martedì 23 aprile 2019

SALVINI E NESSUN GOVERNO DEL CAMBIAMENTO


Il ministro che ha paura del 25 aprile e che spero bene se ne stia a casa in quel giorno senza commettere atti provocatori come suo solito,mantiene salda la posizione del suo scagnozzo Siri,indagato per presunta corruzione dall'Antimafia,e ne elogia anzi le"doti"nonostante l'inchiesta abbia tra i suoi nomi quelli di mafiosi.
Nell'articolo(contropiano nuova-lega-vecchia-democrazia )ecco servito una sequela di situazione e di nomi che s'intrecciano in un dedalo all'apparenza intricato ma che va a parare benissimo su di un punto,quello di favoritismi in quello che è il mestiere di Siri,sottosegretario alle infrastrutture e quindi personaggio basilare per gli appalti milionari che interessano tutte le spese dello Stato comprese la grandi opere.

Nuova Lega, vecchia Democrazia Cristiana. Mafia compresa…

di  Alessandro Avvisato 
E’ straordinario, questo “governo del cambiamento”… Sembra infatti di esser tornati alla metà degli anni ‘40, tra fine della guerra mondiali e primi vagiti della Repubblica nata dalla Resistenza. Quando spie americane, maneggioni ex fascisti riciclati nella Democrazia Cristiana, boss mafiosi e faccendieri di affannavano a costruire un argine contro quella che sembrava una travolgente avanzata del movimento comunista e socialista. Senza badare troppo alle “qualità morali” degli alleati in questa guerra “sporca”, poi divenuta “fredda”.

Memorabile, in questo senso, il ruolo di Lucky Luciano, boss responsabile della spaventosa diffusione dell’eroina negli Stati Uniti durante la “grande crisi”, poi arrestato, collaboratore dei servizi segreti Usa, e infine graziato per aver fornito la collaborazione della mafia siciliana allo sbarco degli Alleati in Sicilia, nel luglio del 1943.

La vicenda di Armando Siri, sottosegretario leghista alle infrastrutture (posto decisivo per il controllo degli appalti nelle “grandi opere”) – indagato dalla Procura Antimafia per una presunta corruzione da parte dell’ex parlamentare di Fi Paolo Arata, autore del programma di governo della Lega sull’Ambiente e ritenuto socio occulto di Vito Nicastri, un imprenditore dell’eolico arrestato con l’accusa di aver contribuito alla latitanza del boss Matteo Messina Denaro – ha squarciato il velo di “riservatezza” su un sottobosco del potere che tiene insieme tutti questi vecchi ingredienti. Compresa la longa manus dell’ultradestra yankee, nella persona di Stave Bannon, ex chief strategist di Donald Trump, considerato il vero mentore della sua scalata alla presidenza Usa,

Andiamo con ordine. Le intercettazioni che girano su molti giornali non lasciano dubbi sull’”interessamento” di Arata: ha fatto pressione su Siri contando proprio sulla sua presunta “competenza” in materia ambientale, sollecitato da quell’imprenditore lì.

La difesa di Siri ricalca il solito copione di sempre: si parte negando, si va avanti – di fronte a contestazioni via via più precise – con “rettifiche” che non stanno in piedi. Il Fato Quotidiano ne ha contate almeno tre, che vanno dall’iniziale “non sapevo, non conosco l’eolico, c’è un errore di persona” al già più compromettente “ho presentato un emendamento che mi ha chiesto una filiera di piccoli produttori”. Fino alla versione per ora definitiva: “Arata mi ha detto che rappresentava un’associazione dei piccoli imprenditori dell’eolico (…) mi ha fatto una testa così e io gli ho detto va bene, mandamelo”.

Un osservatore attento dei meccanismo istituzionali avrebbe già qui materia per inorridire. In pratica, Siri ammette che il “governo del cambiamento” funziona così: qualche imprenditore chiama un amico-collaboratore di un sottosegretario o di un ministro e gli manda un testo che potrebbe diventare legge dello Stato. Quello lo presenta alla discussione come emendamento senza neanche leggerlo e, se passa, il gioco è fatto.

In questo modo gli interessi privati di una filiera di imprenditori – non sempre e non necessariamente in contatto con la mafia – diventano il cuore della politica industriale di un paese del G7. Alla faccia dell’”interesse generale”, della “lotta al cambiamento climatico”, ecc.

Nel caso specifico l’emendamento era talmente malfatto o spudoratamente pro qualcuno che non è stato approvato. Ma non è questo il punto chiave. Altra migliaia di volte l’identico meccanismo ha funzionato alla grande…

Fin qui siamo nell’ordinario dei “governi del capitale”, anche se il “comitato d’affari della borghesia” appare a confronto quasi come un club di lungimiranti benefattori dell’umanità…

L’affare si ingarbuglia quando si apprende che il figlio di Arata, Federico, è stato da poco assunto come consulente esterno addirittura dal sottosegretario alla Presidenza dl consiglio, Giancarlo Giorgetti, da tutti considerato come il vero “stratega” della Lega, mentre a Salvini spetterebbe il suolo del “comunicatore compulsivo”.

