giovedì 29 luglio 2021

CONTINUANO GLI OMICIDI POLITICI IN COLOMBIA

Mentre i gravi scontri che hanno visto decine di manifestanti ammazzati dall'esercito mandato per le strade e le piazze dal presidente Duque con la complicità degli Usa(vedi:madn in-colombia-ammazzano )stanno finendo anche se a Cali ci sono ancora tensioni,nel giro di pochi giorni ci sono stati altri due omicidi politici.
Perché i due assassinati,Yeison Andrés Sarmiento Salcedo e Jean Carlos Rodríguez Díaz,rispettivamente un giovane ex membro delle Farc-Ep che quando c'è stata l'accordo di pace tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo ed il governo colombiano aveva solo sedici anni(vedi:madn in-colombia-si-vota-per-la-pace )ed il Presidente del Comitato di Azione Comunitaria di Las Águilas,sono stati individuati ed eliminati chirurgicamente dagli scagnozzi dell'esecutivo colombiano.
Entrambi colpiti con armi da fuoco in veri e propri agguati fanno parte di un lungo elenco che ha portato dalla data dell'accordo di cui sopra per il giovane Sarmiento Salcedo la vittima numero 280 dal 2016(la trentunesima quest'anno)mentre il leader comunitario Rodríguez Díaz è il numero 102 solamente quest'anno per delitti di questo tipo che hanno colpito attivisti sociali.
Insomma da quando è stata firmata la pace tra Farc e governo a rimetterci con la vita sono stati quasi trecento firmatari,e nella nazione infatti numerose proteste slogan e striscioni con lo slogan "Duque non abbiamo firmato la pace per essere assassinati" si sono viste per le strade:un percorso che ha fatto sì che da mesi alcuni membri delle Farc abbiano ripreso le armi,perché nonostante promesse,fatte anche in altri paesi(vedi Eta in Spagna dove repressione e arresti non sono mai smessi)la situazione sociale non ha di certo sollevato la situazione nei rispettivi Stati.
Articolo di Contropiano:colombia-assassinati-un-altro-ex-membro-delle-farc-e-un-leader-sociale .

Colombia. Assassinati un altro ex membro delle Farc e un leader sociale.

di  Rino Condemi   

Un altro ex membro delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia-Esercito popolare (FARC-EP), firmatario degli accordi di pace del 2016 con lo Stato colombiano, è stato assassinato nella città di San José del Guaviare (a sud-est di Bogotà). Si tratta del giovane Yeison Andrés Sarmiento Salcedo.

Sarmiento Salcedo era minorenne al momento della firma dell’accordo nel 2016, e faceva parte di un processo differenziato, secondo quanto concordato del processo di pace. Oggi aveva solo 21 anni ed è stato ucciso con diversi colpi di arma da fuoco nel quartiere El Modelo di San José del Guaviare, un comune situato a circa 400 km da Bogotá.

Indepaz riferisce che solo nel 2021 sono stati ben 31 i firmatari degli accordi di pace uccisi, la cifra totale è salita a 280 dal 2016.

Ma il killeraggio di attivisti sociali non si limita agli ex guerriglieri delle Farc che hanno accettato la legalizzazione (una parte invece è tornata nella selva di fronte allo stillicidio di militanti uccisi dai gruppi paramilitari).

Domenica, 25 luglio, c’è stato un nuovo omicidio contro un leader sociale in Colombia. Si tratta del presidente del Comitato di Azione Comunitaria del villaggio di Las Águilas, Jean Carlos Rodríguez Díaz, che è stato assassinato nel comune di El Carmen, nella subregione del Catatumbo, Norte de Santander.

Secondo la comunità, il corpo di Jean Carlos Rodríguez Díaz è stato trovato ai confini El Carmen con tre colpi di arma da fuoco mortali. Secondo le autorità, i responsabili dell’incidente sono ancora sconosciuti. Con l’omicidio del noto leader della comunità, nel 2021 sono 102 i crimini di questo tipo secondo il registro dell’Istituto per gli studi sullo sviluppo e la pace, INDEPAZ. A questi eventi si aggiunge l’omicidio di oltre 200 persone in 57 massacri e i 31 omicidi contro i firmatari degli accordi di pace.

Fonte: Resumen Latinoamericano

mercoledì 28 luglio 2021

TUNISIA TRA GOLPE E LEGITTIMA ATTIVITA' POLITICA

Il "licenziamento" o meglio la sospensione che il Presidente tunisino Kaïs Saïed ha voluto del premier ad interim Hichem Mechich e delle relative attività parlamentari è stato accolto dal resto del mondo col dubbio che ci sia stato un piccolo golpe oppure un'azione legittima dovuta a pericoli imminenti per l'unità nazionale.
L'interessante articolo di Contropiano(tunisia-rimpasto-istituzionale-o-colpo-di-stato )spiega gli eventi delle ultime ore aggiungendo piccoli cenni della storia nella Tunisia recente,che dopo l'indipendenza della Francia è diventata dapprima una repubblica socialista arabo-islamica a partito unico per divenire con Ben Ali repubblica semipresidenziale sempre a partito unico,insomma soprattutto con l'ultimo Presidente una sorta di dittatura appoggiata fino alla fine anche dall'Italia(madn come-in-tunisia )per poi arrivare al 2010 con l'inizio proprio da qui delle rivoluzioni del periodo delle "primavere arabe" che hanno portato scompiglio nelle nazioni che si affacciano nel Mediterraneo.
Col risultato che la Tunisia è diventata una repubblica semipresidenziale multipartitica uscendo bene dalle rivolte anche grazie alla saggezza del popolo tunisino dovuta anche al fatto che in altri Stati interessati come la Libia,la Siria e più decentrato lo Yemen si sono avuti interessi economici e geopolitici di elevata importanza(e quindi bombardati e quasi annientati)mentre l'Egitto ha cambiato ma con un regime più duro di quello precedente.
Si spiega che dopo la nuova fase politica,con un periodo di attentati di matrice estremista islamica come l'attacco al museo nazionale del Bardo a Tunisi nel 2015,nonostante una stabilità politica e un buon lavoro di diplomazia e di dialettica civile,l'economia ha cominciato a vacillare vuoi per una diminuzione del turismo che è la voce principale delle entrate,e vuoi anche per la poca appetibilità delle aziende estere ad investire nel paese(non parlo certo delle multinazionali che fanno dello sfruttamento la loro linea guida).
La pandemia ha accelerato tutto un senso di malcontento che vede ancora la zona bagnata dal Mediterraneo mediamente più ricca mentre l'entroterra è estremamente povero,e le forze laiche alzano la voce contro il legittimamente votato e al potere partito islamista di Al-Nahda e le tensioni sono arrivate a tal punto da arrivare ai giorni nostri con l'esautorazione del Parlamento da parte del Presidente che di fatto ha congelato le sue attività.
Per ora i favorevoli e contrari delle opposte fazioni hanno manifestato senza gravi conseguenze,e sta nel fatto che si speri che la polizia,come fece durante la rivolta di primavera tra il 2010 e il 2011 usando intelligenza e non eccessiva violenza,mantenga i disordini senza che sfocino in gravi criticità o peggio.

Tunisia: rimpasto istituzionale o colpo di stato?

di  Karim Metref *   

La Tunisia, il più piccolo Paese del Nord Africa, attraversa un momento cruciale. La pandemia sta  compiendo una vera e propria strage. La povertà spinge migliaia di giovani a tentare la fuga tramite le micidiali rotte del Mediterraneo centrale. Ci sono proteste e violenze per le strade. La repressione è tornata a far parte del gergo politico del Paese e il Presidente della Repubblica ha appena sospeso il Parlamento e mandato a casa l’intero governo.

Molti sostengono la scelta del presidente e applaudono la caduta del governo a maggioranza islamista accusato di essere il principale responsabile di questa mala gestione. Altri invece gridano al Colpo di Stato e parlano di scenario egiziano.

Nel frattempo le strade non si calmano. I sostenitori e gli oppositori alla decisione del Presidente si affrontano nelle vie, per ora solo con insulti e lanci di oggetti vari. Ma l’esercito è per strada e fatica a mantenere a calma. Come si è arrivati a questo punto, in quello che sembrava l’unico Paese uscito vincente dalle “Primavere arabe”?

L’unica “rivoluzione” vincente è fallita?

Che cos’è la Tunisia nell’immaginario dell’italiano medio? Poco o niente… spiagge bellissime e/o orde di disperati sui gommoni. Queste le uniche immagini che arrivano tramite l’informazione.

Per anni molta gente pensava che la Tunisia fosse una specie di paradiso tropicale, tutto spiaggia e pacchetti vacanze all-inclusive.

La povertà esisteva allora, ma era invisibile. Il regime feroce di Zinelabidine Ben Ali teneva i poveri lontani dalle zone turistiche e qualsiasi tentativo di protesta era represso nel sangue. Quindi la stampa internazionale non risparmiava i complimenti per il Paese più stabile e più moderno della sponda Sud del Mediterraneo.

Ma un giorno di dicembre 2010, un giovane disoccupato del Sud povero e dimenticato, Mohamed Bouazizi, decise di darsi fuoco in pubblico per protestare contro la povertà, contro la disperazione, contro la corruzione e le ingiustizie del regime. Da quell’atto disperato iniziò una stagione di proteste che infiammò non solo la Tunisia ma anche molti Paesi arabi. Quella stagione, anche se iniziata nel cuore dell’inverno, fu chiamata la Primavera Araba.

Ma la «Primavera» andò molto male per la maggior parte dei Paesi. Libia, Yemen e Siria rasi al suolo. Egitto ricaduto in una dittatura ancora più severa della precedente. Altri popoli che continuano a lottare senza vedere la fine del tunnel. Unico Paese che ha messo un lieto fine al suo moto rivoluzionario è stata la Tunisia. Il dittatore Ben Ali è scappato in Arabia Saudita (terra benedetta… per i tiranni e gli oscurantisti). L’esercito ha rifiutato di reprimere la gente inerme e ha accompagnato la società civile in un percorso di transizione democratica abbastanza riuscito. Ora in Tunisia ci sono istituzioni elette democraticamente e la libertà di espressione. Però la Storia non ha né un inizio né una fine. E quindi il racconto non può chiudersi con un “E vissero tutti felici e contenti”.

Il piccolo Paese nordafricano si è allontanato da solo nel bosco popolato di mostri e stregoni. Ha seminato pietre bianche lungo il cammino per tornare a casa, sano e salvo. Ma da un po’ di tempo si è capito che qualcuno ha fatto sparire le pietre e il ritorno verso la quiete sembra sempre più difficile.

Se oggi la bella avventura democratica tunisina è in forte difficoltà i motivi sono due: 1. la Tunisia non è un’isola; 2. non si vive di democrazia e aria pura.

1. la Tunisia non è una isola in mezzo al Pacifico: politica interna Vs geo-strategia globale

Se in Tunisia non fu versato sangue né durante né dopo la “Rivoluzione” è in gran parte merito del popolo tunisino che ha saputo manifestare in pace e non ha cercato lo scontro. É merito delle forze armate che sono scese in strada non per aiutare la polizia di Ben Ali a massacrare il popolo ma per interporsi limitando le violenze da una parte e dall’altra. Ed è merito di una società civile tunisina che ha saputo inquadrare la protesta per poi sedersi introno a un tavolo discutendo e confrontando le alternative possibili.

Ma una parte non indifferente di questo successo è dovuto alla fortuna. Alla “fortuna” che ha la Tunisia di essere piccola e povera. Questa “fortuna” ha fatto sì che nessuno potenza predatrice internazionale o regionale fosse impaziente di controllare il Paese. Soprattutto in un momento in cui c’era da sbranare due prede belle grasse come la Libia e la Siria.

Ma questo disinteresse non era totale, Senza invasioni, né guerre civili teleguidate, l’influenza straniera si è fatta sentire soprattutto tramite i petrodollari.

In pochi mesi dopo la caduta del regime di Ben Ali, il partito islamista Al-Nahda (tendenza Fratelli Musulmani) – da decenni assente dalla scena politica locale a causa della forte repressione subita – diventa il primo partito politico nazionale. Con sedi, mezzi d’informazione e funzionari su tutto il territorio. I mezzi economici li hanno messi i soliti Paesi del Golfo Persico, Qatar in testa. Ma siccome non esiste filantropia disinteressata in politica, poco dopo si capì … in cambio di cosa. Presto i movimenti jihadisti cominciarono a crescere come erba infestante, mentre Libia e Tunisia diventavano vere e proprie piattaforme di reclutamento e partenza per la Siria.

