giovedì 27 settembre 2018

LA FAMIGLIA PERFETTA DEI TIMORATI DI DIO


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La proposta di legge del leghista Pillon in materia di famiglia,dalle separazioni all'affidamento dei figli arrivando alle adozioni e agli assegni familiari,è frutto di una mente retrograda di uno dei primi aderenti ai Family day(madn lipocrisia-del-mondo-cattolico-nel giorn della famiglia ),l'orgia insulsa degli integralisti cattolici come Adinolfi,il ministro Fontana,Gasparro e compagnia cantante.
L'articolo di Left(ddl-pillon-dove-stato-fa-rima-con-patriarcato )parla di questo clima puritano di timorati di Dio che altri non sono che i rappresentanti di estrema destra dei falsi diritti della famiglia tradizionale,un riemergere dal passato di vecchie chimere come il patriarcato e la conseguente mortificazione della donna all'interno della famiglia stessa,donna fattrice e muta come volevano i fascisti.
In questo articolo(espresso il-ddl-pillon-e-la-strategia-del-governo-per-svuotare-i-diritti )invece tutti i temi trattati come la privatizzazione anche del sistema giudiziario,con il ruolo del mediatore obbligatorio e a pagamento,l'impossibilità di una donna maltrattata di uscire fuori fisicamente dal matrimonio con i propri figli,soprattutto per quelle con difficoltà economiche.
Inoltre si parla di un sballottamento tra genitori in maniera equa e dell'abolizione degli assegni familiari in quanto questo sistema dividerebbe proprio a metà,un poco come minacciò Salomone,i figli avuti assieme.

Ddl Pillon, dove Stato fa rima con patriarcato.

di Carla Corsetti 
Quando nel nostro ordinamento è stato introdotto il principio della bigenitorialità, si era inteso sostenere che il progetto educativo del minore dovesse essere condiviso da entrambi i genitori i quali avrebbero dovuto mantenere entrambi un rapporto equilibrato con la prole, pur nella disgregazione del rapporto matrimoniale o di convivenza.

Il principio della bigenitorialità avrebbe dovuto declinarsi nella consapevolezza, da parte di entrambi i genitori, di dover sostenere una eguale responsabilità nella crescita dei figli.

Molti padri, ma anche molte madri, hanno invece interpretato il principio di bigenitorialità come una nuova spranga da usare contro l’altro genitore, una nuova arma per strumentalizzare i figli ad uso delle proprie frustrazioni.

Il modello patriarcale di famiglia, già fallimentare di per sé, attraverso il consumismo capitalistico è esploso in tutta la sua pericolosità.

La famiglia tradizionale, veicolata dalla favolistica religiosa, ha avuto una corrispondenza nei modelli consumistici pubblicitari, i quali hanno contribuito ad introdurre nell’immaginario collettivo, una idea di modello familiare inesistente e utopico.

Le famiglie perfette sono aspirazioni illusorie, la realtà è fatta in gran parte di genitori che non si sopportano, che si tradiscono, che si odiano.

I figli, anche se amati, sono spesso vissuti come l’ostacolo alla propria affermazione e alla propria “felicità”.

Separazioni e divorzi sono la soluzione agli incubi permanenti.

I politici italiani, spalmati su tutto l’arco parlamentare, hanno sempre ostentato il proprio impegno a dare “sostegni alle famiglie”, ma poi è sempre prevalsa una riserva mentale di fondo che relegava il problema al femminile e dunque, un bonus, un contributo assistenziale, una mancetta governativa potevano ritenersi sufficienti, senza impegnarsi più di tanto per elaborare politiche di ampie prospettive rivolte alla genitorialità.

La deriva pentafascioleghista, nella incapacità di cogliere gli aspetti più delicati delle dinamiche familiari, si è diretta ora verso il diritto di famiglia con il preciso scopo di devastare quelle tutele, spesso inattuate e solo teoriche, che tuttavia le leggi consentivano.

Attraverso il senatore Pillon è approdato in Parlamento un disegno di legge ispirato al fondamentalismo religioso, nel quale si prevede che i coniugi che intendono separarsi debbano passare attraverso un procedimento a pagamento di mediazione obbligatoria.

La obbligatorietà della mediazione è un altro tassello verso la privatizzazione del sistema giudiziario, ma ciò che rileva in questo contesto è che la disparità di reddito tra uomini e donne, diventerà ostacolo alla scelta di separarsi da parte del soggetto economicamente più debole, che generalmente è la donna.

Se è vero che molti femminicidi si verificano dopo che le mogli sono scappate da mariti e compagni violenti, il senatore Pillon ha trovato una soluzione per impedir loro di scappare, ed ha ideato una moltitudine di ostacoli pratici ed economici per paralizzare la via di fuga alle donne malmenate, compresa una valutazione sulla capacità reddituale al fine di consentire l’affidamento dei figli.

Le madri, pur di non essere separate dai figli a causa del basso reddito, accetteranno di restare con i mariti violenti.

La centralità del progetto educativo, quale presupposto della bigenitorialità, viene sostituito dalla divisione identica dei tempi di permanenza presso entrambi i genitori.

I figli diventano palline da ping pong, rimbalzati da una casa all’altra, senza continuità abitativa, in una condizione di destabilizzazione permanente.

A queste condizioni, una donna sana di mente può solo decidere di farsi sterilizzare.

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Carla Corsetti, avvocato, è segretario nazionale di Democrazia atea e fa parte del coordinamento nazionale di Potere al popolo

martedì 25 settembre 2018

UN DECRETO FIGLIO DI QUELLO DI MINNITI


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Il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legge sulla sicurezza e l'immigrazione fortemente voluto da Salvini e che il premier Conte non ha tardato ad accontentare mandando avanti l'iter burocratico che potrebbe avere slittamenti temporali per l'autorizzazione definitiva vuoi per la presentazione degli emendamenti da parte dell'opposizione ma anche per decidere la costituzionalità del decreto stesso.
Perché in primis questo è solamente il proseguimento naturale del decreto Minniti(madn minnitiluomo-del-manganello-e-dellolio di ricino )osannato dal Pd ora dall'altra parte della barricata,e anche perché vi sono degli articoli che vanno contro la carte dei diritti dell'uomo come l'impossibilità del richiedente asilo di essere giudicato nei tre gradi previsti dalla legge(ora ne basta uno).
Una legge molto razzista,sono in gioco le cittadinanze,saranno aboliti i permessi di soggiorno per motivi umanitari,le permanenze nei lager dei centri per il rimpatrio raddoppieranno di tempo,ci sarà una politica dei rimpatri stessi massiccia e che farà aumentare il numero dei clandestini e non di certo diminuirlo,insomma un decreto dettato dalla rabbia e dall'odio usando poco o niente il cervello ed il ragionamento.
Sono stati inseriti anche articoli riguardo il decoro urbano almeno dei salotti buoni delle città,anche questo figlio del decreto Minniti,punizioni per i poveri e per chi occupa le case anche se in stato di necessità,taser anche alla polizia locale e Daspo ai senza tetto.
Gli articoli sono di Contropiano(decreto-salvini-guerra-ai-poveri-e-leggi-razziali )e Left(la-sicurezza-che-manca-in-italia )dove in quest'ultimo si puntualizzano veramente i fatti salienti riguardo la sicurezza che manca in Italia,quella delle infrastrutture e nel caso delle situazioni di emergenza che si ripropongono quotidianamente.
SSuggerisco anche questo articolo di Infoaut(ddl-immigrazione-la-spettacolarizzazione-del-razzismo-istituzionale )scritto ancor prima dell'approvazione al CdM che analizza dettagliatamente i nuovi punti di questo decreto.

Decreto Salvini: guerra ai poveri e leggi razziali.

di  Sergio Scorza 
Qualche minuto dopo che il Consiglio dei Ministri aveva approvato all’unanimità il decreto legge in materia di “sicurezza e immigrazione”, ovvero, il provvedimento che modifica la normativa in materia di accoglienza dei richiedenti asilo – abolendo i permessi umanitari – ed inasprisce ulteriormente la guerra ai poveri inaugurata dal precedente governo Gentiloni, Matteo Salvini era già su Facebook a scrivere: «#DecretoSicurezza, alle 12,38 il Consiglio dei Ministri approva all’unanimità! Sono felice. Un passo in avanti per rendere l’Italia più sicura ».

I due decreti legge su “immigrazione e sicurezza” sono stati unificati in un solo testo di 42 articoli. Quasi a cercare di attenuare la portata del decreto il presidente del consiglio Conte, subito dopo, ha detto ai cronisti «Non cacciamo nessuno dall’Italia dall’oggi al domani, ma rendiamo più efficace il sistema dei rimpatri. In un quadro di assoluta garanzia dei diritti delle persone e dei trattamenti, creiamo un intervento per una disciplina più efficace ». Ed aggiunge che in quel Decreto legge «ci sono pure norme contro la mafia e il terrorismo». Poi Salvini e Conte, insieme, hanno esibito sorridenti un cartello con l’hashtag #decretoSalvini e la scritta «sicurezza e immigrazione».

Le associazioni umanitarie, l’Anci e lo stesso ufficio legislativo della Presidenza della Repubblica, nei giorni scorsi, avevano espresso molte perplessità tanto sui contenuti del provvedimento quanto sulla effettiva sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza previsti dalla Costituzione per i decreti legge. Lo stesso Conte ha ammesso a denti stretti che c’è stata un’interlocuzione, al livello massimo di esponenti e tra le strutture tecniche, e che il Presidente della Repubblica “avrà tutto l’agio, quando riceverà formalmente il testo, per fare eventuali rilievi. Cortesia vuole che al Quirinale si preannuncino i contenuti e si anticipi un testo. Ed è stato fatto anche in questo caso. Sarebbe stato un fuor d’opera che il testo circolasse nelle redazioni e al Quirinale non fosse stato mandato nulla”.

Ma cosa c’è nel Decreto? È già detto, innanzitutto, l’abolizione dei permessi umanitari ed una serie di modifiche sostanziali al sistema di accoglienza SPRAR, ovvero, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati del Ministero che in Italia gestisce i progetti di accoglienza, di assistenza e di integrazione dei richiedenti asilo a livello locale.

Gli articoli dall’1 al 16 contengono le misure in materia di permessi di soggiorno, di protezione internazionale e di cittadinanza. “Il permesso di soggiorno per motivi umanitari” è sostituito dai “permessi speciali”, per “motivi di salute”, “violenza domestica”, “calamità nel paese d’origine”, “cura medica” ” ed “atti di particolare valore civile”. SPRAR sarà riservato semplicemente ai titoli di protezione internazionale ed ai minori non accompagnati. I richiedenti asilo saranno collocati nei CARA (Centri di accoglienza per I richiedenti asilo). Sarà molto più facile negare o revocare la protezione internazionale, sospendere la domanda d’asilo e revocare la cittadinanza italiana.

