venerdì 30 agosto 2019

LOTTARE E' LEGITTIMO,AMNISTIA TOTALE!


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La via tracciata per chi è solidale e complice con i prigionieri politici baschi è opera di un numero elevato di persone,dagli stessi incarcerati nella maggior parte dispersi(a centinaia di chilometri da casa),agli amici e ai loro familiari,a chi crede nell'indipendentismo e nel socialismo basco.
L'intervista proposta da Infoaut(lottare-e-legittimo )a Sendoa Jurado che ha vissuto sulla sua pelle tutta questa situazione,ripercorre gli ultimi quarant'anni abbondanti della richiesta di amnistia dopo quella truffaldina alla fine del franchismo(mai del tutto risolto in Spagna)fino ad arrivare ai giorni nostri con associazioni nate e poi illegalizzate e risorte con altri nominativi.
Lo Stato spagnolo tende a non usare il termine"politica"per le lotte degli abitanti di Euskal Herria in modo da svilire e accantonare le loro legittime rivendicazioni ed appioppargli reati come terrorismo a chi manifesta e fa appunto politica per la propria autodeterminazione.
Rispetto agli anni passati la lotta si è un poco affievolita viste le continue repressioni,gli arresti e gli assassini compiuti dalla polizia spagnola,ma il seme è stato piantato e come spiegato sotto ne contributo l'intensità è minore ma è più capillare,la consapevolezza di avere il destino nelle proprie mani è piantata all'interno dei cuori di migliaia di persone che lotteranno con tutti i mezzi per un'amnistia vera e per proseguire il percorso di liberazione.

“Lottare è legittimo. Amnistia totale!” Intervista a Sendoa Jurado.

Pubblichiamo la prima di due interviste che abbiamo avuto l'occasione di condurre grazie a dei compagni italiani che vivono e militano in Euskal Herria sull'attualità nei Paesi Baschi e della lotta per l'indipendenza e il socialismo. In questa prima intervista abbiamo posto alcune domande a Sendoa Jurado, portavoce del Movimento Per l’Amnistia e Contro la Repressione (Amnistiaren Aldeko eta Errepresioaren Aurkako Mugimendua) sul ruolo di questo movimento e sulla situazione dei prigionieri politici baschi. Buona lettura

Ci spieghi brevemente il tuo percorso di militanza nella sinistra basca?

A 13 anni iniziai ad avvicinarmi ad alcune mobilitazioni dell’Esker Abertzalea. Questo fu il mio primo contatto con la sinistra nazionalista basca, tuttavia non iniziai a militare seriamente se non qualche anno più tardi, soprattutto in ambiti giovanili, inclusi il movimento di occupazione e la Gazte Asanblada (assemblea giovanile), e nonostante mantenessi relazioni anche con qualche altra organizzazione.

Nel 2008 fui arrestato insieme ad altre cinque persone con l’accusa di aver partecipato ad un’azione diretta, nel 2009 a questa imputazione assommarono quella di passare informazioni ad ETA, e per il 2010 l’istruttoria era completamente gonfiata. Alla fine, sommate l’accusa di essere membro di un “gruppo terroristico” e quella di detenere esplosivi, ci chiesero 33 anni di carcere a testa. Infine, la condanna fu di due anni. Durante questo lasso di tempo sono stato membro del Collettivo dei Prigionieri Politici Baschi (Euskal Preso Politikoen Kolektiboa-E.P.P.K.), esperienza che mi è stata molto utile per comprendere il ruolo che gioca la repressione nei confronti dei militanti politici.

Come nasce questo movimento e quali sono le sue caratteristiche?

La nostra organizzazione nasce nella primavera del 2014, due anni dopo la scomparsa di Askatasuna (l’ultima organizzazione che ha difeso l’amnistia) che di fatto fu illegalizzata dall’ Audienza Nazional spagnola. C’erano altre organizzazioni che si occupavano del tema dei perseguitati, ma lo facevano solo da un punto di vista umanitario, e questo non ci sembrò sufficiente.

Crediamo che separare le conseguenze del conflitto (prigione, esilio e deportazione) dalle ragioni che le hanno causate (la lotta contro l'oppressione degli stati spagnolo e francese) sia il modo migliore per perpetrare il problema e rafforzare l’oppressione, poichè riteniamo che in questo modo, invece di tagliare le mani di colui che agita lo scudiscio, si curino le ferite prodotte dalla frusta.

La nostra organizzazione è socialista e indipendentista, decidiamo la nostra linea politica e di intervento attraverso un regime assembleare. Il nostro lavoro è completamente volontario e per questo non percepiamo remunerazioni. Siamo lavoratori che dedicano il loro tempo libero alla militanza.

Qual'è il significato per voi dell'amnistia?

Facciamo nostra la definizione storica dell’amnistia fatta dal Movimento di Liberazione Nazionale Basco (Euskal Nazio Askapenerako Mugimendua-E.N.A.M.): libertà per tutti i militanti politici e superamento delle cause che li hanno spinti a lottare, ovvero la fine dell'oppressione che subiscono la nostra nazione e la sua classe lavoratrice. La fine dell’oppressione sarà la garanzia che le carceri non torneranno nuovamente a riempirsi di militanti, come accadde dopo la falsa amnistia del 1977 che dopotutto favori il franchismo, poichè fu una “legge del punto finale”.