Federico Arata presenta un curriculum classico da figlio della classe politico-imprenditoriale italica. Studi a Roma in un liceo molto esclusivo (lo Chateaubriand), poi alla Luiss (università privata di Confindustria), laurea in economia, master a Parigi, Londra e Torino. Fino a diventare, a soli 34 anni, un banchiere di successo che ha lavorato per Nomura, Bnp Paribas, Bsi, Credit Suisse.

Come dite? Questo doveva essere il governo “per il popolo” e “contro le banche”? E vabbeh, un errore capita a tutti, no?

Il suo vero merito sembra però proprio essere l’aver organizzato il viaggio nel dicembre 2017 di Matteo Salvini negli Stati Uniti, facendo da ponte tra lui, Steve Bannon e Donald Trump.

Sempre lui, secondo un’inchiesta de L’Espresso, avrebbe riservatamente contribuito a creare l’alleanza tra la Lega e le forze nazionaliste che crescono in mezza Europa. E comunque risulta sempre lui ad aver accompagnato Bannon nel suo giro in Italia, a settembre 2018.

Un uomo utilissimo alla Lega, certamente. Forse un bel po’ meno all’Italia. Ma per (un figlio di) un amico si può fare un piccolo strappo alla prassi istituzionale.

Non ci sorprende affatto che la Lega abbia assunto – con tratti distintivi assai peggiori – il ruolo che era stato di Democrazia Cristiana e poi di Forza Italia. La sua capacità di “sfondamento al Sud”, peraltro, sarebbe inspiegabile senza il supporto entusiastico di clientele ed interessi – spesso malavitosi, come si vede sempre più spesso – altrimenti destinate a boccheggiare in un “mercato” dove vigono altre regole.

Senza finanziamenti pubblici, o senza “manine” che infilano in un decreto-legge l’emendamento “giusto”, certi “imprenditori” non durerebbero un giorno.

Questa è del resto gran parte della piccola e media imprenditoria italiana (quella grande e multinazionale, spesso, è anche peggio). Siamo nel solito vecchio gioco.

C’è però qualche differenza. Ai tempi delle avventure di Lucky Luciano, almeno – in questi pasticci tra yankee, politicanti, mafiosi e maneggioni – c’era in ballo qualche motivazione di alto profilo (sbarcare in Sicilia, combattere i nazifascisti minimizzando le perdite), pur se con conseguenze devastanti (la mafia al governo del paese).

Oggi proprio niente.

venerdì 19 aprile 2019

ANCORA MORTE A DERRY


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Dall'inizio dell'anno a Derry le tensioni si fanno sentire sempre più e l'escalation per ora ha avuto il suo apice la scorsa notte con la morte della giornalista Lyra McKee uccisa da un'arma da fuoco senza che al momento vi sia una chiara dinamica dei fatti,mentre è certo che i manifestanti lanciavano molotov contro la polizia mentre questa sparava,facendo due più due...
L'articolo(www.occhidellaguerra.it/irlanda-nord-derry-uccisa-giornalista/ )parla del fatto di cronaca in una delle città che maggiormente ha contraddistinto la lotta armata dell'Ira contro l'oppressore britannico,nei giorni che commemorano la libertà dell'Irlanda dal giogo inglese a parte le contee dell'Ulster tutt'ora sotto il dominio Uk.
Derry,una città incredibilmente bella e unica,ma anche una città lacerata da decenni di battaglie che sono rimaste impresse in tutto il mondo come quel maledetto Bloody Sunday(vedi:madn il-bloody-sunday ),una ferita ancora aperta dal 1972.
Vedi anche:madn le-calde-notti-nordirlandesi e madn go-on-home-british-soldiers .

Scontri in Irlanda del Nord: uccisa una giornalista a Derry.

In Irlanda del Nord torna a scorrere il sangue. A Derry, in uno scontro a fuoco, è stata uccisa una giornalista di 29 anni. La polizia parla di “fatto di terrorismo”. Le prime dichiarazioni su Twitter del vice commissario di polizia, Mark Hamilton, sono chiare: “Posso sfortunatamente confermare che dopo scontri a fuoco nella notte a Creggan una donna di 29 anni è stata uccisa”. Per poi concludere: “Trattiamo questo evento come fatto di terrorismo, è stata aperta un’indagine per omicidio”. La vittima è Lyra McKee, reporter che poco prima della sua morte violenta aveva pubblicato un’immagine degli scontri con la didascalia “Derry questa notte. Follia totale”.

La giornalista del Belfast Telegraph, Leona O’Neill, ha raccontato: “Ero a fianco di questa giovane donna, quando è caduta accanto a una Land Rover”, “ho chiamato un’ambulanza per lei ma la polizia l’ha messa nel retro del veicolo e l’ha portata all’ospedale, dove è morta”. Nel frattempo, a Derry, regnava il caos. La polizia veniva colpita da spari e lanci di molotov mentre era entrata in azione nel quartiere di Creggan. Una violenza che ha fatto ripiombare l’Irlanda del Nord nei periodi più bui del conflitto fra repubblicani e unionisti e con il terrore dell’Ira che serpeggiava. E del resto le violenze avevano una chiara matrice politica: fra qualche giorno è l’anniversario della Rivolta di Pasqua del 1916.