La durata massima di permanenza negli orridi CPR (Centri per il rimpatrio) passa da 3 a sei mesi al fine di conseguire l’espulsione. Oltre a quelli già presenti sul territorio è previsto la «costruzione» di altri CPR. Ai fini del “potenziamento delle attività di rimpatrio” il decreto stanzia 500mila euro per il 2018 e 1,5 milioni per il 2019 e 2020.

Il ministro dell’Interno ha sostenuto davanti ai cronisti parlamentari la bontà del “suo decreto” con la consueta sensibilità e profondità di pensiero: «Non lediamo nessuno diritto fondamentale: se sei condannato a casa mia e spacci ti accompagno da dove sei arrivato … Se sei condannato in via definitiva è di buon senso toglierti la cittadinanza.”.

Dunque niente più SPRAR per richiedenti asilo ma solo per “rifugiati e minori non accompagnati”. Nel decreto è prevista per i richiedenti asilo la sospensione della domanda “in caso di pericolosità sociale” con invio ai CPR in caso di condanna in primo grado. Dunque il richiedente asilo non ha più diritto ai tre gradi di giudizio ed una  condanna in primo grado sarà inappellabile e definitiva, ciò in aperta violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge mediante l’introduzione di una giustizia speciale per i migranti lasciati in quel limbo in cui restano per lunghi periodi di tempo in attesa di essere riconosciuti come esseri umani e, come tali, detentori di diritti fondamentali, tra i quali, quello di avere una giustizia giusta ed un processo equo.

Ai ministri gialli e verdi andrebbe ricordato che quel principio è fondamentale quando si parla di diritti umani  e che sta dentro la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, all’articolo 7,  laddove si dice che “Tutti sono eguali davanti alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione”.

A fugare ogni residuo dubbio sul carattere repressivo e reazionario dell’esecutivo gialloverde c’è la parte del Decreto Legge dedicata alla “sicurezza” che estende il “Daspo” ai senza tetto; introduce la  dotazione del taser anche alla polizia locale e prevede un inasprimento delle pene fino  a 4 anni di carcere per chi occupa stabili, anche se in stato di necessità.

Il ministro dei Rapporti col Parlamento, Riccardo Fraccaro (M5S) sul decreto ha dichiarato: «In Consiglio dei ministri non c’è stato alcuno scontro», aggiungendo che, in ogni caso, «saranno Camera e Senato a vedere di migliorare il testo. Ora sarà centrale il lavoro del Parlamento”. Ma ha poi aggiunto che, a suo parere, ”non vi è nessun dubbio sulla costituzionalità del decreto “.

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La sicurezza che manca in Italia.

di Simona Maggiorelli
Il crollo del viadotto Morandi ha messo dolorosamente davanti agli occhi di tutti qual è la sicurezza che davvero manca al nostro Paese. A minacciare il diritto all’incolumità di chi vive in Italia non sono certo i migranti come vogliono far credere politici xenofobi che hanno costruito il proprio successo elettorale sulla paura di invasioni (inesistenti). È inaccettabile il braccio di ferro che, ancora una volta, i ministri Salvini e Toninelli hanno ingaggiato sulla pelle di chi scappa da guerre e dalla povertà, cercando un futuro altrove. Nel mirino del governo giallonero questa volta sono finiti 177 migranti che, mentre scriviamo, non hanno ancora un approdo sicuro benché si trovino a bordo della Diciotti della guardia costiera italiana! . (Sabato 25 agosto il Viminale ha dato il via agli abarchi). In un colpo solo sono stati calpestati i valori della Costituzione e l’articolo 33 della convenzione di Ginevra. Negati i diritti umani fondamentali, come hanno denunciato Magistratura democratica e Asgi (Sempre domenica è arrivata la notizia che Salvini è indagato per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio nda).

Il governo legastellato si accanisce sulle persone più vulnerabili, additandole come nemici del popolo italiano e intanto pensa a imporre l’iniqua flat tax che premia i più ricchi invece di rimboccarsi le maniche, mettendosi a lavorare ad un massiccio piano di messa in sicurezza del territorio e delle infrastrutture. In quella stessa drammatica settimana di ferragosto scosse di magnitudo 5.1 sono state registrate in Molise e successivamente in Emilia (3.9). Sono già trascorsi due anni dal terremoto che devastò regioni del centro Italia e ancora oggi lo scenario è quello di paesi bombardati con la popolazione locale che vive in condizioni precarie, come raccontano Federica Tourn e Stefano Stranges in un ampio reportage dalla Valle del Tronto. I terremoti sono eventi naturali difficili da prevedere. Ma si può fare prevenzione per evitare crolli di case, ponti, infrastrutture.

Non è stata una fatalità naturale a far crollare il 14 agosto il ponte genovese di cui erano ben note le fragilità dovute all’usura del tempo e dei materiali. Un’opera all’avanguardia quando fu costruita, ma che aveva bisogno di manutenzione, di un monitoraggio moderno e scientifico, come gran parte dei 50mila ponti sparsi per l’Italia. Sulle cause del disastro di Genova costato vite umane indaga la magistratura. Emergeranno le responsabilità. Ma pensando alle vittime, insieme al dolore, cresce la nausea per il comportamento di una classe dirigente italiana composta da politici e industriali irresponsabili. È agghiacciante la leggerezza con cui sono stati svenduti a privati beni pubblici, essenziali, come le autostrade, senza imporre ai gestori, che ne ricavano lauti profitti, adeguati investimenti per la manutenzione e la modernizzazione delle strutture.

Dall’Italia spa ideata da Andreotti nel 1991 per arrivare alla stagione delle svendite e delle cartolarizzazioni, politici di centrosinistra e di centrodestra si sono dati man forte in questa operazione scellerata di messa all’incanto di beni comuni, per fare cassa nell’immediato, senza peraltro nemmeno ricavarci cifre consistenti. La storia chiama in causa i governi Berlusconi e il provvedimento salva Benetton votato anche da Salvini nel 2008. Ma chiama in causa pesantemente anche Prodi che dette il via alla stagione dei saldi e poi, D’Alema, Amato, Di Pietro ecc. È stata la sagra delle privatizzazioni all’italiana. Anche per colpa di un centrosinistra sedotto dal neoliberismo alla Blair, che considerava la Borsa l’ombelico del mondo. Correre ai ripari oggi pensando a un piano di ri-nazionalizzazioni non è facile, ma è un tema che merita una discussione pubblica, è un tema che la sinistra dovrebbe riproporre con forza, come sta facendo Corbyn che è riuscito a risollevare il Labour rifiutando l’ideologia liberista della Terza via. E non basta.

Poco prima che si verificasse il dramma di Genova su Left cercavamo di riflettere sul futuro delle città, (le mani sulla città) strette nella morsa della speculazione finanziaria e della corsa al cemento. Tema centrale, ineludibile. A Genova c’erano  studi per spostare su rotaia parte del traffico di merci. Ma si parla da anni della Gronda e di altri progetti e ha continuato a prevalere un modello di sviluppo legato al traffico su gomma. Il caso del capoluogo ligure purtroppo non è unico e isolato. Anche grazie a provvedimenti come lo Sblocca Italia  sostenuto dal ministro Lupi durante il governo Renzi, un Paese fragile dal punto di vista idrogeologico come l’Italia è sempre più a rischio. È quanto mai urgente aumentare il livello di sicurezza. Serve un gigantesco piano di monitoraggi con sensori e tecnologie satellitari, per fare la tac alle infrastrutture, come suggerisce l’urbanista Paolo Berdini, che insieme all’architetto e docente di Scienza delle costruzioni Ugo Tonietti e al giurista Mario Sentimenti, da diversi punti di vista, offrono importanti spunti di riflessione e proposte per rimettere al centro la questione del controllo pubblico, della prevenzione e della conoscenza. Tema chiave, perché il Paese possa uscire dallo stato di arretratezza in cui versa.

Proprio per questo proponiamo oltre alla storia di copertina, un’ampia contro copertina dedicata alla scuola.

lunedì 24 settembre 2018

PACE FISCALE=CONDONO


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Lo hanno capito anche i muri che la tanto declamata pace fiscale altro non è che un condono bello e buono,un altro grande regalo che i governanti faranno agli evasori fiscali più incalliti e ricchi,un ritorno in pompa magna delle politiche berlusconiane che incitavano pure l'evasione.
Basta non dirlo ai grillini che sono stati convinti dal loro padrone Salvini,sempre più padrone di questo esecutivo,perché secondo loro sarà un aiuto per tutti gli italiani,senza pensare a chi lavoratore dipendente che non ha problemi di evasione in quanto lo Stato già gli mangia una grossa fetta di stipendio,che guarda a questo escamotage salvaricchi con rabbia e schifo.
L'articolo di Contropiano(condono-pace-fiscale-deficit )parla di questa azione del governo volta per l'appunto a premiare chi ruba e fa il furbetto.

Condono, pace fiscale, deficit.

di  Franco Astengo 
Il governo, in questa fase convulsa di preparazione della manovra, gioca sulle parole tra “Condono” e “Pace Fiscale”: in realtà si sta preparando un grosso premio a quella che è stata l’enormità dell’evasione fiscale accumulata nel corso degli anni.

Si parla di 1.050 miliardi.

Arrivano al pettine i nodi creati dal modello economico – produttivo ispirato dal centro-destra nella  sua versione “classica” degli ultimi anni’90 del XX secolo e del primo decennio del secolo che stiamo vivendo: quello degli “spiriti animali del capitalismo”, della “imprenditoria rampante”, di un in molti casi ingiustificato e avventuristico, “spirito imprenditoriale” alimentato dalla filosofia del “sogno”, stile “american way life”.

Tutto questo emerge benissimo, ad esempio, in un’intervista rilasciata dall’ex-sindaco di Padova e attuale sottosegretario, Bitonci, che in un assoluto crescendo giustificazionista parla di “ci hanno imposto il nero o non abbiamo potuto lavorare, aiutateci”.

E’ la filosofia del considerare lo stato criminogeno e di considerare quindi l’evasione un “diritto naturale”, del resto proclamata dallo stesso Berlusconi nel suo famoso discorso di giustificazione dell’evasione e dell’elusione tenuto all’ANCE il 2 aprile del 2008 nel corso della campagna elettorale che registrò una rimonta del centrodestra, superato dall’eterogenea “Unione” per soli 24.000 voti.

Il centrosinistra dell’epoca ebbe le sue pesanti responsabilità sotto quest’aspetto per aver espresso una contraddittorietà di fondo tra la “bellezza delle tasse” evocata da Padoa Schioppa e l’adesione complessiva al modello che, a partire dal discorso sulle privatizzazioni dell’industria pubblica, approdò all’accettazione piena e supina del neo – liberismo.

