giovedì 29 aprile 2021

RIVOGLIAMO LA GIOCONDA

La notizia del mandato d'arresto per dieci persone legate in modo più o meno con delle accuse riguardo alla loro appartenenza al mondo della rivoluzione comunista in Italia negli anni settanta e ottanta(quelli che chiamano terroristi od ex rossi)è di una gravità assurda che travalica accordi siglati a metà degli anni ottanta noti come la dottrina Mitterand in relazione ai detenuti politici(vedi l'articolo di Contropiano:la-nuova-europa-passa-anche-per-gli-arresti-di-parigi ).
Una caccia alle streghe vecchia di quarant'anni ricominciata con Battisti regalato a Salvini da Bolsonaro e proseguita ora con Draghi che riceve da Macron questi sessantenni o poco più in un periodo dove la maggioranza vacilla e quella più di destra reclama vendetta più che giustizia,mentre i pecoroni del Pd e compagnia cantante plaudono assieme a Mattarella.
L'articolo(contropiano sette-esuli-arrestati-a-parigi-su-richiesta-del-partito-della-vendetta )spiega cosa ci sia dietro a questi arresti e alle successive estradizioni di persone che hanno vissuto anche da decenni in Francia abbandonando legami e ideologie ma senza mai tradire,mentre come detto tutta la destra e non solo gioisce mentre per tutte le stragi fasciste non c'è fretta,sempre che ce ne sia mai stata.
Ovviamente il titolo provocatorio è stato scelto in quanto il furto della Gioconda,assieme a migliaia di altre opere d'arte scippate all'Italia e presenti in Francia e in ogni angolo del mondo sono ste prelevate con violenze e massacri,dei veri atti terroristici.

Sette esuli arrestati a Parigi su richiesta del “partito della vendetta”.

di  Redazione Contropiano   

Il governo del banchiere Macron vuol far contento il governo del banchiere Draghi, culturalmente egemonizzato dal fascioleghismo e dagli ex campioni della “fermezza”.

Sette italiani rifugiati da quasi 40 anni in Francia sono stati arrestati stamattina per esaudire (o valutare) la richiesta dell’Italia. Altre tre sarebbero al momento irreperibili e dunque ricercati. 

Lo annuncia lo stesso Eliseo (la presidenza della Republique, a conferma dell’interessamento diretto di Emanuel Macron. 

Gli arresti arrivano a 20 giorni dall’incontro in videoconferenza nel quale la Guardasigilli Marta Cartabia aveva ricordato al ministro della Giustizia francese Eric Dupond-Moretti “l’urgente richiesta delle autorità italiane” affinché “gli autori degli attentati delle Brigate Rosse possano essere assicurati alla giustizia”. 

All’incontro Dupond-Moretti-Cartabia sarebbe seguito un contatto telefonico tra il premier italiano Mario Draghi e il presidente francese Emmanuel Macron, nel quale Draghi ha confermato l’importanza della questione per il governo italiano

C’è da chiedersi qual possa essere questa “urgenza e importanza” dopo quasi 40 anni, se non quella di un governo che sta preparando un bagno di sangue sociale ed ha perciò necessità di farsi vedere “inflessibile” (nel doppio senso, sul passato e sul prossimo futuro).

I dieci sono accusati per fatti risalenti agli anni ’70 e ’80, dall’Italia classificati come “terrorismo”. La “dottrina Mitterand”, nell’accoglierli, contestò metodi e procedure processuali dell’Italia di allora, come le condanne in contumacia, l’utilizzo “generoso” del “concorso morale” (che consentiva di condannare anche persone non coinvolte direttamente in una azione), e altri infiniti limiti al diritto di difesa.

I sette sono stati arrestati tutti a Parigi. L’operazione, secondo quanto si apprende da fonti italiane, è stata condotta dall’Antiterrorismo della polizia nazionale francese (Sdat) in collaborazione con il Servizio di cooperazione internazionale della Criminalpol e con l’Antiterrorismo della Polizia italiana e con l’esperto per la sicurezza della polizia italiana nella capitale francese.

Gli arrestati sono in attesa di essere presentati al giudice per la comunicazione della richiesta di estradizione da parte dell’Italia. 

Secondo le notizie diramate da fonti di polizia francesi, si tratta di Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi, accusati di aver fatto parte delle Brigate Rosse. Ma anche di Giorgio Pietrostefani, ex dirigente  di Lotta Continua  condannato per l’omicidio di del commissario Luigi Calabresi (nel cui ufficio venne ucciso Giuseppe Pinelli) e di Narciso Manenti, dei Nuclei Armati contro il Potere territoriale. 

Non è inutile ricordare che stiamo parlando di settantenni che, nel loro soggiorno in Francia, si sono comportati in modo assolutamente “irreprensibile”, come del resto certificato da decenni di occhiuta sorveglianza…

martedì 27 aprile 2021

VIOLENZA ED EDUCAZIONE

Un argomento forte e comunque trattato sempre in maniera non consona all'importanza che ha nella società come la violenza sulle donne,vista anche l'inefficacia degli appelli riscontrata nei numeri sempre elevati,viene trattato con più enfasi quando la vittima o l'aggressore porta un nome importante.
Come nel caso del figlio di Beppe Grillo indagato per stupro assieme a suoi amici e si pensa anche ad altri casi,con la questione finita in Parlamento ed un polverone mediatico in quando ricordiamocelo questo è solo la minima punta di un iceberg che percorre tutta Italia e tutti i giorni.
L'articolo di Contropiano(dedicato-ai-vari-grillo-che-parlano-a-vanvera )racconta la testimonianza di una donna che ha subito violenza e della sua personale reazione che può essere accomunata ad altre centinaia di esperienza così terribili e traumatiche.
Tutti siamo responsabili,tutti possiamo e dobbiamo cercare di avere comportamenti consoni ad un'educazione che c'insegna che le donne non devono essere oggetto di alcuna violenza sia fisica che verbale,e questo tutti i giorni dell'anno non solamente quando ci sono le giornate che ce lo ricordano.

Dedicato ai vari Grillo che parlano a vanvera.

di  * * *   

Una testimonianza di chi ha subito violenza sessuale. Per chi ancora fa finta di credere che a ogni “reato” segua automaticamente e immediatamente una “denuncia”, come se si trattasse del furto di un’autoradio…

*****

“Il giorno dopo” per me non c’è stato per tanto tempo, per me c’era “il tutti i giorni”, tutti i giorni c’era una violenza diversa, tutti i giorni dovevo fare cose normali, pulire casa, sentire i miei genitori, salutare i vicini… tutti i giorni dovevo mantenere una linea di normalità, quando era concesso uscire, mai da sola, dovevo fare la spesa, dovevo sorridere alla commessa, dovevo essere normale, quando di normale non c’era nulla. 

Una volta tornata a casa ci ho messo quasi un mese per dire parte di quello che avevo subito, ci ho messo 2 (!) anni di terapia per capire e ricordare tutto quello mi è successo. 

Eppure i carabinieri, l’associazione contro la violenza, alcune psicologhe, mi hanno detto che avevo una scadenza perché poi la violenza non è più valida. 

Ma… in che senso? Nella mia vita sarà valida per sempre, probabilmente per tutta la vita suderò quando una persona alzerà la voce, probabilmente per tutta la vita quando sentirò un rumore troppo forte avrò un sussulto, probabilmente per tutta la vita starò in allerta e mi sentirò a disagio se un estraneo mi fissa per troppo tempo. 

Ma a quanto pare per la legge la violenza ha una scadenza.

Non importa se per tutta la vita dovrò mostrare le mie cicatrici, ché non è stato possibile coprirle tutte con i tatuaggi, non importa se per tutta la vita dovrò spiegare perché non mi piace che le persone mi stiano troppo vicino, non importa se per tutta la vita io quelle violenze me le ricorderò e se, nonostante l’ottimo funzionamento della psicoterapia, per tutta la vita mi capiterà di avere flashback, incubi e ricordi nuovi, non importa.. o meglio, non importa agli ignoranti, perché se “il giorno dopo” o “ il giorno stesso” fai cose normali, probabilmente ti stava bene. 

Perché chi non vorrebbe una bella coltellata che lascia una cicatrice da sfoggiare come moda primavera-estate? Chi non vorrebbe ricordi indelebili? Chi non vorrebbe avere, per lungo periodo, paura di essere sfiorata anche dai suoi stessi genitori? Chi non vorrebbe provare a portare un bagaglio di vita così importante? Ci si fanno le spalle forti in fin dei conti! In fin dei conti si alza la soglia del dolore, della paura… in fin dei conti “si diventa più forti”.

Perché chi non vorrebbe sentirsi dire dai genitori del proprio “assassino”: te la sei cercata, se stavi lì stavi bene, avresti dovuto esplicitare meglio il bisogno d’aiuto.

Perché sì, si possono definire “assassini”, perché in qualche modo uccidono, anche se so che se una finisse veramente nella bara allora sì che sarebbe vittima, se no no, ti attacchi al treno e fischi in curva. 

Ma infondo questa è la società che si scandalizza ma non agisce, in cui ancora si dà importanza e visibilità all’ignoranza, dove ancora i carabinieri non sono in grado di fornire aiuto, e le volontarie che accolgono nelle associazioni ti chiedono di spogliarti per vedere le cicatrici al primo colloquio, quando nemmeno tu le hai ancora viste perché guardarti allo specchio è ancora troppo faticoso, dove ancora si ignora il fatto che gli eventi traumatici vengono COMPLETAMENTE RIMOSSI ANCHE PER LUNGHI PERIODI: GIORNI MESI ANNI!

Siamo la società dove si fa la pubblicità con la vagina che canta per sdoganare i tabù del ciclo, ma se una persona dice di aver subito violenze ancora viene vista come un’appestata e ancora vede lo sguardo delle persone scostarsi, vede persone prendere le distanze o peggio vede venir sminuita e minimizzata la violenza che ha subito, perché mi è stato anche detto “va beh anche a me è successo che il mio ex alzasse la voce, l’ho lasciato, a me nessuno mette i piedi in testa, non potevi farlo anche tu?” Grazie genio.

Non scandalizzatevi quindi per il video di Grillo, che fa scalpore solo perché è un personaggio pseudo-famoso, perché ha semplicemente riportato il pensiero di gran parte della società e, ve lo garantisco, anche di genitori non famosi.

