giovedì 11 giugno 2015

LA RUSSIA,L'ITALIA E L'EUROPA

L'articolo preso da Contropiano(http://contropiano.org/internazionale/item/31282-l-europarlamento-isolare-la-russia-fondi-pubblici-per-destabilizzare-mosca )parla dell'attuale situazione russa posta sotto il mirino dell'Ue per la questione ucraina prendendo sputo dall'incontro bilaterale tra l'Italia e la Russia avvenuto ieri.
Dopo che Renzi nell'incontro tra i grandi della terra aveva sostenuto la tesi europea dell'aumento delle sanzioni contro l'ex paese sovietico in un clima di guerra fredda che non si vedeva dalla perestrojka,ieri sembrava un cagnolino ammansito pronto a ritrattare il tutto visto che le aziende italiane stanno perdendo milioni di Euro da quando è stato avviato l'embargo nei confronti della Russia.
Fatto sta che i rapporti tra questi ultimi e l'Europa sono ai minimi storici,e tra la guerra in Ucraina,la costruzione di oleodotti e gasdotti ed il problema terrorismo con Putin si può e si deve parlare,guai a lasciare isolata la Russia e continuare ad inasprire le sanzioni.

L’Europarlamento: “isolare la Russia”, fondi pubblici per destabilizzare Mosca.

Nel giorno in cui il presidente russo Vladimir Putin in visita a Roma incassava la promessa da parte del Papa di recarsi a Mosca nei prossimi mesi – una oggettiva violazione dell’isolamento imposto a Mosca da Ue e Usa – il Parlamento Europeo si dedicava a incrementare la tensione con la Federazione Russa. L’emiciclo di Strasburgo ha infatti approvato ieri una risoluzione, con 494 voti favorevoli, 135 contrari e 69 astensioni, che chiede alla Ue di riesaminare in modo restrittivo le sue relazioni con la Russia, descritte come “profondamente danneggiate dalla violazione deliberata, da parte della Russia, dei principi e dei valori fondamentali democratici e del diritto internazionale attraverso la sua azione violenta e la destabilizzazione politica dei Paesi vicini”. L'UE - sottolinea l'Europarlamento - deve ora elaborare un piano d'emergenza di persuasione per “contrastare le politiche aggressive e divisorie della Russia”. Secondo la grande maggioranza dei parlamentari europei, Mosca sostiene e finanzia i partiti radicali ed estremisti negli Stati membri della UE.
 "Con la sua aggressione contro l'Ucraina e l'annessione della Crimea, la leadership russa ha messo le nostre relazioni davanti a un bivio. Spetta ora al Cremlino decidere la direzione: cooperazione oppure maggiore isolamento", ha dichiarato il relatore del Parlamento europeo, Gabrielius Landsbergis (PPE, LT). "Sono convinto che il popolo russo, come tutti noi, desideri la pace, non la guerra. Un cambiamento in Russia deve venire dal suo interno, può esserci e ci sarà. Nel frattempo, dobbiamo inviare un messaggio forte alla leadership russa, sottolineando la nostra vicinanza alle vittime delle sue aggressioni e a coloro che difendono i valori su cui si fonda l'UE", ha aggiunto.
Gli eurodeputati evidenziano quindi che gli Stati membri dell'UE devono considerare una "priorita' assoluta" essere uniti nei confronti dell'annessione illegale della Crimea da parte della Russia e del suo diretto coinvolgimento nella guerra in Ucraina. Invitano poi i Paesi UE ad astenersi da accordi bilaterali con la Russia, che potrebbero danneggiare l'unità raggiunta.
Come se non bastasse la mozione in questione invita la Commissione – cioè il governo dell’Unione Europea - a prevedere senza indugi finanziamenti adeguati per progetti concreti volti a contrastare “la propaganda russa e la disinformazione russa all'interno e all'esterno dell'UE e a programmare una assistenza finanziaria "piu' ambiziosa" in favore della società civile russa”. Esprime poi preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani e dello Stato di diritto in Russia e chiede la prosecuzione del sostegno dell'UE ai difensori dei diritti umani russi.
Insomma mentre decine di milioni di europei, in particolare i popoli dei Pigs, patiscono gli effetti delle dure misure di austerity imposte da Bruxelles e Francoforte ai governi di Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro, i parlamentari europei chiedono alla Commissione Europea di stanziare fondi pubblici per finanziare attività di propaganda contro la Russia e per sostenere gruppi politici che all’interno del paese di cui si persegue l’isolamento internazionale si prefiggono apertamente il rovesciamento del governo di Mosca. Una decisione che i parlamentari europei dovrebbero spiegare a chi in Italia ed in Europa è giustamente preoccupato per una escalation di tensione con la Russia che potrebbe portare a conseguenze incontrollabili e gravissime. E ancor più immediatamente a quei cittadini e lavoratori che ogni volta che chiedono più soldi per pensioni, lavoro, sanità, istruzione si sentono rispondere dalle autorità europee e dei singoli stati che ‘i soldi non ci sono’.
Mentre l’Ue sostiene i golpisti ucraini e si prefigge un aumento dell’appoggio da sempre accordato alle forze antigovernative in Russia, pretende che Mosca non faccia altrettanto in territorio europeo per proteggere i propri interessi. Con una elevata dose di faccia tosta, i deputati europei esprimono preoccupazione perché la Russia si posizionerebbe come un rivale della cosiddetta “comunità democratica internazionale” e sostiene e finanzia i partiti radicali ed estremisti negli Stati membri dell'UE. Quindi i deputati chiedono alla Commissione e agli Stati membri un meccanismo coordinato per il monitoraggio dell'assistenza finanziaria, politica o tecnica fornita dalla Russia ai partiti politici e ad altre organizzazioni all'interno dell'UE, al fine di valutarne l'influenza a livello della vita politica e dell'opinione pubblica. La Commissione dovrebbe, inoltre, proporre una legislazione per garantire la completa trasparenza sui finanziamenti politici e sul finanziamento dei partiti politici dell'UE da parte di soggetti politici o economici al di fuori dell'UE.
Anche in questo caso con una enorme dose di ipocrisia dopo che pochi giorni fa il G7 ha ribadito le sanzioni e le minacce contro la Russia, la risoluzione condanna anche la lista nera della Russia che impedisce a 89 politici e funzionari europei l'acceso nel territorio russo, definendo la misura "arbitraria", una violazione del diritto internazionale, degli standard universali e un ostacolo alla trasparenza. Insomma Mosca non avrebbe il diritto, secondo i parlamentari europei, di imporre sanzioni a chi ha iniziato una guerra commerciale, diplomatica e anche militare contro la Russia? Evidentemente sono in molti a pensare, ipocritamente e anche molto ingenuamente, che le sanzioni e la guerra siano appannaggio soltanto dell'occidente...
Utilizzando il consueto meccanismo del bastone e della carota, i deputati di Strasburgo sostengono che nel lungo periodo siano possibili e auspicabili rapporti costruttivi tra l'UE e la Russia, a vantaggio di entrambe le parti, ma sottolineando che la cooperazione può essere ripresa in considerazione a condizione che la Russia rispetti l'integrità territoriale e la sovranità dell'Ucraina, inclusa la Crimea, attui pienamente gli accordi di Minsk e metta fine alla destabilizzazione delle attività militari e di sicurezza alle frontiere degli Stati membri dell'UE.

