venerdì 24 febbraio 2023

AMBIENTALISMO PER RICCHI

Nel fracasso dove quotidianamente veniamo coinvolti nei notiziari,con un leit motive che ci accompagna esattamente da un anno e altri che vanno e vengono indirizzati dai giornalisti prezzolati,quello che riguarda l'ambientalismo e l'ecologia va a braccetto con la politica in maniera sempre più legata.
Da un lato la decisione di non prorogare il superbonus del 110%(anomalia matematica)legata all'efficientamento energetico delle abitazioni che ha provocato un innalzamento vertiginoso dei costi dei materiali edili e della manodopera e che adesso,dopo mesi di pance piene da parte di imprenditori e palazzinari vede un futuro tracollo fatto di fallimenti e di perdite di posti di lavoro(vedi il primo contributo di Contropiano: la-lotta-di-classe-tra-i-padroni-mette-in-crisi-il-governo-meloni ).
Dall'altro la notizia della fine della produzione di auto a combustione benzina e diesel in Europa a partire dal 2035,una decisione nata per fare crollare le emissioni di anidride carbonica(vedi il secondo articolo:www.fanpage.it stop-auto-benzina-e-diesel-dal-2035-via-libera-definitivo-delleuropa-cosa-cambia ).
La prima norma per il supebonus negli ultimi mesi ha favorito,comunque con dei costi minimi per l'utente finale anche se non riconducibili ovviamente alla spesa totale,le classi più abbienti e che hanno la proprietà dell'immobile,con occasioni sprecate da parte delle Aler che potevano ottenere dei benefici quasi gratis e che non hanno avuto nulla.
Per quanto riguarda il discorso delle auto elettriche o ibride la rilevanza che solamente i più ricchi abbiano la possibilità di guadagnarci è ancora più lampante con autovetture che hanno costi minimi di ventimila Euro(per auto solo elettriche)inclusi bonus di rottamazione e incentivi statali,ma il discorso ormai è andato sui produttori cinesi e con quelli "italiani" che fin da subito hanno chiesto valangate di soldi per essere ancora aiutati(vedi Fiat-Stellantis che elemosina allo Stato,pronto a foraggiare).
Un vero e proprio regalo all'elite del paese(e dell'Europa)pensata non per i poveri che sono la grande maggioranza della platea di chi può permettersi il lusso ormai di possedere un'auto,che tra assicurazione,costo del carburante e bollo è davvero un'impresa mantenere dopo averla comprata.
E' questo l'ambientalismo dei ricchi,dove si protesta perché i palazzinari e gli imprenditori edili(non quelli onesti)sfruttano manovalanza anche in nero e in condizioni di sicurezza pari a zero,e quelli della "transizione ecologica"(vedi:madn una-spennellata-di-verde-sul-nero )vogliono farci credere che il problema dell'inquinamento e del cambiamento climatico si possa fare senza che si combatta il capitalismo.

La lotta di classe tra i padroni mette in crisi il governo Meloni.

di Dante Barontini

In assenza di una mobilitazione di massa di dimensioni adeguate, ci pensano i problemi economici concreti a minare l’egemonia (post?)fascista sul nostro paese.

Sembra quasi paradossale, ma il primo inciampo serio è arrivato su un terreno che appariva socialmente blindato: i costruttori edili. La decisione presa dal ministro leghista dell’economia, Giancarlo Giorgetti, ha seguito più la logica di Mario Draghi e dell’Unione Europea (ridurre il deficit previsto e quindi il debito pubblico futuro) che non quella caratteristica di tutto il centrodestra (favorire con soldi pubblici i settori sociali di riferimento).

La materia è parecchio intricata, visto che le norme che regolano il settore edilizio sono in gran parte antiche, derivanti da innumerevoli stratificazioni di provvedimenti susseguitisi nell’arco di 80 anni, ed in buona parte “nuovissime”, dopo la legge che istituiva il “superbonus” del 110% per le ristrutturazioni di case miranti a migliorarne l’efficienza energetica di almeno due “classi”.

Già Mario Draghi aveva minato questa parte della normativa, riducendo l’entità del superbonus per alcune tipologie di lavori, allo scopo di ridurre anche il carico per i conti pubblici. Generando così una marea di incertezze su quali meccanismi restavano praticabili, in un ginepraio di codicilli che inchiodavano nell’incertezza proprietari di immobili, imprese edili, banche, fiscalisti, commercialisti, geometri, Comuni.