Perché in fondo a me non interessa se è vero o no quello che ha fatto suo figlio, non sono io che devo scoprirlo, ma mi fa paura, sempre più paura questo mondo, questa ideologia, queste frasi e tante altre che si sentono ovunque.

Perché questo mondo è pronto a creare bambini in laboratorio, ma non è ancora pronto a proteggere una persona vittima di violenza.

Perché è più comodo legalizzare l’aborto facile che prevenire una violenza o fornire un vero accompagnamento alle vittime di stupro.

Una società che millanta apertura mentale su leggi per “difendere la sessualità di tutti”, mentre dovrebbe concentrarsi più su come si protegge una vittima, chiunque essa sia, senza metterla alla gogna o abbandonarla a se stessa.

mercoledì 21 aprile 2021

CRONACA DALLA VALLE

Nell'ultima settimana la lotta No Tav ha segnato passi importanti contro la devastazione e la militarizzazione della Val Susa,con i fatti relativi al presidio di San Didero e la spaventosa violenza poliziesca che ha provocato anche un grave ferimento ad una manifestante,con gli sbirri che hanno sparato lacrimogeni ad altezza delle persone durante un successivo concentramento per portare solidarietà ai manifestanti che resistono su di un tetto.
L'articolo(comune-info il-nemico-interno )fa una cronistoria degli avvenimenti partendo da fatti relativi anche a quasi dieci anni fa e parla della scarcerazione di Dana Lauriola(madn il-carcere-per-dana )che ora è ai domiciliari,senza dimenticare che altri attivisti sono ancora detenuti e contro altri militanti No Tav le violenze esulano anche al di fuori dei cortei con intimidazioni personali.

Il nemico interno.

di Alexik

Nella storia giudiziaria del movimento No TAV, l’esempio più eclatante di  “sovra-dimensionamento del fatto di reato“,  è sicuramente quello relativo al cd “processo del compressore”, che vide nel 2013 quattro militanti No TAV accusati di terrorismo a fronte del danneggiamento di un mezzo di cantiere. Ma anche nel “processo del casello”, la dismisura dell’imputazione salta agli occhi, nel definire “violenza” il fatto di incanalare gli automobilisti verso un varco aperto, o attribuire l’interruzione di pubblico servizio in assenza di un blocco della circolazione disposto dai manifestanti. L’incriminazione di Nicoletta, che davanti a quel casello non aveva fatto altro che reggere uno striscione, di Dana, che non aveva fatto altro che parlare al megafono, di Stella – oggi ai domiciliari – che distribuiva volantini, si è articolata grazie all’utilizzo del concorso di persone, una modalità per attribuire qualsiasi reato commesso durante una manifestazione non solo, e non tanto, all’eventuale artefice ma alla generalità dei presenti. Una modalità di uso molto frequente per i processi No TAV 

[La sera di lunedì 12 aprile, in pieno coprifuoco, oltre 1000 agenti antisommossa con idranti e lacrimogeni hanno scortato le ruspe fino ai terreni dell’ex autoporto di San Didero, caricando il presidio No TAV che da mesi occupa quest’area boschiva per impedire la costruzione di un ulteriore ecomostro.

Da allora in questa parte della Valsusa vige un sostanziale stato d’assedio, con una massiccia presenza poliziesca che in questi giorni si è distinta per le cariche sui manifestanti, l’uso dei gas fin dentro il paese di San Didero, l’incendio di una macchina di una attivista No TAV, lo spargimento nei campi di cartucce di lacrimogeni inesplose, lo schieramento di truppe per impedire l’apertura del mercato cittadino.

Tutta questa violenza è finalizzata a proteggere il cantiere per la costruzione di un nuovo autoporto, un’opera funzionale al progetto complessivo del TAV Torino/Lione, irrazionale rispetto alle sue funzioni dichiarate e foriera di un impatto ambientale pesante e permanente sugli abitati vicini (qui i dettagli).

Nel pomeriggio di ieri il movimento No TAV ha risposto con migliaia di persone, unite in un bellissimo corteo contro questa ulteriore aggressione.

Un corteo che ha espresso tutto il suo caloroso affetto alle compagne e ai compagni che non hanno potuto parteciparvi perché privati della libertà personale. A loro dedichiamo l’articolo che segue.]

Da giovedì scorso Dana è finalmente a casa, anche se non è ancora libera. Il processo che ha portato alla sua carcerazione, oltre a quella di Fabiola (che è ancora alle Vallette) e, prima ancora, di Nicoletta, riassume in sé ed estremizza alcune caratteristiche ricorrenti nella criminalizzazione giudiziaria del movimento No TAV.

I fatti all’origine delle loro condanne sono noti.

Il 3 marzo del 2012 circa 300 manifestanti occuparono per mezz’ora il casello dell’autostrada Torino-Bardonecchia all’altezza di Avigliana al grido di “OGGI PAGA MONTI”, per contestare sia la politica dei sacrifici voluta dal governo tecnico che la complicità della Sitaf (società gestrice dell’autostrada) con il progetto del TAV Torino/Lione.

In quell’occasione venne alzata la sbarra del casello permettendo agli automobilisti di uscire senza pagare il pedaggio, mentre si provvedeva ad un volantinaggio e speakeraggio per spiegare le motivazioni alla base della protesta.

Erano giorni di forti mobilitazioni, giorni in cui Luca Abbà lottava fra la vita e la morte dopo la folgorazione e la caduta da un traliccio dell’alta tensione in seguito all’inseguimento di un poliziotto.

La manifestazione al casello era una fra le tante di quel periodo, e si concluse defluendo senza nessun incidente o contatto con le forze di polizia.  Il danno alla Sitaf per mancati introiti venne quantificato in 777,00 euro.

Per questo episodio puramente dimostrativo 12 compagn*, fra cui Dana, Fabiola e Nicoletta, sono stat* condannat* ad un totale di 18 anni di carcere con le accuse di violenza privata e interruzione aggravata di servizio di pubblica necessità, al termine di una vicenda processuale che può essere considerata emblematica della gestione penale della questione No TAV.

Alessandro Senaldi, nella sua analisi1 su 151 procedimenti penali contro il movimento (che abbiamo commentato nei capitoli precedenti) identifica, fra gli elementi ricorrenti nei processi, la tendenza al “sovra-dimensionamento del fatto di reato“, cioè l’attribuzione di imputazioni abnormi  rispetto alla realtà dei fatti contestati.

“Nel materiale studiato è presente un sovra-dimensionamento del fatto di reato, operato principalmente attraverso due strade, per un verso, con una elefantiasi delle imputazioni, …. per un altro verso, utilizzando largamente gli istituti del concorso di persone e delle aggravanti. Tale sovra-dimensionamento produce alcuni importanti effetti dal punto di vista giuridico, infatti: permette alla procura di richiedere ed ottenere le misure cautelari, l’eventuale proroga delle indagini preliminari e l’uso di strumenti probatori invasivi e lesivi delle libertà individuali; rende praticamente impossibile il raggiungimento della prescrizione; comporta – rispetto a fatti analoghi – un indurimento delle pene comminate dai giudici”.

Nella storia giudiziaria del movimento No TAV, l’esempio più eclatante di  “sovra-dimensionamento del fatto di reato“,  è sicuramente quello relativo al cd “processo del compressore”, che vide nel 2013 quattro militanti No TAV accusati di terrorismo a fronte del danneggiamento di un mezzo di cantiere2.

Ma anche nel “processo del casello”, la dismisura dell’imputazione salta agli occhi, nel definire “violenza” il fatto di incanalare gli automobilisti verso un varco aperto, o attribuire l’interruzione di pubblico servizio in assenza di un blocco della circolazione disposto dai manifestanti.

L’incriminazione di Nicoletta, che davanti a quel casello non aveva fatto altro che reggere uno striscione, di Dana, che non aveva fatto altro che parlare al megafono, di Stella – oggi ai domiciliari – che distribuiva volantini, si è articolata grazie all’utilizzo del concorso di persone, una modalità per attribuire qualsiasi reato commesso durante una manifestazione non solo, e non tanto, all’eventuale artefice ma alla generalità dei presenti.

Una modalità di uso frequente per i processi No TAV, rilevata da Senaldi in più di un terzo dei procedimenti presi in esame nella sua indagine

“Una delle connotazioni della modernità, nel diritto, è il carattere personale della responsabilità penale, proclamato, nel nostro sistema, dal primo comma dell’art. 27 della Carta fondamentale…

Eppure, nei processi per fatti “di piazza” la tendenza a dilatare la responsabilità, con una sorta di proprietà transitiva, a tutti i partecipi a manifestazioni nel corso delle quali vengono commessi reati, pur in assenza di specifiche condotte individuali antigiuridiche e/o della prova di un previo accordo con gli autori dei delitti commessi, è un classico.  Di ciò v’è ben più che una traccia nelle ordinanze cautelari emesse nei procedimenti valsusini per resistenza, violenza e lesioni”3.

L’uso abituale del concorso quale forma di punizione collettiva, così come il ripetersi di imputazioni abnormi, rafforza l’ipotesi, descritta da Xenia Chiaramonte4, di una sperimentazione da parte della Procura e del Tribunale di Torino di una giustizia funzionale alla sconfitta di un fenomeno, di “un diritto che si fa arma di lotta, al posto che strumento di garanzia“.

In pratica, di un “diritto penale di lotta” che, a differenza del “diritto penale del nemico”, basato sullo stato di eccezione, s’inscrive ancora dentro a una logica “normale”, mantenendone intatta la forma ma forzandone la sostanza.

La sentenza contro Dana e le altre compagne e compagni è una delle espressioni di questa continua forzatura, che si esprime anche nell’ammontare della condanna a due anni, laddove per la violenza privata si poteva tendere alla pena minima di 15 giorni.

Una scelta eloquente soprattutto se comparata ad altre decisioni dello stesso tribunale, molto meno severe davanti a differenti tipologie di imputati.

Due anni per Dana dopo una dimostrazione simbolica stridono parecchio, per esempio, a confronto con i quattro anni (sicuramente riducibili in appello) comminati dallo stesso tribunale al patron dell’Eternit Stephan Schmidheiney per la morte di due operai dello stabilimento di Cavagnolo, in seguito all’esposizione all’amianto5.

Al “diritto penale d’autore”, per il quale conta chi sei e non quello che fai, nel caso di Dana si è affiancato anche il “diritto penitenziario d’autore”, quando il tribunale di sorveglianza di Torino le ha negato, lo scorso settembre, le misure alternative al carcere, per quanto fosse incensurata e avesse un lavoro stabile, e nonostante  la diffusione del COVID-19 alla Vallette.