mercoledì 10 giugno 2015

PROPAGANDA INUTILE

L'articolo preso da Senza Soste dovrebbe mettere fine alle polemiche scatenatisi negli ultimi gion in merito alle minacce e alle provocazioni leghiste di Maroni e di Salvini di interferire nella politica di accoglienza dei migrati.
Gli annunci delle regioni Lombardia,Veneto e Liguria di non voler accettare più gli immigrati provenienti dal sud Italia con la voce grossa di Maroni che vorrebbe tagliare i fondi ai sindaci che accetteranno le persone e con Salvini pronto ad occupare le Prefetture vengono prontamente smentiti dalla Costituzione e dalle regole che l'Europa e l'Italia hanno su questi argomenti e che forse Maroni si dimentica di averle pure firmate.
La loro è solo mera propaganda politica destinata ad esaurirsi alla prossima tornata elettorale nei casi dove c'è il ballottaggio in qualche comune,per il resto sono le solite parole al vento.
 
Perché Maroni non potrà dare seguito alle sue minacce sui migranti.
Il presidente della Lombardia Roberto Maroni ha dichiarato che ridurrà i trasferimenti regionali ai sindaci che continueranno a ospitare nuovi immigrati. Giovanni Toti e Luca Zaia, che governano Liguria e Veneto, si sono schierati al suo fianco. Tecnici e analisti spiegano perché non potranno farlo.
  1. Non sono le regioni che decidono le politiche dell’immigrazione in Italia. È lo stato che ha competenza in materia. “Lo sancisce l’articolo 117 della costituzione”, spiega Raffaele Bifulco che insegna diritto costituzionale all’università Luiss di Roma. Le regioni hanno competenze che finiscono per rientrare in questo grande tema soprattutto a livello concreto e organizzativo, come la gestione dei fondi destinati all’assistenza sociale o alla sanità. Ma la costituzione, all’articolo 2, stabilisce il principio secondo cui l’Italia difende i diritti di tutti. “Un presidente della regione che cerca di impedire a un comune di mettere in pratica ciò che è stabilito tra i principi fondamentali della nazione, va contro la costituzione. Semplicemente, dice una cosa di sicuro effetto mediatico, ma senza alcun fondamento legale”, conclude Bifulco.
  2. Oltre alla costituzione, vari trattati internazionali e direttive europee obbligano l’Italia ad accogliere i richiedenti asilo, “dal momento in cui mettono piede nel paese fino al termine, positivo o negativo, dell’iter burocratico della domanda d’asilo”, commenta Gianfranco Schiavone, esperto di diritto d’asilo dell’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che cita tra gli altri la direttiva numero 33 che l’Unione europea ha approvato nel 2013.
  3. Proprio perché le regioni non hanno competenze in materia di immigrazione, non sono loro che decidono a chi dare o meno i soldi per l’accoglienza. “Le regioni non dispongono di fondi specifici destinati ai profughi. Le risorse che servono per aprire centri e presidii sono europee e statali”, specifica Ennio Codini, professore di diritto pubblico all’università Cattolica e consulente dell’Ismu. “È una leggenda metropolitana quella secondo cui i comuni o le regioni mantengono di tasca propria i richiedenti asilo presenti sul loro territorio”, chiarisce Schiavone. È vero che le regioni dispongono di fondi destinati genericamente all’assistenza, “quelli che servono per le mense per i poveri o per i dormitori per i senza tetto per esempio”. Ma “come può una regione decidere che alcuni comuni aiutano troppo gli stranieri e tagliare finanziamenti che sono destinati anche agli italiani?”, si chiede il professor Codini. “Sarebbe un controsenso”.
  4. Infine, nemmeno un anno fa, sono state le regioni stesse, insieme ai comuni e alle province, a concordare e firmare con il ministero dell’interno un piano operativo sulla gestione degli immigrati. In quel protocollo ognuno si impegnava a fare la sua parte. Riassume Schiavone: “Si stabiliva il principio dell’accoglienza diffusa e cioè che i richiedenti asilo che arrivano in Italia devono essere distribuiti fra le 20 regioni, a seconda del numero di abitanti e del tenore economico di quella regione. Non si capisce perché a un anno dalla firma, alcuni governatori decidano di venir meno alla parola data”.
9 giugno 2015

