mercoledì 13 aprile 2022

PREZZEMOLINO

Ormai presente ovunque nei notiziari,sulle prime pagine di quotidiani e di rotocalchi,negli "speciali" che non sono più tali in quanto giornalieri sulle emittenti televisive,il presidente ucraino Zelensky è una sorta di prezzemolino cui siamo abituati e che certamente in molti di noi vorrebbero vederlo meno.
Più che guardarlo direi che è la sua voce e quello che dice che ha stancato e parecchio,uno che nello stesso discorso vuole la pace ma che chiede munizioni e armi,che parla di dialogo ma che ogni santo giorno vuole la morte del nemico,uno che ha fatto soldi e fortuna con la televisione e che ora è un signore della guerra.
Il pressapochismo politico del presidente Zelensky è proprio del ritrito populismo e qualunquismo della destra(molto estrema)che viene propinata in tutto il mondo e da molti decenni,e che trova ancora proseliti salvo poi capire quando è troppo tardi di aver creduto a delle fandonie.
L'articolo preso da Contropiano(i-professionisti-della-comunicazione-che-gestiscono-zelenskij )è un piccolo contributo che riguarda la gestione dell'immagine di Zelensky che è ormai ospite in tutti i parlamenti mondiali a cadenza giornaliera e che continua la sua calcolata carità piangendo per se stesso più che per ucraini(che se la passano parecchio male ed è un eufemismo)e che parla di violenze presunte o meno dalla controparte russa mentre il suo esercito è composto di agnellini,tirando in ballo stragi,torture,crimini di guerra,uso di armi chimiche e proibite almeno una volta al giorno.
La guerra è una brutta cosa e certamente mettendoci il muso e le parole quotidianamente non fermerà questa tragedia che l'Ucraina ha cominciato dal 2014 e che ora ha il sostegno di tutto un occidente che non riesce a capire che gli Usa,l'Ue e la Nato sono i principali artefici di questo conflitto.

I professionisti della comunicazione che gestiscono Zelenskij.

di Pierluigi Fagan *

Alcuni si sono irritati e sorpresi dai miei recenti toni con cui ho trattato Zelensky. Chiunque abbia avuto esperienze di marketing e pubblicità non potrà non notare come tutta la narrazione Zelensky ricalchi in tutta evidenza una chiara strategia.

Forse questa affermazione risulterà infondata ai più, ma io ho lavorato in quel campo per due decenni e passa, diciamo ad alti livelli, con una specializzazione professionale specifica proprio in strategie di marketing e comunicazione.

Non c’è alcuna possibilità che possiate sostenere il contrario, credetemi, la mia non è una convinzione politica è meramente una constatazione tecnica.

Zelensky è il testimonial (bravissimo) di una strategia di comunicazione (abilissima e molto professionale) che presuppone un abilissimo team che ne cura immagine e testi, team ovviamente non ucraino.

Ma è anche un PR con un altro team che gli apre porte di parlamenti, interventi nelle piazze pacifiste, interviste, servizi copertina e da ultimo anche merchandising e tutto il noto sistema che accompagna il format “rivoluzioni colorate”.

E chi lo dirige gestisce anche le sue relazioni internazionali, l’amicizia con i Trimarium in funzione anti-UE, gli attacchi a Germania e qualche volta Israele, l’ambiguo rapporto con la Turchia che sta nella NATO tanto quanto si bilancia con la Russia e molto altro.

O mi volete dire che un comico ucraino in politica da tre anni con un Paese al 133° posto per Pil, è in grado di far tutto questo da solo?

Ogni giorno concede qualcosa facendo respirare gli animi pacifisti e ragionevoli, un minuto dopo fa marcia indietro.

Ogni giorno alza la posta paranoica contro l’inumanità russa (che è per molti versi obiettiva), poi chiede più armi, più soldi, più riconoscimento e più odio per il nemico.

Ogni giorno noi non abbiamo alcuna informazione terza sui teatri di guerra, ma abbiamo cori di esperti che fanno sperare: “i russi sono impantanati”, “i russi cedono psicologicamente”, “i russi stanno preparando attacchi biochimici ed atomici (quando queste sono pari accuse fatte dai russi nei loro confronti).

