mercoledì 30 maggio 2018

LA DISCUSSIONE SULL'USCITA DALL'EUROPA IN EUSKAL HERRIA


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Già da tempo organizzazioni ed espressioni di sinistra in tutto il continente stanno discutendo sull'opportunità di lasciarsi alle spalle il concetto dell'Europa unita così com'è stata concepita,un conglomerato sempre più ampio di nazioni che stanno vedendo sfiorire non solo il proprio tenore di vita ma soprattutto la società dove si vive,legate al denaro e non al mutualismo ed alla solidarietà tra le persone ed i popoli.
Infatti,lungi da fare un discorso di arricchimento legato al capitalismo ma di qualcosa si dovrà pur vivere,è la mancata coesione sociale il punto che più sta segnando il cammino,anche bello volendo vedere,di essere un insieme.
Non ci si sente cittadini europei così come lo sentono gli statunitensi,nessuno dice in terre lontane che è europeo ma piuttosto italiano,basco,francese o tedesco.
L'articolo(contropiano internazionale-news )parla dell'esperienza di Euskal Herria con una delle assemblee indette da Askapena con la presenza di varie realtà internazionali per parlare di questa uscita dall'Europa,una decisione che non si sta prendendo a cuor leggero ma visto che la solidarietà tra i popoli c'è sempre stata superando i confini andrebbe avanti comunque lo stesso.

Anche in Euskadi si discute dell’exit strategy dall’Unione Europea.

di  **** 
A Bilbao e in altri centri dei Paesi Baschi, l’organizzazione Askapena, storica realtà internazionalista del movimento della sinistra indipendentista basca, ha organizzato alcune conferenze pubbliche sul tema della rottura con l’Unione Europea. A questo ciclo di conferenze partecipano anche due compagni della Piattaforma Eurostop italiana.

Ieri a Romo, un quartiere di Getxo, nella zona di Bilbao, in una sala del Centro di Cultura Basco sono accorse una cinquantina di persone, soprattutto giovani, per ascoltare e discutere di un’alternativa reale alla vita sotto l’UE. L’argomento centrale ruotava intorno al fascismo, le sue forme e il suo sviluppo in Europa. C’è stato il racconto della guerra in Donbass da un compagno che l’ha vissuta direttamente, presente nella casa dei sindacati a Odessa il 2 maggio di 4 anni fa quando venne bruciata dai fascisti e morirono decine di persone. Sono intervenute una compagna dei movimenti femministi e una compagna tedesca della rete di Blockoccupy e i compagni di Eurostop. C’è stato confronto rispetto all’impianto strategico che i popoli in lotta e le organizzazioni popolari devono assumere: l’Europa come spazio politico transnazionale dei movimenti e delle città solidali o rottura della gabbia UE con la prospettiva di creazione di un’area di solidarietà che si opponga l’imperialismo dei blocchi in competizione? Sia i compagni di Askapena quanto il pubblico hanno potuto notare la differenza qualitativa delle proposte in campo. La proposta della rottura della Ue e dell’area alternativa euromediterranea avanzata da Eurostop ha riscosso indubbiamente molto interesse.

Il giro di conferenze avviene in preparazione di una festa popolare del movimento indipendentista basco il prossimo 2 giugno nel contesto del lancio da parte di Askapena della campagna per l’uscita di Euskal Herria dall’Unione Europea.

martedì 29 maggio 2018

IL TENTATIVO TEDESCO DI FORMARE UN GOVERNO


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Mentre Cottarelli tornerà domani pomeriggio a trovare Mattarella per vedere se l'approccio tedesco abbia migliore sorte di quello di Conte per la formazione di un nuovo esecutivo,le dichiarazioni del commissario europeo al bilancio,il teutonico Oettinger,sono di una trasparenza estrema poiché afferma testuali parole che"i mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto".
Una minaccia,una promessa,una cosa buona e cattiva allo stesso tempo?
Ha esagerato a fare questa dichiarazione in quanto ormai Di Maio e soprattutto Salvini avevano già messo da parte e da tempo la loro voglia adolescenziale di uscire dall'Euro e dall'Europa,e lo stallo di questi mesi e la querelle su Savona(madn cottarella-e-mattarelli)farà solo il bene per la Lega in quanto l'Italia,paese d'ignoranza atavica oltre che di forti debiti pubblici,premierà nuovamente gli ex del Roma ladrona.
I due redazionali di Contropiano(i-mercati-insegneranno-agli-italiani )e di Senza Soste(nome-dello-spread-sovrano )narrano del diktat europeo che già ha affossato senza via di ritorno la Grecia che grazie ai complici del capitalismo globale,FMI,banche,agenzie di rating e interessi di speculatori di ogni dove,che ormai viene sbandierato senza nessun pudore né ritegno.
Perché hanno capito che agli italiani le robe bisogna dirle in faccia senza nessun messaggio tra le righe sennò non ci si arriva alla comprensione,partendo dal premier e arrivando all'ultimo dei votanti,in un turbinio di moniti provenienti direttamente dalle alte sfere di Bruxelles.

“I mercati insegneranno agli italiani come votare”. Parola di commissario “tetesco”.

di  Redazione Contropiano 
Non fosse bastato il colpo di Sergio Mattarella, ora intervengono direttamente i boss della Commissione Europea a spiegare che non solo “la sovranità” appartiene ormai ai mercati globali, ma anche il diritto di voto individuale deve essere reimpostato integralmente.

A spiegarlo – secondo quanto anticipa su Twitter il giornalista Bernd Thomas Riegert, che ha intervistato il Commissario Ue a Strasburgo per l’emittente Dwnews – è il commissario europeo al Bilancio, non a caso tedesco, Gunther Oettinger: “I mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto“. Ossia come dicono loro, altrimenti non vale più…

Nel suo delirio di onnipotenza come portavoce dei “mercati” – con cui intrattiene probabilmente rapporti continui, vista la straripante presenza di lobbisti legali a Bruxelles e Strasburgo – Oettinger si lascia addirittura sfuggire i dettagli di una strategia intenzionale concordata tra Unione Europea e “mercati”: “Lo sviluppo negativo dei mercati porterà gli italiani a non votare più a lungo per i populisti“. E’ bene sapere che in questo termine, a Bruxelles, si identificano sia alcuni partiti di destra, sia o forse soprattutto quelli di sinistra, a cominciare dalla sempre più forte France Insoumise, capace di raggiungere il 10,6% alle elezioni presidenziali ed essere al centro delle mobilitazioni popolari contro Macron che stanno scuotendo la Francia da oltre un mese.

E ancora: «Le regole sono chiarissime: i criteri del nuovo indebitamento e dei debiti complessivi vanno rispettate. Se questo non accade ci saranno colloqui molto seri. Anche il governo greco alla fine si è attenuto ai diritti e ai doveri dell’eurozona».

In pratica Oettinger spiega che l’attacco della speculazione ai vari paesi segue una logica condivisa dalla Commissione Europea: chi minaccia di non rispettare i diktat (come è avvenuto per la Grecia tre anni fa ed ora con il defunto governo grillin-leghista) deve essere sbranato con attacchi tali da generare il terrore nella popolazione di quel paese. Che in questo modo “imparerà” a obbedire agli ordini, invece di “montarsi la testa” con pretese pericolose come un po’ di welfare, la scuola pubblica e gratuita, un reddito minimo garantito, salari decenti, occupazione non precaria e magari anche un po’ di autodetrminazione nelle scelte fondamentali.

Una entrata a gamba tesa così sguaiata e reazionaria da spaventare i suoi stessi colleghi, fin qui “narratori” della bella favola secondo cui vivremmo in un mondo libero e democratico, visto che fin qui abbiamo almeno potuto votare apparentemente per chi vogliamo (non ci addentreremo ora sulle conseguenze del “marketing politico”).

E’ stato dunque il più conosciuto commissario agli affari economici, il francese ex “socialista” Pierre Moscovici, a cercare di ammorbidire i toni: “Gli italiani hanno bisogno di scegliere il loro destino ed avanzare con le loro regole democratiche verso il destino che si sceglieranno e allo stesso tempo di restare nell’ambito delle regole comuni e nell’euro, che è positivo per tutti noi“.

Tradotto: potete scegliere se essere spolpati fino alla morte, restando sotto i nostri ordini, oppure essere bombardati subito se provate a fare diversamente (qualunque sia la direzione, anche opposta, verso cui scegliete di andare).

I più disorientati, al momento, sono gli esponenti del Pd (ricordate? Il partito di Renzi…), che stavano aprendo la campagna elettorale proprio sul tema ormai non più nascondibile dell’Unione Europea («Siamo consapevoli che siamo gli unici con una chiara posizione europeista. Su queste basi lavoreremo nelle prossime settimane per costruire una larga e credibile coalizione di centrosinistra», concionava ancora ieri Ettore Rosato). Tanto da costringere il “reggente” Martina a far finta di indignarsi: “Nessuno può dire agli italiani come votare. Meno che mai i mercati. Ci vuole rispetto per l’Italia”. Lo spiegasse a Mattarella, che ha messo i mercati davanti a tutto…

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In nome dello spread sovrano

Mattarella, invocando il potere oscuro dello spread, ha silurato l’avventuriero Savona per incoronare il delfino Cottarelli. Ma, come era chiaro, la nomina di Cottarelli non avrebbe placato gli spread. In poche parole, è cominciato un periodo finanziario drammatico per questo paese, già visto nel 2011. La mossa di Mattarella, la nomina di Cottarelli, si è rivelata arrogante quanto inefficace 

“La democrazia dovrà venire a capo anche del problema della moneta”. Così scriveva, in un articolo del 1931, Karl Polanyi. Siamo del periodo degli effetti in Europa del crack di Wall Street del ‘29, dopo un decennio di crisi finanziaria in Gran Bretagna e Polanyi fa emergere, con tutta la sua drammaticità la contraddizione tra democrazia e moneta. La salute della prima non coincide con il protagonismo della seconda. Una contraddizione arrivata fino ai giorni nostri. La moneta, con i suoi derivati finanziari, è sempre in contraddizione con la democrazia. Il resto è marketing. Una contraddizione così grossa che oggi è stata risolta mettendo sul trono del sovrano lo spread.

Mattarella, invocando il potere oscuro dello spread, ha silurato l’avventuriero Savona per incoronare il delfino Cottarelli. Ma, come era chiaro, la nomina di Cottarelli non avrebbe placato gli spread. Nominato presidente del consiglio grazie al potere dello spread sovrano, Cottarelli è stato subito disarcionato. Da uno spread quota 320. In poche parole, è cominciato un periodo finanziario drammatico per questo paese, già visto nel 2011. E quanto abbia sofferto questo paese, dal 2011 a oggi, quanti rivolgimenti politici ci siano stati, è sotto gli occhi di tutti. Del resto, le crisi finanziarie durano anni, solo le trimestrali di cassa ne godono. Come l’ultima di BlackRock, uno dei più potenti fondi al mondo.

