mercoledì 31 luglio 2013

RIDATECI INDIETRO I SOLDI

Un breve articolo preso dal mensile italiano più famoso in ambito di automobili,Quattroruote,è un piccolo viatico a una situazione che andrebbe trattata molto più profondamente ma i cui punti essenziali si possono qui elencare.
Marchionne,l'amministratore delegato della Fiat,perpetua l'ennesimo ricatto nato anni orsono(vedi.http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/11/il-ricatto-della-fiat.html )in un altra salsa,e dopo essersela presa con i sindacati ora è il momento di tormentare il Governo che nel corso di decenni ha foraggiato con soldi pubblici l'azienda torinese.
Secondo il boss della Fiat quest'ultimo è reo di compiere scelte che vanno contro i suoi interessi e quelli aziendali,contro di lui che percepisce in un anno quanto migliaia di dipendenti dell'azienda,una sproporzione e una vergogna sociale di cui non si parla mai abbastanza.
La minaccia,che poi è un fatto assodato e già attivo da decenni,di dirottare il lavoro all'estero è solo l'ultimo pretesto che da anni prima gli Agnelli,poi Montezemolo ed infine Marchionne propinano ai propri dipendenti e a tutti gli italiani per farsi i comodi loro:se davvero vuoi andare all'estero restituite tutti i soldi di cui avete beneficiato a tutti gli operai e a tutti gli abitanti italiani che hanno pagato i vostri vizi ed i vostri lussi,bastardi!

Gruppo Fiat
Marchionne: "Difficile investire in Italia".             
Si riaccende la polemica sulla produzione del Gruppo Fiat in Italia. Nel corso di una Conference Call in occasione della diffusione dei dati del semestrale del gruppo, Sergio Marchionne è infatti tornato a criticare le scelte del governo nazionale, definendo impossibili le condizioni industriali, all'indomani della decisione della Corte Costituzionale in merito alla rappresentanza sindacale e al caso Fiom.
Fuori dall'Italia. Difficile, secondo l'amministratore delegato, investire in Italia, soprattutto pensando alla produzione Alfa Romeo e alle alternative già pronte all'estero. Queste dichiarazioni hanno subito scatenato la reazione del Ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, che è invece alla ricerca di un accordo per la crescita del livello occupazionale e spera in un accordo tra la Casa del Lingotto e i sindacati, senza l'intervento del governo.
Redazione online
 

lunedì 29 luglio 2013

REPRESSIONE SEMPRE PIU' DURA

La notizia delle decine di perquisizioni domiciliari a molti attivisti del movimento No Tav ha destato nel movimento stesso forte preoccupazione e un ulteriore senso di accanimento anche perché la motivazione del fine terroristico avrà strascichi ben più gravi di quello che si possa pensare.
L'articolo preso da Infoaut parla delle richieste e delle motivazioni dei pubblici ministeri torinesi Padalino e Rinaudo che hanno giustificato queste intrusioni in merito agli scontri dello scorso 10 luglio nei pressi del cantiere dei lavori della linea ferroviaria(vedi anche:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2013/07/dalla-parte-sbagliata-della-barricata.html ).
Mentre le persone che fanno parte della scena No Tav attivamente e direttamente si stanno già unendo sempre più per far fronte a questa ennesima repressione,anche tutti gli altri movimenti antagonisti con la loro solidarietà certamente non faranno mancare il loro apporto in questa legittima protesta.

Retata contro i No Tav: "Sono terroristi".
Attentato per finalità terroristiche ed eversione. E' l’assurda accusa mossa dai pm torinesi a numerosi attivisti No Tav dopo l’assedio al fortino di Maddalena di Chiomonte dello scorso 10 luglio sfociato in una imboscata delle forze di sicurezza e saldatosi con numerosi arresti e denunce.
La procura di Torino questa mattina ha disposto numerose perquisizioni della Digos nelle abitazioni di alcune alcune persone attive nel movimento No tav sia in Val Susa che nel capoluogo piemontese, ed in particolare appartenenti al Comitato di Lotta Popolare. Sarebbero stati perquisiti finora anche i locali dell'Osteria La Credenza di Bussoleno.
E’ la prima volta che, incredibilmente, ad attivisti contrari alla linea ad Alta Velocità tra Torino e Lione viene contestata la violazione dell’articolo 280 comma 1 n.3 cp e 10 e 121. 497/74, con l'accusa di attentato per “finalità terroristiche” o “di eversione” in riferimento al lancio contro il fortino-cantiere di sassi, petardi o bengala durante la serata e la nottata del 10 luglio. Durante le perquisizioni a Torino e in Val Susa, ordinate dai pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, gli agenti della Digos hanno sequestrato alcuni personal computer e telefoni cellulari.
La retata di stamattina e l'esagerata entità delle accuse rivolte agli attivisti oggetto delle attenzioni della Procura di Torino cozza fortemente con la decisione di pochi giorni fa di scarcerare tutti i manifestanti arrestati la notte del 10 luglio - a tutti comunque sono stati imposti gli arresti domiciliari o l'obbligo di firma - nonché la partecipazione sabato di migliaia di persone alla marcia dei sindaci contrari alla devastazione della Valsusa, a dimostrazione del carattere popolare, trasversale e di massa del movimento che ormai da vent'anni si oppone ad una grande opera inutile, costosa e dannosa.
Intanto questa mattina numerose camionette cariche di poliziotti e carabinieri sono state avvistate dagli attivisti a pochi metri di distanza dal campeggio No Tav in corso a Venaus, in Val di Susa.
Luca Fiore
tratto da http://www.contropiano.org
29 luglio 2013

mercoledì 24 luglio 2013

DEAD MAN WALKING

Semplicemente vergognoso che un nazista protagonista di una delle più efferate esecuzioni di massa avvenuta durante la seconda guerra mondiale non solo se ne stia libero,non solo passeggi come un turista qualsiasi a Roma dove ha effettuato tale strage,ma addirittura esistano persone che gli affittino un locale per il suo centesimo compleanno.
Erich Priebke,il boia delle Fosse Ardeatine,potrà festeggiare uno dei suoi ultimi compleanni prima di essere divorato dalle fiamme dell'inferno o qualche altra atrocità se esistesse un'aldilà,e continua ad essere una figura di riferimento per tutti i decerebrati neonazisti romani e italiani,e la sua condanna all'ergastolo tramutata in arresti domiciliari(girando indisturbato per la capitale)ormai è solo un lontano ricordo,e non vivo come lo sdegno e la rabbia di tutti i familiari e gli amici delle sue vittime:articolo preso da Contropiano(http://www.contropiano.org/archivio-news/documenti/item/18170-erich-priebke-il-boia-centenario-a-spasso-per-roma ).

Erich Priebke,il boia centenario a spasso per Roma...

Il boia della Fosse Ardeatine se ne va a zonzo per Roma nonostante una condanna all’ergastolo. E la notizia che potrebbe festeggiare i suoi 100 anni, il 29 luglio, con una festa, genera rabbia e sconcerto.
"Non ci sarà alcuna festa per i 100 anni". Risponde piccato il legale che segue Erich Priebke, Paolo Giachini, alle polemiche di queste ore sulla festa che si starebbe organizzando in vista del centenario dell'ex ufficiale delle SS condannato all'ergastolo che sta scontando ai domiciliari a Roma. "E' ora di farla finita, l'Anpi e la Comunità ebraica si occupino dei problemi che li riguardano non di un povero vecchietto che sta scontando a norma di legge il suo ergastolo. Lo lascino in pace" dice Giachini.
Niente carcere, quindi, ma neanche veri arresti domiciliari per il boia delle Fosse Ardeatine. Visto che in realtà l’arzillo vecchietto se ne va a zonzo per Roma, accompagnato dalla badante e da ben due bodyguard. Pochi giorni fa è stato ripreso in un video dell’Ansa mentre passeggia nelle strade del quartiere della Balduina…
“Priebke sta scontando la sua pena - dichiara Giachini - e la possibilità di uscire di casa rientra nei diritti che gli sono stati accordati dalla legge italiana. Se la legge é ancora uguale per tutti, non ha senso sollevare questo polverone".
 Insomma la festa per i cent’anni del criminale di guerra nazista si farà o no? Nelle ultime dichiarazioni il suo legale smentisce, anche se qualche ora prima aveva parlato alle agenzie di stampa di “una festa in forma privata per pochi intimi”. Niente festone, come accadde dieci anni fa, quando il condannato e i suoi fan festeggiarono allegramente in un agriturismo vicino a Roma. Perché “Priebke é stanco, ha poca voglia di festeggiare”.

Ma la festa ci sarà, visto che su Twitter l’avvocato Carlo Taormina, che fu tra i difensori dell'ex ufficiale delle SS, pubblicizza la sua partecipazione al party al quale, dice, ci saranno anche dei sacerdoti. "Parteciperò alla festa dei cento anni di Priebke come ho fatto per i 90. Allora? Nessuno sa che dei 50 imputati 49 stati assolti" scrive Taormina. "Sono stato invitato dal suo avvocato – dice alle agenzie di stampa - e quindi andrò".