Sono risultati profondamente sbagliati i modelli dei “distretti del Nord – est”, della “fabbrichetta”, del “sciur Brambilla” anni ’80: è lì che nasce la questione dell’evasione fiscale a dimensioni gigantesche, equilibrata drammaticamente dall’esplosione del debito pubblico e fautrice di disuguaglianza, sfruttamento, lavoro nero svolto in particolare dagli immigrati (pensiamo alle concerie di Vicenza), di arricchimenti indebiti.

Così sono stati distrutti i settori portanti e decisivi dell’industria italiana, si è abdicato a qualsiasi idea di programmazione economica, si è data via libera a un mercato selvaggio del quale – appunto – i 1.050 miliardi di evasione e contenzioso fiscale rappresentano l’espressione più evidente, si sono impoveriti interi pezzi di società, demoliti settori portanti come quelli dell’amministrazione pubblica, della scuola, dell’Università.

La differenza tra centro destra e centro sinistra, a suo tempo, è stata quella che il centro destra ha perseguito ferocemente la strategia dell’arricchimento per poco e della disarticolazione e anestetizzazione della società italiana, mentre il centro sinistra in alcune sue parti ha perseguito una stupida politica di accreditamento a palazzo e in altre parti esaltandola necessità di unirsi contro il pericolo della destra facendo finta di non accorgersi di stare sviluppando proprio la politica della destra (un classico “storico”).

So bene che la giustificazione a tutto ciò è stata data dal procedere della tecnologia, dalla necessità di scrostare imposizioni corporative, dall’irrompere della globalizzazione, dallo spostarsi dell’economia verso la finanziarizzazione da cui la scaturigine della crisi del 2008. Non mi è parso però il caso di starci dentro all’epoca, accumulando anche una buona quota di propaganda espressa da luoghi comuni, in una sorta di adeguamento continuo al ribasso, come è stato fatto anche attraverso il tirar fuori come alternativa“i beni comuni”, il “mutualismo” in attesa di riscoprire i falansteri di Fourier e i pre- marxisti. Tutte belle cose ma del tutto insufficienti rispetto alla bisogna che stava esprimendosi pesantemente sulle condizioni materiali di vita, di lavoro, di ambiente.

Sono questi punti sui quali riflettere, così come sarebbe il caso di pronunciarci sulla questione del deficit.

Abbiamo sempre sostenuto la necessità di utilizzo del “deficit – spending” e osteggiato fortemente le politiche rigoriste imposte dall’UE.

Adesso è il caso di affermare che la questione risiede nell’utilizzo dei margini di deficit (al di là della trattativa con Bruxelles): un conto è l’utilizzo del deficit allo scopo di varare un forte piano di programmazione economica e di intervento pubblico destinato all’innovazione tecnologica, alla creazione di lavoro “vivo e vero”, di adeguamento delle infrastrutture, di difesa ambientale (come dimostra purtroppo ancora Taranto) e ben diverso è il quadro che si presenta di utilizzo del deficit per misure assistenziali come il reddito di cittadinanza.

Questo va detto chiaro: il reddito di cittadinanza contiene in sé il rischio di rivelarsi una misura assistenziale che nasconde anche una idea negativa del lavoro (ben diversa dall’idea marxiana del “liberarsi” del lavoro); ricordando anche e sempre che, ad esempio, il tema delle pensioni dovrebbe essere legato, per quel che riguarda l’INPS, alla scissione tra assistenza e previdenza di cui si parla dal 1958 e adesso sparita dall’agenda.

Così come è sicuramente una misura di ulteriore agevolazione verso i ricchi l’altra faccia della medaglia per la quale si vorrebbe utilizzare il “deficit – spending”.

Assistenzialismo, “pro ricchi”, aumento delle diseguaglianze questa pare essere, in pratica, la cifra che esprime attualmente il governo italiano anche oltre il tema politico generale dello spostamento a destra insito nelle logiche razziste – sovraniste.

Personalmente con nessun timore, anzi con orgoglio, di essere definito un retrogrado cultore delle “magnifiche sorti e progressive” e dell’antico scontro di classe: ma rimane questo il punto vero di distinzione filosofica e politica.

sabato 22 settembre 2018

AGGUATO A BARI DOPO UNA MANIFESTAZIONE ANTIRAZZISTA


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Non perdono occasione i cameratti di CagaPovnd di fare cinghiamattanze tra famiglie e bambini piccoli e poi dire di essere stati provocati ed attaccati,naturalmente con le forze del disordine pronte a fare quadrato attorno a loro picchiando a loro volta poi anche loro compagni e compagne.
E'accaduto nuovamente ieri sera a Bari nel rione Libertà dove un corteo organizzato da varie associazioni riunitisi sotto il nome della rete"Mai con Salvini"ha sfilato per il centro contro le politiche dell'attuale esecutivo,e l'articolo di Contropiano(bari-aggressione-fascista )riporta la testimonianza dell'europarlamentare Eleonora Forenza presente alla manifestazione.
Visto un personaggio politico di spicco la polizia ha fermato una trentina di fascisti del nuovo millennio così per dare un segnale ma che alla resa dei conti non porterà nessun strascico giudiziario di rilievo,mentre due compagni sono stati feriti,uno in maniera grave,durante l'attacco premeditato delle merde fognarie avvenuto a manifestazione conclusa,quindi un agguato vero e proprio.

Bari. Aggressione fascista, due compagni feriti.

di  Redazione Contropiano 
“Stavamo tornando dalla manifestazione quando abbiamo incontrato una donna eritrea con un passeggino spaventata perché in via Eritrea, dove c’è la sede di CasaPound, era bloccata da un gruppo di persone, spaventata perché in questo quartiere non è facile avere la pelle scura. A quel punto ci siamo allontanati e ci hanno rincorso e ci hanno aggredito con cinghie e cazzottiere: una squadraccia fascista che ci ha inseguito e picchiato, tra passeggini e bambini. Eravamo inermi abbiamo cercato di scansare i colpi”. E’ questa la testimonianza dell’eurodeputata Eleonora Forenza su quanto accaduto a Bari, nel quartiere Libertà, ieri sera.

Nel pestaggio sono rimasti feriti in due compagni Antonio Perillo, trasportato in ospedale con una grave ferita alla testa, e Claudio Riccio.

Nel pomeriggio un corteo antirazzista di 500 persone aveva sfilato per le vie del centro di Bari per protestare contro le politiche del Governo. Alla manifestazione hanno aderito comitati e associazioni cittadine riunite nella rete “Mai con Salvini”. Il corteo, era partito da piazza Umberto e si era diretto a piazza Redentore attraversando le strade del rione Libertà, in cui più tardi è avvenuta l’aggressione fascista e che, oltre ad ospitare una sede di Casa Pound, era stato il teatro di una manifestazione con Salvini una settimana fa.

La polizia, che da tempo sapeva della presenza fascista, invece di bloccare gli aggressori, ha circondato i compagni prontamente accorsi e li ha manganellati a sua volta… Poi, di fronte all’evidente problema politico (un europarlamentare aggredito non è cosa che si possa tenere sotto silenzio nelle camere di un commissariato…), avrebbe proceduto al fermo di alcuni dei picchiatori.

venerdì 21 settembre 2018

UN GOVERNO STABILMENTE SUL BARATRO


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Questo esecutivo che dopo i canonici cento giorni non ha combinato nulla a parte fare campagna elettorale ad oltranza,vede negli ultimi giorni lo spettro,e non si sa se possa ritenersi una cosa positiva o meno vista l'inesistenza almeno per ora di un'opposizione seria,di dissidi legati ad un rinnovamento di antiche alleanze.
Infatti pace fatta tra Salvini,Berlusconi e Meloni che correranno assieme alle regionali e alle prossime europee,così come hanno fatto lo stesso cammino elettorale per le ultime politiche che hanno visto la nascita del pastrocchio Salvini-Di Maio.
Proprio quest'ultimo discute animatamente col ministro Tria per via dei conti che tenendo conto delle promesse elettorale sia di lega che dei pentastellati non riescono minimamente a sopperire alle richieste dell'esecutivo.
Perché lo si sapeva già ancora prima della nascita del governo attuale che ciò promesso non aveva il supporto economico sufficiente per essere realizzato,ed ora si tenta di strappare fino all'ultimo Euro ancora alle spese sociali,ai fondi per le periferie ma guai parlando di patrimoniale(anzi la flat tax ne è proprio l'antitesi)e di aumento dell'Iva,l'unica soluzione per il ministro dell'economia e delle finanze assieme ad un aumento del deficit(cosa sgradita all'Ue)per portare a casa qualche soldino.
Gli articoli di Contropiano(il-centrodestra-mette-unopa-sul-governo e un-governo-cosi-compatto-che-puo-anche-andare-a-casa )parlano delle richieste che senza sforare i parametri europei mai potrebbero essere accolte,ma anche senza questo,facendo un volo pindarico mettendoci fuori dall'Ue,sarebbe ancor più tragico per i servizi basilari dello Stato,che invece dovrebbero essere riconquistati dopo anni di privatizzazioni ed aumentati di quantità e di qualità.

Il centrodestra mette un’opa sul governo.

di  Redazione Contropiano 
Il governo è così “compatto” che si prepara ad affrontare le prossime elezioni (regionali ed europee sono quelle certe, per ora) fermamente diviso. Il centrodestra si è nuovamente unito sotto la leadership di Salvini, con Berlusconi e Meloni ridotti a paggetti che devono portare la loro dotazione di voti (tra il 10 e il 12%, secondo l’ultimo sondaggio Swg) per cercare di superare la soglia che garantisce la maggioranza assoluta dei parlamentari. Alle politiche, naturalmente. In teoria tra quasi cinque anni…

Il vertice di ieri ha risolto molte delle poche ruggini esistenti tra i tre componenti del centrodestra. E del resto lo scarto nei consensi elettorali attesi, tra la Lega e gli altri, è così ampio da ridurre a zero qualsiasi ipotesi di vera “contrattazione”.

La prova empirica si sta per avere già stamattina, con il nuovo tentativo di issare Marcello Foa alla presidenza della Rai. Forza Italia, contraria alla prima prova, dovrebbe ora garantire un voto favorevole. Avere una Rai a trazione leghista è indubbiamente un vantaggio enorme per Salvini, mentre per i Cinque Stelle – che pure voteranno a favore, come la prima volta – sarebbe un disastro sul lungo periodo, oltretutto preparato con le proprie mani.

Ufficialmente la ritrovata unità del centrodestra ha un raggio d’azione limitato (alcune nomine, elezioni regionali e altre locali), ma già la nota ufficiale stesa a fine incontro da Giorgetti segnala la preoccupazione di “rassicurare” l’alleato di governo: “Il governo Lega-5Stelle lavorerà, e bene, per tutti i cinque anni previsti, rispettando punto per punto il contratto di governo e la voglia di cambiamento degli Italiani”.

