beduini, molte delle quali erano coltivate e occupate, secondo le leggi tradizionali e riconosciute dagli ottomani e dagli inglesi.
Tutti lo sapevano, comprese le istituzioni sioniste che pagarono a caro prezzo vasti terreni dei beduini, con l’approvazione delle autorità britanniche. Tuttavia anche qui lo Stato ignora le parti scomode della storia e della legge, classificando in seguito queste terre come “morte”. In casi giudiziari recenti lo Stato sta fondamentalmente dicendo ai beduini: “I vostri padri e nonni non lo sapevano, ma vi stiamo dicendo che erano occupanti abusivi, e le terre che avete ereditato o comprato sono dello Stato.”
I tribunali hanno approvato questa interpretazione soprattutto in base alla precedente cultura giuridica in vigore in Israele, che si basa su vecchie sentenze. Queste vennero emesse in un periodo in cui i proprietari di terre arabi erano privi di potere e non avevano le risorse per sfidare l’espropriazione mascherata di legalità.
Il confronto tra la Cisgiordania e il Negev pone in evidenza il persistente e continuo processo di giudeizzazione sotto il regime israeliano. Che la terra sia coltivata (Negev) o incolta (Cisgiordania), sarà trovato un escamotage legale per trasferirla da mani arabe a ebraiche, rendendola quindi “terra nullius” – terra svuotata dei diritti originari.
Alla luce di questa lunga e distorta storia giuridica, è forse preferibile per chi desidera pace e giustizia che la legge per la legalizzazione sia totalmente accolta, e non respinta dalla Knesset o dall’Alta Corte di Giustizia. Ciò ci risparmierà le false distinzioni tra l’attuale legislazione e le precedenti discutibili leggi per l’espropriazione, e spazzerà via le differenze tra Amona e Ofra [colonia israeliana legittima secondo le leggi israeliane. Ndtr.] o tra Salem e ‘Araqib [rispettivamente un villaggio palestinese della Cisgiordania e uno beduino nel Negev israeliano. Ndtr.]. La legge metterà chiaramente in evidenza quello che Israele ha fatto per anni di nascosto: prendere il controllo colonialista delle terre palestinesi mettendo in atto la propria versione della dottrina della terra nullius, annullata e invalidata dalle leggi internazionali.
Se approvata, la nuova legislazione metterà l’approccio israeliano nel posto che gli compete, come parte di un oscuro periodo coloniale i cui tempi sono passati. Forse ciò scatenerà un processo di trasformazione e decolonizzazione ad ampio raggio, così urgentemente necessario nella nostra terra lacerata.
*****

Netanyahu: “Israele non porge l’altra guancia”…subito nuove colonie

tratto da Nena News di Michele Giorgio
Dopo l’approvazione della risoluzione dell’Onu 2334, il premier israeliano cerca di impedire nuove mosse di Obama al Palazzo di Vetro. Il ministro della difesa Lieberman paragona la conferenza di pace di Parigi del 15 gennaio al Processo Dreyfus.
Roma, 27 dicembre 2016, Nena News – Israele continua a dare sportellate all’Amministrazione Obama e alle Nazioni Unite. E valuta le conseguenze concrete della risoluzione  2334 approvata la scorsa settimana dal Consiglio di Sicurezza grazie alla “storica” astensione degli Stati Uniti che hanno rinunciato, per la prima volta da diversi anni  a questa parte, ad usare il diritto di veto a difesa di Israele.
Non ci sono più freni. L’attacco che il premier Netanyahu e il suo governo portano al presidente americano uscente è frontale, aperto, esplicito. Ripetono che Obama ha messo in atto un «complotto», una vendetta – che Washington invece nega – e avvertono che il presidente Usa potrebbe avere altre «sorprese in serbo» dopo aver aperto la strada all’approvazione della risoluzione che riafferma lo status di territori occupati per Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est e la illegalità delle colonie israeliane.