Le piattaforme salafite non solo lavorano per l’esportazione ma vogliono imporsi anche per il consumo locale. Comincia così una breve stagione di attentati (Il bardo, Hammamet, uccisione di politici e intellettuali). Anche quella volta, la società civile tunisina seppe reagire molto bene. Ci furono manifestazioni contro la violenza politica, le forze laiche si ricompattarono mentre Al-Nahda fu costretta a scendere a patti e a condividere il potere per non perdere tutto.

2. Non si vive di democrazia e aria pura: una economia al collasso

Mentre sul fronte politico c’è stato dell’ottimo lavoro, il fronte economico fu quasi del tutto tralasciato. La Tunisia di Ben Ali tirava le sue rendite da 3 fonti principali: turismo, agricoltura-pesca e industria leggera.

Il turismo era ovviamente la prima fonte di guadagno. È questo il parametro che faceva e fa tutt’ora della Tunisia un Paese sbilanciato, con una zona costiera relativamente ricca e un entroterra molto povero.

L’agricoltura è l’attività che copre più territorio ma anche qui, in assenza di grandi investimenti per lo sviluppo di risorse idriche alternative, le zone del Nord dal clima mediterraneo rimangono quelle più fertili, mentre il Sud soffre sempre più della siccità.

La piccola industria nazionale era principalmente concentrata sulla confezione tessile, in quanto la Tunisia rappresentava una specie di “Pakistan di prossimità”, che assicurava lavoro a basso costo (e bassi diritti) per le multinazionali francesi del prêt-à-porter.

Dopo la “rivoluzione” turismo e manifattura sono ridotti al minimo. L’instabilità politica ha spaventato i turisti e la ritrovata libertà di espressione e di organizzazione (anche sindacale) ha fatto scappare le multinazionali. È rimasta solo l’agricoltura. Ma in assenza di politiche di sviluppo, di valorizzazione e distribuzione di nuove terre e di aiuto ai piccoli produttori, il settore rimane comunque al di sotto delle capacità reali del Paese e le orde di disoccupati dell’interno continuano a guardare con rassegnazione terre buone che rimangono incolte per mancanza di irrigazione.

La pandemia come una ciliegina sulla torta

La crisi da Corona Virus ha colpito la Tunisia in pieno. Come in altre parti del mondo, la diffusione del contagio e la moltiplicazione dei casi gravi ha scoperchiato un sistema sanitario che di sano non ha proprio niente. Ospedali allo stremo. Ossigeno introvabile e soggetto a speculazioni commerciali. Morti a centinaia. Con più di mezzo milioni di positivi (conosciuti) – quasi il 5% della popolazione – con il panico ovunque che aggiunge paura alla rabbia e al malessere già diffusi.

Rimpasto strutturale o colpo di Stato “soft”

È su questo sottofondo di crisi e di scontri per le strade che da mesi era iniziato una specie di braccio di ferro tra il presidente Kaïs Saïed e il partito di maggioranza Al-Nahda. Da una parte si invoca la cattiva gestione e la corruzione dilagante, dall’altra si parla di autoritarismo e di ritorno al presidenzialismo assoluto.

Domenica scorsa (25 luglio) le strade del centro della capitale Tunisi sono piene di manifestanti che chiedono la fine del governo; la sera, al termine di una riunione di crisi, il Presidente annuncia il congelamento delle attività di governo e del Parlamento (con soppressione dell’immunità per tutti gli eletti) e l’allontanamento immediato dei ministri della Difesa Brahim Bartagi e della giustizia Hasna Ben Slimane. Inoltre annuncia la formazione imminente di un governo di crisi che risponderà direttamente alla Presidenza della Repubblica.

Per fare tale interventi, il presidente Kaïs Saïed – giurista rinomato e uno dei massimi esperti tunisini di diritto costituzionale – ha invocato l’articolo 80 della Costituzione: in caso di «pericolo imminente che minacci le istituzioni della Nazione e la sicurezza e l’indipendenza del Paese e ostacoli il regolare funzionamento delle pubbliche autorità, il Presidente della Repubblica può adottare le misure richieste da tale situazione eccezionale». Il Capo dello Stato ha giustificato l’invocazione di questo articolo con il fatto che il Paese stava attraversando «i momenti più delicati» della sua storia e ha rassicurato sulle sue intenzioni: «Non si tratta né di una sospensione della Costituzione né dalla legittimità costituzionale, stiamo lavorando nel quadro della legge».

La maggioranza parlamentare, alla sua testa Al-Nahda, ha indetto grandi assembramenti per denunciare quello che chiamano Golpe. Di fronte al Parlamento sostenitori del presidente e delle varie forze politiche si affrontano a colpi di accuse, insulti e lancio di oggetti vari.

L’esercito occupa le strade e cerca di evitare scontri violenti. Ma in molte zone del Paese ci sono saccheggi e incendi, principalmente ai danni delle sedi del partito Al-Nahda.

E’ la più grande crisi affrontata dal Paese dalla fine della “Rivoluzione dei Gelsomini”. La società civile tunisina ha dimostrato grande maturità in passato, speriamo che saprà gestire questa crisi con la stessa saggezza con cui ha gestito le precedenti.

 * da La Bottega del Barbieri

martedì 27 luglio 2021

L'INGANNO DEL FOOD SYSTEM SUMMIT

Mentre in questi giorni a Roma si sta tenendo l'anteprima del summit del Food Systems Summit che si terrà a New York il prossimo settembre,sono da settimane che in molti giustamente sono preoccupati per questo vertice che non sarà aperto al pubblico e nonostante sia presentato e sponsorizzato dall'Onu ma deciso e organizzato dall'oligarchia del World Economic Forum(o Forum di Davos,vedi:madn a-davos-con-la-pancia-piena )rappresenta un serio problema sia per l'ambiente che per gli alimenti stessi.
Nell'articolo seguente(comune-info.net il-vertice-dei-padroni-del-cibo )più che dei dubbi si parlano di certezze sul vero ruolo e scopo di questi eventi,mascherati da vertici popolari dove agricoltori e studioso s'incontrano per rendere partecipi gli invitati e la stampa dei progressi scientifici e tecnologici nel campo agroalimentare ed in quello dell'industria di trasformazione.
Ma dietro questo ci sono gli avvoltoi delle multinazionali delle industrie dell'agroalimentare che puntano sull'uniformità genetica,il profitto e far tacere i milioni di lavoratori della terra soprattutto quelli nelle zone più povere e sfruttate.
Oltre a loro i giganti dell'e-commerce che si sono già tuffati in questa nuova miniera d'oro dei prodotti alimentari di cui vengono reclamizzate la genuinità,la sostenibilità e l'origine biologica del prodotto,non facando attenzione alla sempre più aggressività degli interventi chimici in agricoltura almeno in certi paesi.
Interessante pure quest'altro articolo(retisolidali.it il-pre-vertice-del-food-system-summit-non-piace-alla-societa-civile )dove si muovono forti critiche da parte di centinaia di organizzazioni che operano nel settore e che vedono in questo raduno dei più importanti e spietati produttori un ennesimo inganno in un periodo dove l'approvvigionamento alimentare sta diventando sempre più critico ed è volano per la nascita di nuove epidemie e pandemie.

Il Vertice dei padroni del cibo.

di Silvia Ribeiro 

Con la pandemia è aumentato in modo esplosivo l’afflusso dei giganti della tecnologia e del commercio online, un fatto che ha cambiato le strutture di produzione e i soggetti che controllano produttori e consumatori. Per legittimare questo attacco digitale e biotecnologico al nostro cibo e stabilire nuove normative internazionali (cioè per evitare normative e controlli pubblici), è stato concepito il cosiddetto Food Systems Summit, che si terrà a settembre 2021. Viene presentato come un appuntamento delle Nazione Unite ma in realtà lo ha deciso il World Economic Forum, noto anche come Forum di Davos, quello in cui convergono gli interessi economici e finanziari che estendono il loro dominio sul mondo intero. L’industria alimentare è più fondata che mai sulla variabile indipendente del profitto, sviluppa l’uniformità genetica di piante e animali, con pesanti interventi chimici (agrotossici, conservanti, aromi, addensanti, coloranti, ecc.), e con sempre più elementi sintetici e artificiali. È inoltre uno dei maggiori fattori di inquinamento dei suoli, dell’acqua e del terreno, dunque una causa importante del cambiamento climatico, ma non bisogna dimenticare che è perfino il più grande fattore di produzione di epidemie e pandemie.

Non possiamo vivere senza mangiare. Il cibo e tutto ciò che lo circonda sono alla base della vita di ogni persona. Il controllo di questo mercato è quindi un obiettivo fondamentale delle imprese transnazionali. Oggi, quattro o cinque grandi aziende agroalimentari controllano più della metà del mercato globale in ogni anello di quella catena industriale. Con la pandemia, è aumentato in modo esplosivo l’afflusso dei giganti della tecnologia e del commercio online, un fatto che ha cambiato le strutture di produzione e i soggetti che controllano produttori e consumatori. Per legittimare questo attacco digitale e biotecnologico al nostro cibo e stabilire nuove normative internazionali (leggi evitare normative e controlli pubblici), è stato concepito il cosiddetto Food Systems Summit, che si terrà a settembre 2021.

Sebbene sia presentato come un vertice delle Nazioni Unite, è stata un’iniziativa del World Economic Forum (detto comunemente Forum di Davos, in cui convergono le più grandi società transnazionali). António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha annunciato nel 2019 la sua realizzazione prima che gli organismi delle Nazioni Unite relativi all’agricoltura e all’alimentazione – come la FAO e il Comitato per la sicurezza alimentare mondiale – ne fossero a conoscenza. Nonostante sia ufficiale, questo vertice sarà un evento pubblico-privato, in cui il settore privato ha più partecipazione e influenza dei co-organizzatori delle Nazioni Unite (si veda: “Nuovo assalto al cibo”).

L’alimentazione non è solo nutrizione, ma è anche un pilastro essenziale dell’organizzazione delle società e delle culture. Per oltre il 99,9% della storia dell’alimentazione umana, il modo in cui il cibo viene ottenuto, prodotto e trasformato è stato diverso e decentralizzato a seconda delle aree geografiche e delle culture, basato su sistemi locali e, per la maggior parte, socialmente ed ecologicamente sostenibile. 

Il capitalismo e la sua Rivoluzione Verde (pacchetto tecnologico di semi ibridi e transgenici, macchinari pesanti, agrotossici e fertilizzanti sintetici) insieme alla globalizzazione imposta, sono riusciti a danneggiare in pochi decenni parte di quella realtà millenaria, con un’industria alimentare basata sul profitto, sull’uniformità genetica di piante e animali, con pesanti interventi chimici (agrotossici, conservanti, aromi, addensanti, coloranti, ecc.), e con sempre più elementi sintetici e artificiali. Un’industria che è anche uno dei maggiori fattori di inquinamento dei suoli, dell’acqua e del terreno e che è una causa del cambiamento climatico. Inoltre, è perfino il più grande fattore di produzione di epidemie e pandemie (si veda: “Gestando la próxima pandemia”).

Si tratta di uno dei 10 maggiori mercati industriali globali, un elenco in cui ha occupato tra il primo e il settimo posto nell’ultimo decennio, nonostante questa contabilità tenga conto solo dell’industria e consideri solo parzialmente il cibo che proviene dalle reti contadine, dalla pesca artigianale, dagli orti urbani e dalla raccolta tradizionale, che sono quelli che forniscono cibo al 70% della popolazione mondiale (si veda: “Chi ci nutrirà?. La Rete alimentare contadina a confronto con la Catena alimentare agroindustriale”).

Da alcuni anni, i giganti della tecnologia digitale e le piattaforme di vendita online (come Google, Facebook, Amazon, Microsoft, ecc.) sono entrati nell’agroalimentare. Hanno introdotto programmi di controllo digitale per l’agricoltura (offerti da imprese agroalimentari e produttrici di macchinari, in collaborazione con le imprese tecnologiche) e vari strumenti per questo, come droni e sensori, espandendo e controllando le vendite online, sia tra le aziende che tra i consumatori (si veda: “La insostenible agricultura 4.0” e “Agricoltura 4.0”).