Sorprendenti le motivazioni del rifiuto: la mancata presa di distanza di Dana dal Movimento No TAV e il fatto di abitare in Val di Susa.

“La lunga carriera militante della Lauriola è perdurata fino a epoca recentissima, dando prova della sua incrollabile fede negli ideali politici per i quali non ha mai esitato di porre in essere azioni contrarie alle norme penali … La collocazione geografica del domicilio del soggetto coincide con il territorio scelto come teatro di azione dal movimento No TAV“.

Motivazioni molto simili a quelle utilizzate, due anni fa, per negare le misure alternative a Luca Abbà, e che stanno sedimentando pessimi precedenti.

L’assurdità della condanna di Dana e della sua detenzione in carcere sono riuscite a smuovere un vasto movimento di opinione, che ha coinvolto giuristi, artisti solidali, associazioni, finanche Amnesty International, preoccupata per la tutela del diritto alla libera espressione pacifica del dissenso. Presa di posizione inimmaginabile fino a qualche anno fa, che rende l’idea della misura della contrazione degli spazi di agibilità politica in questo paese.

Forse di tale involuzione ce ne eravamo già accorti da un pezzo, ma è innegabile il fatto che il messaggio, sia che provenga dal ministero degli interni che dalla magistratura, diventi sempre più chiaro.

“Niente resterà impunito”, nemmeno un  sit in gandhiano, qualora ci si ponga il problema di ostacolare veramente i progetti di devastazione sociale e dei territori. Tantomeno ora, alla vigilia della  “rinascita della patria” a suon di grandi appalti ad altissimo impatto ambientale,  in serbo nel prossimo Recovery Plan.

La strada per reagire a tutto questo, come al solito, ce la mostrano quei testardi valligiani: non lasciare indietro nessun*, non arrendersi, non farne passare una, mettere in conto le conseguenze giudiziarie del proprio agire, organizzarsi e trasformare, se capita, anche la carcerazione in un momento di mobilitazione e di lotta.Stampa, crea PDF o invia per email

1.Alessandro Senaldi, I dati dei processi contro i/le No Tav: un contributo al dibattito, in “Studi sulla questione criminale“, 17 dicembre 2020. 

2.Xenia Chiaramonte, Bisogna davvero difendere la società? I processi penali a carico degli attivisti No Tav tra difesa sociale e difesa dello stato, Sociologia del diritto 2/2019, p. 163-189. 

3.Livio Pepino, La Val Susa e il diritto penale del nemico, in Come si reprime un movimento. Il caso TAV. Analisi e materiali giudiziari, Intra Moenia, 2014. 

4.Xenia Chiaramonte, Governare il conflitto. La criminalizzazione del movimento No TAV, Meltemi, 2019 

5.Sarah Martinenghi, Eternit, l’imprenditore Schmidheiny condannato a quattro anni di carcere per omicidio colposo, La Repubblica, 23 maggio 2019. 

Fonte: Carmilla online, dove Alexik ha pubblicato anche le altre sette puntate che precedono questa de “Il nemico interno”

lunedì 19 aprile 2021

L'INTERESSE STATUNITENSE PER IL DONBASS

La pressione sempre più crescente che i mass media utilizzano in questi giorni riguardo all'annosa questione del Donbass per la gran parte è dovuta alla politica estera degli Stati Uniti che stanno tornando ai tempi della guerra fredda.

L'articolo di Contropiano(la-dinamica-dellescalation-in-donbass )analizza questa situazione proprio facendo riferimento alla nuova bellicosità di Washington nei confronti di Mosca,con Putin che ogni santo giorno riceve critiche e nuove sanzioni e deve tenera a bada l'opinione pubblica col caso Navalny,e il conflitto con l'Ucraina per il controllo del Donbass e della Crimea dure da sette anni(madn sempre-piu-pressioni-per-allargare-la guerra )intervallato da momenti di guerra intensa e altri con meno azioni di guerriglia come questo(si muore comunque lo stesso).

Il piano statunitense di mettere pressione sulla Russia è ovviamente uno stratagemma per colpire economicamente il paese che nonostante alti e bassi rimane sia strategicamente che politicamente una potenza mondiale di primo livello,e gli spostamenti di ingenti quantitativi di truppe verso la zona di guerra è un passo che Mosca decide per proprio conto senza seguire suggerimenti o minacce esterne.

La dinamica dell’escalation in Donbass.

di  Alberto Fazolo  

Da alcune settimane i media mainstream occidentali hanno iniziato una campagna stampa per denunciare l’aumento della tensione in Donbass narrando di una escalation che in realtà non è così inedita come vorrebbero far credere: da quando è iniziata la guerra, cioè sette anni fa, recrudescenze analoghe sono ordinaria amministrazione. 

In questi anni non si è mai registrato un così alto livello di attenzione mediatica, neanche in casi ben più gravi di scontro aperto, sorge quindi il legittimo sospetto che i media mainstream stiano facendo un lavoro preparatorio per una qualche più ampia operazione.

Sicuramente quella in atto è una nuova fase dello scontro tra USA e Russia. Con l’elezione di Biden la politica estera statunitense è tornata su una linea più convenzionale, tracciata con la “guerra fredda”.

I media mainstream stanno svolgendo un ruolo nella nuova offensiva statunitense contro la Russia, questa si articola in due aspetti, uno generale di contrapposizione tra USA e Russia e uno specifico legato a questioni commerciali.

L’aspetto generale di contrapposizione tra le due potenze nucleari non è ancora alla sua fase apicale, rimane nello stile da “guerra fredda”: le provocazioni non portano ad uno scontro diretto tra USA e Russia. 

A tal riguardo, bisogna chiarire chi abbia iniziato le attuali mobilitazioni militari. I grandi movimenti di truppe a cui si sta assistendo non sono il preludio alla guerra di cui parlano i media che fanno terrorismo mediatico, ma ordinaria amministrazione in un contesto di “guerra fredda”. 

L’anno scorso le truppe NATO avevano in programma una mastodontica operazione militare lungo tutti i confini europei della Russia (Defender Europe 2020, che prevedeva l’impiego di 40 mila uomini), questa però a causa dell’epidemia venne rinviata alla primavera 2021 e ridimensionata a 28mila uomini. 

In previsione di un tal dispiegamento di forze ostili lungo i propri confini, è ovvio che la Russia con adeguato anticipo iniziasse a schierare delle truppe di difesa all’interno del proprio territorio. 

Quella che i media mainstream occidentali descrivono come un’aggressiva politica della Russia che schiera uomini e mezzi a ridosso del confine, è in realtà la risposta ad una provocazione fatta dalle forze della NATO. 

A tal riguardo va notato che la Russia schiera i propri uomini dentro i propri confini, mentre le forze della NATO si trovano a migliaia di chilometri dai rispettivi paesi. In definitiva si tratta delle ordinarie dinamiche da “guerra fredda” e non c’è motivo di pensare che si possa arrivare proprio ora ad uno scontro militare diretto tra potenze nucleari.

Tuttavia, come detto, c’è anche un aspetto specifico legato a questioni commerciali: sta per essere ultimato il gasdotto “North Stream 2” che collegherà la Russia alla Germania. Si tratta di un progetto che gli USA vogliono assolutamente impedire e pertanto hanno elaborato un mediocre trabocchetto contro la Russia. 

L’idea è quella di trascinare la Russia in un conflitto locale per poi imporle delle sanzioni commerciali che impediscano l’utilizzo del gasdotto. Sanzioni del genere furono comminate alla Russia già dopo l’annessione della Crimea del 2014. 

A differenza di quanto racconti la propaganda occidentale, le forze armate russe non hanno mai preso parte alla guerra del Donbass, la missione OSCE schierata sul campo fin dall’inizio del conflitto non ha mai registrato presenza di soldati od armamenti russi. 

Ora invece gli USA vogliono trascinare l’esercito russo in Donbass di modo da poter infliggere delle sanzioni internazionali, il meccanismo messo in atto dagli americani è tanto semplice quanto criminale. 

Gli Stati Uniti hanno ordinato all’Ucraina di bombardare le infrastrutture civili facendo vittime tra la popolazione. A questo punto intervengono i media assoldati dagli USA che denunciano la tragedia umanitaria; si badi bene al fatto che sono gli stessi media che in sette anni non si sono mai curati di tragedie anche più gravi. 

In questo modo si cerca di esercitare una pressione mediatica sull’opinione pubblica russa e internazionale per chiedere di fermare la carneficina. Si tratta di un qualcosa di grottesco e apparentemente schizofrenico, in cui il mandante di un crimine chiede ad altri di far interrompere il crimine che eseguono i suoi sicari. 

Sembrerebbe un qualcosa di folle, ma c’è una logica malefica: la comunità internazionale non interverrà e Putin si troverebbe spinto dal popolo russo e dai doveri istituzionali ad intervenire. 

Bisogna sapere che adesso la situazione in Donbass è diversa da quella di alcuni anni addietro, recentemente infatti sono state molto semplificate le procedure per l’ottenimento della cittadinanza russa e pare che circa 580mila abitanti del Donbass l’abbiano già presa. 

Ogni stato è tenuto a difendere i propri cittadini ovunque essi si trovino e ora che gli ucraini massacrano il popolo del Donbass stanno assassinando anche dei cittadini russi. Pertanto Putin sarebbe costretto ad intervenire per impedire la carneficina, se non lo volesse fare per scelta o per la pressione del popolo, almeno sarebbe costretto dai doveri istituzionali. 

A prescindere da ogni valutazione politica, qui emerge un problema umano: gli USA e i suoi scagnozzi stanno uccidendo delle persone per denaro. Stanno mettendo una questione commerciale al disopra della vita umana. Non gli può essere permesso, è qualcosa di aberrante. 

Gli USA sono coscienti di star commettendo un crimine gravissimo, ma sapendo di poter contare sulla solita impunità continuano in questa azione criminale per poter mettere Putin di fronte alla necessità di intervenire e farsi così affibbiare delle sanzioni internazionali.

Ciononostante, il piano malefico degli USA è tecnicamente grossolano e non tiene conto della complessità della realtà. Infatti la Russia avrebbe tanti modi per impedire il massacro di civili pur senza entrare in Donbass. Anni di “guerre ibride” scatenate dalla NATO ci hanno insegnato che volendo si può far di tutto senza esserne direttamente coinvolti. 

