lunedì 30 settembre 2019

I PERICOLI DEL MAGGIORITARIO


Risultati immagini per proporzionale maggioritario
Oltre che a poltrone e ruspe,Iva e ius culturae,si parla nuovamente della legge elettorale con la quasi certezza che le sei regioni in mano al centrodestra si alleino per permettere un referendum per l'anno prossimo per tentare di cambiare l'attuale sistema elettivo che è un misto proporzionale con premio di maggioranza e soglie di sbarramento.
Fino a Mani pulite l'Italia ha visto un sistema elettorale proporzionale,e dalla morte della prima Repubblica le cose sono cambiate,ma un maggioritario sarebbe molto pericoloso in un paese come il nostro con un'opposizione relegata a fare la bella statuina,e questo in qualsiasi caso di vittoria.
Ovvio che una destra al potere sarebbe una tragedia non solo nazionale ma europea,e le ragioni,almeno alcune,sono spiegate nell'articolo di Contropiano(costituzione-senza-difesa-un-sistema-si-avvia-alla-fine )che allarga la visione alla Costituzione e alle proposte di legge che dovrebbero modificarla.
Perché la riduzione dei parlamentari e l'abolizione della libertà di mandato sono due temi che occorre proprio che si modifichi la carta costituzionale,e mentre nel primo caso manca poco ed è solamente un'operazione di facciata voluta dai grillini(i soldi risparmiati si potrebbero ottenere e molti di più solamente togliendoci dalle"missioni umanitarie"-guerre in tutto il mondo),la seconda potrebbe avere un suo perché solo per il fatto che uno vota sì la persona ma anche il programma politico del partito di appartenenza.
Inoltre si elencano gli esempi a livello globale delle nefandezze del maggioritario e la possibilità concreta che il taglio ai parlamentari possa far sì che intere zone del paese non possano venire rappresentate.

Costituzione senza difesa, un sistema si avvia alla fine.

di  Dante Barontini
La democrazia parlamentare si avvia alla sua fine, non illudetevi. Possiamo prenderla dal lato “sistemico” – in tutto l’Occidente scricchiola in modo vistosissimo, tra Trump, Johnson, Macron, ecc – oppure da quello “opportunistico” (le mosse dei partiti italiani), ma il risultato non cambia.

L’attacco finale all’impianto istituzionale della rappresentanza politica è partito e questa volta non appare più contrastabile. Vediamo perché e come.

1) Sei Regioni governate dal centrodestra (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Abruzzo e Piemonte) hanno sottoscritto la richiesta leghista di tenere un referendum per cambiare la legge elettorale e abrogare la parte proporzionale, instaurando così un sistema elettorale completamente maggioritario. Sul piano costituzionale la richiesta è formalmente corretta (bastano 5 Regioni o 500.000 firma di elettori) e dunque dovrebbe essere sottoposta al voto nella prossima primavera, a meno che il Parlamento non elabori una nuova legge elettorale (il che invaliderebbe il “quesito” scritto nella richiesta di referendum).

2) Il Movimento 5 Stelle, per bocca del suo traballante “capo politico”, chiede l’abolizione della “libertà di mandato” per i parlamentari, vincolando dunque deputati e senatori di una lista ad obbedire alle scelte delle direzioni del partito con cui sono stati eletti, pena la decadenza dal seggio. La Costituzione, in questo caso, prevede l’esatto opposto perché considera l’”eletto dal popolo” come un rappresentante degli interessi generali del paese, che dunque deve poter scegliere in libertà di coscienza, senza il ricatto dell’estromissione dalle istituzioni.

La ragione dell’insistenza grillina è di particolare pochezza: impedire il “mercato delle vacche”, ossia il passaggio continuo di parlamentari da un gruppo politico all’altro, con ovvie conseguenze sulla consistenza dei gruppi parlamentari e la tenuta delle maggioranze di governo. Un fenomeno in diminuzione, nell’attuale legislatura (sono stati 79, finora, ma la metà sono i renziani che hanno lasciato il Pd per fare gruppo a sé; mentre nei cinque anni precedenti erano stati 566). Avere dei robot schiaccia-pulsante al posto di esseri umani liberi non sembra proprio un “progresso” della democrazia…

3) Gli stessi Cinque Stelle hanno fatto della “riduzione dei parlamentari” una questione di (propria) vita o morte. Anch qui la motivazione è ridicola (“risparmieremo 500 milioni ad ogni legislatura”), perché risultati anche più rilevanti si possono ottenere riducendo gli stipendi dei parlamentari, effettivamente esagerati e i più alti in Europa. Comunque i Cinque Stelle otterranno questa riduzione della rappresentanza dal Pd, che era sempre stato contrario, ma deve in qualche modo far sì che il governo duri abbastanza da potersi riorganizzare e soprattutto ridisegnare il proprio profilo identitario, frantumato dall’era Renzi.

Le tre proposte-killer hanno un differente status istituzionale (la seconda e la terza richiedono una riforma costituzionale, quella leghista modifica la legge elettorale attualmente vigente, che è legge ordinaria) e anche diversa possibilità di passare (il “vincolo di mandato” richiede l’avvio di un processo di riforma costituzionale con quattro passaggi in aula, mentre la riduzione dei parlamentari è già arrivata alla vigilia dell’ultimo voto).

Ma tutte e tre convergono nella volontà di azzerare la possibilità che forze politiche nuove ed estranee ai poteri consolidati possano nascere, conquistare consensi, aggiudicarsi la maggioranza attraverso “libere elezioni”.

E vediamo perché.

Già a bocce ferme, senza altri cambiamenti, un sistema elettorale totalmente maggioritario riduce la rappresentanza parlamentare ad un “gioco a due”. Chi prende un voto in più governa per cinque anni grazie a una straripante maggioranza di parlamentari e chi ha un voto in meno “non rompe le palle”.

La frase sfuggita al solito Salvini chiarisce perfettamente il senso e non si presta ad equivoci. In un sistema del genere l’opposizione politica (ridotta ad un solo “partito” o “coalizione”) è ammessa come soprammobile impotente, che spera possa andare diversamente nella prossima legislatura. Chi non vede grandi problemi “di democrazia” nel maggioritario dovrebbe girare lo sguardo sulla Francia, dove un presidente eletto con il 24% può tranquillamente agire come un “re a tempo determinato”, schiacciando le manifestazioni di piazza e facendo sottoporre a processo l’opposizione parlamentare.

E teniamo sempre conto che stiamo parlando di governi le cui scelte fondamentali – legge di stabilità, politiche industriali, ecc – sono subordinate ferreamente alle decisioni dell’Unione Europea, che ha già da tempo ridotto la rappresentanza politica a puro gioco di marketing…

Se però vi aggiungiamo – come è obbligatorio fare – la riduzione dei parlamentari, avremo una situazione ancor meno democratica perché intere aree del paese potrebbero ritrovarsi senza alcun rappresentante eletto. Figuriamoci le diverse figure sociali, dunque, che non possono mai vedere il proprio interesse “rappresentato” dagli eletti da altri interessi.

Già ora l’intreccio di ostacoli regolamentari (alto numero di firme necessarie per presentare liste elettorali non presenti in Parlamento, Regioni, Comuni), altre soglie di sbarramento, ecc, impediscono praticamente che nuovi soggetti si facciano avanti.


Se infine dovesse, per qualche infernale alchimia parlamentare, dovesse essere approvato anche il “vincolo di mandato”, avremmo un Parlamento incaprettato: pochi eletti perché “nominati in seggi sicuri” dai capi-partito, senza possibilità di scelta, comunque sottoposti a un vincolo esterno sovranazionale.

Una micro-casta di servi dei servi dei servi dei servi. Molto ben pagati, come e più di ora. L’unica via di uscita, in una democrazia liberale, sarebbe la reintroduzione di una legge elettorale totalmente proporzionale, la selezione di un personale politico – se non altro – “rispettoso della volontà e degli interessi vitali dei propri elettori”. Un sogno utopico, nell’Italia attuale.

Bisogna essere perciò realisti. Non ci sono in questo momento forze politiche che possano o vogliano contrastare questa riduzione forzosa della rappresentanza politica. Quindi in qualche forma – con qualche sempre possibile variazione sul tema, vista la “fantasia istituzionale” italica – questo processo andrà avanti. E non ci si può attendere nessuna resistenza da parte del teorico “guardiano della Costituzione” – il Presidente della Repubblica – che da parlamentare è stato estensore delle prime leggi elettorali “maggioritarie” (il Mattarellum) e da presidente ha opposto solo rilievi minori ai due “decreti sicurezza” salvinian-fascisti.

Quindi il superamento della “democrazia parlamentare” è scritto nel prossimo futuro.

Per chi si contrappone come alternativa di sistema, politico e sociale, a questo buco nero della vita collettiva il primo compito è cambiare testa. Fin qui si è oscillato, “a sinistra”, tra l’accodamento minoritario alle frazioni più “sinceramente democratiche” dell’establishment e l’autoestraniazione dalla dialettica propriamente politica del paese, accontentandosi magari con l’esibizione di un “esser contro”, complessivamente impotente ma consolatorio.

Di certo, nessuno potrà andare avanti come prima, a meno di non voler accettare una sorte già scritta…

venerdì 27 settembre 2019

IL DIRITTO DI MORIRE

Immagine correlata
Ciclicamente il tema del diritto di morire in una maniera dignitosa ed in casi di irreversibilità di una malattia o di un'eventuale stato vegetativo torna in auge ed il paese è sempre spaccato fondamentalmente in due,è uno dei discorsi in cui si vede o bianco o nero.
Naturalmente i temi dell'eutanasia,del suicidio assistito,dell'interruzione dell'accanimento terapeutico e del testamento biologico sono caldi e comunque importanti e degni di ragionamento,ma la scelta in casi come detto di estrema gravità dev'essere fatta dalla persona,e ovviamente l'Italia in confronto delle altre nazioni è deficitaria e indietro di anni(vedi:madn la-morte-assistita-e-le-sue-differenze ).
La chiesa ci mette del suo,e avere il Vaticano nel cuore del paese di certo non aiuta,anzi la tanto agognata ascesa ai cieli nella casa del padre deve avvenire il più tardi possibile,ed in condizioni di disumanità e di tragedia,di sofferenza e di privazione fisica e morale.
L'articolo di Left(la-vita-e-sacra-quando-vi-fa-comodo )parla proprio dei benpensanti della religione e della politica,di quelli che sparerebbero ai diversi ed ai barconi dei migranti,ma guai a toccare la vita che è sacra,una e irrinunciabile.
Il caso ultimo di qualche mese fa dell'olandese Noa Pothoven(madn la-verita-su-noa )che si lasciò morire,creò una sequela di interventi ignoranti oltre che pessimi e irrispettosi sì della vita,ed ora che forse si potrebbe muovere a livello legislativo in Italia grazie all'assoluzione di Cappato per la vicenda del Dj Fabo la cagnara si sposterà sugli scranni romani,col sicuro risultato di spaccature interne ai partiti,disquisizioni ecclesiali sul diritto di obiezione di coscienza e le teorie medievali dei partiti di destra,sempre pronti a predicare male e razzolare peggio.

La vita è sacra. Quando vi fa comodo.

di Giulio Cavalli
Adesso ululano tutti che “la vita è sacra”. E andrebbe anche bene se non fossero gli stessi che poi sparerebbero ai barconi oppure che negano tutte le vite torturate, spezzate, violentate, affamate, assetate, cotte dal sole e congelate dal freddo.

