sabato 27 febbraio 2021

GLI USA DI BIDEN GIA' IN GUERRA

E' passato poco più di un mese dall'insediamento ufficiale di Biden alla guida degli Stati Uniti e subito la simpatia e la tendenza dei democratici verso la guerra ha avuto la prima conferma con un raid aereo compiuto in Siria non direttamente perché i siriani abbiano fatto qualcosa di letale contro gli Usa ma per rappresaglia a degli attacchi subiti dalla coalizione americana in Iraq.

E cosa dicono i "democratici" in Italia a riguardo? Bocche cucite,il Pd non commenta ma come i dem statunitensi anche loro ripudiano i comunisti e l'equiparazione tra nazismo e comunismo è caratteristico di entrambi gli schieramenti politici come ha certificato il voto europeo del settembre 2019(vedi:madn il-giorno-degli-anticomunisti e sul voto in Europa:madn la-mozione-anticomunista-del-parlamento europeo ).

Ripeto che Trump era inguardabile ed intollerabile(vedi uno degli ultimi capitoli della sua saga:madn la-rivolta-dei-redneck )ma le mira dei repubblicani come spiegato più volte sono incentrate all'interesse nazionale anche se pure loro non sono esenti dal compiere "missioni di pace" in tutto il mondo.

D'altronde la rose dei nomi messa in campo da Biden(vedi:madn il-team-di-bidenmolti-falchipoche colombe )era già foriera di possibili attacchi nelle zone calde del mondo riscoprendo i vecchi(e ce ne saranno certamente di nuovi) "Stati canaglia" ed offrendo a paesi alleati di proseguire assieme loro alla produzione ed al commercio di armi.

L'articolo di Contropiano(con-biden-si-torna-ai-vecchi-tempi )analizza l'attacco ponendo attenzione sia al proclama del raid che alla cronaca della devastazione e alle vittime provocate,con le reazioni internazionali di paesi confinanti che vedono la situazione precipitare verso nuove espansioni dei conflitti soprattutto in Medio Oriente,ma altri Stati(Venezuela,Corea del Nord)sono allertati per possibili nuove ingerenze statunitensi.

Siria. Raid aereo statunitense. Con Biden si torna ai “vecchi tempi”.

di  Alessandro Avvisato   

E’ passato poco più di un mese dall’insediamento di Biden alla Casa Bianca e gli Stati Uniti sono già tornati a bombardare in Siria. Ad essere colpita è stata l’area di Al Bukamal nell’est del paese. La motivazione è la rappresaglia per alcuni attacchi subiti dai militari Usa in Iraq, dunque non in Siria.

“Su ordine del presidente Biden, le forze militari statunitensi hanno condotto raid aerei contro infrastrutture utilizzate da gruppi militanti filo iraniani nell’est della Siria”, dichiara in una nota il portavoce del Pentagono John Kirby. “I raid – spiega – sono stati autorizzati in risposta ai recenti attacchi contro americani e personale della coalizione in Iraq”.

“Siamo fiduciosi sull’obiettivo che abbiamo attaccato, siamo convinti che era usato dalla stessa milizia sciita che ha condotto gli attacchi contro basi Usa in Iraq”, ha detto segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin, secondo cui i bombardamenti hanno distrutto varie strutture localizzate ad un punto di controllo alla frontiera usate da una serie di gruppi di militanti di organizzazione come Kait’ib Hezbollah e Kait’ib Sayyid al-Shuhada. Alcuni giorni fa, una base militare Usa nell’enclave curda nel nord dell’Iraq era stata attaccata con razzi che avevano ucciso un agente della Cia, ferito altri agenti e diversi contractors, mentre lunedi alcuni razzi hanno colpito anche la Green Zone di Baghdad, che ospita l’ambasciata degli Stati Uniti e altre missioni diplomatiche.

Secondo la Cnn, i raid statunitensi sulla Siria arrivano mentre Washington e Teheran si stanno posizionando per i negoziati sul programma nucleare iraniano, complicando potenzialmente un processo già fragile.

Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Saeed Khatibzadeh ha negato qualsiasi legame con l’attacco del 15 febbraio a Erbil, e l’Iran non ha rivendicato nessuno degli altri attacchi.