La situazione a Londonderry (o Derry a seconda di come la si veda) si fa ogni giorno più critica. A gennaio, la città venne scossa dall’esplosione di un’autobomba segnalata pochi minuti prima da una telefonata anonima alla polizia. Per fortuna on vi furono vittime, ma la recrudescenza del terrorismo aveva fatto preoccupare e non poco la popolazione della città, memore del pericolo del ritorno di un periodo che si credeva di aver dimenticato e sepolto nel corso della storia.

Così non è stato. E così non è almeno per Derry, città nota per il Bloody Sunday del 30 gennaio 1972: quel giorno, l’esercito britannico intervenne contro una manifestazione pacifica dei repubblicano aprendo il fuoco sul corteo. Le conseguenze furono gravissime: 14 persone persero la vita. E fu il picco di un periodo di Troubles in cui morirono più di 3500 persone. Ora, con il caso dovuto alla Brexit, la situazione rischia di esplodere.

sabato 13 aprile 2019

I FAVORITI DEI RIMBORSI


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Passi il fatto che alcuni hanno visto polverizzarsi i risparmi di una vita,vada che il clamore e l'odio per il decreto salva banche,la posizione di dominio e di privilegio di esse,ma il decreto che sta svolgendo il suo iter sul rimborso delle banche per i clienti truffati è davvero così prioritario in un periodo dove milioni di persone fanno fatica a sopravvivere?
L'articolo(www.repubblica.it banche_risparmiatori )parla della nascita di questa legge e dei paletti messi,con l'intervento diretto di Conte,parla di duecentomila persone invischiate in questo pantano che per carità devono essere risarcite,ma con i soldi delle banche stesse e non con il contributo statale,che già è risicato e che vede ben altre situazioni di gravità maggiore.
Ma la caciara creata in questi anni ha fatto sì che le priorità del governo vadano nella direzione delle persone che già hanno del denaro disponibile,e non poco,e ripeto che questi giusti rimborsi devono essere erogati da chi ha truffato,magari pure con gli interessi.

Rimborsi banche, in arrivo i decreti: subito i soldi a chi ha redditi sotto 35mila euro

Incontro a Palazzo Chigi con Tria e Conte. Di Maio attacca: "Non voglio arbitrati per i truffati", ma passa la linea del Tesoro che prevede un doppio binario: per il ristoro automatico serve anche patrimonio immobiliare sotto 100mila euro

di ROSARIA AMATO e RAFFAELE RICCIARDI
MILANO - Si chiude con una fumata bianca il faccia a faccia a Palazzo Chigi tra le molte associazioni che rappresentano i risparmiatori azzerati dai crac delle banche (dalle Venete a Etruria e via dicendo) e il governo: si aspettano ora soltanto i decreti attuativi da parte del Tesoro, che dovranno anche modificare la legge di Bilancio con la quale l'esecutivo aveva destinato 1,5 miliardi ai ristori.

All'incontro hanno preso parte il premier Giuseppe Conte, i ministri Giovanni Tria e Riccardo Fraccaro, i sottosegretari Alessio Villarosa (M5S) e Massimo Bitonci (Lega). Quest'ultimo ha annunciato che i testi "saranno domani in Cdm".

A Conte è toccato il ruolo di mediare tra le posizioni dell'esecutivo. Alla fine ha prevalso la linea scelta dal Tesoro, concordata con Bruxelles, del "doppio binario" per evitare una procedura d'infrazione; Lega e M5s, di contro, spingevano perché ci fosse un binario unico, ovvero rimborso per tutti indiscriminatamente.

Con l'accordo, invece, la platea di circa 200mila persone si sdoppierà: i ristori diretti andranno ai risparmiatori con un reddito imponibile entro i 35mila euro (per singola persona componente del nucleo familiare, mentre inizialmente si parlava di Isee) e un patrimonio mobiliare non superiore a 100.000 euro. Per gli altri, il via libera passerà da una sorta di controllo arbitrale, che sarà però semplificato e dovrebbe prevedere una 'tipizzazione' dei risparmiatori in modo da accelerare le pratiche. L'indennizzo sarà pari al 30% per gli azionisti e del 95% per gli obbligazionisti subordinati. Questo impianto è stato approvato da quasi tutte le associazioni: diciassette, contro le due contrarie.

Il Mef ha fatto sapere nei giorni scorsi che - con questi parametri - grossomodo il 90 per cento dei risparmiatori accederebbe al rimborso diretto, anche se la stima pare ottimistica alle associazioni (anche a quelle più in linea con il Tesoro durante la trattativa) che indicano un valore plausibile intorno al 40 per cento. In questo modo, inoltre, non sarà neppure necessario il cosiddetto "scudo" che Tria chiedeva per i funzionari del suo dicastero, qualora si fosse andati dritti per la via indicata da Lega e M5s e con il rischio di un danno erariale.

