venerdì 29 maggio 2020

L'ORRORE


George Floyd Murder: Twitter Left 'Disgusted' as Video of 3 Cops ...
L'odio e il delirio di onnipotenza,il razzismo e il disprezzo per la vita umana sono gli ingredienti di quello,che grazie ad un video che mi ha lasciato un forte dolore interiore più che la rabbia e visto da milioni di persone,accaduto con l'assassino Derek Chauvin della polizia di Minneapolis che ha ucciso lentamente e con un distacco incredibile George Floyd,letteralmente con le mani in tasca,ci si poteva aspettare che fischiettasse qualcosa mentre quei secondi e quei minuti passavano uccidendo l'ennesimo afroamericano negli Usa con una naturalezza che ci s'immagina che lo abbia fatto tutti i giorni della sua triste ed infame esistenza.
Nonostante le suppliche della stessa vittima,fermata per un presunto reato di poca gravità ma non è questa l'argomentazione in questione,e l'intervento e le richieste di fermarsi da parte di numerosi passanti con le minacce dell'assassino del suo complice in divisa di allontanarsi o disperdersi,facile che abbiano potuto sparare o usare il taser contro di loro,poco a poco siamo stati spettatori di una vita che se ne va.
Il primo articolo parla del problema razzismo negli Stati Uniti dove essere nero è già di per se un pericolo,non che da noi sia meglio anche se episodi di violenza a sfondo razziale stanno purtroppo aumentando,e delle violenza poliziesca contro gli afroamericani che è diffusa in tutto il mondo,vedi il G8 di Genova e la morte di Federico Aldrovandi come i casi più eclatanti(www.bergamonews.it i-cant-breathe-le-ultime-parole-di-george-floyd-vittima-della-polizia-a-minneapolis ).
Nel secondo oltre alla cronaca,qui in un certo modo superflua in quando il video,che si può facilmente trovare in rete,parla più di qualunque commento.c'è la questione delle vittime e delle proteste che sfociano in disordini,in questo caso non solamente a Minneapolis ma in tutti gli Stati Uniti,dove persone di ogni colore si sono unite a manifestare nel nome della giustizia(left george-floyd-colpevole-di-esser-nato-negli-stati-uniti e vedi anche:madn ferguson-come-ferrararomafirenzemilano ).
A proposito,la pattuglia in questione non si sa bene se sia stata sospesa oppure licenziata,sta di fatto che nessun componente sia in galera e che si speri che la giustizia del popolo abbia il suo corso:certe bestie non meritano di respirare.

“I can’t breathe”: le ultime parole di George Floyd, vittima della polizia a Minneapolis

“Essere un nero in America non dovrebbe essere una sentenza di morte” ha dichiarato il sindaco della città, Jacob Frey, eppure perché ancora oggi il colore della pelle diventa una condanna?

di Camilla Amendola
Mentre SkyCinema aggiunge un canale intitolato “NoAlRazzismo” a questa macabra lista di nomi siamo costretti ad aggiungere quello di George Floyd.

Sono solo alcuni dei ragazzi afroamericani freddati ingiustamente dalla polizia americana. Non è importante giudicare i ragazzi che sono morti, perché se la domanda è se qualcuno di questi ragazzi e uomini si era macchiato di qualche reato, allora la risposta è sì, qualcuno aveva commesso qualche reato. Ora che lo sappiamo, però è doveroso sapere anche che non è importante quali eventuali crimine avessero commesso, ma ribadire, ancora una volta, che qualsiasi ragazzo, ragazza, donna e uomo, se colpevole di un qualsiasi reato deve subire un regolare processo e non morire sul ciglio di una strada sotto il ginocchio di un poliziotto.

Si parla di razzismo e non c’è possibilità alcuna di addolcire questa parola con dei sinonimi o degli appellativi più gentili; un uomo che per sette minuti, quattrocentoventi secondi, resta genuflesso sul collo di una persona che lo sta implorando di non ucciderlo e non riesce a respirare è un assassino.

Il video della morte di questo ragazzo è virale, come è stato virale “130 Martin Garrix si vola” e altre centinaia di stupidi contenuti condivisi per farsi una risata.

Davanti agli occhi freddi e all’espressione fiera di quel poliziotto – quasi fosse un cacciatore che ha appena catturato un cinghiale e non ammazzato un uomo – non c’è da ridere. C’è da riflettere, da piangere, da condannare.

Stephen Jackson, ex cestista professionista nella NBA era amico di infanzia di Floyd e non tarda ad arrivare un suo grido di dolore anche dai social. “Love to all who have love for all” così il cestista chiude il decimo dei dodici post dedicati al suo “twin”, così Jackson e Floyd si chiamavano reciprocamente.

Nonostante in Minnesota il Covid stia mietendo vittime, come nel resto degli USA, le persone sono scese in piazza indipendentemente dall’etnia e dal colore della pelle e hanno protestato contro un sistema che in questa occasione si è dimostrato di nuovo fermo a decenni fa, quando gli afroamericani non avevano diritti. Le persone chiedono giustizia e non vogliono più vedere del sangue sulle strade delle loro città.

Questa vicenda ha scosso il mondo, di nuovo. E ha avuto una magnitudo più forte del peggior terremoto.

Questa storia fa portare alla luce un quesito vecchio come il mondo: quali sono le condizioni che permettono di trovare un punto di incontro tra cultura bianca e cultura nera senza che le strade si facciano teatro di simili atrocità?

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George Floyd, colpevole di esser nato negli Stati Uniti.

di Alessia Gasparini
In diversi angoli degli Stati Uniti la polizia fa ancora fatica a uscire dal Diciannovesimo secolo. Ma è da segnalare anche la timida indignazione dei politici “che contano”

«Essere nero in America non dovrebbe essere una sentenza di morte» ha detto il sindaco democratico di Minneapolis, Jacob Frey, commentando l’assurda, razzista uccisione di George Floyd. L’agghiacciante video in cui il quarantaseienne afroamericano viene soffocato a morte da un poliziotto ha fatto il giro del mondo. Mentre le strade di Minneapolis vengono invase da rappresentanti di tutti i movimenti per i diritti civili, primo tra tutti Black Lives Matter, è impossibile non chiedersi: come si può, nel 2020, essere uccisi perché si ha la pelle di un colore diverso da quello del proprio assassino?

Purtroppo non è la prima volta che un afroamericano inoffensivo viene ucciso durante un’operazione di polizia o condannato per qualcosa che non ha commesso. Nel caso di Floyd, prima la polizia ha dichiarato che la scelta di fermare il Suv di George e di arrestarlo era stata dettata dal fatto che lui stesse guidando in condizioni alterate. Più tardi, la versione è stata cambiata: la polizia sarebbe stata chiamata da un negoziante che accusava Floyd di aver pagato con un assegno falso.
L’unica motivazione plausibile, però, sembra essere l’odio e il disprezzo per la vita umana. Le immagini del poliziotto Derek Chauvin (secondo la cronaca locale già coinvolto in passato in episodi di violenza) che preme il ginocchio sulla gola di Floyd con le mani in tasca, sordo a qualsiasi implorazione di George o dei passanti, sono preziose perché ci permettono di indignarci e riflettere sulla condizione in cui vivono gli afroamericani negli Stati Uniti d’America. Il movimento Black Lives Matter dal 2013 lotta proprio contro l’annullamento che spesso circonda la morte di una persona di colore e contro lo strapotere di cui gode la polizia.

Il Minneapolis police department ha provveduto a licenziare gli agenti coinvolti nella morte di Floyd. Il problema dell’abuso di potere dei poliziotti nordamericani ha una spiegazione legale che richiede però una lettura più profonda. La polizia è gestita a livello statale, non federale: ciò significa che molto spesso gli agenti sono membri di spicco di piccole comunità, un po’ sceriffi del far west, un po’ guida morale del luogo. Il fatto che Minneapolis sia la capitale del Minnesota cambia poco, probabilmente, nella mentalità di chi decide di far rispettare la “sua” legge mascherandola da giustizia. Questo, ovviamente, non è vero per ogni poliziotto d’America, ma c’è una percentuale che vede nella divisa un’armatura da paladino dei veri diritti dietro alla quale nascondere soprusi di vario genere.

Nel 2014 era toccato a Eric Garner, morto nello stesso modo di Floyd durante un fermo avvenuto a Staten Island, New York. Negli anni, la cronaca si è fusa con l’arte cinematografica o letteraria, favorendo il moltiplicarsi di rappresentazioni che servono a ricordare e a far riflettere su cosa si rischia semplicemente avendo la pelle scura. È il caso del film del 2019 Il diritto di opporsi, che racconta la storia di Walter McMillan, afroamericano accusato ingiustamente di aver ucciso una ragazza bianca e per questo condannato a morte, scagionato solo grazie all’impegno dell’avvocato Bryan Stevenson. Le carceri americane sono piene di neri arrestati perché, di fronte a un crimine, «avevano la faccia» dell’assassino o del ladro (su Left del 13 marzo 2020 avevamo raccontato il caso di Kenneth Reams, condannato per rapina e recluso per 25 anni nel braccio della morte in una prigione dell’Arkansas). Un dettaglio non secondario è che, negli Stati Uniti, i carcerati perdono il diritto di votare.
Se la strada potesse parlare, libro di James Baldwin recentemente trasformato in un film, racconta la storia del giovane Fonny, ragazzo di colore accusato di aver stuprato una donna da un poliziotto bianco, unico (presunto) testimone del reato.

Per gli afroamericani, nel 2020, camminare per la strada è ancora qualcosa di cui bisogna avere paura. Risale sempre all’inizio di questa settimana un altro video in cui si vede una donna (bianca) che chiama la polizia in preda al panico in seguito alla richiesta di un uomo (nero) di tenere al guinzaglio il suo cane. La donna urla che dirà agli agenti che «c’è un uomo afroamericano che sta minacciando la mia vita». Christian Cooper, in realtà, era in quell’area di Central Park a fare bird watching. Come dimenticare, poi, il caso di Ahmaud Arbery, ucciso in Georgia lo scorso febbraio con un colpo di pistola da due uomini bianchi, Gregory e Travis McMichael, mentre faceva jogging. La motivazione dei due assassini sarebbe che lo avevano scambiato per un ladro.