La notizia dei festeggiamenti previsti ha mandato su tutte le furie le associazioni dei partigiani e dei deportati. In un comunicato l'Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi nazisti (Aned) esprime il proprio sdegno: "Priebke é un criminale di guerra nazista; non possiamo dimenticare che per sua diretta responsabilità tanti ragazzi italiani, colpevoli soltanto di aver combattuto per la libertà e la democrazia, non hanno potuto conoscere neppure la maturità, hanno visto distrutti i propri sogni e i propri progetti. Erich Priebke, che non ha mai pronunciato parole di pentimento - sottolinea l'Aned -, gode già nel nostro paese di un regime di semilibertà, concessogli da una giustizia certamente più umana e rispettosa di quella da lui propugnata da sempre. Non sfidi ora i sentimenti più profondi degli italiani e la memoria dei familiari dei Martiri con festeggiamenti assolutamente fuori luogo". Simile la presa di posizione dell’Anpi: ''Un criminale di guerra non può essere festeggiato, alla memoria delle vittime del nazifascismo non si può mai derogare (...) Le ragioni della giustizia e della verità storica non posso essere oscurate, dando la possibilità a personaggi noti di strumentalizzare politicamente il compleanno con l'intento di assolvere la barbarie nazifascista e screditare il ruolo e il significato che i partigiani ebbero nella Resistenza e nella nascita della Repubblica e della democrazia. Priebke rappresenta la responsabilità di tutte le stragi compiute in Italia, che hanno causato la morte di circa 15.000 persone”.
Nato a Hennigsdorf nel 1913, Erich Priebke aderì a 20 anni al Partito Nazista dei Lavoratori Tedeschi. Heinrich Himmler lo fece entrare nelle SS e lo aiutò nella carriera all'interno dell'esercito tedesco, dove raggiunse il grado di capitano. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale fu mandato in Italia, dove insieme ad altri militari tedeschi partecipò al coordinamento delle strategie che il Terzo Reich avrebbe dovuto adottare nella penisola. Nel 1942 divenne capo della sezione di Brescia della Gestapo, la polizia segreta nazista. L'anno successivo venne trasferito a Roma al seguito delle truppe di occupazione sotto il comando di Herbert Kappler, che in seguito Priebke dirà di considerare come un maestro. Dopo l'attacco partigiano che i Gruppi d'azione patriottica (Gap) misero a segno contro il battaglione 'Bozen' in via Rasella a Roma, il 23 marzo 1944, Kappler lo coinvolse nel piano di organizzazione delle esecuzioni dei 335 ostaggi per “vendicare” i 33 nazisti morti. Un eccidio che avvenne il giorno successivo alle Fosse Ardeatine, nelle cave di pozzolana situate due chilometri oltre Porta San Sebastiano. Con un colpo alla nuca vennero uccisi, secondo tempi calcolati e programmati con meticolosità, in circa cinque ore, dal primo pomeriggio alle 20, 335 italiani, di ogni età e di varia condizione sociale, patrioti, ebrei e rastrellati per caso. Dopo la sconfitta della Germania, infatti, l'ex ufficiale nazista fuggì in Argentina, attraverso la rete di contatti creati e gestiti da padre Krunoslav Draganović e con la collaborazione della Ratline, un'organizzazione segreta che permise la fuga nei paesi latinoamericani ad Adolf Eichmann, Klaus Barbie e altri criminali di guerra nazisti. Priebke si rifugiò a San Carlos de Bariloche, un paesino ai piedi delle Ande, riuscendo a sfuggire al Processo di Norimberga e ai servizi segreti israeliani. Finché nel 1994 un membro del 'Centro Simon Wiesenthal' lo riconobbe e ne segnalò la presenza alle autorità argentine. Estradato in Italia, nel novembre 1995 venne rinviato a giudizio per crimini di guerra. Fu dichiarato colpevole di omicidio plurimo dal Tribunale militare: tuttavia non fu condannato a causa della prescrizione del reato e per la concessione delle attenuanti (!). Poi però la Corte di Cassazione annullò la vergognosa sentenza. L'ex ufficiale nazista fu prima condannato a 15 anni, poi ridotti a 10 per motivi di età e di salute; poi, nel marzo del 1998, la Corte d'Appello militare lo condannò all'ergastolo, insieme all'altro ex ufficiale delle SS Karl Haas. La sentenza, seppur confermata nel novembre dello stesso anno dalla Corte di Cassazione, venne commutata in arresti domiciliari a causa dell'età avanzata dell'imputato. Che però nel maggio nel 2008 non gli impedì di partecipare, come presidente onorario, al concorso di bellezza Star of Year, nella tappa finale di Gallinaro (Frosinone) sebbene solo in via telematica. Dal 2009, godendo ancora di ottima salute, gli é concesso uscire di casa "per fare la spesa, andare a messa, in farmacia" ed affrontare "indispensabili esigenze di vita". Il 25 marzo 2011, all'indomani dell'anniversario della strage, Priebke venne fotografato dal settimanale Oggi a cena in un ristorante della Capitale, fatto che suscitò indignazione e rabbia tra gli antifascisti.
L’eccidio delle Fosse Ardeatine
E’ il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944, ai danni di 335 civili italiani, come atto di rappresaglia in seguito all'attacco compiuto da membri dei Gap (gruppi di azione patriottica) romani contro un battaglione di truppe germaniche in via Rasella, nel centro della Capitale. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, é diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. Il 23 marzo 1944 - giorno del 25° anniversario della fondazione del partito Fascista di Mussolini - 17 partigiani dei Gap, guidati da 'Rosario' fecero esplodere un ordigno in Via Rasella, a Roma, proprio mentre passava una colonna di militari occupanti. I partigiani, legati al movimento clandestino comunista italiano, riuscirono poi ad evitare la cattura disperdendosi tra la folla. Nell'attentato vennero uccisi 32 militari dell'11esima Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment Bozen, mentre altri morirono nei giorni successivi. L'esplosione uccise anche due civili italiani. La sera del 23 marzo, il Comandante della Polizia e dei Servizi di Sicurezza tedeschi a Roma, tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, insieme al comandante delle Forze Armate della Wermacht di stanza nella capitale, Generale Kurt Malzer, proposero che la rappresaglia consistesse nella fucilazione di dieci italiani per ogni ‘tedesco’, e che le vittime venissero selezionate tra i condannati a morte detenuti nelle prigioni gestite dai Servizi di Sicurezza e dai Servizi Segreti. Il Colonnello Generale Eberhard von Mackensen, comandante della Quattordicesima Armata - la cui giurisdizione comprendeva anche Roma – approvò.
Il giorno seguente, i militari della Polizia di Sicurezza e della SD in servizio a Roma, al comando del Capitano delle SS Erich Priebke e del Capitano delle SS Karl Hass, radunarono 335 civili italiani, tutti uomini, nei pressi di una serie di grotte artificiali alla periferia di Roma, sulla via Ardeatina. Le Fosse Ardeatine, che originariamente facevano parte del sistema di catacombe cristiane, vennero scelte per poter eseguire la rappresaglia in segreto e per occultare i cadaveri delle vittime. Priebke e Hass avevano ricevuto l'ordine di selezionare le vittime tra i prigionieri già stati condannati a morte, ma il numero di prigionieri in quella categoria non arrivava ai 330 “necessari”. Per questa ragione, gli ufficiali della Polizia di Sicurezza selezionarono altri detenuti, molti dei quali arrestati per motivi politici, insieme ad altri che o avevano preso parte ad azioni della Resistenza, o erano semplicemente sospettati di averlo fatto. I tedeschi aggiunsero al gruppo anche 57 ebrei, molti dei quali erano detenuti nel carcere romano di Regina Coeli. Per raggiungere la quota necessaria, rastrellarono anche alcuni civili che passavano per caso nelle vie di Roma. Il più anziano tra gli uomini uccisi aveva settant'anni, il più giovane quindici. Quando le vittime vennero radunate all'interno delle cave, Priebke e Hass si accorsero che ne erano state selezionate 335 invece che le 330 previste, ma decisero che rilasciare quei 5 prigionieri avrebbe potuto compromettere la segretezza dell'azione e quindi decisero di ucciderli insieme agli altri.