Il fronte delle associazioni si è presentato diviso all'appuntamento, tra l'ala più radicale che spinge per la linea dura, e non è disposta ad accettare soluzioni che riaprano le porte a forme di arbitrato, a meno di garanzie precise, e l'ala più dialogante che è pronta a collaborare pur di fare partire i rimborsi, di fronte alla prospettiva di una procedura d'infrazione da parte dell'Unione europea. Ai primi ha continuato a guardare Luigi Di Maio, che anche stamattina ha tuonato: "Tutto quello che si farà per i truffati delle banche deve avere il loro assenso, altrimenti non si va da nessuna parte, quindi l'unica linea che può passare è quella dettata dagli stessi truffati, non passa nè la mia nè quella di un altro altrimenti è inutile che facciamo i rimborsi". A margine del Vinitaly, il vicepremier ha aggiunto: "Se li portiamo davanti ad un arbitrato ci vorranno mesi e mesi per fargli avere i soldi. Io non voglio portarli davanti ad un arbitrato".

Eppure, alla fine, la linea di Tria è risultata la vincente. Tanto che Luigi Marattin, capogruppo Pd in Commissione Bilancio alla Camera, ha attaccato: "Oggi comincia a crollare il castello  delle promesse populiste. Per 3 anni e mezzo hanno urlato ai quattro venti che  avrebbero rimborsato al 100% tutti gli azionisti. Hanno insultato, tirato uova, promesso mari e monti. Oggi la realtà presenta il conto. Ma è solo l'inizio della fine per il governo delle balle".

mercoledì 10 aprile 2019

LO SPIRITO DI EMILIANO ZAPATA E' SEMPRE VIVO!


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Più che l'anniversario della morte di Emiliano Zapata oggi è il giorno in cui si ricorda che le idee di uno dei più importanti leader della rivoluzione messicana e che il suo spirito sono ancora vivi,che la lotta è nuovamente necessaria in quanto i politici di cento anni fa non hanno ancora capito gli errori commessi dai loro predecessori.
Corruzione,sete di potere,sudditanza verso gli Usa e l'oppressione dei poveri non si sono estinte,i nomi sono differenti,i nemici del popolo sono altri ma la sostanza non cambia e organizzazioni come l'Ezln sono qui a testimonianza di tutto ciò.
Nell'articolo di Infoaut(storia-di-classe )un sunto della vita di Zapata che partendo dal sud assieme a Pancho Villa che veniva dal nord,avendo visto che con la politica e la legalità non di otteneva nulla aveva imbracciato le armi per dare la terra ai contadini e ai poveri,il tutto condito da tradimenti dei politici di allora ed imprese epiche:un combattente per il pueblo e non per le poltrone.
Vedi anche:madn /la-rivoluzione-messicana .

10 aprile 1919: assassinio di Emiliano Zapata.

Il 10 aprile 1919 moriva assassinato presso l'hacienda di Chinameca, il leader della rivoluzione messicana, Emiliano Zapata.

Emiliano riceve l'istruzione elementare fino a quando, rimasto orfano all'età di 16 anni, comincia a lavorare distinguendosi ben presto come buon agricoltore. Dotato di una mente inquieta e di una natura indipendente, non tarda a conquistarsi una posizione di prestigio all'interno della comunità.

All'inizio del secolo conosce due personaggi che giocheranno un ruolo importante nella sua vita: Pablo Torres Burgos e Otilio Montaño. Entrambi sono maestri di scuola.Il primo gli mette a disposizione la propria biblioteca dove vi può leggere anche "Regeneración", la rivista clandestina dei fratelli Flores Magòn. Il suo battesimo politico avviene nel 1909 quando eletto sindaco di Anenecuilco appoggia il candidato governatore Patricio Leyva. La vittoria dell'aspirante ufficiale, Pablo Escandón, provoca ad Anenecuilco dure rappresaglie e nuove perdite di terre. Dopo aver cercato di risolvere i problemi del pueblo (contadini) per via legale nella seconda metà del 1910 Zapata e i suoi iniziano ad occupare e a distribuire le terre. é a questo punto che si lancia definitivamente nella lotta armata diventando, dopo la morte di Torres Burgos, il capo indiscusso della rivoluzione nel Sud. Appoggiato dai pueblos, riesce a tenere in scacco le truppe governative fino alla rinuncia del dittatore nel maggio del 1911. Nel frattempo il neo presidente Madero, che aveva promesso gli adeguamenti di terre per i contadini, si mostra invece insensibile ai problemi del pueblo. La rottura è inevitabile e Zapata e i  suoi riprendono le armi lanciando il Plan de Ayala dove si definisce Madero un traditore e si decreta la restituzione delle terre.

Scrive Zapata al suo futuro successore Gildardo Magaña, " sono disposto a lottare contro tutto e tutti".Ha inizio una guerra lunga e difficile, prima contro Madero, poi contro Huerta e infine contro Carranza. I soldati dell'Ejército Libertador del Sur combattono in unità mobili di due o trecento uomini comandati da un ufficiale con il grado di "colonnello" o "generale". Applicando la tecnica della guerriglia, colpiscono i distaccamenti militari per poi abbandonare la carabina 30/30 e scomparire nel nulla. Invano, i federales mettono il Morelos a ferro e fuoco: gli zapatisti sono inafferrabili.

Verso la fine del 1913, grazie anche alle spettacolari vittorie di Villa al nord, l'antico regime traballa. Dopo la fuga di Huerta (15 luglio), nell'autunno 1914 si celebra ad Aguascalientes una Convenzione tra le differenti frazioni rivoluzionarie che però non riescono a trovare l'accordo. Tra la costernazione dei presenti, il delegato zapatista, Antonio Díaz Soto y Gama, strappa la bandiera nazionale proclamando la necessità di "farla finita con tutte le astrazioni che opprimono il popolo".