Cosa è accaduto? In fondo, qualcosa di semplice. Il debito pubblico italiano, il quarto del mondo che forma il terzo mercato obbligazionario del pianeta, quest’autunno tendeva ad allargarsi nonostate la cosiddetta crescita italiana fosse la migliore degli ultimi anni (e comunque, nel periodo, sempre la penultima in Europa). Nonostante che il costo del rifinanziamento del debito fosse calmierato dalla Bce, con i suoi acquisti, c’erano tutti i segnali che per l’Italia sarebbe stata di nuovo tempesta. All’epoca segnalavamo che il fondo Bridgewater, un altro molto importante, si stava posizionando per fare guerra finanziaria all’Italia e speculare

Come a marzo segnalavamo che, in questa situazione, l’alleanza Lega-5stelle, stava in uno scenario di inizio di guerra finanziaria con al centro il nostro paese. Proprio in contemporanea con i riposizionamenti di Bridgewater

Ora, la nuova crisi dello spread è riemersa alla fine della scorsa settimana, con l’ipotesi di un governo gialloverde a guida Savona, ed è esplosa con l’inizio della settimana, causando guadagni veri a Bridgewater (e ad altri fondi). E così il Cottarelli incoronato in nome dello spread sovrano si trova a governare su una distesa di macerie. La mossa di Mattarella, la nomina di Cottarelli, si è rivelata arrogante quanto inefficace.

Cosa è accaduto ulteriormente?

Gli spread quando aumentano, una volta acceso il conflitto, rappresentano una spirale: rendono più costoso il rifinanziamento del debito pubblico e svalutano il debito pubblico posseduto. Così il contagio si estende alle banche, che possiedono un’ampia fetta di debito pubblico nazionale (e infatti i titoli bancari crollano). Dalle banche italiane alle partecipazioni estere quindi perdono anche le borse di altri paesi e lo stesso euro. Anche perché, al momento, si intravede anche una crisi spagnola oltre ad altri fattori di tensione internazionale.

Ora, al momento, le tifoserie pro-Mattarella e quelle pro-governo gialloverde si stanno reciprocamente sbranando sulle responsabilità della crescita impetuosa dello spread. Il punto è che il terzo mercato obbligazionario del mondo, in una situazione finanziaria di nuovo difficile, produce naturalmente due frutti pregiati in periodi come questi: la possibilità di giocare al ribasso, guadagnando scommettendo sul crollo dei titoli pubblici di un paese, e la volatilità, un rapido saliscendi dei valori che può produrre grosse perdite ma anche grossi profitti.

Le parti attualmente in conflitto dovrebbero spiegare come uscire da questa situazione. La fazione gialloverde non mostra ricette reali. Dietro la fazione Mattarella, invece, spunta, se la crisi continua, il rischio del reale commissariamento, dall’estero, della spesa pubblica italiana. Mentre lo spread spadroneggia,sovrano. E la contraddizione tra democrazia e moneta rimane di quelle dolorose.

redazione, 29 maggio 2018

lunedì 28 maggio 2018

COTTARELLA E MATTARELLI


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C'è chi parla di golpe,di forzatura e di imposizione dall'alto,quello che è certo è che la decisione del Presidente della Repubblica Mattarella è stata un chiaro avvertimento che la politica,nonostante ci siano stati vincitori e vinti decretati dal risultato elettorale,deve sottostare a poteri forti e non alle decisioni del popolo.
La precisazione fatta nell'articolo proposto(senzasoste.it lora-piu-buia )è ovvia,nessuno tifa e tiferà mai per un governo sostenuto dalla Lega e dai pentastellati,comunque la scelta costituzione di Mattarella di mandare a casa Conte e di chiamare Cottarelli quale probabile premier di un governo lacrime e sangue è della Troika.
Non è andata proprio giù la scelta di avere come Ministro dell'economia Savona(madn mattarella-tra-lincudine-e-il-martello ),ed il testa a testa con Salvini che non intendeva retrocedere su quel nome ha portato Mattarella ad esercitare il suo diritto di proporre un nome per potere creare un governo di transizione solo per la legge di bilancio ed un'eventuale riforma elettorale,anche se ormai non ci si crede a questi esecutivi tecnici.
Naturalmente i deputati e gli onorevoli possono rispedire al mittente Cottarelli,visto che solo il Pd sembra plaudire alla scelta di Mattarella,cosa abbastanza logica ed eventuale a questo punto.
Ma l'articolo incentra il suo punto sulla totale prostrazione all'Europa,all'euro,alle agenzie di rating e la finanza globale,con Cottarelli uomo del FMI pronto a tagliare ovunque,soprattutto sul sociale già devastato dall'ultimo esecutivo e colpendo naturalmente i più poveri.
Quindi Mattarella non bocciato ma sicuramente rimandato visto che si è impuntato su di un possibile Ministro senza guardare con schifo spendendo nemmeno una parola ad un inguardabile fasciorazzista come Salvini Ministro dell'interno oppure ad uno che non ha mai lavorato in vita sua(Poletti docet)come Di Maio Ministro del lavoro.

L’ora più buia.

Mattarella, in un discorso storico, ha chiarito la gerarchia delle fonti di potere sovrano che vanno rispettate nella scelta del governo: l’euro, le agenzie di rating e la finanza globale. Il resto, dalla sovranità popolare e ai partiti, è subordinato. Mai un presidente aveva parlato così chiaro sulla gerarchia della sovranità della moneta continentale rispetto alle stesse scelte emerse dal voto prima e dal dibattito tra le forze politiche poi. Una situazione grave ed esplosiva dove i poteri forti, cioè quelli reali, hanno gettato la maschera e hanno ridisegnato i fondamenti stessi della democrazia.

Vogliamo essere chiari fin da subito. La nostra simpatia politica non si sposta di un millimetro a favore né del presidente della repubblica né della coalizione gialloverde che ha provato a formare il governo. Tantomeno ci schieriamo con fantasiosi interpreti della Costituzione, che si spingerebbero anche a dare poteri quasi dittatoriali a Mattarella, oppure con quei teorici del voto che darebbero mano libera a chiunque ottiene una maggioranza.

La Costituzione italiana, il cui valore è stato confermato nel referendum del 2016, è una costituzione rigida. In omaggio alle grandi crisi degli anni ‘30, tra cui Weimar, non tutto è costituzionalmente ammesso come ad esempio, notoriamente, la ricostituzione del partito fascista. E neanche sono ammessi comportamenti di partiti, anche legittimati dal voto, che cerchino di forzare le prerogative del custode della Costituzione. Quello però su cui Mattarella è andato molto oltre, nel discorso in diretta tv dopo il fallito tentativo di governo Conte, è qualcosa che riguarda la motivazione del veto presidenziale. Mattarella, in un discorso storico, ha chiarito la gerarchia delle fonti di potere sovrano che vanno rispettate nella scelta del governo: l’euro, le agenzie di rating e, aggiungiamo noi interpretando le parole di Mattarella, la finanza globale. Il resto, dalla sovranità popolare e ai partiti, è subordinato. Mai un presidente aveva parlato così chiaro sulla gerarchia della sovranità della moneta continentale rispetto alle stesse scelte emerse dal voto prima e dal dibattito tra le forze politiche poi.

Intendiamoci, l’ibrido gialloverde è un grave problema per questo paese. Una coalizione tra un partito lepenista, che ha tante parole ma nessuna ricetta vera per uscire eventualmente dall’euro, e il movimento 5 stelle, che prima del voto aveva formato una squadra di governo da centrosinistra illuminato per poi voler governare con una destra retriva, risulta solo un’avventura con tante ambizioni ma senza prospettiva e spessore. Un governo euroscettico che voleva i fondi dall’Europa per governare (il programma ce lo siamo letto bene) è quel tocco di comico che ci mancava in questa crisi. Il grottesco, invece ce l’ha messo la stampa tedesca, che, persino nelle testate più serie (e certi giornali li monitoriamo regolarmente, verso altri alleati mai viste queste parole) ha trattato l’italia come una patria di cioccolatai, vagabondi e scrocconi. Alimentando stupidamente la campagna leghista. Campagna che parte con “prima gli italiani”, omettendo che Salvini riceve regolamente la visita dell’anima nera. della comunicazione e dei fondi di investimento, fondatore di Cambridge Analytica, Steve Bannon. Il quale da marzo, l’altro giorno su Sky tg 24, pontifica regolarmente, quando viene in Italia, su cosa dovrebbe fare la maggioranza gialloverde. Ma su questo ci torneremo.

Intendiamoci, questa crisi ha radici lontane. Dagli anni ‘80, dallo choc valutario del ‘92, dal crack finanziario del 2007. I gruppi di potere istituzionale hanno scommesso, da sempre, sull’euro come ancora di salvezza in questa crisi. I partiti, che da questa crisi hanno guadagnato elettoralmente, scommettono invece sul far saltare tutto come mezzo di promozione dei loro interessi e delle loro ambizioni. Il problema è che le loro ambizioni potrebbero farci regredire allo status economico dell’Italia preunitaria.

Il tutto in un contesto globale pieno di pericoli. Con la possibile nomina di un presidente del consiglio, Cottarelli, uomo del Fondo Monetario Internazionale, il killer dei servizi sociali a livello planetario, che vuol provare a introdurre (non si sa come) misure di austerità. E’ l’ora più buia. Con delle sinistre inconsistenti e prive di credibilità, e dei sindacati intenti solo a sopravvivere con comportamenti di piccolo cabotaggio. Nel film di Joe Wright, L’Ora più buia, la Gran Bretagna trova, attorno a Churchill, la forza di non arrendersi all’attacco di Hitler. Da noi non si sa. L’unica certezza è che per uscire da questa situazione, con un paese che ha un povero ogni cinque abitanti (segno di paurosa regressione sociale), serviranno, come disse Churchill in un celeberrimo discorso a Westiminster, sangue, sudore e lacrime.

redazione, 27 maggio 2018

domenica 27 maggio 2018

RAJOY E LO SCANDALO CORRUZIONE IN SPAGNA


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Il governo spagnolo guidato da Rajoy potrebbe avere i giorni contati in quanto lo scandalo corruzione ha portato all'arresto e a pesanti condanne per decine di persone implicate in parecchi casi di finanziamenti illegali al Partito Popular.
Con una trama vasta è stato accertato che il partito politico di destra degno erede del franchismo da almeno il 1999 ha accettato ingenti somme di denaro da parte di imprenditori che in cambio ottenevano favori per i loro affari,ed i giudici sono andati giù con la mano pesante visto che le condanne sia per gli industriali che per i politici arrivano fino ad oltre cinquant'anni.
L'articolo di Contropiano(governo-rajoy-capolinea )parla sia delle accuse mosse al PP che al fatto che in Spagna il tutto cerca di venire insabbiato parlando di altre questioni oltre al fatto che a Madrid ci siano quelli della nuova destra di Ciudadanos che sono pronti ad accogliere i voti dei popolari e che questo non voglia dire che il paese viri necessariamente a sinistra.