In alternativa, ci potrebbe essere anche un’altra soluzione meno cruenta, quella diplomatica: alla Russia basterebbe riconoscere le repubbliche del Donbass (cosa che finora non ha fatto) per poter stringere degli accordi bilaterali di difesa che possano prevedere la fornitura di strumenti in grado di contrastare l’esercito ucraino, anche se appena dotato delle più recenti tecnologie militari. 

Oltretutto, se la Russia riconoscesse il Donbass sarebbe legittimata (previa autorizzazione) a schierare su quel territorio le proprie truppe, a quel punto l’Ucraina si guarderebbe bene d’attaccare. 

L’esercito ucraino se la prende con le piccole repubbliche del Donbass ma non può reggere il confronto con l’esercito russo, lo ha già dimostrato in Crimea nel 2014 dove praticamente non ha opposto alcuna resistenza preferendo ritirarsi o arrendersi.

Il criminale progetto americano è destinato a naufragare, ma nel frattempo delle persone continuano a morire per le brame di denaro di uomini senza scrupoli. 

Ad ogni modo bisogna anche riflettere sul fatto che gli USA vogliono ad ogni costo impedire che il gasdotto entri in funzione, visto che il trabocchetto alla Russia non ha funzionato, non è detto che non ne inventino uno contro la Germania. Ma questo è un altro tipo di problema che riguarda i rapporti tra USA e UE.

venerdì 16 aprile 2021

AFGHANISTAN:MISSIONE FALLITA

La decisione dei padroni del mondo di abbandonare definitivamente la guerra in Afghanistan,già anticipata quando ancora c'era Trump al potere,ha creato un immediato effetto domino dagli altri paesi Nato che hanno aderito a questa decisione con il leccaculo Di Maio tra i primi a proclamare il ritiro di quella che ci è sempre stata propinata come una missione di pace(vedi:madn missione-di-incapace ).
Quindi dopo venti anni di devastazione,di morti e di disperazione gli Usa lasciano questa missione che si può definire a buon titolo come fallita,dopo avere fatto i loro porci comodi riguardo la cacciata dei talebani che hanno visto il proprio gli Usa finanziare i primi passi,controllando il traffico di droga(la Cia in questo aveva già fatto proseliti in America Latina)e ovviamente lo sfruttamento delle risorse naturali oltre che l'importanza della sua posizione strategica(vedi:madn il-perche-siamo-in-afghanistan-fare-la.guerra ).
L'articolo(contropiano gli-stati-uniti-gettano-la-spugna-in-afghanistan )parla soprattutto delle parole di Biden dopo vent'anni di combattimenti costati migliaia di vittime tra militari e civili e miliardi di dollari,e dell'adeguamento degli alleati che dal primo maggio cominceranno il ritiro delle truppe fermo restando un fumoso aiuto futuro al popolo afgano.

Gli Stati Uniti gettano la spugna in Afghanistan. La Nato si adegua.

di  Alessandro Avvisato   

Dopo venti anni di una inutile, devastante e sanguinosa guerra, gli Stati Uniti hanno deciso di ritirarsi dall’Afghanistan. Hanno lasciato sul terreno 2.400 soldati uccisi, migliaia di feriti e di veterani usciti di testa. I civili afghani morti sono decine di migliaia. Secondo l’Onu solo nel 2019 sono stati diecimila.

Le truppe statunitensi hanno invaso l’Afghanistan nell’ottobre del 2001. Venti anni dopo il paese è lontanissimo da qualsiasi stabilità, nonostante la presenza militare, i miliardi di dollari spesi, il sangue versato e i governi fantoccio insediati a Kabul. I Talebani controllano di nuovo gran parte del paese e vengono insidiati solo dai gruppi jihadisti legati all’Isis.

La decisione di Biden di annunciare il ritiro delle truppe Usa entro settembre 2021, arriva dopo la disponibilità della Turchia ad ospitare una conferenza di pace dal 24 aprile al 4 maggio prossimi,  che riunirà il governo afghano, i talebani e gli Stati Uniti. Il portavoce dell’Ufficio talebano in Qatar, Mohammad Naeem, ha però già annunciato che loro non parteciperanno a nessuna conferenza sul futuro dell’Afghanistan “fino a quando tutte le forze straniere non si saranno completamente ritirate”.

“Sono il quarto presidente americano a presiedere la presenza di truppe americane in Afghanistan. Due repubblicani. Due democratici”, ha detto Biden. “Non passerò questa responsabilità a un quinto”.

Alla decisione Usa si sono subito adeguati gli alleati della Nato, al termine di una riunione a Bruxelles dei ministri degli Esteri e della Difesa dell’Alleanza atlantica. Alla riunione erano presenti sia il segretario di Stato americano, Antony Blinken, che il segretario alla Difesa, Lloyd Austin. Per l’Italia ha partecipato il ministro Luigi Di Maio reduce dall’ennesimo “inchino” a Washington nel suo recente viaggio negli Usa.

Nel documento rilasciato dalla Nato alla fine delle riunione viene affermato che: “Riconoscendo che non esiste una soluzione militare alle sfide che l’Afghanistan deve affrontare, gli alleati hanno stabilito che inizieremo il ritiro delle forze della Missione di Sostegno risoluto entro il primo maggio. Questo ritiro sarà ordinato, coordinato e deliberato. Prevediamo di completare il ritiro di tutte le forze statunitensi e della Missione di supporto risoluto entro pochi mesi. Qualsiasi attacco talebano contro le truppe alleate durante questo ritiro riceverà una risposta forte”.

In Afghanistan sono morti 55 soldati italiani, altri sono tornati feriti. Il contingente militare italiano era arrivato nel paese nel Novembre 2001.

Ma in Afghanistan non è certo finita la guerra, si ritirano infatti solo le truppe della Nato che l’avevano invaso nel 2001.  Adesso se ne vanno lasciando un paese in macerie, con l’esportazione di oppio raddoppiata e in preda ai conflitti interni che pre-esistevano all’intervento militare occidentale. La guerra più inutile che è durata venti anni.

mercoledì 14 aprile 2021

APPUNTI PER PROSSIMI VIAGGI

Quello di oggi è un post leggermente differente dagli altri in quanto si parla di un futuro cui tutti vorremmo arrivare il prima possibile ma che è terribilmente condizionato dalla fine o da un forte ridimensionamento degli effetti pandemici del coronavirus.
Si parla di viaggiare,non di misero turismo che io l'ho sempre visto quasi come una tappa obbligata nel percorso di un anno,o di un arco di tempo più o meno lungo dipende dalle disponibilità di tempo e soprattutto di denaro.
No,viaggiare è un altro mondo o almeno una concezione di spostarsi da un luogo all'altro che non è visitare posti nuovi ma assaporarne l'essenza e cercare la conoscenza oltre che il primo impatto visivo ed emotivo,è lo scoprire se stessi confrontandosi con le altre popolazioni e le altre culture,un approccio più filosofico e spirituale che non ha nulla a che vedere col turismo.
L'articolo proposto(comune-info.net/i-nostri-viaggi-e-i-non-viaggi-degli-altri )parla sì della speranza di compiere nuovi viaggi in tutto il mondo senza limitazioni a partire da quelle cui siamo sottoposti a casa nostra,ma ci offre lo spunto per comprendere maggiormente qualcosa che comunque tutti sanno,la grande differenza economica che intercorre in alcuni paesi rispetto all'Italia.
Come l'esempio proposto in cui il prezzo del solo biglietto aereo possa corrispondere in troppi paesi del mondo al reddito annuale di una persona(ma anche molto peggio),certo chi viaggia ci pensa e chi fa turismo molto meno,e anche pensando ai tempi passati(i miei genitori fecero il viaggio di nozze a Firenze mentre oggi si punta verso mete esotiche)ci accorgiamo della nostra fortuna di essere nati per caso in un paese dove ci si possa muovere in giro per il mondo in maniera relativamente comoda e a prezzi accettabili.

I viaggi e i non-viaggi degli altri.

di Marco Aime 

Non servono grandi inchieste per accorgersi della riscoperta dell’escursionismo urbano, del viaggiare lento, a piedi o in bici. Poi ci sono i viaggi che non si arrestano, quelli dei migranti. Ma c’è anche chi ragiona e sperimenta, nei limiti del possibile, il viaggiare come straordinaria forma di educazione diffusa. Sul senso profondo del viaggiare scrive Marco Aime, antropologo: «Forse questa pausa forzata può servire a ripensare i nostri viaggi e a pensare ai non viaggi degli altri», cioè di coloro che non hanno mai avuto la possibilità di viaggiare per piacere, vale a dire la gran parte della popolazione del mondo. Insomma, c’è da comprendere che siamo stati fortunati a poter a lungo viaggiare, anche se oggi quella fortuna ci manca. «Torneremo a viaggiare? Credo di sì, ma sarebbe bello se lo facessimo con una coscienza diversa, allora questa sospensione sarà servita a qualcosa. “Al momento dell’imbarco fate che abbia cura di non portare in viaggio se stesso. Molti uomini – diceva Seneca – non ritornano migliori di quando sono partiti, si portano con sé nel viaggio”…»

A differenza di Claude Lévi-Strauss io amo i viaggi e ho sempre amato viaggiare. Per questo, come molti altri, ne sento la mancanza. Leggo, da mesi a questa parte, molti sfoghi di amici e conoscenti che si lamentano di questo blocco, che ci impedisce di viaggiare. Pur condividendo questa sensazione di vuoto, credo che questa situazione sia utile per riflettere sulla nostra condizione privilegiata.

Il viaggio è diventato per noi uno svago abbastanza accessibile. A partire dagli anni Settanta i costi dei voli aerei sono diminuiti fortemente e luoghi che prima erano “lontani” sono diventati a portata di mano di qualunque individuo di medio reddito. Il mondo si è rimpicciolito: Asia, Africa, America latina sono diventate mete facili da raggiungere, ottime per appagare le nostre curiosità e il nostro immaginario esotizzante e per costruirci un’identità di “viaggiatori” (non “turisti”, non sia mai!).