In dicembre, in seguito alla rottura con Carranza, che rappresenta la borghesia agraria del nord, le truppe contadine di Villa e Zapata entrano trionfanti a Città del Messico inalberando i vessilli della vergine della Guadalupe, patrona dei popoli indigeni. Gli abitanti della capitale hanno paura dell'Attila del Sud, però i rivoluzionari non commettono saccheggi né atti di violenza. In un gesto poi diventato famoso, Zapata rifiuta l'invito a sedere sulla poltrona presidenziale: "non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano". E torna nel Morelos, territorio libero dopo la fuga dei proprietari terrieri e dei federales.

Nel 1915 prende forma la comune di Morelos, dove gli zapatisti distribuiscono terre e promulgano leggi per restituire il potere ai pueblos affiancati da giovani artisti ed intellettuali provenienti da Città del Messico.

Dopo qualche anno di declino della rivoluzione, nel 1919 Emiliano Zapata viene attirato in un imboscata e assassinato.

Zapata non ha mai smesso di cavalcare insieme agli indigeni messicani per la libertà e contro lo sfruttamento. L'abbiamo rivisto verso la fine del 1900 riprendere in spalla il fucile per i più poveri, per il suo popolo.

martedì 9 aprile 2019

TROPPO COMODA


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Il caso del carabiniere Francesco Tedesco che piange lacrime di coccodrillo a distanza di oltre nove anni dall'omicidio Cucchi cui ha avuto un ruolo determinante,non devono distogliere lo sguardo dalle nefandezze che l'arma ha compiuto non solo in questo episodio emerso dopo anni di battaglie legali per la determinazione della sorella Ilaria e della famiglia,ma anche per tutte le vigliaccate e gli omicidi commessi e che non sono emersi sulle prime pagine degli articoli di cronaca per svariati motivi.
L'articolo di Left(udienza-cucchi )parla dell'udienza di ieri e delle ammissioni di colpevolezza fatte da Tedesco,che parlando per primo avrà una notevole riduzione sull'eventuale pena se mai ci fosse una condanna e se mai uno degli indagati dovesse pagare un risarcimento o passare un solo giorno di carcere.
Si è detto terrorizzato(dev'esserci un bel clima nell'arma)e praticamente ha ammesso di avere parlato in quanto il collega Casamassima(vedi:madn i-ragazzi-del-paese-al-contrario )aveva denunciato l'accaduto del pestaggio rivelatosi mortale,venutone a conoscenza dalle parole dei colleghi e per questo minacciato e fatto oggetto di ritorsioni.
Messo con le spalle al muro e imboccato dagli avvocati ora si è pentito e ha vuotato il sacco,un comportamento che avrebbe dovuto avere molti anni prima così come quello dei vertici dell'arma che ora vogliono costituirsi parte civile(e lesa!)nel processo.

Udienza Cucchi, il carabiniere Tedesco: «Ho parlato dopo nove anni perché ero terrorizzato»

di Checchino Antonini   
«Ho avuto paura, mi sono trovato in una morsa dalla quale non sarei potuto uscire. Per questo ho parlato dopo nove anni». Superteste e imputato, Francesco Tedesco, quasi coetaneo di Stefano Cucchi ha appena spiegato, oggi 8 aprile, al pm Giovanni Musarò perché non avesse raccontato prima del pestaggio di quel ragazzo arrestato. Il processo Cucchi-bis, proprio grazie alle sue dichiarazioni è entrato da cinque mesi in una fase che sembra determinante. L’udienza in corso nell’aula della Corte d’Assise, è iniziata con le sue scuse «alla famiglia Cucchi e agli agenti della polizia penitenziaria, imputati al primo processo. Per me questi anni sono stati un muro insormontabile».
«Avevo letto che Casamassima aveva cominciato a parlare – ha raccontato – e capii che quel muro stava cadendo». La lettura del gravissimo capo d’imputazione con il quale veniva contestato l’omicidio preterintenzionale «ha poi inciso molto, così come il pensare che ci potesse essere un nesso di causalità tra il pestaggio e la morte. Mi colpì che c’era scritto quello che avevo vissuto io, quello che avevo visto io. Non sono più riuscito a tenermi dentro questo peso».
Per un’ora e quaranta, Tedesco ha risposto alle domande della pubblica accusa e per altre quattro al controesame degli altri legali e tornerà in aula il 16 aprile.