«Presenteremo le prove alla nuova Amministrazione (Trump) tramite i canali appropriati. Se vorranno condividerle con il popolo americano, potranno farlo», ha annunciato con tono minaccioso l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Ron Dermer, in un’intervista alla Cnn.  Due giorni fa, nel giorno di Natale, Netanyahu – in qualità di ministro degli esteri – aveva convocato e rimproverato gli ambasciatori, presenti nel Paese, degli Stati che hanno votato a favore della risoluzione – Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Egitto, Giappone, Ucraina, Angola e Uruguay  – e messo in chiaro che Israele comunque non la rispetterà. Ieri il primo ministro ha proclamato che Israele «non porgerà l’altra guancia».
 Picchia duro il ministro della difesa e leader dell’ultradestra Avigdor Lieberman che ieri è arrivato al punto da descrivere la conferenza multilaterale di pace di Parigi del prossimo 15 gennaio – organizzata da Hollande per rilanciare i negoziati ma alla quale Israele non intende partecipare – ad un incontro di antisemiti. Quella conferenza è «Un tribunale contro Israele», ha tuonato Lieberman. «Non è una Conferenza di pace – ha incalzato – ma qualcosa il cui scopo è danneggiare la sicurezza di Israele e la sua reputazione».
Infine Lieberman ha paragonato l’iniziativa francese al Processo Dreyfus: «Con una differenza: invece di un solo ebreo oggi (sul banco degli imputati) c’è l’intero Stato ebraico». Quindi è arrivato l’annuncio. Il Comune di Gerusalemme domani con ogni probabilità darà il via a un progetto per la costruzione di 618 case per coloni. Il nuovo piano è stato deciso in passato ma la municipalità è decisa a portarlo avanti in questo momento per ribadire il controllo di Israele su tutta Gerusalemme, incluso il settore palestinese occupato nel 1967.
L’altro giorno il quotidiano Israel HaYom, megafono del primo ministro, aveva anticipato che saranno tirati fuori dal cassetto progetti edilizi per 5.600 appartamenti da realizzare a Gerusalemme Est nelle colonie israeliane, definite da tanti media, anche italiani, “rioni” o “quartieri”  sebbene siano insediamenti coloniali per la legge internazionale.
La cortina di fumo che il premier Netanyahu e il suo governo hanno sollevato intorno all’accaduto, ha lo scopo di prevenire un nuovo colpo di coda di Obama. I quotidiani israeliani scrivono che John Kerry presto pronuncerà il suo ultimo discorso da segretario di stato. In quella occasione potrebbe esporre la visione dell’Amministrazione uscente per la questione palestinese in modo da condizionare le scelte future di Donald Trump, in particolare su Gerusalemme. Sono soltanto voci. Netanyahu però, dopo l’astensione Usa all’Onu, le prende molto sul serio. Non è escluso che Washington possa (indirettamente) facilitare l’intervento della Corte Penale Internazionale che sino ad oggi ha svolto solo indagini preliminari nei Territori occupati sulle denunce di crimini di guerra rivolte dai palestinesi allo Stato ebraico.
Tuttavia si deve tenere conto che Israele non ha rispettato diverse risoluzioni del CdS contro la colonizzazione senza pagare alcuna conseguenza, grazie alla protezione garantita dagli Usa. Inoltre, notava ieri l’analista Yonah Jeremy Bob,  la risoluzione 2334 non è stata approvata nel contesto del capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite che avrebbe aperto la strada a un dibattito su eventuali sanzioni economiche contro Israele.
Il danno perciò è limitato. Netanyahu in ogni caso alza la voce e batte i pugni sul tavolo perché il CdS da lungo tempo non riaffermava la illegalità delle colonie e dell’occupazione e questo mette in pericolo i progetti, cari al ministro ultrazionalista Naftali Bennett, volti a mettere in soffitta la soluzione dei Due Stati (Israele e Palestina) e ad annettere subito a Israele le porzioni della Cisgiordania con le maggiori concentrazioni di colonie israeliane. In poche parole è rispontato fuori il diritto internazionale quando il governo Netanyahu pensava di averlo affossato.