Giorgetti, e quindi, il governo ha ora decretato lo stop totale alla cessione dei crediti e allo sconto in fattura (restano attive solo le detrazioni fiscali), anche se non sarà un blocco immediato, perché i lavori già avviati avranno ancora a disposizione la possibilità di liquidare i bonus. Il che ovviamente rischia di far fermare tutti i progetti ancora sulla carta, che però hanno messo in moto impegni, contratti, indebitamenti, fatturato prevedibile, assunzioni, ordinativi. Con altrettanto ovvie ricadute sull’occupazione e le previsioni sulla crescita del Pil. Un bel casino…

Immediate le ricadute sindacali e politiche. Con Forza Italia che minaccia di non votare il provvedimento in aula neanche con la minaccia della “fiducia” (significherebbe far cadere il governo, o comunque comprometterne pesantemente la credibilità politica a soli quattro mesi dalla nascita).

Leghisti e fascisti sono più cauti ma comunque “malpancisti”, visto che rappresentano socialmente gran parte delle categorie danneggiate dallo stop al superbonus. I “Grillini” – principali fautori del superbonus, quando erano al governo – sono ovviamente all’attacco per rivendicare la “positività” del provvedimento in termini di Pil e occupazione.

E infine i sindacati complici – CgilCislUil – che si sono improvvisamente ridestati dal coma profondo che li caratterizza da decenni, al punto da minacciare scioperi accuratamente evitati per ogni altro tipo di problemi del lavoro.

La materia è complessa, dicevamo, ma rappresenta un primo test sui problemi innumerevoli posti dalla “transizione ecologica” ed energetica. Pochi giorni fa l’Unione Europea ha approvato definitivamente una cosiddetta “direttiva green” che obbligherà a migliorare l’efficienza energetica degli immobili portandoli tutti alla classe energetica “E” entro il 2030 e a quella “D” entro il 2033.

Uno sforzo e costi enormi per paesi come il nostro, caratterizzati da un patrimonio immobiliare “storico” (la grande tradizione medioevale e rinascimentale dei centri storici), oppure semplicemente sciatto (l’autocostruzione di necessità) o speculativo (i palazzinari” italiani non hanno nulla da invidiare a quelli turchi, alla prova-terremoto).

Per di più, la folle politica edilizia seguita negli ultimi 40 anni (annullare l’edilizia popolare, liberalizzare il mercato degli affitti, “costringere” chiunque lavorasse a comprare almeno la casa di abitazione) ha creato una situazione in cui quasi l’80% della popolazione risulta ormai proprietario almeno di un appartamento.

Lavoratori, insomma, ma “proprietari”. Un dato che ha favorito certamente anche l’identificazione di tanti di loro con la “classe media”, i suoi valori reazionari, le sue fisime “securitarie”, il suo individualismo di m….

Lavoratori, comunque, con i salari fermi a 30 anni fa, o addirittura diminuiti. Che dunque non hanno poche o nessuna possibilità di realizzare i lavori di ristrutturazione edilizia necessari a raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea. E che, non mettendosi al passo, si ritroveranno con immobili pesantemente svalutati o addirittura invendibili per legge (ci sono ancora incertezze, sul punto).

Ergo: come si fa a ristrutturare tutto questo immenso patrimonio?

La pensata grillina del superbonus sembrava un accenno alla soluzione, addirittura in anticipo sulla tempistica europea (se ne parlava da anni, in quelle sedi), ma con il “piccolo difetto” di scaricare quasi per intero il costo dell’operazione sul debito pubblico.

Non entriamo ora nei complessi calcoli richiesti dagli “effetti di ritorno” su quegli stessi conti in termini di tasse derivanti dall’aumento del fatturato delle imprese e dai salari dei nuovi occupati, e che riducono anche in modo consistente gli importi per le casse dello Stato.

Ma è certo che a breve termine sforamenti anche pesanti ci sarebbero stati. Magari non i 110 miliardi sbandierati dal ministro leghista dell’economia, ma cifre grosse sì…

Non a caso la seconda mossa decisa da Giorgetti ha riguardato il divieto per le pubbliche amministrazioni ad acquistare crediti derivanti dai bonus edilizi. In pratica, proprio per colpa delle “mine” piazzate sotto il superbonus dal governo Draghi, i Comuni – dalla Regione Sardegna a Treviso – stavano cominciando ad acquistare i crediti che le banche non ritenevano più così sicuri, in modo da garantire che le imprese potessero eseguire i lavori già contrattualizzati ma non partiti.