Ma i bombardamenti ordinati dall’amministrazione Usa, potrebbero creare tensione con i congressisti che sosterrebbero l’agenda di Biden e del cui sostegno avrà bisogno per andare avanti. “Questo rende il presidente Biden il quinto presidente degli Stati Uniti consecutivo a ordinare scioperi in Medio Oriente”, ha detto il deputato Ro Khanna, un democratico della California nella commissione per gli affari esteri della Camera. “Non c’è assolutamente alcuna giustificazione per un presidente che autorizzi un attacco militare che non sia per autodifesa contro una minaccia imminente senza l’autorizzazione del Congresso. Dobbiamo districarci dal Medio Oriente, non intensificare”. “Il presidente non dovrebbe intraprendere queste azioni senza chiedere un’autorizzazione esplicita invece di fare affidamento su leggi di autorizzazione per l’uso delle forze militari ampie e obsolete”, ha detto Khanna. “Mi sono battuto contro la guerra senza fine con Trump, e mi batterò contro di essa anche se abbiamo un presidente democratico”.

Il vicepresidente della commissione esteri al Consiglio della Federazione russa, Vladimir Dzhabarov, ha condannato l’aggressione statunitense alla zona di confine iracheno-siriana, sottolineando che è “illegale e un attacco al territorio di uno Stato sovrano”. Il senatore russo ha detto a Sputnik che “Il bombardamento Usa della Siria è illegale perché si tratta di un attacco al territorio di uno Stato sovrano, sottolineando che questo passaggio è una grave escalation che potrebbe portare a un’escalation della situazione nell’intero regione. Ha avvertito che tali atti potrebbero portare a “un grande conflitto”. Questa aggressione arriva in un momento in cui unità dell’esercito arabo siriano stanno dando la caccia ai resti dei terroristi Daesh nella regione siriana di Al-Badia.

Colpisce indubbiamente il fatto che gli Usa abbiano bombardato la Siria per un attacco avvenuto in Iraq, sicuramente un modo per non mettere in difficoltà il governo iracheno, ma che indica una escalation nella regione da parte degli Stati Uniti, insomma un pessimo segnale – non certo imprevedibile – da parte della nuova amministrazione Biden.

venerdì 26 febbraio 2021

QUANDO LA SOLIDARIETA' DIVENTA REATO

La bruttissima storia che arriva da Trieste e che ci parla della perquisizione della casa dei coniugi Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi.quest'ultimo imputato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina per avere ospitato una famiglia iraniana nel 2019,in quanto impegnati da anni nell'assistenza dei migranti che arrivano in Italia dalla rotta balcanica(vedi:madn che-ci-sia-memoria-per-i-lager-di-ieri e di oggi ),è un esempio lampante di come le persone buone e virtuose verso gli altri(senza nessun tornaconto personale)siano viste male da parte della giustizia italiana.
Nei due articoli di cui il primo è una piena rivendicazione di quello che Franchi compie assieme alla moglie(comune-info.net/io-rivendico/ )anche dal punto di vista politico perché spiega bene che l'intervento umanitario è togliere il dolore fisico e mentale mentre il suo lavoro implica anche un intervento sulle cause su cui nasce e si sviluppa il fenomeno sociale dei profughi.
Nel secondo articolo(www.lineadombra.org lorena-e-gian-andrea )preso direttamente dall'associazione triestina Linea d'ombra i motivi dell'accusa e il parallelismo con la manifestazione fascista dello scorso ottobre avvenuto nella città di confine dove nessuno è stato ancora indagato.

Io rivendico.

di Gian Andrea Franchi 

La notizia della perquisizione, a Trieste, in casa di Lorena Fornasir e di Gian Andrea Franchi (ora imputato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) ha provocato molte reazioni. Gian Andrea Franchi – che in questi anni ha sempre dedicato tempo e raccontare l’impegno accanto ai migranti della “rotta balcanica” e ad approfondire sotto diversi aspetti il tema delle migrazioni (in modo costante nella pagine di Comune) – nella tarda serata di mercoledì ha preso di nuovo parola in pubblico per rivendicare la valenza profondamente politica, e non umanitaria, del suo percorso

Io rivendico il carattere politico, e non umanitario, del mio impegno quinquennale con i migranti. Un impegno umanitario si limita a lenire la sofferenza senza tentar d’intervenire sulle cause che la producono. Un impegno politico, nell’attuale situazione storica, è prima di tutto resistenza nei confronti di un’organizzazione della vita sociale basata sullo sfruttamento degli uomini e della natura, portato al limite della devastazione (come la pandemia ci mostra). Un impegno politico è, inoltre, un tentativo di costruire punti di socialità solidale che possano costantemente allargarsi e approfondirsi.