Non vediamo i militari russi, non vediamo i militari ucraini, vediamo solo immagini ucraine e sentiamo solo comunicati ucraini.

Se c’è speranza, c’è un invio d’armi e tutto il circuito si rilancia.

Ogni giorno gli europei vanno incontro a questo tsunami emotivo terrorizzante spinti da dirette h24 gestite da professionisti della comunicazione che non hanno mai un dubbio, un’alzata di sopracciglio, un possibile ricordo del necessario bilanciamento quando si stratta di comunicazione di guerra.

Così i popoli, così i loro intellettuali principali, così i partiti annichiliti.

Granelli di sabbia in questa abbondante vasellina sono subito coperti di ignominia ed ostracizzati.

* da Facebook

lunedì 11 aprile 2022

L' ERGASTOLO A BELLINI

L'ennesimo capitolo del processo per la strage di Bologna ha visto negli scorsi giorni la pena dell'ergastolo per Paolo Bellini per concorso in strage e due pene di 6 e 4 anni rispettivamente per Piergiorgio Segantel(carabiniere)e Domenico Catracchia(faccendiere)per depistaggio e false informazioni.
L'ex terrorista neofascista di Avanguardia nazionale era l'ultimo in ordine cronologico a venire giudicato come esecutore dell'attentato dopo i già condannati Mambro,Fioravanti,Ciavardini e Cavallini(quest'ultimo ha un processo d'appello l'anno prossimo)mentre il processo ai mandanti,ormai deceduti quasi tutti quelli riconosciuti colpevoli(vedi:madn il-capitolo-finale-sui-mandanti-della strage di bologna )è terminato del 2020.
L'articolo proposto(www.ecn.org/antifa strage-di-bologna-ergastolo )parla della sentenza e ripercorre brevemente la cronaca di questi quarant'anni e oltre di una delle pagine più tragiche e vergognose della storia italiana.

Strage di Bologna, ergastolo all’ex terrorista di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini, 6 anni per l’ex carabiniere Segatel e 4 anni a Catracchia · 

L'ex terrorista di Avanguardia Nazionale è stato imputato dopo che la Procura generale ha avocato l'inchiesta sui mandanti. Accusando, da morti, quindi non processabili, il capo della P2 Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi

Ergastolo per Paolo Bellini, sei anni per Piergiorgio Segatel e 4 anni a Domenico Cataracchia. La Corte d’assise di Bologna ha emesso la sentenza per la strage di Bologna nel processo che ha portato sul banco degli imputati l’ex terrorista di Avanguardia Nazionale, accusato di concorso nella strage del 2 agosto 1980, l’ex capitano dei carabiniere, imputato per depistaggio e l’ex amministratore di condomini in via Gradoli a Roma accusato di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini. Per l’attentato in cui morirono 85 persone e altre 200 rimasero ferite sono stati condannati in via definitiva gli ex Nar Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini e in primo grado Gilberto Cavallini il cui processo di secondo grado è stato rinviato al 2023. Bellini – sulla cui figura Paper First ha pubblicato il libro L’uomo Nero e le stragi a cura di Giovanni Vignali – è stato imputato dopo che la Procura generale ha avocato l’inchiesta sui mandanti. Accusando, da morti, quindi non processabili, il capo della P2 Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi.

Il procuratore generale di Bologna aveva chiesto l’ergastolo e l’isolamento per Bellini, 6 anni per Segatel e 3 anni e mezzo per Catracchia. “Noi abbiamo qualificato il fatto come crimine punito dall’articolo 285 del codice penale, perché si tratta di un crimine contro la personalità dello Stato” aveva detto il rappresentante dell’accusa. “La strage non colpisce soltanto le vittime malcapitate ma offende un valore, il valore principale della nostra Repubblica, che è la democrazia. Perché se io col sangue tento di condizionare la vita democratica, i flussi di voto, il consenso – aveva aggiunto Umberto Palma – tento di far scattare una reazione che possa influenzare la vita politica del Paese e offendo la Costituzione, il Paese stesso, l’Italia”. Ecco perché questa “strage è un crimine contro la personalità dello Stato, perché parti offese non solo solo le vittime, ma anche la comunità, Bologna, la democrazia e la personalità dello Stato e l’articolo 285 del codice penale tratteggia la strage come delitto contro la personalità dello Stato”. Bellini è accusato di essere uno degli autori della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, in concorso con gli ex Nar già condannati e con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti e non più imputabili, ma ritenuti mandanti, finanziatori o organizzatori dell’attentato.