Abbagliati da questo scenario e ingolositi dalla voglia di viaggio, quante volte ci siamo resi conto che le genti che spesso incontravamo nei nostri viaggi, non avevano mai avuto la possibilità di “viaggiare” per piacere. Quante di quelle persone avrebbero trascorso la loro vita nel loro villaggio, perché persino la città più vicina era inaccessibile per i loro poveri mezzi? Oppure il loro viaggiare era una costrizione, non una scelta: viaggiare per trovare un destino migliore. È la condizione di molte persone nel mondo ancora oggi, con l’aggiunta di un paradosso: molte delle rotte frequentate dai viaggiatori, sono le stesse percorse dai migranti, ma contromano e molto più care e costose.

Il viaggio, se interpretato come esperienza, può essere una buona scuola: «Il mondo ci insegna a essere umili» ha scritto Ryszard Kapuscinski e se sappiamo leggerlo possiamo imparare molto su di noi. Possiamo farlo prendendo gli altri come specchio, che ci restituisca un’immagine di noi, diversa da quella che siamo abituati a vedere. Durante i miei soggiorni in Africa quanto volte mi è capitato di sentirmi chiedere quanto era costato il biglietto aereo per venire fino lì. E la risposta era: il reddito medio annuale di una famiglia locale. E con il denaro della mia macchina fotografica, si sarebbero potuti mandare a scuola decine di bambini. Spesso chi viaggia, al suo ritorno, racconta: “Ho visto quello, ho visto questo…”, ma troppo poco spesso raccontiamo di come siamo stati visti.

Forse questa pausa forzata può servire a ripensare i nostri viaggi e a pensare ai non viaggi degli altri. Comprendere che siamo stati fortunati e gioire per questo, anche se oggi ci manca. Proviamo a metterci dall’altra parte e forse le cose sembreranno molto meno pesanti di quanto non siano. Torneremo a viaggiare? Credo di sì, ma sarebbe bello se lo facessimo con una coscienza diversa, allora questa sospensione sarà servita a qualcosa. “Al momento dell’imbarco fate che abbia cura di non portare in viaggio se stesso. Molti uomini – diceva Seneca – non ritornano migliori di quando sono partiti, si portano con sé nel viaggio”.

Ecco, proviamo a non portarci con noi e a guardare con gli occhi degli altri. Il mondo sarà diverso.

Marco Aime, antropologo, insegna all’Università di Genova e vive a Torino. Tra i suoi ultimi libri Guida minima all’Italia cattivista (con Luca Borzani) per èleuthera e Il domani che avrete (con Adriano Favole e Francesco Remotti), UTET.. Questo articolo è apparso su un blog del fattoquotidiano con il titolo completo 

martedì 13 aprile 2021

IL PD E IL MOV 5 STELLE SEMPRE PIU' COMPLICI

Passati i primi anni burrascosi dove l'inimicizia politica a volte sfociava nell'odio e nel disprezzo puro da alcuni mesi Pd e grillini vuoi per una pacificazione dovuta ad un paese che io traduco nel più semplice salvare le poltrone e anche perché le ideologie delle due compagini si stanno somigliando e convergendo sempre più,adesso l'asse si è saldato ulteriormente dopo l'incontro tra Letta che ha scavalcato Zingaretti e Crimi che sta spodestando Casaleggio.
In un periodo politico di nulla gli incontri ai vertici politici tra le varie anime dannate della maggioranza sono ambascerie stucchevoli da chi in realtà vorrebbe e dovrebbe scannarsi ed un bieco non farsi male fino a nuovo ordine che verrà ben presto si spera perché ciò vorrebbe dire che la lotta comune ma non troppo al coronavirus sia stata vinta.
L'articolo del Corriere(pd-letta-incontra-m5s )mentre parla di alcuni intoppi sia in Italia che in Europa mette in evidenza una volontà di pianificare anche per le prossime elezioni un'alleanza politica che potrebbe essere addirittura a carattere nazionale dopo alcune sperimentazioni locali che avranno modo di vedere i loro frutti quando ci sarà il voto regionale ad ora posticipato dopo l'estate.
E' venuto ormai il momento dove il Pd ed il Movimento 5 stelle vengono fuori per quello che sono,delle forze politiche sulla base della vecchia Democrazia Cristiana,con un forte carattere centrista che strizza l'occhio alla destra quando gli fa comodo ed il contrario quando si parla ormai solamente di diritti civili,e le forze della sinistra che ancora anche se in maniera sempre più fievole sono presenti nei democratici lo devono capire ora o mai più così come la costellazione di tutti i mini-partiti della sinistra devono sapere con chi confrontarsi e (non)convergere.

Pd, Letta incontra il M5S: «Volontà di proseguire nel percorso comune».

Anche con alleanze a livello locale per le prossime amministrative, si sono detti il segretario Pd Enrico Letta e il capo politico dei Cinque Stelle Vito Crimi. Adesso Letta incontrerà di nuovo Salvini.

di Fabrizio Caccia 

Dopo averlo già invitato più volte a non essere un «Giano bifronte» nei confronti del governo Draghi e ad entrare convintamente nel Ppe a livello europeo, lasciando perdere Orban e i sovranisti, il segretario del Pd Enrico Letta ha appena incontrato il leader della Lega, Matteo Salvini. Obiettivo: lavorare insieme alle riforme, nella seconda parte della legislatura, per ricucire gli strappi di quella che Letta stesso definisce «la democrazia malata» contraddistinta dai frequenti «cambi di casacca» di molti parlamentari. Un concetto che ha usato anche questa mattina incontrando per oltre un’ora il capo politico del Movimento 5 Stelle, Vito Crimi, nella sede dell’Arel (Agenzia di ricerche e legislazione), la scuola di politiche fondata nel 2015, dove qualche giorno fa Letta ha ricevuto anche il leader di Italia Viva, Matteo Renzi. L’incontro con Salvini è «andato bene», come ha tenuto a dire il leader della Lega: «Abbiamo fatto una scelta d’amore per l’Italia, tifiamo per Draghi, la politica e i partiti vengono dopo», ha detto il segretario del Carroccio. Non hanno parlato di ius soli, «sono temi divisivi, così non aiutiamo il Paese», ha aggiunto Salvini. Entrambi invece si sono trovati d’accordo sulla necessità «di un nuovo Dl imponente per sostenere le imprese» alle prese con i danni da pandemia da varare nel mese di aprile.«Non abbiamo parlato di date per le riaperture - ha precisato Salvini - ma senza minacciare nè ricattare riaprire è doveroso». Nessun accenno alla legge elettorale («Per me va bene il Rosatellum, la legge che c’è», ha chiosato il leader della Lega), mentre sembra sbloccarsi la questione Copasir: «Ho ribadito a Letta la mia idea di azzerare tutto», ha detto Salvini, spianando la strada così alla sostituzione del presidente leghista (Volpi) del comitato di controllo sui servizi con un esponente dell’opposizione, secondo le regole democratiche: in prima fila, Adolfo Urso di Fratelli d’Italia. 

venerdì 9 aprile 2021

RECOVERY ARMY

L'enorme cifra che dovrebbe spettare al settore dell'industria bellica italiana è uno scempio ed un oltraggio al periodo emergenziale sanitario in cui stiamo vivendo e dovremo vivere ancora per non si sa quanto.
La colpevole mancanza di investimenti in ricerca e in sanità dovuti ai tagli lineari dei governi susseguiti nel corso degli ultimi anni hanno portato il sistema sanitario nazionale nel disastro attuale accentuato dal coronavirus che ne ha dimostrato ampiamente tutte le lacune che solamente grazie all'immane lavoro degli addetti ai lavori non ha subito il tracollo totale.
Ma ci siamo andati vicini e la decisione di finanziare con i fondi del recovery plan per svariati miliardi di Euro il settore militare è anche irrispettosa verso tutti i lavoratori del settore sanitario e di tutta la popolazione,con a capo gli ammalati e le vittime del Covid-19 e di tutte le altre malattie che di certo non si sono bloccate e che anzi le cui cure ed esami diagnostici e di controllo sono drasticamente calati così come è crollata l'attenzione e la qualità.
Nell'articolo(comune-info.net/il-recovery-army )il testo presentato alla Camera che esorta ad aumentare la capacità militare italiana e la ricerca di nuove tecnologie e materiali...è bastato inserire la locuzione "transizione ecologica" per rendere il tutto passabile,come a dare un benvenuto alle bombe ecologiche.

Il Recovery Army.

Rete Italiana Pace e Disarmo 

Il governo Draghi ha intenzione di sostenere l’industria bellica italiana con i fondi del Recovery Plan. Questa decisione secondo la Rete Italiana Pace e Disarmo non solo contraddice le finalità del Piano europeo per la ripresa, ma continua a puntare il settore militare, già ampiamente finanziato, come fattore di ripresa per il Paese

Sorpresa nell’uovo di Pasqua: una parte dei fondi del Recovery Plan verrebbe destinata per rinnovare la capacità e i sistemi d‘arma a disposizione dello strumento militare. Un tentativo di greenwashing, di lavaggio verde, dell’industria delle armi che la Rete Italiana Pace e Disarmo stigmatizza e rigetta.

Ad aprire a questa possibilità è stato il Parlamento, a quanto risulta dalle Relazioni definite e votate in questi giorni dalle Commissioni competenti. 

Nel testo licenziato dalla Camera si raccomanda di “incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica, contribuendo al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto”.

Per il Senato “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca”. 

Viene inoltre ipotizzata la realizzazione di cosiddetti “distretti militari intelligenti” per attrarre interessi e investimenti.

Diversamente dalle bozze implementate dal precedente Governo, in cui l’ambito militare veniva coinvolto nel PNRR solo per aspetti secondari come l’efficienza energetica degli immobili della Difesa e il rafforzamento della sanità militare, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) potrebbe quindi destinare all’acquisizione di nuove armi i fondi europei per la rinascita dell’Italia dopo la pandemia.

Un comparto che, è bene ricordarlo, già riceverà almeno il 18% (quasi 27 miliardi di euro) dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034.

Le indicazioni inviate al Governo derivano da dibattiti nelle Commissioni Difesa della Camera e del Senato che hanno approvato all’unanimità i pareri consultivi relativi. Ciò evidenzia un sostegno trasversale all’ipotesi di destinare i fondi del PNRR anche al rafforzamento dello strumento militare. 

Addirittura alla Camera i Commissari hanno concentrato il loro dibattito sulla “opportunità” di accrescere ulteriormente i fondi a favore della spesa militare fornita dal Piano. Da notare come il rappresentante del Governo abbia sottolineato come i pareri votati “corrispondano alla visione organica del PNRR” dello stesso esecutivo Draghi, che dunque ritiene che la ripresa del nostro Paese  realizzare anche favorendo la corsa agli armamenti.