Ad un anno da questa menzionata e cosidetta amnistia del 1977 duecento prigionieri politici baschi erano nuovamente in carcere, e Fran Aldaondo, l’ultimo prigioniero politico basco uscito dal carcere, fu ucciso in un agguato della Guardia Civil. Questo accadde sia perchè non fu data risoluzione al problema di fondo e sia perchè il paese non vedeva altra via di uscita che non fosse la lotta. Vogliamo evitare le false risoluzioni, la risoluzione verrà dal superamento dell’oppressione nazionale e di classe che subiamo.

Ci spieghi qual'è la vostra linea politica e quali sono i vostri obbiettivi?

Lo stato francese e quello spagnolo cercano la despoliticizzazione del conflitto, negando ai perseguitati il riconoscimento del loro status politico. Vogliono convertirlo in un problema di natura terroristica, allo scopo di evitare una via di uscita di carattere politico. Fatto questo, preparano il cammino repressivo con l’intenzione di mantenere il medesimo status quo. Il capitalismo ha bisogno della dissoluzione delle nazioni per poter uniformare il mercato economico, e perpetra lo sfruttamento della classe lavoratrice per continuare a vivere grazie al suo sangue e al suo sudore.

Recentemente abbiamo deciso che focalizzeremo la rivendicazione dell’amnistia sul tema della lotta. Nell’ultimo decennio il Paese Basco ha vissuto un processo di desmobilitazione e questo ci sembra il miglior contributo che possiamo dare alla lotta per la liberazione. “Lottare è legittimo. Amnistia totale!” (“Borroka egitea zilegi da. Amnistia osoa”) sarà la parola d’ordine che utilizzeremo da qui in avanti. Nel cammino per ottenere la libertà vogliamo aiutare a promuovere il paese che combatte.

Come intervenite nella società basca?

Da un lato abbiamo una nostra dinamica peculiare. Portiamo a termine mobilitazioni, dibattiti pubblici e dinamiche di coscientizzazione. Oltre a promuovere un discorso sull’amnistia, denunciamo i casi di repressione che avvengono in Euskal Herria e, come dicevamo poco fa, difendiamo la legittimità della militanza politica e della lotta.

Non possiamo non menzionare un importante impegno che abbiamo preso sin dall’inizio: nessun prigioniero politico rimarrà senza sostegno per aver mantenuto una posizione dignitosa. Ci occupiamo del sostegno umano e politico ai 6 prigionieri che, essendo in disaccordo con la lettura politica del Collettivo dei Prigionieri Politici Baschi, sono usciti dall’EPPK (Euskal Preso Politikoen Kolektiboa).

Dall’altro lato, manteniamo contatti con altre soggettività del movimento popolare, e di recente abbiamo fatto una scommessa per investire nel rafforzamento di queste relazioni. Di conseguenza, nei prossimi mesi vogliamo consolidare questi rapporti nel rispetto dei reciproci ambiti e della reciproca indipendenza.

Come è cambiata negli ultimi trent'anni la società basca e quali sono per voi le prospettive di attualizzazione della causa indipendentista e socialista?

È completamente cambiata. È sceso il livello di mobilitazione e il movimento popolare si è indebolito. Non è stato qualcosa di casuale, poichè gli stati francese e spagnolo hanno investito molto denaro e messo in marcia moltissimi dispositivi per poter assimilare il Paese Basco attraverso la disinformazione e la repressione.

A questo si dovrebbe aggiungere il ruolo dei mediatori internazionali che sono venuti a realizzare il “processo di pacificazione”. In realtà quello che hanno fatto, come in altri paesi del mondo, è stato disattivare la lotta. L’unica cosa che hanno chiesto agli oppressori è stata quella di avere delle modalità repressive “più umane”. Questi stessi chiamano pace il non rispondere alla repressione, e questo significa legittimare e rinforzare la violenza strutturale.

Per quanto riguarda il Movimento di Liberazione Nazionale Basco (E.N.A.M.-Euskal Nazio Askapenerako Mugimendua) si è mosso in un processo di dissoluzione per covertirsi alla socialdemocrazia nel 2009. Al posto di destabilizzare le strutture degli stati, vi ci si sono introdotti negando il confronto e facilitando l’assimilazione del Paese Basco.

Nonostante tutto questo, negli ultimi anni in Euskal Herria sono nate nuove espressioni di lotta. Anche se le forze sono ancora divise, si sta aprendo il cammino necessario per praticare la lotta. Il nostro non è ancora un paese assimilato. Versiamo in una grave situazione, ma credo che ci siano ancora alcuni elementi per cui essere fiduciosi. Una pluridecennale volontà di lottare non può estinguersi da un giorno all’altro, e sono sicuro che la semina di un tempo darà i suoi frutti.