Formalmente non fa una grinza, ma è solare il contrasto tra un’alleanza su tutto (come centrodestra) e un’altra di governo tenuta insieme soltanto da un “contratto”. Sul piano politico l’intesa di ieri rafforza le pretese della Lega dentro il governo, perché diventa la “carta di riserva” in caso di contrasti insanabili sulla legge di stabilità; a cominciare, per esempio dalla platea ammissibile per il reddito di cittadinanza, su cui la Lega già spara il suo slogan per fessi: “solo agli italiani”… Tanto che Di Maio si è affrettato a farlo suo (“’Con le migrazioni irregolari non si può non restringere la platea”).

In realtà la partita si gioca sulla proporzione di quanto verrà “portato a casa” per poter dire – prima di qualsiasi altra elezione – “qualcosa abbiamo fatto, tutto e subito non era possibile, ecc”. Già ora si può notare che la bilancia è pesantemente spostata a favore dei temi leghisti, che hanno avuto grande visibilità e dunque popolarità, perché “a costo zero” (blocco delle navi, decreto migranti in preparazione, taser ai poliziotti, sgomberi violenti a gogò, armi a volontà ai privati, ecc).

Sui provvedimenti che costano, invece, il “terzo polo” del governo – rappresentato dal ministro Tria – ha l’ultima parola, ed è evidente che non molto potrà essere conseguito davvero. Solo per dirne una di oggi: la promessa di tagliare le accise sui carburanti (una risale addirittura al terremoto di Messina, oltre un secolo fa!) è praticamente irrealizzabile, tanto le compagnie petrolifere hanno già programmato gli aumenti a partire dal primo gennaio. Il massimo che questo governo potrà fare, dunque, è cancellare questi aumenti già previsti.

Come scriviamo dal varo di questo governo, i grillini sono destinati alla parte del vaso di coccio. E ogni giorno che passa si nota di più…

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Un governo così “compatto” che può anche “andare a casa”.

di  Alessandro Avvisato   
Non è una nostra cattiveria, ma una dichiarazione fatta dal vicepremier nonché “capo politico” del movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio, a Radio24 stamattina. La radio de IlSole24Ore, ossia di Confindustria, non un’emittente qualsiasi.

Per la precisione, Di Maio si è espresso così: “Questo è un governo compatto, che sta mettendo insieme le risorse, che ci sono, per mantenere le promesse fatte agli italiani perché il M5s non ha dimenticato le promesse fatte in campagna elettorale. Siccome i soldi ci sono le cose si possono realizzare: io ho detto che un governo serio trova le risorse, perché sennò è meglio tornare a casa, è inutile tirare a campare“.

Inizio e fine del discorso fanno a cazzotti, ma non ci sembra il caso di ironizzare sulla logica imperfetta, perché ci sembra in assoluto la prima volta l’ipotesi di una caduta del governo fa capolino nei discorsi dei Cinque Stelle.

I problemi sono molti, e sempre i soliti. La discussione e le liti intorno alla legge di stabilità (l’ex legge finanziaria, quella che decide per il prossimo anno come graduare le spese dello Stato e le entrate fiscali) ogni anno riproduce gli stessi riti e identiche liti. Ogni partito di governo e gruppo di pressione interno spinge per soddisfare i propri sostenitori, finanziatori, elettori. Nessun “cambiamento”, in questo.

Il problema principale lo conoscono anche i sassi: tutte le promesse elettorali fatte da Lega e Cinque Stelle comportano spese incompatibili con i vincoli posti dall’Unione Europea. Questo è un dato oggettivo. Da questa contraddizione si può uscire solo in due modi: o infrangendo i trattati europei (con conseguente attacco della speculazione finanziaria, sanzioni della Commissione, stretta da parte della Bce, downgrading dei titoli di stato da parte delle agenzie di rating, ecc) o dimenticando le promesse.

Il governo grillin-leghista – è l’unica differenza rispetto a quelli precedenti, ma neanche troppo – sta ancora provando a navigare tra Scilla e Cariddi, forzando un po’ i limiti posti dai vincoli europei e depotenziando molto le promesse elettorali. Il ragionamento di entrambi i partiti di governo è semplice: almeno qualcosa di simbolico tocca darlo, altrimenti il consenso va a finire da qualche altra parte. Ma anche riducendo al minimo la portata di flat tax, reddito di cittadinanza e ritocchi alla legge Fornero, il costo eccede – e di molto – i confini posti dall’Unione Europea, che pretende riduzione del deficit e del debito pubblico.

Tradotto il slogan, bisogna perciò “trovare le coperture”. Nella testa di qualcuno c’erano ben 75 miliardi di “tagli di spesa” che potevano essere socialmente “indolori”, e avrebbero garantito un robusto – seppure non completo – mantenimento delle promesse. 

Ma andando a vedere nel dettaglio si scopre che non è affatto così. Secondo i grillini si potevano recuperare 40 miliardi dalle tax expenditures, cioè di detrazioni, deduzioni e sconti fiscali. Quelle alle famiglie, ma anche alle cosiddette Sad (sussidi dannosi per l’ambiente), come le accise scontate sui carburanti per autotrasporto, pesca e agricoltura. Però per i grillini sarebbero da aumentare mentre per la Lega sarebbero da ridurre, e quindi probabilmente resteranno come sono (e 17 miliardi spariscono dalle “nuove risorse”).

Stesso discorso per i 30 miliardi di possibili tagli alla spesa pubblica, compresi i famosi “costi della politica” (massimo 1 miliardo, al di là delle chiacchiere). Per i Cinque Stelle potevano sparire sia i trasferimenti «improduttivi alle imprese» che il bonus da 80 euro di Renzi; che sarebbero stati compensati dalla riduzione delle tasse. 

E infine, ma solo alla fine, un leggero aumento del deficit di bilancio (tra 10 e 15 miliardi l’anno, ossia tra lo 0,6 e lo 0.8% del Pil) che secondo il “garante dei conti” – Tria – è il massimo che si può ottenere dalla Commissione europea.

Se le prime due voci si sgonfiano, tecnicamente restano solo due possibilità l’aumento del deficit a livelli che la Ue non può accettare oppure l’aumento dell’Iva (altri 12,5 miliardi sarebbero serviti a sterilizzare gli aumenti automatici). Una misura che colpisce i consumi, specie nelle fasce più povere (un 2% in più sul prezzo di tutte le merci diventa un problema per chi ha i soldi contati, non certo per chi sta benone).

E lo stesso Tria ha confermato che questa ipotesi è tra quelle principali, allo studio nel ministero dell’economia. Per ora solo come extrema ratio per far fronte a due partiti che premono disperatamente per alzare la spesa senza disturbare troppo la Ue.

I “tre governi in uno”, al dunque, stanno tirando ognuno la corda nella propria direzione. E tra i tre sono i Cinque Stelle gli unici senza paracadute (la Lega ha in tasca l’accordo con Berlusconi, Meloni e cespuglietti vari; gli “europeisti” devono obbedire e basta a Bruxelles).

Si capisce, dunque, perché la possibile caduta del governo – se non saranno soddisfatte le poste di spesa sufficienti per realizzare almeno pezzi del programma grillino – faccia ora capolino tra le crepe di un esecutivo “assolutamente compatto”.

mercoledì 19 settembre 2018

IL RAPIMENTO DI PADRE PIERLUIGI MACCALLI


In molti paesi africani la lotta per contrastare la miseria e la povertà è questione quotidiana,ed in troppi ancora la fame uccide e le condizioni igieniche e sanitarie sono estremamente pessime,e nonostante la tiritera dell'"aiutiamoli a casa loro"questa povera gente viene supportata solamente da organizzazioni private,no profit o dai missionari della chiesa cattolica.
Che a parte la tematica di evangelizzazione sulla quale si può discutere,opera concretamente da decenni per alleviare le sofferenze di popolazioni africane sparse in tutto il continente,e proprio Padre Pierluigi Maccalli,un missionario della diocesi di Crema originario di Madignano,è stato rapito in Niger nella zona parrocchiale di Bomoanga vicina alla capitale Niamey molto probabilmente da un gruppo di jihadisti.
Una persona non solo,come la maggior parte dei preti missionari,portatore della parola di Dio ma anche costruttore di pozzi,ambulatori e scuole,in prima linea contro le barbare pratiche religiose come l'infibulazione e insegnante per giovani contadini.
Gli articoli di Contropiano e SMA(Società delle missioni africane dove lavora,niger-rapito-un-sacerdote-italiano e p-pier-luigi-maccalli-rapito )parlano dei momenti del rapimento e del timore che i jihadisti possano ucciderlo.

Niger. Rapito un sacerdote italiano della Società delle Missioni Africane.

di  Agenzia Fides 
“Nella notte tra lunedì 17 e martedì 18 settembre, è stato rapito da presunti jihadisti attivi nella zona, padre Pierluigi Maccalli, della Società delle Missioni Africane (SMA).” A dare la notizia a Fides è padre Mauro Armanino, missionario a Niamey.

“Da qualche mese la zona si trova in stato di urgenza a causa di questa presenza di terroristi provenienti dal Mali e dal Burkina Faso” aggiunge p. Armanino.

Padre Maccalli, originario della diocesi di Crema, già missionario in Costa d’Avorio per vari anni, si trova nella parrocchia di Bomoanga, diocesi di Niamey. Da tempo mette insieme evangelizzazione e promozione umana: scuole, dispensari e formazioni per i giovani contadini. Attento alle problematiche legate alle culture locali, aveva organizzato incontri per affrontare temi e contrastare pratiche legate alle culture tradizionali, tra le quali anche la circoncisione e l’escissione delle ragazze, attirandosi anche una certa ostilità. Potrebbe essere questo – notano fonti locali – uno dei moventi per il rapimento, avvenuto una settimana dopo il suo rientro da un periodo di riposo in Italia.

La Missione cattolica dei Padri della SMA si trova in zona Gourmancé (Sud-Ovest) alla frontiera con il Burkina Faso e a circa 125 km dalla capitale Niamey. Il popolo Gourmancé è interamente dedito all’agricoltura e stimato in questa regione attorno a 30 mila abitanti. La Missione è presente dagli anni ’90, e i villaggi visitati dai missionari sono più di 20, di cui 12 con piccole comunità cristiane, distanti dalla missione anche oltre 60 km.

La Chiesa cattolica in Niger sostiene fortemente che attraverso le opere sociali cresca il regno di Dio ed è per questo che la Missione di Bomoanga ha un programma di impegno di Promozione Umana e di Sviluppo attraverso le sue “cellule di base” chiamate CSD (Comité de Solidarité et Developpement). La povertà è strutturale, i problemi di salute e igiene sono enormi, l’analfabetismo diffuso e la carenza di acqua e di strutture scolastiche ingenti. La mancanza di strade e di altre vie di comunicazione, anche telefoniche rendono la zona isolata e dimenticata.
 (18/9/2018 Agenzia Fides)

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P. Pier Luigi Maccalli rapito nella sua missione di Bomoanga in Niger.