I prigionieri selezionati furono condotti all'interno delle grotte con le mani legate dietro la schiena. Priebke e Hass avevano deciso di non utilizzare il metodo tradizionale del plotone di esecuzione; agli agenti incaricati dell'eccidio, infatti, venne ordinato di occuparsi di una vittima alla volta e di spararle da distanza ravvicinata, in modo da risparmiare tempo e munizioni. Gli ufficiali della polizia tedesca portarono quindi i prigionieri all'interno delle fosse, obbligandoli a disporsi in file di cinque e a inginocchiarsi, uccidendoli poi uno a uno con un colpo alla nuca. Mentre il massacro continuava, i militari tedeschi cominciarono a obbligare le vittime a inginocchiarsi sopra i cadaveri di quelli che erano già stati uccisi. Quando il massacro ebbe termine, Priebke e Hass ordinarono ai militari del genio di chiudere l'entrata delle fosse facendola saltare con l'esplosivo, uccidendo così chiunque fosse riuscito per caso a sopravvivere e seppellendo allo stesso tempo i cadaveri. L'esecuzione venne resa pubblica solo quando venne terminata. A dimostrazione che l’immane massacro non fu ordinato dai tedeschi perché i partigiani autori dell’attacco non si erano consegnati, ma indipendentemente.

lunedì 22 luglio 2013

PAGATE LE TASSE!

Breve articolo che parla della polemica che il duo di stilisti Dolce e Gabbana ha avuto con un assessore del comune di Milano e successivamente con l'intera giunta perché sono usciti commenti personali e poco lusinghieri riguardo la presunta e milionaria evasione fiscale dei due.
A parte che non è la prima volta che D e G incappano in problemi con le tasse,e la loro reazione con la chiusura dei loro negozi nel capoluogo lombardo per un paio di giorni è stata davvero ridicola,ad indignarsi dovrebbero essere tutti quelli che le tasse non le evadono e le pagano,quelli che lavorano la domenica e tutti quelli che si fanno il culo per mantenere una propria azienda o il proprio posto di lavoro.
Altro che la mano tesa del sindaco Pisapia,un bel doppio calcio in culo!

«Basta polemiche», Pisapia invita Dolce e Gabbana in Comune.

Il sindaco di Milano interviene sulla recente querelle che ha visto gli stilisti Dolce e Gabbana polemizzare con il comune di Milano.

«Basta polemiche»: il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, interviene così sulla recente querelle che ha visto gli stilisti Dolce e Gabbana polemizzare con il comune di Milano.
«Per me la questione è assolutamente terminata, loro hanno riaperto il negozio» ha detto Pisapia rispondendo a tutte le domande dei giornalisti a margine di una conferenza stampa a Palazzo Marino sulle celebrazioni per ricordare il ventesimo anniversario della strage di via Palestro. 
«Spero che adesso finiscano le polemiche e si guardi avanti nell'interesse della collettività, della moda e del Paese - ha proseguito il sindaco Pisapia - Ho già invitato Dolce e Gabbana a venire qui al comune per chiarirci». «Chi dice che Milano fa schifo non può che fare indignare non solo il sindaco ma tutti i milanesi», ha aggiunto il primo cittadino.
                                                                                                                       

domenica 21 luglio 2013

DALLA PARTE SBAGLIATA DELLA BARRICATA

Gli ennesimi scontri in Val Susa in prossimità del cantiere della Tav hanno evidenziato sempre più che l'informazione globale italiana sia retrograda e faziosa,dalla parte dello Stato e della polizia e cosa ben più grave non veritiera.
Si mette sempre sotto la lente d'ingrandimento i danni che gli attivisti No Tav provocano solo per delegittimare la loro protesta accusandoli delle violenze contro i cantieri e contro la polizia messa lì dalle prefetture e dai politicanti piddini e pidiellini che vogliono stroncare il movimento per i loro guadagni personali.
Telegiornali e quotidiani sparano sempre delle cifre come bollettini di guerra con agenti contusi e feriti senza informare su quello che loro combinano,come descritto nell'articolo preso da Infoaut qui sotto,e fin quando saranno dalla parte sbagliata della barricata saranno sempre attaccati e qualcuno di loro le prenderà.

NoTav. La Procura ordina, la Questura esegue.

Dopo la lunga notte di lotta attorno al cantiere, il movimento No Tav si è subito attivato per costruire la solidarietà attorno agli arrestati e denunciare pubblicamente l'atteggiamento criminale tenuto ieri sera dalle forze dell'ordine.
Il bilancio dei fermati di ieri sera è stato di 9 persone ma per due di loro, Marta, attivista pisana, e un ragazzo milanese di soli 17 anni, non è stato confermato l'arresto; entrambi sono stati portati ieri in ospedale per le pesanti ferite causategli dall'aggressione della polizia: Marta è stata rilasciata oggi con un braccio rotto e alcuni punti di sutura al labbro mentre il giovane milanese si trova ancora ricoverato.
Gli altri sette si trovano invece tutti al carcere delle Vallette di Torino in attesa di sapere se gli arresti verranno convalidati o meno (la decisione verrà presa tra oggi pomeriggio e lunedì). Tutti quanti sono stati tratti in arresto nei pressi del ponte della Clarea, dove la celere ha aggredito le centinaia di persone che tentavano di raggiungere il cantiere facendo partire una carica a freddo e assolutamente immotivtaa e poi rincorrendo a lungo i No Tav spezzando il corteo in due parti e saturando l'aria con i gas lacrimogeni fin dentro il paese di Giaglione.
Sono diverse decine i No Tav che sono rimasti feriti in modo anche grave durante la carica per le manganellate ricevute o per i colpi dei lacrimogeni sparati come sempre ad altezza uomo. Alcuni di loro sono attualmente ricoverati all'ospedale di Susa.
Da rimarcare anche le responsabilità della Procura che ieri sera era presente all'interno del cantiere nelle figure degli ormai immancabili pm Rinaudo e Padalino, protagonisti di un vero e proprio accanimento contro i movimenti e in particolare contro il No Tav. Procura complice della questura (e viceversa), nella figura di Petronzi, dirigente della digos che, ringalluzzito dalla dichiarazione effettuata nella giornata di ieri durante l'udienza del maxi-processo, ha proseguito sul campo le sue intenzioni criminali di accanimento contro i NoTav.
Per ribadire una volta di più che non sarà certo l'inasprimento della stretta repressiva o l'atteggiamento sempre più spregiudicato delle truppe di occupazione a fermare il movimento e impedire ai No Tav di tornare a solcare i sentieri della val Clarea, per questo pomeriggio è stata convocata una conferenza stampa nella quale verrà chiesta l'immediata liberazione degli arrestati e verrà reso pubblico quanto realmente accaduto ieri sera attorno al cantiere.
L'appuntamento è per le 15 al presidio di Susa, seguiranno aggiornamenti.
Ennio, Luke, Marcello, Piero, Matthias, Gabriele, Alberto liberi tutti!

venerdì 19 luglio 2013

SERVI DI TUTTO E DI TUTTI

Sul vergognoso caso del sequestro di persona della moglie e della figlia del"dissidente politico"kazako Ablyazov non voglio soffermarmi troppo,in quanto è spiegato a grandi linee dall'articolo di Infoaut sia la figura di colui che è definito dallo stato asiatico criminale e terrorista,ma vorrei puntualizzare il fatto su come sia avvenuto l'arresto e l'estradizione della consorte e della figlia.
In puro stile anonima sequestri un commando di poliziotti italiani e digossini,istruiti direttamente dal governo del Kazakistan e dalla persona del loro ambasciatore sul nostro suolo,hanno prelevato ed estradato le due persone come se niente fosse,senza che il ministro dell'interno Alfano ne fosse a conoscenza(così dice lui).
Quando è saltata fuori la grana è successo un putiferio internazionale,con la nostra solita figura di merda in ambito internazionale ed il richiamo ufficiale dell'Onu e di tutte le organizzazioni che si battono per i diritti umani,con i kazaki che praticamente hanno comandato le operazioni assieme al Viminale secondo le ultime indagini,con l'ambasciatore Yelemessov che aveva detto che all'interno dell'abitazione dove sono state prelevate madre e figlia vi fosse un latitante armato.
Ultimo atto per ora è stato il voto di sfiducia ad Alfano che naturalmente non è stata approvata grazie all'intervento del Pd e di Letta in prima persona che ha difeso a spada tratta il ministro dell'Interno in un gioco sempre più sporco,sempre più insano e che fa sì che le due maggiori forze presenti numericamente nella maggioranza se ne stiano tranquillamente sedute sui propri scranni.
Voglio terminare citando un link di Senza soste che contiene sia il contributo sotto che un altro pezzo in cui si parla della ragione principe per cui in questa vicenda ci sia stato così tanto servilismo,ovvero gli interessi energetici che l'Italia ha in Kazakistan(http://www.senzasoste.it/politica/caso-kazako-tra-servilismo-e-incapacita-e-gas ).

Caso kazako. Tra servilismo e incapacità.