Gli inquirenti – che nel gennaio del 2021 avevano chiuso le indagini su mandanti – avevano rintracciato un filo nero che dal Maestro Venerabile della P2 è passato, secondo la loro ricostruzione, dal cuore dello Stato per finire agli estremisti di destra, incrociando agenti dell’intelligence e faccendieri, assoldati per depistare le indagini. Quella che era stata una suggestione era quindi diventata una vera ipotesi investigativa e infine un processo. Per l’accusa infattu fu la loggia massonica Propaganda 2 a organizzare e finanziare la strage di Bologna. E dietro alla bomba alla stazione c’erano quattro menti nere: quelle di Licio Gelli, del suo braccio destro Umberto Ortolani, del potentissimo capo dell’ufficio Affari riservati del Viminale, Federico Umberto D’Amato, e del piduista senatore del Msi, Mario Tedeschi. Tutti morti e quindi non imputabili. A processo invece erano andati Bellini, Segatel, Catracchia e l’ex generale del Sisde Quintino Spella morto un anno fa.

Per tre testimoni e altrettanti consulenti, tra i quali tre tecnici della polizia Scientifica, i giudici hanno disposto di inviare i verbali al Pm per valutare eventuali ipotesi sui reati di falsa testimonianza, e frode in processo penale e depistaggio. Si tratta dell’avvocato Stefano Menicacci, ex deputato dell’Msi e già difensore di Stefano Delle Chiaie, che presentò Bellini, all’epoca latitante, all’aeroclub di Foligno. Poi Giancarlo Di Nunzio, cointestatario, insieme allo zio Giorgio, di un conto corrente sul quale sarebbe transitata la prima tranche di soldi poi utilizzati per finanziare la strage. E infine Piercelso Mezzadri, personaggio vicino agli ambienti dell’estrema destra emiliana, legato a Bellini.

Rischiano un’indagine anche i tre tecnici della polizia Scientifica, Fabio Giampà, Stefano Delfino e Giacomo Rogliero, che chiamati dalla Procura generale a ripulire una intercettazione ambientale del leader veneto di Ordine Nuovo, Carlo Maria Maggi, in cui secondo l’accusa si faceva riferimento ad un ‘aviere’ che avrebbe portato la bomba in stazione a Bologna, nella loro relazione hanno affermato che in realtà la parola potrebbe non essere ‘aviere’, ma bensì ‘corriere’. Secondo la Procura, però, questa interpretazione, visto che i tecnici della Scientifica hanno ammesso di aver consultato anche fonti aperte (come articoli di giornale che parlavano del processo), è influenzata dalle ipotesi poi archiviate sulla pista palestinese, soprattutto quando fa riferimento allo scoppio per errore della bomba in stazione, trasportata proprio da un corriere.

Alla lettura della sentenza nel nuovo processo sulla Strage di Bologna l’aula della Corte di assise, gremita di familiari delle vittime, ha reagito con gioia composta. Abbracci e sollievo, con gli avvocati di parte civile e con il sindaco Matteo Lepore e la vicepresidente della Regione Elly Schlein, presente alla lettura del dispositivo. “Ottimo, bene. Confido nel fatto che la mole di documenti uscita da questi processo potrà essere utile anche per altri processi riguardanti le stragi e non solo. È l’inizio del percorso verso la verità, mancano le responsabilità politiche” commenta con l’Adnkronos di Paolo Bolognesi, presidente del comitato familiari delle vittime della strage di Bologna.