Uomini armati, che si spostavano in moto, hanno fatto irruzione ieri notte alle 21.30, ora locale, nella missione di Bomoanga, a 120 km a ovest di Niamey, la capitale, e molto vicino alla frontiera con il Burkina Faso.

Hanno sparato in aria delle raffiche di mitra, e fatto prigioniero p. Pier Luigi Maccalli, missionario SMA di 57 anni, originario della diocesi di Crema. P. Pier Luigi aveva passato due mesi in Italia, ed era ritornato nella sua missione da una decina di giorni.

I rapitori lo hanno derubato del computer e del cellulare, e caricato su una moto. Si sono poi diretti verso la casa delle suore, che nel frattempo si erano messe in salvo. L’hanno saccheggiata, e poi hanno fatto la stessa cosa con la vicina chiesa.

Un confratello indiano, che vive insieme nella stessa missione di p. Pier Luigi, è anche  lui riuscito a scappare e a mettersi in salvo.

I rapitori, con  p. Pier Luigi, sono infine ripartiti verso il confine con il Burkina Faso, si presume verso una zona coperta da una fitta vegetazione, in cui è facile nascondersi.

Nessuna rivendicazione è giunta finora.

P. Mauro Armanino, missionario SMA in servizio a Niamey, presume che i rapitori siano dei jihadisti, terroristi islamici, che sono attivi nella zona da qualche tempo, provenienti dal Mali e dal Burkina Faso .

Fonti locali dicono che negli ultimi mesi le forze dell’ordine avevano messo in guardia i missionari, perché erano stati registrati movimenti sospetti di miliziani jihadisti proprio al confine con il Burkina Faso.

P. Pier Luigi è a Bomoanga dal novembre 2007. Oltre che all’evangelizzazione, in questi anni si è molto dedicato alla promozione umana, al servizio dei bisogni sociali della popolazione della parrocchia: scavo di pozzi, costruzione di scuole e ambulatori, corsi di formazione per i giovani contadini. Aveva organizzato anche incontri di sensibilizzazione per contrastare pratiche tradizionali nefaste, come le mutilazioni genitali femminili.

martedì 18 settembre 2018

ANCORA PROVOCAZIONI SU FEDERICO ALDROVANDI


Risultati immagini per lino aldrovandi il taser
Mancano pochi giorni all'anniversario della morte di Federico Aldrovandi per le botte ricevute da quattro sbirri infami che lo hanno tempestato di calci e pugni su tutto il corpo,testa compresa,dopo essere stato immobilizzato(ricordiamo i loro nomi:Paolo Forlani,Monica Segatto,Enzo Pontani e Luca Pollastri)e alla polizia brucia ancora molto il culo perché se ne continua a parlare grazie soprattutto alla madre.
Anche il film su Cucchi sta facendo incazzare le forze del disordine,perché se in Italia non ci arriva la giustizia(aspettando quella del popolo)sono i film a spiegare come lo Stato possa arrivare ad uccidere invece che proteggere e servire.
E da qualche tempo hanno pure un'arma in più,il taser(madn un-pericolo-in-piu-nelle-mani-dei.macellai ),e molto hanno fatto discutere le parole dell'allora capo della polizia di Ferrara ora questore di Reggio Emilia Sbordone,che non ha perso l'occasione di stare zitto tornando sulla vicenda dicendo che Federico sarebbe stato ancora vivo se i poliziotti in questione(ammettendo l'uso della violenza)avessero avuto taser e non manganelli,ma aggiungerei anche mani e piedi e il loro cervello di bestie feroci.
La risposta migliore a questa provocazione è stata quella di Lino,il padre di Federico che testualmente ha dichiarato:"Mi viene da pensare che quella maledetta mattina il taser non sarebbe stato da usare su Federico,ma su chi lo stava uccidendo senza una ragione".
Articoli di Infoaut e Left:metropoli/taser-aldrovandi e parole-come-taser .

Taser-Aldrovandi: sarebbe meglio tacere...

C'è chi non perde mai occasione di stare zitto.

Mentre in tutta Italia le proiezioni del film sugli ultimi 7 giorni di vita di Stefano Cucchi fanno discutere della prassi omicida poliziesca, le parole del Questore di Reggio Emilia Sbordone su un'altra vicenda tragica, quella della morte di Federico Aldrovandi, sembrano delineare ulteriormente gli schieramenti che compongono l'odierna guerra ai poveri istituzionale.

"Se gli agenti avessero avuto in dotazione il Taser Aldrovandi non sarebbe morto", dice Sbordone, ai tempi capo della polizia di Ferrara ed oggi in brodo di giuggiole sulla sua poltrona per l'arma messa in dotazione ai suoi uomini. Una frase che non solo toglie ogni dubbio rispetto alla morte violenta di Federico, già chiara al di là delle aule di tribunale.

Ma che rende chiaro come per la polizia sia del tutto normale uccidere anche in condizione di assoluto non pericolo. E poi si parla di fiducia nello Stato.

Mentre si dichiaravano umiliati e offesi dal film sul geometra romano, le forze dell'ordine per via di Sbordone hanno ben pensato di andare all'attacco su una vicenda che anche le istituzioni della loro legalità hanno definito di piena colpevolezza.

Del resto, ricordiamo bene come già anni addietro andarono a manifestare sotto la finestra dell'ufficio della madre di Aldro, a dimostrare quanta infamia si possa dimostrare tutta insieme e il grande rispetto che hanno per le loro vittime.

La vicenda Aldrovandi, come quella Cucchi, è emblema della reale attitudine delle forze dell'ordine. Nei secoli fedeli sì, al potere e alla stabilità omicida. A volte sarebbe meglio tacere...

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Parole come Taser.

di Giulio Cavalli 
Dice l’ex questore di Ferrara, ora a Reggio Emilia, Antonio Sbordone, in un’intervista a Il Resto del Carlino che “col taser sarebbe ancora vivo Federico Aldrovandi” poiché “per fermare “un giovane alto un metro e 90 agitatissimo – che era Federico – hanno dovuto usare anche i manganelli”. Federico, per chi non conoscesse la sua storia, invece è morto  perché la mattina del 25 settembre del 2005 ha incrociato i quattro poliziotti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri che sono stati chiamati per “un ragazzo in stato di agitazione” e sono riusciti a trasformare un semplice controllo in un pestaggio mortale. Restituendo Federico alla famiglia da cadavere e impegnandosi (come spesso succede in questi casi) a nascondere prove e depistare le indagini.

In sostanza, com’è abitudine di questi tempi, si prende un reato (i quattro poliziotti sono stati condannati fino all’ultimo grado di giudizio) e lo si propone come esempio per giustificare l’introduzione di un nuovo armamento. Se non fossimo in tempi tossici e piuttosto sdraiati il giornalista a colloquio con il questore avrebbe potuto chiedergli: “quindi ci sta dicendo che dobbiamo essere rassicurati dal fatto che degli assassini ora hanno un’arma in più?” e lì si sarebbe chiuso il discorso. Pensateci bene.

Ci sono tra le forze dell’ordine moltissimi uomini che ogni giorno sacrificano i propri affetti, la propria vita e il proprio impegno per fare onestamente il proprio lavoro in un Paese che è disordinato per natura. In questi stessi giorni, grazie a un film, si ritorna a parlare dell’incredibile vicenda di Stefano Cucchi e dell’inedia istituzionale (oltre alle botte) che l’hanno restituito (anche lui) da morto alla famiglia.

Forse il questore Sbordone non sa che Aldrovandi è morto perché massacrato di calci e di pugni (anche in testa) quando era già immobilizzato. Forse Sbordone non sa che quando il padre Lino ha visto il corpo del figlio ha pensato che fosse stato investito da un camion per come era ridotto e forse non sa nemmeno che si provò a ripulire e fare sparire i manganelli per disarticolare l’inchiesta. E forse non ricorda, glielo ricordiamo noi, che i poliziotti condannati sono stati calorosamente applauditi da un sindacato di Polizia che ha portato il suo massimo esponente come sceriffo in Parlamento agli ordini di Salvini.

O forse questi continuano a non capire, a non voler sapere, che la sicurezza è questione di modi, di rispetto delle regole, di Costituzione e di parole che andrebbero misurate per le vittime collaterali che un Paese democratico non si dovrebbe permettere. Ma di questi tempi, la misura nelle parole, è una responsabilità che non si prendono al ministero, figurati come si sentono liberi anche quelli più in basso. Finché non capiterà a un nostro figlio.

Buon lunedì.

lunedì 17 settembre 2018

L'INDECENTE PROPAGANDA SUL CROLLO DEL PONTE DI GENOVA


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Lo sciacallaggio politico,mediatico e propagandistico che sta interessando il dopo crollo del ponte Morandi a Genova è affare quotidiano e lo sarà per i prossimi mesi anche se credo con toni più pacati e con sempre meno presenze sui mass media perché sappiamo che in Italia si tende a dimenticare troppo presto questi incidenti che non sono tragedie come lo possono essere in un certo senso i terremoti,perché qui si parla di gravi inadempienze dove i protagonisti in negativo della vicenda giocano a fare lo scaricabarile.
L'articolo proposto per primo(contropiano genova-ad-un-mese-dalla-strage )è un'analisi politica che coinvolge lo Stato ed Autostrade,come già accennato(madn grandi-opere ),e tutte le problematiche relative agli sfollati,al traffico,alla necessità di una ricostruzione in tempi svelti e la possibilità di avere alternative di altre infrastrutture,fermo restando il dibattito ora meno acceso sulla privatizzazione che lo Stato ha bellamente fatto sfoggio svendendo molta parte del proprio patrimonio a privati che hanno latitato in attenzione verso gli utenti e di una minima manutenzione di questi beni.
Nel secondo(affaritaliani bruno-vespa-toninelli-sorridono )si torna a parlare di sciacallaggio mediatico con la pessima figura che un inguardabile Toninelli ha fatto con quella carcassa pulitore di culi di Vespa,in uno spettacolo indegno ed indecente soprattutto per i genovesi nel salotto buono di Porta a Posta dopo i seflie di Salvini ai funerali di parte delle vittime.
Se di Vespa purtroppo sappiamo già molto(madn terremotiguerre-e-profitti ),Toninelli è il lampante esempio di un politico che mai ha fatto realmente politica,usando frasi ad effetto,spot elettorali a random e propaganda qualunquista e populista ad oltranza,uno che confonde il suo ruolo con un reality show,in prima linea sui social ma quando c'è da combinare qualcosa mani in tasca.