martedì 9 giugno 2015

IL VOTO MESSICANO

Le elezioni legislative messicane hanno visto una percentuale di astensionismo pari al 53% dei votanti,fatto suggerito dalla campagna per il boicottaggio che ha visto soprattutto i parenti e gli amici dei 43 desaparecidos della scuola normale rurale di Ayotzinapa nello stato del Guerrero i maggiori fautori.
L'articolo preso da Infoaut parla degli incidenti e dei sabotaggi di molti seggi,alcuni addirittura non si sono potuti costituire,e delle reazioni della polizia che ha provocato feriti e un uccisione di un insegnante a Tlapa.
Questo comitato chiede in primis la verità sulla sparizione dei 43 studenti certamente uccisi,la totale demolizione dell'attuale apparato politico del narcogoverno messicano e la punizione esemplare di questi.
Verso la fine del contributo vi sono i risultati elettorali che hanno visto la vittoria del partito dell'attuale maggioranza del Pri anche se ha perso parecchi deputati.

Boicottaggio elettorale in Messico: oltre 50% di astensione, morti e feriti.

Grande successo della campagna per il boicottaggio delle elezioni legislative in Messico, dove l'astensione totale si è attestata al 53% e in diversi stati – soprattutto Guerrero, Michoacan e Oaxaca - l'incendio dei seggi e delle schede elettorali iniziato diversi giorni fa è riuscito ad impedirne lo svolgimento quasi completamente. La campagna, rilanciata soprattutto dai genitori e dai compagni dei 43 studenti di Ayotzinapa scomparsi nel settembre del 2014 con la complicità delle autorità locali e federali, ha raggiunto il suo culmine nella giornata del 7 giugno, giorno delle elezioni, che si è caratterizzata per gli alti momenti di tensione registratisi in tutto il paese a causa degli scontri con le forze dell'ordine poste a difesa dei seggi.

A Tixtla, nel Guerrero, genitori, studenti e docenti della scuola normale di Ayotzinapa hanno impedito l'installazione di almeno 28 seggi su un totale di cinquanta, dopo che una settimana fa avevano dichiarato di volere impedire lo svolgimento delle elezioni fintanto che i 43 normalistas scomparsi non fossero ricomparsi e i candidati governativi non si fossero svincolati dagli strettissimi rapporti che li legano alla criminalità organizzata e ai cartelli della droga, insieme ai quali esercitano un fortissimo controllo sui Congressi (locali e nazionale), sui governatori degli stati e su numerosi sindaci. Nonostante alcune élite di potere abbiano infatti tentato di riciclarsi utilizzando lo stratagemma dei “candidati indipendenti”, la verità è che, almeno negli Stati come Guerrero e Michoacan, nulla si muove se i cartelli non lo consentono. In ballo, infatti, non c'è solamente la conquista di un comune o di un distretto, ma la riorganizzazione dei diversi business della criminalità organizzata – in particolare dei cartelli Guerreros Unidos, Ardillos e Rojosche - che è quindi pronta ad utilizzare qualsiasi mezzo, compreso l'omicidio e la sparizione forzata, come dimostra la morte di 21 candidati nelle settimane precedenti alle elezioni.

La tensione nella città di Tixtla è cominciato la sera di sabato quando, approfittando di due blackout, alcuni gruppi di persone al soldo del PRI (Partido Revolucionario Institucional, il partito di maggioranza di cui fa parte il presidente Enrique Peña Nieto) hanno minacciato le persone presenti alle iniziative del #BoicotElectoral. Nonostante le provocazioni - che hanno raggiunto l'apice con lo sgombero del municipio e dell’auditorium occupati l’ottobre scorso e il ferimento di tre persone - dalle 7 del mattino di domenica i militanti e gli attivisti presenti hanno iniziato a recarsi nei seggi chiedendo agi elettori presenti di poter prelevare il materiale e le schede elettorali per poterli distruggere senza trovare grandi resistenze nella popolazione. Il boicottaggio è poi proseguito per tutta la giornata, nonostante gli elicotteri della polizia federale sorvolassero costantemente la città e ci fosse il timore di attacchi squadristici; verso mezzogiorno poi l'Istituto elettorale del Guerrero ha annunciato che le elezioni comunali a Tixtla sarebbero state annullate a causa della distruzione di oltre il 20% delle schede elettorali, provocando così l'irritazione dell'Instituto Nacional Electoral che ha invece deciso di conteggiare ugualmente le pochissime schede valide e decretando poco dopo la vittoria del candidato del PRI.