Per queste ragioni, al di là della retorica, gli obiettivi principali di questo Food Systems Summit sono: a) La promozione e il progresso su larga scala dell’industria agroalimentare digitale o agricoltura 4.0, con nuove biotecnologie, sistemi informatici, estrazione e massiccio accumulo di dati relativi alle attività agricole, agli ecosistemi e ai nostri comportamenti alimentari; b) la costruzione di sistemi alternativi di governo in materia agroalimentare, in cui le imprese abbiano il ruolo principale insieme ad alcuni governi: creare sistemi pubblico-privati, emarginando le stesse Nazioni Unite e cercando di eliminare le organizzazioni contadine, indigene, delle donne e dei lavoratori che non si riesce a co-optare; c) stabilire nuovi concetti come quello di “produzione positiva per la natura”, allo scopo di ottenere sovvenzioni e co-optare la produzione biologica qualora se ne possa ricavare profitto, e altri concetti come quello di “soluzioni basate sulla natura” che costituiscono una copertura per aprire nuovi mercati del carbonio in agricoltura e mercati di compensazione per la distruzione della biodiversità.

La Via Campesina e la grande maggioranza dei movimenti contadini, ambientali, agroecologici, delle donne e delle popolazioni indigene di tutto il mondo respingono questo vertice e hanno deciso di svelare le bugie e le manovre connesse (si veda il documento di La Via Campesina: “Un Summit sotto assedio”). Ancora più grave è il fatto che, mentre il mondo è ancora in una situazione di pandemia, il sistema agroalimentare industriale che il Vertice intende portare avanti è uno dei fattori chiave nella generazione di epidemie. Pertanto, si terrà un contro-vertice alla fine di luglio, in cui una grande varietà di organizzazioni e comunità presenterà le realtà e le proposte di cui abbiamo bisogno per nutrire tutti, con giustizia e cura per l’ambiente. 

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Fonte: “Cumbre de los dueños de la alimentación”, in La Jornada, 03/07/2021.

Traduzione a cura di Camminardomandando

lunedì 26 luglio 2021

LE DITTATURE PER CUI VALE LA PENA DI COMBATTERE

Le scene di piazza che si sono viste in numerose città italiane ne hanno offuscato altre come quella di Voghera,quelle delle proteste in Valsusa e le altre davanti alle fabbriche in lotta:queste sono lotte vere e degne di essere combattute,quelle contro il razzismo e le armi,per la difesa del territorio e del lavoro.
La tanto reclamizzata dittatura sanitaria io la vedrei piuttosto nel senso della privatizzazione della salute pubblica,nel dovere aspettare mesi o anni per esami diagnostici urgenti,avere difficolta a comprare medicine e fare chilometri per essere visitati o curati.
Invece le migliaia di persone molto confuse su quello che è il Covid-19 e le cure a disposizione sono spinte soprattutto da una certa dose d'ignoranza che non si limita strettamente al campo medico,a sollecitazioni politiche dell'estrema destra(Meloni e Salvini e quel che rimane di Ca$$a Povnd e Fogna nuova),dove perfino i berlusconiani accettano la green card motivo principale di questi piagnistei e dell'abuso reiterato della parola libertà.
Perché quella la stanno dando a questi personaggi dal quoziente d'intelligenza di una castagna tutti coloro che il vaccino l'hanno fatto e lo faranno,e avranno la pelle salva proprio perché la maggioranza degli italiani si stanno vaccinando per la loro e la salute dei propri parenti ed amici,è questa la vera lezione di democrazia e di libertà che si sta dando.
Il resto sono vomitevoli autocelebrazioni di chi si crede al di sopra della scienza e che confida ancora in dio per proteggersi dalle malattie,persone che si credono immuni e che nella prima fase del coronavirus si sono poi ricredute quasi in punto di morte.
L'articolo di Left(a-proposito-di-dittature-sanitarie )racconta questo e per l'appunto altri motivi per cui dovremmo mobilitarci e scendere in piazza,e mica per le battaglie politiche di una destra che fa del populismo e del qualunquismo l'ossigeno per respirare e stare a galla.

A proposito di dittature sanitarie.

di Giulio Cavalli

Cari destrorsi, di battaglie giuste ce ne sarebbero tantissime per cui scendere in piazza. Solo che le battaglie reali poi tocca combatterle davvero e risolverle, mentre voi inseguite quelle inventate che richiedono molta meno responsabilità

Che Paese incredibile. Ci sono quelli che sognano il ritorno della dittatura e sono sfegatati fan del dittatore pelato che ora urlano al ritorno della dittatura (che tra l’altro invocano per fede politica) lamentandosene perché non è la loro. È normale del resto che i dittarofili vedano dittature dappertutto: le sognano così fortemente che il loro incubo peggiore è che riescano gli altri mentre a loro spetta di stare nascosti nei tombini.

Com’era immaginabile la destra più becera cavalca la questione delle vaccinazioni (strumentalizzando anche chi ha paure che andrebbero trattate con cura piuttosto che strumentalizzate da una parte e perculate dall’altra) come accade ogni volta che si presenta l’occasione di creare scompiglio democratico. Sono fantastici questi destrorsi: nel giro di pochi mesi sono passati dal negare l’esistenza della malattia, poi ci hanno detto che il virus esisteva (contraddicendosi) ma che la cura con il plasma avrebbe funzionato alla faccia delle aziende farmaceutiche, poi hanno cambiato idea e ci hanno detto che l’assistenza domiciliare risolve tutto, poi ci hanno detto che è solo un’influenza, poi ci hanno detto che il vaccino invece andava bene ma solo quello russo, poi ci hanno detto che le bare erano finte e le ambulanze erano vuote, poi che il virus era finito, poi che il virus era tornato, poi che ora è finito di nuovo, poi che il governo era in ritardo, poi che il governo voleva chiudere le attività per fare fallire tutti (e sarebbe interessante capire quale sarebbe il vantaggio di un governo nell’impoverire le proprie attività economiche), poi ci hanno detto che bisognava aprire tutto e mettere il Green Pass, poi che il Green Pass no, poi che i vaccini hanno il 5G, poi che i vaccini uccidono le persone, poi hanno correlato ogni morte al vaccino (mica difficile: in un Paese in cui tutti si stanno vaccinando è ovvio che le persone continuino a morire di altre malattie) poi hanno detto che non si vaccinavano per scelta, ora che non si vaccinano: basta dare un’occhiata alla sequela di mostruosità per rendersi conto che l’unico scopo di questi è quello di sollevare disordini. Solo quello. A loro non gliene fotte niente dei vaccini e delle libertà: se lo Stato non vaccinasse sarebbero lì a soffiare sul fuoco al contrario.

Del tema vero delle loro battaglie ai destrorsi non interessa nulla, nulla. Perché a buon vedere di dittature sanitarie ce ne sarebbero per cui scendere in piazza. C’è la dittatura sanitaria (e classista) che ti concede di accedere a un esame qualsiasi solo dopo mesi oppure di averlo in pochi giorni dallo stesso medico, con addirittura la stessa strumentazione e nello stesso luogo (tutti pagati con soldi pubblici) pagando una visita privata. Non è dittatura costringere a pagare un diritto per ottenerlo in tempi ragionevoli, solo se si è nelle condizioni di poterselo permettere? Oppure: non è dittatura una legge inapplicata come il diritto all’aborto che non avviene per una cancel culture degli obiettori di coscienza che impongono il loro credo al normale funzionamento dello Stato? Oppure, non è una dittatura sanitaria quella che chiede di scegliere tra salute e reddito in una bilancia  che pende sempre dalle parti del profitto? Non è dittatura sanitaria quella che permette la cura delle malattie croniche solo a chi se le può permettere? Non è dittatura sanitaria quella che privatizza un servizio pubblico?

Insomma, cari destrorsi, di battaglie giuste ce ne sarebbero tantissime per cui scendere in piazza. Solo che le battaglie reali poi tocca combatterle davvero e risolverle mentre a voi conviene inseguire quelle inventate che richiedono molta meno responsabilità.

Buon lunedì.

venerdì 23 luglio 2021

IL PISTOLERO DI VOGHERA

Non si è fatto a meno di parlare in questi giorni dell'episodio di cronaca nera avvenuto a Voghera dove l'assessore della sicurezza Massimo Adriatici ha assassinato con un colpo di pistola il cittadino di origine marocchina Younis El Bossetaoui in un contesto che lo stesso politico ha definito di legittima difesa.
E soprattutto si è ovviamente parlato a vanvera con la solita contrapposizione tra chi ne fa un personaggio da santificare o uno sceriffo senza pietà,con la giustizia che sta facendo le proprie indagini e che,riforma Cartabia o meno,andrà avanti per le lunghe e che è già stata indirizzata in quanto i carabinieri,non credendo ma più facilmente omettendo il fatto che la vittima avesse familiari,hanno subito autorizzato l'autopsia senza la parte legale della difesa.
L'articolo di Contropiano(assessore-leghista-alla-sicurezza-uccide-un-uomo-per-strada )oltre a spiegare i fatti,ad ora c'è un video di El Bossetaoui che colpisce con un pugno Adriatici e lo fa cadere a terra ma non c'è quello di quando ha sparato il classico colpo accidentale che ha colpito appieno il bersaglio,cosa molto deja vu in Italia.
Quello che rimane certo è che un assessore che gira nei bar di sera armato non mette molta tranquillità per chi circola,perché sennò ogni weekend ci sarebbero decine di morti,e soprattutto le parti politiche fascioleghiste,quelle delle ronde,dei sindaci(vedi Gentilini:madn gentilini-vaffanculo)e degli assessori sceriffo(vedi De Corato:madn de-coratozona-pensiero-limitato )o altri personaggi vergognosamente razzisti e criminali(come Bonanno:madn meglio-miserabile-schifoso-o-uomo-di merda )ne facciamo molto a meno.

Assessore leghista alla “sicurezza” uccide un uomo per strada.

di  Redazione di Milano   

Martedì sera, verso le 22.30, l’assessore leghista alla sicurezza di Voghera ha ucciso un uomo con un colpo di pistola a seguito di un diverbio scoppiato in un bar del centro cittadino molto frequentato. 

L’assessore omicida è Massimo Adriatici, ex agente di polizia, ora avvocato e docente di diritto penale alla Scuola allievi di Polizia. Uno dei soliti assessori alla “sicurezza” della Lega, abituati a voler riempire le strade di telecamere, agenti di polizia, a firmare provvedimenti contro chi lotta o è semplicemente il più debole nella società. 

Una “sicurezza” sempre volta alla repressione politica o della microcriminalità, mai contro i grandi affari mafiosi, l’evasione fiscale in cui sguazza la Lega e le prepotenze dei potenti e delle cosiddette forze dell’ordine. 

Sulla vicenda è in corso un’inchiesta della Magistratura, che ha però già concesso ad Adriatici gli arresti domiciliari, e che dovrà chiarire come siano andate le cose. 

Secondo le dichiarazioni rese ai magistrati da Adriatici, verso le 22.30, mentre egli si trovava nel “Bar Ligure”, dove controllava da buon celerino il rispetto di una sua ordinanza sulla vendita di alcoolici, avrebbe notato Younis El Bossetaoui, probabilmente ubriaco, che “infastidiva” alcuni ragazzi. 

Tra Adriatici e la sua vittima sarebbe nato un diverbio, sviluppatosi nello spiazzo antistante il locale (sembra che l’assessore avesse invitato El Bossettaoui a uscire con lui). 

Li è accaduto l’omicidio che, secondo la versione di Adriatici, sarebbe avvenuto perché, dopo avere minacciato il suo interlocutore con la pistola che portava con sé, quest’ultimo lo avrebbe spinto e fatto cadere. Cadendo, dalla pistola dell’assessore sarebbe partito accidentalmente un colpo, che anche se casuale, ha colpito in pieno petto, con grande precisione, il suo contendente, di cui evidentemente, non possiamo avere la versione dei fatti. 

Come si vede, è la solita versione da poliziotto, sempre identica: una caduta e parte un colpo straordinariamente preciso. Roba che a farlo apposta non ci sarebbe riuscito…

Seguiremo le indagini, ma già da ora ci poniamo alcune domande inquietanti sulla ricostruzione di Adriatici. 

Prima di tutto, ci chiediamo se sia “normale” che un assessore vada a bere il caffè serale portando con sé una pistola con il colpo in canna, con la sicura disattivata. Se sia “normale” che per allontanare una persona, apparentemente ubriaca, quindi in condizioni di scarso controllo fisico e mentale, la si minacci con la pistola. 