Anche se green le bombe sono sempre strumenti di morte, non portano sviluppo, non producono utili, non garantiscono futuro. 

La Rete italiana Pace e disarmo denuncia la manovra dell’industria bellica per mettere le mani sui una parte dei fondi europei destinati alla Next Generation.

Inascoltate le associazioni pacifiste, spazio solo ai produttori di armi.

Nel corso della discussione di queste settimane sono stati auditi rappresentanti dell’industria militare (AIAD, Anpam, Leonardo spa) mentre non sono state prese in considerazione le “12 Proposte di pace e disarmo per il PNRR” elaborate dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e inviate a tutte le Commissioni competenti. Per tale motivo chiediamo ora al Governo che le proposte della società civile fondate sulla costruzione della convivenza e della difesa civile nonviolenta (con un impegno esteso alla difesa dell’occupazione in un’economia disarmata e sostenibile) siano ascoltate, valutate e rese parte integrante del nuovo PNRR che l’esecutivo dovrà elaborare, spostando dunque i fondi dalla difesa militare.

La produzione e il commercio delle armi impattano enormemente sull’ambiente. Le guerre (oltre alle incalcolabili perdite umane) lasciano distruzioni ambientali che durano nel tempo. 

Ne consegue che la lotta al cambiamento climatico può avvenire solo rompendo la filiera bellica e che il lavoro per la pace è anche un contributo al futuro ecologico.

Occorre quindi una nuova politica estera italiana ed europea che abbia come obiettivo la costruzione di una comunità globale con un futuro condiviso, riprendendo il progetto delle Nazioni Unite volto “a salvare le future generazioni dal flagello della guerra” e di collaborazione tra i popoli come elemento dominante delle relazioni internazionali.

La nonviolenza politica è lo strumento e il fine che bisogna assumere. Per questo è prioritario orientare il rilancio del nostro Paese ai principi ed ai valori della pace: il Piano deve essere l’occasione per investire fondi in processi di sviluppo civile e non sulle armi. “Non c’è un mondo di ieri a cui tornare, ma un mondo di domani da far nascere rapidamente”: così è scritto nell’introduzione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). 

La Rete Italiana Pace e Disarmo vuole davvero che Il mondo di domani, per garantire un futuro alle nuove generazioni, sia basato su uno sviluppo civile e non militare.

Il Mahatma Gandhi indicava l’unica strada possibile “o l’umanità distruggerà gli armamenti, o gli armamenti distruggeranno l’umanità”. Non possiamo tollerare che nemmeno un euro dei fondi destinati al futuro ecologico venga invece impiegato per mettere una maschera verde al volto di morte delle fabbriche d’armi. L’umanità ha bisogno di pace e di un futuro amico.

giovedì 8 aprile 2021

PROSEGUE L'INADEGUATEZZA DELLA CAMPAGNA VACCINI


Nonostante la concomitanza casuale con la giornata mondiale della salute in quanto personalmente trovo queste"giornate"eccessive e per questo irrilevanti alla causa che dovrebbero portare avanti(ogni giorno praticamente ricorda o celebra qualcosa)l'articolo proposto(contropiano vaccini-bene-comune-socializzare-i-brevetti )esprime delle considerazioni condivisibili riguardo la situazione sui vaccini contro il Covid-19.
La campagna vaccinale in Italia è una continua serie di errori nonostante si cerchi di far intendere il contrario soprattutto col nuovo esecutivo(madn felicitapocaa-momenti-e futuro(molto)incerto )e con le promesse e le speranze fin da subito a gambe all'aria con l'obiettivo 500mila vaccini al giorno che è stato uno spot propagandistico nato male e continuato peggio.
Un riferimento che l'articolo non fa è la disponibilità di Cina,Russia e in minor parte Cuba a fornire vaccini in tutto il mondo e la recidiva italiana(altri paesi Ue hanno aderito alla proposta)ad accettare l'aiuto di questi paesi visto anche che le disponibilità dei vaccini diciamo ammessi da noi è molto discontinua.
Per il resto tutti i discorsi sulla sanità pubblica li conosciamo ormai purtroppo da molto tempo e il continuo alternarsi delle forze politiche non permette di tornare ai decenni precedenti e solamente una forza socialista potrà assicurare investimenti in ricerca che torneranno utili a tutta la popolazione e non solamente alla solita classe elitaria che può permettersi di curarsi.

Giornata mondiale della salute. Vaccini bene comune, socializzare i brevetti.

di  Potere al Popolo   

Il 7 Aprile è la Giornata Mondiale dedicata alla salute.  Da mesi sosteniamo che la risposta ad un problema di salute globale come la pandemia debba necessariamente coinvolgere in maniera omogenea tutta la popolazione mondiale senza esclusioni di classe, etnia, stato, genere.

Nonostante le aziende farmaceutiche abbiano ricevuto ingenti finanziamenti pubblici per la ricerca e lo sviluppo dei vaccini, i governi non hanno saputo condizionarli a misure per implementare la produzione e diffusione dei vaccini per tutti.

I vaccini e la loro diffusione a livello globale oggi però hanno un ruolo cruciale nella risoluzione della pandemia. I ritardi nella produzione e distribuzione dei vaccini porteranno a malattia, morte e blocchi ripetuti con danni sanitari e socio-economici.

Da mesi ormai sosteniamo che se non si arriva ad un accordo con le aziende, gli stati e le istituzioni pubbliche devono intervenire per rendere accessibile e gratuito il vaccino abolendo il brevetto!

 Per questa ragione sosteniamo la campagna internazionale #noprofitonpandemic che richiede, attraverso una raccolta firme, cose semplici:

◦Salute per tutte e tutti! Abbiamo tutti diritto alla salute. In una pandemia, la ricerca e le tecnologie dovrebbero essere condivise ampiamente, velocemente, in tutto il mondo. Un’azienda privata non dovrebbe avere il potere di decidere chi ha accesso a cure o vaccini e a quale prezzo. I brevetti forniscono ad una singola azienda il controllo monopolistico sui prodotti farmaceutici essenziali. Questo limita la loro disponibilità e aumenta il loro costo per chi ne ha bisogno.

◦Trasparenza ora! I dati sui costi di produzione, i contributi pubblici, l’efficacia e la sicurezza dei vaccini e dei farmaci dovrebbero essere pubblici. I contratti tra autorità pubbliche e aziende farmaceutiche devono essere resi pubblici.

◦Denaro pubblico, controllo pubblico! I contribuenti hanno pagato per la ricerca e lo sviluppo di vaccini e trattamenti. Ciò che è stato pagato dal popolo dovrebbe rimanere nelle mani delle persone. Non possiamo permettere alle grandi aziende farmaceutiche di privatizzare tecnologie sanitarie fondamentali che sono state sviluppate con risorse pubbliche.

◦Nessun profitto sulla pandemia! Le grandi aziende farmaceutiche non dovrebbero trarre profitto da questa pandemia a scapito della salute delle persone. Una minaccia collettiva richiede solidarietà, non profitti privati. L’erogazione di fondi pubblici per la ricerca dovrebbe sempre essere accompagnata da garanzie sulla disponibilità e su prezzi controllati ed economici. Non deve essere consentito a Big Pharma di depredare i sistemi di assistenza sociale.

Firma anche tu l’iniziativa cittadina europea per rendere gratuiti e accessibili a tutti i vaccini contro il coronavirus!

mercoledì 7 aprile 2021

DRAGHI IN LIBIA

Le parole pronunciate ieri da Draghi più che quelle di un Presidente del Consiglio sembravano quelle di un rappresentante qualunque di una multinazionale del petrolio(e del gas,nella fattispecie l'Eni)che compie la sua prima visita internazionale in Libia per tentare di riaffermare il ruolo in una nazione che nel secolo scorso è già stata sfruttata e schiavizzata dall'Italia e che nel tempo,dopo essere stati cacciati a ragione,ha perso il suo potere a scapito di molte nazioni,dagli Usa alla Francia passando dalla Turchia alla Russia.
Il risaltare il continuo impegno italiano in Libia non si sa in che modo se non in quello di nazione affamata di risorse naturali altrui,non ha avuto ieri riscontro nel tema della penosa situazione dei migranti se non lodare lo Stato libico per gli interventi in mare per il salvataggio dei disperati(?)e nuovamente il grande lavoro italiano in supporto,senza parola proferire verso le certificate nefandezze che si compiono nei lager libici.
Bacchettando in maniera minima l'Unione Europea incitandola a interessarsi sempre maggiormente alla situazione libica sia interna viste le divisioni dei territori(vedi:madn lo-scacchiere-libico-e-mediterraneo )che da anni vengono contesi dal Presidente ufficiale e di comodo per l'occidente Al Serraj ed il generale Haftar che si contendono Tripolitania e Cirenaica come nel passato senza contare i vari signori della guerra che si muovono nell'entroterra che controllano il mercato dei nuovi schiavi.
L'articolo di Left(migliori-anche-a-leccare-chi-viola-i-diritti-umani )analizza l'intervento di Draghi e puntualizza il fatto che dei diritti dei migranti e di quello che subiscono nei lager libici e durante il lungo viaggio che li porta alle coste mediterranee per poi attraversarlo non se n'è parlato in maniera seria ed approfondita,plaudendo addirittura la Libia per il suo"impegno"nei salvataggi e nella gestione di questo annoso problema.

Migliori anche a leccare chi viola i diritti umani.

di Giulio Cavalli 

Ieri il presidentissimo Mario Draghi si è recato in Libia. Ogni volta che qualche esponente di qualche nostro governo passa dalla Libia non riesce a evitare di tornare con le mani sporche di sangue per un qualsiasi atteggiamento riverente verso i carcerieri sulle porte d’Europa, come se fosse una tappa obbligata per poter frequentare i salotti buoni per l’Europa e anche il “migliore” Draghi è riuscito a non stupirci rivendicando con orgoglio l’amicizia, la stima e la vicinanza ai libici che violano i diritti umani. Ogni volta è stupefacente: negare la realtà di fronte ai microfoni della stampa internazionale deve essere il risultato di un corso speciale che viene inoculato ai nostri rappresentanti. E ogni volta fa schifo.

«Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia», ha detto ieri Draghi, con quella sua solita soffice postura con cui ripete le stesse cose dei suoi predecessori aggiungendoci un filo di zucchero a velo. Sarebbe curioso chiedere a Draghi cosa si intenda esattamente per “salvataggio” poiché i libici (questo è un fatto accertato a livello internazionale) si occupano principalmente di respingimenti, di riportare uomini e donne nei lager dove continuano le torture, gli stupri e lo schiavismo, poiché i libici sono quelli che il 10 ottobre del 2018 hanno sparato a una motovedetta italiana, poiché i libici sono gli stessi che il 26 ottobre 2019 hanno sparato sulla nave Alan Kurdi per impedire il soccorso dei migranti, poiché i libici sono gli stessi che il 28 luglio dell’anno scorso hanno sparato contro i migranti uccidendone 3. Solo per citare qualche esempio, ovviamente, dato che quel pezzo di mondo e di mare continua a rimanere sguarnito, anche questo per precisa volontà politica.

Caro presidente Draghi, siamo contenti che lei si senta barzotto per questo tipo di salvataggi ma le auguro di non essere mai “salvato” così. Del resto legittimare quella combriccola di assassini che vengono educatamente chiamati Guardia costiera libica è un esercizio retorico che dura da anni: anche su questo il governo dei migliori continua spedito. Considerare la Libia un partner affidabile significa accettare la sistematica violazione dei diritti umani: come si chiamano coloro che elogiano in pubblico un’attività del genere facendola passare per doverosa? Ognuno trovi comodamente la risposta.

E mentre Draghi si è occupato di proteggere gli affari dell’italiana Eni in Libia, di farsi venire l’acquolina in bocca per l’autostrada costiera al confine con Bengasi (che riprende il tragitto della strada inaugurata nel 1937 da Benito Mussolini e conosciuta anche come “via Balbia”, evocando le azioni di Italo Balbo), di continuare a foraggiare la Guardia costiera libica per essere il sacchetto dell’umido dell’umanità nel Mediterraneo e di riassestare e ristrutturare la Banca centrale libica, i diritti e i dolori delle persone rimangono sullo sfondo come semplice scenografia dei barili di petrolio per cui i canali sono invece sempre aperti.

Del resto secondo il leader libico Abdul Hamid Dbeibah, Italia e Libia «soffrono e devono affrontare una sfida comune che è l’immigrazione clandestina, un problema che non è solo libico ma internazionale e riguarda tutti, come il terrorismo e il crimine organizzato». Solo che in questo caso sono chiarissimi gli autori di questo “problema”: Libia, Europa, Italia e la nuova spinta di Mario Draghi.

L’eccelso Mario Draghi insomma è il vassoio di cristallo delle solite portate, schifose uguali ma dette con più autorevolezza: avrebbe dovuto essere “il competente” e invece non è riuscito nemmeno a leggere un rapporto dell’Onu prima di andare in gita. E ovviamente non ha nemmeno fatto un giro nei campi di concentramento, non sia mai, si sarebbe sporcato il polsino.

Buon mercoledì.

venerdì 2 aprile 2021

FELICITA'(POCA)A MOMENTI E FUTURO(MOLTO)INCERTO

La gestione della pandemia da quando è subentrato l'ennesimo governo tirato in piedi per pietà e soprattutto per opportunismo non sembra che abbia dato una mossa decisa a rapidi sviluppi per mettere se non la parola fine al coronavirus almeno a farci vivere più serenamente.
Quello che è cambiato come in parecchi se ne sono accorti è il linciaggio mediatico che l'esecutivo Conte aveva subito nei mesi a capo di una situazione al di fuori degli schemi normali e nonostante una certa abitudine alle restrizioni e ad una conoscenza più chiara del Covid-19 e delle varianti la situazione come alcuni dicono di"dittatura sanitaria"proseguono senza troppe sceneggiate da parte di politici e giornalisti.
L'articolo di Contropiano(il-sapore-amaro-del-gusto-del-futuro )narra di un paese alle prese con i soliti problemi che già esistevano prima della pandemia da quando si è cominciato a ragionare col profitto in materia del pubblico interesse privatizzando sanità e scuola,tagliando quel che è rimasto e peggiorando la situazione dei trasporti e della previdenza sociale oltre che del lavoro con scelte scellerate compiute da tutti gli schieramenti politici passati al comando.
Poi la sequela di scandali,dal mancato commissariamento della regione Lombardia con Fontana che deve spiegare i milioni di Euro parcheggiati in Svizzera e partiti verso paradisi fiscali,un'altra regione(la Sicilia)che falsificava i numeri sui malati ed i morti per non passare in zona rossa e altre storie poco rassicuranti riguardo i furbetti dei vaccini.
Insomma come parafrasato nel titolo di una frase di una canzone di Tonino Carotone davvero in questo periodo la felicità diciamo sociale se non personale è difficile sia da ricercare che da trovare mentre il futuro è parecchio incerto e ricco di tranelli sul suo percorso.

Il sapore amaro del “gusto del futuro”.

di  Marco Ferri   

No, non siamo in guerra contro il Covid, come dice il nuovo capo della Protezione civile, forse affascinato dalla divisa del generale Figliuolo. Si sarebbe sperato fosse stato molto più preoccupato del disastro della campagna vaccinale, una vera propria disfatta, di quelle che la storia bellica e patriottarda ci ha abituato a mistificare.

Infatti, quello della chiamata alle armi contro il virus è un arnese retorico vecchio e arrugginito, che poco serve ormai per mascherare l’inefficienza di un sistema sanitario fatto a pezzi dai tagli alla spesa pubblica, dal massacro dei diritti del lavoro di medici e operatori sanitari, compreso l’esproprio del diritto alla Salute dei cittadini per regalarlo ai privati.

Ormai il trucco che serviva a far passare per “martirio” la strage dei malati, per “eroismo” il lavoro massacrante degli operatori sanitari pubblici, – al solo scopo ignobile di assolvere preventivamente le responsabilità politiche di chi ha per decenni sistematicamente sbriciolato lo Stato sociale – si è scoperto: i presidenti delle regioni, la cui famigerata riforma del Titolo V ha affidato la gestione della Sanità, meriterebbero un posto in prima fila sul banco degli imputati, e non degli impuniti, dietro cui cercano di nascondersi, facendosi scudo di chiacchiere, di polemiche, di cialtronate.

Non che non ci siano i nemici. Che altri non sono che quelli che hanno corroso, fino quasi a sbriciolarli, i pilastri del welfare: il Covid, come uno tsunami, ha semplicemente preso in pieno quel restava ancora in piedi della Sanità, dell’Istruzione, della Previdenza sociale. 

Dunque, non è la guerra contro il Covid, che anzi sta facendo fare affari d’oro ai Big Pharma, ai colossi del web e dell’e-commerce, e alle banche che gestiranno gli “aiuti” previsti dal Next generation Ue. 

È invece la lotta di classe al contrario – provocata con pervicacia dal neoliberismo – che, diventata una vera e propria guerra sociale, ha infierito sul corpo sociale, già indebolito dall’ultima drammatica crisi economica, provocando strage di medici, paramedici e malati, nuova disoccupazione, soprattutto femminile, e maggiore immiserimento generalizzato.

Tanto che la politica ha reso la democrazia ombra di sé stessa, che la debolezza progettuale si pavoneggia come forza, che la cupidigia del consenso è il mero disinteresse della vita delle persone, che la fellonia dei governi viene innalzata come la virtù più alta. 

Stiamo convivendo con la barbarie. Le cosiddette transizioni sono state definite, dal capo del governo provvisorio, “il gusto del futuro”. 

Il futuro per chi?

La transizione energetica e quella digitale, la cosiddetta green economy e la sostenibilità – vocabolo che, per altro, ormai è entrato nel gergo della comunicazione commerciale, dunque è stato retrocesso al rango di puro aggettivo pubblicitario – sono destinate a diventare, ancora un volta, tappe forzate di quella “distruzione creativa” con cui il capitalismo sa rigenerare sé stesso. Ovviamente, coi soldi pubblici per nuovi e più gustosi profitti privati. 

Il Nex generation Eu è un piano finanziato con i soldi delle tasse dei cittadini europei. Che in Italia vuol dire che chi paga le tasse finanzierà le attività economiche – al netto della cronica evasione fiscale – di chi le paga poco, come le multinazionali “atlantiche’, e anche, per esempio, come le aziende italiane che hanno spostato le sedi fiscali dove fa loro più comodo, ma che saranno comunque destinatarie dei finanziamenti e dei benefici fiscali.

È il massimo della vita: pago (poco), pretendo (tutto).

Insomma, se fosse vero che quella al Covid è una guerra, per politici ciarlatani e imprenditori ingordi varrebbe il detto “finché c’è guerra c’è speranza” – come titolava un famoso film italiano. 

Ecco che sapore ha il “gusto del futuro”.

giovedì 1 aprile 2021

L'INFAME IRRICONOSCENZA MADE IN ITALY

L'infamia del voto contrario alle sanzioni a Cuba tramite i rappresentanti italiani all'Onu è di una gravità e di una vergogna infinita,nonché di una tristezza e di un'irriconoscenza senza limiti visto sia il periodo storico in cui viviamo che per la lunghezza di questo blocco che dura da decenni.
Non ho scritto di proposito come parte di questa nefandezza il fatto che i medici cubani abbiano operato in tutto il mondo con i membri delle varie Brigate Henry Reeve,solerti ad aiutare a combattere il Covid-19 soprattutto nei primi mesi della pandemia vista la preparazione e la competenza assodate della sanità pubblica cubana in quanto anche se non fosse accaduta tutta questa solidarietà che viaggia assieme al motto "La nostra Patria è l’umanità" Cuba non merita tutto questo.
La sudditanza tanto evocata quanto veritiera verso gli Stati Uniti è esplosa in messaggi e manifestazioni di vicinanza ai cubani e contro il voto all'Onu sia in Italia che nel resto del mondo dove non si è votato per la fine dell'embargo e nella stessa L'Avana c'è stata una grande carovana di protesta contro queste continue disposizioni che non aiutano per niente il paese a vivere dei momenti con più serenità(vedi il primo articolo di Contropiano:la-dignita-di-cuba-contro-il blocco ).
Nel secondo articolo invece la lettere della sindaca di Crema Stefania Bonaldi che ha avuto il coraggio di protestare direttamente a Draghi il suo disgusto verso questa assurda decisione di sottomissione agli Usa usando parole dure e non scontate visto che fa parte di uno dei partiti che ha avallato questa scelta(la-sindaca-di-crema-si-schiera-con-cuba ).
Crema ha un forte debito di riconoscenza verso Cuba perché la nostra città ha avuto l'onore di ospitare medici cubani che hanno lavorato a fianco di quelli italiani nell'ospedale da campo allestito a fianco del nosocomio cittadino(madn medicinon-bombe e link collegati).