L'episodio più grave si è però verificato a Tlapa, dove la polizia federale ha fatto irruzione in una sede del sindacato CETEG (Coordinadora Estatal Trabajadores de la Educación-Guerrero, tra i più attivi nel supportare la lotta per i 43 di Ayotzinapa) arrestando 8 insegnanti e provocando la reazione della popolazione locale che, in tutta risposta, ha sequestrato 35 poliziotti che sono poi stati liberati in cambio del rilascio degli arrestati. In serata però, polizia e reparti dell'esercito hanno fatto irruzione nel quartiere di Tepeyac per cercare i portavoce del sindacato; durante il blitz, durante il quale sono stati lanciati diversi lacrimogeni e proiettili di gomma, un insegnante, Antonio Vivar Díaz, è stato colpito da un proiettile sparato dagli agenti ed è morto. Il bilancio finale della retata è poi stato di sette arresti e 4 feriti.

Nello stato di Oaxaca invece le azioni di boicottaggio si sono verificate principalmente nei paesi più piccoli, dove gli insegnanti del sindacato CNTE (Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación), dopo avere bruciato diverse cabine e schede elettorali, hanno impedito l'ingresso di militari e di polizia inviati per verificare l'avvenuta installazione dei seggi. In conseguenza di ciò la polizia federale ha arrestato almeno 88 docenti della Sezione 22 del CNTE nella zona delle città di Oaxaca e di San Bautista Tuxtepec, rilasciandoli poi nella giornata di ieri. Le azioni di boicottaggio sono comunque riuscite ad impedire l'installazione di circa il 9% delle sezioni dello stato.

Diverse altre iniziative di boicottaggio si sono tenute anche in Chiapas, con l'incendio di diverse sedi di partito, e in Michoacán dove le comunità indigene di Urapicho, Pichátaro, Tingambato, San Felipe De Los Herreros e Chaparan hanno impedito l'installazione delle sezioni. Numerosi media indipendenti riportano poi come il rifiuto del meccanismo elettorale si sia espresso anche tramite l'annullamento delle schede, sulle quali migliaia di messicani hanno espresso il proprio disprezzo per la classe politica scrivendo frasi riguardanti i più recenti episodi di repressione nei confronti dei movimenti sociali. Anche il collettivo di cyber hacktivisti Anonymous ha poi dato il suo appoggio alla lotta del #BoicotElectoral defacciando il sito della Camere dei Deputati con frasi di appoggio ai normalistas di Ayotzinapa e agli insegnanti di Oaxaca e pubblicando online un database con i contratti milionari che diverse aziende hanno stretto con i parlamentari.

Una mobilitazione capillare e sostanzialmente riuscita, grazie alla mobilitazione di migliaia di persone spinte soprattutto dalla determinazione dei genitori dei 43 normalistas di Ayotzinapa, che negli ultimi 9 mesi hanno dimostrato una ferma determinazione nel rilanciare la lotta per i desaparecidos e riuscendo così a trainare a sé buona parte delle istanze sociali negli stati più poveri del Messico. Un boicotaggio effettivo, che vede come contraltare una sostanziale riconferma dei precedenti assetti di potere, con il PRI che perde una quindicina di deputati (29%) ma si conferma prima forza del paese, seguito dai conservatori del Partito di azione nazionale (Pan) al 21%, il Partito della rivoluzione democrática (PRD, centrosinistra)  dimezza i suoi consensi e arriva all’11%, in favore del Movimento di Rinnovamento Nazionale (Morena, all’8,5%) fondato da Manuel Lopez Obrador, ex sindaco di Città del Messico, dove Morena è il primo partito.

Ma, al di là delle cifre, rimane evidente il dato di uno scollamento sempre più evidente tra le istituzioni del “narco-estado” e la popolazione messicana, costretta a vivere sotto il controllo sempre più opprimente delle forze di sicurezza che reprimono qualsiasi forma di dissidenza e il più delle volte risultano colluse con gli apparati locali della criminalità organizzata. In una dimensione di scollamento quasi totale tra i rappresentanti del potere - sia esso imposto tramite le logica prevaricatrice del sodalizio tra cartelli e istutizioni locali o tramite la farsa della “legittimità” democratica - e popolazione, il segnale positivo da cogliere è senz'altro quello relativo alla volontà di rigettare entrambi i meccanismi in maniera esplicita nell'ottica di organizzare dal basso nuove forme di cogestione della vita. E, in questo senso, la molteplicità di lotte sul territorio messicano e il loro tentativo di ricomposizione sul terreno dello scontro non può che essere considerato come un riuscito tentativo iniziale.

domenica 7 giugno 2015

LA COPPA DEL RE AFFARE CATALANO E BASCO

Un passo indietro parlando di una finale che riguarda il Barcellona fresco campione d'Europa ma per l'appunto non parlo di quella di ieri sera vinta contro la squadra più vergognosa d'Italia ma bensì della Coppa del Re in Spagna che come sempre quando ci sono le squadre catalane del Barcellona e quella basca dell'Athletic Bilbao ha connotazioni politiche e non solo calcistiche.
L'articolo sotto preso da Senza Soste parla di entrambe le componenti,passando dalla superiorità in campo dei blaugrana ai fischi all'inno spagnolo,dove stavolta la famiglia reale ha avuto la decenza di non presentarsi anche se la Coppa porta il nome del monarca complice negli anni della dittatura del franchismo e in quelli attuali della persecuzione delle minoranze prime tra tutte quella basca e quella catalana.
 