Anche questo, naturalmente, avrebbe aumentato il deficit pubblico, anche perché molti Comuni – che hanno subito tagli drastici nei trasferimenti dallo Stato centrale – hanno bilanci già disastrati.

Un caos esponenziale, dunque, che i fascisti di governo hanno cercato di risolvere alla loro maniera: bloccare tutto.

Sarebbe da ridere se la rivolta sociale partisse grazie alla frantumazione del “blocco sociale reazionario” e piccolo borghese. Ma la Storia fa di questi scherzi…

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Stop auto benzina e diesel dal 2035, via libera definitivo dell’Europa: cosa cambia.

Il Parlamento europeo ha approvato definitivamente la misura che prevede che, dal 2035, sarà vietato in Europa vendere nuove auto con motore a benzina o diesel. Il voto è arrivato dopo mesi di trattative. Ecco cosa dice la norma e cosa cambierà per gli automobilisti.

A cura di Luca Pons

Dal 2035 non si potranno più vendere auto e furgoni con motori a benzina o diesel, in Europa. Il Parlamento europeo ha dato oggi il via libera definitivo alla misura, che ha l'obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 e fa parte del pacchetto di misure ‘green' chiamato Fit for 55. I voti sono stati 340 a favore, 279 contrari e 21 astenuti.

La nuova norma stabilisce il percorso che si dovrà seguire per azzerare le emissioni di CO2 delle nuove auto e i nuovi furgoni. È previsto anche un obiettivo intermedio: entro  il 2030 le emissioni complessive dovranno essere ridotte del 55% per quel che riguarda le auto e de 50% per i furgoni, rispetto ai livelli del 2021. Entro il 2025, sarà compito della Commissione europea presentare un metodo per valutare e comunicare i dati sulle emissioni di CO2 da misurare. Entro il dicembre 2026, poi, sarà monitorata la differenza tra i valori-limite e i dati reali di consumo di carburante.

La legge era in lavorazione da tempo, ma l'accordo nella sua forma attuale è stato definito lo scorso ottobre. Il governo italiano di Giorgia Meloni si è detto più volte contrario alla misura, specialmente con il ministro dei Trasporti e leader della Lega Matteo Salvini, che in diverse occasioni ha affermato che la misura sarebbe stata "un regalo alla Cina". Eliminare le auto con motore a combustione entro 12 anni, per Salvini, sarà un "suicidio economico e sociale" che porterà a "distruggere lavoro e industrie europee e italiane per regalarle alla Cina". In campagna elettorale Salvini aveva anche promesso un referendum per bloccare la norma, che poi è sparito.

martedì 14 febbraio 2023

LA VERITA' DI BERLUSCONI

Con la sua dichiarazione al di fuori del seggio elettorale per le regionali Berlusconi ha esternato il pensiero della maggior parte degli italiani che vogliono la parola fine alla guerra in Ucraina con lo stop immediato dell'invio di armi e di denaro al boia Zelensky e lo fa conoscendo quello che è accaduto in quelle zone sin dal 2014.
Se poi prezzemolino vuole proseguire la guerra bisognerà costringerlo a sedere al tavolo delle trattative accantonando le sue ambizioni e agendo anche contro il suo parere:nell'articolo di Contropiano(sulla-guerra-in-ucraina-berlusconi-dice-quello-che-il-paese-pensa )il piano dell'ex premier puttaniere che stavolta ci ha visto giusto,e quando si parla di Putin raramente parla a vanvera.
Un governo tutto coeso tranne rare e sporadiche eccezioni vuole l'impoverimento degli italiani che già da quindici anni subiscono una recessione infinita,e quando si era visto uno spiraglio in fondo al tunnel dopo la faccenda pandemia ecco l'illogica difesa degli interessi ucraini che per anni hanno massacrato i russi nel proprio territorio costretti al guinzaglio dell'Ue e dalla Nato.
E' comunque uno dei pochi politici europei di un certo potere(anche la Merkel)a dire il vero sugli accordi di Minsk e su quello che la contro informazione cerca di portare alla luce nonostante il muro del giornalismo di regime sia nostrano che europeo.
Lo stesso Zelensky,cocainomane conclamato,continua  a fare ribaltoni settimanali nel proprio governo silurando ministri e stretti collaboratori come cambia le mutande,e i recenti sondaggi vedono gli italiani sempre più convinti a porre fine al conflitto senza scendere alle sue condizioni.
Da far notare che stavolta i guerrafondai,o almeno chi punta di più sull'invio di armi e soldi al burattino ucraino,sono i seguaci del Pd che a braccetto dei loro amici democratici statunitensi sono per i massacri e per l'inasprimento del conflitto,con l'elettorato della destra che nonostante i loro capoccia sbraitino per la vittoria completa dell'Ucraina vedono molto bene la fine della guerra e da ora.