Inoltre, è legittimo chiedersi se un ex poliziotto non abbia ricevuto un addestramento, per cui queste situazioni “da osteria” – le più frequenti in assoluto, tra le tante possibili – si affrontano e risolvono pacificamente, senza uso delle armi. Altrimenti ogni venerdì e sabato sera avremmo stragi in ogni movida… 

Naturalmente, all’assessore pistolero è arrivata l’immediata solidarietà del suo capo, tal Matteo Salvini, che ha immediatamente farneticato di “legittima difesa”. Sappiamo che il noto ducetto fascioleghista ha una visione alquanto estensiva della legittima difesa, ma sembra davvero eccessivo invocarla nel caso di uno spintone, dato da un uomo disarmato e in condizioni d’inferiorità (l’ubriachezza può aumentare l’aggressività, ma riduce l’efficacia). 

Osserviamo poi che l’intervento di Salvini contraddice persino la versione dell’assessore-assassino, perché la legittima difesa è un atto volontario (per quanto commesso in “stato di necessità”), mentre Adriatici insiste sulla tesi della “caduta accidentale”. Insomma: che si mettano almeno d’accordo su una versione sola, anche se non plausibile, e la smettano con le panzane. 

Come si vede, questo episodio conferma che la Lega e le destre – maggioritarie in molti comuni del Nord ma non solo – stanno militarizzando il territorio e i propri comportamenti verso l'”azione diretta”. E che, data l’idea di “legittima difesa” della Lega, che fece anche approvare al tempo del governo “Conte 1” una legge da Far West, per cui la difesa “è sempre legittima”, la sicurezza di tutti è ora a forte rischio. 

Questo avviene per la l’aumento del possesso di  armi, gli assurdi spionaggi di “controllo del vicinato” e infine per chiunque non sia incluso nella visione di società basata sulla produzione e l’esasperata protezione della proprietà privata, vero feticcio della borghesia leghista e sua unica, egoista, ragione di vita, per la quale si può anche uccidere. 

E, purtroppo, se capita, anche essere condannati a morte da un assessore pistolero, con esecuzione immediata della sentenza e naturalmente senza processo. 

Nella serata di mercoledì, una cittadina ha posto dei fiori sul luogo dell’omicidio, in memoria della vittima, dicendo si sentirsi “meno sicura” sapendo che l’assessore alla “sicurezza” gira con la pistola in tasca; e ha ricordato che il primo provvedimento di Adriatici fu un “Daspo” per due persone che chiedevano l’elemosina. 

Riportiamo qui di seguito il comunicato delle assemblee lombarde di Potere al Popolo.

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Voghera calibro 9:la politica indica, l’assessore spara.

È di stamattina la notizia che Massimo Adriatici, assessore alla sicurezza di Voghera, ha sparato e ucciso, in una piazza vicino al centro della cittadina, una persona. I fatti sono all’analisi delle autorità, ma quel che già ci insegna questa triste vicenda esula dai fatti giuridici. 

L’assessore si era già caratterizzato per la sua “radicalità” avendo “introdotto il Daspo urbano contro bivacchi e accattonaggio nel centro urbano” allontanando “due mendicanti che chiedevano l’elemosina in piazza Duomo”, ed evidentemente usava aggirarsi in città con una pistola, in stile USA. 

La Lega ha da sempre avuto una violenta retorica volta ad indicare, certo sempre verso il basso, il colpevole delle difficoltà prima del Nord, poi degli “itagliani”. La continuità con una tradizionale retorica di estrema destra fascista è nota, e ha evidenza a più livelli: negli intrallazzi con il mondo degli affari, fino ai più beceri episodi di violenza “di strada”, alle provocazioni e alle sparate sui barconi, sugli immigrati e così via a cui abbiamo assistito negli anni. L’episodio di oggi è l’ennesima conferma e la materializzazione di una cultura reazionaria di cui la Lega si è fatta portatrice e che si è fatta strada nel paese e fin nelle istituzioni.

Tale deriva è alimentata dalla soppressione dei diritti sociali, dall’attacco ai salari e alle condizioni di vita, a causa dall’asservimento totale ai voleri della UE, degli industriali e della finanza. 

Per distogliere l’attenzione da questa situazione si punta sulla repressione, sull’odio verso i migranti e gli emarginati. Allo stesso modo agisce il disprezzo verso i poveri, fomentato e propagandato dalla tecnocrazia europeista e dal centro-sinistra, in una narrazione devastante per cui se non ce la fai, è colpa tua, e il modello di emancipazione è rappresentato dai multimilionari, manager, influencer e via dicendo. 

Non è un caso che la Lega e il PD siano oggi al governo con Draghi come collante e unificante: sono infatti accomunati da una stessa visione di società, seppur dai toni (o dai colori) diversi.

Potere al popolo! è impegnata e continuerà a battersi in ogni sua attività per smascherare l’ipocrisia di chi fomenta l’odio sociale e razziale. Nei quartieri, nelle case del popolo, nelle campagne politiche locali e nazionali siamo impegnati e fiduciosi di aver ragione di affermare che un’altra società è possibile rimettendo al centro i bisogni e le aspirazioni degli sfruttati, mettendo in campo strumenti di solidarietà, di lotta e di organizzazione contro il violento attacco che sta venendo portato avanti verso le classi popolari.

domenica 18 luglio 2021

CUBA SI YANQUI NO

Inoltrarsi in un discorso che riguarda Cuba è spesso capitare in un terreno scivoloso,in un paese fatto di contraddizioni e di sogni,di restrizioni e di speranze,in quanto si tende a dire che chi non ci vive dovrebbe non parlarne(che presuntuosità):personalmente non ci sono nemmeno mai stato ma riesco a parlare con cubani,sia dal vivo che comunque grazie alle testimonianze che si trovano in rete.
E come detto prima ci sono sempre due volti della stessa medaglia:un paese stupendo di gente felice ma anche di gente stanca e anche incazzata,e questo credo cha valga anche se un cubano o un inglese dovesse interpellare un italiano.
Le proteste scaturite per la povertà che di certo non manca sono state comunque frutto di un pressing statunitense,anche scaturita dagli stessi cubani emigrati,tipo magari i dottori che hanno conseguito una laurea di prim'ordine in una delle università statali eccellenti dove hanno ricevuto una cultura ed una competenza di massimo livello senza spendere un soldo e che una volta arrivati a Miami e magari guadagnando lautamente sputano veleno contro chi gli ha offerto una carriera a sei zeri.
Cuba ha un grave problema che è il bloqueo,(madn il-mondo-contro-il-bloqueo-cuba )l'embargo che gli Usa hanno imposto da decenni da quando nell'isola ha vinto la Rivoluzione,e la pandemia ha fortemente limitato se non quasi azzerato il turismo,la principale fonte di sostentamento di milioni di persone.
Tutto questo come detto fomentato dagli anticastristi e antirivoluzionari americani,che si sono già scordati di Capitol Hill e della loro "democrazia" da esportazione con minacce e bombe quando fanno tanta fatica a governare loro stessi.
I mass media ci parlano e ci mostrano le proteste contro il Presidente Miguel Díaz-Canel senza fare notare che milioni di cubani lo sostengono e manifestano per difendere il processo rivoluzionario,ma sappiamo bene che per gli occidentali Cuba è come la Bielorussia oppure Hong Kong,paesi che sono in protesta e che vengono messi sotto i riflettori perché la Russia e la Cina sono nemici da combattere.
Il primo articolo è di Contropiano(cuba-il-popolo-in-piazza )mentre il secondo è un'analisi di Gianni Minà(lantidiplomatico.it-cuba_ora_basta )fatta da uno dei massimi conoscitori delle dinamiche che da decenni caratterizzano il centro ed il sud America e che la sa lunga sui tentativi,per la gran parte riusciti, da parte degli Usa di destabilizzare un intero continente.

Cuba, il popolo in piazza per difendere il processo rivoluzionario.

di  Redazione Contropiano   

In questo momento nelle strade delle maggiori città di Cuba, il popolo è sceso in piazza contro il blocco economico e le ingerenze statunitensi, a difesa della Rivoluzione cubana e del diritto all’autodeterminazione.

Questa è la risposta di massa alle provocazione degli anticastristi e alle fakenews montate ad arte della stampa mercenaria e al soldo degli interessi dell’imperialismo nordamericano, che tante bugie sta raccontando anche nel nostro paese.

Come diceva il Comandante Fidel, “i tempi difficili sono la migliore misura di ciascuno… del coraggio e del valore di ognuno… delle virtù delle persone e, soprattutto, delle virtù di un popolo e del patriottismo e le virtù rivoluzionarie non sono mancate e non mancheranno mai a questo popolo“.

In questo spirito, il Presidente legittimo della Repubblica di Cuba Miguel Díaz-Canel ha dichiarato nella notte che “gli Stati Uniti hanno fallito nei loro tentativi di distruggere Cuba, nonostante i miliardi di dollari utilizzati a questo scopo“, aggiungendo che “se Biden avesse realmente una ‘preoccupazione umanitaria’ per il popolo cubano, potrebbe immediatamente eliminare le 243 misure applicate dal suo precedessore Trump, di cui 50 imposte durante la pandemia, come prima tappa della fine del blocco economico“.

Infine, Díaz-Canel ha respinto le dichiarazione di Biden che ha definito il governo dell’isola “uno Stato fallito“, dimenticandosi forse delle  manifestazioni fiume andante in scena per i diritti delle minoranze, in primis afro-americane, la fallimentare gestione della pandemia (che ha provocato il decesso di 600mila persone, l’equivalente di 200 “11 settembre”!) e il traballante passaggio dei poteri tra le due amministrazioni, esemplificate dai fatti del 6 gennaio a Capitol Hill.

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Cuba."Ora basta" di Gianni Minà.

14 luglio 2021

Sessant’anni e 12 presidenti fa, scattava l’embargo nordamericano a Cuba. Obama, nel dicembre 2014, dichiarò: “Abbiamo fallito, non abbiamo piegato Cuba. E’ ora di cambiare”.

I cubani avevano dimostrato, in tutti questi anni, dopo aggressioni subite, contrarietà e sacrifici, di voler rimanere fedeli ai loro ideali di indipendenza e giustizia sociale, secondo un modello economico socialista. Cuba non solo non è collassata, ma ha dimostrato come l’embargo economico a un popolo è una delle forme di pressione “diplomatica” tra le più crudeli mai conosciute.

Cuba è sopravvissuta sia al fallimento del socialismo reale, sia a quello del neoliberismo reale, le cui storture, la miseria, la violenza sono state risparmiate a questo popolo, nonostante le difficoltà oggettive di chi vive sempre più asserragliato e praticamente alla fame.

I cubani in tutto questo tempo hanno  dimostrato che non hanno vissuto in un “gulag tropicale” come i media hanno sempre voluto descrivere questa piccola isola in maniera capziosa: non si sopravvive alla crudezza del periodo speciale, con turisti che vanno e vengono, senza un consenso di massa che non è basato sulla repressione.

Né gli Usa hanno mai voluto riconoscere la Rivoluzione e il suo corso storico.

La diplomazia nordamericana è costruita anche di termini usati come bastoni: per loro dittatura è tutto ciò che è diverso dalla loro ideologia neoliberale, il concetto guevariano dell’hombre nuevo, dell’uomo al centro, una forma diversa dello Stato e soprattutto il concetto di democrazia e di autodeterminazione sono quasi spazzate via dall’odio verso tutto ciò che “puzza” di comunismo.

Gli Stati Uniti hanno sempre tentato di gettare fango sulla reputazione di questa piccola Isola che non ha nessuna ricchezza, né materie prime su cui fare affidamento, ma solo la potenza della propria cultura e delle proprie idee: un prestigio “morale” che tutte le nazioni povere, tutti i popoli del Terzo Mondo riconoscono a Cuba.

Nel 1998, grazie anche all’aiuto di un terzo attore, il Vaticano, Karol Wojtyla aveva aperto Cuba al mondo (“e il mondo si apra a Cuba” come disse papa Giovanni Paolo II in un suo discorso storico), Joseph Ratzinger aveva messo fine al conflitto tra Santa Sede e Cuba e ultimamente Papa Francesco (che, con la confidenza di un amico, aveva chiesto a  un Fidel anziano, di pregare per lui) aveva dato una spinta potente per farci tutti sperare, finalmente, in un miglioramento delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti, con il Presidente Obama che aveva deciso di ripristinare le relazioni diplomatiche interrotte dal ’61.

Ma se Obama aveva teso una mano a Cuba, Trump prima e Biden ora, hanno usato e usano la loro politica destabilizzante per strangolare definitamente questa piccola nazione. Obama all’epoca aveva comunque chiarito che non si stavano cambiando gli obiettivi che regolano la politica estera nordamericana, basata sul suo modello di democrazia, ideale per il mondo intero e fondata sulla ideologia neoliberista. Semplicemente confermava “un cambiamento di metodo nell’approccio”. Oggi sta davanti agli occhi di tutti il metodo degli ultimi due presidenti: l’aggravamento del blocco economico e l’incitamento ai disordini tramite i social network.