Athletic Bilbao-Barcellona: "Cosa resterà (di questa finale)".

Foto Athletic-club.eus.
 
Quando giochi e perdi contro i marziani, inutile recriminare o tentare di spiegare la sconfitta con argute analisi tecnico-tattiche. Il Barcellona è più forte, il Barcellona ha meritato, il Barcellona ha vinto. Personalmente credo che Valverde abbia sbagliato formazione e che la squadra avrebbe potuto fare qualcosa di più, se non altro sul piano della cattiveria agonistica (che si è vista solo negli ultimi 10 minuti). Ma sono discorsi che lasciano il tempo che trovano. Trovo molto più gratificante pensare a quello che abbiamo vissuto noi tifosi zurigorri in trasferta in Catalunya, anche se siamo tornati ancora una volta a casa a mani vuote. E allora, cosa resterà di questa finale di Copa del Rey 2014/2015?
Resteranno le facce. Tante facce. Facce piacevoli e facce spigolose, come solo quelle basche sanno essere; facce distrutte dalla fatica e provate dalle troppe cañas; facce allegre prima del calcio d’inizio e tristi dopo il triplice fischio finale; facce euskaldunak, italiane, catalane, straniere, bianche, nere, gialle, di ogni luogo e ogni ambiente. Facce della mejor afición del mundo.
Resteranno i fischi. Fischi che hanno coperto totalmente l’inno spagnolo. Fischi che hanno generato polemiche feroci: sull’indipendentismo, sull’eredità del regime franchista, sui limiti della libertà d’espressione. Fischi che ognuno ha interpretato a modo suo: illegittimi, indelicati, sacrosanti, inopportuni, perfettamente legali, meritati, liberatori. Fischi che, piaccio o meno, ci sono stati e ci saranno sempre quando scenderanno in campo quelle due squadre.
Resteranno i gol, bellissimi. La prodezza maradoniana di Messi, chiuso in un angolo da quattro avversari e capace di saltarli tutti come se praticasse uno sport diverso; i sei tocchi di fila prima dell’appoggio facile facile di Neymar; Messi, ancora lui, che prende 3 metri con un solo scatto a Bustinza; e il colpo di nuca di Williams, un segno del destino, la promessa di un nuovo campione sbocciato all’ombra di Lezama.
Resteranno gli antisportivi. I tifosi culé che, pur ospiti nell’Athletic Hiria, si sono messi a sfottere i loro “fratelli” baschi, consapevoli che lì non avrebbero rischiato nulla. E Neymar, uno che si commenta da solo con la sua espressione da bimbominkia perenne; Neymar che, sul 3-0, si permette di irridere l’avversario più in difficoltà, Bustinza, con un giochetto buono solo per le spiagge di Copacabana; Neymar che viene metaforicamente bastonato da Luis Enrique e Piqué, loro sì persone di notevole spessore sportivo; Neymar che deve ringraziare perché non sono più i tempi di Goiko e “Rocky” Liceranzu; Neymar che spero ci riprovi sabato a Berlino, magari con Bonucci davanti.
Resteranno le lacrime. Di vittoria per qualcuno (ma non molti, ché la vera finale per loro è quella del 6 giugno), di sconfitta per tanti, troppi altri. Lacrime disperate color biancorosso, lacrime che versiamo per la quarta volta consecutiva tra Copa del Rey e Europa League. Lacrime amare che, ne sono sicuro, prima o poi diventeranno lacrime di gioia.
Resterà la consapevolezza. La consapevolezza di far parte di una tifoseria stupenda, che a volte si bea anche troppo della propria unicità in detrimento di una sana incazzatura, ma alla quale vogliamo un bene dell’anima proprio per questo. La consapevolezza di poter contare su una curva, una grada popular, estremamente viva e vitale, una grada che merita di più di uno spicchio del nuovo stadio; la coreografia e lo striscione iniziale riempiono il cuore di orgoglio e spingono a dire solo e soltanto grazie a quei ragazzi fantastici. La consapevolezza, infine, di avere una squadra giovane e piena di elementi di talento; una squadra che, in prospettiva, può togliersi quella soddisfazione che manca dal 1984: sollevare un trofeo.
Resterà un video che rappresenta meglio di tanti discorsi cos’è l’Athletic. Aldilà di ogni retorica spiccia, la finale l’abbiamo davvero giocata tutti. Continueremo a farlo ogni volta, finché il dio del calcio si ricorderà di noi, un giorno, e ci farà alzare quella benedetta Coppa. Ma anche se non dovesse succedere, anche se dovessero passare altri 50 anni senza vincere nulla, l’Athletic resterà sempre com’è, fedele a sé stesso e alla sua tradizione. Perché solo a Bilbao, come ha detto Muniain, è meglio arrivare secondi che vincere.
5 giugno 2015