 https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/04/06/strage-di-bologna-la-sentenza-ergastolo-a-paolo-bellini-6-anni-per-segatel-e-4-a-catracchia/6550508/

mercoledì 6 aprile 2022

UNA GIUSTIZIA ROSICCHIATA

E' difficile pronunciare la parola giustizia dopo dodici anni di infamie e di accuse,di depistaggi riusciti ed altri svelati,di lotta strenua di una sorella e del suo avvocato,di carabinieri cattivi e criminali e di altri con una coscienza.
La storia di Stefano Cucchi,della sua vita,delle sue debolezze,del suo arresto e del suo assassinio è ormai nota e riassunta nel redazionale di Contropiano(giustizia-per-stefano-cucchi-dopo-dodici-anni e vedi anche un articolo dell'ottobre del 2009:madn ci-sara-la-verita?)che ci racconta la fine dell'iter giudiziario di una lentezza disarmante e che in pochi si possono permettere se non con la tenacia e l'aiuto di molti,che ha siglato tra le pene principali i dodici anni di carcere ai carabinieri Di Bernardo e D'Alessandro rei di omicidio preterintenzionale dopo avere massacrato di botte Cucchi sotto la loro custodia.
La foto di presentazione che vede Stefano Cucchi sorridente è affiancata da quelle di quattro rifiuti umani che hanno prestato servizio in politica che corrispondono ai nomi di Salvini,Tonelli,Giovanardi e La Russa,che hanno le mani insanguinate come quelle dei carabinieri condannati assieme a coloro che hanno gettando fango(sto tranquillo)a Cucchi e altre persone ammazzate dallo Stato e difeso senza se e senza ma i loro aguzzini.
Anche se rimangono ancora troppi lati oscuri e ci sono i vertici dell'arma che hanno tentato di gettare tutto lo sporco sotto al tappeto che ne sono usciti(speriamo momentaneamente)puliti,è tuttavia una sentenza definitiva che è una mosca bianca in un paese come l'Italia,prodiga ad usare violenza e tortura sia durante gli arresti che durante la carcerazione.

Giustizia per Stefano Cucchi, dopo dodici anni.

di Redazione Contropiano

La Cassazione ha condannato in via definitiva a 12 anni – un anno in meno rispetto alla sentenza di appello – i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati di omicidio preterintenzionale per il pestaggio e alla morte di Stefano Cucchi.

Per i due carabinieri condannati dovrebbero a questo punto aprirsi le porte del carcere. Per puro caso, le condanne sono della stessa dimensione del tempo passato a combattere i depistaggi che l’Arma dei Carabinieri – a diversi livelli – ha messo in atto, fino a costringere a ben dieci processi per arrivare infine a stabilire questa verità che appariva evidente fin dal primo momento.

Prima della sentenza, il procuratore generale della Cassazione, Tomaso Epidendio ha dichiarato che i carabinieri hanno “voluto infliggere a Cucchi una severa punizione corporale di straordinaria gravità, per il suo comportamento strafottente. Tutto qui è drammaticamente grave ma concettualmente semplice: senza i calci, gli schiaffi, le spinte, ci sarebbe stata la frattura della vertebra? La risposta è palesemente negativa”.

La ricostruzione dei fatti – che riprendiamo per semplicità da Wired – è, nella sua dinamica abbastanza semplice, ex post.

Stefano Cucchi, la sera del 15 ottobre 2009, veniva arrestato da una pattuglia di carabinieri per il possesso di circa 20 grammi di hashish, 2 grammi di cocaina e due pastiglie di ecstasy.

Prima di essere portato in caserma, il giovane deve condurre i carabinieri a casa dei suoi genitori, dove viveva, per la perquisizione dell’alloggio. L’operazione non porta a nulla, tranne alla constatazione da parte della coppia che loro figlio si trova in buone condizioni fisiche e di salute. Un dettaglio che si rivelerà fondamentale nei successivi 13 anni.

Quella notte, Stefano la passa in caserma, da dove viene allertato il 118 per verificare il suo stato di salute. In poche ore, insomma, le sue condizioni passano da “buone” a “critiche”, tanto da dover essere chiamata un’ambulanza (cosa che, in una caserma dei carabinieri, avviene solo in casi davvero estremi).

In base ai resoconti e ai verbali dei carabinieri, Cucchi avrebbe rifiutato la visita medica, cosa che appare comprensibile solo per chi conosce da vicino le dinamiche e i comportamenti “obbligati” della detenzione (“sono caduto per le scale”, si usa dire dopo aver subito un pestaggio).