La sua deposizione ha fornito lo spaccato dell’aria che tirava in quei giorni nella sua caserma e nell’Arma di Roma. Alla stazione c’era un maresciallo vicecomandante che voleva esibire quanti più arresti possibile (Mandolini, imputato, di calunnia e falso anche lui in questo processo, ndr), al comando generale si respirava l’imbarazzo per lo scandalo di altri carabinieri che avevano provato a ricattare l’allora governatore del Lazio, Marrazzo.
«In quel periodo tutto passava da Mandolini per la vicenda Cucchi. Lo fermai un giorno chiedendogli cosa avremmo dovuto fare nel caso ci avessero chiesto qualcosa, ma lui mi rispose “Tu non ti preoccupare, devi dire che stava bene. Tu devi seguire la linea dell’Arma se vuoi continuare a fare il carabiniere. Percepii quelle parole di Mandolini – ha aggiunto Tedesco – come una minaccia abbastanza seria. La prima delle due volte che sono stato sentito dal pm, poi, venni accompagnato da Mandolini il quale non mi minacciò esplicitamente, ma mi disse sempre di stare tranquillo e di dire che Cucchi stava bene. Io, però, non mi sentivo affatto tranquillo».
«Cercavo di trovare un contatto con qualcuno in tutti i modi. Per questo in udienza guardavo Ilaria che può aver visto il gesto come una provocazione. Ma in realtà mi sentivo solo contro il mondo», ha detto ancora il carabiniere imputato di omicidio preterintenzionale con altri due colleghi, Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo. «Dire che ebbi paura è poco. Ero letteralmente terrorizzato. Ero solo contro una sorta di muro. Sono andato nel panico quando mi sono reso conto che era stata fatta sparire la mia annotazione di servizio, un fatto che avevo denunciato. Ero solo, come se non ci fosse nulla da fare. In quei giorni io assistetti a una serie di chiamate di alcuni superiori, non so chi fossero, che parlavano con Mandolini. C’era un po’ di agitazione. Poi mi trattavano come se non esistessi. Questa cosa l’ho vissuta come una violenza».
Dopo il pestaggio Tedesco e Cucchi trovarono il verbale pronto, redatto da Mandolini in persona che gli chiese di firmarlo. Stefano non volle firmare. «Mentre stavamo in auto per rientrare alla caserma Appia, Cucchi era silenzioso, si era messo il cappuccio e non diceva una parola, chiedeva il rivotril». Era sotto choc. «Mentre uscivano dalla sala, Di Bernardo si voltò e colpì Cucchi con uno schiaffo violento in pieno volto. Poi lo spinse e D’Alessandro diede a Cucchi un forte calcio con la punta del piede all’altezza dell’ano. Nel frattempo io mi ero alzato e avevo detto: “Basta, finitela, che cazzo fate, non vi permettete!”. Ma Di Bernardo proseguì nell’azione spingendo con violenza Cucchi e provocandone una caduta in terra sul bacino, poi sbatté anche la testa. Io sentii il rumore della testa che batteva. Quindi D’Alessandro gli diede un calcio in faccia, a quel punto mi alzai e li allontanai da Cucchi». «Lo sentivo descrivere come è stato ucciso mio fratello – ha commentato Ilaria Cucchi – e il mio sguardo cercava quello dei miei genitori che ascoltavano raccontare come è stato ucciso il loro figlio. È stato devastante, ma a questo punto quanto accaduto a Stefano non si potrà mai più negare»

Non era facile denunciare i colleghi. «Il primo a cui ho raccontato quanto è successo è stato il mio avvocato. In dieci anni della mia vita non lo avevo ancora raccontato a nessuno», ha ripreso Tedesco. «Per me è la vittoria umana di una persona che per anni ha cercato di poter raccontare i fatti ma le pressioni subite glielo hanno impedito – dirà proprio quel legale, Eugenio Pini dopo l’esame del suo assistito – ora ci si deve ricordare e tenere ben presente che quando si parla del famoso muro di gomma, non solo questo bisogna riferirlo alle persone che dall’esterno hanno cercato di conoscere la verità ma anche a chi da dentro ha cercato di raccontarla. Tedesco è una persona che, avendo difeso Cucchi durante il mancato fotosegnalamento e il pestaggio, ha dimostrato di volere salvaguardare e preservare la vita umana».
«Dopo dieci anni di menzogne e depistaggi in quest’aula è entrata la verità raccontata dalla viva voce di chi era presente quel giorno – dice ancora Ilaria Cucchi – le dichiarazioni e le intenzioni espresse dal comandante generale dell’Arma (il generale Nistri ha annunciato che si costituirà parte civile in caso di condanna, ndr) ci fanno sentire finalmente meno soli, si è schierato ufficialmente dalla parte della verità. A differenza di quello che qualcuno dei difensori ogni udienza dà ad intendere, chi rappresenta l’Arma non sono i difensori degli imputati ma è il loro comandante generale, che ora si è schierato ufficialmente dalla parte della verità».

lunedì 8 aprile 2019

ANCORA SCONTRI ALLE PORTE DI TRIPOLI


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Ciclicamente la Libia torna a fare notizia e lo fa soprattutto quando gli interessi occidentali nell'ex colonia italiana vengono minacciati dai contendenti al potere,che sono da un paio di anni il Presidente"ufficiale"Al Serraj,fantoccio messo di sovracitati paesi e il generale Haftar,mentre i tanti clan che dominano altre zone del grande territorio nordafricano sono a corollario di un paese allo sbando dalla cacciata di Gheddafi.
L'articolo di Contropiano(internazionale-news )parla della vera e propria battaglia,con tanto di vittime,che si sta combattendo alle porte di Tripoli nella zona dell'aeroporto,con notizie contrastanti sull'esatta ubicazione delle truppe di Haftar che hanno incontrato la resistenza di quelle ufficiali di Al Serraj,vedi anche:madn lombra-di-gheddafi .