sabato 6 giugno 2015

VIGILIA ELETTORALE DI SANGUE IN TURCHIA

La campagna elettorale per le prossime elezioni di domani in Turchia è stata funestata da un grave attentato nella città di Diyarbarik mentre il leader del partito filo curdo Hdp Demirtas stava tenendo un comizio:quattro le vittime e un centinaio i feriti.
Diyarbarik è ritenuta la capitale curda in Turchia e nelle sue zone,a Lice,poco più di un anno fa la polizia aveva ucciso due persone durante una manifestazione di protesta contro la costruzione di una caserma.
Domani l'attuale Presidente Erdogan vorrà aumentare il proprio consenso e quello del suo partito filo islamico Akp per poter riscrivere la Costituzione e per aumentare il potere decisionale in un presidenzialismo sempre più marcato.
Se dovesse ottenere i due terzi dei voti potrebbe fare questo senza passare per un eventuale referendum,mentre il partito dell'Hdp vorrebbe raggiungere la soglia almeno del 10% per poter sbarrare la strada alle mire politiche sempre più minacciose e distruttive di Erdogan.
Articolo preso da Infoaut.

Turchia. Esplosione al comizio del partito filo-curdo: quattro morti.
 
Turchia: ieri a Diyarbakir il comizio elettorale del leader del partito filo-curdo Hdp è stato attaccato con due violente esplosioni che hanno provocato almeno 4 morti e centinaia di feriti tra la folla che riempiva la piazza. Dopo l'attacco in tutta la città sono scoppiati scontri con la polizia, mentre oggi una grande folla è tornata nel luogo degli attacchi bomba di ieri depositando fiori e cartelli.
Sale la tensione in Turchia alla vigilia del voto di domenica. Ieri l’ultimo comizio del leader del partito filo-curdo Hdp, Selahattin Demirtas, a Diyarbakir, è stato il teatro di una duplice esplosione che ha fatto almeno quattro morti e decine di feriti tra la folla accorsa ad ascoltare il leader dell’Hdp, che minaccia la supremazia del presidente Recep Tayyip Erdogan, alla guida del Paese dal 2002.

Le deflagrazioni si sono verificate in un cestino dei rifiuti e in una centralina elettrica. Non è ancora chiara la dinamica dell’accaduto, ma il ministro dell’Energia ha escluso l’esplosione accidentale.

Al comizio nella città meridionale erano accorse decine di migliaia di persone. Dopo le esplosioni, Demirtas ha laniato un appello alla calma. Il sangue che ha bagnato il comizio è una provocazione che rischia di innescare disordini quando manca un giorno all’apertura delle urne per le politiche, delineatesi sempre di più come una sorta di referendum su Erdogan e sul suo partito filo-islamico AKP.

Demitras e l’Hdp sono l’ago della bilancia di questo appuntamento elettorale su cui Erdogan punta per imprimere  cambiamenti sostanziali alla Costituzione, virando verso un presidenzialismo spinto. Sebbene l’AKP registri una flessione dei consensi, il presidente spera di ottenere i due terzi dell’Assemblea. Numeri che gli consentirebbero di modificare la Carta senza passare dalla consultazione popolare.

Demitras, però, potrebbe guastargli la festa. L’Hdp punta a superare la soglia del 10 per cento per entrare in Parlamento e così avrebbe i numeri per bloccare i piani di Erdogan: nuova Costituzione con più poteri al presidente.

Il partito filo-curdo è stato obiettivo di diversi attacchi in questa campagna elettorale per un voto che ormai si è trasformato in un referendum su Erdogan. Giovedì scorso ci sono stati scontri a un comizio dell’Hdp a Erzurum, con decine di feriti. All’inizio della settimana ignoti hanno aperto il fuoco su un bus dell’Hdp nella provincia a maggioranza curda di Bingol, uccidendo l’autista. Nena News

da Nena News

Leggi anche: "Strage ad Amed (Diyarbakir): 4 morti e oltre 400 feriti al comizio HDP" della Carovana per il Rojava

venerdì 5 giugno 2015

ROMA CAPUT MAFIA

Ve la ricordate la foto dell'ex capo Legacoop ed ora Ministro del Lavoro Poletti nel magna magna romano dello scorso dicembre seduto a tavola(nel 2010)con Alemanno e Ozzimo,Panzironi e Buzzi,e Marroni padre e figlio?(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2014/12/magna-magna.html ).
Era solo l'antipasto,diciamolo sempre in tono mangereccio,di quello che sta ancora accadendo a Roma e l'articolo sotto preso da Infoaut parla dei nuovi arresti dai fascisti ai piddini che sono stati effettuati ieri e sempre per motivi legati alla speculazione sui migranti ed alla spartizione dei fondi destinati alla loro accoglienza.
Si va dall'amico di Caga Povnd Gramazio legittimo figlio del padre senatore a Coratti ex presidente del consiglio comunale per arrivare al sovra citato Ozzimo:per loro le solite accuse di associazione di tipo mafioso,turbativa d'asta,corruzione.
Roma Caput Mafia

Mafia capitale:lo schifo bipartisan del mondo di sopra.