In questo anno martoriato dal coronavirus, che negli Stati Uniti ha già mietuto più di 100 mila vittime, molte delle quali nella comunità afroamericana, c’è bisogno di un vero cambiamento, una risposta chiara e ferma dalla politica americana. Il presidente Donald Trump assicura una generica giustizia, mentre l’ex presidente Barack Obama per adesso tace sulla vicenda. Il candidato democratico alla presidenza Joe Biden ha chiesto timidamente delle indagini federali, mentre l’ex candidata e senatrice del Minnesota Amy Klobuchar ha chiesto anche lei che venga fatta giustizia (Klobuchar ha precedenti negativi nei rapporti con la comunità afroamericana del suo Stato). Risposte più decise e richieste di agire per il meglio sono arrivate da Bernie Sanders, Alexandria Ocasio-Cortez e Ilhan Omar, esponenti di spicco della sinistra statunitense.
La lotta principale del 2020 sembra essere quella per arrivare primi al vaccino contro il Covid-19. Questo potente mezzo metterà in salvo da una pandemia, ma come bloccheremo il virus che circola dalla loro nascita negli Stati Uniti, quello dell’odio razziale contro il diverso da sé?

mercoledì 27 maggio 2020

UNA COMMISSIONE D'INCHIESTA AMICA PER GLI ASSASSINI LOMBARDI


Una Commissione d'inchiesta con i baffi - Valseriana News
La scelta del presidente della commissione d'inchiesta atta a decidere l'operato di un assessore all'interno della giunta lombarda ricade su di un membro che appartiene alla minoranza per regolamento,e la scelta da parte del centrodestra che rappresenta da trent'anni la maggioranza al Pirellone è ricaduta sulla consigliera Patrizia Baffi,di Italia Viva eletta quando era nel Pd,a scapito dell'altro consigliere scelto dall'ex partito del giullare fiorentino,Scandella.
La scelta della Baffi è stata fatta in quanto le sue dichiarazioni in merito agli eventuali errori,meglio dire atti criminali,sono sempre state all'acqua di rose nei confronti del duo Gallera e Fontana,col primo ormai sacrificabile,capro espiatorio per lavarsene le mani e portare avanti il progetto della sanità privatizzata con i soldi pubblici della Lombardia(vedi:madn sanita-lombardala-verita-fa-male-ai leghisti ).
Al momento questa decisione ha fatto giustamente polemica anche se nulla è deciso,la signora in questione risiede a Codogno in piena zona rossa della prima ora in uno dei territori con più morti al mondo,quindi se la vedrebbe direttamente con i propri concittadini casomai,ma siccome chi pensa male spesso ci azzecca la situazione è alquanto vergognosa e seria.
Sommando il fatto che l'inciucio tre i due Matteo più devastanti nella storia della Repubblica italiana e capitati ahinoi assieme,vedi il caso Open Arms con Renzi e transfughi grillini che hanno salvato Salvini per il momento,si pone la questione politica di un rilevante peso all'interno dell'attuale maggioranza di governo tra Pd,Leu,grillini e appunto Italia Viva(vedi articolo di Contropiano:regione-lombardia-quando-linquisito-si-sceglie-il-giudice ).
In calce il breve articolo riguardante la scorta assegnata al governatore Fontana,che avrebbe ricevuto minacce ancora da capire bene se siano promesse,mentre credo che la scorta sarebbe utile a milioni di cittadini lombardi proprio per essere difesi da criminali come lui(rainews decisione-della-prefettura-di-Varese )

Regione Lombardia. Quando l’inquisito si sceglie il giudice.

di  M. D. 
Il 26 maggio sarà ricordato nella storia della Lombardia e forse, anche nella storia politica del nostro paese perché, per la prima volta, degli inquisiti si sono scelti il giudice.

In discussione al consiglio regionale della Lombardia era chi avrebbe dovuto presiedere la Commissione d’inchiesta sulla pessima gestione dell’emergenza sanitaria che ha provocato sinora, nella Regione, ben 16.000 morti e una quantità non ancora valutabile di ammalati e di invalidi.

Le opposizioni avevano richiesto la costituzione di questa commissione che, per regolamento consiliare, deve essere presieduta da un loro membro.

Proprio su questo è avvenuto un colpo di scena inaudito, perché la maggioranza (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia) è andata a pescare tra i banchi dell’opposizione una presidente di suo gradimento, la consigliera di Italia Viva Patrizia Baffi, che è stata eletta in contrapposizione al candidato del PD, Scandella.

La scelta non è stata casuale, ma è caduta su Baffi perché ella non aveva condiviso la mozione di sfiducia all’assessore Gallera presentata dalle opposizioni. Per la consigliera Baffi i voti della maggioranza più il suo, per Scandella quelli del PD e dei 5 stelle, forze che ora minacciano di formare un’altra commissione d’inchiesta.

Con questa operazione la giunta Fontana spera, evidentemente, in una commissione d’inchiesta addomesticata, che indichi – come ha già dichiarato Patrizia Baffi – dei “contributi e indirizzi” per migliorare il sistema della sanità lombarda. Sistema che invece dovrebbe essere completamente rivoltato con la preliminare messa in stato d’accusa della giunta.

Pochi giorni fa, peraltro, la ministra renziana Bellanova aveva parlato, a proposito dell’istituzione di una commissione parlamentare sul caso lombardo, di “evitare scontri” per accertare ciò che nella sanità lombarda “non ha brillato”. Un po’ pochino, diciamo così, di fronte a ciò che è successo.

Peraltro, l’elezione di Patrizia Baffi a presidente della commissione d’inchiesta regionale è avvenuta nelle stesse ore in cui Italia Viva salvava Matteo Salvini dall’incriminazione per il caso Open Arms non partecipando al voto per l’ autorizzazione a procedere nell’apposita commissione del Senato.

Stabilire a quali logiche rispondano questi giochi d’intrallazzo politico tra Lega e Italia Viva non ci appassiona, siamo più interessati alla politica vera. Tuttavia è evidente che esiste, in tutto ciò, una logica che sta nella lotta accanita per il potere, che vede protagonisti e alleati i due peggiori Matteo della politica italiana.

Alla lotta per conservare il potere è da ascrivere anche una voce che circola insistentemente in Lombardia che immagina un rimpasto della giunta regionale, nei prossimi mesi. Con tale operazione, la Lega di Fontana scaricherebbe l’imbarazzante assessore Gallera, quello del tragicomico show sull’indice di contagio in cui spiegava la necessità d’incontrare due portatori sani per “farlo ammalare”. Indimenticabile stupidaggine.

Per intanto, in un vertice di maggioranza, presente Salvini, è stato deciso che Gallera sarà affiancato da un gruppo di “esperti”, insomma, una messa sotto tutela.

Un siluramento di Gallera potrebbe essere salvifico per la giunta Fontana, che scaricherebbe in questo modo su un singolo assessore colpe che sono in realtà di un sistema di potere che comprende la sanità ma anche tutti gli altri settori della vita pubblica – sempre più invasi dal privato – e che esiste dai tempi del pluricondannato Formigoni, per passare attraverso Maroni e arrivare, appunto, a Fontana.

In sostanza, attribuire a un singolo le colpe del disastro lombardo per salvare il “sistema Lombardia”, difendendolo anche dalla quantità di denunce che sta piovendo sulla giunta da parte di parenti di persone decedute, sanitari mandati allo sbaraglio, associazioni, semplici cittadini ed esponenti politici.

Tra l’altro, proprio in questi giorni è terminata una raccolta di firme contro la chiusura degli ospedali milanesi San Paolo e San Carlo, che Fontana vuole dismettere per costruire un altro nosocomio più piccolo. Anche in calce a tale petizione si chiede il commissariamento della Regione.

Piuttosto che attendere e farsi travolgere da un’inchiesta giudiziaria che potrebbe essere devastante, Fontana starebbe quindi pensando a liquidare il suo oramai impresentabile assessore al welfare. Tutto ciò con il consenso di Salvini, che il 2 giugno terrà un comizio a Milano e ha già annunciato che sul palco, al suo fianco, ci sarà il presidente Fontana.

Evidentemente, per la Lega, sostenere Fontana per tenere in pugno la Lombardia è decisivo sul piano strategico anche nazionale.

Al contrario, è necessario insistere nel dimostrare che le responsabilità del tracollo della Lombardia di fronte al virus non sono di qualche  individuo particolarmente sprovveduto, bensì di tutto il sistema di potere che le destre hanno instaurato in regione da trent’anni a oggi.

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Provvedimento di "quarto livello"

Lombardia: scorta per il presidente Fontana, decisione della prefettura di Varese La misura è stata decisa dopo che "il clima intorno al governatore lombardo si è fatto incandescente".

Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, da due giorni è sotto scorta. Lo riporta oggi il quotidiano La Stampa. La misura è stata decisa dalla prefettura di Varese dopo che "il clima intorno al governatore lombardo si è fatto incandescente" con due murales, a Milano, cui viene apostrofato come "assassino" e minacce sul web. A seguire Fontana, quindi, adesso c'è anche un'auto di scorta con un agente, che configura un provvedimento "di quarto livello".

martedì 26 maggio 2020

LUIS ESPINOZA


FPDS TUCUMAN (@fpdstuc) | Twitter
La lista delle persone fatte sparire in maniera definitiva dalla polizia argentina si è allungata tristemente col nome di Luis Armando Espinoza,agricoltore della zona di Monteagudo nel dipartimento di Simoca(provincia di Tucuman sita nel nord del paese)ritrovato dopo una settimana dalla sua scomparsa.
Nell'articolo di Infoaut(luis-espinoza-scomparso-e-assassinato-dalla-polizia )gli avvenimenti cominciati a metà maggio con la polizia che disperde una corsa clandestina di cavalli e che trova i fratelli Espinoza a tarda notte per la strada,c'è un conflitto a fuoco dove Luis è svanito nel nulla dopo che il congiunto Juan Antonio si riprende dopo essere svenuto.
Subito c'è la denuncia della scomparsa e dopo l'ammissione di due poliziotti implicati nella faccenda si ritrova il cadavere in una zona vicina in un dirupo con il corpo coperto in vari sacchi di plastica,dopo che le indagini,visti gli enormi conflitti d'interesse era stata affidata esclusivamente all'Ecif(Equipo cientifico investigaciones fiscales).
Sono stati arrestati al momento nove poliziotti della località di Monteagudo ed un civile,ed il fatto di cronaca ricorda le modalità del desaparecido Santiago Maldonado,fatto sparire nel territorio Mapuche e ritrovato dopo più tempo(due mesi e mezzo,vedi:madn ritrovato-il-corpo-di-santiago-maldonado ), anche se il movente deve essere ancora vagliato dalle indagini e capire se si sia trattata di una vendetta personale oppure di un assassinio politico.
Infatti ora si chiede verità e giustizia per questo delitto chiedendo indagini indipendenti,esaustive ed imparziali vista l'efferatezza del delitto e l'implicazione delle forze dell'ordine,su esplicita richiesta di varie associazioni per i diritti umani tra cui quella della sezione tucumana delle Asociación Madres de Plaza de Mayo.

Argentina: Turbamento a Tucumán e nell’intero paese: è stato ritrovato il corpo di Luis Espinoza, scomparso e assassinato dalla polizia.

Questo pomeriggio, ad una settimana dalla sua scomparsa è stato trovato il corpo del lavoratore rurale Luis Armando Espinoza, di 31 anni. Per il fatto ci sono nove poliziotti detenuti.

Nora Cortiñas, Madre di Plaza de Mayo Linea Fondatrice, ha dichiarato: “Come con Santiago Maldonado questa è una scomparsa forzata seguita da morte. Anche se il governo lo nega, è stato fatto scomparire e lo hanno ucciso”.

La procuratrice Mónica García de Targa, titolare della I Procura di Istruzione del Centro Giudiziario Monteros, ha confermato il ritrovamento.

– Espinoza era un abitante della località di Melcho, nel Dipartimento di Simoca. Secondo le prime informazioni il corpo è stato localizzato nel territorio di Catamarca, giacché gli uomini dell’ECIF nella ricerca hanno attraversato i confini tra Tucumán e la vicina provincia, circa 200 metri, nel Dipartimento di Andalgalá. Ha rivelato che il corpo di Espinoza stava in un precipizio di 150 metri di profondità avvolto in sacchi.

– Una delle persone che ha avvisato le autorità ha detto che il corpo era avvolto in un sacco nero, e un’altro bianco sulla testa, e che i familiari diretti del lavoratore rurale si trovano nel luogo.

– Il ritrovamento del corpo sarebbe il risultato della confessione di due dei poliziotti che sono stati indagati due giorni fa, che avrebbero ammesso una partecipazione minore nell’occultamento.

– Secondo queste dichiarazioni, il corpo di Espinoza sarebbe stato portato da quattro poliziotti nell’auto privata del commissario Rubén Montenegro e occultato nella zona di Alpachiri.