Su questo impegno è balzato lunedì 22 febbraio 2021 alle cinque del mattino, con una perquisizione in casa mia, un intervento calunnioso di magistratura e questura che, basandosi su un aiuto effettivo di assistenza e ospitalità, dato nel luglio del 2019 a una famiglia iraniana – composta da padre, madre e due bambini -, vogliono collegarmi a una rete di sfruttatori (passeur) che avrebbe, prima e dopo il mio intervento, approfittato della famiglia profuga. 

Secondo il mio sentire non sarebbe nemmeno il caso di alzare le spalle nei confronti di questa insinuazione, che neanche giuridicamente mostra prove ma crea solo insinuanti parallelismi temporali. Tuttavia, ci sono di mezzo oltre alla mia persona, anche coloro che collaborano con me. Credo, allora, doveroso affermare pubblicamente che non esiste neanche uno straccetto di prova. Esiste soltanto l’insinuazione che, essendo stata questa famiglia contattata e usata da alcuni trafficanti (secondo gli inquirenti), io avrei potuto non solo esserne a conoscenza ma trarne addirittura un mio personale profitto.

Ritengo che ciò, che nel documento presentatomi è mera allusione, sia soltanto una sorta di macchina del fango che si vuol gettare non tanto sulla mia persona ma su un lavoro collettivo di solidarietà.

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Lorena e Gian Andrea sotto accusa per reato di solidarietà.

Questa mattina all’alba la polizia ha fatto irruzione nell’abitazione privata di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, nonché sede dell’associazione Linea d’Ombra ODV.

Sono stati sequestrati i telefoni personali, oltre ai libri contabili dell’associazione e diversi altri materiali, alla ricerca di prove per un’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che noi contestiamo, perché utilizzata in modo strumentale per colpire la solidarietà.

Siamo indignati e sconcertati nel constatare che la solidarietà sia vista come un reato dalle forze dell’ordine.

Oggi, in Italia, regalare scarpe, vestiti e cibo a chi ne ha bisogno per sopravvivere è un’azione perseguitata più che l’apologia al fascismo, come abbiamo potuto vedere il 24 ottobre scorso sempre in Piazza Libertà.

Condanniamo le azioni repressive nei confronti di chi è solidale, chiediamo giustizia e rispetto di quei valori di libertà, dignità ed uguaglianza, scritti nella costituzione, che invece lo Stato tende a dimenticare.

Chiediamo la solidarietà di tutta la società civile, per tutte le persone attaccate perché solidali.

IMPORTANTE: Abbiamo creato una mailing list dove convogliare tutte le persone e realtà solidali a Linea d’Ombra, che oggi si sono sollevate in tutta la penisola e oltre. Si tratta di uno strumento per noi utile, perché ci permette di comunicare con tutte le reti e realtà con cui siamo in contatto. Sarà nostra premura comunicare informazioni più precise appena ne entreremo in possesso.

Ci si iscrive a questo link: https://groups.google.com/g/ldo-solidali

giovedì 25 febbraio 2021

DRAGHI ED IL VIRUS DEL CAPITALISMO

Come era previsto la maggior parte dei mass media che influenzano l'opinione e le scelte politiche delle persone che sono più suscettibili a farsi imporre dei credo o delle ideologie,anche questi sono la maggioranza,sono sempre e comunque dalla parte del neo premier Draghi e nonostante(ed in alcuni casi a ragione)un inasprimento delle norme a contrasto del coronavirus non si è scatenata la bagarre dei giornalisti come contro l'ex premier Conte.
Come detto alcune misure extra in certe zone italiane sono necessarie anche se la gente continuerà ad andare al lavoro o ad affollare i centri commerciali e le strade,ma l'articolo oggi proposto(comune-info.net/la-variante-draghi )oltre a ribadire il servilismo di Draghi verso il capitale e Bruxelles parla di come voglia portare a termine obbiettivi ben precisi tralasciando però il come.
Infatti si parla di guarigione dal Covid-19 assieme al rafforzamento della salute della Terra,con una maggiore attenzione agli studi che porterà a risultati migliori nella tecnologia e nella ricerca rendendoci più competitivi a livello globale,ma non si fa nessun accenno alla società.
Infatti questi traguardi non arrivano senza fatica e sacrifici oltre che nutriti investimenti,e soprattutto vista la storia di Draghi,la sua devozione a Bruxelles ed al capitale come già detto,vuol dire una selezione di lavoratori che riusciranno a sopravvivere dopo la fine dei sussidi(come il blocco dei licenziamenti che presto cadrà)e dopo una lotta interna che aumenterà ancora le disparità e le disuguaglianze.