I giudici: “il PP è corrotto”. Governo Rajoy al capolinea?

di  Marco Santopadre 
Dall’autunno scorso il Partito Nazionalista Basco condizionava il suo sostegno alla Legge di Bilancio del governo PP-Ciudadanos – che da soli non avevano i voti sufficienti per approvarla – alla fine del commissariamento da parte di Madrid delle istituzioni catalane, sottoposte all’articolo 155 della Costituzione dopo la celebrazione del referendum dell’1 ottobre e la simbolica proclamazione della Repubblica Catalana. Ma mercoledì scorso, nonostante l’esecutivo spagnolo abbia deciso di bloccare il varo del nuovo governo catalano e di mantenere il 155, il partito della borghesia autonomista di Bilbao ha improvvisamente dato luce verde a Rajoy, in cambio di un lieve aumento delle pensioni e di alcuni consistenti investimenti nel Paese Basco, che il PNV potrà rivendicare nella prossima campagna elettorale.

Sembrava che il premier Mariano Rajoy potesse tornare a respirare. D’altronde il Partito Popolare, erede di quella Alianza Popular fondata nella seconda metà degli anni ’70 dalle ali più intransigenti del partito franchista e divenuto dopo neanche venti anni partito di governo, è sopravvissuto quasi indenne a momenti assai più complicati. Come quando, nel 2015, una grossa fetta del suo elettorato decise di abbandonare Rajoy dopo anni di sacrifici a senso unico inflitti alla popolazione sotto dettatura della Troika e numerosi casi di corruzione. In molti avevano predestinato il prossimo tracollo del PP e la fine del “regime del 78” prodotto dall’autoriforma del regime franchista e dall’accordo con il grosso dell’ex opposizione antifascista. Ma le elezioni del 2016 – convocate vista l’impossibilità di formare un nuovo esecutivo – videro una nuova ascesa dei popolari e la riconferma di Rajoy alla guida di un esecutivo che contò sul sostegno della nuova destra di Ciudadanos e sulla tolleranza dei socialisti.

Ma in molti si chiedono se gli eventi di queste ore saranno in grado di affondare definitivamente la destra postfranchista spagnola.

Poche ore prima che Rajoy ricevesse l’ok dei regionalisti baschi, finiva in manette per corruzione l’ex ministro e dirigente del PP Eduardo Zaplana, ex portavoce del primo ministro tra il 2004 e il 2008.  In un vero e proprio crescendo, la Audiencia Nacional ha emesso ieri una sentenza durissima sul “caso Gürtel” scatenando un vero e proprio terremoto.

Il Tribunale ha condannato a un totale di 351 anni di reclusione 29 dei 37 accusati di aver organizzato una trama criminale tra il 1999 e il 2005, finalizzata a finanziare illegalmente il Partito Popolare e alcuni suoi dirigenti approfittando della gestione da parte della destra delle comunità autonome di Valencia e Madrid. La Corte ha condannato a 51 anni di carcere il capofila della ‘banda’, l’imprenditore Francisco Correa, e a 33 anni l’ex tesoriere del PP Luis Barcenas. La moglie di quest’ultimo è stata condannata a 15 anni di reclusione, mentre il vice di Correa a 37. Al sindaco del comune di Majadahonda sono stati inflitti 38 anni.

Quel che è più grave – per Rajoy e i suoi, ovviamente – è che la sentenza considera il PP in quanto formazione politica come responsabile dell’appropriazione indebita di almeno 245 mila euro, e certifica l’esistenza di una contabilità parallela del partito di destra, la cosiddetta ‘Caja B’. All’interno dei registri sequestrati a Barcenas compare anche il nome dell’attuale premier come ‘utilizzatore finale’ delle donazioni illegali intercettate grazie alla rete di corruzione gestita dall’allora tesoriere. I contributi non dichiarati provenivano per lo più da imprenditori che in cambio ricevevano favori e facilitazioni da parte dei governi locali gestiti dal PP. La sentenza afferma che l’impresa di Francisco Correa e il PP hanno creato “un autentico ed efficace sistema di corruzione istituzionale attraverso meccanismi  di manipolazione della contrattazione pubblica centrale, autonomica e locale” contando sulla complicità non solo dei governi locali e regionali ma anche sulla collaborazione di alcuni esponenti di punta del governo statale che in cambio dei favori concessi alle imprese nell’aggiudicazione degli appalti pubblici ricevevano una “commissione” del 3 o 4%.

Di scandali di corruzione che hanno investito esponenti del PP fin dalla sua nascita il curriculum della formazione – definita dai rapporti europei, sulla base del numero di inchieste e condanne, il “partito più corrotto” del continente – è pieno zeppo.

Ma le conseguenze politiche del “caso Gürtel”, tutte da verificare vista l’assuefazione dell’elettorato di destra spagnolo alla corruzione, potrebbero essere maggiori rispetto al passato. Perché la sentenza colpevolizza in PP in quanto tale, e non alcuni suoi esponenti o dirigenti come era avvenuto in passato.

Nel tentativo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica, ieri il governo ha scatenato una maxi operazione di polizia in Catalogna finalizzata a trovare le prove del presunto utilizzo da parte delle autorità di Barcellona di fondi pubblici destinati alla cooperazione e destinati invece all’organizzazione del referendum sull’autodeterminazione. L’ingente mobilitazione di forze dell’ordine, l’alto numero di fermi e perquisizioni ha però portato ad un nulla di fatto.

Rajoy in una intervista si è difeso affermando che “il PP è molto più di dieci o quindici casi isolati di corruzione” (!). Ma stavolta la tegola che gli è piovuta addosso è davvero pesante. L’ex leader del partito, José Maria Aznar, ha chiesto le dimissioni del segretario del partito nel tentativo di tornare in sella e di evitare che la formazione politica venga travolta. I sondaggi degli ultimi mesi segnalavano già un calo significativo dei consensi per il PP, che ora potrebbe diventare assai più consistente, ad un anno esatto dalle elezioni europee, da quelle comunali e di alcuni appuntamenti regionali.

Secondo i sondaggi – per quello che valgono – ad approfittare dell’ennesima crisi del PP sarebbe soprattutto Ciudadanos. il partito di destra nato in Catalogna nel 2005 per controbilanciare il vento indipendentista è da qualche tempo diventato una forza politica di consistente peso politico statale, capace di attirare i consensi in fuga dal PP e anche dal Psoe. Dall’inizio della crisi catalana i suoi leader Albert Rivera ed Ines Arrimadas hanno impresso un notevole giro a destra del messaggio della formazione, che si caratterizza ancora più del PP per la sua ideologia nazionalista e reazionaria e i suoi crescenti legami con l’estrema destra neofascista. Finora Ciudadanos è servito come “caja B” del PP, fornendo agli elettori scontenti un comodo approdo in grado di tenere a galla l’esecutivo e di rafforzare il ‘regime del 78’, passato da bipartito a tripartito. Ma la sentenza sul “caso Gürtel” potrebbe sancire lo storico sorpasso da parte della nuova destra.

Si capirà nelle prossime ore se Rivera, reduce da una kermesse ultranazionalista finalizzata ad un allargamento del partito ad altre aree politiche della destra, approfitterà del colpo inferto dalla magistratura al suo alleato Rajoy per buttare giù l’esecutivo e andare rapidamente ad elezioni anticipate che potrebbero decretarne la vittoria. Nel frattempo i socialisti hanno presentato una mozione di sfiducia che, col sostegno dei partiti di opposizione Unidos Podemos, Erc, PDeCAT, Compromis, Bildu e Nueva Canaria, potrebbe arrivare ad un passo dalla spallata.

Se a votare la sfiducia fossero anche i deputati del Partito Nazionalista Basco – o qualche ‘franco tiratore’ di Ciudadanos, il governo Rajoy potrebbe avere i giorni contati. Ma non necessariamente Madrid ne uscirebbe a sinistra.

sabato 26 maggio 2018

IL VOTO IRLANDESE PER L'ABORTO


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In Italia si era deciso quarant'anni fa,in Irlanda nella giornata di ieri,due paesi molto cattolici ma che in materia di interruzione di gravidanza hanno avuto uno squilibrio temporale immenso,due paesi dove la scelta ora è unitaria ed è un passo in avanti tardivo ma comunque arrivato con successo nel paese irlandese.
Pene fino a 14 anni per chi avesse procurato un aborto era la reclusione massima che si rischiava in Irlanda,ed ora con un'affluenza del 70% hanno detto sì all'abrogazione dell'emendamento costituzionale di cui sopra il 68 contro un 32% dei votanti.
Ciò nonostante ora si dovrà lottare per avere la garanzia di poter scegliere di ottenere l'interruzione di gravidanza,perché come in Italia si potrebbe trovare il caso dei medici obiettori,che in molte zone del paese soprattutto al sud sono la grande maggioranza,per vedere se l'abrogazione della legge avrà uno sviluppo pratico positivo.
Articolo di Infoaut:femminismo-genders .

In Irlanda l’aborto non è più illegale: stravince il sì .

La battaglia di ieri si è giocata infatti sul sì all’abrogazione dell’ottavo emendamento della Costituzione del 1983 che considerava il feto una persona a tutti gli effetti, portatrice del corredo giuridico dei diritti goduti da un cittadino, impedendo così la regolamentazione di qualsiasi forma legale di aborto. Solo dal 2013 l’aborto poteva essere praticato esclusivamente nel caso in cui la madre fosse in “reale e sostanziale pericolo di vita”. 14 anni di carcere per chiunque procurasse un aborto, o anche solo aiutasse una donna ad abortire, anche in caso di stupro.

Secondo gli ultimi dati circa 3.500 donne irlandesi ogni anno si recano in Inghilterra per abortire, e circa 2mila ordinano illegalmente online le pillole abortive. Da ieri a questa legge è stato detto No, il “Sì” all’abrogazione ha vinto col 68% contro il 32% dei “No”.
Treni, aerei, passaggi in macchina, migliaia di emigrati Irlandesi si sono mobilitati per tornare a votare: il totale dell’affluenza sale al 70% (3,3 milioni erano gli aventi diritto al voto).

Le statistiche ci rendono una chiara realtà: le nuove generazioni di donne non sono più disposte ad aspettare per i loro diritti. Fra i 18 e i 24 anni il si vince con l’87%, fra i 25-34 con l’83€ e fra i 39-45 col 74%. Il no supera i sì solo sugli over 65. Tante dichiarazioni pubbliche, soprattutto da parte di testate giornalistiche, insistono sull’importanza che nella vittoria di questo referendum hanno avuto le crescenti migrazioni e le seconde generazioni di immigrati che ora vivono nel paese. D’altra parte è anche vero che si è fortemente politicizzato anche il voto delle giovani e dei giovani Irlandesi emigrati, che a migliaia sono tornati appositamente per votare.