La vicenda del caso di Muktar Ablyazov-Shalabayeva è stata degna di entrare all'onor di cronaca delle maggiori testate giornalistiche solo negli ultimi giorni. Eppure risale alla notte del 29 maggio quando a Roma un ingente gruppo di forze dell'ordine e digos ha fatto irruzione in una casa al cui interno si trovavano la moglie di Ablyazov e la figlia, con un mandato di cattura alla mano per quello che viene definito un "dissidente politico", e il conseguente rimpatrio forzato in Kazakhstan per le due famigliari.
Su Ablyazov pende infatti un mandato di cattura internazionale emesso dal Kazakistan e valido anche in Russia. Considerato il nemico numero uno del presidente del Kazakistan, Nursultan Nazabarayev, Ablyazov è anche ricercato dalla Gran Bretagna dove gode di uno status un po' particolare: da un lato gli è stato riconosciuto l'asilo politico, dall'altra è sotto accusa per non essersi presentato a un processo per la sottrazione di 5 miliardi di euro alla banca di cui è stato a lungo presidente (la BTA). Per questo è stato condannato a 22 mesi. Quello che più risalta nella vicenda, senza soffermarci troppo sulla figura di Ablyazov, sono tuttavia ben altre considerazioni riguardo a quanto sta uscendo nelle ultime ore attraverso dichiarazioni et simile che sembrano aver messo in moto un meccanismo che coinvolge diversi aspetti di un potere attuato e di un servilismo concesso. A partire dall'utilizzo del termine e della conseguente applicazione della categoria "dissidente" con la quale è stato etichettato Ablyazov, che risulta essere il costrutto residuale dell'imperialismo umanitario anni '90, per legittimare in qualche modo le azioni riservate ai casi particolari come questo. Eppure, Ablyazov certamente non fa parte di nessun movimento di liberazione né tanto meno è un rappresentante di una lotta specifica nella stessa direzione. Eppure le associazioni umanitarie eccedono nell'utilizzo del concetto, forti delle considerazioni fatte invece dalle autorità del Kazakistan che lo ritengono "un criminale collegato al terrorismo internazionale", che già la dice lunga sull'implementazione di costrutti sovradeterminati.
Ma a tener banco in questa vicenda, sono ancora una volta le questioni economiche e politiche nel connubio di politica estera e energetica che riguarda l'Italia, soprattutto dopo la crisi libica e il colpo franco statunitense alla Libia con l'estromissione di Roma. A partire da quel momento, inizia a mancare per l'Italia il gas proveniente dalla Libia e gli interessi strategici che vi sono dietro. Da qui il repentino tentativo di spostarsi sul territorio dell'Azerbaijan, ritenuto un partner troppo poco affidabile e la successiva necessità di tessere relazioni e rinsaldare legami commerciali e economici con il Kazakhstan. Questo è dovuto anche al ruolo della Russia nella questione energetica petrolifera e i rapporti che i due Paesi hanno.
All'interno di questo quadro, si profila quindi una sceneggiata facilmente ricostruibile. L'interesse nazionale in materia energetica sovrasta su tutte le altre questioni, dando vita di riflesso ad un problema politico: tra accuse, smentite, dichiarazioni e lavate di mani, si trova l'equilibrismo perenne in cui oscilla Letta. All'interno del così chiamato governo delle larghe intese, vi è da una parte il Pdl che sembra avere un margine di manovra più esteso rispetto a quello del Pd, dovuto anche dalla linea berlusconiana di attuare un tentativo, fallito miseramente, di ritagliarsi una sfera di autonomia in Est Europa. Certo è che questo governo, giusto per non smentirsi, dimostra ancora una volta la sua incapacità nel gestire situazioni in cui prevale il caos sistemico che rende difficile ogni politica estera che sia un minimo organica. Un problema endemico destinato a ripetersi in futuro.

giovedì 18 luglio 2013

MA C'ERA LA GUERRA AD ORIO?

Sembrerebbe che di notizie serie,importanti,da evidenziare e da far sapere per conoscere meglio come il mondo stia cambiando,così come la società,la politica e l'economia,non ce ne siano in questo periodo.
Tutt'altro,solo che certi organi di disinformazione,certi giornalisti e certi editori che possono e riescono a condizionare la linea lavorativa delle loro testate hanno il cervello al posto del buco del culo,e nel caso di quello accaduto domenica sera a Orio al Serio durante la Festa della Dea organizzata dai tifosi della Curva Nord dell'Atalanta è stato ritenuto di vitale importanza comunicativa e di vergognoso scandalo.
Il passaggio del carrarmato sulle due macchine da demolire con i colori delle squadre del Brescia e della Roma ha destato violente reazioni anche a livello politico e sportivo,con interpellanze e apertura di fascicoli d'indagine della Figc.
L'articolo preso da"dallapartedeltorto.tk"a firma di Xavier Jacobelli dice tutto quello che penso in questo momento e credo pensino la maggior parte dei tifosi atalantini e non:il messaggio è charo,se ci volete far guerra siamo pronti ad aspettarvi,e non solo con carri armati.
                                                                              
NEL PAESE DEGLI SCANDALI PENSANO AL CARRARMATO DEI TIFOSI                                

È impressionante l’incapacità di raccontare cosa sia la Festa della Dea. Abete, Palazzi, guardate qui: i carrarmati dell’Atalanta sono 15 mila.fonte: www.globalist.it