La variante Draghi.

di Antonio De Lellis 

Il capitalismo, come il virus, produce le sue varianti. La variante Draghi assorbe la transizione ecologica, impone quella tecnologica, seleziona al suo interno per rassicurare il capitalismo finanziario e, apparentemente, contrasta quello indebitante. Sembrerebbe dire Draghi: guariamo dal virus, guariamo la terra, studiamo, rendiamoci competitivi e innovativi e avremo una possibilità di crescita. Nei piani bassi ci restano molto domande. Che posto hanno i marginali, i vulnerabili, gli ultimi? Si può volere la transizione ecologica senza chiarire quella sociale? Come può orientarsi, in questo contesto, la società della cura nel suo ribellarsi facendo?

Il capitalismo, come il virus, produce le sue varianti. E Draghi, mi sembra di poter dire, rappresenta una variante a sé, autonoma, pragmatica, laicista, ma rispettosa della religione. Assorbe la transizione ecologica, digitale e tecnologica, seleziona al suo interno, in una sorta di capitalismo darwiniano, che rassicura quello finanziario e apparentemente contrasta quello indebitante. Noi, come i vaccini, dobbiamo implementarci, attrezzarci e imparare ad analizzare il mutamento di variante, dentro lo stesso schema.

La variante Draghi non può essere sottovalutata perché espressione di una nuova fase.

Di questa nuova fase, la propria consapevolezza dei problemi, dall’osservatorio sistemico attuale, e la visione apparentemente progressista e ambientalista, non lasciano spazio o almeno sono volutamente silenti sul futuro dell’umanità. Che ruolo avranno le persone in questa visione? Che fine farà il lavoro umano?

Sembrerebbe dire Draghi: guariamo dal virus, guariamo la terra, studiamo, rendiamoci competitivi e innovativi e avremo una possibilità di crescita. In un discorso tutto interno al proprio mondo finanziario, bancario e imprenditoriale sembrerebbe questo il messaggio: accettiamo le sfide per consentire all’economia di continuare, senza più sussidi e selezionando all’interno anche preventivamente.

Chi supererà la selezione vivrà. E chi non ce la farà? Che posto avranno i marginali, i vulnerabili, gli ultimi? È stato notato come non vi sia stato nel suo discorso alle Camere, un riferimento al carcere e agli altri luoghi della marginalità e della cura. Sì, si è parlato della vaccinazione, ma in un modo del tutto funzionale alla ripresa economica. Il concetto di cura è mancato totalmente e la visione della società della cura non ha asilo dentro il capitalismo che delinea la variante in atto.

Sbaglieremmo a entrare in conflitto con chi sta subendo l’affascinazione della sua sobrietà comunicativa e degli effetti di stabilizzazione sui mercati finanziari, della sua garanzia circa l’utilizzo dei fondi europei in arrivo. Perché non è sul terreno di gioco della variante che saremo incisivi, ma proponendo un altro piano in cui la centralità del vivente e dell’umanità siano consapevolezza e visione al tempo stesso.

In questa variante capitalistica che Draghi propone con la sua autorevolezza, parlando al suo mondo, non sono contemplati la cura del vivente e il ri-orientamento dell’economia e della finanza in funzione della cura, perché la selezione, la stessa che ha prodotto ingiustizia, disuguaglianze, riguarderà anche coloro che prima ne erano esclusi ed è a questi che bisogna pensare, perché gli altri verranno comunque disciplinati.

Dall’altro lato la società della cura, interessante convergenza in atto tra i movimenti non solo italiani, ha davanti a se una variante che la obbliga ad aggiornare la propria consapevolezza e implementare la propria visione. La consapevolezza e la visione della società della cura rappresentano una Vaccino formidabile contro la variante Draghi. Stiamo raffinando il nostro vaccino, ma dobbiamo raggiungere l’allargamento. La società della cura deve avere fissa la visione, lavorando sulla consapevolezza collettiva e l’allargamento territoriale, orizzontale e universale. A nulla serviranno le lotte settoriali senza una visione comune, alternativa e praticabile. Un inedito capitalismo, nella sua variante Draghi, abbiamo di fronte e un inedito alternativo va formulato e costruito.

L’idea che il sistema possa incepparsi vincendo una battaglia oggi appare debole. È impossibile inceppare un virus che varia continuamente. Meglio un vero vaccino, anch’esso mutante, e aggiungo una vera “cura”.