Nella cattolicissima Irlanda, che è riuscita a conservare l’idea dell’aborto come omicidio fino al 2018, la giornata di ieri ha sicuramente segnato un passaggio importante per i diritti delle donne. Cartelli e manifesti sfilano per le città, “Sono una donna e non un utero”, “My body my choice”.
Il rendere l’aborto legale non significherà però la garanzia del diritto all’aborto. Il referendum ha infatti abrogato la legge contro l’aborto ma ora si apre un’altra sfida, quella della garanzia che questo possa essere praticato.

Come ci ricorda questi giorni il dibattito attorno alla 194, legge che in Italia ha regolamentato l’aborto legale, poter abortire non sempre significa che questo diritto venga effettivamente garantito come ci dimostra l’altissimo tasso di obiettori, e soprattutto non significa garanzie sanitarie adeguate e possibilità di scegliere come e quando interrompere una gravidanza. Una libertà inalienabile nonostante le mistificazioni di tutti i reazionari che confondono il diritto all’aborto con l’istigazione all’aborto.
La strada quindi è ancora lunga ma le donne in tutta Europa e nel mondo dimostrano di stabilire un punto di non ritorno: maggiori libertà e diritti per le donne.

venerdì 25 maggio 2018

ALBERTO BRASILI


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Già nel lontano 1975 i giornalisti e gli investigatori relegavano aggressioni mortali di stampo fascista ad aggressioni casuali così come oggi si parla di risse tra balordi o altre motivazioni quando vengono colpiti dei compagni ma anche coppie di omosessuali o stranieri,quasi sempre in branco contro uno o pochi,da parte della feccia che si richiama al nazifascismo.
L'articolo di Infoaut(storia-di-classe )ci parla dell'uccisione in Via Mascagni a Milano del diciannovenne Alberto Brasili,colpito a morte dalle lame di cinque fascisti mentre camminava assieme alla sua ragazza che sopravvisse per puro caso,in un'imboscata avvenuta alle loro spalle nei pressi della sede provinciale dell'Anpi mentre stavano staccando dei simboli dell'Msi.
Alberto era uno studente che lavorava,da sempre impegnato nella lotta per il diritto allo studio e presente durante le occupazioni di scuole in un periodo di lotta sociale e soprattutto di agguati e di assassinii tra le opposte fazioni.

25 maggio 1975: i fascisti uccidono Alberto Brasili.

Domenica 25 maggio 1975: sono le dieci e mezzo di sera, Alberto Brasili, 19 anni, e la sua ragazza Lucia Corna, 23, stanno camminando in via Mascagni, a Milano, vicino a piazza San Babila.
É troppo tardi quando si accorgono di essere stati seguiti da cinque fascisti, usciti dal bar all'angolo fra corso Vittorio e piazza San Babila. Quando Antonio Bega, Pietro Croce, Giorgio Nicolosi, Enrico Caruso e Giovanni Sciabicco gli sono addosso, hanno solo il tempo di vedere il luccichio delle lame.

Alberto viene colpito da cinque coltellate, tutte ad organi vitali, quando arriva all'ospedale Fatebenefratelli il cuore smette di battergli, squarciato da una coltellata. Lucia viene colpita con eguale brutalità, ma sopravvive perché gli squadristi che le si accaniscono addosso la colpiscono all'emitorace sinistro, mancando il cuore di pochi centimetri.

Alberto dall'età di quattordici anni era uno studente lavoratore, frequentava le scuole serali, e di giorno lavorava in un negozio di antifurti elettrici, in modo da portare a casa uno stipendio in più, di cui la famiglia aveva necessità. Egli era un ragazzo che, come molti altri, si impegnava nella lotta per il diritto allo studio, e partecipava alle manifestazioni del movimento: nel 1970 ad esempio aveva partecipato all'occupazione della sua scuola, il Settembrini, per l'introduzione del biennio sperimentale, ed era stato identificato dalla polizia durante lo sgombero.

I due ragazzi aggrediti dalla squadraccia missina erano colpevoli di essere  "vestiti da comunisti", e di aver staccato un manifesto dell'MSI, vicino alla sede dell'ANPI dove poi sono stati colpiti alle spalle.

La situazione a Milano in questo periodo è rovente: a seguto dell'omicidio dell'antifascista Claudio Varalli da parte di Antonio Braggion, militante di Avanguardia Nazionale, avvenuto il 16 aprile, e delle numerose iniziative e manifestazioni antifasciste, il comune si era visto obbligato a negare tutte le piazze per il comizio per l'inizio della campagna elettorale dell'MSI, che si sarebbe dovuto tenere alcuni giorni dopo la morte di Alberto, per evidenti motivi di ordine pubblico.

Alcuni giornali hanno liquidato l'agguato ad Alberto e Lucia come un' "aggressione casuale", o addirittura uno scambio di persona, ma nella realtà quello di Alberto è un "delitto fascista che si lega perfettamente al clima che la destra sta preparando in Milano in vista dell'apertura della campagna elettorale.  Questa uccisione a freddo, apparentemente inspiegabile,  ha lo stesso impatto psicologico di un attentato dinamitardo". (Manifesto, 27 maggio 1975)

giovedì 24 maggio 2018

MATTARELLA TRA L'INCUDINE E IL MARTELLO

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Il Presidente della Repubblica italiana Mattarella,inutile girarci intorno,non è che sia proprio entusiasta di avere un governo guidato da un premier,Conte,uscito fuori dalla coalizione tra i Cinque stelle e la Lega,e in più volte abbiamo sentito tra le righe la sua volontà di tornare alle urne.
L'interessate editoriale di Contropiano(chi-comanda-qui )anche se parla ancora di un Conte che ancora deve essere ascoltato dallo stesso Mattarella,comunque fa già previsioni sui futuri ministri,anzi concentra la lente d'ingrandimento su quello di Savona come papabile a guida di quello dell'economia.
Il Capo della Stato che non vuole accettare diktat(Giorgetti sarebbe in panchina come primo sostituto ma Savona sembra stare bene anche a Di Maio)vede in Savona un pericolo in quanto è passato da essere uno dei primi entusiasti dell'Euro ad euroscettico,dicendolo nell'anteprima di un suo libro e quindi in tempi non sospetti.
A parte che già Conte ha detto che l'Italia deve confermare la sua collocazione europea,alla faccia dei sovranisti e degli euriscettici,anche Savona potrebbe ritrattare le proprie ultime idee se sarà insignito di tale incarico,tuttavia da profondo conoscitore dell'economia prima e dopo il trattato di Maastricht sa che quella italiana è in regresso e ha messo sullo stesso piano degli scontenti sia l'imprenditore che l'operaio(poi intanto sappiamo di come il primo se la sia cavata ancora affossando ulteriormente il secondo).

Chi comanda, qui?

di  Dante Barontini 
Cuocere a fuoco lento i possibili ministri indesiderati e costringere l’improvvisata coalizione “giallo-verde” a mettere da parte qualsiasi velleità populista di stampo euroscettico.

Sembra proprio questa la strategia scelta dal Quirinale, che continua a rinviare la convocazione del povero Giuseppe Conte, indicato da Di Maio e Salvini come presidente del consiglio conto terzi.

Per rendere più facile il compito al presidente della Repubblica, il sistema dei media mainstream si è scatenato obbedendo all’ordine “trovate qualcosa di impresentabile nelle loro biografie”. Un curriculum con qualche menzione (forse) di troppo, qualche dichiarazione interpretata pro “metodo stamina”, è tutto quello che è stato possibile trovare sul conto di Conte. Ma non è importante il “cosa”, tanto è decisivo il “come” lo si racconta…

A Paolo Savona, indicato come ministro dell’economia, è andata meglio, visti i suoi trascorsi come alto dirigente di Banca d’Italia e direttore generale di Confindustria, poi ministro dell’industria nel governo Ciampi. Ma “La Stampa” ha pubblicato inorridita stralci del suo ultimo libro ancora in tipografia, in cui – papale papale – il potenziale ministro scrive “l’euro è una gabbia tedesca”, auspicando ovviamente che l’Italia ne esca.

Savona non è certo un estremista di sinistra, non partecipa alle riunioni della Piattaforma Eurostop e tantomeno simpatizza per Potere al Popolo (che nel programma si propone di “rompere l’Unione Europea dei trattati”). E’ un economista “operativo”, non accademico, uno che conosce a menadito forza e debolezze della struttura industriale italiana. Uno che insomma ha potuto misurare matematicamente gli effetti – negativi – dell’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea e il rispetto dei trattati che la costituiscono, euro compreso.

Solo gli scemi possono considerare la “questione europea” come un problema “ideologico”, perché chiunque si chini sui dati economici constata che in questi 25 anni trascorsi dai trattati di Maastricht l’economia di questo paese è andata peggiorando vistosamente. E lo si può misurare.

Se questa è la situazione oggettiva, cioè un fatto reale, la si può analizzare da molti punti di vista, ma sostanzialmente due: a) quello degli industriali italiani, preoccupati del declino del proprio ruolo nella divisione internazionale dei profitti; b) dal lato dei lavoratori e delle classi popolari, che perdono occupazione, livelli salariali, diritti, servizi sociali ed anche – indirettamente, certo – un patrimonio industriale utilizzabile per altri scopi (per questo motivo, ricordiamo, durante la Resistenza gli operai difesero le fabbriche dalla distruzione pianificata dalle truppe naziste in ritirata).

C’è insomma un euroscetticismo “padronale”, espresso soprattutto dalla parte meno competitiva del sistema industriale, è c’è un euroscetticismo popolare, che nasce dal peggioramento continuo delle condizioni di vita ed anche dalla preoccupazione di poter mantenere una capacità produttiva senza la quale non sarebbe possibile nessuna politica sociale, redistribuitiva, egualitaria. Gli “euro-entusiasti”, invece, sono fondamentalmente servi ben retribuiti dell’establishment continentale…

Paolo Savona, come detto, è da sempre un rappresentante di punta dell’industria italiana e sa spiegare benissimo perché il suo antico euroentusiasmo si sia andato con gli anni affievolendo fino a diventare euroscetticismo, fondamentalmente anti-tedesco.

“La Germania non ha cambiato la visione del suo ruolo in Europa dopo la fine del nazismo, pur avendo abbandonato l’idea di imporla militarmente. Per tre volte l’Italia ha subito il fascino della cultura tedesca che ha condizionato la sua storia, non solo economica, con la Triplice alleanza del 1882, il Patto d’acciaio del 1939 e l’Unione europea del 1992. È pur vero che ogni volta fu una nostra scelta. Possibile che non impariamo mai dagli errori?“.

Comprensibile, diciamo, che Sergio Mattarella si preoccupi di cosa potrebbero dire i suoi colleghi europei nel trovarsi davanti un ministro decisivo come quello dell’economia – che siede di diritto nell’Eurogruppo – schierato così esplicitamente contro l’azionista di maggioranza della Ue. Uno che peraltro coglie anche la contraddizione tra apparenza democratica delle istituzioni e realtà dittatoriale vigente nell’Unione: dietro il “paravento della liberaldemocrazia, c’è una concezione sovietica. La conseguenza è un fascismo senza dittatura e, in economia, un nazismo senza militarismo“.