Come sono cambiati negli ultimi anni i dispositivi di attacco al movimento basco dello stato spagnolo non solo dal punto di vista della repressione, ma anche da quello della costruzione del discorso di criminalizzazione e emergenza politica?

Non possiamo dimenticare che le aggressioni non provengono solo da parte dallo stato spagnolo. Anche lo stato francese ci opprime allargando la divisione nel paese. In ogni caso, la repressione si conforma sempre alla situazione in relazione al livello di resistenza che incontra, fermo restando che di fronte ad una maggiore resistenza anche la repressione si farà maggiore. Gli stati lasciano sempre una via di uscita, e questa via di uscita è la resa. Con l’intenzione di promuovere questa capitolazione adeguano il livello repressivo.

D’altra parte stiamo vedendo come la repressione stia interessando settori sempre più ampi. L’intensità è minore, ma più diffusa. L’obbiettivo è quello di bruciare anche l’ultimo seme di resistenza, ma in Euskal Herria abbiamo costruito un enorme semenzaio nel corso degli anni. Non gli sarà facile.

In questo momento sono impegnati nel mistificare il passato con l’intenzione di condizionare il futuro. Ed è per questo che vogliono vietare gli “ongietorriak” (celebrazioni di benvenuto) che il paese organizza per i prigionieri politici quando vengono scarcerati. Il pretesto è quello di essere offensive per la memoria delle vittime, ma ciò che c'è dietro è la volontà di presentare i militanti politici come terroristi. Queste celebrazioni mettono a gambe all’aria questo teorema, perché servono ad evidenziare la natura politica del conflitto.

Ci spieghi quali sono attualmente le condizioni dei prigionieri politici baschi?

Continuano ad essere gravi. Il ricatto contro i prigionieri politici infermi non si è fermato improvvisamente e si vuole spingerli a scegliere tra pentirsi o morire. La Dispersione prosegue ed alcuni prigionieri politici vengono mantenuti a più di mille chilometri di distanza da casa. Alcuni di loro continuano ad essere detenuti in regime di isolamento.

In Francia sí è stato concesso ai prigionieri un avvicinamento generalizzato, ma non lo hanno concesso alle prigioniere, mantenendole detenute in Bretagna o nei dintorni di Parigi. Questo è quello che lo stato francese ha concesso in cambio della consegna delle armi da parte di ETA. Proprio qui la Procura si sta invece dimostrando sfavorevole alla concessione della libertà condizionale per i prigionieri politici con una condanna di lunga durata, sebbene alcuni di loro siano in carcere da quasi 30 anni. Negli ultimi anni il tribunale di Parigi ha imposto anche parecchi ergastoli.

Tornando in Spagna, circa 100 prigionieri politici devono ancora scontare lunghe pene detentive, che in alcuni casi raggiungono i 40 anni. Nel loro caso, l’intenzione dello stato spagnolo è quella di far scontare la condanna nella sua interezza, e ad alcuni rimane da scontare la parte più consistente della pena.

Di fronte a questo non ci passa per la testa di accettare questa situazione, e continueremo a chiamare alla lotta, fino ad ottenere un Paese Basco senza prigionieri politici, indipendente e socialista, fino a concretizzare l’amnistia.

giovedì 29 agosto 2019

DEMOCRAZIA BRITANNICA IN PERICOLO


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In Gran Bretagna è stata messa in atto un'azione molto forzata in modo da arrivare ad una Brexit hard,senza nessun accordo con l'Unione Europea e che ha fatto impallidire le opposizioni britanniche,un superamento a piè pari della democrazia avallato dalla regina.
In pratica dal 9 settembre al 14 ottobre i lavori parlamentari saranno chiusi,e la data finale del 31 ottobre già posticipata una volta,quella dell'addio Europa,sarebbe troppo vicina per eventuali discorsi di un'uscita più formale e"comoda".
Il sempre più trumpiano nei modi Boris Johnson si mette di traverso e a braccio teso blocca il sistema con questo modo in cui la soluzione è già deciso almeno sulla carta,in quanto in poco tempo si sono già raccolte più di un milione di firme per impedire questo tecnicismo lesivo alla democrazia.
Articolo di Left:bye-bye-democrazia-johnson-chiude .

Bye bye democrazia: Johnson chiude il Parlamento, per forzare una Brexit senza accordo.

di Sabrina Certomà   
La “soluzione nucleare” – così chiamata per il suo carattere “estremo” – è stata adottata: il premier britannico Boris Johnson ha chiesto e ottenuto dalla regina Elisabetta di sospendere i lavori del Parlamento pochi giorni dopo il rientro dei parlamentari dalla pausa estiva e solo qualche settimana prima della data fissata per il divorzio definitivo del Regno Unito dall’Ue, il 31 ottobre.