García de Targa ha dichiarato che “per il tipo di fatto e il coinvolgimento di agenti della forza di sicurezza ha chiesto la partecipazione esclusiva dell’ECIF per le indagini, i riconoscimenti, le perquisizioni e i lavori di intelligence che sono stati fatti per chiarire questo fatto, di modo che gli agenti di polizia avevano solo la funzione di accompagnare per dare sicurezza ai funzionari”.

Una settimana fa.

Venerdì 15 maggio, la Polizia della località di Monteagudo interviene in una corsa di cavalli, disperde l’incontro, a circa 10 chilometri a sud della capitale tucumana, in mezzo ai campi, nei paraggi di El Melcho. Verso le quattro del pomeriggio nel cammino si incontrano con i fratelli Juan Antonio e Luis Espinoza.

Juan Antonio andava a cavallo, i poliziotti lo gettano a terra, lo colpiscono. Luis cerca di fermare le aggressioni, chiede che lascino tranquillo suo fratello. Si odono degli spari. Juan Antonio sviene. Quando si risveglia, Luis non c’è più.

Sul luogo c’è sangue e bossoli di calibro 9mm, le armi regolamentari che utilizza la Polizia, e una traccia nel suolo che si interna nel monte e lascia impronte fino alla strada comunale, dove i locali credono che Luis venga messo su un fuoristrada con il quale erano giunti gli ufficiali, una Renault Kangoo di colore grigio.

Juan Antonio è il teste chiave, è l’ultimo che ha visto in vita Luis. La famiglia ha denunciato che lo hanno ucciso e hanno abbandonato il corpo.

La causa è stata classificata dalla procuratrice Mónica García de Targa, del Centro Giudiziario di Monteros, come scomparsa forzata di persona. Tutte le ipotesi degli investigatori conducono al personale di polizia. Ci sono  9 agenti arrestati e un civile.

– Per il caso, si trovano arrestati il commissario Rubén Montenegro, l’ufficiale José Morales, i sergenti René Ardiles e Víctor Salinas, i caporali José Paz Claudio Zelaya e Miriam González, e l’agente Esteban Rojas González.

– È stato arrestato anche il vigile comunale Sergio Santillán, che effettuava compiti di vigilanza anche se personale civile, hanno specificato gli informatori, che hanno confermato che nelle ultime ore è stata arresta un’altra persona, di cui non è stata fornita l’identità.

– Dopo le istruttorie degli accusati, il giudice della causa, Mario Velázquez, ha ordinato il trasferimento dei poliziotti nel carcere di Villa Urquiza, ad eccezione della poliziotta.

22 maggio 2020

Resumen Latinoamericano

Da Comitato Carlos Fonseca

lunedì 25 maggio 2020

TOGHE ALLA SBARRA


Giustizia a strisce: La legge è uguale per tutti?
Da sempre quando si parla di giustizia in Italia si avrà una parte soddisfatta e l'altra no,anche in casi di lapalissiana colpevolezza o innocenza lo scontro è sempre in agguato,la parte lesa che darà del corrotto e/o dell'incapace  al giudice che ha sentenziato,e l'alta moralità e l'etica al di sopra di tutto e di tutti dei magistrati è una leggenda a cui non crede più nessuno.
La politicizzazione di queste alte cariche statali,toghe rosse,nere,gialle e verdi o semplicemente attente a chi offe di più come ad un'asta,è una cosa certa e le intercettazioni che per fortuna esistono per tutti fanno scoperchiare il vaso di Pandora sulle scelte e le opinioni che queste persone hanno,in fondo uomini e donne come tutti,e molti di loro talmente rispettosi al dovere da essere stai ammazzati.
Negli articoli di Contropiano e Infoaut(crolla-pure-il-mito-della-magistratura-finalmente e il-caso-palamara-o-di-come-si-scopre-l-acqua-calda )parlano di ovvietà come quella che ci siano preferenze anche se non ci dovrebbero essere,il sistema capitalistico su cui è fondata la società corrompe ed avvelena pure l'Anm,il Csm ed le persone che nominano giudici e magistrati,sia che siano scelte interne al mondo togato che politiche.
Il fatto che ora se ne riparli con certa veemenza è dato dal fatto che il giudice Palamara sia invischiato in affari proprio non trasparenti,e le intercettazioni a sfavore di Salvini(quella merda di Salvini,cit.)ha fatto levare gli scudi del centrodestra a protezione del bullo milanese e i suoi prossimi appuntamenti in tribunale,oggi rimandati ad ottobre per il caso del presunto sequestro dei migranti(vedi:madn salvini-non-andra-in-galera-comunque ).
Pochi giorni fa invece il collega Capristo,procuratore capo di Taranto,aveva portato alla luce una situazione simile alla cupola mafiosa dove il vertice era lui,dove chi era contro era"un comunista di merda"(cit.)e che ora è indagato.
Ma c'è una cosa che accomuna le toghe di qualunque pensiero,è l'accanimento contro la lotta sociale,dal Tav ad altre vertenze che riguardano l'ambiente(e svariati milioni di Euro),l'avversione contro gli anarchici e tutte le singole persone o i gruppi che tentano di parlare a nome degli oppressi e degli ultimi,denunciando il sistema corrotto del capitalismo dove chi finisce in carcere sono quelli che non si possono permettere di comprare le sentenze,pur avendo ragioni da vendere,perché le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici(cit.).

Crolla pure il mito della magistratura. Finalmente…

di  Dante Barontini 
Chiunque abbia affrontato un processo, in vita sua, sa che qualsiasi sentimento può esser provato tranne che “avere fiducia nella magistratura”. Quando capiti in mano a un giudice la prima cosa che ti chiedi è “chi è? Come la pensa? A chi dà conto di solito?”.

Se ciò accade anche ad imputati “qualsiasi”, di peso zero nella scala sociale, a maggior ragione la domanda si impone quando a finire nel “registro degli indagati” è qualcuno che conta. In quel caso la sua prima domanda diventa “per incarico di chi, questo stronzo mi indaga?”

Non parliamo poi di quando le indagini della magistratura riguardano altri magistrati. Lì si va direttamente nella guerra politica tra correnti, individui, consorterie e fratellanze (solo i militari, forse, hanno più frequentazioni dei magistrati quanto a logge massoniche…).

L’inchiesta perugina che ha puntato su Luca Palamara – ex presidente dell’Anm, ex componente togato del Csm, ex sostituto Procuratore a Roma (uno dei tanti che si è dilettato con il “caso Moro”) – scoperchia un verminaio piuttosto fetido. Che ha certamente per protagonista un “pezzo grosso” tra le toghe, ma che richiede qualche ragionamento sull’intera casta di appartenenza.

Per quanto uno possa esser bravo nel suo mestiere, infatti, è singolare la serie di incarichi accumulati in pochi anni da un 51enne in un mondo dove il potere, di solito, è solidamente in mano agli ultra-sessantenni.

Le intercettazioni tra lui, i colleghi, i politici, i giornalisti e persino gli attori (Raul Bova che chiede “protezione” contro la condanna per evasione fiscale…), sono da sole un testo da commedia dell’arte.

Ma soprattutto rivelano che la famosa “indipendenza della magistratura” esiste solo nelle parole della Costituzione, oltre che nei libri sulla “tripartizione dei poteri in democrazia”. Ma nei fatti è l’esatto contrario…

Non nel senso banale che i giudici siano “servi del capitale” (viviamo in un assetto capitalistico, ovvio che istituzionalmente non possano esser altro). Ma in quello assai più concreto per cui ogni magistrato è altamente consapevole di disporre di un potere fortissimo (decide sulla libertà e il successo di chi capita a tiro) e lo usa per motivazioni che nulla hanno a che fare con le istituzioni della Repubblica.

La carriera personale al primo posto, come confessa – sconfortato – il presidente dimissionario dell’Anm, Luca Poniz. Sottolineando come non ci sia nei fatti troppa distinzione tra “membri togati” (ossia magistrati di carriera eletti dai colleghi) e “membri laici” (di nomina politica) nel Consiglio Superiore della Magistratura, cosiddetto “organo di autogoverno della magistratura” presieduto formalmente dal Presidente della Repubblica.

“Si discute molto dei togati, ma non ci si preoccupa che negli anni la componente togata ha espresso candidati molto più vicini alla politica di quanto fosse in passato”. Traduzione semplice, ma utile: significa che le differenze sono ormai solo nei titoli universitari e nel ruolo ufficialmente ricoperto, non nel concreto operare quotidiano.

Poi, certo, ci sono sempre le eccezioni, e tutti si nascondono velocemente dietro le statue erette a Falcone e Borsellino, per poter continuare a fare i propri “magheggi”.

Establishment è del resto definizione flessibile, che abbraccia chiunque abbia un ruolo rilevante negli assetti di governance di un Paese, indipendentemente dal ruolo momentaneamente esercitato. Il passaggio da un ruolo all’altro (dalla magistratura alla politica, o alle strutture commissariali o ai vertici aziendali) è la norma, non il caso raro.

E la frequentazione continua, di tutti con tutti, è la condizione sine qua non per restare a galla, avanzare, rintuzzare i concorrenti più pericolosi, arricchirsi. Sembra un quadro di “Cafonal”, ma è molto peggio…

Le intercettazioni smentiscono che il “far politica” attraverso inchieste e sentenze sia una prerogativa delle “toghe rosse”. Le differenze tra correnti sono infatti inessenziali, e lo prova lo stesso Palamara. Il quale, mentre concerta con Flavio Lotti (ricordate? Il braccio destro di Matteo Renzi che a volte prendeva deleghe ai servizi segreti, in altre il ministero dello sport e – tutti i giorni – brigava per le nomine in magistratura), contemporaneamente briga con magistrati che per realizzare le proprie ambizioni “sentono la Lega”.

E’ la fogna normale della “classe dirigente” di questo disgraziato Paese. Quella melma che rende molto problematico qualsiasi progetto di radicale cambiamento sociale, perché ha maciullato competenze, etica, “professionalità”, rigore morale, senso del bene pubblico e quant’altro è indispensabile per ricostruire un assetto funzionante per gli interessi collettivi.

Di questo non porta la responsabilità solo “il capitalismo” – che c’è ovunque. Accontentarsi di questa “spiegazione” lascia impotenti di fronte a una struttura (e una cultura) del Potere che affonda nello Stato sabaudo, nelle gerarchie vaticane, nei residui borbonici, nella “modernizzazione fascista” e nella “mancata epurazione” repubblicana.

Un inguacchio che fa funzionare male anche lo stesso capitalismo (a pezzi oggi per la crisi sistemica mondiale) e che minaccia di sopravvivere e condizionare qualsiasi sviluppo futuro.

Per decenni, di recente, siamo stati bombardati con il mito della magistratura e delle polizie, come se questi corpi separati fossero per ragioni incomprensibili immuni dal “contagio”.

Finalmente crolla. E forse si può cominciare a ragionare guardando la realtà e cercando le soluzioni. Senza più affidarsi a “santi” che sono solo un travestimento degli stessi demoni.

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Il "caso Palamara" o di come si scopre l'acqua calda.

Fin dalle scuole medie ci viene venduta la storiella della "separazione dei poteri" come garanzia dello Stato di diritto.

Una storiella edificante, ma che trova ben poche verifiche storiche. L'opinione pubblica si turba quando periodicamente emergono scandali che riguardano le contiguità tra magistratura e politica, ma bisognerebbe smetterla di stupirsi. Il caso Palamara è semmai la dimostrazione del livello di disgregazione a cui sono arrivate le istituzioni democratiche, neanche in grado di mantenere nelle segrete stanze le lotte di potere e le spartizioni che avvengono da sempre al chiaro di luna.