Genova ad un mese dalla strage di Stato: alcuni nodi politici.

di  Giacomo Marchetti – Potere Al Popolo Genova 
“E così sulla porta, in mezzo al cielo, al fiume e alle montagne, una generazione dopo l’altra apprendeva a non compiangere oltre misura ciò che la torbida acqua si portava via. In tutti penetrava la spontanea filosofia della cittadina: che la vita è un miracolo impenetrabile, perché si consuma e si disfà incessantemente, eppure dura e sta salda «come il ponte sulla Drina”

Ivo Andrić, Il Ponte sulla Drina

Ad un mese dalla strage di Stato di Ponte Morandi (http://contropiano.org/news/politica-news/2018/08/16/genova-la-strage-e-di-stato-0106769), i nodi politici posti dalla tragedia permangono, così come la necessità di non abdicare alla denuncia coerente delle cause e dei responsabili, e alla conseguente mobilitazione.

Come è stato sottolineato da alcuni commentatori è chiara la responsabilità politica di chi, come Autostrade, godendo della rendita su un monopolio naturale, non è stata in grado di garantire il grado minimo di attenzione al pericolo rappresentato da quel gigante malato – che tagliava in due la Valpocevera – così come è altrettanto evidente che, a nessun livello, nessuno ha mai ipotizzato “un piano b” per il passaggio del traffico da quella struttura.

Il ponte è stato “schiantato”, oltre che dall’incuria, dall’usura del flusso di merci provenienti e dirette verso il porto, ma nessuno di coloro che godono di una qualche autorità nella “comunità portuale” ha mai posto il problema, anche solo dell’eventualità di una chiusura temporanea, ed una alternativa.

Molte sono le similitudini tra le dinamiche dell’affidamento ad un soggetto privato di un bene pubblico, come le autostrade, e le concessioni delle banchine ad operatori privati, anche rispetto al pesante tributo di sangue pagato dalle varie figure che lavorano e ruotano attorno all’hub genovese: portuali, autotrasportatori, ma anche semplici abitanti della Superba che devono subire le “esternalità negative” del traffico, in termini di congestionamento e inquinamento, senza alcuna contropartita.

Come ha dichiarato in una conferenza stampa Il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali: “siamo qua per dire semplicemente che la privatizzazione ha fallito ma le responsabilità sono anche nostre, perché non abbiamo saputo fermarli”.

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Nel Decreto cui il Consiglio dei ministri ha dato il via non c’è la “la revoca immediata unilaterale della concessione di Autostrade per l’Italia (proposta i giorni scorsi dal Ministero delle Infrastrutture): la procedura per la revoca” riporta Alessandro Arona, sul Sole 24 Ore di Giovedì, “avviata dallo stesso Mit, il 16 agosto, farà il suo corso (almeno alcuni mesi) in base alle regole della convenzione vigente”.

Un notevole passo indietro, dopo lo “stop and go” rispetto alla nazionalizzazione paventata in un primo momento, che fa emergere uno degli aspetti centrali della vicenda di Ponte Morandi.

Se era chiaro dalle prime ore dopo crollo che si apriva la corsa al business della ricostruzione, e alla strumentalizzazione mediatica della tragedia per consolidare la narrazione sulla necessità della continuazione dei lavori della Tav-Terzo Valico e dell’inizio di quelli per la Gronda – progetti che non hanno alcuna pertinenza rispetto alle problematiche legate al traffico che passava sulla tratta autostradale crollata – con il passare dei giorni la cosa è diventata del tutto evidente come lo scontro di potere che sta attraversando il governo (http://contropiano.org/news/politica-news/2018/08/20/genova-i-giorni-che-verranno-0106845).

I nodi più rilevanti sono stati infatti delegati all’approvazione di un successivo decreto del presidente del consiglio (Dpcm): si va dall’incarico di Commissario straordinario tecnico alla ricostruzione ed ai compiti che a lui verranno assegnati, ai soggetti e alle modalità con cui verrà ricostruito il Ponte.

Tra la rosa dei nomi papabili, figurano Giovanni Toti e Edoardo Rixi, su cui il M5S ha espresso un parere negativo; Iolanda Romano, commissaria per il Terzo Valico dal 2015 e Marco Rettighieri,  nominato commissario dopo la decapitazione dei vertici Cociv a causa delle numerose inchieste giudiziarie, ed infine Emilio Signorini, presidente di nomina governativa dell’Autorità Portuale della Superba.

La Confindustria locale si è schierata apertamente con il Presidente della Regione Liguria Toti – come riporta Giorgio Santilli sul Sole 24 Ore di venerdì: “a rilanciare il governatore potrebbero però essere la figura che si è andata definendo nelle bozze di decreto, con poteri davvero eccezionali come forse non si è mai visto nella storia repubblicana: non solo coordinamento e poteri sostitutivi in caso di inerzia, ma proprio una sostituzione automatica e ‘attiva’ di tutte le amministrazioni statali, regionali e comunali con l’eccezione delle Sovrintendenze”.

La frase con poteri davvero eccezionali come forse non si è mai visto nella storia repubblicana dovrebbe mettere in allarme chi ha denunciato l’accresciuta “esecutivizzazione” del processo decisionale e la torsione autoritaria in corso dello Stato italiano, aprendo un pericoloso precedente in termini di verticalizzazione delle dinamiche di governance.

Uno dei nodi giuridicamente più delicati – e la cui decisione sancirà il risultato del “braccio di ferro” non solo (o tanto) tra Governo e chi gestisce le Autostrade, ma tra questo e la trama di interessi legati alla “rendita” – è chi e come ricostruirà il ponte, quale sarà il ruolo di inclusione/esclusione della società, e le modalità di affidamento direttamente o meno a Fincantieri o con rapida selezione di almeno 5 candidati come vorrebbe l’UE.

Anche questa decisione verrà presa da un Dpcm; in caso di esclusione di Autostrade sono state paventate possibili contenziosi e rallentamenti.

Chiaramente, lo scontro non è legato solo alla filiera di interessi dell’uno e dell’altro contendente economico, ma è squisitamente politico: chi governa detiene veramente il potere? E per fare cosa?

In questi giorni abbiamo assistito ad un fuoco incrociato sul governo grigio-verde da parte delle maggiori istituzioni della UE, come del padronato italiano – anche su TAV e Tap – e che si può esemplificare con il titolo delle due brevi colonne apparse venerdì in prima pagina sul giornale di Confindustria, a firma Alberto Orioli: la ricreazione è finita.

Ciò che è contenuto nel decreto, secondo ciò che trapela da la Stampa, sono la creazione di una zona logistica speciale molto ampia, a cui verranno riconosciute le stesse semplificazioni previste per le Zone Economiche Speciali che stanno sorgendo nei porti del Sud, come Napoli e Gioia Tauro; una zona franca urbana per le imprese che hanno conosciuto difficoltà economiche con varie esenzioni, anche per le imprese che avvieranno la loro attività entro il 2019, facendo diventare le zone colpite un’ottima occasione d’affari per le aziende private, oltre a varie misure di miglioramento del monitoraggio sulla sicurezza viaria di varia natura.

Completerebbero il quadro – ma ci sono versioni parziali o discordanti, a seconda dei giorni in cui sono stati riportate le indiscrezioni – l’indennizzo statale a proprietari di case e imprese che hanno avuto immobili distrutti e danneggiati, rinvii ed esenzioni di obblighi fiscali e mutui, risorse per rilanciare il trasporto pubblico locale e la viabilità.

Nei prossimi giorni, potendo disporre della documentazione necessaria, sarà indispensabile passare al vaglio più dettagliato la prima tranche di manovre governative e osservare lo scontro di potere in atto.

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Un aspetto rilevante sottolineato dalle compagne e dai compagne dell’assemblea antifascista di Genova, in un post su FB corredato di video sull’anniversario della strage “14 agosto ore 11.36 strage di Stato”, riguarda il tentativo di rimozione e di censura rispetto alla denuncia politica di ciò che è successo e che da la cifra del clima che si respira da un mese in città:

“La settimana scorsa in piena zona rossa uno striscione di trenta metri con su scritto STRAGE DI STATO è stato calato di fianco a Ponte Morandi per ricordare a questi sciacalli perennemente in vetrina che i genovesi sanno benissimo cosa è successo e che le colpe sono tutte loro e non certo di povera gente bloccata in mezzo al mare, né degli spazi sociali o dei movimenti no tav/no gronda.
Altri striscioni, scritte, adesivi sono stati appesi in tutta la città in questi giorni ma, la rabbia, la denuncia, il dissenso verso i responsabili di questo disastro sono sentimenti che vanno cancellati e così la macchina della repressione si è messa subito in moto. Gli striscioni vengono tolti a tempo record, le scritte coperte, adesivi e manifesti strappati…. si deve solo parlare di Renzo Piano, del salone nautico e di pallone, lo show deve continuare.”

Le iniziative che saranno messe in campo nelle prossime settimane in corso di definizione in questi giorni come l’assemblea nazionale a fine settembre a Genova e la manifestazione a Roma il 20 ottobre sulle nazionalizzazioni, promosse sia da Potere al Popolo che dall’Unione Sindacale di base, e la loro preparazione, saranno importanti per non lasciare che tutto passi sotto silenzio e che i nodi politici non vengano elusi.

Se non farà tornare in vita le 43 vittime, onorerà la loro memoria e creerà le condizioni affinché le vite non vengano stroncate dalla logica del profitto e da uno stato piegato ai suoi fini.

Anche se rimane difficile non compiangere oltre misura ciò che la torbida acqua si portava via.

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Bruno Vespa-Toninelli sorridono davanti al plastico del ponte Morandi: the show must go on 

Bruno Vespa, principe del giornalismo nazional-popolare, e Danilo Toninelli, sorridenti, a "Porta a Porta" con il modello del Ponte Morandi, crollato a Genova.

di Pietro Mancini
Bruno Vespa, 74 anni, Principe del Giornalismo nazionalpopolare, e Danilo Toninelli, 44 anni, ministro grillino delle Infrastrutture, distesi e sorridenti, a "Porta a Porta", la "terza Camera" del Paese, con il modello del Ponte Morandi, crollato a Genova, un mese prima, 43 morti. 

The show must go on ! 

E i tempi della ricostruzione, le case per gli sfollati, l'individuazione delle responsabilità per la sciagura, la revoca della concessione ad "Autostrade per l'Italia", gruppo Benetton ?....Si vedrà...
Sono il giornalismo, aggressivo, e mai ossequioso, con i potenti, e la nuova politica, bellezze.
O no ?....

sabato 15 settembre 2018

PADRE PINO PUGLISI


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L'omicidio di Padre Pino Puglisi avvenuto ormai venticinque anni fa a Palermo nel quartiere Brancaccio dove nacque esattamente 66 anni prima,fu uno degli omicidi di mafia più odiosi ed infami che vennero mai pianificati e puntualmente messi a segno.
Già il fatto che l'uccisione di 3P(così veniva anche chiamato Padre Pino Puglisi)avvenne proprio nel giorno del suo compleanno è un segnale forte dei mafiosi,contro un uomo prima che un prete che ha pagato con la vita il suo impegno sociale.
L'articolo preso da Libera(libera anniversario puglisi cui sono allegate una lettera inedita di 3P)è il ricordo di un suo vice parroco proprio a Brancaccio,quando riusciva a tirare fuori dalle grinfie mafiose tanti bambini e ragazzi,parlando apertamente e anche agendo coi fatti di lotta alla mafia,in un territorio dove i fratelli Graviano legati a Bagarella operavano con le loro organizzazioni criminali e ne decretarono la morte.
Settimana scorsa sono stato in Sicilia,proprio grazie a Libera con un campo di lavoro e formazione e si è parlato spesso di 3P e di come il suo lavoro costante abbia fatto sì che ci sia stato un risveglio delle coscienze di tutto un popolo ed un territorio,perché non tutti i siciliani sono mafiosi e non tutti i mafiosi sono siciliani(ma ne parlerò in dettaglio più avanti).