Sulla guerra in Ucraina Berlusconi dice quello che il paese pensa.

di S.C.

“Parlare con Zelensky? Se fossi stato il presidente del Consiglio non ci sarei mai andato perché stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili. Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto, quindi giudico, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore”.

Le parole di Berlusconi all’uscita dai seggi elettorali, sono piovute come una pietra sull’imbalsamato e compulsivo dibattito politico in Italia sulla guerra in Ucraina.

A pochi giorni dall’incontro, a Bruxelles, tra la premier Meloni e il presidente ucraino, il Cavaliere avanza una chiave di lettura e una via d’uscita completamente diversa da quella fin qui indicata dal “Partito trasversale della guerra”.

Secondo Berlusconi nel conflitto russo-ucraino “per arrivare alla pace penserei che il presidente americano dovrebbe prendersi Zelensky e dirgli che è a sua disposizione dopo la fine della guerra con un piano Marshall per ricostruire l’Ucraina. Un piano Marshall dai 6 ai 9mila miliardi di dollari, a una condizione: che tu (Zelensky, ndr) domani ordini il cessate il fuoco, anche perché noi da domani non vi daremo più dollari e non ti daremo più armi. Soltanto una cosa del genere potrebbe convincere questo signore ad arrivare a un cessate il fuoco”.

Di fronte a queste dichiarazioni che hanno circolato abbondantemente in tutta la sonnecchiosa domenica elettorale, i primi a imbizzarrirsi sono stati i guerrafondai del Pd e della banda Calenda &c.

La presidente dei senatori democratici, Simona Malpezzi, si è rivolta alla Meloni chiedendole se è d’accordo con le parole pronunciate da Berlusconi sulla guerra in Ucraina. Poi è arrivato anche Carlo Calenda secondo cui “Berlusconi ricomincia con i suoi vaneggiamenti putiniani, in totale contrasto con Ue, il governo di cui fa parte e il ministro degli Esteri che è anche espressione del suo partito. Pessimo“.

A metterci una pezza ci ha provato il ministro degli Esteri Tajani il quale ha ribadito che: “Forza Italia è da sempre schierata a favore dell’indipendenza dell’Ucraina, dalla parte dell’Europa, della NATO e dell’Occidente. In tutte le sedi – assicura Antonio Tajani – continueremo a votare con i nostri alleati di governo rispettando il nostro programma”. Diversamente da Tajani che nel governo è ministro e vicepresidente, i capogruppo di Forza Italia alla Camera e al Senato hanno sostenuto le dichiarazioni del loro Berlusconi. M5s e Lega invece hanno preferito non commentare. Un silenzio che non è rimasto inosservato.

Ma perché Berlusconi – ed è la terza volta – è intervenuto così apertamente contro la guerra in Ucraina e lo stesso Zelenski? Tra l’altro affermando alcune verità sugli accordi di Minsk sabotati da Kiev e dall’Occidente ribadite poi anche dalla Merkel.

Se è noto il feeling con Putin da parte di Berlusconi, occorre ammettere, diversamente dal resto del ceto politico di destra o del Pd, che il Cavaliere ha dimostrato e dimostra di conoscere meglio degli altri il senso comune prevalente nel paese, anche verso la guerra in Ucraina in cui i governi Draghi e Meloni ci hanno trascinato da un anno.

Tutti i sondaggi, con una straordinaria continuità da un anno a questa parte, confermano che la maggioranza della popolazione non vuole che l’Italia sia coinvolta nella guerra, non vuole che l’Italia invii armi all’Ucraina e vuole invece che si persegua la strada del negoziato, anche contro il parere di Zelenski.

Il Cavaliere si vede che i sondaggi li legge ed è più scaltro degli altri nell’adeguarsi al sentiment della società. Una spina in più sul terreno del governo ma anche l’occasione, dopo un anno, per invertire la corsa all’escalation militare in cui l’esecutivo sta trascinando il paese.

Anche per questo il 25 febbraio saremo in piazza contro a Genova per la manifestazione nazionale chiamata dai portuali che alla guerra si sono opposti concretamente.