Che la magistratura in Italia rivesta un ruolo politico, e un ruolo di lotta politica, è un mistero solo per chi, come molti a sinistra, continua a farsi abbagliare dai miti costruiti ad hoc dalle narrazioni semplicistiche della "guerra alla mafia". Una guerra alla mafia che, un po' come la "war on drugs" statunitense per quanto riguarda il mito nixoniano, fa parte dell'epica fondativa della Seconda Repubblica, ma che nei giorni in cui, annualmente, si torna a parlare della "trattativa Stato - Mafia" mostra tutta la corda a chi vuole aprire gli occhi.

Ma torniamo a noi, il caso Palamara non fa che evidenziare come la magistratura sia il braccio armato dello Stato, quest'ultimo inteso alla maniera di Marx, come "comitato d'affari della borghesia". Un buon "comitato d'affari" dunque ha bisogno di spartirsi il territorio per non pestarsi i piedi, ha bisogno che nessuno sia scontento della sua fetta e che tutti collaborino a impedire che altri, non seduti in quel comitato, ribaltino il tavolo. Il fatto che i panni sporchi vengano messi in piazza via intercettazioni e indagini vuol dire solo che qualcuno è rimasto scontento in queste spartizioni o che le suddette spartizioni non rappresentano più l'equilibrio datosi nel tempo nel quadro politico più generale.

Un altro scandalo recente in magistratura ci dà la percezione di cosa stiamo parlando: il caso Capristo, il procuratore capo di Taranto finito ai domiciliari per tentata induzione, truffa e falso, che, secondo i giornali, ha tentato di condizionare le indagini della procura di Trani (procura che guidava prima del suo arrivo a Taranto). Sempre secondo i giornali Capristo avrebbe messo in piedi una vera e propria gestione para mafiosa della procura di Taranto, con contatti importanti come quello con la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati. Capristo nelle intercettazioni definiva chi si oppone a questo sistema di potere "comunista di merda", dunque si può comprendere facilmente da che orientamenti politici fosse viziato il lavoro della magistratura di Taranto.

Chiunque abbia partecipato a delle lotte che mettano seriamente in discussione gli interessi di questo o quel gruppo di potere sa bene cosa significhino queste asserzioni. E infatti l'unico fronte comune che sembra unire le magistrature da nord a sud, di quasi ogni colore politico, è la repressione delle lotte sociali. Senza andare con la memoria ai tempi andati basta osservare le vicende che riguardano la persecuzione del movimento No Tav e degli altri movimenti ambientali.

Certo, non è che non esista una soggettività politica dei singoli magistrati. Non è che orientamenti e modi di interpretare il diritto non vengano determinati anche dal vissuto individuale dei singoli, ma nel suo complesso l'organo svolge delle funzioni che molto spesso hanno ben poco a che vedere con il "fare giustizia" e lo "scoprire la verità".

Dunque che volino pure gli stracci in pubblico durante la videochat dell'Anm (questi tempi strani ci permettono di derubricare il motto di Blade Runner: "Ho visto cose che voi umani…"), questo modello di amministrazione è corrotto, marcio, ingiusto ed è irriformabile. Ed è un bene che sempre più gente scopra l'acqua calda.

domenica 24 maggio 2020

CREMA SALUTA E RINGRAZIA LA BRIGATA INTERNAZIONALE CUBANA HENRY REEVE


Covid19, Crema ringrazia la delegazione cubana -
E venne il giorno che tutto il personale sanitario cubano che ha operato a Crema dedicandosi ai malati di Covid-19 se ne tornano a casa dopo due mesi passati nell'ospedale da campo allestito nel parcheggio del nosocomio cittadino ed in altre strutture dedicate alla cura dei contagiati dal coronavirus.
Ieri mattina in Piazza del Duomo si è tenuta la manifestazione di congedo e di ringraziamento alla Brigata Internazionale Henry Reeve(per sapere di più sul personaggio che ha ispirato il contingente creato da Fidel Casto nel 2005 rimando a Wikipedia,in spagnolo:wiki/Henry_Reeve )che dopo l'arrivo in Italia era stato subito mandato a Crema,uno dei focolai più tragici italiani a dare il loro prezioso aiuto(vedi:madn bienvenidos-crema! ).
L'articolo preso da Crema online(Covid.+Il+Cremasco+saluta+Cuba )parla della cerimonia avvenuta alla presenza dei medici cubani e delle più alte cariche cremasche oltre che l'ambasciatore cubano Josè Carlos Rodriguez Ruiz e la Presidente dell’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba Irma Dioli.

Covid-19. Crema e il Cremasco salutano la brigata cubana Reeve: ‘gracias hermanos’

Un sole splendente ha accompagnato nella tarda mattinata di oggi il saluto alla brigata Henry Reeve. Arrivati il 22 marzo, in una giornata fredda e piovosa, hanno ricevuto oggi in piazza Duomo il caloroso ringraziamento delle autorità (dal vescovo al prefetto alle forze dell’ordine, dai sindaci del territorio all’assessore regionale alla sanità). Hanno concluso la loro missione a Crema e stanno per fare ritorno a casa. Hanno coadiuvato il personale sanitario del Maggiore lavorando nell'ospedale da campo allestito dall'esercito e alla Fondazione Benefattori Cremaschi.

"Nessuno sarà mai più straniero"

Per Stefania Bonaldi la manifestazione odierna - alla quale ha partecipato, purtroppo a distanza, un gruppo di cittadini - ha rappresentato "un abbraccio affettuoso e sincero, pieno di nostalgia perché siamo certi che ci mancherete, proprio come dei fratelli”. Un sentimento noto “perché noi italiani siamo stati un popolo di migranti e conosciamo i sentimenti che accompagnano i distacchi”. Come ha sottolineato il sindaco “le nostre coscienze conserveranno il vostro dono e ci rinforzeranno nella convinzione che a Crema nessuno deve essere mai più straniero, da ora in poi avremo un argomento decisivo da opporre a chiunque volesse ledere o diminuire il nostro sacro dovere di ospitalità”.

Una rosa bianca

Ciò che il loro arrivo ha rappresentato - a livello fisico e psicologico - in una delle fasi più buie della storia cremasca può essere riassunta in una delle grandi poesie di Jose Martì, tratta dai Versos sencillos, i versi semplici di fine Ottocento: “Cultivo una rosa blanca (coltivo una rosa bianca) En Julio como en Enero, (a luglio come a gennaio) Para el amigo sincero (per l’amico sincero) Que me da su mano franca. (che mi dà la sua mano franca) Y para el cruel que me arranca (E per il crudele che mi strappa) El corazón con que vivo, (il cuore con cui vivo,) Cardo ni oruga cultivo: (né cardo né gramigna coltivo: Cultivo la rosa blanca (coltivo la rosa bianca.)”. Mutuando le parole della piazza, la bella piazza di oggi: "gracias hermanos. Hasta la victoria, siempre".

sabato 23 maggio 2020

PATXI RUIZ


gosegreban stories highlights, photos and videos hashtag on ...
La vicenda del prigioniero politico basco Patxi Ruiz detenuto nel carcere di Murcia II,che nella tradizione repressiva della Spagna è posto a centinaia di chilometri dal territorio di Euskal Herria per aumentare il distanziamento e i disagi a familiari e amici che vogliono andare a trovare questi detenuti,sta avendo spazio grazie ai simpatizzanti e a tutte le persone amiche e complici del meraviglioso popolo basco.
In sciopero della fame da dodici giorni ieri ha potuto ricevere delle cure presso l'ospedale clinico universitario Virgen de la Arrixaca a El Palmar(un villaggio nel comune della città del sud della Spagna)e successivamente è stato riportato in carcere con dimissione volontaria dove ha potuto ricevere la visita dei parenti mentre il medico familiare dovrebbe essere arrivato in mattinata.
Quello del carcere,assieme al direttore,invece sono tra gli aguzzini e vessatori di Patxi,che unito alle intimidazioni dei carcerieri hanno reso la vita del giovane già peggio di quella che si può avere quando ti privano della libertà con minacce,pestaggi ed insulti all'ordine del giorno.
Tutto questo assieme alla situazione difficile dei detenuti in questo momento di restrizione dovuto alla pandemia,ha portato l'ex militante Eta condannato a trent'anni allo sciopero della fame e della sete(quest'ultimo interrotto)per ottenere maggiori diritti e sicurezza medica per loro,per chi lavora all'interno delle carceri e per i visitatori,chiedendo test e permessi per poter partecipare a funerali di parenti morti.
L'articolo di Infoaut(conflitti globali patxi-ruiz )parla di questo e della necessità di un'amnistia per chi ha una pena ancora minima da scontare e per i malati:un tema questo già discusso in precedenza per potere offrire cure e una morte dignitosa a chi in carcere termina la propria esistenza(madn la-differenza-tra-pena-e-vendetta )o deve viverci parecchi anni.
Patxi Ruiz non sta chiedendo niente per se stesso,lo sta facendo per i compagni imprigionati in tutte le carceri spagnole,e altri detenuti stanno compiendo gli stessi passi sia a Murcia che in altri luoghi,mentre anche altre realtà di amici e di associazioni e movimenti in favore dei movimenti per l'amnistia(madn /lottare-e-legittimoamnistia-totale )e per i diritti dei carcerati e dei loro familiari fanno scioperi della fame a rotazione e piccole concentrazioni(visti i tempi)in varie città anche al di fuori dei confini baschi e spagnoli.
Per aggiornamenti:https://www.amnistiaaskatasuna.com/es .

Patxi Ruiz: en favor de los derechos de todxs lxs presxs.

Da alcuni giorni un prigioniero politico basco sta combattendo una durissima battaglia per la vita, contro la repressione carceraria e per alcuni diritti minimi nel contesto di una crisi sanitaria globale che colpisce duramente le carceri.

Si tratta di Patxi Ruiz, imprigionato nel carcere di Murcia II, perseguitato fino allo sfinimento dal direttore di quel carcere e dalle guardie penitenziarie.
 Patxi Ruiz si è procurato lesioni per protestare contro una catena di aggressioni sistematiche, è stato portato d’urgenza in infermeria, lì ha subito insulti da parte del medico e dell’infermiera della prigione che non lo hanno assistito adeguatamente, cosicchè quando è tornato in cella ha deciso di iniziare uno sciopero della fame e della sete a tempo indeterminato, la risposta più estrema che un prigioniero politico o sociale possa fare. In questo sciopero, il prigioniero mette in gioco la sua vita.