La dignità di Cuba contro il blocco Usa sfila in carovana.

di  Laura V Mor *   

Mentre in Italia si consumava l’ennesimo atto di vigliaccheria e ingratitudine del  “nostro” governo verso Cuba – con il voto contrario all’Onu alla sospensione delle sanzioni contro chi nel momento peggiore della pandemia di Covid 19 ci ha teso la mano e sostenuto gratuitamente con i suoi medici – a Cuba, negli Stati Uniti e in diversi paesi, nei giorni scorsi si sono svolte carovane popolari contro il blocco. Qui di seguito una corrispondenza di Cuba Resumen sulla carovana svoltasi all’Avana.

E’ una risposta che dà la cifra della differenza di sistema, di mentalità, di alleanze e di dignità di un paese e del suo popolo rispetto all’abiezione euroatlantica in cui siamo ingabbiati ormai da troppo tempo.

L’Avana. – La Carovana Mondiale contro il Blocco di Cuba ha riunito organizzazioni e personalità di più di 50 paesi dei cinque continenti.

Le mobilitazioni si sono articolate intorno alla richiesta al presidente Joe Biden dell’abrogazione delle sanzioni economiche imposte da Trump, la riapertura dell’ambasciata statunitense all’Avana chiusa con la scusa dei presunti “attacchi sonori” e il ripristino del programma di ricongiungimento familiare.

Allo stesso tempo, gli amici solidali dei cinque continenti hanno divulgato le conquiste della medicina cubana, come i cinque candidati vaccini anti-Covid-19 che il paese sta sviluppando e la ventina di farmaci di produzione nazionale che vengono utilizzati per contrastare gli effetti della malattia, un tema che viene arbitrariamente ignorato dai media mainstream che fanno parte dell’immensa macchina mediatica allestita contro Cuba, ignorando la possibilità che possa diventare il primo paese dell’America Latina ad avere un proprio vaccino in questa pandemia.

Spicca l’ammirazione per la cooperazione medica internazionale di Cuba che ha assistito 40 paesi nell’affrontare la pandemia con 57 brigate mediche Henry Reeve, motivo per cui la campagna perché le venga assegnato il premio Nobel per la pace 2021 è ancora in corso.

“Oltre alle carovane in Asia, Oceania, Africa, America del Sud ed Europa dell’Est di questo sabato, si aggiungono oggi (domenica) altre azioni negli Stati Uniti, in Centroamerica e anche a Cuba”.

Dalle 10 del mattino motociclette, biciclette e automobili hanno circolato lungo il Malecón dell’Avana, unendosi a questa campagna globale che cerca di rendere visibile l’esistenza del blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti contro Cuba e il grande impatto sul popolo cubano generato dalle più di 240 sanzioni ordinate dall’amministrazione uscente Trump, che sono ancora in vigore con la nuova amministrazione Biden.

Bandiere della Stella Solitaria e striscioni che denunciano i danni accumulati in sei decenni di blocco, che ammontano a un totale cumulativo di 144.413 miliardi di dollari (1), hanno inondato il Malecón al passo delle biciclette, motociclette e automobili che sfilavano nella colorata carovana.

“L’inasprimento opportunistico del blocco da parte dell’amministrazione Trump nel mezzo della pandemia COVID-19 lo rende ancora più genocida, ancora più criminale”, ha denunciato il ministro degli Esteri Bruno Rodríguez.

Cinque miliardi di dollari è la perdita nell’ultimo periodo, una cifra record per un anno (2) e “il più grande ostacolo allo sviluppo nazionale”, come denuncia permanentemente il governo cubano in diversi spazi nazionali e sovranazionali e come è stato anche dichiarato a gran voce dai giovani presenti questa mattina in questa “pelea por lo justo nos une”. Nelle reti sociali, così come nel Malecón, si è sentito forte e chiaro: #NoMásBloqueo.

(1) Secondo i dati del rapporto Cuba vs Bloqueo 2020. Relazione di Cuba secondo la risoluzione 74/7 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite “Necessità di porre fine all’embargo economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti d’America contro Cuba” / luglio 2020.

(2) Dati per il periodo da aprile 2019 a marzo 2020 secondo il rapporto Cuba vs Blockade 2020

*Da Cuba En Resumen – Resumen Latinoamericano 

Foto di Yaimi Ravelo e Syara Salado Massip*

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La sindaca di Crema si schiera con Cuba

di  Stefania Bonaldi   

Lettera a Draghi

“Dopo un giorno di riflessione, stamane ho mandato questa lettera al nostro Presidente del Consiglio. 

La stima, la riconoscenza e l’affetto per i nostri Hermanos de Cuba me lo imponevano. 

*****

“Caro Presidente del Consiglio

Prof. Mario Draghi,

chi Le scrive è una sindaca di Provincia, che si spende per una comunità di 35mila persone e che può solo immaginare cosa significhi governare un Paese di 60milioni di abitanti, a maggior ragione in un momento così drammatico. Tuttavia, come donna, come madre, come cittadina e, infine, come sindaca, sento di dovere aggiungere un piccolo peso a quelli che già incombono sulla sua figura, perché ritengo che il nostro Paese, pochi giorni fa, abbia violato in modo grave codici di civiltà decisivi, come la riconoscenza, la lealtà, la memoria, la solidarietà.

Un anno fa la Brigata Henry Reeve, con 52 medici ed infermieri cubani, è arrivata in soccorso della mia città, Crema, della mia gente, del nostro Ospedale, aggrediti e quasi piegati dalla prima ondata pandemica. 

I sanitari cubani si sono presentati in una notte di marzo dalle temperature rigidissime, in maniche di camicia, infreddoliti ma dignitosi. Avevano attraversato l’Oceano per condividere un dramma che allora ci appariva quasi senza rimedio e le giornate si consumavano in un clima di morte. Anche oggi è così, ma dodici mesi fa il nemico era oscuro e sembrava onnipotente, la scienza non aveva ancora trovato le contromisure. Oggi vediamo la luce, allora eravamo in un racconto dall’esito incerto. 

In una sola notte, grazie alla solidarietà dei cremaschi e delle cremasche, li abbiamo vestiti ed equipaggiati. Da quel momento e per oltre due mesi si sono sigillati in un Ospedale da campo, montato di fianco al nostro ospedale, gomito a gomito coi nostri sanitari, per prestare cure e supporto alla popolazione colpita dal virus, generando una risposta di coraggio nelle persone, che in quei mesi si è rivelata decisiva. È stato quello il primo vaccino per noi cremaschi!

E non appena la pressione sull’ospedale è diminuita, gli stessi amici cubani si sono immediatamente convertiti all’intervento sul territorio. La medicina a Cuba si fa casa per casa, una dimensione che noi abbiamo coltivato poco, e le debolezze di questa scelta le abbiamo misurate tutte, durante la pandemia, attraversando strade ostili e non presidiate.

È bastato il suggerimento della Associazione Italia-Cuba al Ministro Roberto Speranza, perché partisse una richiesta di aiuto, e lo Stato di Cuba, in una manciata di giorni, il 21 marzo del 2020, rispondeva inviando a Crema 52 operatori sanitari, mentre altri 39 sarebbero arrivati il 13 aprile successivo a Torino, per svolgere la stessa missione umanitaria, riscrivendo la parola solidarietà nelle vite di molti italiani, abbattendo ogni barriera e depositando un lascito civile e pedagogico, per le nostre comunità ed i nostri figli. Solo allora abbiamo capito che il virus avrebbe perso la sua battaglia, e ancora oggi viviamo di quella rendita, per questo abbiamo meno paura.

Mi rendo conto che esistono “equilibri” internazionali e che vi sono tradizionali posizioni “atlantiste” del nostro Paese, ma quando ci si imbatte nello spirito umanitario dei cubani “situati”, che come ognuno di noi ambiscono a una vita migliore, quando, superati i muri ideologici, ci si trova di fronte ad un altro segmento di umanità, capace di guadagnarsi la gratitudine e la riconoscenza di tanti italiani, si finisce per trovare inqualificabile la posizione assunta dal nostro Paese in seno al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, laddove era in discussione una risoluzione che condannava l’impatto sui diritti umani di sanzioni economiche unilaterali ad alcuni stati, fra cui appunto Cuba. 

“La nostra Patria è l’umanità”, con queste parole ci avevano salutato i nostri Hermanos de Cuba arrivando a Crema ed io le chiedo, caro Presidente, qual è la nostra, di Patria, se l’opportunismo e la realpolitik ci impediscono di rispondere in termini di reciprocità ai benefici ricevuti ed alla solidarietà che un Popolo assai più umile, più povero e con molti meno mezzi del nostro, ma ricco di dignità, umanità ed orgoglio, ci ha donato in uno dei momenti più drammatici della nostra storia repubblicana. 

Questa presa di posizione dei nostri rappresentanti alle Nazioni Unite, peraltro su un atto dalla forte valenza simbolica, doveva essere diversa, perché era necessario rispondere con maturità politica a un’azione gratuita e generosa, che aveva salvato vite vere di italiani in carne ossa. Mi domando che senso pedagogico e politico possa avere invece avuto il nostro voto contrario. Non è così che si favorisce il cambiamento delle relazioni, persino di quelle internazionali. 

Era l’occasione giusta per reagire con un atto di lungimiranza, capace di spezzare posizioni cristallizzate, vecchie di oltre mezzo secolo, proprio per dimostrare il desiderio di affratellarsi con tutte le genti, in un Pianeta in cui i confini e le ideologie appaiono ogni giorno più lontani dallo spirito delle nuove generazioni.

Chiedo a lei, signor Presidente, di fare giungere un positivo gesto istituzionale e un grazie ai nostri fratelli cubani, un atto che, dopo l’improvvida presa di posizione, li rassicuri sul nostro affetto e la nostra vicinanza, che apra la strada a un consolidamento dell’amicizia e che permetta alla democrazia di guadagnarsi una possibilità. 

Con stima, 

Stefania Bonaldi 

Sindaca di Crema”

#HermanosDeCuba

#CremaCuba

#BrigataHenryReeve