Sulla sentenza della Consulta sul caso di Dj Fabo come al solito vengono fuori tutte le incongruenze di quelli che vorrebbero decidere della vita degli altri ma che non sono disposti a cambiare una virgola della propria: non sono buoni, sono semplicemente incapaci di affrontare la libertà. E sono incapaci di affrontare le libertà degli altri perché non hanno la struttura culturale per comprendere che il loro unico spavento è che crollino le false convinzioni da benpensanti che come croste li rassicurano che il mondo vada come vorrebbero loro.

Ciò che stupisce delle reazioni avverse all’assoluzione di Marco Cappato è che in fondo per chi non è d’accordo con quella sentenza non cambia nulla, nemmeno una virgola, niente di niente: chi crede che togliersi la vita sia un gesto inaccettabile può tranquillamente agire di conseguenza. Ma la tentazione di imporre il proprio credo (agli altri, sempre con l’atteggiamento di chi dice “fate quello che dico non fate quello che faccio”) per loro è irresistibile.

Per questi la libertà è il diritto d’imporre la propria visione del mondo. Sono spaventatissimi dalla coabitazione non solo di persone diverse ma anche di pensieri diversi perché non hanno nessuna attitudine alla socialità: sono animali asociali e vorrebbero rendere asociali anche gli altri per curare i propri complessi di inferiorità.

La vita è sacra ma i migranti possono morire a casa loro o agonizzare in Libia.

La vita è sacra ma Giulio Regeni non è sacro perché se è morto allora c’è qualcosa di strano.

La vita è sacra ma le donne ammazzate se la sono cercata.

La vita è sacra ma i figli delle loro amanti no.

La vita è sacra ma gli ammazzati dall’ILVA bloccano il progresso.

La vita è sacra ma i morti degli altri non gli interessano.

Falsi benpensanti, moralisti con il culo degli altri.

Bravi.

Buon venerdì.

mercoledì 25 settembre 2019

FARINETTI LO SFRUTTATORE TRASFORMISTA


Risultati immagini per farinetti multinazionali lurisia
Riecco l'illusionista delle parole Farinetti,amicone di Renzi con cui ha condiviso profitti a costo zero per le proprie tasche lucrando su aree generosamente dallo Stato,approfittatore e sfruttatore del lavoro,quello vero degli altri.
Dopo Expo e Fico(vedi:madn il-lavoro-deve-essere-pagato e links allegati)ecco che questo odioso personaggio,definito nell'articolo di Infoaut qui sotto(coca-cola-e-made-in-italy )giustamente"personaggio a metà tra Jovanotti e il padrone delle ferriere"godere dell'acquisizione di Coca Cola,la multinazionale per eccellenza,di Lurisia,storico marchio piemontese di acque minerali e bibite.
Alla faccia del Made in Italy(definito sfruttamento,privatizzazioni e parassitismo)e del chilometro zero che fece di Eataly,suo primo successo alla spalle ed alle spese degli altri(invece i ricavi tutti per lui),ecco che il baffetto dice di non avere venduto l'anima al diavolo e che ormai in questi tempi i grandi sfruttatori mondiali non devono venire demonizzati ed anzi di deve lavorare con loro.
Proprio come in Expo dove uno degli slogan era"nutrire il pianeta"(madn le-multinazionali-della-malnutrizione )dove pure Mc Donald era riuscito a fare parte al balletto delle grandi multinazionali dove già Farinetti il trasformista riusciva a districarsi bene nel mondo degli Euro e dei dollaroni.

Coca-cola e made in Italy – la nuova filosofia di Farinetti.

"Non ho venduto l'anima al diavolo. La cessione della Lurisia a Coca-Cola è un'ottima notizia per l'Italia. Le multinazionali non vanno demonizzate e bisogna lavorare con loro perché si comportino meglio”. “Sono favorevole a esportare le eccellenze italiane nel mondo e, in questo senso, sono contrario al cosiddetto chilometro zero».

Eataly ha ceduto le storiche acque minerali e il chinotto piemontesi alla multinazionale per antonomasia.

E pensare che nei punti vendita di Eataly, fondata da Oscar Farinetti e da lui controllata per il 40 per cento (un altro 40 da cooperative del sistema Coop e un 20 dal fondo di investimento Tamburi), da sempre non si vende Coca-Cola in nome dell’italianità... Ma l’etica del capitalismo pulito e corretto ha fatto emergere da sempre le sue contraddizioni. Dal kilometro zero all’accordo tra Birra Peroni ed Eataly è stato un attimo, alla faccia della millantata superiorità della birra artigianale, il rapporto tra chi coltiva e produce sotto casa... come se niente fosse si passa dalla Nastro Azzurro alla spina, all’acqua e alle bibite prodotte da Coca- cola.

Farinetti da sempre si fa le sue ragioni perché dà anche lavoro ai giovani: sfruttamento made in Italy, come ben sappiamo: contratti a tempo determinato, paghe bassissime e condizioni di lavoro che sicuramente di “etico” (per parlare come lui) hanno ben poco, anzi nulla. Cosa ci si aspettava dall’amico di Renzi nonché grande fan del job-act.

Non dimentichiamo le grandi promesse occupazionali e di benessere per il territorio di Bologna con “Fico”: 90 lavoratori assunti con contratti interinali disdettati e non rinnovati a nemmeno sei mesi dall’apertura. Anche qui non è bastato regalare un terreno pubblico immenso a privati per un’enorme opera di speculazione e profitto, non è bastato mettere a disposizione decine di autobus pubblici come navette. Fatto sta che è bastato un lieve calo degli ingressi (reale o atteso) che da un giorno all’altro, senza alcun preavviso, novanta persone si sono trovate senza lavoro. Non parliamo poi dell’opacità del sistema degli appalti che ha riguardato Expo e Fico stesso.

Insomma caro Oscar la favola del profitto buono e giusto non la sai raccontare neanche tu. Gli imprenditori italiani hanno solo fame di denaro e la balla del made in Italy emerge chiara in questa storia, in cui le presunte eccellenze italiane vengono svendute dando territorio di conquista alle multinazionali. Made in Italy vuol dire sfruttamento, privatizzazioni e parassitismo.

Questo è l’ennesimo schiaffo in faccia a quelli che confidano in un possibile capitalismo dal volto umano, profetizzato da gente come Farinetti, personaggio a metà tra Jovanotti e il padrone delle ferriere.

martedì 24 settembre 2019

LA CATALUNYA E LA REPRESSIONE DELLA GUARDIA CIVIL


Arran
La Guardia Civil su ordine dell'Audiencia Nacional madrilena ha eseguito decine perquisizioni e arresti in tutto il territorio catalano,e il ritrovamento praticamente nullo di ordigni(quello che cercavano)ma solamente di elementi che potrebbero fare pensare alla fabbricazione di qualcosa di simile(e che sono in casa di parecchia gente),hanno fatto sì che ci siano stati nove arresti tra i militanti indipendentisti.
Come se entrassero in casa mia e trovassero delle bombole di gas,dei concimi liquidi,una pentola a pressione e dei bulloni,ecco che la montatura poliziesca ha convinto i giudici,naturalmente già propensi per loro per accomodare gli indizi,per accusare anche di terrorismo oltre che ribellione e detenzione di esplosivi,in modi che per alcuni giorni questi giovani siano in isolamento totale.
L'articolo di Contropiano(catalogna-rastrellamento )parla di questo rastrellamento preventivo cui plaudono i partiti conservatori spagnoli ma anche il Psoe,in un periodo di giudizi sul referendum indipendentista:tutto questo ovviamente ha provocato reazioni e la gente è scesa a protestare nelle piazze in tutta la Catalunya già dalla giornata di ieri.

Catalogna. Rastrellamento preventivo della Guardia Civil.

di  Andrea Quaranta 
Ieri mattina all’alba 500 agenti della Guardia Civil hanno effettuato numerose perquisizioni e arrestato nove militanti indipendentisti legati ai Comitati di Difesa della Repubblica (CDR) in differenti città catalane. Coperti dai passamontagna e mitra alla mano, gli agenti hanno fatto irruzione nelle case puntando le armi contro alcuni dei giovani, alla ricerca di ordigni artigianali e di materiale esplosivo.

L’operazione è stata ordinata dai giudici dell’Audiencia Nacional, il tribunale “politico” spagnolo per eccellenza, che imputa ai nove indipendentisti i reati di ribellione, terrorismo e detenzione di esplosivi. Ma dalle lunghe perquisizioni domiciliari della giornata sono emersi soltanto liquidi da giardineria e polvere per fuochi d’artificio, materiali che la Guardia Civil ha definito come “propedeutici” alla costruzione di artefatti esplosivi, ma di uso assai comune.

La polizia ha mostrato una pentola, della polvere e dei liquidi, ma non è emersa alcuna traccia delle bombe di cui già parlano con enfasi gli esponenti del PP e di Ciudadanos.

Come ha affermato l’avvocato ed ex deputato della CUP Benet Salellas, se fossero stati rinvenuti degli esplosivi, i militari gli avrebbero mostrati alle telecamere. Si sono però dovuti accontentare di semplici componenti che potrebbero essere utilizzati per fabbricare ordigni artigianali.

Ciononostante il Ministero dell’Interno (presieduto dal socialista Fernando Grande- Marlaska) giudica i reperti rinvenuti dalla Guardia Civil come elementi di prova sufficienti ad affermare che i detenuti “preparavano azioni violente”. Amplificano la versione del governo la gran maggioranza dei giornali spagnoli, impegnati a costruire uno scenario di allarme che giustifichi un intervento repressivo in grande stile in Catalunya.

Se da un lato il rastrellamento della Guardia Civil sembra voler bonificare il terreno prima della sentenza contro gli indipendentisti catalani accusati di sedizione e ribellione (per il referendum del primo ottobre), dall’altro vuole intimorire il movimento indipendentista e repubblicano, al quale recapita un chiaro avviso delle conseguenze che potrebbero avere le prossime mobilitazioni contro la prevedibile e dura condanna dei leader catalani.

Sette dei nove detenuti sono già stati trasferiti a Madrid dove, grazie all’accusa di terrorismo, potranno essere tenuti in isolamento 72 ore, prorogabili per ulteriori 48. Una procedura che ricalca quella seguita nell’aprile dell’anno scorso, quando Tamara Carrasco, militante del CDR di Viladecans, venne arrestata con l’accusa di terrorismo e privata per due giorni del diritto a parlare con un avvocato. Rea di tenere in casa dei simboli indipendentisti e di aver diffuso un audio nel quale invitava a realizzare dei blocchi stradali, era stata successivamente confinata nel territorio del proprio municipio per oltre un anno, finché l’accusa di terrorismo venne derubricata a quella più modesta di “disordine pubblico”.

Nella stessa giornata Adrià Carrasco, del CDR di Esplugues de Llobregat riuscì a sfuggire all’arresto (calandosi rocambolescamente da una finestra) e ad arrivare nelle settimane seguenti in Belgio, dove ancora vive in compagnia del nutrito gruppo degli esiliati catalani.

In ciascuno di questi casi, si è assistito ad una evidente criminalizzazione del dissenso politico, trattato dai giudici e dai cosiddetti partiti del bunker (PP, PSOE e Ciudadanos) come un ostacolo intollerabile per la governabilità. Come in altri paesi europei, la repressione guadagna terreno a scapito dei diritti civili e politici, con l’evidente beneplacito delle istituzioni dell’Unione.

Per il momento però la retata della Guardia Civil ha suscitato una forte ondata d’indignazione che si è tradotta in numerose manifestazioni di protesta: il movimento indipendentista si è concentrato davanti alla caserma della Guardia Civil a Girona, al grido di “fuori le forze d’occupazione”. A Barcelona centinaia di persone si sono dirette davanti alla caserma della Guardia Civil della Travessera de Gràcia, reclamando la libertà per i detenuti. A Reus i manifestanti hanno occupato i binari, mentre altre manifestazioni si sono svolte a Lleida, Manresa, Igualada, Badalona, Vic, Olot, Sabadell, Mataró e in altri centri minori.