Ma non sarebbe bastato il suo slancio che mette in gioco il suo corpo e la sua vita se non si fosse registrata una pressione popolare perché il suo caso fosse diffuso dai mezzi di comunicazione, che avrebbero mantenuto nascosto il suo sciopero e la repressione subita in carcere da parte di due fascisti come il direttore del carcere e il medico chiamato a visitarlo. E così una testata isquierdista come Insurgentes.org ha dato spazio a una lettera dei famigliari di Patxi:

Quali sono le sue richieste: a) la libertà dei detenuti malati e di coloro che hanno quasi scontato la pena, b) che si possano effettuare visite, c) di ricevere materiale per non essere infettati dal virus (maschere, guanti…), c) di far eseguire il test su detenuti e carcerati, d) in caso di morte di un parente, di avere la possibilità di partecipare al funerale, cosa che allo stesso Ruiz era stata negata in una precedente occasione in cui era morto suo padre. A causa della sua misura estrema, Ruiz ha smesso di urinare per sei giorni e soffre di forti dolori ai reni.
 Ci si potrebbe chiedere, quindi, fino a che punto arriva la sofferenza in prigione perchè un uomo giovane compia una tale scelta? Le carceri spagnole sono, come tante altre, luoghi di distruzione e annientamento della persona, per questo l’unica e drammatica protesta deve essere quella di ribellarsi e continuare a combattere in qualsiasi modo.
 In solidarietà con Patxi Ruiz e le sue richieste, un altro prigioniero politico basco, Mikel San Sebastián, ha appena iniziato uno sciopero simile, e altri si sono chiusi nelle celle a tempo indeterminato e rifiutano il cibo. In diversi paesi alcuni compagni hanno iniziato uno sciopero della fame e ci sono mobilitazioni di protesta in diverse città.
 I genitori che, attraversando tutta la Spagna, sono andati a Murcia da Euskadi per accertarsi delle sue condizioni, all’uscita dal carcere sono stati fermati e multati dalla Guardia Civil per non avere rispettato le regole del confinamento.

Abbiamo chiesto a Mario il Lungo del Movimiento Pro Amnistía y Contra la Represión di aggiornarci all’undicesimo giorno di sciopero della fame e della sete di Patxi, e sulla situazione delle lotte in Euskadi, le posizioni dei compagni che si vanno unificando, in solidarietà con Patxi che è sempre stato critico verso gli accordi intercorsi con le istituzioni e contro tutti i partiti che hanno contribuito a creare questa situazione persecutoria.

La vita di Patxi è appesa un filo, potrebbe morire da un momento all’altro. Lottiamo per porre fine alla violazione dei diritti nelle carceri, che i duecento prigionieri politici baschi possano tornare a casa.

venerdì 22 maggio 2020

SANITA' LOMBARDA:LA VERITA' FA MALE AI LEGHISTI


Latinismi - La Lombardia é l'immagine del fallimento della ...
Proseguo sul lungo elenco degli errori commessi dalla regione Lombardia e sugli immensi danni strutturali che hanno portato attualmente questa zona non solo la peggiore d'Italia per il numero dei contagi e dei morti per coronavirus ma del mondo.
Una lunga scia che ormai da quasi trent'anni la gestione scellerata del centro destra in materia sanitaria(e non solo)con la decisione di privatizzare un bene elementare per la popolazione a scapito del pubblico,non finirò mai di dirlo(vedi:madn la-lombardia-privata-della-salute ).
Che poi è tradotto nel secondo articolo proposto di oggi(contropiano il-tragico-fallimento-della-sanita-lombarda )che ripercorre le tappe e le successioni dei vari governatori da quando l'elezione è stata scelta direttamente dai cittadini(abbiamo tante colpe).
La storia è quella dell'ospedale azienda,che vuole i ricavi,la costruzione o la salvezza economica di istituti privati con i soldi pubblici,le interminabili attese per esami diagnostici che si dimezzano se non azzerano nelle cliniche private,insomma la grande leggenda dell'efficiente sanità lombarda.
Il primo(left quindi-la-colpa-e-dei-morti )richiama la bagarre in Camera avvenuta ieri per le dichiarazioni del pentastellato Ricciardi che ha ricordato tutto questo,la gestione vergognosa della sanità nella regione comandata da Fontana,dei morti,dei numeri impressionanti che stanno ancora uscendo fuori dai resoconti giornalieri se confrontati al resto dell'Italia,i diktat di Confindustria che hanno portato a moltiplicare i casi di contagio e di decessi,tamponi e test sierologici a pagamento e tutto quello detto sopra riguardo alla gestione privata della sanità con iniezioni generose di denaro pubblico.
Le gabbie dei leghisti e del centro destra sono esplose con urla bestiali di quelle persone che hanno ancora uno step da fare nell'evoluzione umana,visto che il nervo toccato è ancora scoperto ed è foriero di successive indagini sul fallimento della gestione della pandemia in Lombardia.
Non interessa loro di certo l'immunità in termini scientifici ma quella penale,sanno che la corda attorno al collo si sta stringendo sempre più perché questa vergogna non può passare impunita e loro sono i primi responsabili di questo macello di vite umane.
La politica deve uscire dalla sanità,questa è una sacrosanta verità visto che la nostra regione ha tutte le bandierine dei partiti della maggioranza nelle varie territorialità(madn fontana-rifarebbe-tuttosalvini.orgoglioso del sistema lombardo )e solamente pochi di loro hanno competenze mediche,il più sono amici di amici,amministratori e burocrati incapaci e criminali.

Quindi la colpa è dei morti?

di Giulio Cavalli
Ieri alla Camera l’onorevole del Movimento 5 stelle Riccardo Ricciardi ha parlato di Lombardia. L’ha fratto in fretta e furia, con un discutibile spessore oratorio ma ha messo in fila la questione dei pazienti Covid all’interno delle Rsa (c’è una delibera di Gallera e ci sono degli indagati, l’inchiesta è in corso), ha parlato del progetto di lungo corso della destra lombarda di distruggere la medicina di base a favore dell’ospedalizzazione, ha citato esattamente i numeri di posti letto che si sono persi in Lombardia nel corso degli ultimi anni (mica solo in Lombardia) e ha citato l’immensa mole di denaro pubblico che viene versato nelle casse dei privati.

L’ha detto male? Sì, del resto il dibattito parlamentare è roba scarso da un bel po’ d’anni, niente di nuovo all’orizzonte? Ha detto cose false? No: del disastro lombardo ne abbiamo scritto lungamente sul numero di Left che abbiamo dedicato alla vicenda. Ovviamente l’abbiamo fatto con l’ampiezza che serve per illustrare una politica che incrocia solo in questi ultimi mesi la questione Covid ma che da anni in molti legittimamente criticano.

Ma delle responsabilità politiche in Lombardia si può parlare? Si può scrivere? Ma davvero in nome del rispetto dei morti si esige il silenzio? Ma davvero vige ancora questa forma di falsa cortesia per cui basta un Salvini qualsiasi che alzi la voce per farsi prendere dal senso di colpa? Se la strumentalizzazione dei morti è una pratica malsana (e lo è) mi piacerebbe capire perché si possano sventolare le vittime per chiedere silenzio (con il trucchetto di chiamarlo rispetto) e cosa c’entri l’analisi delle cause con l’indignazione generale.

Vogliamo condannare la semplificazione di Ricciardi? Prego, fate pure. Ma i morti? Ma tutte le persone che non sono state curate in tempo? Tutte le persone che ancora oggi non hanno avuto la possibilità di fare un tampone nonostante abbiano convissuto con famigliari che sono deceduti? Che ce ne facciamo di quel dolore?

Perché così, altrimenti, alla fine sembra che la colpa sia dei morti. No?

Ah, a proposito: le critiche al sistema lombardo sono arrivate anche dal Veneto di Zaia, oltre che da molti medici sul campo. Davvero, ne vogliamo parlare?

Buon venerdì.

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Il tragico fallimento della sanità lombarda.

di  Pierluigi Oreste * 
Niente dovrà più essere come prima. La pandemia ha messo a nudo il fallimento politico del modello sanitario della Lombardia. La decantata “eccellenza” ha portato con sé migliaia di morti e il triste primato di essere in pole position nel mondo in relazione a decessi e infettati. Come si è arrivati a questo punto?

L’inizio è da ascriversi al condannato Formigoni, che ha “regnato” sulla regione dal 1995 al 2013. La legge De Lorenzo del 1992 ha aziendalizzato la sanità pubblica e Formigoni ne ha “approfittato”.

Sussidiarietà, competizione, libertà di scelta, eccellenza sono stati i mantra della sua filosofia. La conseguenza più diretta è stata favorire in maniera sfacciata la sanità privata.

Chi non ricorda L’IEO (Istituto Oncologico Europeo), fondato nel 1994 da Enrico Cuccia e da
 Veronesi, arrivato vicino al fallimento e salvato dall’accreditamento concesso all’ultimo
 momento dalla Regione Lombardia?

Altro esempio il S. Raffaele, ingrandito a dismisura in spregio alle leggi che proteggono l’ambiente e le aree vincolate a verde, oppure le inchieste per truffa ai danni del SSN.

Questo politica è continuata con Maroni fino ad approdare  a Fontana. Un business continuo in cui l’80% del bilancio regionale è costituito dalla sanità. La regione riceve 17 miliardi di contributi statali dei quali oltre 7 miliardi vanno alle strutture private.

Viene attuata una riforma regionale che prevede un sistema centralizzato e razionalizzato funzionale a un maggiore equiparamento pubblico-privato con funzioni giuridiche paritetiche (vedi il fallimento delle proposte per la gestione dei malati cronici).

Il risultato di questa onnipotenza porta a uno scontro frontale anche con l’Ordine dei medici, gestore primario della medicina territoriale convenzionata. Il tutto si concretizza con la richiesta della regionalizzazione differenziata, un colpo di stato nello Stato.

In un continuum viene emessa una legge regionale che prevede l’accorpamento di strutture pubbliche ospedaliere e territoriali e  una delibera del 2017 che prevede la chiusura di ospedali pubblici con costruzione di uno nuovo (2×1) di minori dimensioni, ma moderno, efficiente e costruito con soldi pubblici, ma a gestione privatistica.

In tal senso va la proposta di chiudere a Milano gli ospedali S.Carlo e S.Paolo con una perdita secca di 300 posti letto.

Ancor peggio, vengono chiusi in continuazione presidi territoriali pubblici, mentre nascono
 come funghi laboratori privati che offrono prestazioni dal costo poco superiore, ma con una risposta diagnostica dimezzata nel tempo.

Ultima chicca. Una delibera del maggio 2019 premia i manager “che tengono sotto controllo gli ordinativi dei laboratori“. In pratica, si incentiva a tagliare centinaia di migliaia di euro ai laboratori di Milano, Brescia, Lodi, le zone che oggi sono tra le più colpite dall’epidemia.

La chicca è rappresentata dal fatto che questa delibera è stata approvata anche dall'”opposizione”, il che significa che è passata all’unanimità.

Che fare? Cosa proporre: commissariare la giunta è il minimo che si possa pretendere in conseguenza delle scelte politiche, ideologiche e come tali strutturali attuate dalla giunta Fontana in una lunga continuità con le precedenti.

In questo siamo confortati dalle direttive costituzionali degli articoli 117 e 120 con relativi commi.

Infine, nel 2006, è stato promulgato un regolamento di comportamento sanitario articolato che prevede un accentramento di potere al Primo Ministro in caso di inadempienze regionali.