Johnson ha intenzione di lasciare a casa i deputati dal 9 settembre al 14 ottobre, giorno in cui è fissato il discorso della Regina sulle politiche del nuovo governo. Si ridurrebbe, così, drasticamente il tempo a disposizione del fronte trasversale dei deputati contrari al No deal per cercare di neutralizzare con una legge i piani del governo per una hard Brexit – senza accordo. Il premier ha, tuttavia, negato subito che si tratti di una mossa per impedire il dibattito con la Camera dei Comuni, sostenendo che Westminster avrà tempo a sufficienza per discutere dei termini della Brexit: «Serve ad andare avanti con i piani per far progredire il Paese. È falso, stiamo presentando nuove leggi su crimine, ospedali, istruzione. Ci sarà tutto il tempo dopo il vertice del 17 ottobre (Ue sulla Brexit, ndr) per dibattere la Brexit».

Immediata la reazione delle opposizioni: in base alla “Costituzione” del Regno Unito, infatti, la Regina può opporsi a quello che formalmente è un “consiglio” del premier, ma per convenzione questo non avviene. Il leader del partito laburista, Jeremy Corbyn, aveva addirittura scritto una lettera alla Regina per esprimerle le sue preoccupazioni chiedendole un incontro urgente. «Sono inorridito dalla sconsideratezza del governo Johnson, che parla di sovranità e che tuttavia sta cercando di sospendere il Parlamento per evitare l’esame dei suoi piani per una spericolata Brexit senza accordo. Questo è un oltraggio e una minaccia per la nostra democrazia», ha sottolineato Corbyn indignato.

Anche lo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, ha commentato in modo perentorio la mossa: «Si tratta di un oltraggio costituzionale. Non importa come la si presenta, è ovvio che il fine sarebbe quello di impedire al parlamento di dibattere la Brexit e fare il proprio dovere nel modellare la strada per il Paese… chiudere il Parlamento sarebbe un’offesa al processo democratico e ai diritti dei deputati». Il primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon, ha espresso il suo disaccordo twittando: «Sembra che Boris Johnson stia per chiudere il Parlamento ed imporre una Brexit senza accordo. A meno che i parlamentari si uniscano per fermarlo, la prossima settimana, oggi verrà ricordato come un giorno nero per la democrazia britannica». Chiude il responsabile per la Brexit dei Liberaldemocratici Tom Brake, sostenendo con durezza che «Johnson ha appena lanciato il guanto di sfida alla democrazia parlamentare. La madre di tutti i parlamenti non gli permetterà di escludere il Parlamento dalla più importante decisione per il nostro Paese. Risponderemo alla sua dichiarazione di guerra con un pugno di ferro».

Intanto, la petizione che chiede di bloccare la sospensione del Parlamento ha già superato le 300mila firme in sole tre ore. Bruxelles reagisce con cautela: la Commissione europea non ha commentato, limitandosi a ricordare che per raggiungere un accordo, ci vogliono in tempi brevi «proposte che funzionino». A seguito degli ultimi sviluppi è possibile che la prossima settimana, al rientro dei deputati dalla pausa estiva, il partito di opposizione laburista presenti una proposta di legge per bloccare la sospensione del Parlamento, seguita da una mozione di sfiducia al governo. In questo caso, Johnson potrebbe scegliere di non dimettersi, convocare elezioni anticipate e sciogliere addirittura la Camera dei Comuni. In questo modo, una Brexit senza accordo avverrebbe praticamente in automatico.

mercoledì 28 agosto 2019

LA TERRA BRUCIA,DI NUOVO


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Ogni sorta di commento e di triste verità sui roghi che dall'inizio dell'estate stanno attanagliando non solo il nord della terra(madn lestremo-nord-del-pianeta-in-fiamme )ma un poco tutto il globo non ultimo il Brasile,è un punto in più contato nel paniere delle realtà scientifiche che alcuni"grandi"del mondo continuano a non dare ascolto.
L'Amazzonia che brucia grazie al consenso diretto del premier Bolsonaro è l'esempio lampante del più totale menefreghismo e rispetto verso la natura,migliaia di focolai appiccati per avere a disposizione più terreni per pascoli e colture sono il prezzo che i brasiliani in maniera diretta e tutti noi indirettamente stiamo pagando.
Nell'articolo(contropiano brasile-gli-incendi )tutta la consapevolezza di un disegno criminale che ha fatto sì che tutti gli incendi siano stati calcolati a tavolino ed appiccati assieme,centinaia di ettari bruciati,milioni di animali che non hanno una casa e una quantità enorme di fumo sprigionata nell'atmosfera.
Gli appelli dei grandi compagni come Chavez e Castro rimasti inascoltati per anni,il capitalismo che consuma e distrugge non solo l'uomo ma anche la natura,interessi milionari dietro a tutta questa terra bruciata che gli incendi si lasciano dietro.

Brasile. Gli incendi in Amazzonia sono stati coordinati?

di  Resumen Latinoamericano 
La polizia brasiliana sta indagando sulle azioni incendiarie causate in Amazzonia. In particolare si indaga su una settantina di persone che il 10 agosto hanno partecipato ad un gruppo con messaggi su whatsapp, coordinando le azioni per bruciare campi e foreste. In quella data il numero di fonti di fuoco è aumentato improvvisamente in Amazzonia
Al centro delle indagini ci sono città come Altamira, nel Pará, il comune purtroppo in testa per la quantità di incendi e la deforestazione in Brasile, e poi il distretto di Cachoeira da Serra, uno dei poli agricoli più contestati dagli agricoltori.