Il giorno successivo, prima dell’udienza per la conferma dell’arresto, il ragazzo viene consegnato alla polizia penitenziaria. Gli agenti a quel punto pretendono che Stefano sia sottoposto a una visita medica, dalla quale emergono forti lesioni alla regione sacrale, cioè alle vertebre più basse della colonna, e alle gambe.

Di nuovo, i verbali sostengono che Stefano abbia rifiutato una controllo più accurato.

Appare chiaro, insomma, che i “secondini” – vendendolo in condizioni critiche – abbiamo voluto una certificazione sanitaria che escludesse fossero loro gli autori del pestaggio pestaggio. Un detenuto, in questa trafila, viene trattato come un “pacco”: ogni nuovo “lavorante” che lo prende in carico vuole che siano precisate le condizioni in cui gli arriva…

Durante l’udienza l’arresto viene convalidato, ma Stefano Cucchi, invece che in un ospedale, viene spostato nel carcere di Regina Coeli a Roma.

Segue subito l’ennesima visita medica e, questa volta, il dottore ne richiede l’immediato ricovero presso l’ospedale Fatebenefratelli. I verbali riferiscono che Stefano Cucchi avrebbe rifiutato il ricovero, venendo dimesso con la diagnosi di diverse fratture e numerosi ematomi.

Ufficialmente, i referti sostengono che la causa delle lesioni sarebbe stata una caduta dalle scale.

Passa un altro giorno e Stefano non può non andare in ospedale. Gli viene così imposto il ricovero, presso il reparto di “medicina protetta” del Pertini (in realtà una sezione specifica per detenuti).

Nonostante le sue condizioni precarie, l’amministrazione penitenziaria impedisce ogni visita alla famiglia Cucchi. Tre giorni dopo, alle 6 del mattino del 22 ottobre 2009, Stefano muore da solo, senza aver nemmeno potuto salutare i genitori e la sorella.

Il lunghissimo iter processuale non è però ancora arrivato al punto finale. O almeno non per tutti i carabinieri coinvolti nell’omicidio.

Ci sarà un processo di appello bis per il reato di falso nei confronti dei carabinieri Roberto Mandolini e per Francesco Tedesco, condannati in appello a 4 e a 2 anni e mezzo. Per questo reato però la prescrizione è ormai imminente, a maggio.

Tra pochi giorni, giovedì 7 aprile, è inoltre prevista la sentenza del processo sui presunti depistaggi dopo il decesso di Cucchi, che vede imputati otto carabinieri con diversi gradi – anche alti – accusati a vario titolo di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia e per i quali il pm ha chiesto condanne che vanno da 1 anno e 1 mese fino a 7 anni.

Giustamente soddisfatte, dopo la sentenza definitiva della Cassazione, le dichiarazioni dei familiari e del loro avvocato, Fabio Anselmo, autentico protagonista di questa lunghissima battaglia giudiziaria.

“A questo punto possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano. Possiamo dire che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di coloro che ce l’hanno portato via. Devo ringraziare tante persone, il mio pensiero in questo momento va ai miei genitori che di tutto questo si sono ammalati e non possono essere con noi, va ai miei avvocati Fabio Anselmo e Stefano Maccioni e un grande grazie al dottor Giovanni Musarò che ci ha portato fin qui”, ha detto Ilaria Cucchi dopo la sentenza.

“Finalmente è arrivata giustizia dopo tanti anni almeno nei confronti di chi ha picchiato Stefano causandone la morte“, ha aggiunto Rita Calore, madre di Stefano Cucchi, riportate dal suo legale Stefano Maccioni.

“Questi occhi hanno visto finalmente Giustizia. Stefano Cucchi è stato ucciso dai due carabinieri che lo arrestarono la notte tra il 15 e 16 ottobre 2009. Questa sentenza la dedichiamo ai medici legali Arbarello e Cattaneo che parlarono di caduta probabilmente accidentale e di lesioni lievi. Ora i responsabili dell’omicidio di Stefano saranno incarcerati”.