Libia. Proseguono gli scontri. Tripoli protesta con la Francia. Conte “batte un colpo”.

di  Alessandro Avvisato 
Mentre gli scontri armati continuano ad una decina di chilometri dalla capitale libica, gli apparati di sicurezza del governo di Tripoli, smentiscono che le milizie dal generale Khalifa Haftar, abbiano il controllo dell’aeroporto internazionale di della Capitale. La smentita arriva in risposta risposta al portavoce delle milizie dell’uomo forte della Cirenaica, Ahmed al-Mismari,  il quale aveva rivendicato di aver preso il controllo dell’aeroporto  a sud di Tripoli, riferisce l’agenzia Askanews.

Il portavoce del governo di Tripoli, Abu Salim, ha confermato che i militari dell’esercito del governo di unità nazionale (Gna) si trovano nell’area vicino all’aeroporto e stanno mettendo in sicurezza la zona. Altre fonti, sottolinea il quotidiano Libyan Observer, concordano sulla ritirata delle truppe di Haftar verso la zona di Souk Al-Khamis.

L’aviazione del governo di Tripoli  ha lanciato  dei raid aerei sulle posizioni dell’esercito del generale Khalifa Haftar a Mizda, a sud di Gharyan e Souq Al-Khamis, sudest di Tripoli. L’aeronautica militare libica ha condotto  un raid anche sul campo militare di Thamina che si trova vicino alla città di Gharyan, in una zona di montagna, dove si sono posizionate le milizie di Haftar, scrive il Libya Observer.

Al Jazeera riferisce invece che il presidente del governo di Tripoli,  Fayez al Sarraj, ha accusato  ieri il generale Khalifa Haftar di “tradimento” in un discorso televisivo sabato. “Abbiamo steso le nostre mani verso la pace – ha detto al-Sarraj – ma dopo l’aggressione da parte delle forze di Haftar e la sua dichiarazione di guerra contro le nostre città e la nostra capitale non troverà nient’altro che forza e fermezza”.

Sempre Al Jazeera fa sapere che il premier libico Fayez al-Sarraj ha presentato formalmente all’ambasciatrice francese in Libia, Béatrice du Hellen, una “forte protesta”, accusando Parigi di sostenere le milizie del generale Khalifa Haftar. La stessa fonte ha sottolineato che Serraj ha chiesto formalmente all’ambasciatrice di riferire la sua protesta al suo governo e al presidente francese, Emmanuel Macron.

Un portavoce dell’Eni in Libia, informando che non c’è personale italiano a Tripoli,  riferisce  che “la situazione nei campi è sotto controllo e stiamo monitorando l’evolversi della situazione con molta attenzione”.

Sulla guerra civile in Libia, dopo l’Eni, batte un colpo anche il Presidente del Consiglio italiano Conte. che ha avuto ieri una conversazione telefonica con il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.

Conte, spiega una nota diffusa da Palazzo Chigi “ha espresso la sua preoccupazione per gli ultimi sviluppi in Libia, preoccupazione fortemente condivisa da Guterres che ha da poco lasciato il Paese libico al termine di diversi incontri, tra cui quello con Haftar”. Il premier italiano “ha ribadito il forte sostegno italiano al processo di transizione politica guidato dalle Nazioni Unite, considerato il percorso più efficace e sostenibile per giungere alla definitiva pacificazione e stabilizzazione del Paese a beneficio dell’intero popolo libico”. Conte e Guterres rimarranno in stretto contatto nei prossimi giorni.

venerdì 5 aprile 2019

LA VERITA' EMERGE A RIACE


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La Cassazione ha annullato la richiesta del Tribunale di Reggio Calabria del divieto di dimora a Riace del suo sindaco della pace Mimmo Lucano,messo sotto accusa dal Gip di Locri per il presunto favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e per degli illeciti sulla gestione della raccolta dei rifiuti.
Dopo tutto il fango gettato addosso a questo uomo,che è stato candidato per il Nobel per la pace,la verità è venuta fuori,e lui tranquillamente ha aspettato l'iter della giustizia facendosi processare non come capita per esempio al ministro del rutto Salvini,che grazie ai paladini della lotta alla casta un processo non l'avrà mai(sulla questione della nave Diciotti:madn onesta-e-casta ),articolo di Contropiano:riace-la-cassazione-su-mimmo-lucano .

Riace, la Cassazione su Mimmo Lucano: “Nessuna frode negli appalti”.

di  Redazione Contropiano 
Mancano indizi di “comportamenti” fraudolenti che Domenico Lucano, il sindaco sospeso di Riace, avrebbe “materialmente posto in essere” per assegnare alcuni servizi, come quello della raccolta di rifiuti, a due cooperative dato che le delibere e gli atti di affidamento sono stati adottati con “collegialità” e con i “prescritti pareri di regolarità tecnica e contabile da parte dei rispettivi responsabili del servizio interessato”.

Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni depositate oggi e relative all’udienza che lo scorso 26 febbraio si è conclusa con l’annullamento con rinvio del divieto di dimora a Riace per Mimmo Lucano.

La misura cautelare era stata disposta dal Tribunale della libertà di Reggio Calabria lo scorso 16 ottobre nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Locri che ha rinviato a giudizio Lucano. L’udienza è aggiornata al 4 aprile.