Stabilito insomma che Savona da ministro dell’economia sarebbe una bomba piazzata nelle relazioni tra governo italiano e resto dell’Unione, c’è comunque il problema – per Mattarella – di giustificare un eventuale rifiuto di nominarlo in qualsiasi posizione all’interno del governo. In base a quale principio?

Savona non è Cesare Previti, l’avvocato di Berlusconi che il Caimano – per motivi ultranoti – voleva mettere sulla poltrona di ministro della giustizia. Non lo si può insomma accusare di voler utilizzare a fini privati una funzione pubblica di primo piano.

L’unica motivazione possibile è dunque relativa proprio ai suoi convincimenti economico-politici. Mattarella dovrebbe insomma invocare la superiorità dell’ordinamento europeo rispetto alla Costituzione italiana e al voto popolare che ha premiato forze moderatamente euroscettiche. Il che mette in discussione le stesse regole della democrazia parlamentare perché, se non vince una coalizione che sta bene a quelli di Bruxelles, allora non vale.

E’ quello che scrive esplicitamente Ugo De Siervo nel suo editoriale odierno su La Stampa (e due!): “la nostra adesione alle Comunità europee e poi all’Unione europea si basa, infatti, proprio sulla prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale (per capirci: le decisioni fondamentali dell’Ue divengono automaticamente efficaci negli Stati membri, senza che vi sia necessità di alcuna ricezione) e quindi una nostra riforma costituzionale divergente ci porterebbe automaticamente fuori dall’Unione.”

Non sappiamo se De Siervo se ne renda pienamente conto (supponiamo di sì, comunque), ma questa affermazione comporta la cancellazione pressoché completa dell’attuale Costituzione italiana (tranne l’obbligo all’”equilibrio di bilancio” inserito nell’art. 81) e la trasformazione di questo paese in una “regione” dell’Unione. Non è insomma per un capriccio che Potere al Popolo sta raccogliendo le firme per modificare l’art. 81 o Eurostop sta facendo altrettanto per poter votare con un referendum democratico sui trattati europei.

Noi, tutti, siamo qui. Questo è il campo su cui si gioca ogni conflitto, compresi quelli sociali (contro i quali l’establishment europeista e quello euroscettico si compattano in un attimo). Chi non lo capisce gioca per qualcun altro, senza neanche accorgersene.

mercoledì 23 maggio 2018

LA "TRAGICA FATALITA' " DELL'INFORTUNIO MORTALE


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In un periodo dove i notiziari parlano soprattutto della politica italiana che sta per vedere nascere un nuovo esecutivo,non dobbiamo credere che le morti sul lavoro siano miracolosamente cessate,è solo che rimangono ai margini delle cronache che per riempire gli spazi utilizzano fatti di cronaca nera che fanno più parlare e spettegolare.
L'articolo preso da Infoaut(precariato-sociale )parla di come le cifre esposte si possano commentare da sole,con infortuni mortali che colpiscono le fasce più elevate di chi lavora e dovrebbe essere prossimo alla pensione o che dovrebbe esserlo già,di come si mascherino con l'aumento dei giorni di malattia gli infortuni meno gravi che per timore di licenziamenti non vanno catalogati nella giusta casistica.
I lavoratori stranieri poi da sempre,se non lavorano in nero e non per colpa loro ma per gli affari di imprenditori ed artigiani senza scrupoli,anche se regolari e con contratti legali,tendono a non denunciare lo stato lavorativo di sfruttamento e gli infortuni che ne derivano.
Con l'andazzo di una pensione sempre più in là col tempo dovremmo aspettarci sempre più morti ed infortuni visto che le condizioni fisiche e psichiche dei lavoratori diminuiscono col passare dell'età non avendo più né la capacità fisica né i riflessi di quando si era giovani o comunque idonei per le mansioni loro proposte.

Morire di lavoro, i numeri e le cause di una strage.

Padova, ore 7.50 di domenica 13 aprile 2018, a causa del cedimento strutturale del gancio di un carroponte un enorme siviera (contenitore) crolla a terra, con il suo carico di acciaio fuso.

Quattro operai: Marian Bratu e Sergio Todita delle Acciaierie e due lavoratori della ditta in appalto Hayama Tech, Simone Vivian e Davide Natale, vengono investiti in pieno dalla colata, 3 di loro lottano ora tra la vita e la morte, mentre il quarto è ricoverato all' ospedale S.Antonio con ustioni sul 70% del corpo.

1350 morti nel 2017, 255 da gennaio 2018 sono i numeri dei decessi sui luoghi di lavoro nel nostro paese, nonostante il gran ciarlare di “industria 4.0” o “gig economy” di produzione si continua a crepare e i diritti dei lavoratori sono diventati argomenti obsoleti, sono un ostacolo per le imprese, le società, le multinazionali.

Prima di tutto è fondamentale ribadire che, sebbene le cronache parlino di “tragiche fatalità”,  le responsabilità di questa catena, ininterrotta,  di morti  sono politiche e padronali. Politiche perché a determinare il peggioramento delle condizioni di lavoro, è, in primis, la ricattabilità favorita dall'abolizione  dell' Articolo 18 che ha dato piena libertà di licenziamento alle aziende obbligando  i lavoratori ad accettare condizioni al limite della sopportazione fisica, come nel caso delle Acciaierie Venete, dove la produzione avviene a ciclo continuo 7 giorni su 7, 24 ore su 24.

Padronali perché dovute anche alla  scarsissima applicazione delle norme antinfortunistiche, all’assenza di consapevolezza dei rischi dei lavoratori, a causa di una  mancata attività di prevenzione da parte dei “datori di lavoro”, della superficialità degli addetti ai controlli (o alla loro completa inesistenza), senza contare le ritorsioni padronali contro chi denuncia la scarsa sicurezza in fabbrica, come avvenuto alla fonderia SACAL, di Carisio (Vercelli), dove un lavoratore è stato licenziato a causa della sua attività sindacale in relazione ad alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa proprio sul versante della prevenzione infortunistica a seguito di un grave incidente avvenuto all’interno della azienda.

A tutto questo si deve aggiungere l'aumento dell'età pensionabile.  Salute malferma, acciacchi, male alle gambe e alle braccia, riflessi poco pronti in un'età avanzata, sono alla base dei 104 incidenti mortali avvenuti nel 2017 nel settore edile  dove si conta il maggior numero di lavoratori in età  avanzata (dai 55 a oltre i 64 anni) , come riportato dai dati dell' INAIL per il 2017. Va ricordato infatti che tanti di coloro che, con la crisi, hanno perduto il lavoro e non sono riusciti a trovarne un altro, rimanendo senza stipendio o pensione, sono costretti ora a svolgere anche le mansioni più pericolose.

Ma facciamo attenzione, perché non tutti i morti sul (di) lavoro “fanno notizia”, se infatti osserviamo bene i dati statistici   relativi ai casi di infortuni mortali divisi per nazionalità possiamo vedere come fra i lavoratori stranieri i casi di infortunio mortale siano molto più bassi rispetto ai lavoratori italiani.  Ciò è dovuto alla condizione di totale invisibilità di questi lavoratori impiegati senza regolarizzazione, in particolar modo nel settore agricolo e quello edile, alla totale mancanza di una copertura assicurativa e alle mancate denunce di infortunio da parte delle aziende che li sfruttano. Gli immigrati sono vittime due volte della mancanza di sicurezza sul lavoro: non solo perché si infortunano il 50% in più degli altri lavoratori, ma anche perché spesso non possono denunciare l'incidente, pena la perdita del posto di lavoro. Se osserviamo i dati fino a ora esposti possiamo notare che gli infortuni mortali avvengono tra le fasce più “tutelate”: lavoratori italiani tra i 40 e i 59 anni.

O i giovani e gli stranieri sono molto più “attenti” oppure, più semplicemente, non sono nelle condizioni di poter denunciare gli infortuni,  dato significativo, in questo campo,  è quello legato alle ore di permesso per malattia, cresciute  dell’11% proprio tra i lavoratori immigrati e quelli italiani al di sotto dei 40 anni Si tratta di un elemento che è  la spia di un sistema diffuso per tacitare infortuni e incidenti: il “datore di lavoro”  fa un accordo con il suo dipendente infortunato chiedendogli, magari in cambio di qualche soldo in più fuori busta, di non denunciare l’infortunio ma di mettersi in malattia. Così si evitano problemi. E forse si spiegano anche in questo modo le cifre minime tra i lavoratori stranieri, e “under 40” e molti dei decessi “postumi” che avvengono in ospedale o al pronto-soccorso.

Per concludere bisogna aggiungere la completa inutilità dell' INL, l'Ispettorato Nazionale del Lavoro, istituito dal Jobs Act (D.Lgs. n. 141/2015)  nato per accentrare le funzioni ispettive, già in parte riformate nel 2004,  è ancora oggi in “fase di assestamento” per ciò che riguarda l’operatività dell’attività di vigilanza degli ispettori territoriali. Le mancanze principali del sistema della vigilanza in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro non sono solo dovute a controlli irrisori, affidati a personale numericamente esiguo ma anche a ritardi nell'applicazione della normativa, molto spesso per una convivenza difficile tra le istituzioni affidatarie della materia, oltre a un apparato di contrasto inadeguato all'entità del fenomeno.

Il “Patto Stato Regioni” in merito,  ha fissato al 5% la soglia minima delle aziende da ispezionare. Tale  obiettivo è stato  raggiunto   soltanto in 14 regioni, con una percentuale media dell'intero Paese che si attesta al 6,6%. Tale  sproporzione  diventa ancora più evidente in determinati settori: la percentuale di aziende agricole ispezionate, ad esempio, è di appena lo 0,37%, con la punta massima in Lombardia del 2,67%.

Ma non sono solo i lavoratori e le lavoratrici a pagare caro il prezzo della “ripresa”, a essere sempre più spesso vittime di infortuni, vi sono anche gli studenti che svolgono “l'alternanza scuola lavoro”, ossia lo sfruttamento di manodopera gratuita stabilito dalla “buona scuola”. Il 6 ottobre del 2017 un altro studente è rimasto gravemente ferito dopo essere stato schiacciato da un carrello elevatore in un azienda di motori nautici a La Spezia. Il 9 maggio uno studente di 16 anni è rimasto gravemente menomato perdendo l'uso di una mano durante uno “stage” presso un azienda di produzione di serramenti  in alluminio (!) di Udine,.

Una delle questioni più spinose di questa vergogna che si chiama alternanza Scuola-Lavoro riguarda la normativa in caso di infortunio o malattia professionale degli studenti impegnati nelle attività.
 Secondo la circolare INAIL N°44 del 21 novembre 2016, il datore di lavoro, che nel caso specifico è il dirigente scolastico, deve assicurare che ciascun lavoratore (e dunque ciascun alunno in alternanza) “riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, con particolare riferimento a: concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza.”. Peccato che molti dirigenti scolastici sottovalutino la problematica relativa alla sicurezza sul lavoro, pensando che l’alternanza si configuri come una semplice attività didattica, come si è avuto modo di vedere nei due casi esposti prima, dove ragazzini inesperti erano alle prese con carrelli elevatori e frese per alluminio ignari (e non per colpa loro) dei rischi che correvano in quanto non avevano fatto i corsi relativi alla sicurezza necessari alla loro mansione. Quello che viene spacciato come “strumento di didattica alternativa” non è altro che mero sfruttamento le cui conseguenze le iniziano a pagare, sulla loro pelle, gli studenti negli stessi identici termini di noi lavoratori.