Se Obama, nel discorso sullo Stato dell’Unione, affermava l’esigenza di “mettere fine a una strategia che doveva terminare da tempo” chiedendo “la fine di mezzo secolo di politica fallimentare nei riguardi del cortile di casa” oggi, in tempo di pandemia che ha messo in ginocchio tutto il mondo, Trump ha inserito circa 240 restrizioni in più su quella che è la legge più iniqua, dopo la Legge Torricelli, la Legge Helms-Barton.

Nel 1992 Bush padre, con la Legge Torricelli, non solo aveva inasprito il blocco economico dando vita a uno dei periodi più bui di Cuba, il “periodo speciale”, ma per la prima volta aveva violato il diritto internazionale. Ogni legge promulgata in qualsiasi paese, infatti, non può essere applicata fuori dai propri confini; la legge Torricelli invece è estesa a tutti i paesi del mondo, per cui, ad esempio, se una qualsiasi nave entra nei porti cubani, è vietato entrare negli Stati Uniti nei 6 mesi successivi. In questo modo le compagnie di navigazione preferiscono non commerciare con Cuba e Cuba, che è un’isola, deve pagare a caro prezzo far consegnare le merci sulla sua terra. Questa legge prevede sanzioni anche verso chi fornisce assistenza ai cubani: se un paese dà 100 milioni a Cuba, gli Usa riducono di 100 milioni gli eventuali aiuti a questo paese[1].

Nel 1996 Clinton adottò la Legge Helms-Burton che oltre ad essere extraterritoriale è pure retroattiva. Anche questo è vietato dal diritto internazionale.

Nel 2004 il sadico Bush figlio, con la sua “Commissione assistenza per una Cuba Libera” aveva imposto ai cittadini cubani residenti negli Usa il rimpatrio solo per 2 settimane ogni 3 anni, provando però che fosse un parente stretto di una famiglia residente a Cuba. Aveva ridotto a 100 dollari la rimessa mensile; se però i parenti erano iscritti al partito comunista, l’importo si riduceva a zero.

Nel 2006, poi, le restrizioni si erano aggravate, le aziende dovevano scegliere: o si commercia con Cuba o con gli Stati Uniti. Per commerciare con gli Stati Uniti bisognava (e bisogna) dimostrare che i prodotti venduti non contengano nulla di origine cubana; addirittura, il consumo di prodotti cubani per i cittadini statunitensi fa rischiare loro sanzioni e/o 10 anni di galera.

Oggi le 240 misure contro Cuba imposte dall’amministrazione Trump pesano come una pietra tombale ed hanno l’unico obiettivo di strozzare economicamente il Paese, sovvertire l’ordine interno, creare una situazione di ingovernabilità e rovesciare la Rivoluzione.

Parte di queste sanzioni riguardano il Titolo III della Legge Helms-Burton che permette ai cittadini americani, o cubani divenuti poi americani, di fare causa a compagnie accusate di «trafficare» con le proprietà confiscate dal governo cubano. La decisione di consentire azioni legali nei tribunali statunitensi ha un impatto negativo sulle prospettive di attrazione di investimenti esteri, che si aggiunge agli ostacoli già esistenti a causa del quadro normativo del blocco. Finora ci sono 28 procedimenti legali avviati nei tribunali statunitensi. Il collega Da Rin sul Sole 24 Ore  elenca alcuni casi paradossali. [2]

Riguardo ai viaggi, la creazione dell’elenco degli alloggi vietati a Cuba, che comprende 422 hotel e case in affitto, ha scoraggiato i turisti. Sono stati anche cancellati i voli regolari e charter per l’intero Paese, ad eccezione dell’Avana, le cui frequenze sono state anch’esse limitate. In questi 240 “aggiustamenti” è compresa la decisione di limitare l’importo delle rimesse a mille dollari al trimestre, la sospensione delle rimesse non familiari e il divieto di inviare denaro da paesi terzi attraverso Western Union, hanno imposto ulteriori limitazioni al reddito di molti cubani.  Ed anche la creazione da parte del Dipartimento di Stato dell’”Elenco delle entità soggette a restrizioni cubane”, con la quale alle persone soggette alla giurisdizione statunitense è vietato condurre transazioni finanziarie dirette. Le società incluse nell’elenco sono 231. In questo settore, è sorta la decisione di non rinnovare la licenza di attività a Cuba della compagnia alberghiera Marriott International, al fine di seminare un clima di incertezza nella comunità imprenditoriale.Durante l’amministrazione Trump ha avuto luogo una meticolosa persecuzione delle operazioni bancarie-finanziarie di Cuba e un notevole aumento delle segnalazioni di chiusura di conti bancari, negazione delle transazioni e altri ostacoli incontrati dalle rappresentanze diplomatiche e commerciali all’estero.Parallelamente alla strategia contro il Venezuela e con il pretesto della presunta ingerenza di Cuba in quel paese, sono state adottate misure contro navi, compagnie di navigazione, compagnie di assicurazione e riassicurazione legate al trasporto di carburanti. Solo nel 2019 sono state penalizzate 53 navi e 27 compagnie. Notevoli anche le pressioni contro i governi che registrano o segnalano le navi. Infine, l’11 gennaio di quest’anno Cuba è stata inserita nell’elenco degli Stati che sponsorizzano il terrorismo; tre giorni dopo figura nell’elenco degli Avversari Esteri del Dipartimento del Commercio, in virtù di un ordine esecutivo firmato da Trump.

Per quanto riguarda la sanità, gli Stati Uniti hanno spinto per la fine degli accordi con diversi paesi e hanno aumentato la pressione sulle organizzazioni multilaterali. Questa politica iper-aggressiva si traduce nell’assurda situazione in cui questa Isola dei Caraibi ha creato più di un vaccino contro il Covid, ma non può vaccinare la popolazione perché non ha le siringhe necessarie (o, ad esempio, gli elettrodi pregellati o i cateteri cardiaci pediatrici o il banale gel per le ecografie)  perché non c’è nessuna azienda disposta a rischiare uno stop commerciale di sei mesi per venderle a Cuba. Noi italiani, i medici cubani della brigata Henry Reeve (voluta da Fidel Castro nel 2005 per le emergenze e le epidemie, soprattutto di ebola, in Africa) nel momento più tragico della pandemia li abbiamo conosciuti: sono venuti a Crema, ad aiutare nell’ospedale da campo e se ne sono andati a epidemia rientrata. Ma il contrasto tra la storica narrazione su Cuba e l’umanità di queste persone che hanno aderito alla nostra richiesta di aiuto in un momento terribile per il nostro Paese, è stato troppo scandaloso per alcuni: ultimamente alcuni dei nostri media mainstream hanno sporcato di fango anche loro, scambiando il lavoro solidale come una forma di schiavitù, sostenendo che sono stati obbligati dal regime cubano a lavorare gratis o sottopagati.  Sto aspettando con ansia la ribellione di tutti i volontari e operatori di pace che, per un proprio ideale religioso o politico, portano avanti un progetto di vita solidale.

Eppure, il Parlamento Europeo, stritolato da tempo tra gli interessi Usa e il nuovo, rampante capitalismo cinese, ha pensato bene di approvare un progetto di risoluzione intitolato “Sui diritti umani e la situazione politica a Cuba” che indica anche questo aspetto sul lavoro dei medici cubani, presentato da Vox (Spagna), Fratelli d’Italia e HSP-AS (Croazia), dal gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, dal PiS polacco, dal Partito Popolare spagnolo (PP), dall’alleanza liberale Renew Europe, a cui appartiene anche la FDP tedesca e dall’Osservatorio cubano dei diritti umani, una delle tante organizzazioni controrivoluzionarie finanziate dai contribuenti statunitensi. L’Osservatorio cubano dei diritti umani, infatti, ha ricevuto dalla NED (National Endowment for Democracy) nel 2017 più di 120mila dollari per le sue azioni sovversive contro il governo cubano.

Ultimamente, nel panorama internazionale, stiamo assistendo all’aumento di una certa confusione informativa proveniente da realtà non governative. Nella rivista “Latinoamerica e tutti i Sud del mondo” di cui sono stato direttore ed editore dal 2000 al 2015, avevo spiegato con molta preoccupazione il caso di Reporter sains frontieres nei confronti di Cuba, il cui direttore, Robert Menard, nel 2008, si dimise per andare nelle fila del Front National di Le Pen.

La risoluzione, poi,  è passata con 386 voti a favore, 236 contrari e 59 astensioni. Non è stata quindi causale questa votazione, ma una precisa posizione politica, avvallata anche dall’Italia, con la votazione contraria, il 26 marzo scorso, assieme ad altri 14 paesi, contro la risoluzione presentata al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sulle “ripercussioni negative delle sanzioni economiche nel godimento dei diritti umani che esorta gli Stati ad eliminare, interrompere l’adozione, il mantenimento o l’applicazione di sanzioni verso altri paesi”. Il blocco economico, però, è una sanzione applicata dagli Stati Uniti contro Cuba; votando contro la sospensione delle sanzioni la Comunità Europea conferma la necessità del blocco quale forma di pressione verso il governo cubano.

Super efficienti quindi per quanto riguarda la situazione “dei diritti umani a Cuba”, ma sordi e duri di cuore ai continui richiami del nostro Paese e di ong sui diritti umani calpestati  dei migranti che solcano il Mediterraneo per avere una speranza di vita, in balia di scafisti senza scrupoli e trovando spesso la morte ad accoglierli. Ma la comunità Europea, ultimamente, sta vivendo momenti di forte imbarazzo, perché il loro ambasciatore all’Avana, Borrell, in una intervista, non se l’è proprio sentita di considerare Cuba una dittatura. Rumori di straccio di vesti da Bruxelles, ma senso della vergogna, zero.

A proposito, la ormai storica generosità degli abitanti di Lampedusa, che da anni accolgono i vivi e i morti che il mare sputa quasi ogni giorno, come la vogliamo considerare? Sfruttamento? Lavoro mal retribuito? Schiavitù? Alla coscienza di ognuno la risposta. So solamente che quindici anni fa scrivevo una facile profezia sul mare di gente disperata che ci avrebbe sommerso, stretta tra una morsa di guerre “portatrici di democrazia” e sfruttamento atavico del loro territorio.

In questi ultimi giorni stiamo assistendo, su Cuba, alla tempesta perfetta: un grosso focolaio di covid 19 scoppiato a Matanzas (il governo ha inviato due brigate di 60 medici per alleggerire gli ospedali quasi al collasso); la quotidianità resa sempre più difficile, quasi impossibile per la difficoltà a reperire beni di prima necessità, ma anche per via dei trasporti, diradati perchè la benzina scarseggia da tempo; l’aggressività della disinformazione che parte da Miami e si ingigantisce sui social network, proteste fatte passare per “assalto al regime castrista”,  false notizie sull’ipotetico appoggio degli artisti più prestigiosi.La musica unisce, la musica divide, pare.Buena Fe, insieme a un folto gruppo di artisti, ha confermato la sua posizione e appartenenza di sinistra davanti alle telecamere della televisione cubana. Il cantante, che gode della simpatia di milioni di followers dentro e fuori l’Isola, ha rimarcato: “Questo Paese va difeso per convinzione. Guai a chi sbaglia e crede che tutti noi che difendiamo la Rivoluzione siamo degli stronzi. Attenzione a questo! (…) Qui ci sono tante persone che si sono suicidate per questo Paese, la nostra stessa famiglia. Quello stesso sangue è lì. Non tradite quel sangue”.Di contro, due rapper, residenti nell’Isola, Maykel Osorbo e El Funky insieme ad altri musicisti che vivono a Miami, hanno prodotto la canzone “Patria y vida” (parafrasando “Patria o muerte” di Fidel) ottenendo milioni di visualizzazioni. Alcuni di loro appartengono al Movimiento San Isidro, la cui protesta aveva fatto immediatamente il giro dei media. Il Dipartimento di Stato degli USA aveva immediatamente supportato il Movimento sostenendo la necessità di rafforzare “la capacità dei gruppi indipendenti della società civile a Cuba di promuovere i diritti civili e politici nell’isola” e aveva condannato “la responsabilità dei funzionari cubani nelle violazioni dei diritti umani”. Una metodologia già trita e ritrita nel corso della vita politica cubana.Anayansi Castellón Jiménez, a capo del Dipartimento di Filosofia dell’Università Centrale “Marta Abreu” di Las Villas, contestualizza in una intervista a Cubadebate[3]: “Esiste una sorta di manuale delle operazioni psicologiche delle agenzie militari e di intelligence degli Stati Uniti, lo abbiamo visto più volte in Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Ecuador, Argentina e Brasile, nell’ambito del laboratorio sperimentale permanente dell’imperialismo, che usa la stessa formula per generare i pretesti che permettono loro di attivare più sanzioni e persino di giustificare le loro avventure di guerra. Creano il problema e promettono una soluzione che porta ad una maggiore sofferenza i nostri popoli”.La disinformazione su Cuba è sempre esistita, l’arma potente usata dagli Stati Uniti, maestri nella fabbrica dell’informazione e che ora ha all’attivo i mezzi tecnologici sempre più sofisticati, dove è molto difficile verificare i limiti tra verità e finzione.