La città di Roma è stata oggi teatro di una nuova operazione, la seconda ondata di "Mafia Capitale", che ha visto 44 persone finite agli arresti (19 in carcere e 25 ai domiciliari) per le solite accuse: associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d'asta. Anche questa volta, nomi illustri figurano nella lista delle persone coinvolte.
Primo su tutti Luca Gramazio, il quale ha basato la gran parte della sua carriera politica, oltre che sui lasciti elettorali paterni, sul merito di essere "amico di Casapound". Ed infatti a questo personaggio viene imputato proprio il ruolo di essere stato il tramite fra la pubblica amministrazione e la criminalità mafiosa, ovvero il suo compito era quello di capire che tecniche amministrative utilizzare per riuscire a mangiare più soldi possibili. Ma da dove venivano sottratti questi soldi? Proprio dai fondi destinati alla gestione dell'emergenza migranti, dell'emergenza abitativa e di tutti quei problemi che affliggono i quartieri della città. Quegli stessi problemi che vengono agitati da questi fascisti per soffiare sul fuoco della guerra fra poveri, tentando di distogliere l'attenzione dalla vera questione, la dolosa gestione del comune di Roma, elevata a sistema proprio dal loro sodale più in vista, Gianni Alemanno.

Proprio ieri a via Battistini abbiamo visto come Casapound abbia convocato un presidio dichiaratamente razzista che contava ben 50 partecipanti, i quali prendendo disgustosamente a pretesto l'incidente stradale della settimana scorsa che ha portato alla morte di Cory, sbraitavano sotto lo guardo attonito dei passanti slogan xenofobi contro rom e immigrati. Presidio che si è potuto svolgere solamente perché un ingente schieramento delle forze dell'ordine ha caricato una manifestazione di centinaia di antirazzisti, che si erano ritrovati in quella piazza proprio per evitare che si continuasse a sciacallare su questo episodio tragico. La rivendicazione di questi individui era come al solito il loro leit motiv "prima gli italiani": evidentemente con questo slogan intendevano legittimare la ruberia dei soldi pubblici che effettivamente negli ultimi anni sono finiti tutti nelle loro italianissime tasche.

Come al solito però, quando si parla di soldi, si consacra una comunione di intenti bipartisan. Perciò vediamo anche che Coratti, ex presidente del consiglio comunale, e Ozzimo, ex assessore alla casa del Comune, sono anche loro invischiati in questa vicenda accusati a vario titolo di aver indirizzato gli appalti pubblici a cooperative a loro amiche soprattutto in riferimento all'emergenza migranti e all'emergenza abitativa. Temi molto caldi nella città di Roma, la cui criminale gestione ha portato al fatto che in alcuni quartieri la situazione diventasse insostenibile. L'operazione di oggi, come quella del dicembre scorso, dimostra ancora una volta che il tanto sbandierato "degrado di Roma", su cui alcuni personaggi basano la loro campagna politica, non si è dato da solo ma è frutto di una gestione  volutamente scellerata e clientelare della città. Una gestione che ha sempre avuto la necessità di perpetuarsi per sostenersi, alla faccia della discontinuità proclamata da ogni nuovo sindaco. Emerge anche una nuova figura di costruttore, quello degli stabili da destinare all’emergenza e Pulcini è solo uno di questi. Dunque la città si disegna ancora una volta sugli interessi della rendita e dei profitti possibili, da ricavare senza remore anche dalla sofferenza delle persone.

Le reazioni della politica non si sono fatte attendere con Marino che si vanta della recente nomina di Alfonso Sabella ad assessore alla legalità e commissario straordinario del municipio di Ostia. Una nomina vergognosa e paradossale in quanto il succitato signore in passato ha avuto ruoli dirigenziali nella gestione della polizia durante il g8 di Genova 2001 ed assistito inerme, se non proprio coordinato, le torture di Bolzaneto. Un personaggio atroce, dunque, chiamato a ristabilire la legalità nella città di Roma.

Questa vicenda ci regala un quadro disastroso di tutta l'amministrazione comunale: affari gestiti da settori criminali più o meno inseriti nelle fila di vecchie e nuove destre, una sinistra arruolata ormai nel partito dei solvibili e del denaro, torturatori che si fanno carico della legalità. Come al solito chi ci rimette in queste circostanze sono le periferie della città, vessate da anni e anni di corrotta amministrazione, che attualmente fra sfratti e sgomberi delle occupazioni delle case popolari, sono completamente abbandonate alla loro povertà. Noi sappiamo bene da che parte stare, sappiamo che questa risma di signori sono il nostro nemico, come lo sono anche tutti coloro che speculano sui disagi, e ormai da parecchio tempo abbiamo capito che solamente con la solidarietà delle lotte e con decisive pratiche di riappropriazione possiamo riconquistare pezzi di libertà, di reddito e di dignità che ci vogliono sottrarre. O peggio ancora farne oggetto di mercato, dentro una contrattazione destinata a lasciarci solo briciole di welfare o dentro un’offerta di cooptazione nella gestione dell’emergenza.

giovedì 4 giugno 2015

NULLA DI NUOVO SOTTO IL SOLE

Lo sciacallaggio mediatico sull'incidente che ha portato alla morte della donna filippina ad opera di alcuni rom che si sono dati alla fuga continua sulle emittenti nazionali e sui quotidiani col bene placito della massa di razzisti che se la ghignano e si compiacciano di tale non disinteressato contributo da parte degli organi di disinformazione.
Da giorni c'è chi parla costantemente del fatto e ci mangia sopra per scopi elettorali,e il caso di ieri a Roma è la diretta conseguenza di questa campagna dell'odio:infatti la polizia nuovamente ha caricato i manifestanti antirazzisti uniti assieme ai migranti che manifestavano a breve distanza di un presidio di Ca$$a Povnd che forse non sanno che stanno sì blaterando il loro odio verso i rom ma stanno anche difendendo una migrante.
Fatto sta che hanno potuto proseguire nel loro scopo di propaganda nazifascista protetti come sempre dai celerini che le hanno manganellato il corteo de centri sociali:articolo preso da ecn.org.