Le cifre, spaventose, elencate fino a ora ci devono far capire che è fondamentale essere uniti e mobilitarsi per contrastare quella che è una vera e propria guerra fatta contro la nostra classe sociale.

Alla base della ricchezza prodotta, e che finisce tutta nelle tasche dei padroni, vi è il sangue e la vita di migliaia di lavoratori e lavoratrici.

Un operaio metalmeccanico

martedì 22 maggio 2018

UN CONTE PER DUE POLLI


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Il volto nuovo della non politica italiana si chiama Giuseppe Conte e proprio lui sembra dover essere il premier della prossima legislatura che dopo ottanta giorni di consultazioni e di spartizioni di poltrone ha visto l'inciucio fascioleghista e grillino compiersi.
Un nuovo esecutivo che fa già paura di più all'Europa che agli italiani,anche se non c'è da stare molto allegri soprattutto per le politiche sociali ma anche quelle economiche con lo spauracchio della flat tax che vedrebbe avvantaggiati i soliti noti benestanti.
Di origini pugliesi,avvocato e professore di diritto privato con cattedra a Firenze ha insegnato anche all'università privata della Luiss a Roma oltre ad essere componente della commissione cultura di Confindustria(quella dei padroni,ma ultimamente anche dei sindacati confederali),a Malta e Sassari.
Ma il suo curriculum è già nell'occhio del ciclone in quanto molto di quello scritto potrebbe essere non veritiero come le specializzazioni ottenute a New York dove non lo conoscono affatto,anche se è presto per giudicare qualcosa che dovrà ancora fare.
Già proposto dai pentastellati come possibile Ministro della pubblica amministrazione,non ha mai votato i 5 stelle e si è dichiarato uomo di sinistra(e qui una toccata di palle ci sta),sembrerebbe il naturale proseguo di tutti gli ultimi premier non eletti dal popolo e non presente nemmeno nelle liste
elettorali,in barba alle polemiche che ci sono state su questo fatto.
Del fatto che dica che le ideologie del novecento non siano più adeguate e che sia importante giudicare una forza politica da quello che compie nel rispetto del diritto e delle libertà fondamentali dei cittadini,è ancora un rebus che si deve risolvere,perché essere un paladino della giustizia,della legalità e della lotta alla corruzione coccia male con gli amici più stretti di Salvini,che onestamente non riconoscono Conte come nuovo capo del governo:articolo di Left(eletto-dal-popolo ).

Eletto dal popolo.

di Giulio Cavalli   
Movimento 5 Stelle e Lega Nord hanno corso alle ultime elezioni da avversari. Se le sono date di santa ragione, anche. E se due partiti se le danno si santa ragione, inevitabilmente, significa che in quel momento sono convinti di avere differenze irredimibili di programma e, in questo caso, di valori etici. I leghisti dicevano descrivevano i grillini come impreparati, fanfaroni, non credibili; i grillini descrivevano i leghisti come ladri, servi di Berlusconi, pericolosi e molto altro.

Non solo: il Movimento 5 Stelle ha sempre detto di non volere nemmeno immaginare un accordo con i partiti. La diversità del Movimento stava proprio nel ritenere tutti uguali gli altri, inconciliabili con i valori del Movimento. La Lega, dall’altra parte, rivendicava l’appartenenza alla coalizione di centrodestra (ricordate? Salvini voleva esserne il leader, fin dalla campagna elettorale). In sostanza si sono presentati agli elettori così.

Poi: la contestazione fatta al Partito democratico nel corso degli ultimi governi (con tutte quelle che invece nel merito si sarebbero potute fare) fu di avere messo alla presidenza del consiglio Matteo Renzi che alle elezioni non si era nemmeno presentato come semplice parlamentare. Dissero (sia Salvini che di Maio) che un governo non uscito dalle urne è una forzatura del presidente della Repubblica. Inaccettabile, dicevano.

Ancora: tra le diverse contestazioni fatte al governo Renzi ci fu quella di essere avvenuto quando gli equilibri politici erano ormai cambiati. In sostanza l’accusa era di essersi presentati alle elezioni da alleati con la sinistra e poi avere cambiato gli equilibri.

Bene. Facciamo un patto. Quello che sta accadendo ora (e non si dica del contratto di governo perché ogni governo nel momento in cui chiede la fiducia al Parlamento ovviamente illustra un programma, senza bisogno della metafora berlusconiana del contratto) è politica. Mettiamoci d’accordo: o quelli di prima erano pessimi e quindi sono pessimi anche questi, oppure semplicemente la politica e le mediazioni funzionano così, come stabilito nei termini della Costituzione. Almeno questo, prima di partire.

Buon martedì.

lunedì 21 maggio 2018

LA CASA DELLE DONNE DI ROMA VERSO LA PAROLA FINE?


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Ha suscitato molto scalpore ed oggi pomeriggio ci sarà un presidio in piazza del Campidoglio,la proposta della chiusura della Casa delle Donne di Roma,avanzata da una mozione della consigliera pentastellata Guerrini.
A fronte di una richiesta di 830 mila Euro di arretrati per gli affitti del palazzo dove da più di trent'anni si offrono servizi d'assistenza,accoglienza a donne in difficoltà o che hanno subito violenze,oltre ad essere luogo d'incontro e di promozione dei diritti e di cultura,coloro che dedicano il loro tempo ed il loro lavoro a questa Casa,fanno valere il peso di queste opere.
In parole povere se gli vengono chiesti tutti quei soldi loro possono vantare altrettanti crediti al comune di Roma,quantificati in circa 700 mila Euro annui,di tutto un lavoro che lo Stato dovrebbe compiere ma che invece con i tagli al sociale sono delegati senza essere remunerati ad associazioni di volontariato ed altri soggetti.
L'articolo preso da Contropiano(speciale-casa-delle-donne )propone una prima parte di uno speciale con relativa intervista alla Presidente della Casa Internazionale delle Donne Francesca Koch,mentre è doveroso ricordarci che il tanto famoso mutuo sociale di Alemanno fece sì che i ratti di fogna di Ca$$a Povnd hanno avuto in dono un intero stabile appartenente al demanio statale del valore di 11 milioni e 800 mila Euro(madn il-mutuo-sociale-di-alemanno-favore-di Ca$$a Povnd ).

Speciale Casa delle Donne – Prima Parte.

di  Alessio Ramaccioni 
Iniziamo oggi a pubblicare una serie di approfondimenti sulla vicenda della possibile chiusura della Casa Internazionale delle Donne a Roma.

La questione rientra a pieno diritto nello scontro tra legalità e diritti inaugurata a Roma dalla giunta Marino con la famigerata delibera 140 del 2015, proseguita dal Commissario Tronca e resa modello di gestione da parte dell’amministrazione pentastellata.

Il Comune – in breve – vuole 800 mila euro di arretrati, ignorando sia il valore e l’utilità sociale della struttura, sia i soldi spesi per la manutenzione, sia il valore anche economico dei servizi erogati negli anni alla collettività

La scorsa settimana è stata approvata in Aula Giulio Cesare una mozione che chiede la “messa a norma” della gestione dello stabile, che in poche parole significa liquidazione dell’esperienza della Casa Internazionale delle Donne e la messa a bando del servizio.

Insomma, un nuovo capitolo della messa a profitto del patrimonio pubblico cittadino che viene ormai regolarmente sottratto alle strututre che da anni operano nel sociale ed offrono servizi gratuiti o a basso costo alla collettività. Una linea di condotta politica ben precisa che sta trovando nel legalitarismo “duro e puro” del Movimento Cinque Stelle un volano perfetto.

In questa prima parte dello Speciale proponiamo una intervista con Francesca Koch, presidente della Casa Internazionale delle Donne.

Koch, proviamo a riassumere gli avvenimenti di questi ultimi mesi fino ad arrivare all’approvazione della mozione Guerrini.

“La storia inizia a novembre, nel momento in cui abbiamo ricevuto improvvisamente l’ingiunzione di pagamento di un debito pregresso di più di 800 mila euro, pena la chiusura. A quel punto si è aperto un tavolo con l’assessore al Patrimonio, che ci rassicurò rispetto alla possibilità di uno sgombero: finchè era in corso la trattativa, non erano previste soluzioni estreme.

Siamo andati avanti fino a gennaio: noi abbiamo consegnato una memoria in cui ribadivamo le nostre proposte insieme alla nostra visione della situazione.

Secondo noi il valore del debito va decurtato almeno della metà, in nome dei crediti che la Casa Internazionale delle Donne vanta con il comune di Roma: parliamo della manutenzione, dei lavori di restauro deliberati e non finanziati… Noi abbiamo prodotto questa documentazione all’Assessorato al Patrimonio ed abbiamo lanciato delle proposte, a cominciare dall’utilizzo della legge sul terzo settore che prevede il canone gratuito o quantomeno solo simbolico per le realtà che fanno attività sociale.

A quel punto abbiamo iniziato ad attendere le risposte, che in questi mesi non sono mai arrivate. Forse sull’onda della mozione Guerrini qualcosa si è sbloccato, e domani (oggi, ndr) andremo a sentire cosa hanno da dirci”.

Si parla di soldi e di burocrazia, ma il problema è più di natura politica, giusto?

“Beh, l’argomento è un contenzioso finanziario, però è chiaro che il problema non è quello. Il problema sta nella volontà di questa giunta di fare piazza pulita e di chiudere con tutte le realtà associative romane che agiscono nel sociale, tanto è vero che la nostra situazione è simile a quella di molte altre realtà che si sono viste revocare convenzioni, hanno ricevuto ingiunzioni di pagamento della sede a prezzi di mercato, hanno subito il mancato rinnovo di convenzioni scadute… Un trattamento molto rigido di cui non si capisce il senso: dal mio punto di vista una giunta dovrebbe far tesoro delle realtà che collaborano al benessere ed alla vita della città.

Noi ad esempio riteniamo di essere una risorsa per il Comune di Roma, non una realtà solo morosa: è questo punto di vista che non riusciamo a far accettare, e che permetterebbe di spostare il ragionamento su un piano di carattere più politico che ragionieristico, con al centro del dibattito le prospettive della città”.

L’approccio legalitario e “ragionieristico”, come lo hai definito, sembra una delle caratteristiche più evidenti di questa giunta, che appare molto rigida rispetto questioni e temi – come quello sociale appunto – che forse necessiterebbero di un atteggiamento diverso.