Nel Paese dove una donna e una bimba di 6 anni, moglie e figlia di un dissidente kazako, vengono sequestrate con un blitz degno delle migliori teste di cuoio e rispedite in aereo in bocca al satrapo che perseguita la loro famiglia.
Nel Paese dove tutto questo accade, con il capo del governo, il vicepremier-ministro delI’Interno e quello degli Esteri che dicono di non saperne nulla e, naturalmente, nessuno dei tre si dimette, fregandosene della figuraccia mondiale cui hanno esposto la Nazione che, in teoria, dovrebbero governare.
Nel Paese, dove il vicepresidente del Senato rivolge un insulto razzista e infame a una signora, ministro della Repubblica, la cui colpa è di avere origini congolesi e, naturalmente, il vicepresidente del Senato non si dimette e nemmeno si sotterra sotto mezzo metro di vergogna.
In questo stesso Paese, che sarebbe meraviglioso se non fosse infestato da una Casta putrida e pronta a tutto pur di difendere poltrone e privilegi, per due giorni le porcate (definizione tratta dal lessico calderoliano) sono passate in fanteria, per additare al pubblico ludibrio il carrarmato della Festa della Dea, i tifosi atalantini, gli ignari Migliaccio e Stromberg, gli ultrà della Curva Nord, i barbari orobici razzisti e violenti.
Un campionario di falsità e di nefandezze mediatiche, un minestrone di luoghi comuni, stereotipi, disinformazione e superficialità, sparati nei primi titoli di alcuni tg con audience da prefisso telefonico, quelli che stanno alla notizia come il diavolo all’acquasanta. Per non dire dei somari che hanno infarcito i loro resoconti di errori di sintassi e di toponomastica, trasferendo addirittura la Festa della Dea da Orio al Serio al centro di Bergamo dove, è notorio, ogni sera dall’11 al 16 luglio si sono riunite 15 mila persone vestite di nerazzurro.
È impressionante e, al tempo stesso, deprimente l’incapacità di raccontare le cose come stanno, forse perché bisogna alzare i tacchi e andare a vedere di persona che cosa sia e che cosa significhi la Festa della Dea, anziché rimanere davanti al computer e fare copia e incolla di notizie raccolte male e scritte peggio.
A scanso di equivoci, dichiaro che la mia passione è atalantina sin da quando, aspirante giornalista, come tale e come tifoso, mi capitò di seguire la squadra nel suo primo e, grazie a Dio, unico campionato di serie C. E quando si va all’inferno e dall’inferno si torna, ti incolli alla maglia che ami con un bostik che niente e nessuno può mai scalfire.
Ho una concezione anglosassone della rivalità sportiva. Rispetto profondamente ogni tifoseria, la sua storia, la sua passione. Sono incapace di tifare contro qualcuno o qualcosa. Non mi sento nemico di nessuno. Non mi sognerei mai di passare manco con un triciclo sopra un’auto con i colori del Brescia, della Roma o di chicchessia.
Ciò detto, bisogna conoscere prima di giudicare. Bisogna capire prima di parlare di ciò che non si sa, facendo invece finta di sapere. Ha detto Antonio Percassi: “Domenica sera avete fatto una goliardata e so che a voi piacciono gli scherzi. Ma fate i bravi….». E Claudio Galimberti, il capo della Curva Nord, ha colto al volo il significato delle parole del presidente: «Non volevamo mettere in difficoltà nessuno, è stato solo uno scherzo. Ho capito il messaggio, mai fare del male all’Atalanta Bergamasca Calcio».
Per il secondo anno di fila, sono andato alla Festa della Dea, spinto anche dalla curiosità giornalistica per capire come mai e che cosa spingesse a ritrovarsi ogni sera, tutti insieme, decine di migliaia di uomini, donne, bambini (una valanga di bambini), famiglie (una valanga di famiglie), giovani e vecchi. Per conoscere i 300 volontari, molti dei quali cassintegrati, disoccupati, precari oppure pronti a sacrificare le ferie pur di lavorare gratis durante la settimana più importante dell’anno.
Ho cominciato ad addentrarmi nel mondo degli ultrà atalantini, così come, per motivi professionali, in passato mi ero addentrato in altri mondi ultrà. Dovunque, ho capito che si sta meglio con la gente della curva e che, spesso i cattivi incontri li fai nelle tribune d’onore.
Ho sempre detestato la violenza da qualunque parte essa provenga, anche da chi magari dovrebbe proteggere i tifosi e, invece, li massacra di botte riducendone uno in fin di vita e sfangandola in tribunale.
Allo stesso modo, ho sempre detestato le criminalizzazioni indiscriminate, le strumentalizzazioni, i moralisti e i moralismi. Chi sbaglia deve pagare, ultrà o non ultrà, punto e basta. Ma chi sbaglia. Non tutti quelli che hanno in corpo la passione, l’entusiasmo, la gioia di ritrovarsi, di fare festa, la generosità, l’altruismo.
Il polverone mediatico sul carrarmato ha coperto iniziative di solidarietà che fanno onore ai ragazzi della Nord bergamasca.
Ce ne fosse stato uno, in mezzo ai commenti cialtroni, che avesse parlato della raccolta di fondi degli atalantini per i terremotati di Moglia (Mantova), i quali si sono presentati sul palco della Festa capitanati dal loro parroco. Commosso sino alle lacrime eppure capace di impartire la benedizione e di recitare l’Ave Maria con gli ultrà, una scena che avrebbe mandato in sollucchero Francesco, grandissimo Papa, Ultrà di Dio e tifoso di calcio, connubio non casuale.
Ce ne fosse stato uno, in mezzo ai commenti cialtroni, che avesse parlato dei due mesi durante i quali, a gruppi, i Barbari della Curva Nord hanno frequentato il reparto di pediatria dell’Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo, hanno giocato con i bambini gravemente ammalati, hanno raccolto fondi per la fantastica Associazione Amici della Pediatria, hanno conquistato medici, infermieri parenti dei bimbi con la loro sensibilità.
Ce ne fosse stato uno, in mezzo ai commenti cialtroni, che avesse ricordato come, in questi anni, ultrà e Amici dell’Atalanta, parola del loro presidente Marino Lazzarini, abbiano raccolto 650 mila euro, destinati tutti a iniziative umanitarie intraprese in Italia e all’estero.
Ce ne fosse stato uno, in mezzo ai commenti cialtroni, che avesse raccontato l’applauso scrosciante rivolto dai 15 mila alla memoria di Andrea Toninelli, 22 anni, tifoso del Brescia, scomparso in un tragico incidente stradale il 26 maggio scorso, di ritorno dalla trasferta di Livorno. Ai suoi funerali, la Curva Nord dell’Atalanta aveva inviato una corona di fiori, un gesto di rispetto umano al di sopra e al di là di ogni rivalità sportiva, per quanto acerrima possa essere.
Poiché sul carrarmato c’era l’incolpevole tesserato Migliaccio, l’Ufficio Indagini della Federcalcio ha prontamente aperto un fascicolo. Come ha scritto Aligi Pontani su Repubblica il 27 giugno scorso, “l’ufficio apertura fascicoli della federcalcio, impropriamente noto come ufficio indagini, ha una storia magnifica. Si caratterizza infatti per aver indagato solo sulle altrui indagini. Funziona così: Palazzi e il suo staff, consci della fiducia in loro riposta dal calcio tutto, aspettano pazientemente che qualcosa si muova. Al mattino comprano presto i giornali, incrociando le dita o compiendo altri atti scaramantici. Di solito va bene: si parla di arbitri, rigori negati, fantasiosi obiettivi di mercato, polpacci indolenziti, spogliatoi turbolenti, roba così. Talvolta invece va male, e negli ultimi anni capita spesso: si legge il giornale e si scopre che una procura – una a caso, una a turno, da Aosta a Palermo – ha deciso di mettere in naso negli affari del calcio restando quasi tramortita dall’olezzo emanato”.
E’ talmente nauseabondo questo olezzo, che è meglio prendersela con l’ignaro Migliaccio, l’Atalanta e i suoi tifosi. Occhio, però, Abete e Palazzi: martedì sera i carrarmati dell’Atalanta erano 15 mila. Deferiteli tutti. Vi verranno addosso con la loro passione. Vi farà un gran bene.
Xavier Jacobelli

mercoledì 17 luglio 2013

L'INPS E LA VICENDA CECCANTI

Tipica storia italiana quella capitata a Soriano Ceccanti,paralizzato da un colpo di pistola sparato dagli sbirri a fine degli anni sessanta durante una contestazione,che si è visto negare la pensione d'invalidità dall'Inps per motivi prettamente burocratici e di non comunicazione.
Tali argomentazioni sono riportate di seguito grazie al contributo preso da Infoaut,dove si evidenzia il fatto che comunque la vicenda di Ceccanti sia potuta venire a galla grazie alla sua notorietà e che altre centinaia di casi simili al suo possano essere taciuti e non conclusi.
Come al solito nel nostro paese si pagano milioni di Euro per pensioni irrispettose,false e scandalose mentre i casi veramente conclamati di necessità e bisogno vengono messi da parte,tagliati se non addirittura eliminati completamente.

Sparato dalla polizia, resta invalido, l'Inps gli toglie la pensione.

Hanno tolto la pensione di invalidità a Soriano Ceccanti, il ragazzo che nel Capodanno tra il '68 e il '69 fu ferito dagli spari della polizia e rimase sulla sedia a rotelle tutta la vita. Una storia da conoscere, una vergogna da cancellare al più presto.
L'incredibile e vergognosa vicenda è stata resa pubblica dal blog di Paolo Brogi.
Soriano Ceccanti, vive su una carrozzella dal Capodanno del 1969, quando, sedicenne, fu colpito da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine durante una manifestazione che contestava i "ricchi" che festeggiavano nell'esclusivo locale de La Bussola di Viareggio.
In qualche modo, Soriano Ceccanti è una "icona" del movimento del '68 nel nostro paese.
Disabile al 100 per cento, Soriano è titolare di una pensione di invalidità. Una decina di giorni fa gli viene comunicato dall’Inps, a firma rag.Giacomo Tognini, che la pensione gli è stata sospesa, perché “da accertamenti risulta che la persona abita in Marocco”. Soriano abita a Pisa, come tutti sanno, e in Marocco ha trascorso lunghi periodi di recente per le ragioni personali. Ceccanti, sbalordito, si sente dire da una funzionaria dell’Inps pisano che “la pensione viene sospesa se il beneficiario soggiorna all’estero per più di un mese”.
E che l’Inps, se sospetta che questo avvenga, può richiedere il passaporto dell’interessato. Ulteriormente sbalordito, e poiché non gli viene indicata, né la trova per suo conto, una simile norma, Soriano chiede a una esperta legislativa sulle invalidità (sito Handylex) che spiega: “Se lei mantiene la residenza in Italia non perde la provvidenza economica. Se trasferisce la residenza all’estero, perde il diritto”.
Soriano Ceccanti ha la residenza in Italia. Ricostruisce che l’Inps l’ha chiamato l’anno scorso a una visita di controllo (e aggiunge spiritosamente, perché è spiritoso: “Un miracolo può sempre capitare”) ma è appunto in Marocco, e manda un fax chiedendo di essere preavvisato con un certo anticipo. La cosa si ripete per una visita fissata allo scorso 15 gennaio, lui è via e al ritorno, a fine gennaio, fa domanda per la visita medico legale. Intanto però la pensione è stata “eliminata in via cautelativa”.
A fine marzo viene visitato da una dottoressa coetanea che “si ricorda il fatto”, e gli chiede se abbia avuto un indennizzo… Passa un altro mese e l’Inps per raccomandata conferma che è disabile e ha diritto alla pensione. Va a ripresentare la domanda all’Inps e si infila in un battibecco con le impiegate cui spiega quanto gli costi tutta quella burocrazia: gli rispondono che se va tanto in giro tanto male non sta. (Soriano, male come sta, è salito per quattro volte sul podio delle paralimpiadi per la scherma italiana, in posti distanti come Tokyo o Sidney).
E ammoniscono di togliergli di nuovo la pensione perché sta troppo tempo all’estero, e gli chiederanno il passaporto. Lui “non crede alle sue orecchie”: “Ma se invece che in Marocco andavo in Danimarca che se ne facevano del passaporto?” Alla sua protesta cercano invano la norma pertinente, dicono che gliela manderanno per mail, e non succede, perché la norma non esiste.
In cambio gli arriva la lettera sugli “accertamenti”. La ua pensione è sospesa da febbraio. Ha messo le cose in mano a un’avvocata, passaporto compreso. Per sbloccare l’ “annullamento temporaneo della pensione”, e per tutte le eventuali ulteriori azioni legali. Ci vorrà del tempo, avrà ragione, nel frattempo però mangia e accende la luce, lui e chi dipende da lui. In passato, pagava con la pensione.
Viene da chiedersi: se l'Inps si è comportata così con Soriano Ceccanti che può contare su una rete di solidarietà e un pò di fama, come si sta comportando nei confronti di altri invalidi che magari non hanno la stessa possibilità di portare alla luce le vessazioni a cui sono sottoposti da quando la direzione Mastrapasqua ha deciso la linea dell'ultrarigore finanziario nella gestione dell'ente.
da Contropiano