Così in un post su Facebook l’avvocato Fabio Anselmo, legale di Ilaria Cucchi, dopo la sentenza.

Ma non è finita, dicevamo. I carabinieri – tra cui alcuni alti ufficiali – responsabili dei depistaggi devono subire anche loro, se non altro per la semplice logica degli eventi, una condanna proporzionata.

venerdì 1 aprile 2022

UN MESE DALL' AGGRESSIONE MORTALE A YVAN COLONNA

E 'passato un mese dall'aggressione che si è rilevata mortale ai danni di Yvan Colonna,uno dei nomi dell'indipendentismo corso più conosciuti e rispettati,avvenuta nel carcere di Arles dove un detenuto jihadista lo ha strangolato provocandone la morte sopraggiunta il 21 marzo.
Ed è da quel 2 marzo che la Corsica e soprattutto a Bastia ci sono proteste contro quello che è istituzionalmente francese perché l'omicidio di Colonna è visto come un intervento diretto dello Stato vista la dinamica della violenza e l'assenza d'intervento delle complici guardie carcerarie.
Yvan Colonna,militante dell'FNLC(il fronte di liberazione nazionale corso),era stato condannato in via definitiva all'ergastolo per il presunto omicidio del prefetto Érignac avvenuto verso la fine degli anni novanta con prove circostanziali in un processo farsa in cui si è sempre professato innocente.
L'articolo di Agi(rivolta-giovani-corsica-francia-assassina-mito-yvan-colonna )racconta dell'ultimo mese tra l'aggressione,le proteste scaturite,la morte ed il funerale di Yvan Colonna,cui hanno presenziato molti politici indipendentisti e tanti corsi di tutte le età per manifestare la propria vicinanza ad una figura storica ed ormai leggendaria della lotta all'autodeterminazione del popolo della Corsica dal giogo francese(vedi:madn la-corsica-e-il-silenzio-di-parigi ).

La rivolta dei giovani in Corsica contro la Francia "assassina" del mito Yvan Colonna.

Viaggio nell'isola scossa dall'omicidio in carcere di Yvan Colonna, una delle figure più carismatiche dell'indipendentismo. Proteste di piazza, guidate dalla ‘Ghjuventù Corsa’, e feriti negli scontri con la polizia, accompagnano le richieste di autonomia sempre più pressanti a Parigi, a poche settimane dalle elezioni

di Manuela D'Alessandro

27 marzo 2022

AGI -  A Cargése ci sono due chiesine una di fronte all’altra: una è latina, l’altra greco-ortodossa. Per trenta minuti le campane di entrambe suonano a morto nella valle ammutolita dove splendono gli elicrisi colore del sole.

Quello a Yvan Colonna potrebbe sembrare l’assurdo funerale di Stato a un uomo che per lo Stato è un criminale. Perché sono presenti quattro parlamentari, il presidente della Regione, Gilles Simeoni, i vigili del fuoco che attendono la bara all’ingresso della chiesa latina accanto a un’opera in legno che raffigura il defunto e perché le bandiere sventolano e un prete indica chi non c’è più come “esempio di passione e attaccamento alla sua terra”.

Invece è un funerale ‘contro’ “lo Statu francese assassinu”, così hanno scritto in rosso e nero sui muri e sugli striscioni appesi alle finestre. Il saluto a Colonna, aggredito il 2 marzo da un compagno di cella mentre stava scontando l’ergastolo per aver ucciso il prefetto Claude Erignac nel 1998, segna una pausa di raccoglimento dopo giorni di dolore e rabbia rovesciati nelle strade della Corsica col bilancio di una sessantina di feriti a Bastia.

In nome del suo ‘enfant du pays’, una parte dell’isola, tra cui tantissimi giovani uniti nel movimento separatista ‘Ghjuventù Corsa’, ripropone con una forza nuova i temi antichi dell’autonomia e, in misura minoritaria, dell’indipendenza.

Nessuna delle cinquemila persone che trattengono il fiato mentre il feretro avvolto dalla bandiera col Moro scende lentamente verso la chiesa da una strada scoscesa crede che l’ex  pastore di pecore abbia ammazzato il prefetto e tutti sono convinti che la polizia francese abbia assistito per una decina di minuti, senza voler intervenire, al suo strangolamento nel carcere provenzale di Arles. 