Proprio la visione alternativa deve spingere la consapevolezza a diventare, implementante, globale, territoriale e sempre collettiva. Si può volere la transizione ecologica senza chiarire quella sociale? La lettura della contemporaneità è un opera possibile solo se contestualizziamo la fase, sempre in mutazione, spingendoci in un’analisi prospettica che ponga al centro il ruolo e il futuro della persona umana in quanto vivente in un sistema aperto alla conservazione progressiva. Sbaglieremmo a dividerci in mille rivoli e ad assumere un ruolo di proposta settoriale senza porci come movimento convergente, alternativo e propositivo.

Cosa può fare la società della cura? Molto, senza farsi trascinare negli abissi della frammentazione, ma studiando e praticando una sperimentazione sociale, conflittuale e visionaria che nel mentre fa produca immunizzazione comunitaria alla variante capitalistica in atto.

mercoledì 24 febbraio 2021

LA LOMBARDIA ED I VACCINI

 

Nonostante i numerosi cambi in corsa nell'organigramma politico della regione Lombardia e l'assunzione di "esperti" e "consulenti" che già hanno dimostrato la loro inefficacia e incompetenza su svariate fronti,la Lombardia è messa ancora malissimo rispetto ad altre regioni nonostante la propaganda dica il contrario ed effettivamente all'interno del territorio ci siano alcune eccezioni.
La notizia della zona arancione rafforzata in provincia Brescia e in comuni limitrofi della bergamasca e di quello cremasco di Soncino(ieri nel comunicato ufficiale in diretta degli "esperti" era in provincia di Mantova ma è solo per rimarcare la loro ignoranza)sono il segnale di un rafforzamento dei casi della variante inglese che lanciano un campanello d'allarme soprattutto per la maggiore trasmissibilità di questo ceppo che fa altre vittime nonostante una mortalità inferiore.
Il primo articolo proposto(contropiano lombardia-per-il-vaccino )parla della situazione lombarda rispetto alla campagna vaccinale contro il Covid-19 dopo il fallimento di quella influenzale,con numeri molto al di sotto di quelli dichiarati e con talmente poche persone vaccinate che di questo passo per immunizzare i lombardi passerebbero un paio di anni,vuoi per la carenza strutturale di medici ed infermieri,molti dei quali operano per la vaccinazione a titolo gratuito al di fuori dell'orario di lavoro,e vuoi per dei calcoli errati da parte delle case farmaceutiche e dal pressapochismo dei dirigenti sanitari a livello regionale e nazionale.
Nel secondo contributo(contropiano brescia-industria-vince )si passa più specificamente sul territorio bresciano che come il resto della regione ha le stesse carenze dovute ai tagli alla sanità pubblica e alla privatizzazione che più che in altre zone d'Italia ha distrutto un settore sociale intero,con le insistenze e le ingerenze degli industriali che continuano a produrre e a fare circolare e lavorare migliaia di persone ogni giorno.

Lombardia: per il vaccino ripassare tra due anni.

di  M. D.   

Come va la campagna vaccinale Anti-Covid in Lombardia? Decisamente male. Mentre a Brescia la situazione si sta facendo drammatica, tanto da far ipotizzare una nuova zona rossa per quella provincia (e arancione per la Regione) sono state vaccinate in Lombardia, a due mesi dall’inizio della campagna, meno di 600.000 persone tra medici, farmacisti, forze dell’ordine, ospiti RSA e ultraottantenni. 

Tra questi ultimi, che hanno prenotato in massa la vaccinazione, sta dilagando la preoccupazione poiché la convocazione delle Asst non arriva. A dispetto di Bertolaso, la Lombardia riesce a vaccinare, nei soli giorni feriali, circa 12.000 persone e, in alcuni casi, come è successo recentemente a Pavia e a Brescia, solo poche decine. 

Procedendo con questo passo, ci vorranno circa due anni per completare la vaccinazione della popolazione lombarda, in tempi che la potrebbero rendere inutile per l’apparire di nuove varianti resistenti al vaccino e comunque provocando altre migliaia di morti. 

La campagna vaccinale sta andando dunque ben diversamente da come ipotizzato da Bertolaso, collaboratore dell’assessore Letizia Moratti, i cui compiti, a parte quello di fare sparate propagandistiche, non sono ancora chiari. 