La CUP ha invitato a scendere in piazza contro le detenzioni avvertendo che “la rinuncia ai nostri obbiettivi politici non ci mette al riparo dalla repressione”, in polemica con l’atteggiamento di ERC e del PDeCAT, da mesi attestati su una posizione di attendismo e di mera gestione della ridotta autonomia regionale, assai lontano dagli obbiettivi di trasformazione sociale e istituzionale dell’esquerra independentista.

Jaume Asens, portavoce dei comuns ha invece affermato che “equiparare i CDR al terrorismo è da irresponsabili. E rappresenta una banalizzazione che offende proprio le vittime del terrorismo”. Per quel che riguarda i sindacati, la indipendentista Intersindical ha invitato a partecipare alle proteste della giornata, mentre la CGT ha espresso un fermo rifiuto delle detenzioni, definite una vera e propria montatura poliziesca. In ogni caso, l’autunno catalano sembra solo all’inizio.

lunedì 23 settembre 2019

MANO PESANTE SUGLI ANARCHICI A TORINO


Immagine correlata
Forti con i"deboli"e servi con i"forti",si può racchiudere un questa breve frase la giustizia italiana,e l'azione della Digos torinese,che è il principio di un iter burocratico lungo e costoso per arrivare a una sentenza,ha portato all'arresto e a numerosi perquisizioni in Italia ma anche in Svizzera di numerosi anarchici indagati per i fatti dell'Asilo occupato.
L'articolo di Contropiano(arresti-nella-notte-vendetta-sugli-anarchici )parla dei fatti del febbraio di quest'anno in occasione dello sgombero dell'Asilo(madn la-polizia-reprimela-gente-reagisce )quando ci furono scontri tra i manifestanti e le forze del disordine.

Arresti nella notte, vendetta sugli anarchici.

di  Redazione Contropiano
La vendetta viene consumata con calma, ai piani semialti del potere… La Digos di Torino stamattina ha arrestato nelle loro case un numero imprecisato di compagni anarchici ritenuti responsabili degli scontri del 9 febbraio scorso, in città, in occasione dello sgombero dell’Asilo occupato. Hanno partecipato anche le questure di Milano, Ravenna, Sassari, Trento e Cuneo, a seconda delle città di residenza degli arrestati.

Per capire meglio la “serietà” delle motivazioni, basta guardare ai reati contestati: lesioni aggravate, resistenza a pubblico ufficiale a danneggiamento e imbrattamento. Le “lesioni” dovrebbero essere quelle riportate dagli agenti in servizio, e anche i sassi sanno che i medici militari sono piuttosto generosi nel concedere giorni di “malattia”.

Solo che poi quei venti-trenta giorni di ferie aggiuntive diventano un’aggravante per chi si ritrova sotto indagine. Se c’è stata una “lesione” da trenta giorni di prognosi, in pratica, è come se si fosse sfiorato il tentato omicidio…

Il resto – “resistenza” e “imbrattamento” – fanno quasi ridere, visto che la prima è “autocertificata” di default dai rapporti di polizia e la seconda, al massimo, potrebbe comportare una multa. Lieve, peraltro.

E invece il tutto viene condito come “maxi blitz”, “grande operazione sotto la guida della Direzione centrale della Polizia di prevenzione”, con relativi titoloni sui giornaloni… Tanto “sono anarchici”, si può fare loro di tutto, nessuno se ne preoccuperà troppo.

Altri 11 arresti erano stati effettuati il giorno degli scontri, per cui la resistenza offerta allora si trova a pagare un prezzo mostruoso e senza altra motivazione che “terrorizzare” le resistenze future.

sabato 21 settembre 2019

LA MOZIONE ANTICOMUNISTA DEL PARLAMENTO EUROPEO

Risultati immagini per anticomunismo parlamento europeo
La scelta del Parlamento Europeo di equiparare il comunismo al nazismo fa semplicemente rivoltare lo stomaco,si parla tanto del termine"memoria"e un'istituzione nata per non tornare al vergognoso e tragico passato che ha portato alla seconda guerra mondiale vuole cancellare i simboli di chi ha liberato il mondo dall'infame ideologia nazifascista.
Dal Pd a fratelli d'Italia passando per Lega e Forza Italia sono firmatari uniti in questo intento che con larga maggioranza ha voluto far passare questa mozione di condanna che è in pratica un passo decisivo per l'anticomunismo,cominciando a togliere tutti i simboli dei monumenti che celebrano la gloriosa Armata Rossa(che ci ha salvato il culo da Hitler e Mvssolini)e andranno a finire per vietare le organizzazioni politiche comuniste in un periodo storico dove,a parte che da noi,stanno ricominciando a riacquistare elettorato.
Come nelle ultime elezioni russe,e forse è proprio questo il fattore scatenante di questa decisione in quanto l'ex Unione Sovietica all'Europa è sempre stata sulle scatole,ci sono state poche aperture diplomatiche e più di una sensazione che gli statunitensi contino e molto sulle poltrone delle istituzioni europee.
Articolo di Contropiano:lanticomunismo-diventa-regola-delle-istituzioni-europee .

L’anticomunismo diventa regola delle istituzioni europee.

di  Sergio Cararo 
Giovedi il Parlamento europeo ha approvato con 535 voti a favore, 66 contro e 52 astenuti la mozione di condanna dell’uso dei simboli del comunismo, chiedendo la rimozione dei monumenti che in molti paesi europei celebrano la liberazione avvenuta ad opera dell’Armata Rossa ed equiparando il comunismo al nazifascismo. Ma l’operazione messa in campo sulla spinta convergente delle destre e dei liberaldemocratici di sinistra e di centro, è più insidiosa e vergognosa di una semplice legittimazione dell’anticomunismo istituzionale in vigore in alcuni paesi dell’Europa dell’Est (Repubbliche Baltiche, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca etc.). E’ una risoluzione propedeutica ad una rimozione storica funzionale a quello “stile di vita europeo” evocato dalla Von der Leyen e all’azzeramento della storia ufficiale europea alla nascita della Ue. Una sorta di anno zero dal quale vanno eliminate, anche con la forza, tutte le dissonanze, in particolare quella comunista.

I punti D, E, F, a premessa della risoluzione, scrivono testualmente:

“D. considerando che, dopo la sconfitta del regime nazista e la fine della Seconda guerra mondiale, alcuni paesi europei sono riusciti a procedere alla ricostruzione e a intraprendere un processo di riconciliazione, mentre per mezzo secolo altri paesi europei sono rimasti assoggettati a dittature, alcuni dei quali direttamente occupati dall’Unione sovietica o soggetti alla sua influenza, e hanno continuato a essere privati della libertà, della sovranità, della dignità, dei diritti umani e dello sviluppo socioeconomico;
1.considerando che, sebbene i crimini del regime nazista siano stati giudicati e puniti attraverso i processi di Norimberga, vi è ancora un’urgente necessità di sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie in relazione ai crimini dello stalinismo e di altre dittature;
2.considerando che in alcuni Stati membri la legge vieta le ideologie comuniste e naziste;

Ma il capolavoro di manipolazione e rovescismo storico, che equipara nazismo e comunismo come regimi totalitari, si palesa nei 21 punti della risoluzione, lì dove sono indicati gli impegni ai quali i governi dell’Unione Europea dovranno attenersi. Possiamo dire che sono il coronamento della tesi dello storico revisionista tedesco Ernst Nolte, il quale ha diffuso la tesi secondo cui il nazismo non doveva essere considerato come un’entità demoniaca, ma andava analizzato come un fenomeno storico, nato in contrapposizione della crisi della Repubblica di Weimar e in antitesi al comunismo sovietico. Una giustificazione del nazismo che Nolte riaffermò nel 1986 con il saggio “Un passato che non vuole passare”, dove lo storico tedesco scrisse che anche la Shoah era stata una conseguenza rispetto ai precedenti “delitti” del bolscevismo.

Se le tesi revisioniste di Nolte fino ai primi anni Novanta erano state contestate e avevano trovato opposizione anche in molti ambiti politici, storici ed intellettuali europei, con questa risoluzione il Parlamento Europeo nel 2019, fa propria la visione dell’anticomunismo storico, rinato proprio in Germania e fortissimo anche in paesi come l’Italia, dove il blocco anticomunista continua a contare su forti consensi e rilevanti sostegni. Un anticomunismo che l’Unione Europea e l’impianto neoliberale tornato egemone porta dentro il proprio dna.

Riproduciamo qui di seguito integralmente gli ultimi 15 dei 21 punti che impegnano i governi dell’Unione Europea a darne attuazione:

Il Parlamento Europeo (….) invita tutti gli Stati membri dell’UE a formulare una valutazione chiara e fondata su principi riguardo ai crimini e agli atti di aggressione perpetrati dai regimi totalitari comunisti e dal regime nazista;
6.condanna tutte le manifestazioni e la diffusione di ideologie totalitarie, come il nazismo e lo stalinismo, all’interno dell’Unione;
7.condanna il revisionismo storico e la glorificazione dei collaboratori nazisti in alcuni Stati membri dell’UE; è profondamente preoccupato per la crescente accettazione di ideologie radicali e per il ritorno al fascismo, al razzismo, alla xenofobia e ad altre forme di intolleranza nell’Unione europea ed è turbato dalle notizie di collusione di leader politici, partiti politici e forze dell’ordine con movimenti radicali, razzisti e xenofobi di varia denominazione politica in alcuni Stati membri; invita gli Stati membri a condannare con la massima fermezza tali accadimenti, in quanto compromettono i valori di pace, libertà e democrazia dell’UE;
8.invita tutti gli Stati membri a celebrare il 23 agosto come la Giornata europea di commemorazione delle vittime dei regimi totalitari a livello sia nazionale che dell’UE e a sensibilizzare le generazioni più giovani su questi temi inserendo la storia e l’analisi delle conseguenze dei regimi totalitari nei programmi didattici e nei libri di testo di tutte le scuole dell’Unione; invita gli Stati membri a promuovere la documentazione del tragico passato europeo, ad esempio attraverso la traduzione dei lavori dei processi di Norimberga in tutte le lingue dell’UE;
9.invita gli Stati membri a condannare e contrastare ogni forma di negazione dell’Olocausto, compresa la banalizzazione e la minimizzazione dei crimini commessi dai nazisti e dai loro collaboratori, e a prevenire la banalizzazione nei discorsi politici e mediatici;
10.chiede l’affermazione di una cultura della memoria condivisa, che respinga i crimini dei regimi fascisti e stalinisti e di altri regimi totalitari e autoritari del passato come modalità per promuovere la resilienza alle moderne minacce alla democrazia, in particolare tra le generazioni più giovani; incoraggia gli Stati membri a promuovere l’istruzione attraverso la cultura tradizionale sulla diversità della nostra società e sulla nostra storia comune, compresa l’istruzione in merito alle atrocità della Seconda guerra mondiale, come l’Olocausto, e alla sistematica disumanizzazione delle sue vittime nell’arco di alcuni anni;
11.chiede inoltre che il 25 maggio (anniversario dell’esecuzione del comandante Witold Pilecki, eroe di Auschwitz) sia proclamato “Giornata internazionale degli eroi della lotta contro il totalitarismo”, in segno di rispetto e quale tributo a tutti coloro che, combattendo la tirannia, hanno reso testimonianza del loro eroismo e di vero amore nei confronti dell’umanità, dando così alle future generazioni una chiara indicazione dell’atteggiamento giusto da assumere di fronte alla minaccia dell’asservimento totalitario;
12.invita la Commissione a fornire un sostegno effettivo ai progetti di memoria e commemorazione storica negli Stati membri e alle attività della Piattaforma della memoria e della coscienza europee, nonché a stanziare risorse finanziarie adeguate nel quadro del programma “Europa per i cittadini” per sostenere la commemorazione e il ricordo delle vittime del totalitarismo, come indicato nella posizione del Parlamento sul programma “Diritti e valori” 2021-2027;
13.dichiara che l’integrazione europea, in quanto modello di pace e di riconciliazione, è il frutto di una libera scelta dei popoli europei, che hanno deciso di impegnarsi per un futuro comune, e che l’Unione europea ha una responsabilità particolare nel promuovere e salvaguardare la democrazia e il rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto, sia all’interno che all’esterno del suo territorio;
14.sottolinea che, alla luce della loro adesione all’UE e alla NATO, i paesi dell’Europa centrale e orientale non solo sono tornati in seno alla famiglia europea di paesi democratici liberi, ma hanno anche dato prova di successo, con l’assistenza dell’UE, nelle riforme e nello sviluppo socioeconomico; sottolinea, tuttavia, che questa opzione dovrebbe rimanere aperta ad altri paesi europei, come previsto dall’articolo 49 TUE;
15.sostiene che la Russia rimane la più grande vittima del totalitarismo comunista e che il suo sviluppo in uno Stato democratico continuerà a essere ostacolato fintantoché il governo, l’élite politica e la propaganda politica continueranno a insabbiare i crimini del regime comunista e ad esaltare il regime totalitario sovietico; invita pertanto la società russa a confrontarsi con il suo tragico passato;
16.è profondamente preoccupato per gli sforzi dell’attuale leadership russa volti a distorcere i fatti storici e a insabbiare i crimini commessi dal regime totalitario sovietico; considera tali sforzi una componente pericolosa della guerra di informazione condotta contro l’Europa democratica allo scopo di dividere l’Europa e invita pertanto la Commissione a contrastare risolutamente tali sforzi;
17.esprime inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali e ricorda che alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti;
18.osserva la permanenza, negli spazi pubblici di alcuni Stati membri, di monumenti e luoghi commemorativi (parchi, piazze, strade, ecc.) che esaltano regimi totalitari, il che spiana la strada alla distorsione dei fatti storici circa le conseguenze della Seconda guerra mondiale, nonché alla propagazione di regimi politici totalitari;
19.condanna il fatto che forze politiche estremiste e xenofobe in Europa ricorrano con sempre maggior frequenza alla distorsione dei fatti storici e utilizzino simbologie e retoriche che richiamano aspetti della propaganda totalitaria, tra cui il razzismo, l’antisemitismo e l’odio nei confronti delle minoranze sessuali e di altro tipo;
20.esorta gli Stati membri ad assicurare la loro conformità alle disposizioni della decisione quadro del Consiglio, in modo da contrastare le organizzazioni che incitano all’odio e alla violenza negli spazi pubblici e online, nonché a vietare di fatto i gruppi neofascisti e neonazisti e qualsiasi altra fondazione o associazione che esalti e glorifichi il nazismo e il fascismo o qualsiasi altra forma di totalitarismo, rispettando nel contempo l’ordinamento giuridico e le giurisdizioni nazionali;
21.sottolinea che il tragico passato dell’Europa dovrebbe continuare a fungere da ispirazione morale e politica per far fronte alle sfide del mondo odierno, come la lotta per un mondo più equo e la creazione di società aperte e tolleranti e di comunità che accolgano le minoranze etniche, religiose e sessuali, facendo in modo che tutti possano riconoscersi nei valori europei;
22.incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, alla Duma russa e ai parlamenti dei paesi del partenariato orientale.

Di seguito tutti i parlamentari che hanno votato questa infame mozione, tra i quali tutti i parlamentari del PD. Pd e Lega/Fratelli d’Italia/Forza Italia hanno molto più in comune di quanto vogliano far credere in Italia. E questa ne è una ulteriore dimostrazione. Destra e Pd non sono molto dissimili. Apprezzabile il fatto che tra chi ha votato a favore non ci siano europarlamentari del M5S.

S&D: Bartolo (PD), Benifei (PD), Bonafè (PD), Calenda (PD), Chinnici (PD), Cozzolino (PD), Danti (PD), De Castro (PD), Ferrandino (PD), Gualmini (PD), Moretti (PD), Picierno (PD), Pisapia (PD), Tinagli (PD).

ID: Adinolfi Matteo (Lega), Baldassarre (Lega), Bardella (Lega), Basso (Lega), Bizzotto (Lega), Bonfrisco (Lega), Borchia (Lega), Bruna (Lega), Camponemosi (Lega), Caroppo (Lega), Casanova (Lega), Conte (Lega), Da Re (Lega), Donato (Lega), Dreosto (Lega), Grant (Lega), Lancini (Lega), Lizzi (Lega), Panza (Lega), Regimenti (Lega), Rinaldi (Lega), Sardone (Lega), Tardino (Lega), Tovaglieri (Lega), Vuolo (Lega), Zambelli (Lega).

PPE: Berlusconi (FI), Dorfmann (SV), Martusciello (FI), Milazzo (FI), Salini (FI), Tajani (FI)

ECR: Fidanza (FdI), Fiocchi (FdI), Fitto (FdI), Stancanelli (FdI).

Sarà bene segnarseli da qualche parte, perché purtroppo ci sono esponenti politici “ di sinistra”, come Pisapia, che godono di indulgenze straordinarie e periodiche catarsi sulle loro scelte del passato e adesso del presente.

venerdì 20 settembre 2019

BENETTON:UN GRUPPO DI CRIMINALI(IMPUNITI)


Risultati immagini per benetton autostrade
E' una storia che si ripete da anni e pur toccando degli elementi come tragedie(termine troppo abusato,vedi:madn lindecente-propaganda-sul-crollo-del.ponte di genova )del ponte Morandi,gli aumenti esagerati dei pedaggi e la dimostrata e criminale nullità dei lavori di manutenzione della rete autostradale italiana concessa ai Benetton,eppure nessuno è finito in galera.
Mentre le società di riferimento Atlantia e Spea sono sotto indagine per falsificazione appunto dei documenti sull'effettiva regolarità e idoneità di ponti,viadotti e tratti stradali,la politica ancora non i muove,la Lega fuori di giochi dell'esecutivo ora sbraita dimenticandosi di avere votato il così detto emendamento"salva Benetton"del 2008(madn salvini-ricordati-quello-che-hai-votato )le dimissioni milionarie dell'ad Castellucci(13 milioni di Euro)sono l'ennesimo colpo alle spalle delle vittime di Genova.
L'articolo di Contropiano(austostrade-la-criminalita )parla degli ultimi sviluppi e della vergognosa scelta di non fare,sia da parte della giustizia che del governo,ricordando ancora la privatizzazione selvaggia della rete autostradale italiana(madn privatizzare-regalando-autostrade-per.l gioia degli imprenditori )oltre la globalità delle azioni nefaste del gruppo Benetton che non finisce certo solo in Italia ma che emigra nel territorio mapuche in sudamerica(madn ritrovato-il-corpo-di-santiago-maldonado ).
Per non parlare dei milioni di Euro elargiti qua e là ai gruppi politici(Pd in testa)e della differenza e diseguaglianza siderale che passa in Italia riguardo al crimine e alla condanna con chiaro riferimento al Tav,per fare un esempio.

Autostrade, la criminalità seriale del gruppo Benetton.

di  Alessandro Avvisato 
In qualsiasi paese del mondo, se per fare soldi ammazzi parecchia gente, finisci in galera per un periodo piuttosto lungo. Se sei un’impresa, invece, e fai la stessa cosa in modo più “istituzionalizzato”, cominciano subito i distinguo.

In Italia, se l’impresa è di proprietà dei Benetton, da sempre benefattori dei partiti politici di qualsiasi orientamento, quasi ci si deve scusare per aver alzato un sopracciglio davanti a 43 morti sul Ponte Morandi.

Le cronache di questi giorni riferiscono delle modalità operative con cui dirigenti di Atlantia (la società del gruppo Benetton che controlla Autostrade per l’Italia) e della Spea (un’altra società dello stesso gruppo che si occupa della manutenzione delle stesse autostrade – alla faccia della “semplificazione efficiente” di cui dovrebbero essere portatori i “privati”) falsificavano la documentazione sullo stato di parecchi viadotti per evitare interventi di manutenzione ritenuti “troppo onerosi”.

Alcuni manager e dipendenti sono stati arrestati e messi ai domiciliari o altre misure cautelari; alcuni di essi sono stati anche “sospesi” dai rispettivi datori di lavoro, secondo l’antico scarico delle responsabilità sui sottoposti. Avessero bruciato un compressore in Val Susa li avrebbero invece messi in carcere per mesi o anni…

Si potrebbe anche dire che spetta alla magistratura verificare le responsabilità dei singoli, ma nella vicenda non è questo il punto principale. Le “tecniche” messe in campo per falsificare i rapporti sullo stato dei viadotti sono parte essenziale di una mentalità criminale che mette in conto un certo numero di morti e se ne frega totalmente, pur di evitare di spendere un po’ di soldi per manutenere il bene pubblico (le autostrade sono state costruite e sono di proprietà dello Stato, i Benetton hanno ottenuto solo la “concessione” a gestirle).

Mentalità criminale  talmente abituata a considerarsi “normale” e soprattutto intoccabile da continuare a falsificare i report anche dopo la strage di Ponte Morandi. Ossia dopo che “l’eventualità” di un disastro era diventata tragica realtà.

Stiamo parlando appunto della gestione di una proprietà e di un servizio pubblico, ancorché a pagamento parecchio esoso (in Germania o Austria, per dirne una, si paga un abbonamento annuale inferiore alla tariffa per un solo viaggio Roma-Milano). Dunque al “proprietario” – lo Stato italiano – dovrebbe certo interessare l’esito delle indagini e l’eventuale condanna (al terzo grado di giudizio, ovviamente, ossia tra molti anni, se non interviene prima la prescrizione), ma solo al fine di sapere con certezza a chi addebitare il conto dei danni e il costo del risarcimento alle vittime.

Ma di sicuro il suo primo atto – come per un qualsiasi proprietario che vede il proprio bene distrutto da colui cui l’ha dato in gestione o affittato – dovrebbe essere la revoca della concessione e quindi la ripresa del “bene” (Autostrade per l’Italia, la parte della rete in mano ai Benetton, neanche tutta la rete autostradale) sotto la propria gestione.

Perché la prima questione non riguarda le “responsabilità penali”, ma la capacità o la volontà di gestire le autostrade in modo che siano percorribili dai “clienti”. Il crollo di Ponte Morandi, insomma, è un fatto concreto che dimostra anche ai ciechi che i Benetton (e i sottoposti che ne eseguivano le direttive societarie) sono l’ultimo dei soggetti cui un normale “padre di famiglia” affiderebbe un proprio bene.

Questo andava naturalmente fatto già un anno fa, subito dopo la strage. Allora, infatti, c’era solo da prendere atto che quell’incapacità di gestione era un fatto accertato.