25mo anniversario omicidio Don Pino Puglisi.

Un giorno, in seminario, dopo uno dei soliti pranzi del mercoledì in cui facevamo il punto sulla situazione di Brancaccio, Padre Puglisi assisteva alla mia ennesima esternazione di scoraggiamento. Per tutta risposta prese tutti gli stuzzicadenti che aveva davanti, me ne diede uno e mi disse: “Spezzalo!” Obbedii senza capire!

Ne prese due:”Ora spezza questi insieme”. E che ci vuole? Poi ne contò una ventina, me li porse e mi disse:” Dai, prova adesso!”. Non riuscii a spezzarne nemmeno uno. Lo guardai e lui sorridendo mi insegnò che anche se siamo deboli come uno stuzzicadenti, insieme siamo una forza tale che per quanto la mafia può essere potente mai potrà spezzarci. Forse se ne spezzerà solo uno ma gli altri resteranno vivi!

“Se ognuno fa qualcosa, insieme possiamo fare tanto!”

“Farsi come”, immedesimarsi, imparare la via per essere liberi per poter liberare. “Se non sei libero non puoi liberare… sennò bari e se bari non sei credibile e se non sei credibile non sei un testimone.

Forse per questo lo hanno ucciso!

Martire in Odium fidei o l’odio contro quel prete che vivendo e agendo secondo il Vangelo e nello spirito del Concilio Vaticano II ha innescato una fedeltà a Cristo antitetica alla cultura e alla prassi mafiosa? La religione non serviva più come giustificazione del potere, ma era forza di liberazione totale dell’uomo. I semi di libertà, di giustizia, di pace e di non violenza gettati da 3P nelle nostre vite hanno ancora il potere di vincere la paura e di scardinare la sudditanza rassegnata e passiva al dominio mafioso. Questo, i mafiosi, lo capirono e per questo hanno ammazzato quel prete. E con lui pensavano invano di poter colpire tutti quei cristiani appartenenti a quella chiesa e quella “società civile organizzata” che ha ormai rotto il muro del silenzio.

Anche da qui nasce LIBERA. “…E se ognuno fa qualcosa, insieme possiamo fare tanto!”. E LIBERA è concepita per essere quel NOI non solo di nomi o di numeri contro le mafie. Ma insieme di energie, cuori, rabbia e gioie infinite, L’insieme di tanti che si sporcano le mani…Per poter fare tanto… rendendo possibile il sogno di 3P (Padre Pino Puglisi) e di tutti quelli che ci hanno tracciato la strada.

Ma anche il nome LIBERA è un programma dettato dallo stesso 3P: “Se non sei LIBERO non puoi LIBERARE… sennò bari e se bari non sei credibile…”.

Gregorio Porcaro,ex vice parroco di Padre Puglisi a Brancaccio, coordinatore Libera Sicilia

venerdì 14 settembre 2018

DIECI ANNI FA L'ASSASSINIO DI ABBA


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Ricordo bene quel giorno di dieci anni fa ma soprattutto quelli seguenti l'assassinio di Abba,il soprannome di Abdul William Guiebre,cittadino italiano di origine africana ucciso a sprangate da un padre e un figlio(Fausto e Daniele Cristofoli)per chiari motivi di odio razziale prendendo come pretesto il presunto(che sia avvenuto o meno non cambia di una virgola la faccenda)furto di una scatola di biscotti.
Furono giorni pesanti a Milano con proteste in varie zone della città,e anche la politica,almeno una parte,s'indignò per quello che ormai è prassi giornalistica definire come tragedia scaturita per futili motivi,dove la matrice è il razzismo punto e basta.
L'articolo(infoaut milano-lomicidio-di-abba )ricorda quell'omicidio e le tensioni createsi nei luoghi dove Abba venne inseguito,bloccato e ammazzato a sprangate da due titolari di un bar naturalmente protetto in qui frangenti di rabbia da un nutrito numero di agenti.

14 settembre 2008: Milano, l'omicidio di Abba.

Abdul William Guiebre, Abba per gli amici, viene ucciso a sprangate il 14 settembre 2008 per un furto di una scatola di biscotti.

La mattina del 14 settembre, dopo aver trascorso la notte in un locale di Milano, Abdul, John e Samir si dirigono con i mezzi pubblici in via Zuretti, vicino alla Stazione Centrale, con l'intenzione di proseguire la serata al centro sociale Leoncavallo.

Durante una breve sosta ad un bar vengono raggiunti da un furgone da cui scendono due uomini; Fausto Cristofoli di 51 anni e il figlio Daniele di 31, che ripetutamente accusano i tre ragazzi di averli derubati.

In questo gesto si può già distinguere il movente razzista che si nascondeva dietro a questi personaggi e dietro a tutta la vicenda intera: la famiglia Cristofoli infatti accusava i giovani solamente del furto dell'intero incasso della notte e non di altri articoli in vendita nel loro negozio.

Padre e figlio cominciano quindi a minacciare Abba e i suoi amici con una sbarra di ferro, lanciando epiteti tra cui "Ladri", "Sporchi negri vi ammazziamo", "Negri di merda".. costringendo i tre ragazzi a difendersi con bottiglie e bastoni.

Purtroppo Abba non riesce a sfuggire alle sprangate di Daniele Cristofoli che, dopo averlo colpito ripetutamente con l'asta di ferro usata per chiudere la serranda del negozio, lo lascia a terra agonizzante, scappando il più in fretta possibile insieme al padre.

Abdul, in coma, viene portato all'ospedale Fatebenefratelli, dove è dichiarato morto intorno alle 13:30.

I due aggressori vengono fermati qualche giorno dopo l'omicidio e condannati a quindici anni e quattro mesi, con l'obbligo di un risarcimento di centomila euro alla famiglia di Abba.

Nonostante questo episodio sia stato definito da molti una ''lite degenerata per futili motivi'', si riconosce fin da subito la vera natura della famiglia Cristofoli, caratterizzata da un feroce odio razziale.

Il giorno dopo i risultati dell'autopsia, molti sono coloro che decisero di ricordare Abba in un corteo partecipatissimo, condotto dagli stessi amici del ragazzo, facendo esplodere la rabbia per la sua morte in tutte le vie di Milano. In corrispondenza di via Zuretti, molti dei partecipanti iniziano a correre per raggiungere il bar della famiglia Cristofoli, prontamente difeso da un vasto schieramento di forze dell'ordine, riuscendo a forzare in parte il cordone e raggiungere il luogo in cui Abba era stato ucciso.

La giornata termina con l'ascolto in piazza delle canzoni preferite da Abba, ballate e cantate a gran voce, e con il cambio del nome della via, ribattezzata ''Via Abba''.

giovedì 13 settembre 2018

L'UNGHERIA SARA' DAVVERO PUNITA?


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Più che una tirata d'orecchi al premier magiaro Orban andrebbero dati dei gran calci in culo,in quanto la sentenza del Parlamento europeo di aprire procedure per sanzionare l'Ungheria sembra più un richiamo ufficiale che un vero e proprio strattonare la giacca ad un mascalzone razzista che è salito al potere soffiando sul tema della paura del diverso.
Un paese l'Ungheria dove come nel resto del mondo si sono allargate le maglie sociali per quanto riguarda il rapporto tra ricchi e poveri,e caricando d'odio e di becera propaganda neonazista Orban è riuscito ad ottenere la maggioranza.
Per non parlare dei lauti aiuti economici che l'Ue ha elargito,su raccomandazione della Germania che usa il paese(madn il-voto-ungherese-sui-migranti )come proprio staterello satellite,e del chiaro problema del razzismo,della minata libertà d'informazione e del controllo politico dei magistrati.
L'articolo(contropiano lunione-impotente-davanti-a-un-orban-qualsiasi )scritto ancor prima della sentenza positiva all'applicazione dell'articolo 7 vede contrapposti a livello europeo partiti e movimenti che come in Italia governano assieme,con le due forze contrapposte ma amiche nello spartirsi i governi dei popolari e socialdemocratici europei che potrebbero portare a scissioni e nuove alleanze sia in ambito continentale che nei singoli Stati.

L’Unione impotente davanti a un Orbàn qualsiasi.

di  Dante Barontini 
A chi la sovranità? Lo scontro che si va consumando a Strasburgo intorno all’Ungheria di Orbàn sintetizza al meglio il problema dei problemi che sta alle fondamenta dell’Unione Europea.

Tecnicamente, secondo i trattati, la plenaria dell’Europarlamento deve esaminare la richiesta di attivazione dell’articolo 7 del trattato Ue per “rischio di violazione dello stato di diritto in Ungheria”. L’elenco delle “criticità” emerse è piuttosto lungo, e va dalle restrizioni alla libertà di informazione (diversi gruppi editoriali sono finiti in mano ad “amici” del premier di Budapest) al controllo politico della magistratura, fino – ovviamente – al pervicace rifiuto di ospitare sul proprio territorio una qualsiasi quota di rifugiati e migranti decisa dalla Ue.

Il regime ungherese è assolutamente nazionalista, razzista, autoritario e criptofascista; ma fin qui ha fatto tranquillamente parte del Partito Popolare Europeo, ovvero la “Democrazia cristiana” continentale, che comprende Forza Italia e i cespuglietti scudocrociati italiani, i gaullisti francesi, i conservatori spagnoli ora orfani di Rajoy, la Cdu-Csu di Angela Merkel e Horst Seehofer. Insomma, uno dei due schieramenti pilastro dell’”europeismo” neoliberista (l’altro sono i socialdemocratici), che hanno accompagnato e gestito tutte le “cessioni di sovranità” dagli stati nazionali alla Ue nel corso degli ultimi 30 anni.