Incidente Boccea, Spintoni e manganellate al presidio antirazzista.

Incidente Boccea, sit-in di Casapound: tensione alta nel quartiere. Spintoni e manganellate al presidio antirazzista

Due manifestazioni indette in via Battistini. Non autorizzata quella dei centri sociali, allontanati anche dal marciapiede dagli agenti in tenuta antisommossa. La Questura: "Trovato borsone con mazze di legno". L'organizzazione di estrema destra: "Chiudere i campi rom"


Tensione a Boccea davanti alla stazione della metro Battistini, nel luogo in cui mercoledì scorso un'auto ha travolto nove persone, uccidendone una. Proprio in quel punto era convocato un sit-in di comitati di quartiere guidato da CasaPound, l'organizzazione di estrema destra di via Napoleone III. Un'iniziativa a cui movimenti antirazzisti e centri sociali hanno risposto indicendo una contro-manifestazione non autorizzata che è stata però caricata.

Il presidio (un centinaio di persone dietro lo striscione "Solidarietà per Corazon e tutti gli immigrati") era fermo sul marciapiede, senza intralciare la strada, ma dopo un'ora di interventi e cori sono intervenute le forze dell'ordine in tenuta antisommossa. "Vi intimo di disperdervi" l'ordine urlato al megafono da un funzionario dopo aver fatto allontanare i giornalisti. Qualche istante e sono volati spintoni mentre i manganelli si sono alzati contro il presidio. I ragazzi sono stati respinti su via Mattia Battistini a 300 metri dalla fermata del bus davanti a cui era stato convocato il sit-in, ben lontani dalla manifestazione di CasaPound che ha sfilato dietro i tricolori ("Alcuni italiani non si arrendono" lo striscione) e le tartarughe simbolo del movimento di Iannone. La strada è stata chiusa dai blindati delle forze dell'ordine per tutto il pomeriggio. In serata a Questura ha fatto sapere che "durante l'attività di mediazione, volta a far allontanare i presenti affinché non venissero in contatto con i manifestanti di Casapound è stato rinvenuto, sotto la bancarella di un ambulante, un borsone dentro il quale, sono state trovate e sequestrate alcune mazze di legno".

"Sarò strano io, ma non capisco come si possa autorizzare una manifestazione razzista a Casapound e vietare un presidio antirazzista Boccea" ha commentato, su Twitter, il vicesindaco di Roma Luigi Nieri.

L'organizzazione di destra è scesa in piazza per chiedere di "chiudere i campi rom di via Cesare Lomborso e e via della Monachina". ''La situazione nel quartiere - si legge in una nota del movimento di destra radicale - è da tempo insostenibile. Casapound lo evidenzia da mesi. È arrivato il momento di promuovere una mobilitazione politica affinché questi centri di illegalità e degrado vengano chiusi''. "Siamo qui a difendere il nostro popolo come abbiamo sempre fatto" hanno spiegato poi al megafono alcuni manifestanti, tra cui Simone Di Stefano, pluricandidato di Cpi a Regionali e Comunali nel Lazio prima e in Umbria all'ultima tornata elettorale. "Non siamo razzisti, noi guardiamo la realtà" hanno detto poco prima di aggiungere: "Bisogna aiutare prima gli italiani e poi forse gli altri", "I rom stranieri vanno espulsi, quelli italiani educati". Poi l'attacco alla sinistra e all'amministrazione comunale: "Non c'è bisogno di un fatto eclatante e si vede cosa fanno i rom. Questa giunta di sinistra non fa altro che proteggerli. Qui ci vogliono le ruspe, i campi vanno chiusi".

Un appello che Francesca Danese e Erica Battaglia, rispettivamente Assessore alle politiche sociali di Roma Capitale e Presidente di commissione, giudicano "tardivo e fuori luogo. Arriva tardi, perché tra gli impegni presi da questa Amministrazione in campagna elettorale c'era anche il superamento del sistema dei campi rom. È fuori luogo perché non interroga la vecchia Amministrazione sull'uso dei fondi in emergenza che il governo Berlusconi diede a Roma per l'ormai noto e fallimentare "Piano Rom" ideato dalla Giunta di centrodestra che guidava la città, piano che ha portato all'allestimento di tre nuovi campi per una spesa esagerata e al completo abbandono e sovraccarico di quelli già esistenti".

I movimenti anti-razzisti e anti-fascisti della capitale avevano invece indetto il contro-presidio scrivendo:
"CasaPound, seguendo l'esempio del suo capo Salvini, intende continuare a speculare sulla morte di una di quelle migranti che vorrebbero cacciare dal paese. La comunità filippina ha già dimostrato una dignità inarrivabile per questi avvoltoi fascisti del terzo millennio. Noi, ricordando a Salvini e a Casa Pound che la campagna elettorale è finita, abbiamo intenzione di impedire che quel presidio compia l'ennesimo scempio della memoria di Cory".