Sta emergendo che oltre 70 persone, di Altamira e Novo Progresso, tra sindacalisti, agricoltori, commercianti e accaparratori di terre, si sono unite attraverso un gruppo di WhatsApp per bruciare i dintorni della BR-163, la strada statale che collega questa Regione del Pará con i porti del fiume Tapajós e dello stato del Mato Grosso.
 La loro intenzione era quella di dimostrare al presidente Jair Bolsonaro il loro sostegno alle sue idee di “allentamento” della supervisione di Ibama e forse di ottenere il perdono delle multe per violazioni ambientali.
Su richiesta del procuratore di Novo Progresso, il delegato Daniel Mattos Pereira, della polizia civile, ha ascoltato alcune persone legate alla “Giornata del fuoco”, ma finora nessuno è stato arrestato.
I comuni di Castelo dos Sonhos e Novo Progresso hanno ricevuto numerose lamentele da parte degli agricoltori che affermano di essere stati danneggiati dagli incendi. Molti recinti, pascoli, raccolti e animali sono andati persi, tutti divorati dal fuoco.

Dopo che la denuncia del “Fire Day” (Il giorno del fuoco) è stata resa pubblico, una nuova versione circola in tutta la regione. Il contadino Nair Brizola, di Cachoeira da Serra, fa eco ad una storia che ormai ascoltiamo ovunque. È venuto da noi mentre guidava lungo la Bucha Road, dove il nostro team ha documentato un incendio.
“Siete ambientalisti?” ci ha urlato dall’interno del suo camion.
– “No. Siamo giornalisti”
 – “Bene. È fantastico “, ha risposto.
– “Chi dà fuoco qui?», Chiedo
– «È ICMBio [l’acronimo si riferisce al Chico Mendes Institute for the Conservation of Biodiversity]. C’era una motocicletta nera che bruciava tutto qui. E sono andati a casa mia con questa bici attaccata al loro camion. Era scritto sulla porta”
Non sapendo che la nostra conversazione veniva registrata, Nair ha continuato:  “Queste persone, se ti vedono, sono già armate, ti fermano, prendono già il tuo cellulare. Non puoi fare niente. I camion che hanno fatto tutto questo terrore sono scritti in ICMbio. Il presidente Bolsonaro ha ragione quando afferma che queste ONG sono coinvolte negli incendi ”, aggiunge.
“Ma ha anche detto che possono essere agricoltori”, gli chiedo.
“Non dirò che l’uno o l’altro non lo sta facendo, ma a dare fuoco lungo la strada  (la BR 163, ndr) non sono stati i contadini”.
La vegetazione molto secca sul lato della strada continua a subire incendi che interrompono il traffico sulla BR 163. Entrando nelle strade sterrate incontriamo una vasta area di foresta che brucia in fiamme.
Un grande incendio ha bruciato intorno a un’area forestale primaria. Il fuoco è stato posizionato strategicamente intorno alla foresta, proprio quando il vento ha sospinto le fiamme. Il trattorista, Erisvã da Conceição Silva, sta arando un terreno, che un tempo era una foresta,  preparando così l’area per piantare cereali.
“Chi l’ha dato alle fiamme?” Chiedo.
“Questo incendio è venuto dalla strada dall’altra parte”. Indica il lato opposto della foresta dove sarebbe praticamente impossibile aver causato l’incendio, per una semplice ragione. Non c’era fuoco lì.
Mentre gli stavamo parlando, il fuoco si è esteso tra gli alberi. Uccelli e insetti sono usciti disperatamente dalla foresta. Continuiamo qui a indagare sulla data della “Giornata del fuoco” che nessun altro dimenticherà. Il 10 agosto 2019, quando sono scoppiati diversi incendi criminali in Amazzonia che hanno spaventato il mondo intero. Gli stati di Rondônia, Acre, Amapá, Mato Grosso, Amazonas e Pará sono stati bruciati nello stesso tempo. Ci sono incendi che di solito si verificano spontaneamente nella stagione secca, ma non in tali proporzioni.