Rileva inoltre la Cassazione che non solo non sono provate le “opacità” che avrebbero caratterizzato l’azione di Lucano per l’affidamento di questi servizi alle cooperative L’Aquilone e Ecoriace, ma è la legge che consente “l’affidamento diretto di appalti” in favore delle cooperative sociali “finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate” a condizione che gli importi del servizio siano “inferiori alla soglia comunitaria”. Per questo il riesame deve rivalutare il quadro per sostenere l’illiceità degli affidi.

Invece, per gli ‘ermellini’, ci sono gli elementi di “gravità indiziaria” del fatto che Lucano si sia dato da fare per favorire la permanenza in Italia della sua compagna Lemlem. Ma a questo riguardo, bisogna considerare “la relazione affettiva” che intercorre tra i due e lo stato di incensurato di Lucano prima di decidere nuovamente per il mantenimento del divieto di dimora.

Per la Cassazione, Lucano ha cercato di aiutare solo Lemlem “tenuto conto del fatto” che il richiamo a “presunti matrimoni di comodo” che sarebbero stati “favoriti” dal sindaco, tra immigrati e concittadini, “poggia sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale non solo sfornito di significativi e precisi elementi di riscontro ma, addirittura, escluso da qualsiasi contestazione formalmente elevata in sede cautelare”.

Fonte: Ansa

lunedì 1 aprile 2019

IL RICORDO DI ORSO TEKOSER


Ci sono state tante persone nella giornata di ieri a Firenze per il ricordo di Lorenzo Orsetti,il combattente italiano delle forze curde Ypg morto nella guerra contro l'Isis in Siria,un corteo che ha voluto ricordare tutte le vittime di questo conflitto cui il mondo"occidentale"spesso fa finta di non dare importanza mentre altre volte soprattutto per le polemiche,viene abilmente manipolato(madn laccanimento-verso-i-combattenti italiani solidali com i curdi ).
Perché allo stato attuale delle cose chi sta combattendo in questa guerra non ha voce in capitolo sul futuro siriano mentre le milizie Daesh stanno arretrando e perdendo sempre più città anche se la vittoria non è ancora arrivata pienamente.
L'articolo di Infoaut(migliaia-in-piazza-a-firenze-per-orso-tekosher )parla della manifestazione e delle tematiche politiche e sociali non solo che riguardano la guerra in Siria ma anche la situazione sul fronte turco con il sultano Erdogan che esce nuovamente vittorioso dalla tornata elettorale di ieri ma con meno consensi.

Migliaia in piazza a Firenze per Orso Tekoşer.

Oggi le strade di Firenze si sono colorate delle mille bandiere della rivoluzione confederale, femminista ed ecologista della Siria del Nord e dell’Est, per ricordare uno dei suoi figli: Lorenzo “Orso” Tekoser, caduto in battaglia a Baghouz.

Ad aprire il corteo i familiari e gli amici di Orso, insieme ai tanti e le tante combattenti YPG e YPJ arrivati in città da tutta l’Europa. E proprio dalle parole di suo padre Alessandro e dei combattenti internazionali è emerso nel modo più chiaro e importante il messaggio della piazza di oggi: ricordiamo Orso come partigiano, ma anche come ragazzo. Un ragazzo di Rifredi, periferia nord di Firenze, che nella vita di tutti i giorni sentiva che gli mancava qualcosa. E che con tutta l’umiltà del mondo ha deciso di dare un piccolo, ma fondamentale contributo alla costruzione di un mondo migliore per tutte e tutti noi. Lo stesso piccolo contributo che come lui decine di migliaia di uomini e donne provenienti da tutto il mondo – dall’Europa e dalle Americhe, ma soprattutto curdi, arabi, siriani, turcomanni, assiri, yazidi… – hanno scelto di dare, tante piccole gocce che hanno scatenato una tempesta nel nostro secolo. La rivoluzione delle donne e dei popoli, che ha liberato il mondo dalla barbarie dello Stato Islamico e che tutt’ora si difende contro uno degli eserciti più potenti della Nato, comandato dal fascista Erdogan.

Degli ipocriti tweet dei politici italiani non ce ne facciamo nulla: queste persone devono essere inchiodate alle loro responsabilità. L’Italia deve essere costretta a schierarsi, riconoscendo la Federazione della Siria del Nord e dell’Est, grande protagonista della sconfitta del califfato e tutt’oggi grande assente ai tavoli internazionali che vogliono decidere il futuro della Siria. Il nostro paese deve smettere di rifornire di armi l’esercito turco e le milizie jihadiste che combattono al suo fianco. E abbiamo tutte e tutti la responsabilità di far sì che queste rivendicazioni diventino realtà.

Ma scegliere di ricordare Orso come il ragazzo che era ci pone davanti alla nostra più grande responsabilità, perché ci dice che tutte e tutti noi possiamo e dobbiamo contribuire a costruire un mondo diverso anche alle nostre latitudini, affrontando con il suo stesso sorriso i rischi e i pericoli delle scelte partigiane.

Difendere la rivoluzione in Siria vuol dire anche far sì che non sia l’unica rivoluzione che il nostro secolo conoscerà.