Nelle prime file ad aspettare la bara c’è Renato Corti, 78 anni, considerato uno dei più importanti intellettuali corsi e un raffinato poeta. Tutti lo salutano con rispetto e ammirazione. “Come da 150 anni a questa parte lo Stato francese tortura gli innocenti e li assassina - dice all’AGI -. Ricordiamoci che nel diciottesimo secolo, quello dei lumi, qui i francesi impiccavano i giovani ai lecci e ai castagni”. Corti sembra commosso: “La morte di Yvan è per me devastante. Non ci siamo mai visti ma abbiamo tenuto una corrispondenza lunga 19 anni in cui ho avuto modo di conoscere la sua lucida visione politica”. Ora sta pensando di pubblicare queste lettere come testamento dell’amico.

In un bar  al centro del paese il deputato nazionalista Paul - André Colombani discute coi suoi elettori con grande familiarità. In Corsica ci sono 340mila abitanti, il rapporto tra chi vota e i rappresentanti è molto stretto. “E’ la sola isola del Mediterraneo che non ha uno statuto di autonomia, come per esempio la Sardegna e la Sicilia - spiega -. Tutto viene deciso a Parigi. I giovani che hanno manifestato a Bastia non se la sono presa coi negozi, non hanno distrutto le automobili, se la sono presa coi simboli dello Stato. Questo vuol dire che hanno una profonda cultura politica alle spalle”.

Tra le richieste alla Francia, sottolinea, c’è quella di far tornare a ‘casa’ a scontare la pena Alan Ferrandi e Pierre Alessandri, gli altri due corsi accusati dell’omicidio di Erignac che sono in carcere nell’Île-de-France. 

Il giorno del funerale è stata proclamata una giornata, come la chiamano qui,  di 'Isula morta’. Trasporti pubblici fermi, negozi chiusi. Ovunque da Bastia ad Ajaccio, sui vagoni dei treni, sui muri degli edifici pubblici e dello stadio, in tutti i colori, è apparsa la scritta: ‘Gloria à te, Yvan” accompagnata dall’immagine del suo volto giovane e fascinoso coi lunghi capelli e l’aria di sfida negli occhi.

La bandiera col Moro bendato di bianco, affiancata al funerale da quella sarda dei 4 Mori e dai vessilli basco e catalano, viene posata perfino tra gli arbusti delle ginestre appena esplose  nei prati di questa montagna aspra ingentilita dai fiori in mezzo a un mare favoloso.

E’ stato aperto anche un ‘livre d’or’ online dove migliaia di persone stanno lasciando un messaggio d’affetto per la moglie e i due figli di Colonna che, poco prima delle esequie, si sono stretti in un momento intimo sotto agli ulivi che il pastore piantò prima di andarsene dalla Corsica. Il più giovane dei ragazzi ha deciso di diventare pastore come Yvan che invece si distanziò dal padre deputato autonomista, assumendo posizioni molto più radicali di separatismo.

“Colonna è diventato il simbolo di quella che viene percepita come un’ingiustizia generale - riflette il politologo André Fazi, docente all’Università di Corte -. Ventimila persone che manifestano per la Corsica è un numero enorme. La sua morte fa venire a galla la attese deluse soprattutto dopo i successi dei nazionalisti sempre crescenti alle ultime elezioni che Macron, peraltro, non si aspettava. Il Governo non ha mai risposto alle domande democraticamente legittime di questi anni. Tra le ragioni dello scontento c’è anche la difficoltà per i giovani con un’istruzione qualificata a trovare un lavoro perché l’economia è dominata solo dal turismo, dalla grande distribuzione e dal settore immobiliare”. Secondo Fazi, “il discorso dell’indipendenza non è pensabile se non a medio termine perché prima ci vorrebbe uno sviluppo economico. Ora la questione è l’autonomia e Macron sembra essere più aperto.  Anche se sembrerebbe voler concedere un’autonomia ‘monca’ sotto un controllo politico che passi da Parigi, il che la svuoterebbe di senso”. 