 * Medico

giovedì 21 maggio 2020

UNO STATUTO IN PESSIMA FORMA


Usb Pubblico Impiego: Bari: 50° ANNIVERSARIO DELLO STATUTO DEI ...
Nemmeno possiamo immaginare,noi che siamo almeno una generazione nata dopo la firma dell'accordo dello statuto dei lavoratori di cinquant'anni fa,le condizioni terribili che dovevano sostenere i lavoratori nei decenni della ripresa economica dopo la Liberazioni dal nazifascismo.
Perché la lotta per i diritti di chi lavora è stata portata a casa con vere e proprie battaglie,sia parlando di teoria che di pratica,con sindacalisti e simpatizzanti uccisi e con migliaia di persone che hanno perso il lavoro e lo stipendio per contribuire a quella che fu una basilare conquista.
Che man mano è venuta meno,soprattutto negli ultimi venti anni con i sindacati che si sono sempre più livellati verso il basso,verso accordi indecenti con i politici ed i padroni fino ad arrivare in troppi casi a condividerne gli intenti firmando contratti collettivi e di categoria che hanno portato indietro di anni le conquiste ottenute con immane fatica e sacrifici.
L'articolo di Left(lo-statuto-dei-lavoratori-50-anni-dopo )parla dell'anniversario caduto proprio ieri,una data storica che è stata ricordata ma ha fatto più rumore l'altro anniversario,quello della morte del giuslavorista D'Antona,che venne assassinato dalle Brigate Rosse in quanto stava mettendo mano a quel testo ovviamente violentandolo così come fecero l'altro obbiettivo delle nuove BR Biagi e più recentemente la Fornero e Renzi che con le modifiche all'articolo 18 ed il job act hanno ulteriormente impoverito,affossato ed appassito i diritti dei lavoratori(vedi:madn precariato ).
L'altro articolo(contropiano cinque-padroni-esemplari-in-manette )parla di un caso accaduto in una ditta di Lodi,la Plozzer che si occupa di autotrasporti, che ha visto i cinque padroni della stessa famiglia in custodia cautelare per avere fatto fare turni massacranti ai propri dipendenti,alcuni dei quali costretti pure a pagare per poter dormire all'interno dei camion.
Il livello dei diritti e della tutela del lavoro,della sicurezza e della giusta retribuzione sta peggiorando man mano che il tempo passa e la maggioranza dei sindacati non solo non fa nulla per arginare questa emorragia di conquiste ottenute con sangue e sudore,ma sono complici della politica e dei padroni che giocano al ribasso sulle nostre vite.

Lo Statuto dei lavoratori, 50 anni dopo.

di Leonardo Filippi
Se la battaglia per i diritti e le tutele sul lavoro era essenziale prima della pandemia, in questi ultimi mesi si è fatta pure una questione di vita o di morte. A mezzo secolo dalla legge che “ha portato la Costituzione nelle fabbriche”, abbiamo chiesto alla Cgil come rilanciare la lotta per garantire a tutti un’occupazione dignitosa e sicura


Cinquanta anni fa la Costituzione “veniva portata nelle fabbriche”. Con l’auspicio di raggiungere tale obiettivo nel 1952 Giuseppe Di Vittorio aveva proposto l’approvazione di uno Statuto dei lavoratori, un testo che rendesse effettive le garanzie relative al lavoro espresse nella Carta fondamentale e sino ad allora rimaste lettera morta. Quella norma arrivò nel 1970. Era il 20 maggio quando la legge 300, intitolata “Norme sulla tutela e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, veniva pubblicata in Gazzetta. Una legge assolutamente avanzata per l’epoca, con la quale si sottraeva agli imprenditori il controllo assoluto su ciò che accadeva nei luoghi di lavoro, permettendo l’ingresso ai sindacati, impedendo i licenziamenti “per rappresaglia” e disponendo che le assemblee sindacali fossero retribuite e organizzate all’interno di fabbriche e uffici. Con la legge 300 inoltre venivano fissate garanzie per gli infortuni, paletti a difesa della libertà di opinione e tutele rispetto al diritto allo sciopero.

Cosa resta oggi di quello Statuto? Per prima cosa, non si può non ricordare il suo pesante depotenziamento con la riforma dell’articolo 18 sui licenziamenti illegittimi, prima con la legge Fornero e poi col Jobs act.

Dopodiché, per farci un idea del livello di interesse che il mondo produttivo ha per i lavoratori e i loro diritti primari, possiamo sfogliare il Rapporto annuale dell’Ispettorato del lavoro pubblicato ad aprile. Ad esempio, al capitolo sulla tutela della salute e della sicurezza, oggi come non mai delicato, scopriamo che nel 2019 l’86% delle aziende ispezionate sono risultate irregolari (15.859 su 19.218). Un tasso identico a quello del 2018 e di 4 punti superiore rispetto al 2017. Certo, percentuali così alte di irregolarità possono indicare anche una buona capacità dell’Ispettorato di indirizzare le proprie, poche, forze verso le realtà più “a rischio”. Ma, se sommiamo questi dati a quelli relativi alle morti sul lavoro, il quadro assume tinte fosche.

A gennaio 2020, prima dell’emergenza coronavirus, hanno perso la vita 52 persone in incidenti sul lavoro, otto in più rispetto alle 44 registrate nel primo mese del 2019 (+18,2%). Poi la pandemia ha scompaginato le statistiche. Secondo i dati diramati il 24 aprile dall’Inail, le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto nei primi tre mesi dell’anno sono state 130.905 (-16,9% rispetto allo stesso periodo del 2019), 166 delle quali con esito mortale (-21,7%) – un trend che è ovvia conseguenza del fermo produttivo – ma al contempo nel comparto di sanità ed assistenza sociale si è registrata un’impennata di denunce: +33% su base trimestrale e +102% su base annuale (marzo 2020 vs marzo 2019). I casi denunciati sono raddoppiati, passando dai 1.788 del marzo 2019 ai 3.613 del marzo 2020 (tre denunce su quattro riguardano il contagio da Covid-19).

Il combinato disposto dei cambiamenti degli ultimi decenni nel mondo del lavoro con l’accelerazione impressa dalla pandemia obbliga senza dubbio a una riforma radicale delle tutele dei lavoratori. Ne abbiamo parlato con alcuni sindacalisti Cgil, procedendo per punti.

Sicurezza. Con l’avvento della Fase 2, milioni di cittadini sono tornati a lavorare. In che condizioni l’hanno fatto? Come tutelarli? E come ripensare la sicurezza sul lavoro nel futuro più prossimo, anche alla luce delle nuove esigenze sanitarie?
Maurizio Brotini, segretario Cgil Toscana: «Chi è tornato al lavoro dopo il lockdown ha trovato situazioni che dipendono dalla forza e presenza delle organizzazioni sindacali: migliori nelle grandi e medie realtà dove il sindacato c’è, preoccupanti dove esso non è presente. L’accordo del 24 aprile (tra governo e parti sociali, ndr) che ha portato all’aggiornamento del Protocollo per la sicurezza sul lavoro ha istituito provvedimenti contro le aziende che non rispettano le prescrizioni, è un aspetto positivo, come lo è il riconoscimento della funzione dei sindacati. Ma c’è ancora molto da fare. È indispensabile consolidare il ruolo dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) dotandoli di un monte ore per la formazione, così come bisogna estendere con leggi e contratti la presenza dei Rappresentanti alla sicurezza di sito produttivo e territoriali. Occorre infine aumentare il personale pubblico destinato ad ispezioni e controlli: Ausl, Ispettorato del lavoro, Agenzie ambientali regionali».

Smart working. L’emergenza sanitaria ha implicato una repentina mutazione dell’organizzazione lavorativa, favorendo in alcuni ambiti il ricorso al lavoro agile. Per questa modalità di lavoro non esiste ancora una disciplina sufficientemente rigorosa. Le imprese manterranno queste novità “eccezionali” anche dopo il lockdown? Come tutelare i lavoratori che ne sono coinvolti?
Mirko Lami, segretario Cgil Toscana: «Curiosamente fino a poco tempo fa molte imprese consideravano lo smart working come uno strumento per vagabondare da casa. Spesso veniva richiesto da donne per poter accudire i figli piccoli e vi era il pregiudizio che chi ne godesse rendesse meno all’azienda. Ora il mondo produttivo ha scoperto che questo metodo può funzionare e garantire un risparmio economico. Per questo il sindacato deve interrogarsi sui suoi vantaggi e rischi».

Nicola Atalmi, segretario Slc Cgil Treviso: «I rischi sono molti. Tante madri lavoratrici in lavoro agile, non scelto ma “forzato”, con le scuole chiuse fino a settembre, si sono trovate a svolgere un triplo lavoro in condizioni impossibili. Se ne parla ancora troppo poco. Inoltre il nostro timore è che, avendo il capitale verificato che con lo smart working si possono tenere alti controllo e produttività del personale contenendo i costi, si apra una nuova fase di precarizzazione ed esternalizzazione di alcuni ruoli».

Brotini: «Non c’è dubbio, molte aziende manterranno il lavoro a distanza. Col quale possono ottenere: riduzione dei costi aziendali (spazi, riscaldamento, elettricità, mensa, connessioni), aumento delle ore lavorate e ancora più difficile separazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, controllo costante, atomizzazione ulteriore con ancora più difficile sindacalizzazione. Si rende dunque necessaria l’istituzione del diritto alla disconnessione, ossia di una fascia oraria giornaliera inviolabile di riposo, e poi una revisione delle maggiorazioni orarie come lavoro notturno, festivo, a turni, straordinari, un recupero delle spese scaricate dall’azienda sul lavoratore da ottenere per via contrattuale, una riduzione dell’orario di lavoro che oltre a diminuire le ore settimanali lavorate riduca anche le giornate di lavoro, il tutto a parità di salario».

Licenziamenti. La crisi economica che abbiamo iniziato ad affrontare espone i lavoratori alle conseguenze di un probabile mutamento della struttura produttiva del Paese. Il blocco dei licenziamenti per sessanta giorni previsto dal governo col decreto del 17 marzo, e prolungato di ulteriori tre mesi col decreto Rilancio, è una misura importante, ma comunque insufficiente a causa dei suoi limiti temporali. Come rimediare?
Lami: «Dovremmo subito ragionare su cosa accadrà ai lavoratori impegnati in attività aperte al pubblico nelle quali sarà indispensabile contingentare gli ingressi. Penso ai camerieri, baristi, parrucchieri. La politica e anche il sindacato dovranno interrogarsi su questi cambiamenti. Tanti lavori spariranno e vi è un altissimo rischio che in molti tra coloro che sino a ieri vivevano di stipendi medi si ritrovino a scendere la scala sociale fino a piombare nella povertà».

Brotini: «Per evitarlo dobbiamo innanzitutto ripristinare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ed ampliarlo alle realtà con almeno 5 dipendenti, invece delle 15 previste dallo Statuto del 1970. Si tratta di una proposta che è parte della Carta dei diritti universali del lavoro della Cgil che abbiamo lanciato nel 2016, per far approvare un vero e proprio nuovo Statuto dei lavoratori».

Saperi. La crisi potrebbe essere un’occasione per tutelare e promuovere lavoro ad alto valore aggiunto, per il quale però è indispensabile la formazione continua del personale. Senza considerare che la conoscenza è uno dei primi fattori che attiva l’ascensore sociale, anche per chi è già inserito nel mondo del lavoro.
Brotini: «Prima di tutto occorre rilanciare scuola ed università pubbliche, assieme alla ricerca di base. E poi lungo l’arco della vita devono essere previsti periodi sabbatici di astensione dal lavoro per la formazione: oggi la si fa troppo spesso solo dopo che si è perso il lavoro».

Atalmi: «Va riportato al centro il diritto soggettivo ad una formazione permanente anche svincolata dalle mere esigenze produttive. Il lavoratore in un mercato del lavoro sempre più duro deve essere messo in condizione di aggiornare ma anche accrescere le proprie competenze, pure in ambiti che non siano quelli strettamente necessari all’impiego attuale ma magari in vista di quello futuro, per dargli più forza sul mercato del lavoro».

Lavoratori autonomi. Nello Statuto del 1970 vi è un forte dualismo tra dipendenti e autonomi che ha perso attrito con la realtà. Come sappiamo oggi i confini tra le due forme di impiego sono più sfumati e le tipologie di lavoro non subordinato sono sempre più pervasive e con poche tutele. Come proteggere i lavoratori che le svolgono, spesso poco sindacalizzati?
Brotini: «Vanno estesi ai lavoratori autonomi ma economicamente subordinati le forme di tutela previste per tutti i lavoratori dipendenti: formazione, malattia, maternità, ferie. È obiettivo della Cgil cambiare il proprio perimetro di rappresentanza: non più solo lavoratori dipendenti e pensionati ma anche “veri” lavoratori autonomi con redditi che però ne assimilano la posizione a quella di coloro che tribolano col proprio lavoro».