martedì 16 luglio 2013

POVERI MAIALI E ORANGHI

Visto che non ci sia molto da aggiungere alle parole del maiale seduto in Parlamento Calderoli che ha insultato il ministro Kyenge paragonandola ad un orango,posto un articolo di Infoaut che riporta un breve comunicato di Anonymous che condanna non solo questo ennesima provocazione razzista ma tutto l'ambiente della Sega Nord.
Non è possibile che bastino delle semplici scuse del giorno dopo,specialità del mondo del centrodestra partendo da Berlusconi arrivando al maiale sovra citato e a Salvini,perché tutto venga rimosso e dimenticato,urgono provvedimenti istituzionali gravi che possono essere l'esclusione a vita dalla scena politica,vista anche la recidività,e multe salate per chi si rende protagonista di queste azioni vergognose.
Di seguito un paio di links:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2010/06/io-sono-calderonioink.html su Calderoli e http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2013/03/anonymous-italia-zittisce-il-coisp.html sulle rivendicazioni di Anonymous.

OrangoTangoDown. Anonymous attacca il sito della Lega Nord.

Dopo le ultime dichiarazioni del vicepresidente del senato Roberto Calderoli che durante la festa del suo partito, a Treviglio, ha insultato con gli ennesimi toni razzisti,la ministra Kyenge, Anonymous ha deciso di attaccare, nella tarda mattinata di ieri, il sito della Lega Nord. L'azione di Anonymous è stata annunciata attraverso i social network, successivamente rivendicata, nel corso della giornata da Anonymous Italia. Il sito della Lega nel frattempo è rimasto off-line per alcune ore. Qui sotto il comunicato, diffuso nella serata di ieri sul blog ufficiale della rete di hack attivisti.

Salve Leganord,
Ci rammarica dover constatare, per l'ennesima volta, come la maggior parte degli esponenti e dirigenti di quello scherzo della natura, che avete l'audacia di definire "partito politico Leganord", siano solo degli xenofobi, razzisti e intolleranti. Un ammasso di decerebrati.
L' On. Calderoli, fermamente determinato nel suo proposito di affossare ancora di più la già non esistente e sofferente immagine della squallida accozzaglia di zotici che tirano le redini in casa Leganord, come di consueto, si è lasciato sfuggire una ghiotta occasione per tacere,  deliziandoci con un' altra delle sue perle di saggezza.
Senza entrare nel merito, vogliamo semplicemente far notare all'On. Calderoli come molti degli esponenti dello pseudo partito citato, assomiglino più a Neandertaliani, sia nelle fattezze che nell'acume politico, sia nel volume della materia grigia presente nei loro crani.
Cogliamo quindi l'occasione per esprimere il nostro disprezzo per l'infausta dichiarazione dell’ On. Calderoli, inviando un reclamo a mezzo doccia di pacchetti SYN TCP.

We are Anonymous
We are Legion
We do not forgive
We do not forget
Expect Us!

martedì 9 luglio 2013

IL PAPA E LE BELLE PAROLE

Le frasi profonde,anche belle ma piene di demagogia e retorica stagnante pronunciate da Papa Bergoglio a Lampedusa hanno fatto il giro del mondo provocando commozione,riflessioni e anche qualche polemica.
L'articolo preso da Contropiano(http://www.contropiano.org/cultura/item/17827-bergoglio-lo-spacciatore-di-oppio-dei-popoli )e quello consigliato di Infoaut(http://www.infoaut.org/index.php/blog/editoriali/item/8356-il-potere-del-più-buono )parlano più guardando il pelo nell'uovo leggendo tra le righe quello che Bergoglio ha predicato,perché si tratta di pura evangelizzazione il suo discorso pro migranti,frasi che riguardano una delle tragedie più grandi che l'intera umanità stia vivendo negli ultimi anni a ridosso del mar Mediterraneo.
Però il nuovo Papa,che pur a parole se la cava egregiamente,cosa ha fatto di reale per la povera gente di tutto il mondo?Ha forse donato anche una piccola parte delle immense ricchezze dello Stato Vaticano?Non credo,o ancora non lo ha fatto e se lo sta facendo non si notano differenze.
Col suo fare pacioso intorta la gente con le sue favelle che pure un bimbo dopo una lezione di catechismo potrebbe imbastire,e mentre da un lato fa tanto il perbenista dall'altro innalza le sue crociate contro i gay e gli aborti liberi,contro la teologia della liberazione definendo le teorie del socialismo reale sconcertanti e anacronistiche.
Qualcosa si sta muovendo nella Chiesa,ma dire che il lavoro è stato compiuto del tutto è una scemenza(parlando del potere tangibile della chiesa,vedi Ior,non certo del lato spirituale e religioso),e dietro alle belle parole c'è ancora un mare da colmare di fatti.

Bergoglio, lo spacciatore di oppio dei popoli

La propaganda di Francesco, il papa che piace a tutti, fa breccia ovunque. Ecco perché Ratzinger "era meglio di lui".

Quella maledetta sera di marzo tutti ci aspettavamo che su piazza San Pietro si sarebbe affacciato Angelo Scola, o comunque un cardinale arcigno e crudele, un implacabile che si sarebbe lanciato in una lotta senza esclusione di colpi contro il secolarismo, che si sarebbe dato un nome tipo Leone XIV, o comunque qualcosa di abbastanza cattivo da convincere il mondo che, in un modo o nell'altro, il dogma è ancora vivo e la parola di Dio non è uno scherzetto. Non il ritorno alla messa in latino, ma almeno un rigido pensatore à la Ratzinger, un uomo incapace di parlare ai cattolici – tanto è inutile – ma perfettamente in grado di produrre qualcosa di rilevante in termini di profondità teologica.

E invece no, quella maledetta sera di marzo, su piazza San Pietro si è affacciato un argentino con il nome da stopper del Genoa. Jeorge Mario Bergoglio ha salutato la folla con un cordiale «buonasera», ha parlato dell'Argentina come «mondo alla fine del mondo» manco fosse Sepùlveda e si è dato il nome di Francesco, come il santo che rinunciò a tutto per andare a parlare con gli uccellini nella selvaggia Umbria duecentesca.

Ecco, la verità è che, per l'ennesima volta, li avevamo sottovalutati. Ci hanno fregato con un Papa buono, che, di fatto, sta simpatico a tutti, anche agli atei più atei. E continuerà a stare simpatico anche quando si scaglierà contro i gay, la ricerca, il nostro modo di vivere. Si chiama evangelizzazione: va avanti da duemila anni e, piaccia o no, sta sempre almeno un passo davanti a noi.

Ludwig Wittgenstein diceva che il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose. Quindi, quando Bergoglio va a Lampedusa per dire che «la società dei consumi ha portato a una globalizzazione dell'indifferenza», non s’intende che donerà tutti i beni della Chiesa ai meno abbienti. Nemmeno che farà qualcosa per combattere la globalizzazione della sofferenza: è solo propaganda. Se un potente segnala un problema, non è detto che si stia battendo per risolverlo. Bergoglio, da buon gesuita, lo sa e sa vendere benissimo la propria immagine, con il brand chiaramente visibile a tutti: «Chiesa Cattolica, noi siamo il bene». Malgrado i libri di storia dicano il contrario, la facciata del credo più diffuso del mondo rimane sempre candida agli occhi di fedeli e non, ora più che mai.

La chiave per colmare il gap della dialettica negativa  - l'insormontabile scarto tra la logica e la realtà, tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere – è nei termini puramente concettuali emersi in questi primi mesi di pontificato targato Francesco. Il concetto più espresso, fino a questo momento, riguarda la magnificazione della povertà. Sui giornali e nell'immaginario collettivo, questo passa come «il Papa sta con i poveri», in realtà l'elogio della povertà è una delle affermazioni più ideologiche e reazionarie degli ultimi secoli. Oltretevere lo sanno che la povertà non è un valore ma uno schifo? Lo sanno che la gente, in maniera sempre maggiore, si suicida perché si vergogna della propria miseria?

Domande retoriche, ma una risposta c'è: sì, lo sanno. Per questo magnificano il concetto di povertà, perché i poveri si sentano socialmente migliori di quello che sono, anche se in realtà questo non è vero. La società (post)industriale avanzata emargina chi ha meno, e questo è un fatto. Santificare «l'avere meno» è un modo perché tutto rimanga com'è, perché non succeda niente, perché chi ha sempre meno non si ribelli mai a chi ha di più. La Storia, per la Chiesa, non è Storia di lotta di classe. Francesco ne è consapevole, e allora bara. È uno spacciatore di oppio dei popoli. E per certi usi Marx torna utile solo adesso, ché il comunismo storico è quasi scomparso dalla faccia della terra.