fonte: Resumen Latinoamericano

martedì 6 agosto 2019

NESSUNA FOLLIA,SOLO UN'INSANA PREMEDITAZIONE


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Fa sempre più schifo la situazione negli Stati Uniti a fronte delle continue stragi,la maggior parte perpetrate da suprematisti bianchi bombardati di messaggi razzisti del presidente Trump che in maniera ancora più vergognosa parla di questi suoi seguaci in termini di follia.
A El Paso in Texas e a Dayton in Ohio nel giro di poche ore ci sono state ventinove vittime tutte trucidate con armi d'assalto,e sono 246 le uccisioni riconducibili a fatti simili:l'articolo preso da Infoaut(conflitti-globali )parla giustamente di una guerra civile a bassa intensità,un continuo accumulo di odio razziale che a volte sfocia in violenza premeditata,altro che gesti di pazzia,il tutto è pianificato per avere il maggiore numero di cadaveri.
E se ispanici come nel caso texano in quanto la matrice di odio criminale razzista è stata evidente fin da subito,ancora meglio,la guerra ai migranti,le continue parole sul muro al confine messicano,il continuo discorso sulle presunte invasioni fanno da motore a questi idioti ben armati.
Ovvio che il mandante politico sia proprio Trump,e non è solo una questione americana ma piuttosto globalizzata,Norvegia e Nuova Zelanda(citate esplicitamente nel manifesto dell'assassino di El Paso)insegnano che il problema è mondiale,e anche l'Italia non è esente da questo discorso seppure su scala più ridotta,sia in numeri che in capacità mentale dei politici razzisti di riferimento.

USA: Guerra civile a bassa intensità.

Una guerra civile negli Stati Uniti c'è già stata e forse in fondo continua ad esserci. E' una guerra civile ma anche una guerra di classe dall'alto e una guerra intracapitalistica, ma giocata sulla pelle dei proletari. In fondo era già così: industriali "progressisti" del Nord contro latifondisti schiavisti del Sud, ma chi andava a morire? Oggi si può dire che a contrapporsi siano le elites metropolitane dell'informatica e della finanza contro il vecchio capitale del carbone e del petrolio, ma i morti sono sempre altri. Una lotta serrata che ha come campo della contesa l'organizzazione, l'integrazione, la soggettività della forza lavoro e dei suoi consumi.

I morti per sparatorie di massa negli Stati Uniti dall'inizio dell'anno sono stati 246, con 979 feriti, in 249 assalti. Sempre più spesso a premere il grilletto sono suprematisti bianchi, giovani con simpatie trumpiane e nazisti e fascisti di varia specie. Va subito sgomberato il campo da quel pensiero che vorrebbe definire questi attentati come episodi di "follia omicida", gli attentatori come "lupi solitari" che nella loro vita disagiata partoriscono massacri per un momento di notorietà. Non si tratta di questo, o meglio non solo di questo. La guerra civile americana ha un preciso costrutto ideologico e il preciso ruolo di disporre la linea dei conflitti sociali su piani etnici e razziali piuttosto che su quello di classe. Non bisogna cadere nell'errore di considerare questo fenomeno come un risultato solo delle politiche di Trump, di fatto è, sul lungo, una proiezione interna di quella "guerra di civiltà" che, bipartisan, repubblicani e democratici hanno esportato in giro per il mondo. E così l'attentatore di El Paso, Texas, Patrick Crusius di 21 anni, dal suo profilo twitter rivendica: «Vendicare il Texas dall’invasione ispanica» facendo riferimento una linea di conflitto antica di quasi duecento anni, fin dalla contesa geopolitica tra Messico e Stati Uniti sullo stato della stella solitaria e a uno dei primi esperimenti colonialisti degli yankees.

Ma non solo: a Patrick Crusius è attribuito un manifesto pubblicato sul forum 8chan in cui spiega le motivazioni che l'avrebbero spinto a compiere la strage. Al centro commerciale il 3 agosto sono stati presi di mira dall’americano, molti bambini, evidentemente come conseguenza della sua teoria suprematista per cui gli immigrati di prima generazione accettano i lavori più umili, invece i loro figli, i cosiddetti “dreamers” vogliono «vivere il sogno americano»: “La loro colpa è quella di laurearsi in cerca di un lavoro più qualificato di quello dei loro padri, e questo crea un mercato del lavoro troppo competitivo per cui gli studenti americani si trovano a svolgere lavori sottopagati”. Anche qui è evidente come la fine della mobilità sociale negli Stati Uniti è attribuita agli immigrati invece che al capitalismo made in USA e alla sua voracità. Il successivo passaggio poi ha del grottesco, ma è indice di come ancora una volta il suprematismo bianco e il fascismo siano un coadiuvato del darwinismo sociale capitalistico americano e non una sua estraneità; Crucius sostiene che gli ispanici contribuiscono ad esaurire le risorse naturali a disposizione degli americani. “Gli immigrati ispanici sono migranti economici, sono disposti a tornare nei loro Paesi. Per farlo hanno bisogno di un incentivo che io, e altri patrioti americani, dobbiamo dare”, così che gli Americani abbiano maggiore risorse da sfruttare per le loro cattive abitudini di fronte a una sempre minore sostenibilità dello stile di vita liberista per il pianeta. La crisi ambientale viene dunque ammessa, ma ricondotta all'eccessiva presenza di migranti e al fatto che sia inevitabile dover scegliere chi vive e chi muore (e naturalmente a vivere dovranno essere i WASP americani).

L’episodio più sanguinoso di mass shooting è stato proprio quello di El Paso (20 morti e 26 feriti), seguito da quello di Virginia Beach (31 maggio, 13 morti e 4 feriti) e da quella al Garlic festival di Gilroy, California (28 luglio, 4 morti e 12 feriti) per mano di un altro suprematista bianco con origini italo-iraniane.