Difficile, ma non impossibile, anche se in questo momento si bada più alla rapidità, alla immediatezza piuttosto che alla verifica dei contenuti. I social media vogliono apparire neutri, grandi piattaforme “democratiche” a cui tutti possono accedere, ma in realtà sono portatori essi stessi di una determinata ideologia,  quella della razza padrona. E’ ormai un dato di fatto cosa sta avvenendo attorno a Facebook, già responsabile dello scandalo delle fake news durante la campagna elettorale Trump-Clinton e dichiarata responsabile, secondo le Nazioni Unite, Reuters e New York Times, del genocidio dei Rohingya, in Myanmar. E’ una vera e propria nuova guerra, anzi, una no linear war, come l’aveva definita Vladislav Surkov, uno dei più stretti collaboratori di Putin, fatta manovrando i media tradizionali e i social network: un’azione mirata anche attraverso le fake news, tesa alla scomposizione dei conflitti. Si sfocano volutamente i punti di riferimento e una certa narrazione di fronte alle opinioni pubbliche, ai media e ai decisori politici. Tutto si gioca su un incessante lavoro di reputazione e immagine degli altri. Cuba (ma anche altri paesi non allineati) è inserita in questa no linear war da parecchio tempo, cambiano i mezzi, ma la tecnica è sempre la stessa. E’ insomma una guerra comoda: si risparmia sul costo degli armamenti e sulle vittime militari e non si rischia la condanna della opinione pubblica internazionale.Quello che sta succedendo a Cuba, inoltre, si deve vedere in un’ottica più globale: dalle elezioni in Ecuador turbate dalle fake news intorno al candidato correista, alle irregolarità per decretare la vittoria di Luis Arce in Bolivia; stessa situazione in Perù con Pedro Castillo, la demonizzazione continuata di Nicolas Maduro, presidente venezuelano, i tentativi di impedire la candidatura di Lula in Brasile, sono il frutto marcio di una politica che gli Stati Uniti hanno sempre avuto per il loro “cortile di casa”.

Il 23 giugno scorso, l’Onu approva, quasi all’unanimità, la risoluzione per la fine dell’embargo a Cuba, che ha provocato da varie decadi, sofferenze e danni incalcolabili. Unici due astenuti: Stati Uniti e Israele. Obama, nel 2016, aveva scelto l’astensione, ma con Trump prima e ora con Biden, si è ritornati al voto contrario.

Oggi stiamo assistendo a un Golia che, non contento della sua violenza usata contro chi non può e non vuole rispondere alle provocazioni, blocca le braccia a Davide per colpirlo meglio e di più.

E’ una situazione inaccettabile e pericolosa: oggi tocca a Cuba, domani potrebbe toccare, per interessi di ogni tipo, a qualunque Paese si discosti dal pensiero corale.

E’ una situazione inaccettabile per un Paese come Cuba, che è portatore di un sistema unico nel panorama politico mondiale, a cui ha aderito il suo popolo.

E’ una situazione così inaccettabile che mi è impossibile voltare la faccia da un’altra parte, come uomo e come giornalista.

Vorrei infine, segnalarvi l’operato dell’Associazione Amicizia Italia Cuba, che da decenni aiuta questa piccola Isola. In questi giorni si sta prodigando alla raccolta fondi per comprare 10milioni di siringhe per la vaccinazione del popolo cubano. Servono 800mila euro da destinarsi al Ministero della Salute Pubblica di Cuba [4].

Dobbiamo aiutarli, per aiutarci a restare umani.

[1] https://www.agenziainterscambiocuba.org/contesto-politico-embargo-ieri-e-oggi/

[2]https://www.ilsole24ore.com/art/cuba-stop-disgelo-usa-trump-tornano-all-embargo-ABhqWitB?refresh_ce=1

[3] http://www.cubadebate.cu/especiales/2020/12/10/la-verdad-siempre-es-revolucionaria-arte-libertad-de-expresion-y-dialogo-dentro-del-socialismo/?fbclid=IwAR3D91qYMTqruMqnBC3yuW9ieXS9ZJoYnmeM-DSa1mNmktFWXtcIM6m2y1Y

[4] https://www.facebook.com/associazione.italiacuba/photos/a.404439848798/10159601446153799

sabato 17 luglio 2021

IL DISASTRO DELLE ALLUVIONI IN GERMANIA

La catastrofe che sta colpendo molte nazioni europee ed in particolar modo la Germania ed il Belgio anche se ci sono parecchi problemi pure in Olanda,Lussemburgo e Svizzera,è frutto sia di piogge eccezionali per la quantità in poco tempo che per un territorio già compromesso dalle opere dell'uomo.
Le zone tedesche più colpite della Renania,quella meridionale del Palatinato a prevalenza agricola e quella settentrionale della Vestfalia bucata dalle miniere di carbone,hanno visto nel corso degli anni sfruttamenti e devastazioni territoriali che hanno contribuito in maniera decisiva alle migliaia di persone sfollate e alle decine di vittime,oltre che a case,ponti,strade e linee ferroviarie distrutte.
Di un migliaio di dispersi non si sa ancora nulla nella speranza che il mancato contatto telefonico sia dovuto all'interruzione delle linee per un blackout di vaste proporzioni,anche se interi villaggi più isolati sono stati quasi cancellati dalla forza delle acque,del fango e dei detriti portati da essi.
L'articolo(www.agi.it/germania-morti-dispersi-alluvioni-frane )parla della cronaca delle ultime ore e dei continui smottamenti e frane che continuano ad essere un pericolo per le strutture e le persone,con dighe al collasso e migliaia di evacuati,in un disastro che come detto l'uomo ha molte responsabilità(vedi:madn ghiaccio-bollente ).

In Germania si aggrava il bilancio delle alluvioni: le vittime sono almeno 133.

Di molte persone non si hanno notizie soprattutto a causa del guasto delle linee telefoniche. Interi villaggi travolti e distrutti nell'Ovest. Almeno 27 morti in Belgio. In Olanda si teme l'esondazione della Mosa.

AGI - È salito a 133 morti il bilancio delle devastanti alluvioni che hanno colpito la Germania: l'ultimo bilancio della polizia locale parla di 90 vittime in Renania-Palatinato e 43 in Nord Reno-Vestfalia, Non è ancora chiaro il numero dei dispersi. L'ultima stima fornita dal ministero dell'Interno di Berlino riferisce di 1.300 persone di cui è impossibile stabilire la sorte poiché le linee telefoniche sono saltate in molte delle zone interessate. In tutto il Paese 165 mila persone sono rimaste senza energia elettrica e 600 chilometri di linee ferroviarie sono stati danneggiati dalle piogge torrenziali. 

Colpito anche il Belgio dove si contano 27 morti e un'altra ventina di dispersi.

Di ritorno dalla sua visita ufficiale a Washington, la cancelliera Angela Merkel ha partecipato in videoconferenza a una riunione dell'unita' di crisi della Renania-Palatinato, ha assicurato alla popolazione "il sostegno del governo a breve termine e a lungo termine". Una visita di Merkel nell'area del disastro è prevista "entro breve".

Centinaia di militari mobilitati

Se molte persone sarebbero irreperibili solo perché isolate dal blackout, ci sono timori molto concreti per la sorte di alcune decine di residenti del cantone di Bad Neuenahr-Ahrweiler, nella Renania-Palatinato, gravemente colpito. Il villaggio renano di Schuld, con una popolazione di 700 abitanti, è stato quasi del tutto distrutto. Le ricerche dei dispersi sono ricominciate in mattinata. Gli elicotteri dell'esercito, che ha mobilitato oltre 800 effettivi, stanno recuperando le persone che hanno cercato riparo sui tetti. A Sinzig l'acqua ha invaso il pianoterra di un centro per disabili, uccidendo 12 pazienti.

Nel Nord Reno-Vestfalia la località di Erftsadt-Blessem, a circa 40 chilometri da Colonia, è stata travolta da una frana. "Le case sono state in gran parte spazzate via e alcune sono crollate. Diverse persone mancano all'appello", riferiscono le autorità locali, che non sono riuscite a fornire informazioni più precise a causa delle difficoltà di comunicazione con l'area interessata.

Dalle abitazioni superstiti continuano a giungere chiamate d'emergenza, in quanto i residenti non hanno lasciato i loro appartamenti o vi sono tornati nonostante l'alluvione. Al momento l'evacuazione del centro abitato sarebbe possibile solo per via nautica e i soccorritori non sono in grado di raggiungere tutte le persone in situazioni di emergenza. A complicare i soccorsi ha contribuito la rottura di un gasdotto.

Allarme per le dighe.

Nei pressi del confine con il Belgio, continua a suscitare preoccupazione la diga di Rurtalsperre, che rischia di cedere. I villaggi circostanti sono stati evacuati. Le fortissime precipitazioni hanno aperto una breccia larga un metro in una diga nel Canale Juliana, nel comune olandese di Meerssen, al confine con il Belgio.

L'elevato livello raggiunto dalle acque della Mosa minaccia inoltre una diga nella città belga di Maaseik, nella provincia di Limburg, dove sei comuni sono stati evacuati.  In Vallonia 21 mila persone sono senza elettricità. Nella città di Verviers è stato imposto il coprifuoco per evitare saccheggi. I residenti di Liegi sono stati esortati a lasciare le case o, se impossibilitati, trasferirsi al piano superiore.

Migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni anche nel Sud dei Paesi Bassi. Il premier olandese, Mark Rutte, ha convocato una riunione d'emergenza del governo per poi recarsi nelle aree colpite. Inondazioni, con conseguenze meno gravi, anche in Lussemburgo e Svizzera, dove il centro storico di Lucerna è stato allagato.

venerdì 16 luglio 2021

A CHE NUOVA ONDATA SIAMO?

La certezza al cento per cento raramente esiste,ma era di estrema facilità ipotizzare quello che sta accadendo in Italia,anticipato da altri paesi europei,che l'ennesima variante del Covid-19 avrebbe fato rialzare i casi di positività tra le persone.
Ora è la variante Delta(ex indiana)che è arrivata dopo la brasiliana e l'inglese,tutte più contagiose e rappresentate come una più pericolosa dell'altra in termini di trasmissibilità,mentre i ricoveri ed i decessi sono molto meno rispetto agli inizi della pandemia(ovviamente aspettando la prossima variante).
E mentre in Europa c'è chi agisce al contrario rispetto ad altri come nel caso di Macron e Johnson dove uno anche giustamente per certi casi propone l'avere il green pass come un certificato valido per poter accedere in determinati luoghi,l'altro riapre tutto.
In Italia si discute se elevare il green pass ad arbitro della libertà personale,e mi trova d'accordo su chi sostiene che,in mancanza ancora dell'immunità di gregge,sia uno strumento per poter essere ancor più liberi.
Sennò chi ha fatto il vaccino deve aspettare questa immunità e chi non vuole farlo,per motivi che vanno dal no vax o chi non vuole perdere tempo,non può pretendere di fare,vedere e viaggiare come uno che il vaccino se l'è fatto inoculare.
L'articolo di Contropiano(panico-pandemico-di-ritorno-caos )parla del fare(e di solito male)italiano,col governo Draghi che non più di un mese fa aveva detto che con le riaperture non si tornava più indietro(anche se realmente stadi e discoteche sono al momento off limits),con altre restrizioni su chi vuole viaggiare in Italia o all'estero e su possibili cambi di scenario sulle colorazioni delle regioni e la possibilità di altre vaccinazioni a distanza di un anno circa.

Panico pandemico di ritorno, caos nell’establishment occidentale.

di  Francesco Piccioni   

Abbiamo perso il conto delle “ondate” di contagio da Covid-19, ma la cosa – come sapete – non ci sorprende.