Joseph Ratzinger era politicamente inaccettabile. Ma era chiaro, non barava. Lui, con una profondità teologica effettivamente non comune, portava avanti le crociate di sempre. Perché la Chiesa è quello che è e non può essere diversa, è un’entità irriformabile, scolpita nel tempo. Dogmatica per definizione. Nell'enciclica scritta a quattro mani da Francesco e Benedetto questo particolare emerge con chiarezza: il primo parla di Madre Teresa di Calcutta – emblema di bontà e sacrificio –, il secondo si lancia in un corpo a corpo con Dostoevskij sul significato di Cristo in Croce. Questo non solo ci chiarisce che Ratzinger è un teologo, mentre Bergoglio è “solo” un parroco; ma ci dà anche un'idea del fatto che mentre il tedesco punta a un predominio teorico – dunque, preferibile anche in termini di dibattito –, l'argentino sfrutta la potenza di fuoco di un'istituzione mastodontica come la Chiesa per affermare un discorso prettamente politico e mantenere lo stato delle cose così com'è: proclamare il cambiamento per non attuarlo mai. Cambiare una religione è impossibile, dacché questa si basa su presupposti immutabili. Tutto il resto è soltanto propaganda.

venerdì 5 luglio 2013

IL VIGILE ESTREMISTA DI DESTRA

Il passo tra vigile a vigilante ad assassino è breve in questi mesi in Lombardia,e dopo il caso di Alessandro Amigoni a Milano(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/10/il-ghisa-assassino-e-stato-condannato.html )ecco un altro fanatico delle armi con simpatie di estrema destra che ha tentato una strage a Cardano al Campo,in provincia di Varese.
Giuseppe Pegoraro,ex vigile sospeso dal lavoro per truffa e peculato(in cambio di denaro timbrava il cartellino ad alcuni suoi colleghi assenteisti),ha ridotto in fin di vita il sindaco del paese e ferito il vice sindaco,e quando è stato bloccato aveva con se un vero e proprio arsenale perché l'incursione nel comune era solo il primo passo della sua delirante vendetta.
L'articolo di antifa.org spiega il perché di questo gesto dettato dalla follia di un classico esempio di esaltato delle armi che grazie a quelle pensa di poter risolvere tutto,l'ennesimo piccolo uomo che trova sfogo alla sua rabbia con proiettili e lame,il classico stronzo neofascista.

Simpatie d'estrema destra per il vigile di Cardano ·

Indagini, arrestato non intendeva fermarsi al blitz in comune.
Sparatoria in comune: nel mirino giudici e politici

MILANO- Giuseppe Pegoraro, l'ex vigile di Cardano al Campo sospeso dal servizio che ieri ha sparato al sindaco e al vicesindaco, prima di essere arrestato, non intendeva fermarsi al blitz in Comune. Il rancore che covava comprendeva anche altri soggetti, tra cui i politici di sinistra, i giudici e i finanzieri, e la stampa.
Giuseppe Pegoraro, 60 anni, è stato interrogato ieri pomeriggio dal sostituto procuratore che si occupa del caso, Nadia Calcaterra, subito dopo essere stato portato in Procura dagli agenti del Commissariato di Gallarate (Varese) che lo hanno arrestato. L'uomo ha usato toni rancorosi anche davanti agli inquirenti, convinto di doversi "fare giustizia" a tutti i costi e che "grazie alla armi" avrebbe potuto farlo. Un'apparente quadro persecutorio, insomma, per cui ora l'autorità giudiziaria potrebbe disporre per lui una perizia psicologica per valutarne l'effettiva capacità di intendere e volere. L'ex vice comandante dei vigili ha espresso odio per i giudici che hanno emesso la sentenza di primo grado per truffa e peculato relativamente alla vicenda che lo vede coinvolto con altri sei dipendenti del Comune; per i politici, soprattutto per quelli dell'amministrazione locale, del Pd, quindi "comunisti"; per i giornalisti che lo hanno dipinto "come un mostro" e per i militari della Gdf che hanno compiuto gli accertamenti su di lui. L'uomo ha manifestato convinzioni di "estrema destra" e una mania "per le armi e le cose militari". Il rancore è comunque apparso, al momento, l'unico movente. Durante l'interrogatorio non ha confermato di avere deciso altri obbiettivi precisi, ma la sensazione è che se non fosse stato fermato avrebbe proseguito nella sua folle vendetta.
SPARATORIA IN COMUNE: RANCORE DOPO INDAGINE PECULATO - In cambio di piccole somme di denaro timbrava il cartellino al posto di colleghi assenti che, in questo modo, risultavano regolarmente in servizio e potevano lasciare l'ufficio prima dell'orario di lavoro. Per questo l'ex agente della polizia locale Giuseppe Daniele Pegoraro, che ha sparato al sindaco e al vice sindaco di Cardano al Campo, nell'ottobre del 2012 era stato condannato per truffa e peculato insieme ad altri sei dipendenti del Comune in provincia di Varese. Nelle scorse settimane l'uomo era stato sospeso per sei mesi dal servizio e, probabilmente in seguito alla decisione presa dalla commissione disciplinare del Comune, ha covato quei rancori che lo hanno portato a compiere il folle gesto. La vicenda della truffa dei cartellini risale agli anni tra il 2004 e il 2005, quando sono partite le indagini della magistratura su un gruppo di agenti della polizia locale e dipendenti dell'amministrazione comunale sorpresi mentre timbravano al posto dei colleghi 'assenteisti'. Le condanne in primo grado, dai due ai quattro anni di reclusione, sono arrivate nel 2012. Il Tribunale aveva anche disposto un risarcimento danni al Comune per oltre 60mila euro complessivi. Dipendente di lungo corso del Comune di Cardano al Campo e in passato anche comandante della polizia locale, Pegoraro, condannato a due anni di reclusione, dopo il giudizio in primo grado era stato spostato all'Ufficio tecnico dove si occupava di ecologia e ambiente. Lo scorso 17 giugno si era appellato contro la sospensione dal servizio presentando tramite il suo legale una memoria difensiva che aveva redatto egli stesso, basata anche sugli anni trascorsi al lavoro per il Comune di Cardano al Campo.

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2013/07/02/UOMO-SPARA-CONTRO-SINDACO-VARESOTTO-GRAVE_8960867.html

martedì 2 luglio 2013

A ROMA ANCORA BOTTE DEI MAIALI IN DIVISA

Ieri a Roma si è assistito ad un brutale pestaggio della sbirraglia in tenuta antisommossa durante un corteo per il diritto alla casa che per puro caso sfiorava un piccolo gruppetto di ratti neri che manifestavano per non so cosa e non voglio nemmeno saperlo perché non hanno il minimo diritto di assembrarsi alla luce del sole,fatto sta che il corteo pacifico con migliaia di persone del movimento di lotta per la casa è stato caricato per ben due volte.
Sei persone sono dovute andare in ospedale per medicarsi le ferite procurate dai maiali in divisa,e Roma,a pochi giorni dal cambio alla guida della città dal podestà Alemanno a Marino,sembra nuovamente una città dove lo Stato di polizia trionfa su tutto e tutti,con i soliti beceri metodi fascisti che accompagnano le incursioni barbariche degli sbirri.
L'articolo preso da Infoaut racconta del pomeriggio di ieri e riporta il comunicato scritto prima della sera proprio dal Movimento per il diritto all'abitare.

Roma: la polizia carica i senza casa per difendere i fascisti.
 
Oggi si è svolto  Roma un corteo dei movimenti di lotta per la casa. Come sempre più spesso accade il corteo è stato caricato (per ben due volte!) e una ragazze è rimasta ferita. La manifestazione è partita dal Colosseo per arrivare a piazza Venezia nella giornata in cui si insedia la nuova giunta comunale "Demokratika" di Marino.
Il corteo, cui hanno partecipato migliaia di persone, è stato fermato e caricato a piazza Madonna di Loreto, in fondo a via dei Fori Imperiali, perché la Polizia intendeva "proteggere" e garantire una manifestazione neofascista (la Destra di Castellino), togliendo spazio politico legittimo a chi lotta per un diritto basilare. Ci sono stati 4 feriti. tra cui una ragazza cui è stata aperta la testa a manganellate.
L'iniziativa di oggi segue le quattro occupazioni dello scorso venerdì, di cui una sgomberata da un numero molto grosso di agenti in antisommossa. La mobilitazione intendeva premere sul neo-sindaco perché venga scritto un "piano emergenza casa" che risolva (almeno temporaneamente) la strutturale assenza di case disponibili per senza case a fronte di decine di migliaia di alloggi vuoti.
Il vicesindaco Nieri (Sel) ha quindi incontrato alcuni rappresentanti dei manifestanti (il corteo non è entrato a piazza Venezia ma una delegazione è stata ricevuta in Campidoglio). Mentre scriviamo (h 18) sono giunte le ambulanze e la situazione sembra tornata alla normalità ma il presidio attende il rientro della delegazione.