E' necessario però ancora soffermarsi su un altro aspetto collegato alla sparatoria di El Paso e cioè sulla manipolazione comunicativa utilizzata da canali filo governativi per spostare l’attenzione sulla responsabilità di tali massacri, dall’ideologia suprematista a sostegno del darwinismo sociale, a iniziative non benvenute di gruppi antirazzisti e antifascisti previste nel mese di agosto e settembre alla muraglia con il Messico.

Il giornalista conservatore Andy Ngo ha subito mostrato con un tweet un volantino in cui la gente lanciava frecce contro una torre vicino a quella che sembrava essere una barriera di confine. Il volantino invitava al “Border Resistance Tour”, per 10 giorni a El Paso, destinato a mettere in evidenza i maltrattamenti in corso di immigrati al confine meridionale. I media hanno ripreso tale comunicazione focalizzando e mistificando l’informazione torcendola nel rendere responsabili tali gruppi e iniziative nell’aver innescato una “reazione americana”.

Il governatore texano Dan Patrick, repubblicano, intervenuto alla Fox News sui fatti della sparatoria ha esplicitamente messo in guardia gli Antifa dall'andare a El Paso dopo le sparatorie di sabato.

Di fatto anche qui la retorica che viene innescata è chiara, ogni guerra civile anche a bassa intensità ha bisogno di due americhe contrapposte, da un lato quella bianca, stufa e arrabbiata, provocata dall'immigrazione senza controlli e quella pro-immigrazione, contro l'identità USA e che vuole sabotare dall'interno il paese. Gli Antifa dunque secondo questa manipolazione diventano provocatori, nemici della patria che con le loro azioni sconsiderate attivano la reazione di patrioti folli e omicidi certo, ma esasperati. I conservatori cuciono addosso ai militanti antirazzisti e antifascisti un vestito perfetto per legittimare ancora una volta la contrapposizione sul terreno della guerra civile. Chissà se i molti e le molte giovani che si stanno opponendo alle politiche trumpiane con generosità riusciranno a comprendere questa trappola e a rifiutare il terreno della guerra civile chiedendosi piuttosto quale sia la strada per rovesciarla in una possibile guerra di classe?

giovedì 1 agosto 2019

L'ESTREMO NORD DEL PIANETA IN FIAMME


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Il cambiamento climatico i cui effetti si stanno verificando sempre più a livello globale anche in zone mai prima toccate,sta attanagliando in queste settimane parecchie zone all'altezza del circolo polare artico,e la Siberia è la terra più danneggiata visti i continui incendi.
Ma anche territori in Canada,Groenlandia,Alaska e nel nord della Scandinavia non sono esenti dalle fiamme,ed i venti portano fuliggine,gas serra(soprattutto anidride carbonica)e calore eccessivo anche nella zona artica producendo uno scioglimento ancora più veloce dei ghiacci.
La situazione non è tollerabile da decenni e c'è chi ancora non crede al riscaldamento globale o meglio non dà importanza ad esso(vedi:madn gli-interessi-del-capitale-nelle-scelte di Trump )e gli accordi internazionali sul clima vengono mestamente disattesi.
L'articolo(www.repubblica ambiente siberia_in_fiamme )parla della grave criticità non solo nell'estremo nord del pianeta ma in tutte le zone della terra,con un clima che non è impazzito per farci un dispetto ma che è diretta conseguenza delle nostre scelte.

Siberia in fiamme: roghi mai così distruttivi per suolo e clima.

Brucia un'area grande quanto il Belgio, scaricando in atmosfera milioni di tonnellate di gas serra. Un circolo vizioso alimentato dal riscaldamento globale e che ne aggrava gli effetti, lì dove una bomba climatica è pronta a esplodere

di MATTEO MARINI

Quello che sta accadendo sulla linea del Circolo polare artico sta innescando una spirale distruttiva alla quale l’uomo non ha mai assistito. Non in tempi storici. Gli incendi, soprattutto in Siberia, ma anche (seppur in misura minore) in Canada, Groenlandia e Alaska, imperversano da almeno due mesi. Nelle zone più settentrionali e più remote della Russia basta un fulmine ad accendere roghi che non vengono contenuti e da settimane devastano vastissimi territori, alimentati dal vento e dalle alte temperature.

 Il riscaldamento globale sta creando le condizioni per il proliferare delle fiamme e le fiamme stesse lo alimentano scaricando nell’atmosfera milioni di tonnellate di CO2, riscaldando ancora di più l’Artico, in un circolo vizioso che alimenta il climate change. Tutto questo sta accadendo in una zona che nasconde una bomba climatica a orologeria pronta a esplodere.