Chi era Yvan Colonna per il popolo? “Era la nostra identità, un uomo d’onore attaccato alla sua terra” risponde sicuro Thomas, sorseggiando una birra al tavolo con Colombani. “La Francia ha sempre parlato di noi come del problema corso, ma sbaglia prospettiva. Il problema sono loro. Come prima cosa, dovrebbero riconoscere la nostra lingua e la nostra cultura” dice Lisandro, che lavora per una delle tre imprese isolane che imbottigliano le acque minerali locali.

Cosa succederà adesso? Pierre Savelli, il sindaco di Bastia del partito autonomista Femu Corsica, guarda alle promesse di Parigi. “Penso che, per il momento, la calma debba tornare. E' la volontà espressa dalla famiglia Colonna e il governo ha annunciato che i due prigionieri politici a metà aprile saranno trasferiti nelle carceri corse. E’ stata chiesta la verità sulla morte di Colonna e ci sono un’inchiesta giudiziaria  e una commissione parlamentare che la cercheranno. Infine, Parigi ha promesso che si farà insieme un percorso per lo statuto di autonomia i cui tempi saranno comunicati a breve. Il governo ha assunto degli impegni che devono essere seguiti”.

Bastia guarda molto avanti e lavora per essere tra le candidate al ruolo di capitale europea della cultura nel 2028. “Per costruire l’Europa ci vogliono regioni più autonome”  sostiene il sindaco.

La prospettiva dell’indipendentista Ghjuvan Guido Talamoni, anche lui a Cargese, è diversa ma deve trovare una sponda che al momento non ha per diventare praticabile: “Parigi si è svegliata dopo anni di sonno grazie alle manifestazioni dei giovani dietro ai quali, posso assicurarlo, non c’è nessun partito. Ha mandato subito il ministro dell’Interno per spegnere il fuoco perché tra poco si svolgeranno le elezioni presidenziali, promettendo un’autonomia il cui contenuto però non è stato svelato e noi con le parole non ci facciamo niente. Per i giuristi di tutto il mondo autonomia significa trasferimento del potere legislativo, qui sembra che si debba passare ancora dal centro. Abbiamo capito che lo Stato reagisce solo alle dimostrazioni di forza. Quello che sono riusciti a ottenere i giovani in pochi giorni è molto di più di quanto abbiamo avuto noi e gli autonomisti nonostante abbiamo vinto tutte le elezioni degli ultimi 20 anni anni con un largo margine. Ora vorremmo che i nostri alleati autonomisti in Assemblea regionale abbiano il coraggio politico di proseguire su questa strada. Basta prostrarci per chiedere a Parigi di riceverci e discutere, possiamo bloccare tutto e ribaltare i rapporti di forza se si fermano i nostri agricoltori, i nostri marittimi e se i nostri eletti smettono di riferire al Prefetto che è il vero potere della Corsica. Simeoni, al suo cospetto, non comanda niente”. 

In queste ore gira sui social un video in cui si sentono i militari della caserma ‘Furiani’ di Bastia cantare l’inno francese. Sarebbe avvenuto, ma su questo non ci sono certezze, proprio durante il funerale. “Gli ignobili cani da guardia dello Stato hanno gioito per la morte di un patriota” è stato il commento di Ghjuventù Corsa  che ha annunciato nuovi presidi davanti alle prefetture nel frattempo impegnate a erigere muri anti sommossa.

Difficile prevedere cosa accadrà ma l’immagine finale dell’addio a Colonna, ora consegnato al mito dei corsi, racconta l’intensità di questo momento storico. Dopo le esequie, tutti i partecipanti al funerale hanno camminato in corteo silenzioso alcuni chilometri per raggiungere il cimitero e dare un’ultima carezza a Yvan.

Nella prima oscurità della sera, tutti hanno intonato, quelli che sono riusciti a entrare nel camposanto e gli altri rimasti fuori, anche molto lontano, il canto popolare che si impara da bambini, ’Corsica nostra’. “Terra d’eroe rizzati libera, fallo per noi/I to figlioli pronti a à marchjà/Portanu u nome di libertà/ i to figlioli pronti à luttà”.