Si poteva sospettare – e l’abbiamo detto tutti subito – che ci fosse una colpa enorme di Atlantia nella, diciamo così, qualità infima della manutenzione del ponte. Allora…

Oggi l’inchiesta in corso mostra e dimostra che non c’era solo “disattenzione colpevole”, “incapacità gestionale”, “avarizia negli investimenti”. C’era la volontà criminale di evitare qualsiasi intervento serio di conservazione delle strutture – tutte le strutture controllate da quella società – sapendo perfettamente che erano all’ordine del giorno altri crolli e probabilmente altre stragi. Non è insomma un crimine occasionale, un errore fatto una volta. E’ una politica aziendale, una governance, insomma un crimine seriale…

Certo, gli elegantissimi Benetton non sono assassini sanguinari che sparano ai passanti (in Patagonia lo fanno per loro esercito e polizia). Loro “si limitano” a lasciar passare su ponti e gallerie automobili, incassando il pedaggio a fine tratta. Finché le strutture stanno su. Poi, quando crollano, si uniscono al dolore generale e scuciono (con grande pubblicità) un po’ di risarcimenti, che costano comunque molto meno della manutenzione che si sono evitati di far fare.

Leggiamo che nelle sedi di molti partiti c’è la volontà di limitare al massimo “il danno per i Benetton”, che dal canto loro stanno pensando di vendere la stessa Atlantia (sapendo probabilmente che l’età media dell’infrastruttura autostradale e l’evanescenza della manutenzione da loro assicurata  rendono ogni giorno più probabili altri crolli).

Nel Pd starebbero addirittura studiando la possibilità di dare il via libera alla revoca della concessione “soltanto per la regione Liguria”.

Quale audacia, quale indipendenza dalla multinazionale stragista, quale rispetto per le vittime…

Quando diciamo che bisogna nazionalizzare Autostrade ed altre infrastrutture strategiche, ci sembra di dire proprio il minimo. Quasi una banalità.

Per dei criminali seriali sembra decisamente fin troppo poco…

martedì 17 settembre 2019

L'ARRAFFONE FIORENTINO SALUTA IL PD


Per il Pd la scelta che era nell'aria da mesi di un Renzi che lascia il partito è tutto a parte che una cattiva notizia,e se il partito del Nazareno tenterà di rifarsi una verginità nel centrosinistra(abbiamo memoria lunga)ora lo potrà fare senza più avere con se la squallida figura del giglio fiorentino.
Che ricordiamoci bene aveva promesso di lasciare la politica dopo il referendum(madn renzipalloncini-e-stronzi-che.galleggiano )del 2016 ma che evidentemente il suo smisurato ego che come dice l'articolo di Left(il-partito-dellego )ha fatto affondare l'Italia consegnandola alla peggiore destra degli ultimi decenni,ha risvegliato le ambizioni di chi non ha avuto la poltrona nel nuovo governo targato Conte-Di Maio-Zingaretti.
Avrei pronosticato un affiliazione al nuovo partito di Toti(Cambiamo!),uscito da Forza Italia per gli stessi motivi di Renzi,voleva essere la primadonna assoluta di un partito dove anche se in pochi comunque sarebbe rimasto sempre il leader:le politiche espresse dai due alla fine sono molto simili.
Ma Renzi vuole evidentemente colmare il vuoto creando una forza centrista che si spartirà i pochi voti degli ex andreottiani con Berlusconi che stando ad oggi non ne vuole sapere di allearsi apertamente con Salvini e Meloni.
Diciamo pure che riferendomi alle righe sopra e delle politiche di destra che hanno segnato l'esecutivo del governo Renzi,la scissione dal Pd è stata la prima ed unica cosa di sinistra che abbia mai fatto,doveva esserci il promesso arrivederci a mai più ma l'arroganza e la sete di potere ci ha portati a questo.

Il partito dell’Ego.

di Giulio Cavalli
Alla fine è la sua natura: preferisce essere capo, esiste solo da capo e pur di fare il capo accetta di essere il capo di pochi, abbandonando un partito di molti. L’ego di Matteo Renzi è il suo principale avversario politico (sembra un alleato ma alla fine finisce sempre così, con tutti) e in nome del suo ego oggi l’ex segretario del Pd annuncerà la sua uscita dal partito per dedicarsi a una sua nuova creatura.

Lo farà da Vespa, e anche questo non stupisce: il salotto televisivo è un luogo in cui mostrarsi per intero, nella figura di leader come lo intendono questi politici 2.0, tutti spremuti a essere figure intere concentrate nel loro personale reality. E così il prode Matteo (l’altro, quello che avrebbe abbandonato la politica se avesse perso il referendum che poi ha perso) alla fine ha capito benissimo che facendosi il partito tutto suo (e i “suoi” gruppi alla Camera e al Senato) risulta indispensabile nella tenuta del governo, pur essendo minuscolo, come gli hanno insegnato gli andreottiani stili su cui si è formato.

E in fondo è solo un ulteriore passo della politica dell’Ego che sta prendendo piede in questi anni e che è riuscita a trasformare una pratica comunitaria e sociale (la politica, appunto) in un palcoscenico di protagonisti e di seguaci, senza nessuna funzione assembleare e senza nessun spirito che funga da collante.

Come nel film di Nanni Moretti la domanda che attanaglia molti (troppi) è sempre la stessa: “mi si nota di più se non vengo o se vengo e sto in disparte”? La funzione pubblica è riservata all’accrescimento della propria popolarità. Solo questo.

E ora, c’è da scommettere, sarà Renzi il nuovo Matteo che scorrazzerà tra le righe del governo illudendosi di poter fare il bello e il cattivo tempo. Perché il problema resta sempre lo stesso: cambiare i modi, oltre che le persone.

Buon martedì.

lunedì 16 settembre 2019

NON TOCCATE IL PETROLIO!


Risultati immagini per droni arabia saudita
I due siti petroliferi colpiti l'altro giorno e che hanno di fatto segnato in maniera negativa la produzione e il commercio dell'oro nero è arrivata tra le prime notizie di cronaca mentre del conflitto che sta dietro a questo attacco che ha ancora aloni di mistero non se ne parla.
Perché la guerra che l'Arabia Saudita da anni sta compiendo nello Yemen(vedi:madn ancora-stragi-nello-yemen )è una delle tante al mondo di cui non si sente parlare direttamente ma solo come in questo caso quando c'è di mezzo il dio denaro e soprattutto il petrolio,con conseguenze globali sia per l'economia che per il timore di altri scontri nella zona più calda della terra.
Infatti l'Iran è sotto la lente d'ingrandimento in quanto secondo i sauditi sono stati loro ad attaccare i giacimenti petroliferi e non i ribelli houthi,e la situazione potrebbe sfuggire di mano anche per le continue e inutili ingerenze Usa che tramite le parole di Pompeo subito ripreso dal leader iraniano Rohani,alimentano il fuoco della possibile guerra(ilfattoquotidiano arabia-saudita ).

Arabia Saudita, produzione di petrolio dimezzata dopo attacchi con droni. Gli Usa accusano l’Iran che ribatte: “Pronti a guerra”.

A rischio 5,7 milioni di barili al giorno. I ribelli filo-iraniani hanno colpito con droni gli impianti di Abqaiq e Khurais. Mike Pompeo: "Attacco senza precedenti alle forniture energetiche mondiali mentre Rohani e Zarif fingono di impegnarsi nella diplomazia". E i Pasdaran avvertono: "Le basi americane e le loro portaerei fino a 2000 km intorno all’Iran sono nel raggio dei nostri missili". Gli analisti: "I prezzi del greggio balzeranno, potrebbero arrivare a 100 dollari"

In un colpo solo si azzera il 5% delle forniture mondiali di greggio e sale alle stelle la tensione tra Usa e Iran, con il capo delle forze aeree dei pasdaran iraniani che fa sapere: “Siamo pronti alla guerra”. Tutto è iniziato sabato 14 settembre quando alcuni droni hanno attaccato gli stabilimenti petroliferi di Abqaiq e Khurais, di proprietà della compagnia Saudi Aramco, fra i più grandi del mondo, costringendo l’Arabia Saudita a fermare oltre metà della sua produzione totale di petrolio. Riad ha annunciato che compenserà il taglio della produzione, pari a 5,7 milioni di barili al giorno, attingendo alle riserve strategiche, che in giugno ammontavano a 188 milioni di barili. Operatori ed analisti temono però che il prezzo del petrolio potrebbe salire a 100 dollari se le forniture non saranno ripristinate rapidamente.

Sul piano geopolitico, il segretario di Stato Mike Pompeo non ha perso occasione per accusare Teheran di un “attacco senza precedenti alle forniture energetiche mondiali mentre Rohani e Zarif fingono di impegnarsi nella diplomazia” visto che in occasione della prossima assemblea generale dell’Onu era in calendario un incontro tra il presidente Trump e l’omologo iraniano Hassan Rohani. Le accuse sono state respinte dal ministro degli Esteri iraniano attraverso il portavoce Abbas Mussavi: “Queste accuse ed affermazioni inutili e cieche sono incomprensibili e prive di senso”. Poco dopo sempre via twitter il ministro in persona, Mohammad Javad Zarif, ha rincarato: “Non essendo riusciti con la ‘pressione massima’, il segretario Pompeo passa al ‘massimo inganno’. Gli Usa e i loro clienti sono bloccati in Yemen a causa dell’illusione che la superiorità delle armi porterà alla vittoria militare. Dare la colpa all’Iran non metterà fine al disastro. Può farlo accettare le nostre proposte del 15 aprile per metter fine alle guerra e iniziare i colloqui”. E il generale Amir Ali Hajizadeh, comandante dei Guardiani della rivoluzione, parlando alla televisione iraniana ha avvertito: “Ci siamo sempre preparati per essere pronti a una guerra vera e propria. Tutti dovrebbero sapere che le basi americane e le loro portaerei fino ad una distanza di 2000 km intorno all’Iran sono nel raggio dei nostri missili”.

Intanto il portavoce dei ribelli Houthi, in un messaggio trasmesso dal canale satellitare Houthi Al-Masirah, ha minacciato altri attacchi simili in futuro se le forze saudite continueranno il loro intervento militare in Yemen, dove Riad è impegnata nei bombardamenti contro le milizie filo-iraniane e a sostegno del governo internazionalmente riconosciuto del presidente Abd Rabbo Mansur Hadi.

I siti colpiti sono strategici: il giacimento Khurais è fra i più grandi nel Paese, con una capacità produttiva di 1,45 milioni di barili al giorno, mentre Abqaiq è l’impianto di stabilizzazione del greggio più grande del mondo, dove vengono rimosse le impurità solforose dal petrolio appena estratto e viene eseguita la trasformazione in greggio dolce prima del trasferimento nelle raffinerie dove sarà trattato ulteriormente. Secondo Il Sole 24 Ore lì vengono pretrattati i due terzi del greggio saudita da destinare all’esportazione. L’attacco peraltro è arrivato proprio mentre Saudi Aramco stava concludendo le pratiche per la quotazione in Borsa.