“Molta rigidità, si, e anche – se posso dire – una visione asfittica, limitata. Una città non si gestisce guardando solo i conti, ma valutando anche il valore anche economico, tra l’altro, delle attività svolte.

Nel nostro caso, ad esempio, lo stesso Ufficio del Patrimonio aveva riconosciuto il valore economico dei nostri servizi, valutati intorno ai 700.000 euro l’anno. Di che parliamo, quindi? Si tratta di giocare con le cifre, anche perchè poi noi non siamo solo una realtà che offre servizi, siamo un soggetto a carattere internazionale, abbiamo relazioni con tutte le reti internazionali… Tutto questo ha anche un valore economico di cui la Giunta farebbe bene a tener conto”

Il fatto di anteporre i conti e la legalità ai servizi e all’effettivo benessere della collettività è iniziato – nella nostra città – con la Giunta Marino. L’attuale amministrazione ha estremizzato il concetto, facendolo coincidere con il legalitarismo che è caratteristica del Movimento 5 Stelle…

“Più che caratteristica appare come una gabbia! La legalità astratta fa scempio di tutta la giustizia sociale: penso agli sgomberi delle famiglie di via Curtatone, di via Quintavalle… Cosa si è ottenuto, applicando il principio di legalità in modo così assoluto? Si è aumentato il disagio sociale e l’ingiustizia sociale”.

Tornando alla questione della Casa Internazionale delle Donne: si tratta “solo” di legalitarismo o intravedi una volontà politica rispetto alla fine di quella storica esperienza?

“Non tocca a me dirlo. Vedremo nei prossimi giorni quale sarà la risposta. Ovviamente ci auguriamo che non ci sia una volontà politica: loro hanno sempre detto che la volontà di proseguire il progetto c’è, poi… le chiacchiere stanno a zero. Staremo a vedere i fatti, a partire da domani (oggi, ndr)”.

domenica 20 maggio 2018

LA FISSAZIONE USA ED EUROPEA PER IL VENEZUELA


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Oggi ci saranno le elezioni presidenziali in Venezuela,che gli Usa e l'Ue hanno già annunciato come una farsa per il fatto,non vero,che ci sia solo l'attuale Presidente Maduro come candidato,invece ci sono altri due di destra e uno di sinistra.
La data è stata anche posticipata di un mese in quanto in principio tutte le opposizioni avevano deciso di boicottare tale evento,mentre poi una parte di essa aveva scelto di parteciparvi,ma le reazioni Usa che vogliono l'egemonia schiavista su tutto il territorio sudamericano e l'Europa che va a braccetto,polemizzano e soffiano sul fuoco per ottenere uno scontro di massa ed una guerra civile.
Tale desiderio è per mettere le mani sul petrolio in primis e su tutte le altre risorse dello Stato sudamericano,che fanno gola ai governi ed alle multinazionali del mondo occidentale legate a doppio filo con quello statunitense.
Il racconto di Contropiano(venezuela-la-vergogna-della-ue )parla dell'invito non accettato dalla Mogherini in rappresentanza dell'Ue di presenziare con propri osservatori alle operazioni di voto,cosa che faranno organizzazioni indipendenti e che sta facendo l'ex premier spagnolo Zapatero da tempo impegnato nella mediazione tra governo ed opposizioni.
Sono spiegate le metodologie di voto,molto più avanti e trasparenti delle nostre,ed i criteri di scelta degli scrutatori e dei presidenti di seggio,oltre a certi commenti da sciacalli della stampa italiana che non perdono tempo a tacciare Maduro(e non solo)come dittatore perché porta avanti la rivoluzione bolivariana ed il socialismo,vedi anche:madn chavismonuoce-gravemente-al-capitalismo .

Venezuela: la vergogna della Ue.

di  Giorgio Cremaschi 
da Caracas.

Ho tante ragioni per essere contro la UE, ma ora c’è anche la vergogna. Mi sono vergognato in Venezuela di essere un cittadino UE, formalmente così siamo catalogati agli aeroporti, per le parole di Flavia Mogherini. La rappresentante dell’Unione per la politica estera è uscita dal mutismo che l’ha colpita durante la strage dei palestinesi, i bombardamenti in Siria, le violenze naziste in Ucraina e tanti altri crimini internazionali, per intervenire sulle elezioni in Venezuela.

“La UE non le riconoscerà”, ha detto. Come fa la UE a non riconoscere la validità di elezioni cui ha rifiutato di mandare suoi osservatori, nonostante l’invito formalmente ricevuto? In base a che cosa disconosce un voto prima che ci sia stato, solo per gli ordini di Trump?

Il passato capo del governo socialista in Spagna, il moderato Zapatero da anni mediatore del dialogo tra governo e opposizioni, presente in Venezuela per il voto, ha posto la stessa domanda. Come si fa a disconoscere un voto prima che sia effettuato? Soprattutto perché esso viene effettuato con le stesse regole delle elezioni precedenti, mai contestate per la loro regolarità, soprattutto la volta che vinsero le opposizioni.

Come gruppo di osservatori internazionali siamo stati in una scuola dove si stanno organizzando nove seggi e abbiamo seguito l’organizzazione di uno di loro. Prima di descrivere la procedura di voto, vorrei però soffermarmi parlare sugli scrutatori e sui presidenti di seggio. In base alla legge essi sono gente del quartiere in cui si vota, estratti dalle liste elettorali e chiamati ad un compito che è considerato dovere civico e che si può rifiutare solo per comprovati motivi. Essi sono quindi tutta gente del popolo, la più semplice e normale, il volto segnato dalle fatiche quotidiane.

Il voto è integralmente elettronico. Il riconoscimento dell’elettore avviene con il suo documento e poi con l’impronta digitale del pollice. Solo se questa corrisponde al nome contenuto nel registro degli elettori si attiva il computer per il voto. A questo punto l’elettore accede allo spazio isolato e coperto, un tavolo cabinato, nel quale si vota. Con il dito tocca il volto del candidato nella lista prescelta sullo schermo, e poi lo conferma al computer. La macchina emette la ricevuta con il voto, l’elettore la piega, esce dalla cabina, la introduce in un’urna. Poi conferma che ha votato nell’apposito albo degli elettori del suo seggio.

Lo spoglio dei voti avverrà con le ricevute nelle urne e con il conteggio elettronico. I dati verranno inviati poi al centro calcolo nazionale, tutto per via elettronica; una via inattaccabile come hanno detto tanti esperti e ha ribadito lo stesso Zapatero nella conferenza stampa che ho personalmente sentito.

Ho voluto fare questo racconto della procedura di voto, perché sia chiaro che essa è una delle più democratiche oneste e trasparenti al mondo; confrontatela con quella di casa nostra…

Ma “Maduro è un dittatore”, scriveva ancora ieri Il Corriere della Sera, perché alle elezioni non ha avversari. Falso, ci sono due candidati di destra e uno di sinistra. Il principale di essi, Falcon, di cui ho visto foto giganti e manifesti, faceva parte del coordinamento delle opposizioni di destra. Ha rotto con esse per partecipare al voto, con il suo programma ultra liberista molto simile a quello del presidente Macrì in Argentina. Le altre opposizioni invece hanno deciso di boicottare le elezioni presidenziali, nonostante le avessero più volte richiesto nel passato e nonostante si voti con le stesse identiche procedure che avevano sempre accettato. Perché? Evidentemente perché hanno pensato di perdere e questo non possono permetterselo, loro e soprattutto il loro mandante USA.

Dove vuole arrivare chi boicotta elezioni democratiche si è chiesto Zapatero? Lui non si è risposto, noi lo diciamo: alla guerra civile e all’intervento militare americano. A questo stanno lavorando le opposizioni che non vogliono le elezioni, gli stati reazionari e golpisti dell’America Latina e naturalmente Trump.

La signora Mogherini sta con questa compagnia, con il Guatemala ed il Paraguay, dove ci sono vere dittature sanguinarie, che tra l’altro hanno seguito gli USA nella scelta assassina di trasferire le proprie ambasciate a Gerusalemme.

Ma perché verso il Venezuela c’è questa ossessione occidentale? Se lo è chiesto Maduro ricevendo gli osservatori internazionali di tutti i i continenti. Per la scelta socialista del governo bolivariano o per il petrolio, o per tutte e due?

Su questo, su cosa i golpisti vogliono prendere e su cosa vogliono distruggere in Venezuela, torneremo. Intanto vergogniamoci dei mass media, della Mogherini e della UE che sul Venezuela adottano e diffondono le peggiori bugie di Caracas.

sabato 19 maggio 2018

GLI AMICI DEL PRETE PEDOFILO A BRACCETTO CON L'ESTREMA DESTRA A CREMA


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Quello che sta succedendo a Crema in queste notti è orripilante e ignorante,l'affissione di striscioni e manifesti da parte di tutti i movimenti di estrema destra come Caga Povnd,Fogna Uova,e Progetto Nazionale contro la decisione della sindaca Bonaldi di avere firmato l'atto di trascrizione dell'ufficio anagrafe del riconoscimento di doppia genitorialità di due padri che hanno come figli due fratellini nati all'estero.
Il tutto è stato sì una forzatura giuridica,infatti gli uffici avevano dato parere negativo,ma la firma è stata un atto di grande coraggio e soprattutto di umanità cui siamo abituati con la nostra sindaca,che da sempre ha messo la persona al centro delle sue attenzioni e di quelle della giunta e della maggioranza degli ultimi due governi cittadini.
Personaggi delle minoranze attuali e precedenti,alcuni dei quali presenti in entrambe i consigli comunali,hanno da subito detto parole di fuoco contro il sindaco,gli stessi che sono gli amici dell'ex prete pedofilo Inzoli(madn preti-e-sbirri-criminalistessa razza stesse impunità )che hanno sempre difeso a spada tratta e sul quale non hanno mai speso una parola di condanna.
Gli articoli di Crema on line(Omogenitorialità e Crema.+Fratellini+con+due+papà )e i link sotto essi parlano di tutta la questione e della giusta e doverosa replica della Bonaldi a chi,sempre di notte come ratti di fogna quali sono,agiscono spalleggiati a chi starnazza sentenze di giorno,dicendo parole sante come"quel clima orrendo,maschilista e ignorante creato dagli uomini durante il fascismo è passato.
Faremo in modo che non torni più, lasciando agli uomini primitivi solo due armi per batterci:la violenza o la ragione".

Crema. Omogenitorialità e proteste. Bonaldi: 'atti tentati da violenza, difenderemo i diritti'.

“Quel clima orrendo, maschilista e ignorante creato dagli uomini durante il fascismo è passato. Faremo in modo che non torni più, lasciando agli uomini primitivi solo due armi per batterci: la violenza o la ragione”. Il sindaco Stefania Bonaldi commenta a stretto giro l’ultima manifestazione di dissenso sul riconoscimento di due padri alla coppia di gemellini nati all’estero (QUI il dettaglio).