Atalmi: «Questo è il tema più importante del nuovo Statuto che propone la Cgil e passa attraverso un concetto semplice ma rivoluzionario. Di fronte al fatto che il mondo del lavoro si è profondamente modificato in questi anni, e il capitale ha spinto a fondo sulla precarizzazione cercando di aggirare continuamente le normative per trovare sempre nuove formule di flessibilità e ricattabilità, noi invece di tentare lo sforzo di Sisifo di ri-normare le nuove fattispecie contrattuali che vengono create per fornire diritti e garanzie anche per queste, abbiamo scelto la strada del ribaltamento concettuale rimettendo al centro i diritti inalienabili del lavoratore. Ovvero noi ricostruiamo il sistema dei diritti del lavoro attorno alla persona che lavora, che ha dei diritti che prescindono dal tipo di contratto che gli viene applicato perché sono diritti universali ed inalienabili.

Ciò disarma l’incessante lavorio del capitale per trovare sempre diverse forme contrattuali di sfruttamento della prestazione lavorativa. Una sfida eccezionale ma non più rinviabile che può ricomporre la classe frantumata e recuperare alla tutela collettiva, sindacale ma anche politica, un pezzo di lavoro autonomo costruendo assieme ai diritti anche una nuova idea di welfare inclusivo ed equo».

PAROLA AI LAVORATORI
CINQUANT’ANNI DI LAVORO PER LO STATUTO

Giorgio, operaio per 43 anni in un’acciaieria toscana, Marco, tecnico pure lui in una acciaieria ma in trentino, e Talem, giovane studente e ciclofattorino. A 50 anni dall’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, abbiamo chiesto loro un’opinione sul significato di questa conquista, sugli eventuali limiti della normativa e soprattutto su quali sono gli interventi più urgenti in tema di diritti negati.

Lo Statuto – inizia Talem – «è come una barriera contro l’avanzata delle nuove forme di sfruttamento del nostro secolo, ma deve essere aggiornato». Se con la legge 300 vi furono riforme migliorative, «come col rinnovo del contratto dei metalmeccanici che nel 1973 introdusse le 150 ore, poi estese agli altri contratti nazionali, un riconoscimento formale del diritto alla propria formazione, in tempi più recenti siamo invece arrivati a veder approvati atti che – osserva Giorgio – non esito a definire incostituzionali, come la riforma dell’articolo 18 e il Jobs act».

E per quanto riguarda la tutela della attività sindacale, altro baluardo dello Statuto? «Io faccio il ciclofattorino su piattaforma – racconta Talem – nel nostro settore i diritti sindacali non esistono. Non possiamo eleggere i nostri rappresentanti, dunque far valere le nostre richieste. Così si determina una sostanziale assenza di democrazia. Inoltre, esprimere rivendicazioni collettive in alcuni casi può farti perdere il posto. Mentre in altri subiamo pure la beffa di colleghi che si organizzano su indicazione dell’azienda, per difendere lo status quo».

In queste condizioni, anche una possibilità che fino a poco tempo fa era considerata un diritto normalmente acquisito, le ferie, per alcuni «almeno per ora, sono un solamente un sogno», dice ancora Talem. «Prendersi un periodo di riposo per chi fa il rider – aggiunge – comporta conseguenze negative sul nostro futuro: veniamo classificati tramite un algoritmo, questo dà ad ognuno di noi un punteggio col quale siamo suddivisi in varie fasce, più si è in alto e più sarà semplice ottenere dei turni. Non lavorare per una settimana, ossia andare in ferie, comporta un abbassamento del punteggio e quindi uno scorrimento nelle fasce più basse».

Una realtà distopica e sconcertante. Ma se si è arrivati sin qui, aggiunge Marco, non è solo per colpa di un arretramento dello Stato: «Nel secondo dopoguerra molti imprenditori hanno creato imperi con l’intuito ed il genio, rischiando in prima persona; oggi purtroppo la classe imprenditoriale ha pochissime idee innovative». È anche per questo che la formazione dei lavoratori è diventata un optional. «Oggi  le aziende non investono più sulle persone, cercando di farle crescere umanamente e dal punto di vista delle competenze, per formare un gruppo di professionisti. Si preferisce assoldare lavoratori “usa e getta”, sfruttati fino al limite di rottura».

Anche secondo Talem la formazione sarebbe fondamentale: «In un contesto produttivo in continua evoluzione favorirebbe la produttività e permetterebbe ai lavoratori di avere una specie di “scudo” contro i licenziamenti perché un datore di lavoro tenderà a tenere un lavoratore formato da lui a spese sue; oltretutto in caso di licenziamento sarebbe più facile per il lavoratore trovare una nuova opportunità, grazie alle conoscenze acquisite, che lo farebbero restare “al passo coi tempi”».

Invece così non è. E chi lavora fatica ad essere sereno persino quando si ritira dall’attività. «Il pronunciamento del Comitato europeo dei diritti sociali di febbraio, passato un po’ in sordina, è una vergogna – dice Giorgio – L’Italia è stata giustamente richiamata perché “manca un approccio globale e coordinato per lottare contro la povertà e l’esclusione sociale”».

Il punto, chiosa Talem, è che «non può essere definito lavoro tutto ciò che ti viene pagato, specie quando non sono rispettate le tutele di base (ferie, malattia, straordinari, infortuni, impiego stabile, paga dignitosa). Il tasso di disoccupazione può anche essere bassissimo, ma ciò non per forza corrisponde a un reale benessere della società».

*** Articolo pubblicato il 30 aprile 2020 ed aggiornato il 20 maggio 2020, alle ore 12 ***

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Cinque padroni esemplari. In manette…

di  Redazione Contropiano 
Diciamo “esemplari” in senso stretto… Quello per cui sono stati arrestati è la normalità del rapporto padronale con i lavoratori, giusto un po’ “disattento” rispetto a qualche legge ancora esistente, dopo le tante che sono state cancellate, a cominciare da quello Statuto dei Lavoratori che proprio oggi compie 50 anni senza che al suo interno sia rimasto alcunché di rilevante (a cominciare dall’art. 18, eroso per 40 anni da accordi a perdere e infine abolito dal “democratico” Matteo Renzi).

Non stiamo esagerando. E’ vero, l’orario di lavoro cui questi cinque aguzzini obbligavano i propri dipendenti era un po’ troppo oltre i sogni di Carlo Bonomi, neo-presidente di Confindustria. Il quale avrà certamente apprezzato “l’iniziativa”, un po’ meno le modalità pecorecce dell’iper-sfruttamento, perché certe cose – appena meno sfrontate – si possono ottenere in altri modi più “puliti” e a prova di irruzioni poliziesche.

E’ vero, anche l’età di alcuni dipendenti sforava di parecchio persino i programmi di Elsa Fornero e quella crescita dell’età pensionabile che solo la pandemia – alla fin fine – ha bruscamente interrotto.

Però “fare impresa”, in questo sistema, è esattamente questa cosa qui.

Chissenefrega della salute dei dipendenti, vengano a lavorare nonostante il contagio, tanto se si ammalano li posso sempre curare nel mio ospedale e farmi pagare la retta dallo Stato (grazie alla privatizzazione della sanità e alla “concorrenza pubblico-privato” in stile Lombardia).

Certo, bisogna essere padroni di una certa levatura, come quei Rocca di Bergamo che possiedono sia la Tenaris (acciaieria per tubature petrolifere) che l’Humanitas (ospedale privato nell’epicentro dell’epidemia). Gente che del dipendente non butta via niente: prima si prende il prezzo della la salute, poi anche della malattia…

Questi cinque invece erano poco più che caporali da campagne del Sud e del Nord; gente tosta, decisa, “apprezzabile” nella sua spinta al profitto, ma che solo alla prossima generazione avrebbe partorito “imprenditori che sanno stare a tavola senza ruttare”.

Stesso disprezzo per la vita, la salute, i diritti, un salario decente. Diversità nei modi e soprattutto nelle relazioni di alto bordo.

Questa è però l’essenza di un padrone, non altro.

Lombardi pure questi, naturalmente…

Qual’è la notizia? Leggete qui sotto, è fonte Ansa.

I militari del Comando provinciale di Lodi, su ordine della Procura della città lombarda, hanno eseguito numerose perquisizioni ed un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di cinque componenti di una famiglia di imprenditori le cui aziende hanno più di 150 dipendenti. Le accuse sono di associazione a delinquere, sfruttamento del lavoro, estorsione ed evasione fiscale L’operazione – in cui sono stati impegnati oltre 100 finanzieri e che ha portato anche al sequestro di beni per un importo oltre 20 milioni di euro.

Costringevano i dipendenti a turni fino a 18 ore, tanto che un autista di un camion uccise un 78enne che stava attraversando la strada sulle strisce pedonali. I cinque imprenditori, tutti appartenenti alla stessa famiglia, titolari del gruppo Plozzer, attivo nel trasporto di merci deperibili, sono indagati (uno ai domiciliari, gli altri con l’obbligo di firma) nell’ambito dell’operazione Spartaco della Guardia di Finanza di Lodi. Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento dei lavoratori, estorsione, evasione fiscale e riciclaggio.

Drammatiche le intercettazioni delle conversazioni tra autisti costretti a guidare anche per 18 ore continue dai titolati del gruppo Plozzer finiti sotto indagine in un inchiesta della Procura di Lodi. In una, raccolta dai militari della Gdf, uno dei conducenti esclama: “No, io sto male, mi stavo addormentando sul volante. Io non vado ad ammazzarmi o ad ammazzare altra gente”. “E’ da giugno che non scendo dal camion, mi sto arrugginendo qua e ho 75 anni” dice un altro. L’anno scorso, uno degli autisti vessati uccise un anziano che stava attraversando sulle strisce pedonali a Lecco.

Alcuni dipendenti della ditta di autotrasporti Plozzer “per poter dormire sui camion che avrebbero utilizzato la mattina dopo” pagavano una cifra di 200-300 euro al mese ai loro “datori di lavoro”. Lo si evince dall’ordinanza di custodia cautelare a carico di cinque dei titolari dell’azienda di autotrasporti. (Ansa)

mercoledì 20 maggio 2020

IL TRIO DEGLI INCAPACI


Le trio infernal face au covid-19 – Cartooning for Peace
La pandemia del coronavirus nel resto del mondo sta segnando oltreoceano la vita di milioni di brasiliani e statunitensi condizionando la loro esistenza in maniera paurosamente pericolosa per via delle scelte scellerate dei loro rispettivi governanti,Bolsonaro e Trump,ligi più all'economia che alla salute dei loro connazionali.
Sul gradino di questo virtuale e non invidiabile podio ecco la Gran Bretagna che contrappone linee restrittive ad altre di piena libertà in un connubio che alla lunga può presentare dei conti devastanti nonostante il fatto che Johnson abbia vissuto l'esperienza del Covid-19 su se stesso.
Questi personaggi sono accompagnati dal professare una politica di destra,vicina ai ricchi, lontanissima dalla maggioranza dei poveri che compongono la popolazione,reazionari e sicuri di essere sempre dalla parte della ragione nonostante i collaboratori(nello specifico quelli sanitari,prontamente silurati)indichino che le vie da loro percorse non siano quelle adatte per affrontare questa pandemia globale.
L'articolo di Contropiano(che presenta grafici e tabelle al sito:trump-johnson-bolsonaro-primavera-disastrosa )parla di questo trio e delle decisioni da loro prese nonostante i tragici recedenti cinesi e ancor più italiani,lombardi direi,e pensare che un Salvini che ha idee come questi sopra al governo sarebbe stato molto più devastante di quello che l'Italia ha dovuto sopportare.
Ora che gli Usa hanno dichiarato apertamente guerra anche all'Oms,il clima di sospetto e di scaricabarile delle responsabilità verso la Cina è sempre più visto come uno strumento di propaganda anche dagli stessi americani dotati di un minimo di coscienza e d'intelligenza.
Invece di investire in sanità pubblica,quella grande sconosciuta negli Stati Uniti,un modello che vorrebbero fare passare pure da noi,se la prendono sempre con qualcun'altro,le responsabilità interne vengono nemmeno accantonate,proprio fatte dimenticare,e pure il Brasile che ha sottovalutato enormemente il pericolo si vede ora con un numero di contagi e di morti che stanno aumentando di giorno in giorno.