Gli addetti ai lavori hanno già cominciato a valutare le possibili ripercussioni sui prezzi del greggio:”Abqaiq è il cuore del sistema e ha appena avuto un infarto”, spiega al Wall Street Journal Roger Diwan, consulente petrolifero per Ihs Markit, sottolineando che è ancora impossibile prevedere le conseguenze esatte del raid. Gli fa eco dalle pagine del Guardian Robert McNally, del Gruppo per l’energia Rapidan: “E’ forse uno sei siti più importanti del mondo per l’approvvigionamento di petrolio. I prezzi del greggio balzeranno dopo l’attacco. Se il blocco della produzione è esteso, sarà probabile che si ricorrerà al rilascio di riserve petrolifere strategiche da parte dei paesi dell’Agenzia internazionale per l’energia In ogni caso, il rischio di una escalation di rappresaglie, che porterà a un ulteriore aumento dei prezzi del petrolio, è aumentato in modo significativo”. Per ora la International Energy Agency si limita a far sapere che “segue con attenzione l’evolversi della situazione” ed è “in contatto con le autorità saudite, così come con i principali produttori e consumatori. Per il momento, i mercati sono ben riforniti”. Da Washington, il dipartimento dell’energia ha reso noto che gli Stati Uniti sono “pronti a impiegare risorse delle riserve petrolifere strategiche (all’incirca 630 milioni di barili, ndr) se necessario, per compensare qualsiasi interruzione dei mercati petroliferi”.

sabato 14 settembre 2019

SI CONTINUA A MORIRE LAVORANDO


Risultati immagini per guerra sul lavoro
Avrà una bella gatta da pelare l'esecutivo,non che sia una prerogativa solo di questo governo diminuire drasticamente se non azzerare il numero delle vittime e degli infortuni sul posto di lavoro,e le cifre del primo semestre fanno presagire ad un aumento rispetto agli ultimi anni solo riguardo il numero delle vittime.
Il redazionale di Contropiano(la-guerra-sul-lavoro-ha-raggiunto-le-603-vittime )parla dell'impressionante incremento rispetto agli ultimi anni del 2018 e purtroppo questo corrente per l'appunto potrebbe battere il tragico record.
Ma non tutti gli infortuni sono denunciati,e in molti casi la tragedia ed il fato non sono gli unici fattori causa degli incidenti:l'inadeguatezza e la scarsità di formazione,la scarsa o addirittura assenza di dispositivi per la protezione dai rischi e orari e condizioni generali incompatibili con un lavoro dignitoso sono cause principali di tale strage.
Non solo,le visite dell'ispettorato del lavoro sono poche(si calcola che siano una ogni undici anni e mezzo)e quasi sempre sono concordate a tavolino con l'azienda,quindi se qualcosa non va,se ci sono macchinari che hanno difetti o che sono utilizzati senza protezioni vengono aggiustati oppure vengono semplicemente inutilizzati durante queste visite che dovrebbero essere a sorpresa.

La guerra sul lavoro ha raggiunto le 604 vittime.

di  Redazione Contropiano 
Un triste aggiornamento: questa mattina un operaio 38enne è morto schiacciato da una pressa. È successo oggi, venerdì 13 settembre, a Rogoredo di Casatenovo, in una azienda agricola di via Madonnina, poco prima delle 7

Dall’inizio dell’anno sono ormai saliti a 603 i lavoratori morti mentre stavano lavorando. Gli ultimi quattro sono caduti ieri in un’azienda agricola di Arena Po, nel Pavese. Si tratta di indiani sikh tra i 28 e i 49 anni, tra cui i due fratelli titolari dell’azienda dove è avvenuta la tragedia. Lo hanno confermato i carabinieri, al termine delle operazioni di recupero dei cadaveri da parte dei vigili del fuoco in una vasca di decantazione dei liquami. Il fatto è avvenuto intorno alle 12.30 in una vasca per la raccolta dei liquami in un’azienda agricola in via San Rocco 7 ad Arena Po.

Nel primo semestre del 2019 sono stati denunciati 482 infortuni mortali sul lavoro, il peggior dato dal 2016 (da quando sono iniziati i bollettini trimestrali Inail consultabili). Nel 2016 infatti le denunce di morti sul lavoro erano state 461, salite poi a 473 nel 2017 e leggermente calate a 469 nel 2018. Ma questi dati escludono i lavoratori morti in itinere cioè mentre stavano andando o tornando dal lavoro. Sulla base di questi parametri i morti sul lavoro nel 2019 erano 599 fino a giovedì alle 12.00. Con i quattro lavoratori morti ad Arena Po sono saliti a 603.

Guardando ai dati annuali, il 2018 è stato l’anno peggiore degli ultimi tre. Se, infatti, se il 2016 si era chiuso con 1.018 vittime e il 2017 con 1.029, nel 2018 si è arrivati a 1.133 morti sul lavoro (+10%).

Il 2019 rischia, alla luce dei numeri del primo semestre, rischia di diventare l’anno peggiore della guerra sul lavoro per i morti avvenuti.

venerdì 13 settembre 2019

QUANDO IL PROCESSO DI PACE E' LA SCONFITTA


Risultati immagini per processo di pace basco eta
Che il percorso di pace,il cessate il conflitto,la consegna delle armi nella vicenda basca sia stata in forma unilaterale è un fatto ormai lampante e abbastanza immaginabile,tant'è che questa scelta,che è una prassi comune in tutto il mondo,abbai creato un vuoto nella lotta indipendentista e socialista non solo al confine tra Spagna e Francia ma ovunque sia stato piantato il seme della rivoluzione socialista ed indipendentista negli ultimi decenni.
Dopo il contributo passato sulla situazione in Euskal Herria(madn lottare-e-legittimoamnistia-totale ),
Infoaut prosegue con la seconda parte non più incentrata principalmente sulla sorte de prigionieri politici baschi e si dà una visione più politica e legata al disarmo,al processo di pace ed alla strategia di negoziazione(il-processo-di-pace-e-una-formula ).
Nell'intervista all'ex militante di Eta Jon Iurrebaso Atutxa che parla a titolo personale secondo il suo percorso ideologico e di lotta oltre che della sua esperienza di prigioniero politico,si forniscono spunti e riflessioni su quello che è accaduto nei Paesi Baschi dopo la fine di Eta,partendo proprio dal fatto che il processo di pace è stato l'accettazione della sconfitta della lotta rivoluzionaria basca,cercata e voluta dalla borghesia e dal capitalismo.
La tanto anelata disobbedienza civile che avrebbe dovuto esserci dopo questo cessate le ostilità sempre e solo unilaterale(madn finita-letae-la-repressione? )non si è vista,complice ancora il ricatto e le temute condanne che lo Stato spagnolo e francese hanno sempre in serbo per chi faccia politica sociale in Euskal Herria.
Lunga intervista da leggere per capire meglio la situazione attuale di questa stupenda terra con un'analisi autocritica su quello che si sarebbe dovuto fare,su ciò che si è fatto e che si poteva fare meglio,nonché sulle possibilità di andare avanti ma tra le righe s'intuisce(mio pensiero personale)che senza una lotta armata,senza libertà o morte,senza rivoluzione o morte,ben poco si può ottenere sia nei territori baschi come in Colombia(le cose stanno cambiando)o Irlanda ed in tutti i paesi dove la lotta rivoluzionaria è più sentita...noi in Italia lasciamo perdere per ora.
L'intervento si conclude parlando delle gravi situazioni in cui versano i prigionieri politici(che Atutxa definisce a ragione crudeli)e un accenno sulla situazione in Catalunya.

Il “Processo di Pace” è una formula del capitale. Intervista a Jon Iurrebaso Atutxa.

Pubblichiamo la seconda di due interviste che abbiamo avuto l'occasione di condurre grazie a dei compagni italiani che vivono e militano in Euskal Herria sull'attualità nei Paesi Baschi e della lotta per l'indipendenza e il socialismo. In questa intervista abbiamo posto alcune domande a Jon Iurrebaso Atutxa, ex prigioniero politico basco ed ex militante di E.T.A. sul cosidetto Processo di Pace e sulle sue conseguenze. Per leggere la prima intervista a Sendoa Jurado sul Movimento Per l’Amnistia e Contro la Repressione clicca qui.

1.- Ci spieghi brevemente il tuo percorso di militanza nella sinistra basca?

Il Movimento di Liberazione Nazionale Basco, voglio dire che il mio è lo stesso percorso militante che hanno realizzato molti miei compagni nel Movimento di Liberazione Nazionale Basco. Per quanto mi riguarda, sia dal punto di vista dell’impegno che da quello del numero di anni di militanza, ho militato nell’E.T.A., nell’Organizzazione di Liberazione Nazionale Socialista Rivoluzionaria Basca (Nazio Askapenerako Euskal Erakunde Sozialista Iraultzailea), in Euskadi Ta Askatasuna. Ed è per questo che sono stato arrestato, giudicato e incarcerato tre volte, sia nello stato spagnolo che in quello francese. Per due volte sono stato latitante e sono stato membro anche di altre organizzazioni dell’E.N.A.M., esattamente come molti altri militanti rivoluzionari baschi, come accennato in precedenza.

2.- Come è nato il cosiddetto processo di pace e come è stato percepito dal movimento basco?

È una domanda ampia e complessa per potervici rispondere in quattro righe. Ciò nonostante, proverò a chiarire alcuni punti, sempre secondo il mio punto di vista ed in relazione alla mia esperienza militante, perchè non intendo parlare di questo se non in mio nome. Ne parlerò a livello personale, come militante rivoluzionario, in nome di nessuna organizzazione.

Per prima cosa mi occuperò del “Processo di Pace” (P.d.P.). Per analizzare un po’ questo termine è sufficiente chiarire quello che nasconde al suo interno, in Euskal Herria come in Irlanda, nel Nord Africa, in Salvador, in Guatemala e in qualsiasi angolo del mondo… In questi paesi non è stata utilizzata sistematicamente la stessa formula magica, l’imperialismo ha utilizzato qualche altro travestimento, ma tutti questi processi, secondo me, hanno il medesimo marchio di fabbrica, anche se si sono sviluppati in un tempo, ad una distanza ed in un contesto politico diversi. Insomma, cosa racchiude il Processo di Pace? In poche parole, l’accettazione della sconfitta da parte delle forze rivoluzionarie. Se in un processo di pace una forza rivoluzionaria lascia nelle mani del nemico i mezzi di produzione economici ed integro il sistema oppressivo, se tutto continua a dipendere dal capitale, se si accetta la “Pace”, parola vuota, nuda, lontana dalla lotta di classe, come un fatto astratto…è finita. In primo luogo sono stati vinti ideologicamente, perché hanno consegnato le armi teoriche prima di quelle materiali. Si sono infilati in una sconfitta strategica, a volte senza rendendersene conto. È duro dire questo, ma è la verità. I rivoluzionari di tutto il mondo devono saperlo, soprattutto adesso, perché in Colombia, ancora una volta, si è dimostrato in cosa consistano realmente i “Processi di Pace” promossi dall’imperialismo.

Voglio dire che non è vero che in un determinato momento storico un processo rivoluzionario e liberatore debba in ogni caso (sì o sì) cedere davanti al capitale, prendendo come pretesto la forza rivoluzionaria e le supposte condizioni generali, non capisco in quale situazione catastrofica stiano vivendo. Questa resa può mascherarsi in molti modi:“Visto e considerato che Il tempo delle armi è trascorso, con dei semplici strumenti politici possiamo ottenere quello che con le armi non abbiamo potuto…”, “La lotta armata non è etica”, “Possiamo intraprendere il percorso attraverso le istituzioni”, “Dobbiamo costruire alleanze per nascondere alcune crepe”, “Senza un accordo con la borghesia non ci sarà un avanzamento”. La filosofia del “possibile”, quella che arriva con gli obbiettivi del capitalismo o con quelli dei paesi oppressori. Il possibilismo, quindi. O accantonando l’etica e l’estetica rivoluzionarie, mentre si diffondono a poco a poco i valori ed i concetti filosofici della borghesia…e un lungo eccetera.

In ogni caso, il monopolio della violenza rimane nelle mani del capitale, mentre le nazioni oppresse devono distruggere o consegnare i propri strumenti di difesa al capitale. Che la struttura e la forma di stato (precisamente la forma di stato del capitale) non cambino è cosa dimostrata nelle nazioni citate precedentemente ed in tutti i processi di pace. D’altra parte, è dimostrato che la borghesia, l’oligarchia, i monopoli del capitale internazionale o qualunque sia l’entità/la situazione escono rinforzati dal processo di pace. In poche parole, il “Processo di Pace” è una formula del capitale, una vittoria della maggioranza, per evitare la rivoluzione dei lavoratori del paese. Questi presunti “Processi di pace” putrefatti sono stati strumenti di guerra dell’imperialismo. Senza eccezioni.