Partiamo, com’è giusto, dalle notizie. Il numero dei contagi è in risalita ovunque, qui in Europa e non solo qui. E, nonostante le vaccinazioni che procedono a ritmo sostenuto (sempre appesi ai soli quattro vaccini occidentali approvati dall’Ema), anche il numero dei ricoverati. Per quello dei morti, come sempre, bisognerà aspettare qualche settimana in più.

Persino l’aperturista Emanuel Macron è costretto a decidere che si potrà muovere liberamente – su mezzi e per spazi pubblici – soltanto chi può esibire il “Green Pass”, ossia la certificazione elettronica di esser stato vaccinato con due dosi (una sola nel caso di Johnson&Johnson).

In Gran Bretagna, il suo collega Boris prende la decisione opposta – tutto aperto, come se non ci fosse alcun problema – nonostante il numero quotidiano dei contagi veleggi da giorni sopra i 30.000.

L’Italia è come sempre il paese delle strategia fai-da-te, dove ogni pirla si improvvisa epidemiologo e detta la propria ricetta, ben sapendo che tanto non serve a niente. Il più ridicolo è ancora una volta il cosiddetto presidente della Regione Lombardia – il territorio con la più alta percentuale di morti rispetto alla popolazione, sull’intero pianeta, pare – per dirsi prima d’accordo con Macron e poi contrario. Nel frattempo Salvini aveva dettato la linea e quindi il Fontana si adegua…

Il “governo dei migliori” rinvia ogni decisione, non sapendo che pesci prendere. L’onnisapiente Draghi aveva detto che le riaperture sarebbe state “definitive” soltanto qualche settimana fa, e cambiare così rapidamente impostazione fa perdere punti e credibilità. Ed è anche l’unico cui venga riconosciuta, dentro e fuori il paese…

I dati oggettivi sono però impietosi, se si tengono presenti gli “assi” fondamentali della strategia messa in campo fin qui.

L’aumento dei contagiati e il diffondersi della “variante delta” ha tolto molte sicurezze. I vaccini dovevano essere la soluzione definitiva, ma se non riesci a vaccinare quasi tutta la popolazione non puoi raggiungere il risultato dell’”immunità di gregge”.

I governi occidentali – tutti – hanno cercato una via di mezzo tra il “consigliare” la vaccinazione, incentivarla con “ricchi premi e cotillon” e il lasciare libertà di scelta si singoli cittadini.

La “comunicazione” sui vaccini è stata delirante, spesso per colpa delle stesse multinazionali che li producono, tra errori goffi (AstraZeneca) e sospetti di concorrenza sleale. Ma soprattutto per i continui cambiamenti di messaggio relativamente a fasce di età, professioni da privilegiare, efficacia e durata della copertura.

Proprio quest’ultimo fattore è quello che dovrebbe preoccupare tutti, specie chi governa. Qualsiasi sia il vaccino e la sua efficacia, infatti, non si va al di là di un anno. Il che significa prepararsi a “ondate” di vaccinazione di massa molto più grandi dimensionalmente e soprattutto ricorrenti (da 8 a 12 mesi, a seconda del prodotto).

Ma di questo, per ora, non c’è traccia. Ci si muove come se i vaccinati o gli ex contagiati sopravvissuti fossero immunizzati per sempre. Mentre sono tutti “a scadenza”, a cominciare dagli ex contagiati di oltre un anno fa…

Davanti a questa situazione abbastanza fuori controllo, e a un virus che cambia, la mossa stile-Macron ha una sua logica, benché tardiva: invece di bloccare le attività, permettere la libera circolazione totale soltanto agli immunizzati certificati.

Dal punto di vista della sicurezza, è una misura tampone che sconta le folli decisioni precedenti (lasciare aperte le attività produttive e la circolazione dei mezzi pubblici, chiudendo solo le attività commerciali e a volte le scuole; ma senza mai avviare una strategia di tracciamento e isolamento dei cluster pericolosi).

Ma ha anche conseguenze sull’ideologia di massa creata dal neoliberismo negli ultimi 30 anni, caratterizzata da un’idea assolutamente individualista e irresponsabile di “libertà”, secondo cui ogni limitazione è sostanzialmente immotivata e “autoritaria”. Un punto di vista da impresa multinazionale, ma fatto proprio da tutti (anche dalla “sinistra” sedicente “alternativa”).

Una pandemia, invece, così come una guerra, costringe chi governa in qualsiasi regime politico-economico – a pensare un paese come “un insieme” in cui si può ottenere il risultato necessario (eliminare il virus, in questo caso) sono se tutti concorrono ad ottenerlo comportandosi come serve, non come si preferisce.

Sul piano culturale, in effetti, è uno shock di massa, che potrebbe avere anche conseguenze sul “consenso politico” a favore dei vari establishment.

Possiamo vederlo tra le nostre conoscenze o nelle mini-interviste televisive “tra la gente”, con coglioni sussiegosi – spesso esplicitamente di destra, come i filo-Salvini e Meloni – che spiegano di essere contrari a qualsiasi regolazione o obbligo vaccinale perché “incostituzionale”, in quanto “viola i diritti individuali”.

Gente che bisognerebbe probabilmente riportare alle condizioni dell’Ottocento – quando non c’erano i vaccini – e all’arrivo di una nave in qualsiasi porto, se c’era un’epidemia a bordo, di qualsiasi tipo, scattava la quarantena di 40 giorni e chi provava a buttarsi in mare veniva fucilato in acqua…

Perché, banalmente, la “libertà individuale” non può andare contro la vita di tutti.

L’Occidente neoliberista, insomma, se vuole uscire da questa emergenza pandemica deve mettere in discussione – davanti a ognuno dei cittadini – i princìpi che ha propagandato per alcuni decenni. E deve farlo in una condizione di insuccesso, davanti al fallimento delle strategie fin qui messe in atto. 

Deve mettere l’interesse collettivo davanti a quello individuale.

Eresia, certamente. Ma se non lo fa non trova la soluzione e si trascina di crisi in crisi, di “ondata” in ondata. Se lo fa, ammette che ha raccontato cazzate per decenni, solo per favorire le imprese e la speculazione finanziaria. Da lontano i cinesi ridono, e ne hanno tutte le ragioni.

E stiamo parlando “soltanto” di una pandemia, ossia di un evento eccezionale ma non frequente; di un fattore insomma relativamente “esterno” ai meccanismi sistemici. 

Pensate voi se questo establishment può affrontare con qualche prospettiva di successo un problema che dipende proprio dal “modo di produzione capitalistico”, come il cambiamento climatico e la devastazione ambientale…

giovedì 15 luglio 2021

D(E)AD

Ieri ci sono stati fatti vedere dei risultati allarmanti riguardo le capacità di apprendimento degli studenti italiani dove si è evidenziato che quasi uno studente su due alle scuole superiori ha terminato quest'anno impreparato,mentre per le medie(secondarie di primo grado)il dato è leggermente inferiore ma pur sempre drammatico.
Perché ovviamente ciò che s'impara in questi anni è basilare non tanto per la formazione lavorativa(da non fraintendere,serve eccome anche se l'Italia è il paese dei raccomandati)ma tanto per la vita stessa,l'essere capaci di scrivere correttamente almeno in italiano,essere capaci di fare dei calcoli matematici,essere pronti a sostenere un discorso e comprendere ciò che si legge o ci viene detto(vedi:madn siamo-primi-nellanalfabetismo-funzionale ).
La didattica a distanza(dad)è la principale colpevole di questo mancamento in una nazione che rispetto alle altre europee già da anni non emerge come qualità degli studenti,ma purtroppo la fase emergenziale della pandemia ha amplificato queste carenze che gli studenti non per colpa loro hanno subito(vedi:madn scuolalincertezza-e-lunica-certezza ).
L'importanza dell'insegnamento in classe in presenza è fondamentale,ed oltre ai risultati deleteri sull'educazione scolastica c'è il dato forse anche peggiore del malessere emotivo nei bambini e nei ragazzi che sfocia anche in molti casi in depressione.
Tutti questi ragazzi saranno il nostro futuro sia nel lavoro che nella politica,e vedo molto male un pezzo di generazione davanti alle urne:infatti è noto che l'ignoranza tende a fare votare le persone verso le destre,e con l'abbassamento dell'età ai diciotto anni per potere votare i rappresentanti al Senato e le richieste di poter fare votare addirittura i sedicenni ho le mie angosce che credo siano quelle di milioni di italiani.
Nell'articolo(rainews scuola )ecco ciò che è emerso dall'analisi dei dati Invalsi che hanno fatto spaventare a ragione gli addetti alla scuola e non solo:questi sconfortanti numeri sono il risultato di una scuola e soprattutto di una politica della scuola che da anni ha dimostrato sempre più criticità su vari fronti,dovuti soprattutto agli investimenti peggio che scarsi che va di pari passo ad un'attenzione di riguardo all'istruzione privata(vedi:madn azienda-scuola ).

Tiene la primaria.

Invalsi: danni gravi dalla dad, 1 su 2 termina scuole impreparato.

Alle medie il 39% degli studenti non ha raggiunto risultati adeguati in italiano, il dato sale al 45% in matematica. Alle superiori il dato sale rispettivamente al 44% e al 51% con un + 9% 

Il calo è generalizzato in tutto il Paese e solo la Provincia autonoma di Trento rimane sopra alla media delle rilevazioni del 2018 e del 2019. La quota di studenti sotto il livello minimo cresce di più tra gli studenti socialmente svantaggiati e presumibilmente anche tra quelli immigrati. Sono il 9,5%, ovvero oltre 40mila i giovani di 18-19 anni che escono da scuole senza competenze, impreparati: "Sono la metà della città di Ferrara - ha fatto notare Roberto Ricci, responsabile nazionale delle prove Invalsi - un terzo di Modena. La bocciatura non cambia le cose, è più funzionale all'organizzazione della scuola che alle competenze. I dati dicono che anche gli studenti che hanno avuto una bocciatura, continuano ad avere esiti sensibilmente più bassi di chi non è stato bocciato, dunque la bocciatura non è la soluzione. La sfida credo sia cercare risposte alternative, che sono già tutte nell'ordinamento vigente, non necessitano di particolari risorse le indicazioni nazionali". 

"Il tempo che è trascorso - ha concluso il ricercatore - non lo recuperiamo con la bacchetta magica, ma usare questi dati può aiutare a prendere decisioni da calare nella realtà". La Puglia, ha fatto notare, che per diversi anni è stata citata come esempio in controtendenza incoraggiante, rispetto al resto del sud, si è giocata con la pandemia quel guadagno che aveva accumulato: "Questo ci deve dire quanto il miglioramento va coltivato con garbo e affetto". 

I dati Invalsi 

La pandemia e la dad hanno fatto danni enormi sull'apprendimento dei ragazzi, soprattutto alle superiori. Il quadro emerge dal Rapporto Invalsi. Alle medie il 39% degli studenti non ha raggiunto risultati adeguati in italiano, il dato sale al 45% in matematica. Alle superiori il dato sale rispettivamente al 44% e al 51% con un + 9%. In molte regioni del Sud oltre la metà degli studenti non raggiunge la soglia minima di competenze in Italiano: Campania e Calabria 64%, Puglia 59%, Sicilia 57%, Sardegna 53%, Abruzzo 50%. In Campania il 73% degli studenti è sotto il livello minimo di competenza in matematica, in Sicilia 70%, 69% Puglia. Elementari tengono nonostante pandemia e dad Il confronto degli esiti della scuola elementare del 2019 e del 2021 restituisce un quadro sostanzialmente stabile. La scuola primaria è riuscita quindi ad affrontare le difficoltà della pandemia garantendo risultati pressoché uguali a quelli riscontrati nel 2019 si legge ancora nel Rapporto Invalsi. 

I risultati della scuola primaria sono molto simili in tutte le regioni del Paese e difficilmente le differenze sono significative in senso statistico. Tuttavia - fanno notare i ricercatori - emergono già alcune indicazioni che possono lasciare intravedere aspetti problematici che nel ciclo secondario contribuiscono a determinare risultati molto diversi sul territorio nazionale e tra le scuole. I risultati medi di Italiano al termine della II elementare e della V elementare sono molto simili all'interno di ciascun grado scolastico in tutto il Paese e si riscontra un leggero incremento degli allievi che si trovano nei livelli più alti di risultato (livelli 4-5-6). Per Matematica, invece, si osserva un leggero calo del risultato medio complessivo rispetto al 2019 e una piccola riduzione del numero degli allievi che raggiungono risultati buoni o molto buoni (livelli 4-5-6). Buoni i risultati d'Inglese degli allievi della scuola primaria: il 92% degli allievi della V elementare raggiunge il prescritto livello A1 del QCER nella prova di lettura (reading) e l'82% di allievi il prescritto livello A1 del QCER nella prova di ascolto (listening). 