Anche nelle regioni solitamente più fredde della Russia, le temperature massime sono arrivate fino a 30 gradi centigradi. La stima al 30 luglio segnala più di 3,2 milioni di ettari preda delle fiamme, soprattutto nella Jacuzia, la vasta regione russa nella Siberia nordorientale, e a Krasnoyarsk e Irkutsk. Una superficie paragonabile al Belgio. E in meno di due mesi gli incendi che contornano il Circolo Polare artico hanno emesso anidride carbonica (il gas serra “per eccellenza”) per 100 milioni di tonnellate, proprio come il Belgio in tutto il 2017. Lo testimoniano anche le immagini dei satelliti della costellazione europea Copernicus Sentinel diffuse dall’Agenzia spaziale europea.

Spegnere le fiamme non conviene.

La prima difficoltà che stanno avendo le autorità russe è la distanza degli incendi, spesso a migliaia di chilometri dalle principali città, aspetto che rende 'antieconomico' raggiungerli per spegnerli. Così vengono solamente monitorati. Per stessa ammissione del governo, non è conveniente ancora spostare personale in massa, perché le fiamme non minacciano centri abitati. Il fumo però viaggia veloce, spinto dalle correnti, così anche il sole nelle città è velato dalle nubi grigie che arrivano da lontano. Come a Krasnoyarsk, la terza città più grande della Siberia, dove gli abitanti comincino a respirarle.

Anche per questo, secondo quanto riporta il sito del governo russo, è stato dichiarato lo stato di emergenza in almeno cinque regioni: "La situazione più difficile è nella regione di Irkutsk, nel territorio di Krasnoyarsk, nella Repubblica di Sakha (Yakutia) e in Buriazia” ha dichiarato Dmitry Nikolaevich Kobylkin, ministro delle Risorse naturali e dell'ambiente della Federazione Russa. Per far fronte alla situazione, sono stati inviati aeroplani, elicotteri e paracadutato personale per tentare di contenere le fiamme. Uno sforzo che finora non sembra dare risultati.

L'intervento del governo è al centro delle polemiche sui social network, dopo che lo stesso Kobylkin ha dichiarato che "gli incendi sono fenomeni naturali comuni e combatterli è senza senso; a nessuno viene in mente di affondare un iceberg per rendere più tiepida la temperatura in inverno". Online gli hashtag #SalvateLaSiberia e #LaSiberiaBrucia sono diventati gli slogan della protesta.

La spirale del climate change.

Ma quello degli incendi al Circolo polare non è solo un problema regionale ma sta alimentando la crisi climatica globale. Secondo la World meteorological organization (Wmo) le foreste boreali stanno bruciando a un ritmo mai visto da 10.000 anni a questa parte. Le fiamme si spingono sempre più a nord, ingoiando anche gli ettari di tundra, vegetazione bassa, resa sempre più secca dal global warming e dalla siccità. In queste regioni il clima da anni è destabilizzato, il vortice polare è debole e le incursioni di aria calda fanno innalzare le temperature anche 10 o 20 gradi in più rispetto alla media.

Secondo Greenpeace Russia, quest’anno sono andati in fumo 12 milioni di ettari in queste regioni e riducendo la capacità della foresta di assorbire l'anidride carbonica. “E c'è l'ulteriore problema della fuliggine che cade sul ghiaccio o sulla neve favorendone lo scioglimento perché, scurendo la superficie, ne riduce la riflettività e intrappola più calore", ha spiegato l'Organizzazione meteorologica mondiale all’Afp.

È il meccanismo associato al global warming che più preoccupa, perché si autoalimenta: "Il Polo Nord è una delle regioni più sensibili del globo – sottolinea Gianmaria Sannino, responsabile del Laboratorio di modellistica climatica dell’Enea – qui la differenza sostanziale è il calore. La temperatura più alta fa sciogliere più ghiaccio rispetto agli anni precedenti. Ghiaccio che non fa in tempo a essere sostituito da quello nuovo durante l’inverno. E libera vaste zone di oceano che, essendo più scuro, assorbe più calore dai raggi solari rispetto alla superficie bianca, che invece lo riflette verso lo spazio". Questo processo aumenta anche la temperatura del mare, che scioglie più ghiaccio. E si ricomincia.

I gas serra nel permafrost.

Le regioni attorno al Circolo polare artico sono considerate, da molti climatologi, una bomba a orologeria. Anche il permafrost (letteralmente: gelo permanente), il terreno ghiacciato caratteristico di queste latitudini, si sta sciogliendo a causa dell’aumento delle temperature e, ora, anche degli incendi senza precedenti. Intrappolati nel permafrost ci sono miliardi di tonnellate di gas serra (come il metano) che potrebbero essere liberati e scaldare ancora di più il pianeta. Secondo uno studio del Cnr pubblicato nel 2016, questo 'gigante dormiente' nasconde 1.400-1.700 miliardi di tonnellate di carbonio equivalente che potrebbero riversarsi in atmosfera nel corso dei prossimi due secoli sotto forma di CO2 o metano. Per fare un confronto, ogni anno le emissioni dell'uomo si aggirano attorno ai dieci miliardi di tonnellate di carbonio equivalente. E come se questo non bastasse, si teme che dal permafrost che si scioglie, accanto a carcasse di mammuth e tigri dai denti a sciabola, si risveglino antichi virus risalenti all’era glaciale.