Se il capitale non ottiene il suo obiettivo attraverso il “Processo di Pace”, può sempre fare quello che fece con le tigri del Tamil e con la maggior parte della sua popolazione o quello che sta facendo con la Palestina. Per la classe lavoratrice e per il paese oppresso il capitalismo è barbarie. Per il capitale e per la borghesia, invece, la brutalità consiste nell’appropriazione del proprio futuro da parte della classe lavoratrice e degli oppressi. Non è affatto complicato. Non concederanno facilmente i loro privilegi. Si difenderanno con tutte le armi che posseggono. Personalmente credo che dovremmo fare la stessa cosa. E dovremmo avere chiaro che la legge in vigore è la legge del capitale e degli occupanti, che è la legge degli imperialisti. Siamo proprio noi quelli totalmente legittimati a lottare e a difendersi.

Detto questo, perchè siamo arrivati a differenti processi di pace in Euskal Herria? Ci sono diversi processi di questo tipo: quello realizzato in Algeria (chiamato “I colloqui di Algeri”, del 1989), quello che chiamano “Lizarra Garazi” (dal 1998 al 1999) e l’ultimo, quello avvenuto dal 2005 al 2007. Il Processo di Pace giunge dalla Strategia di Negoziazione (S.d.N.). Negli ultimi 60 anni, precisamente da quando naque E.T.A., all’interno del processo di liberazione basco ci sono stati dibattiti e divisioni sia in merito alla posizione politica, sia ideologica che tattica, che in merito alla strategia, come d’altronde è successo anche in altri paesi. Sarebbe un po’ lungo parlare di tutto questo adesso. Tuttavia, almeno, darò la mia opinione in merito alla Strategia di Negoziazione. La S.d.N. e il P.d.P. sono fratello e sorella ed entrambi sono figli del capitale, per così dire, ma non solo del capitale. Perché? Perché la socialdemocrazia, il riformismo, l’opportunismo e diversi settori della borghesia promuovono, aiutano ed applaudono. Migliaia di persone della sinistra nazionalista basca (Ezker Abertzalea) hanno pensato sinceramente che avremmo lottato (inclusa la lotta armata) contro la Francia, contro la Spagna e contro il capitale fino ad ottenere l’indipendenza ed il socialismo. La verità è stata più crudele, e lo è tuttora. C’è stato un tentativo di indebolire e liquidare tutte le lotte rivoluzionarie, e quasi quasi hanno raggiunto il loro obbiettivo, distruggendo il Movimento di Liberazione Nazionale Basco (E.N.A.M.-Euskal Nazio Askapenerako Mugimendua). Ma molti hanno detto “NO” a questo tradimento e a questa resa vergognosa. E continuiamo a lottare per gli obbiettivi di sempre: l’indipendenza, il socialismo, il recupero/la riappropriazione della lingua basca (l’euskara) e la riunificazione nazionale.

La Strategia di Negoziazione non ha mai potuto essere uno strumento tattico in grado di ottenere risultati sufficienti, perché il capitale ed i suoi alleati avevano/hanno completamente sotto controllo lo stesso Processo di Pace. E tanto meno quando la S.d.N. e il P.d.P. si sono trasformati in un obbiettivo. Quindi ebbe fine la posizione rivoluzionaria di E.N.A.M.. Lo stesso E.N.A.M., nella sua totalità, doveva sapere che il capitale ed i suoi alleati avevano inventato la Strategia di Negoziazione, e che il P.d.P. non era altro che un uno slogan velenoso. Alcuni dell’ E.N.A.M. sì lo sapevano, e abbastanza bene tra l’altro. La direzione riformista, opportunista, possibilista e liquidazionista sapeva tutto questo esattamente. Noi, settori rivoluzionarie di E.N.A.M., non avevamo le sufficienti capacità teoriche e strategiche per renderci conto di tutto questo, questo fu il nostro terribile errore. Abbiamo fatto autocritica, approfonditamente, per questo continuiamo a lottare, per correggere con tutta la libertà di azione gli errori fatti nelle tappe precedenti. Abbiamo appreso sbagliando, e adesso sappiamo che dobbiamo studiare approfonditamente la teoria rivoluzionaria, dobbiamo portare avanti la lotta teorico-ideologica senza pietà. Dobbiamo combattere sempre l’egemonia della piccola borghesia, con le unghie e con i denti, per garantire la guida da parte della classe lavoratrice basca durante il processo rivoluzionario di liberazione, precisamente il proletariato basco.

Quindi, come l’ha presa l’E.N.A.M.? Dico che la S.d.N. era in marcia dal 1988, quindi quelli che l’hanno portata avanti sapevano che non avrebbe portato vantaggi al Paese Basco, ma i riformisti dell’Ezker Abertzalea, i socialdemocratici e la piccola borghesia avevano già fatto la loro scelta. Parlando chiaramente e schiettamente, una qualsiasi struttura rivoluzionaria deve sapere che il principale obiettivo del Processo di Pace è la consegna delle armi, perché proprio questo è lo strumento più importante che il capitale, gli stati ed il sistema da esso organizzati non possono accettare. E non stiamo parlando di lotta armata come di un totem, ma come di uno strumento, di una forma di lotta, che deve quindi essere intesa come una strategia rivoluzionaria globale ed integrale al servizio del socialismo e dell’indipendenza.

Come accennato, alcuni avevano scelto da tempo di abbandonare la lotta armata ed i movimenti popolari (e altro) per entrare nel sistema francese e spagnolo. Tutto questo gli altri neanche se lo immaginavano. Credevano sinceramente, innocentemente diremmo ora, che la Strategia di Negoziazione ci avrebbe portati alla vittoria. Dopo aver visto alcune delle cose fatte in questi ultimi anni (o non fatte, a seconda dei casi), tutto questo ci ha fatto pensare che l’E.N.A.M. è finito come doveva finire. Perché? A causa di una terribile mancanza di formazione, perché la lotta politico-militare non aveva stabilito/apportato sufficienti dibattiti, perché i sistemi francese e spagnolo hanno attaccato il Paese Basco culturalmente, economicamente e con la repressione, mentre la borghesia e la piccola borghesia facevano/fanno il loro lavoro. E anche perché, a suo tempo, non abbiamo preparato e armato adeguatamente la resistenza con la teoria rivoluzionaria, come tra l’altro è successo in molti altri paesi. Ovvero, se i nostri obiettivi sono l'indipendenza e il socialismo, perché non creare una struttura comunista rivoluzionaria, a maggior ragione quando crearla non entrava in conflitto con la lotta armata politico-militare?

È ovvio che la lotta che dobbiamo portare avanti deve essere una lotta integrale, che passa obbligatoriamente, inevitabilmente e necessariamente attraverso la costruzione dello Stato Socialista Basco. E ancora una volta si è appurato chiaramente che gli interessi della borghesia basca e quelli della classe lavoratrice basca sono antagonisti, anche se dicono che sono tutti baschi.

3.- Quali erano gli obbiettivi del cambio di strategia e quali, secondo te, le contraddizioni sottovalutate che ne hanno portato al fallimento?

Per quanto riguarda la prima parte della domanda, le ragioni del cambiamento di strategia sono ben note secondo i portavoce dei socialdemocratici (Sortu/EHBildu). Da una parte, dopo gli attentati jihadisti, non si poteva continuare con la lotta armata. D'altra parte il problema era la stessa lotta armata, perché impediva che si estendesse, diffondesse e propagasse il messaggio dell’E.N.A.M. Il popolo basco era maturo... E poiché il nostro nemico si rifiutava di negoziare con l'E.T.A. (le conseguenze del conflitto e non la causa), la Sinistra Nazionalista Riformista Ufficiale avanzò alcuni passi unilateralmente: la consegna delle armi, la consegna della teoria rivoluzionaria, l’accettazione della legge e della legislazione del nemico, e un lungo eccetera. Nel frattempo dicevano che avrebbero intrapreso il cammino della disobbedienza, ma ciò che è successo è evidente. Non si è sviluppata nessuna resistenza civile, da nessuna parte. La Sinistra Nazionalista Riformista Ufficiale ha eliminato tutte le organizzazioni dell’E.N.A.M. (inclusa E.T.A.) e si è integrata nel sistema del nostro nemico. La Sinistra Nazionalista Riformista Ufficiale (Sortu / EHBildu) ha ora accettato una riforma franchista, che a suo tempo aveva negato e respinto, ampliata e sviluppata nel 1978, alla morte di Franco. Fino a che punto? Fino al punto di presentarsi come candidati alle elezioni del capo di governo del Regno di Spagna.

L’Ezker Abertzalea ha sempre affermato che nel ’78 la dittatura, attraverso una riforma simbolica, si trasformò in un sistema parlamentare monarchico borghese (perché è sempre una dittatura della borghesia, ovviamente) e che si ignoravano i diritti nazionali e sociali del Paese Basco. All’oggi EHBildu considera il P.S.O.E.-G.A.L. (Partido Socialista Obrero Español-Grupos Antiterroristas de Liberación) come una forza di sinistra. Le cose sono così, così crude. Se questo fosse poco, ci troviamo di fronte ad una terribile crisi economica e politica. Alcuni la equiparano a quella del ventinove del secolo scorso, quella del 1929, e a gran voce affermano che quest’ultima grande crisi portò alla seconda guerra mondiale, perché il capitale voleva rimettere le cose al loro posto. In questo senso è logico pensare che, in un modo o nell’altro, questa crisi debba passare in Euskal Herria. Ormai non ha più senso fare il figlio smarrito del P.N.V.: “Abbiamo sbagliato, scusate…”. Tutti noi dovremo scegliere. Con chi stiamo? Con la classe lavoratrice?, “Con tutti”?, “Con Euskal Herria”? Quello che diciamo è semplice: non c’è liberazione, se non c’è liberazione integrale. Non ci rimane altro da fare che costruire uno Stato Socialista Basco. E per ottenere l’indipendenza ed il socialismo è indispensabile la rivoluzione. L’unica via. Non c’è altra via.

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, se ho capito bene, mi chiedete perché siamo arrivati a questa situazione. In altre parole: l’E.N.A.M. non avrebbe potuto superare le contraddizioni che aveva in sé, per non giungere a questa situazione?

Precedentemente ho dato alcune chiavi di lettura. Sempre secondo la mia opinione. Prima degli anni 80 nell’ E.N.A.M. ci fu la possibilità non solamente di lavorare a favore dell’Indipendenza, ma anche di approfondire il tema del socialismo in ogni ambito del movimento. Questa avrebbe dovuto essere soprattutto una responsabilità di E.T.A.. Perché? Perché era chiaro che, all’interno di E.N.A.M., E.T.A. era la guida politica del processo. Non fu così, il riformismo e la piccola borghesia iniziarono ad acquistare peso politico e ci condussero nel posto dove siamo al giorno d’oggi o dove siamo giunti. È vero che, e bisogna dirlo senza complessi, la sensibilità comunista (le differenti correnti di sinistra, ma in ogni caso rivoluzionarie) non sapeva o non volle creare una struttura comunista. Secondo me ci sono alcune ragioni principali. Una è che viviamo in un centro capitalista del mondo. Abbiamo vissuto periodi di guerra, ma molti baschi hanno accumulato ricchezze di generazione in generazione, e la filosofia che tutto ciò comporta è molto borghese… D’altra parte, di fronte alle contraddizioni emergeva un un sentimento diffuso: “Dobbiamo mandare avanti tutta la baracca”. È un modo di dire. Ossia una massima e un’ideologia dell’interclassismo. “Dobbiamo conquistare la libertà di di tutti”. Tutti insieme, nell’unione nazionale…

Certo, quale liberazione? Nazionale? Sociale? Nel XXI secolo la borghesia di una nazione non ha altra scelta (e nemmeno la vuole) che combattere con alcuni dei suoi nemici di classe. Quindi stringere alleanze con la borghesia è una grande trappola. La classe lavoratrice di una nazione oppressa deve mantenere alti i simboli del socialismo e dell’indipendenza, in piedi e a testa alta. Dovrebbe anche essere detto chiaramente che questi oppressi non prenderanno mai parte a piccole o a grandi guerre imperialiste, al contrario, vi prenderanno parte con la classe lavoratrice mondiale. Non è vero che dobbiamo dare priorità al “nostro mondo”. Cos’è dunque “il mondo degli altri”? In questo nostro pianeta non ci sarà pace finché ci sarà oppressione. Dobbiamo porre fine ad ogni oppressione. Non c'è futuro senza il controllo da parte degli oppressi in tutti gli ambiti e contesti. Se non siamo in grado di prendere, mantenere e sviluppare il potere degli oppressi, siamo perduti. O voi o noi. Non c'è una via di mezzo.