Al Nord e al Centro gli allievi che raggiungono il livello A1 di reading sono circa il 90%, mentre al Sud circa l'85%. Per il listening, invece, gli allievi che si collocano al livello A1 sono circa l'87% al Nord e al Centro, mentre circa il 77% al Sud. Già a partire dal ciclo primario, in Italiano, in Inglese e ancora di più in Matematica si riscontra una differenza dei risultati tra scuole e tra classi nelle regioni meridionali. Ciò significa che la scuola primaria nel Mezzogiorno fatica maggiormente a garantire uguali opportunità a tutti, con evidenti effetti negativi sui gradi scolastici successivi. 

Le prove INVALSI 2021 hanno coinvolto oltre 1.100.000 allievi della scuola primaria (classe II e classe V), circa 530.000 studenti della scuola secondaria di primo grado (classe III) e circa 475.000 studenti dell'ultima classe della scuola secondaria di secondo grado, ovvero oltre il 98% nella scuola primaria, il 93% nella scuola secondaria di primo grado e l'82% nella scuola secondaria di secondo grado. 

Dal 7% al 9,5% dispersione implicita

 La pandemia potrebbe avere aggravato il problema della dispersione scolastica: altro dato che emerge dal Rapporto Invalsi. Per dispersione scolastica implicita o nascosta si intende quella degli studenti che, pur non essendo dispersi in senso formale, escono però dalla scuola senza le competenze fondamentali, quindi a forte rischio di avere prospettive di inserimento nella società non molto diverse da quelle degli studenti che non hanno terminato la scuola secondaria di secondo grado.

 Nel 2019 la dispersione scolastica implicita si attestava al 7%, vale a dire che il 7% degli studenti delle scuole italiane nel 2019 ha conseguito il diploma di scuola superiore ma con competenze di base equivalenti al massimo a quelle del primo biennio della scuola secondaria di secondo grado, quando non addirittura alla fine del primo ciclo d'istruzione. Purtroppo la pandemia ha aggravato questo fenomeno e la percentuale della dispersione scolastica implicita ha raggiunto il 9,5% e in alcune ragioni del Mezzogiorno ha superato ampiamente valori a due cifre (Calabria 22,4%, Campania 20,1%, Sicilia 16,5%, Puglia 16,2%, Sardegna 15,2%, Basilicata 10,8%, Abruzzo 10,2%), fenomeno particolarmente preoccupante poiché nelle stesse regioni anche il numero di dispersi espliciti (coloro che hanno abbandonato la scuola prima del diploma) è considerevolmente più alto della media nazionale.

 "Dell'incremento della povertà educativa, non solo la scuola deve farsi carico - ha messo in guardia la presidente dell'Invalsi Annamaria Ajello - la scuola, da sola, rischia di non farcela. Molti possono essere promossi ma poi non hanno acquisizioni salde: il problema è drammatico, bisogna puntare a competenze salde, non accontentarsi dell'infarinatura o di essere riusciti a non perdere l'anno. Tutto questo deve indurre a una riflessione attenta: la popolazione deve crescere sul piano culturale, le competenze base non possono bastare. La scuola deve insegnare il gusto di imparare, deve nutrire le conoscenze di chi è in crescita e va evitato il danno di motivazione. Altrimenti, abbandonando gli studenti fragili, questi sono destinati a divenire cittadini di serie b".

venerdì 9 luglio 2021

HAITI ANCORA NEL CAOS

Il caos regna sovrano ad Haiti,ma questo status di incertezza politica che da vita a quella più profondamente grave ed emergenziale che è quella economica e sociale,è da decenni che fa parte della storia dello Stato caraibico che con la Repubblica Dominicana divide l'isola di Hispaniola.
L'assassinio del Presidente Jovenel Moïse avvenuto a casa sua e frutto di un vero e proprio assalto in stile militare è sulle prime pagine di tutti i giornali,e la situazione già compromessa di Haiti sembra peggiorare senza fine con la proclamazione dello stato d'assedio per due settimane.
L'isola,la cui storia è un intreccio tra colonialismo,occupazioni e corruzione politica di alto livello infarcita da dittature,ha subito negli ultimi anni anche un devastante terremoto e il passaggio di un uragano altrettanto mortale(vedi:madn luragano-matthew )che hanno reso il paese tra i più poveri di tutto il mondo e facile preda di altre nazioni che come avvoltoi sentono una possibile vittima a distanza.
Nel corso degli anni la Francia,gli Usa e anche il Canada che potrebbe rappresentare un mix tra i due Stati precedenti,hanno banchettato spesso e volentieri a Port au Prince e sono pochi gli interventi umanitari che realmente hanno saputo lenire le sofferenze degli haitiani e aiutarli nell'economia senza sfruttarli.
L'articolo di Contropiano(non-deve-essere-il-pretesto-per-un-nuovo-intervento )parla della situazione di Haiti e ne traccia una breve storia dalla fine del colonialismo ai giorni nostri,con nomi conosciuti come Duvalier o Aristide che sia con la forza che con il voto sono stati alla guida del paese senza riuscire mai a sollevarne le sorti e costretti chi più o meno in maniera diretta e consapevole a subire le ingerenze di altre nazioni.

Haiti. L’omicidio di Jovenel Moïse non deve essere il pretesto per un nuovo intervento.

di  Alba Movimientos   

Il popolo haitiano vive un momento di incertezza ma non piange. Il presidente di fatto, Jovenel Moïse, è stato assassinato nella sua casa di Port-au-Prince e non sono ancora chiari i moventi di coloro che hanno commesso questo crimine.

Dai popoli della Nostra America non gridiamo ai carnefici dei popoli, ma mettiamo in guardia sui possibili scenari che si possono scatenare con questo assassinio a beneficio degli interessi imperialisti, che vivono della creazione del caos come principale strategia di dominio.

Il ricordo della resistenza haitiana ci riporta alla storia del 1915, dove dopo l’assassinio del presidente Vilbrun Guillaume Sam, l’esercito statunitense invase Haiti. Ripeteranno la loro strategia?

L’omicidio di Moïse è uno di quei casi in cui la violenza si rivolta contro il suo generatore originario. Haiti sta vivendo da mesi una spirale di violenza che cerca di fermare e reprimere le rivolte popolari che si sono mantenute permanentemente negli ultimi 4 anni.

Secondo enti statali e organizzazioni nazionali e internazionali per i diritti umani, ci sono stati 12 massacri, 234 rapimenti (fonte ONU), 10.000 sfollati e sono stati identificati più di 76 gruppi armati. A queste cifre si sono aggiunti 15 nuovi omicidi a fine giugno. È importante ricordare che pochi mesi fa, il 7 febbraio di quest’anno, si è consumato ad Haiti un autogolpe compiuto dallo stesso Moïse, dopo la scadenza del mandato quinquennale di governo previsto dalla Costituzione del Paese.

Moïse ha coronato così una lunga deriva autoritaria che lo ha messo di fronte alla mobilitazione permanente delle classi popolari, dell’opposizione politica e dell’insieme dei poteri e delle istituzioni dello Stato. Ecco perché mesi fa il popolo haitiano ha chiesto le dimissioni di Moïse, cercando una soluzione democratica e senza intervento straniero.

Richiamiamo l’attenzione su questo perché la spirale ascensionale della violenza è sempre indicata dallo sguardo colonialista come tipico della società haitiana.

Pur lasciando da parte che la “violenza” è organizzata, ha una direzionalità e appare legata soprattutto alle bande armate, che sono cresciute in dispiegamento e capacità operativa grazie al suo legame con le potenze internazionali e in accordo con lo stesso Stato haitiano, colonizzato da settori lacchè dell’imperialismo in tutte le sue forme.

In un momento in cui molti discorsi, senza ancorarsi ai bisogni e ai sentimenti del popolo haitiano, vengono all’attenzione internazionale, è importante chiarire e ripercorrere il colonialismo che è filtrato da destra e sinistra: la crisi ad Haiti non è né astratta, né metafisica, né eterna.

Ha date, cause e responsabilità precise. In primo luogo, la lunga storia di occupazioni, ingerenze e colpi di Stato con l’appoggio internazionale, che fecero del Paese una nuova colonia francese pochi anni dopo la Rivoluzione del 1804, e poi una nuova colonia nordamericana dopo la occupazione dei marines yankee tra il 1915 e il 1934.

In termini generali, i grandi attori di questa politica di ricolonizzazione e tutela sono stati la triade formata da Stati Uniti, Francia – che non ha mai veramente lasciato l’isola – e Canada. Quest’ultimo è forse il paese che pratica la politica più imperialista, invisibile e subdola nel nostro continente, sempre a sostegno delle sue corporation minerarie.

Negli ultimi 50 anni, anche organizzazioni multilaterali, come l’Organizzazione degli Stati americani (OAS), le Nazioni Unite, e gruppi di interesse come il Core Group – composto da paesi che si definiscono “amici di Haiti”, hanno svolto un ruolo di primo piano e mediazione, inclusa la maggioranza europea, con interessi minerari, migratori, finanziari o geopolitici nel Paese.

L’ascesa del cosiddetto “interventismo umanitario” nel dopo Guerra Fredda, o di ideologie simili come la “responsabilità di proteggere” o il “principio di non indifferenza”, si sono riflessi nel laboratorio haitiano nelle innumerevoli  missioni di polizia e militari, con soldati sbarcati sulla costa occidentale dell’isola, dalla missione “pioniera” MICIVIH nel 1993, alla famigerata MINUSTAH nel periodo 2004-2017.

I lodevoli obiettivi dichiarati da queste missioni e agenzie sono stati la pace, la stabilità, il governo, la giustizia, la ricostruzione e lo sviluppo. Tuttavia, Haiti, impossibilitata a portare avanti una politica sostanzialmente sovrana, è regredita negli ultimi quasi 30 anni in tutte le aree e indicatori economico-sociali.

La dimensione politica della crisi haitiana è incomprensibile senza un’interferenza straniera permanente nel suo sistema politico ed economico. Ogni volta che negli ultimi decenni il popolo haitiano ha avuto la possibilità di esercitare liberamente la propria volontà, la partecipazione elettorale è stata enorme: nelle elezioni del 1990, Aristide ha ottenuto una clamorosa vittoria con il 67,39% dei voti.

Anche dopo il colpo di stato che lo ha rimosso dal potere – con la partecipazione diretta degli Stati Uniti – in una nuova elezione tenutasi nel 2000, il popolo haitiano ha mostrato ancora una volta il suo impegno democratico ed ha eletto di nuovo Aristide con uno schiacciante 91,7% dei voti validi.

Nel 2004 Aristide fu nuovamente rovesciato, questa volta dall’azione di una Forza Multinazionale Provvisoria composta da truppe provenienti da Stati Uniti, Francia e Canada.

Jovenel Moïse si lascia alle spalle una lunga deriva autoritaria che ha eroso le diverse istituzioni del paese. Il Parlamento è stato chiuso a gennaio e durante quel periodo è stato governato da decreti. Anche la repressione della protesta sociale e la proliferazione della violenza organizzata attraverso bande armate è stata una costante nella sua amministrazione, uno dei casi più recenti è l’esecuzione per le strade del giornalista Diego Charles e della collega femminista Antoinette Duclaire. Ecco perché non merita il nostro rispetto.

Tuttavia, seguiamo con attenzione e preoccupazione le conseguenze di questa morte violenta e sospettiamo che gli interessi dietro di essa non siano di buon auspicio per il popolo di Haiti.

Continuiamo dalla parte del popolo haitiano e delle sue organizzazioni popolari. Continuiamo a denunciare l’interferenza internazionale e l’imperialismo USA. Chiediamo ai governi e ai popoli della Nostra America di non permettere un nuovo intervento militare straniero nel Paese, come quello che Biden e Duque suggeriscono cinicamente con i loro eufemismi di “aiuto” e “protezione della democrazia”.

L’instabilità e la violenza ad Haiti hanno origine dalla costante imposizione di governanti e modelli economici che fanno morire di fame e uccidono solo la maggioranza. Non giustificheremo nessun tipo di colonialismo o intervento. Per un’Haiti libera e sovrana. Mai più Dittatura.