Il comunicato emesso in serata:
Le cariche immotivate alla manifestazione dei movimenti per il diritto all'abitare avvenute oggi alla fine di via dei fori imperiali hanno portato al ferimento dì 6 persone tutte medicate in ospedale. Tra queste Stefania di 22 anni è tuttora ricoverata presso il Fatebenefratelli con un trauma cranico e 16 punti di sutura sul volto. Mentre un gruppuscolo di neofascisti manifestava in Campidoglio protetto da pacifiche forze dell'ordine, un corteo autorizzato di 5000 persone veniva brutalmente caricato e manganellato mentre rivendicava casa e reddito. Ci chiediamo chi a Roma abbia interesse a far esplodere la tensione sociale trasformando i problemi sociali in questioni di ordine pubblico. Giudichiamo gravissimi i fatti di oggi e per questo chiediamo la rimozione del prefetto e del questore. Allo stesso tempo chiediamo alla politica di svolgere la sua funzione dando risposte e costruendo soluzioni reali.
Movimenti per il diritto all'abitare

lunedì 1 luglio 2013

ULTIMATUM EGIZIANO

Come ampiamente detto nei telegiornali,la situazione egiziana sta arrivando ad un punto di criticità elevato,con l'ultimatum dell'esercito alle forze politiche che è scaduto per poter porre fine alla questione che dovrebbe vedere il presidente Morsi dimettersi dal suo incarico.
Sono giorni che la situazione è sfuggita di mano a molte persone,con parecchie vittime negli scontri che vedono polizia ed esercito bersaglio dei dimostranti,assieme ai simboli del potere del regime che ha visto tra mille polemiche la vittoria dei fratelli musulmani.
Quello che la gente vuole,oltre alle dimissioni di Morsi,è la volontà di avere uno Stato laico senza una guida religiosa,in quanto i fratelli musulmani fanno politica nelle moschee e le ultime leggi promulgate stanno accrescendo una deriva verso l'islamismo.

Ultimatum dell'Egitto in rivolta a Morsi.

Giornata di lotta straordinaria nelle strade egiziane, cominciata festosamente ma trasformatasi poi in un bagno di sangue. Si parla di 14 vittime (10 quelle accertate) e centinaia di feriti.
L’intensità e i numeri della piazza hanno mostrato un importante salto in avanti: non solo rabbia e determinazione, ma anche una ritrovata organizzazione che, unita alla sempre maggiore coscienza popolare, offre ora una seria possibilità di vittoria a questa rivolta mai sopita.
Mentre ancora imperversano gli scontri la piazza ha fissato per domani l'ultimatum a Morsi: dimissioni o la piazza si riprenderà il paese.

Una marea in rivolta riempie le strade egiziane
La lunga settimana di lotta appena trascorsa lo aveva indicato: le manifestazioni, gli scontri e la rabbia nata in tutto il paese si è ricomposta nella giornata del 30 giugno – anniversario dell'insediamento di Morsi. Milioni le persone in strada a battersi, persone diverse, appartenenze politiche, sociali e tribali diverse, ma unite dalla stessa richiesta: via il regime dei Fratelli Musulmani.
Secondo le forze di opposizione almeno in 17 milioni sono scesi per le strade egiziane al grido “Irhal” [Vattene!]. Piazza Tahrir, nuovamente nuovamente al centro della rivolta, è stata teatro di una delle manifestazioni più imponenti – forse la maggiore – mai avvenute dalla cacciata di Mubarak nel 2011.
Non solo il Cairo, ieri a rivoltarsi è stato tutto l’Egitto. Almeno 20 sono state le manifestazioni principali nel paese. Si è lottato non solo in grandi città come Alessandria, Mansura, Menuf, Tanta, Mahalla, Suez, Port Said, ma anche in molti piccoli villaggi e centri sperduti delle vallate si sono visti i segni della rivolta.
A dare forza alla piazza anche le 22 milioni di firme che Tamarod [Ribellione, Insubordinazione], il movimento sotto cui si sono riunite tutte le forze dell’opposizione, ha raccolto in una petizione nata per chiedere le dimissioni di Morsi, nuove elezioni e la redazione di una nuova costituzione. Anche se ormai l’Egitto ha mostrato che le procedure “democratiche” hanno poca presa sulla realtà, fortissimo è stato il segnale di questa iniziativa: a firmare contro il governo sono stati oltre 22 milioni di egiziani, contro i 12 milioni che lo avevano votato nelle controverse consultazioni elettorali. A riprova che - nel caso qualcuno non avesse creduto alla piazza e alle mobilitazioni che da ormai 2 anni e mezzo caratterizzano il paese – la legittimità del regime è ormai perduta.
Svariate le azioni che si sono viste durante queste giornate: se al Cairo sono state occupate piazze e quartieri, incendiate sedi dei Fratelli Musulmani, ad Alessandria per ore il traffico è rimasto bloccato. In altre città come Desouq e Kafr al-Sheikh i manifestanti hanno invece presidiato e chiuso i palazzi governativi.
Se la giornata era inizialmente cominciata in un clima festoso, con milioni di persone – musulmani e cristiani, donne e bambini, tutti insieme a lottare uniti contro il regime – ben presto però è salita la tensione.

I numeri della piazza e la collera dell’Egitto in rivolta
Dal pomeriggio la tensione sale e dilaga in tutto il paese. Le provocazioni della polizia scatenano la rabbia dei giovani a cui giorno dopo giorno viene rubato il futuro.
Scontri si sono registrati nella capitale, nelle vicinanze dei palazzi presidenziali e della “zona rossa”, ma anche in altre città, dal nord al sud del paese. Battaglie durate ore, trainate da una rabbia popolare che si è scatenata contro i simboli del potere e del regime. Scontri con le forze dell’ordine, contro i sostenitori del regime, attacchi ai simboli del potere, come il quartier generale dei Fratelli Musulmani, ripetutamente preso d’assalto e dato alle fiamme.
Almeno 10 sono stati i morti nelle violenze scaturite, anche se alcune fonti parlano già di 14. Non solo morti durante gli scontri. Anche giovani uccisi da cecchini appostati sui tetti delle case, attaccati per la strada e uccisi a bastonate si recavano a una manifestazione. Un clima di terrore che però non spaventa più il popolo egiziano.

La ritrovata forza del movimento
Poche migliaia di manifestanti pro-Morsi si sono riuniti nella contro-manifestazione che da due giorni “occupa” lo spiazzo davanti alla moschea di Rabaa el Adwayea al Cairo, in nome della legittimità del presidente e dello Stato, mostrando la debolezza politica di un regime senza consenso. Nuova linfa ha invece caratterizzato il movimento rivoluzionario.
“Il problema non è Morsi, è la legittimità dello stato”, oppure “Le moschee devono servire per la religione, non per la politica. No alla strumentalizzazione della religione”, così recitavano i cartelli di Piazza Tahrir, e queste sono state le parole d’ordine della giornata. Concetti adesso generalizzati, concetti che in una società fortemente religiosa quale quella egiziana, significano che il popolo è in lotta contro i fondamenti stessi del regime e che ha preso coscienza dei giochi di potere e dell’utilizzo strumentale della religione, degli stessi pilastri su cui si è da sempre basato il governo di Morsi.
Oggi tutto l’Egitto si schiera contro un governo che continua a dire che va tutto bene, che continua a non voler vedere i problemi del paese. Problemi economici, sociali, ma anche una vera e propria ingovernabilità, un clima di insubordinazione sociale generalizzata. Problemi a cui il potere sa rispondere solo ricordando le gloriose giornate, di come “il popolo e lo Stato sono [stati] una mano sola per la Rivoluzione”. Ma l’Egitto non ci sta più, non vuole più aspettare e prende coscienza.
Intanto i manifestanti hanno dato l’ultimatum a Morsi per domani alle 5 del pomeriggio, minacciando di mettere a ferro e fuoco il paese se il governo non si dimette e giurando di non lasciare le strade fino a che il Presidente non rassegnerà dimissioni.
Mentre continuano gli scontri (in questi istanti in centinaia stanno nuovamente assediando la sede dei Fratelli Musulmani al Cairo), mentre molte sono le piazze e le strade che rimangono occupate, il regime continua a stare chiuso nelle stanze del potere, interrogandosi sul prossimo futuro e leccandosi le ferite che la giornata appena trascorsa gli ha inferto…
Sull'argomento, vedi anche:
[Egitto] Che fine hanno fatto le promesse del governo Morsi ai lavoratori? (leggere, in particolare, il Comunicato congiunto: “Insieme butteremo giù il regime”)
Nuova settimana di fuoco in Egitto
«Sentiamo l’odore dei lacrimogeni da Rio a Taksim, fino a Tahrir»