Trump, Johnson, Bolsonaro: primavera disastrosa.

di  Massimo Zucchetti 
Contrariamente a quanto i politicanti di tutto il mondo vogliono farci credere, l’emergenza COVID-19 non è arrivata improvvisamente fra capo e collo a tutti i paesi occidentali, sorprendendo incolpevolmente a brache calate i nostri governi.

Ovvero: ci ha sorpreso a brache calate, sì, ma dopo aver suonato così tanti campanelli di allarme che neanche l’irrompere di un mandria di cavalli in una cristalleria poteva essere più rumorosa. Come avremo modo di verificare con i crudi numeri e le date, se il lettore avrà la pazienza di seguirci.

A dire il vero, due paesi sono stati colti di sorpresa, e se la sono vista abbastanza brutta, squassati da un’epidemia virale inizialmente sconosciuta: la Cina e la Corea del Sud.

Il signor Trump continua a dar la colpa ai Cinesi di tutto, accusati di aver celato la gravità dell’epidemia e di non aver avvertito in tempo gli altri paesi, oltretutto con la complicità di una organizzazione chiaramente comunista, ovvero la OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).

Va da sé che la sua definizione di “comunista” è la stessa che utilizza sempre, ad esempio con UNESCO o gli enti internazionali ONU che studiano il disastro climatico: comunista = non completamente spalmato sulle opinioni di Donald Trump.

E’ anche un peccato che Mr. Trump non guardi la televisione, specie quella italiana. Per tutti i mesi di gennaio e febbraio non si è visto altro che servizi sempre più ampi e spaventevoli sull’emergenza COVID in Cina e poi in Corea del Sud, lockdown, militari per le strade, ospedali stracolmi di ammalati, morti a centinaia, poi a migliaia.

Nel frattempo, qui in Europa il virus contagiava qualcuno qua e là, ma i numeri restavano a piccole cifre: forse gli italiani si sono già dimenticati di quando anch’essi diedero la colpa ai cinesi, disertando negozi e ristoranti gestiti da orientali purché fosse, magari residenti qui da decenni e che ti parlavano con accento milanese o romanesco. Sassaiole e insulti all’uscita di scuole frequentate da orientali. Ricordate?

Il manzoniano “dalli all’untore”, oltre ad una moderata pietà per quei poveri cinesi di Wuhan che crepavano come mosche, ci tenne occupati per almeno sei settimane.

A quasi nessuno venne in mente di prepararsi “al peggio”: qual era lo stato della ricettività ospedaliera in caso di un’epidemia di polmonite virale? Quanti erano i posti in terapia intensiva? I medici di base e le unità di assistenza medica sul territorio erano stati preparati? E le mascherine? (proprio l’abc anche per chi soltanto aveva visto un qualunque film catastrofico nello stile di Contagion del 2011, o mille altri: MASCHERINE!).

 Era possibile predisporre un sistema di diagnosi massiva e veloce per individuare i contagiati? Nulla di tutto questo, se non in qualche lodevole eccezione che menzioneremo in seguito.

Eppure, nel frattempo, i cinesi ci facevano vedere – con il lockdown “estremo” – che l’epidemia si poteva non soltanto contenere, ma stroncare proprio. I coreani, invece, ci facevano vedere che con i test e il tracciamento, senza adottare gli estremi rimedi cinesi, l’epidemia si poteva contenere ugualmente bene.

Ma quale “sorpresa”, di grazia, parlano i nostri politicanti? In Europa le morti hanno iniziato a fioccare quando in Cina era già tutto finito o quasi. Prima in Italia, tanto è vero che – ricordate? – i cari vicini di casa europei hanno fatto in tempo a trattare gli italiani allo stesso modo con il quale – un mese prima – gli italiani trattavano i cinesi: come untori.

Ma la globalizzazione se ne frega dei confini: ed in breve l’Europa è ritornata “comunitaria”, comunitariamente investita dall’epidemia.

Con alcune piccole differenze: la Germania, l’Austria e pochi altri stati, favoriti da una eccellente situazione di partenza della sanità, non erano del tutto impreparati, hanno tenuto botta a volte con una certa difficoltà, ma se la sono cavata.

Potrà poi sembrare gretta e senza cuore, ma ha una sua meschina razionalità, la loro riluttanza ad aiutare economicamente altri paesi europei altrettanto ricchi che però, per fare un esempio a caso, avevano preferito smantellare la sanità pubblica per investire in Grandi Opere inutili e dannose. Ogni riferimento all’Italia e al TAV è puramente causale.

Ma vediamo – scopo di questo articolo – di esaminare, una volta chiarite le nefandezze di casa nostra, anche tre gravissimi disastri avvenuti sul nostro povero pianeta, a causa del grande ingegno nocchiero di tre personaggi.

Appena fuori dall’Unione Europea, la Gran Bretagna soccombeva a partire da marzo alla dabbenaggine di un onesto, persino simpatico nella sua cazzoidalità, ma ignorante ed incapace Primo Ministro. Il buon Boris Johnson, si sa, è primo ministro per caso, miracolato dalla comprensibile repulsione dei britannici per la UE: chiunque, purché implementasse la Brexit, sarebbe stato eletto.

Il povero Johnson ha perso settimane preziose farneticando dietro l’immunità di gregge, senza capire che il gregge, prima di raggiungere l’immunità, avrebbe avuto – diciamo – un milioncino di pecorelle morte. Salvo poi ricredersi, correre ai ripari in ritardo, beccarsi anche il virus e restarci quasi secco.

Nel grafico qui sotto, accomunati con gli USA, possiamo vedere la bella riuscita della tattica attendista della Gran Bretagna: quasi 34.000 morti.

Come si vede dal grafico, fino a oltre metà marzo, i decessi in Gran Bretagna erano assai contenuti. Fino al 23 marzo, erano morte laggiù, in tutto, meno persone di quante ne sono morte in un giorno il 14 maggio.

E nel frattempo, negli Stati Uniti? Gli USA sono rimasti quasi intoccati, come decessi, fino quasi a fine marzo. Sebbene il primo caso di COVID sia stato segnalato il 23 gennaio, la partenza dell’epidemia è stata così lenta che persino George W. Bush junior, proprio per citare il peggio, con due mesi di tempo avrebbe trovato il modo di mobilitare le enormi risorse di quel paese.

Questa amministrazione, invece, ha fatto questo, nell’ordine: dire che era poco più che un’influenza e che comunque non sarebbe stato un loro “business”, pensare a comperare petrolio dato il basso prezzo, lasciare che gli stati più colpiti si arrangiassero, dichiarare nel pieno del decollo dell’epidemia di voler “riaprire tutto” per Pasqua, pompare enormi quantità di denaro per tenere in piedi aziende già bollite da prima dell’epidemia, chiamare il COVID “virus cinese”, incolpare la Cina, chiedere danni e minacciare sanzioni, incoraggiare le manifestazioni della destra più becera che irresponsabilmente chiede di riaprire tutto.

Tralasciamo le battute sulla varechina, che sono soltanto triste folklore dell’ignoranza più crassa.

Guardiamo un attimo il grafico qui sotto, con i morti ogni giorno in USA: a colpi di alcune migliaia di morti al giorno, ci si avvia tristemente, nel giro di una settimana, a raggiungere i 100.000 morti.

Non vi sono segnali certi di rallentamento dell’epidemia, come fortunatamente si hanno in molti stati europei: con quale coraggio criminale l’amministrazione USA farnetica e non solo, procede anche, a riaprire tutto, nonostante gli appelli sempre più inascoltati anche dei loro stessi consulenti ed esperti?

Trump parla sempre di “guerra”, nei suoi discorsi sul COVID. Non lo è: si tratta di strage. Ed è il governo federale il serial killer.

Veniamo in ultimo al fascista Bolsonaro del Brasile. Questo ometto è forse il più ripugnante dei tre. Ha inanellato perle su perle: ha iniziato col deridere con compatimento la popolazione italiana, vittima del virus in quanto debole e piena di vecchi, contrariamente ai popoli giovani e con “rassa potente”.

Poi ha detto che “i veri uomini il virus non lo prendono”, continuando a sprezzare le stesse minime norme di sicurezza che il suo governo ha implementato.

I risultati, purtroppo, sono visibili in questo ultimo grafico qua sotto: per tutto marzo il Brasile era quasi indenne, e fino a metà aprile l’epidemia era a sviluppo talmente lento che non appariva impossibile contenerla.


Ora, invece, non sono solo i numeri – si è comunque arrivati a quasi 15.000 morti – a spaventare, ma la “tendenza”. Cosa significa? Non c’è bisogno di essere dei fini statistici o degli epidemiologi di chiara fama, per capirlo: basta guardare la forma delle due curve nella figura qui sopra, che confronta il Brasile con la Spagna, uno degli stati europei più colpiti.

La curva dei decessi per la Spagna ha ora la concavità rivolta verso il basso. Ovvero: la pancia in alto. Se non succedono guai, dà vistosi segnali di rallentamento e di saturazione. Ovvero: dovrebbero morire sempre meno persone.

Per il Brasile, invece, è il contrario: pur con numeri già grandi, il grafico ha una forma esponenziale con una pendenza elevatissima. Davvero spaventosa. Purtroppo, se non succede qualcosa, in Brasile moriranno sempre più persone. Ed è una nazione grandissima, con grandi agglomerati urbani.

Contrariamente a Bolsonaro, noi – atei militanti – facciamo appello a qualunque divinità, incluso Marte dio della guerra e patrono dei militari, affinché aiuti il popolo brasiliano.

Ci dispiace dover scrivere sempre degli articoli così poco incoraggianti. Ma almeno su un punto vorremmo consolare il lettore. Non crediamo che dietro questa strage mondiale legalizzata vi sia un qualche complotto, o comunque una volontà malvagia. Si tratta di un misto di due fattori:

1.Anteporre il denaro e i beni materiali alla vita umana. Risparmiando su risorse essenziali come la sanità, ascoltando gli industriali che non vogliono chiudere le fabbriche e poi che vogliono riaprire prima del dovuto, eccetera.

2.La stupidità, l’ignoranza, l’incompetenza. Diceva Gianni Brera, parlando di cose molto più futili: “Il calcio italiano è pieno di ruggente pistolaggine!”. Esattamente.

Ma il problema è a questo punto principalmente uno. La stupidità umana, in questo caso dei nostri governanti, è infinita, come asseriva Einstein. Fino a che punto si spingerà nei prossimi mesi, non è dato saperlo.