4.- Quanto le soggettività che hanno guidato il processo ne hanno determinato la linea e quanto invece il disarmo rispondeva a una richiesta diffusa nella società basca?

Qui, in questa lotta, ci sono stati e ci sono approcci di classe o di sotto-classe, sia da parte di Francia e Spagna che da parte di Euskal Herria. Lo sviluppo della lotta di classe in Euskal Herria, dopo tutto. Così stanno le cose. L’alta borghesia e soprattutto la filosofia della piccola borghesia sono state presenti permanentemente da quando nacque E.T.A.. Nell’organizzazione (in E.T.A.), soprattutto nei suoi primi 15-20 anni, ci sono stati moltissimi dibattiti in merito alla situazione che soffre il Paese Basco. Euskal Herria è una nazione? Se lo è, quale Euskal Herria vogliamo? Vogliamo una democrazia come quella che ci sta opprimendo? Alla fine sono stati definiti i soggetti e gli obbiettivi. Per lunghi anni l’obbiettivo è stato quello di fare la rivoluzione socialista in Euskal Herria. Il soggetto la classe lavoratrice basca e in generale il lavoratore basco. E per gli anni a venire…quello che abbiamo appena detto. Il Capitale imperante. La borghesia vincitrice. Al momento.

La società basca chiedeva ad E.T.A. di lasciare le armi? Secondo me non è affatto etico porre la questione in questo modo. Abbiamo raccontato la storia in questo modo? E.T.A. ha consegnato il suo armamento e la sua teoria rivoluzionaria perché lo voleva, o meglio perché i militanti dell’epoca decisero di farlo, a causa delle minacce (perché avevano optato per alcuni cambiamenti strategici) o per loro stessa volontà.

In ogni caso, la società basca voleva molte cose, oltre al fatto che non ci fossero alcuni tiri. Non voleva la disoccupazione, voleva una sanità pubblica di qualità, uno stipendio dignitoso, che l’euskara fosse la lingua ufficiale in tutto il Paese Basco, che tutti potessimo avere una condizione abitativa dignitosa…continuo? Posso continuare per molte altre righe. Se conti sullo stato, sul partito politico e sulla chiesa per diffondere massicciamente e mediaticamente un desiderio, (ad esempio questo desiderio della società basca), questo si trasformerà in un mandato imprescindibile in un tempo determinato. Da utilizzare, inoltre, quando vuoi e con l’intensità che desideri.

Chi dice che la società basca rivendicava il disarmo di E.T.A. e la scomparsa delle dinamiche del percorso verso l’indipendenza ed il socialismo? Se la società basca non rivendicava questo, perché coloro che fecero un vero colpo di stato per il cambiamento strategico hanno proclamato la disobbedienza e da allora non hanno fatto nemmeno un passo? È ovvio. Perché gli stati francese e spagnolo erano e sono d’accordo nel non superare i confini invalicabili in Euskal Herria. Oggi quell’E.N.A.M. che era in prima linea contro il capitale europeo e contro l’imperialismo non c’è più. Quello che abbiamo oggi è semplice: sono i sistemi democratici che ci occupano e che considerano di sinistra il partito P.S.O.E.-G.A.L. (Partido Socialista Obrero Español - Grupos Antiterroristas de Liberación). È schizofrenico affermare che saremo liberati da questi stessi sistemi, rispettando la loro legislazione e facendo docilmente e bonariamente parte delle loro strutture che mantengono l’oppressione nazionale e sociale che subiamo. Qui la lotta di classe ha avuto luogo e questa lotta è appena iniziata.

5.- Da lontano si ha l'impressione che il processo di pace coincida con quasi un divorzio tra i due pilastri storici del movimento basco: il socialismo e l'indipendenza. Secondo te è vero? E se si perché?

Francia e Spagna portano avanti ogni tipo di occupazione nei confronti di Euskal Herria, devono essere individuati altri parametri, vale a dire che il nocciolo della questione risiede nell’occupazione e nell’oppressione che portano avanti Spagna e Francia contro la classe lavoratrice basca, e in nient’altro. Da una parte ci sono i socialdemocratici, i burocrati, la piccola e l’alta borghesia baschi, dall’altra i suoi corrispettivi in Francia e in Spagna, ma non sono nemici tra loro, perlomeno non per portare avanti una guerra di classe. A parte questo, sono pochi quelli che in Francia e Spagna sono pronti a guardare con rispetto la rivoluzione basca. Pertanto per far avanzare la rivoluzione basca ci sono la classe lavoratrice basca, il proletariato basco e i settori cittadini. Tutti questi soggetti costituiscono il popolo lavoratore basco. Questo è il panorama.

Continuando sulla stessa linea, EHBildu si è integrato nel sistema che ci opprime e ci occupa. Ha accettato la loro democrazia e le loro costituzioni e non è pronto a superare i limiti posti da questi due stati. Ma allo stesso tempo dicono che una volta raggiunta l’indipendenza di Euskal Herria si libereranno di tutte le altre oppressioni. Una domanda semplice: ma come è possibile farlo dall’interno del sistema dei nostri nemici? La borghesia basca è abile nel muoversi in queste acque putrefatte, e questi socialdemocratici arrivano tardi con questo discorso, perché qui tutti ci conosciamo molto bene. Quello che è successo qui è quello che successe 40 anni fa in Spagna: anche in Euskal Herria si è installata e stabilizzata la riforma con il permesso della Sinistra Nazionalista Ufficiale Riformista (Ezker Abertzale Ofizial Erreformista) e con la sua partecipazione pubblica e attiva. Noi, invece, lo diciamo chiaro: andiamo a fare la rivoluzione e questo passa sia dall’indipendenza nazionale che da quella sociale, e passeremo aldilà di ogni limite invalicabile, sì o sì. Lotteremo senza tregua fino ad ottenere la vittoria completa del popolo lavoratore basco. Non c’è via di mezzo. Come dicevamo sempre nell’E.T.A.: “Libertà o morte! Rivoluzione o morte!”.

6.- Cosa ne pensi del processo in corso in Catalunya e delle sue caratteristiche interclassiste?

Quando il dittatore Francisco Franco decise di ristabilire la monarchia, accettarono la costituzione del 1978. Di conseguenza la Catalogna si inserì completamente nel sistema neofranchista: da una parte la borghesia catalana fece un patto con l’oligarchia spagnola, per poter godere di una più ampia autonomia, e dall’altra parte i partiti riformisti della classe lavoratrice catalana , il P.S.C. socialista e il P.S.C.U. eurocomunista, si tuffarono a capofitto nella “democrazia”. Quelli che rimasero fuori da questo consenso furono ridimensionati. Per molti anni l’indipendentismo fu minoritario.

Questo accordo istituzionale fu rotto nel 2011 dal Partito Popolare, il Partido Popular di José María Asnar e di Mariano Rajoy. Di conseguenza la maggior parte della borghesia catalana ha deciso di giocare la carta della sovranità, vedendo che una larga maggioranza di lavoratori catalani si stava unendo alla lotta per l’indipendenza. La borghesia catalana pensava di poter controllare e indirizzare il movimento indipendentista a seconda dei suoi interessi. Per ottenere un’autonomia più ampia all’interno dello stato Spagnolo, uno status confederale. Ma la Spagna non può accettarlo in nessun modo, poiché le cose si sono intesite in quella partita di Mus, dove alla fine la borghesia catalana ha scommesso tutto in una mossa azzardata: nel referendum per l’autodeterminazione del 1 ottobre del 2017.

Adesso sappiamo che quel giorno la borghesia catalana si è intimorita, da un lato vedendo la determinazione del popolo lavoratore catalano, la passione, il coraggio nella lotta e la sua forza, e dall’altra davanti alla violenta repressione terrorista del Regno di Spagna. Tutto lo stato, guidato dal re Filippo VI, era pronto ad andare fino in fondo senza contare i morti. E con questo erano d’accordo tutti i partiti nazionalisti spagnoli, inclusi il P.S.O.E. e Podemos.

Quindi la borghesia catalana ha fatto retromarcia, ed è rimasta senza una strategia indipendentista. Poiché, alla fine, la supposta sinistra indipendentista, ovvero la C.U.P., non è stata altro che un satellite della borghesia catalana.

Di conseguenza, al momento, il processo di liberazione nazionale e sociale della Catalogna è bloccato, ma io non ho dubbi sul fatto che presto o tardi il popolo lavoratore catalano troverà la sua strada, quella dell’indipendenza e del socialismo, rivendicando e costruendo la Repubblica Socialista Catalana. Questo si svilupperà cambiando dall’interno la stessa C.U.P. ed il resto della sinistra indipendentista o creando una nuova forza rivoluzionaria? La pratica risponderà a questa domanda.

Noi, tutto sommato, abbiamo espresso una totale solidarietà al popolo lavoratore catalano, e guardiamo con ammirazione il grande ed ampio movimento di massa che hanno creato. Gli diciamo una sola cosa: considerando che è finito il tempo del lideraggio borghese per ottenere l’indipendenza, la borghesia catalana non lotterà per l’indipendenza e ancora meno per il socialismo, perché va contro gli interessi della sua classe. Solo la classe lavoratrice può portare la nazione catalana all’indipendenza, realizzando la rivoluzione socialista.

7.- Ci spieghi quali sono attualmente le condizioni dei prigionieri politici baschi?

La situazione dei prigionieri politici baschi è molto crudele. Quell’avanguardia politica che ha lavorato negli ultimi 60 anni ha lasciato proprio lì i suoi militanti, in carcere (sostenendo che il governo spagnolo non voleva negoziare con loro), e la repressione che subiscono insieme ad altri prigionieri politici baschi è come quella del passato o ancora più violenta. La E.A.O.E. Ezker Abertzale Ofiziala Erreformista (ricordiamo che sono integrati in EHBildu) ha ordinato loro di accettare la legge politico penitenziaria del nemico, ed un certo numero di prigionieri politici sta lavorando in questo. Sappiamo che alcuni non hanno imboccato questa strada e sappiamo che sono capaci di mantenere saldi la dignità politica e personale, la solidarietà umana e politica ed i loro obbiettivi politici. Sappiamo anche che 6 prigionieri politici baschi non sono già più nell’E.P.P.K. (Euskal Preso Politikoen Kolektiboa), perché non sono d’accordo con la linea politica scelta dall’E.P.P.K., quello che è l’E.P.P.K. storico , dalla stessa E.T.A. ed in generale dalla socialdemocrazia basca.