Lo scontro, in altri termini, si svolge direttamente all’interno del centrodestra europeo, mettendo in crisi o in tensione le alleanze. Ad esempio, la Lega – che a Strasburgo fa gruppo insieme alla Le Pen – in Italia è da sempre alleata di Berlusconi, ma sta al governo con i Cinque Stelle. Lo stesso gruppo parlamentare del Ppe, guidato dal tedesco Manfred Weber, si è spaccato al punto da dover lasciare “libertà di voto” ai suoi membri. Oggi, se si voterà, Forza Italia sarà insieme a Salvini, nella difesa di Orbàn, mentre la Cdu tedesca dovrebbe approvare la “condanna”. “Da parte mia voterò a favore dell’attivazione dell’articolo 7”, ha anticipato lo stesso Weber, lasciando ben poco spazio alla mediazione. “Se c’è volontà al compromesso da parte dell’Ungheria, allora possiamo continuare con il dialogo, ma oggi in plenaria non ho visto questa volontà da parte del primo ministro ungherese di contribuire a una soluzione”.

A complicare le vicende politiche italiane c’è anche l’orientamento dei Cinque Stelle per un voto “europeista”, di condanna dell’Ungheria.

Il discorso pronunciato da Viktor Orbàn, in effetti, è stata un’autentica provocazione “euroscettica”. Ha esordito anticipando le conclusioni della plenaria (“La verità è che il giudizio contro di noi è già scritto“) e ha ridotto le contraddizioni col resto della Ue alla sola questione immigrazione. “L’Ungheria sarà condannata perché ha deciso che non sarà patria di immigrazione. Ma noi non accetteremo minacce e ricatti delle forze pro-immigrazione:  difenderemo le nostre frontiere, fermeremo l’immigrazione clandestina anche contro di voi, se necessario“.

Una rodomontata recitata a beneficio dei propri elettori, certamente, ma che denuda in poche parole il punto di crisi raggiunto nella costruzione europea.

L’Ungheria, sul piano economico, non ha nulla da rimproverare alla Ue. I contributi che riceve sono molto più alti di quelli versati, le regole di mercato adottato sono assolutamente in linea con quelle continentali, il mantenimento della moneta nazionale le consente inoltre margini di manovra che altri non hanno più, il Pil cresce più della media europea grazie all’aggancio forte con le filiere produttive tedesche. Se c’è qualcuno che ci ha guadagnato, finora, dall’essere membro della Ue è l’Ungheria, così come altri paesi dell’Est…

Ma i problemi interni al paese sono rimasti quasi tutti, a cominciare dalle diseguaglianze sociali – cresciute come ovunque imperi il morbo neoliberista – e quindi il razzismo è diventato anche lì la valvola di sfogo utilizzata per contenere le tensioni entro i limiti del governabile, anzi…

La costruzione europea, fin qui, è andata avanti a piccoli strappi. Ogni volta che si creava una tensione interna la pressione “esterna” – quella dei mercati e/o dei grandi gruppi multinazionali – è riuscita a ricompattare l’insieme, spingendolo verso un più alto grado di integrazione.

Ma ogni bel gioco ha la sua fine, ossia incontra il suo limite. La governance fondata sulla politica economica e monetaria può fare “miracoli”, piegando paesi e maggioranze politiche con velleità “riformatrici” (l’esempio della Grecia di Tsipras è scolpito ormai nel marmo), ma non risolve tutti i problemi; anzi, ne crea a bizzeffe, a partire dalla destabilizzazione sistemica della coesione sociale.

In altri periodi, insomma, le “piccole crisi” della Ue potevano essere controllate e superate grazie alla potenza dell’asse franco-tedesco, politicamente stabile ed economicamente dominante, e al contributo stabilizzatore di maggioranze politiche “europeiste” in quasi tutti i paesi membri.

Oggi, invece, la frammentazione sociale e l’incremento esponenziale di fasce deboli della popolazione è fenomeno che riguarda tutti i paesi dell’Unione, anche la Germania della Merkel, ora in bilico come mai prima.

La gestione neo e ordo-liberista della crisi – proprio in questi giorni se ne celebra il decennale dell’esplosione, col fallimento di Lehmann Brothers – ha minato alla base i meccanismi di creazione e raccolta del consenso sociale, precedentemente fondati su robusti sistemi di welfare, livelli salariali decenti e diritti del lavoro. Ne hanno fatto le spese per primi i “corpi intermedi” (partiti, sindacati, associazionismo istituzionalizzato), improvvisamente impossibilitati a trasformare istanze sociali in programmi politici realizzabili.

Ora la destabilizzazione sociale di riversa velocemente sul “centro motore”, sulle tecnoburocrazie che sanno ricattare e imporre “sacrifici” ma – ovviamente – non possono presentare alcun “ideale condivisibile”, al di là delle chiacchiere di circostanza che ancora stamattina uno Juncker ha sciorinato dal palco di Strasburgo (“Rispettiamo meglio l’Ue, non sporchiamo la sua immagine, cerchiamo di difenderne l’immagine, diciamo sì al patriottismo, no al nazionalismo esagerato che detesta gli altri e cerca di distruggerli“). Senza neanche accorgersi, probabilmente, del pericoloso crinale su cui si andava muovendo. Distinguere un “patriottismo buono” da un “nazionalismo esagerato” è roba per gesuiti particolarmente abili, non certo adatta alla riduzione in slogan di pronta presa.

Specie quando i “patriottismi” non hanno più alcuno strumento per esercitare un ruolo socio-economico e dunque si possono buttare solo sulle differenze di etnia, lingua, tradizione, pelle…

martedì 11 settembre 2018

SALVINI SALVA BOSSI PER I PROPRI COMODI


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Ciclicamente il tema dei 49 milioni di Euro che la Lega ha rubato,fatto comunque provato ed ammesso dagli stessi protagonisti per via della questione dei rimborsi elettorali percepiti già dieci anni fa di cui Salvini ha speso molto fino al 2014(vedi:madn 49-milioni ),torna in auge.
Lo stesso RincoSalvini che ha beneficiato di quei fondi illeciti che gli hanno permesso di essere eletto in Parlamento e che ora racconta che a quei tempi non contava nulla scaricando le colpe sui senatori leghisti come Bossi e Belsito.
Lo stesso Bossi che come si può vedere nei due articoli proposti(left straziami-ma-di-rimborsi-saziami/ e senza soste larrampicata-sugli-specchi-di-di-maio )è stato eletto come senatore grazie alla scelta della Lega di candidarlo in un posto praticamente blindato per non farlo processare,in una sorta di accordo tacito con Salvini per non farlo testimoniare per screditare il nuovo razzista a capo della schiera di questi imbecilli.

Straziami ma di rimborsi saziami.

di Giulio Cavalli 
Che un partito rubi soldi non è una novità. Basta fare un salto ai tempi di tangentopoli (con tutte le storture che ha comunque lasciato come macerie) o ricordare i 25 milioni di euro che il tesoriere della Margherita, Lusi si intascò meritandosi anche una condanna per calunnia nei confronti di Rutelli. La politica italiana (e questo sì sarebbe un tema di cui discutere) ha sempre esercitato il potere nella forma malata legata a doppio filo con l’arricchimento personale. Ci siamo abituati, anche. Io lo trovo terribile: non è forse l’abitudine al delitto o alla bassezza morale il primo passo per l’insensibilità verso il presente e le persone che lo abitano? Anche di questo, sarebbe il caso di prendersi il tempo di parlare.

Però dei 49 milioni di euro che ieri il Tribunale del Riesame ha autorizzato a sequestrare alla Lega mi interessava ascoltare soprattutto la risposta politica. Anzi le risposte: quella di Salvini (che con la sua comunicazione tutta emotiva si ritrova a mettere la magistratura tra le repulsioni che i cittadini hanno il diritto di ostentare e ha gioco facile) e quella dei suoi compagni di governo.

Salvini, appunto. Dice il leader leghista che questa sentenza riguarda il passato e a lui non interessano i processi alla storia. Peccato: a noi sì. Perché il giochino della storia vecchia non funziona nemmeno nelle più sbrindellate compagnie da birreria e non si vede perché dovremmo concederla a un dirigente del Paese. Ma c’è un passo in più: quella storia vecchia non è stata né rinnegata né elaborata. Il protagonista Umberto Bossi è senatore voluto, fatto eleggere proprio da Salvini e la Lega (questa volta di Salvini) non si è costituita parte civile, quindi non si sente parte offesa. Non solo ci interessa il processo alla storia ma addirittura ci piacerebbe sapere quali siano i fili che la tengono ancora legata al presente, quella storia. I processi alla storia, tra l’altro, servono perché non si ripetano gli stessi errori e gli stessi orrori. Capisco che questo turbi un po’ il ministro dell’interno. Dice Salvini che gli italiani sono con lui. Sarebbe da battergli il ditino sulla spalla e ricordargli l’altro Matteo, ben più alto (nei voti) rispetto ai suoi sondaggi.

Ma Salvini non si batte con questa sentenza e sarebbe il caso che questa (blanda) opposizione lo capisca in fretta. Non si cancella Salvini sperando che qualcuno gli impedisca di fare politica: è stupido e anche inefficace. Il tintinnare di manette è antipolitica tanto quanto l’indignazione da scontrini. Non se ne esce così. Non si entra nel campo avversario (vale per i rimborsi ma vale anche per la svolta a destra sull’immigrazione) introiettando le stesse paure e finendo per legittimarle. La gente non smetterà di votare Salvini per questa condanna e soprattutto non voterà quegli altri nel caso in cui dovesse farlo. I voti di sponda, quelli volatili e biliosi, sono troppo friabili per ricostruire un Paese.

Buon venerdì.

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L’arrampicata sugli specchi di Di Maio sui 49 milioni fatti sparire dalla Lega.

Di Maio ci ha preso per scemi. Oppure pensa che il suo elettorato sia composto da piccoli fans.

Da giorni ripete come uno scolaretto che non ha nessun imbarazzo rispetto alla vicenda giudiziaria della Lega riguardo ai 49 milioni.
https://youtu.be/3axFYiM1GCI

Ha fatto la sua fortuna politica contando gli scontrini altrui ma in questo caso nessun imbarazzo.

Perché? “Perché la vicenda riguarda la gestione Bossi ed il suo cerchio magico”.

Più  che una valutazione politica pare un’arrampicata di specchi. Infatti un partito non è un ristorante che cambia gestione, specialmente quando tutt’ora ci sono senatori, deputati, governatori e sindaci che con Bossi ci sono stati 20 anni (Salvini compreso). Ma la cosa più bella è che Salvini 6 mesi fa ha ricandidato colui, Umberto Bossi in persona, che col suo “nuovo” partito, secondo Di Maio, non c’entra più nulla. Lo ha candidato nei listini bloccati, cioè nella fetta di candidati sicuri del posto e calati dal partito. Che bel modo per dissociarsi da uno che aveva creato un cerchio magico e aveva rubato e messo in difficoltà il partito!

Bossi è stato mandato in Senato da Salvini per essere salvato dalle grinfie della giustizia italiana. Probabilmente è la tangente politica che Salvini deve pagare a Bossi in cambio del silenzio che non lo faccia coinvolgere nello scandalo.

Da tutta questa storia quello che ci esce con una pallina rossa al naso è Di Maio che ormai è la marionetta di Salvini.