'Tentati dalla violenza'

I volantini affissi all’ingresso del Comune portano la firma di Progetto nazionale Crema. Seguono gli striscioni affissi martedì scorso da Forza nuova e Casa Pound, sulla scia dei tanti commenti – politici e non – espressi durante le ultime settimane.“Sono tentati dalla violenza, ma anche loro hanno la speranza di cambiare”. Il sindaco si rivolge a chi parla “di famiglia naturale”, una “minoranza con un paesaggio interiore impregnato di pretese che non hanno più cittadinanza".

'Diritti da difendere'

Bonaldi ribadisce le proprie posizioni contro chi "vorrebbe intimidirci, immaginandoci soli”. Sottolinea come “fra le donne e gli uomini di Crema sta crescendo la coscienza di nuovi diritti. Gli stessi corpi sociali oscuri che si aggregarono sotto il fascismo vorrebbero negarli. A Crema li difenderemo con forza e convinzione”.

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Fratellini con due papà, prima trascrizione a Crema. Bonaldi: 'accolto il primato della vita'.

Dopo Torino e Gabicce anche il Comune di Crema ha riconosciuto la doppia genitorialità a una coppia di uomini, padri di due fratellini nati all'estero. A fronte di un parere negativo degli uffici, stamattina Stefania Bonaldi ha firmato l'atto di trascrizione dell'ufficio anagrafe. Come spiegato dal sindaco l'iniziativa "risponde al vuoto legislativo nazionale" e "recepisce una sentenza di cogenitorialità emessa all'estero". Si tratta di una rettifica all'atto di nascita dei due bambini: alla voce madre/padre è stato aggiunto il nome del secondo papà.

'Riconoscere il primato della vita'

“Lo spirito che ci ha orientati a questo atto - ha commentato Stefania Bonaldi - è accogliere la vita, qualsiasi vita, attribuendole tutta la dignità necessaria perché si dispieghi. A partire dal suo riconoscimento giuridico". Vengono così evidenziate le molteplicità dei legami affettivi, "in un momento in cui le categorie del passato non riescono più a contenere le forme in cui l’amore e i suoi frutti si manifestano. Anche a Crema abbiamo deciso di riconoscere il primato assoluto della vita e le intenzioni di chi chiede una legittimazione anche di tipo giuridico”.

venerdì 18 maggio 2018

MA SICUREZZA NELLE SCUOLE?


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Alla faccia delle scuole sicure di renziana memoria,quando era il tempo della buona scuola della Giannini accompagnata da tag e notizie che rimbalzavano sui social,ecco un altro esempio accaduto a Fermo dove solo per caso non è successa una strage.
Perché a differenza del caso di Ostuni(madn scuole-differentidestino-differente )dove ci fu il distaccamento di intonaco,qui è crollato proprio il tetto intero,e come si può vedere dalle immagini fornite dai vigili del fuoco sembra l'immagine di un giorno qualsiasi a Gaza o a Damasco.
L'articolo di Contropiano(le-scuole-italiane-sono-a-rischio-di-crollo )oltre a denunciare lo stato delle scuole pubbliche,dove nove su dieci sono a rischio in quanto non rispondono agli standard di sicurezza,pur essendo agibili,parla della speranza di come accade sul lavoro uno studente possa far ritorno a casa il pomeriggio o la sera stessa.

Le scuole italiane sono a rischio di crollo? Colpa degli immigrati.

di  Sergio Scorza 
Quasi tutti i partiti mettono in relazione il tema della “sicurezza” con quello dell’immigrazione. E’ una potente arma di distrazione di massa che molti, troppi, politicanti usano per spostare l’attenzione dalle proprie responsabilità in ordine ad altre ben più reali insicurezze e per fare dei migranti il perfetto capro espiatorio. E’ una vecchia storia e di per sé dovrebbe essere un brutto campanello d’allarme.

Ma si vede che la memoria è corta e gli studi di storia scarseggiano assai, soprattutto tra i numerosi aspiranti candidati a divenire prossima classe dirigente del paese. Oltre all’insicurezza di restare vivi dopo una giornata di lavoro ed a quella che caratterizza le relazioni familiari ed affettive in cui si consumano l’81,3% dei femminicidi (compiuti, in un caso su quattro, da italiani), c’è un altra pesante insicurezza nel nostro paese: quella che ai nostri figli ed al personale della scuola (docenti e personale amministrativo) non crolli, da un momento all’altro, l’edificio scolastico addosso.

Proprio ieri, a Fermo, è crollato il tetto di una scuola. Una tragedia sfiorata per pochissimi minuti. Per fortuna il tetto dell’Istituto Tecnico Statale “Montani” è venuto giù poco prima che studenti e docenti entrassero in classe. L’incidente si è verificato alle 7.10 in un’aula frequentata abitualmente da una trentina di ragazzi e dai loro insegnanti.

Tra il 2014 ed il 2017 si sono verificati 156 crolli che hanno provocato 24 feriti. I dati del MIUR, aggiornati all’anno scolastico 2015/2016, delineano un quadro ben preciso: nove edifici su dieci non garantiscono gli standard di sicurezza a studenti e docenti. In totale sono 44.486 scuole pubbliche su 50.804 ad essere in pericolo.

Nel gennaio del 2008, a Torino, in seguito al crollo di un controsoffitto del liceo Darwin rimase ucciso uno studente di 17 anni e rimasero feriti altri 17. Sempre nel 2008, ad Acilia (Roma), uno studente cadde dal lucernaio della scuola media e morì dopo 24 ore di agonia.

Tra gli episodi recenti più gravi, il crollo l’intonaco di un soffitto in un asilo in Lombardia avvenuto l’8 gennaio 2015 che causò il ferimento di sette bambini. Un anno esatto prima, in un liceo di Lecce, uno studente morì a scuola per la caduta in un pozzo di luce causata dal cedimento di una grata. Nel 2014, a febbraio, crollò l’intonaco del soffitto di una scuola elementare di Palermo e rimasero feriti tre bambini di quarta.

Secondo l’ultimo rapporto di Cittadinanzattiva sulla sicurezza nelle scuole, diffuso a settembre 2017, una scuola su quattro ha una manutenzione inadeguata e solo il 3% è in ottimo stato. Un quarto circa di aule, bagni, palestre e corridoi presenta distacchi di intonaco, segni di fatiscenza, muffe ed infiltrazioni.

Questa è la situazione delle scuole italiane e dovrebbe stare in cima alle preoccupazioni di qualsiasi forza politica che si candidi a governare. Per risolverla ci vorrebbe un grande piano di manutenzione straordinaria con investimenti pubblici adeguati. Ma sappiamo che quegli investimenti non saranno possibili fin tanto che avremo il pareggio di bilancio in Costituzione.

E poi ci sono tante altre emergenze che causano altrettante insicurezze e che vengono sistematicamente ignorate. Quante vittime sono sono causate dalla perdita o dalla ricerca inutile di un lavoro? Quante quelle provocate dalla devastazione dei territori? Quanti muoiono per incidenti stradali? Ed ancora, quante sono le vittime per mancata manutenzione dei mezzi di trasporto pubblici? Tantissime/i e e sono numeri impressionanti.

Ecco, fin tanto che il tema della “sicurezza” non sarà affrontato in relazione a queste drammatiche e reali emergenze anziché essere usato per coprire un pesante vuoto di idee e di politiche pubbliche che fa il paio con la pedissequa accettazione dei rigidi vincoli europei che vietano al nostro paese di fare spesa pubblica in presenza di deficit, continueremo, ahimè, a fare la conta dei morti e dei feriti tutti i giorni.

giovedì 17 maggio 2018

COME IN ITALIA RACCONTANO IL SANGUE VERSATO DAI PALESTINESI


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Hanno fatto molto discutere,direi finalmente,i titoli ignobili di alcune testate italiane nonché dei servizi pilotati di molti telegiornali,compresi quelli pubblici della Rai,che hanno colpevolizzato la Palestina per i suoi morti soprattutto riguardo la strage di lunedì(madn esecuzione-di-massa-in-palestina ).
Come già detto ci si è limitati a parlare di scontri e di reazioni legittime di Israele agli attacchi di Hamas,pietre e miccette contrastati da raid e fucilazioni sommarie avvenute con cecchini protetti da costruzioni impenetrabili.
L'articolo(contropiano la-stampa-italiana-bugiarda-e-vile )racconta la giustificata indignazione di coloro che,me compreso,hanno dovuto sentire o leggere in questi giorni(per esempio il Tg di Raidue dell'altra sera,dopo avere raccontato di quei cattivoni palestinesi,hanno proposto qualche servizio dopo la mostra dell'architettura di Tel Aviv al Maxxi di Roma)confondendo appositamente termini come rabbia,tutela dell'ordine e della sicurezza,amicizia e alleanze,terroristi e terrorismo.

La stampa italiana bugiarda e vile.

di  Giorgio Cremaschi (Potere al Popolo) 
Ho appena sentito il GR2 della RAI chiedere ad un “esperto” dell’università privata Luiss il suo autorevole parere sulla strage di palestinesi. Costui ha spiegato che i palestinesi, soprattutto quelli legati ad Hamas, fanno troppi figli e poi li mandano al massacro alle frontiere di Israele che, magari con qualche eccesso, si difende. Questo schifo è ciò che gran parte di stampa e tv italiane dicono sulla strage.

Se un massacro di ben lunga inferiore a questo ci fosse stato in uno dei paesi che l’Occidente considera nemici dei diritti e della democrazia, noi saremmo bombardati da titoli di giornali e servizi tv di condanna. Invece Israele per la nostra stampa ha licenza di uccidere. Se uccide quotidianamente senza troppo clamore, allora si censura. Se il sangue deborda e la strage è colossale allora si mistifica. È la rabbia dei palestinesi, naturalmente senza altre spiegazioni che la loro naturale cattiveria, fomentata dai terroristi di Hamas, la causa di tutto. I palestinesi sono responsabili dello loro stesse morti.

I soldati vili e criminali che dal sicuro dei loro nascondigli con fucili di precisione assassinano i manifestanti, adulti e bambini, non sono terroristi, ma “tutori dell’ordine”. Le bombe d’artiglieria e degli aerei, i gas, sì i gas sulla popolazione civile sono “legittima difesa”. I volti sorridenti nel mare di sangue della famiglia Trump e di Netanyahu non fanno orrore, essi sono “diplomazia amica”.

Tutto viene falsato, distorto, coperto. La stampa italiana diventa complice degli assassini di Israele nel modo più disgustoso. E tacciono i difensori di regime dei diritti umani, i Saviano e compagnia, che qui si tappano bocca, occhi, orecchie.

Tutto questo a me provoca il vomito, per questo mi tappo la bocca, lo faccio contro la vergogna della stampa italiana e dei suoi maestri di pensiero. Nessuno che abbia coperto o attenuato i crimini di Israele ha più ragione morale di parlare di diritti e democrazia. Falsi e ipocriti vergognatevi.

 Mi tappo un attimo la bocca davanti al vostro schifo, ma poi riprenderò ad urlare: abbasso l’apartheid assassino di Israele, viva la Resistenza del popolo di Palestina.