Bertolaso aveva dichiarato che entro fine giugno tutti i lombardi sarebbero stati vaccinati, tenendo i centri aperti sette giorni su sette per 24 ore al giorno. Queste dichiarazioni appaiono ora in tutta la loro demagogia e ci si sta accorgendo che un vero piano vaccinale, in Lombardia, non esiste, ma si vive alla giornata. 

Certamente, i tagli nelle forniture dei vaccini hanno il loro peso, ma anche se le dosi ci fossero, sarebbe ben difficile distribuirle e praticarle ai cittadini, per mancanza di personale e di spazi. 

La sanità pubblica lombarda è stata distrutta e non è facile organizzare campagne straordinarie quando non si è in grado di gestire nemmeno l’ordinario. 

I bandi per l’assunzione di medici per la campagna vaccinale stanno ottenendo poche adesioni, perché le condizioni di lavoro proposte sono disagevoli, ma soprattutto poiché medici disponibili non ce ne sono a causa del rigido numero chiuso imposto da decenni nelle facoltà di medicina. 

Questo lo dovrebbe sapere Letizia Moratti che, quando era al governo, non fece nulla per rimuovere questo scandalo che oggi vede l’Italia tra i paesi europei con meno medici in proporzione alla popolazione. 

Ennesimo segnale della disorganizzazione lombarda è la notizia che la regione ha contattato i medici di base per la somministrazione di 100.000 dosi di vaccino, però quello antinfluenzale, introvabile a ottobre quando serviva ma ormai inutile a fine febbraio. 

Letizia Moratti sembra occuparsi d’altro: pochi giorni orsono ha sostituito il Direttore Generale della Sanità, Marco Trivelli, nominato da soli otto mesi al posto di Luigi Cajazzo, che pagò la gestione inetta dei primi mesi di pandemia. 

Nuovo direttore generale è stato nominato Giovanni Pavesi, dirigente di una ASL del vicentino, sconosciuto in Lombardia, ma con il merito di far parte del Network Bocconi dei manager sanitari specializzati in gestione di aziende (private) del settore. 

Insomma, si cambiano gli uomini e non l’indirizzo politico, con il risultato di continuare nel disastro. Peraltro si sa che Letizia Moratti tiene particolarmente a lavorare con collaboratori di sua nomina, anche se, pare, non sempre competenti. Infatti fu condannata a risarcire 591.000 di euro al Comune di Milano per avere nominato, quando era sindaca, dei collaboratori che non avevano le competenze richieste. 

In questa situazione il Presidente Fontana ha rilasciato un’intervista a Repubblica dai toni molto concilianti verso il governo Draghi, dopo mesi di polemiche feroci con il precedente esecutivo, ma, guarda caso, elogiando solo i ministri Garavaglia e Gelmini. 

A Draghi aveva già riservato l’appello a fare la voce grossa con AstraZeneca per il ritardo nelle consegne. Insomma, anche se la Lega è al governo scaricare un po’ di responsabilità su Draghi è una buona tattica elettorale. 

Naturalmente, ciò che non passa affatto nella testa di Fontana e Moratti è che il piano vaccinale, proprio perché rallentato, potrà essere utile solo se sostenuto da un lavoro di medicina territoriale e preventiva, che eviti la diffusione del virus soprattutto nelle sue nuove varianti. 

E’ di questi giorni il dato secondo cui la Cina ha vaccinato “solo” 40.000.000 di cittadini, pochi in rapporto alla popolazione, spedendo all’estero 47.000.000 di dosi. Questo non per irresponsabilità, bensì perché oggi, in Cina, la vaccinazione non è un’urgenza grazie ai provvedimenti di tracciamento e prevenzione attuati. Ma la prevenzione è una parola ignota agli amministratori lombardi. 

Peraltro, è anche evidente che la questione lombarda ha un punto di contatto con quella nazionale ed europea, poiché né la Lega, che amministra la Lombardia, né il multicolore governo Draghi, né l’Unione Europea vogliono ammettere ciò che è evidente cioè che è impossibile realizzare rapidamente una campagna vaccinale mondiale in presenza dei brevetti sui vaccini. 

Probabilmente Fontana avrebbe dovuto chiedere a Draghi non di sollecitare AstraZeneca, bensì di far ottemperare il governo italiano alla clausola prevista dalla WTO di sospensione dei brevetti in caso di emergenze sanitarie. 

Per la sua applicazione si stanno muovendo diversi paesi, tra cui India, Sudafrica, Venezuela e Bolivia, incontrando la feroce opposizione dei paesi più ricchi tra cui l’Italia. 

Purtroppo un tale ragionamento non può rientrare nell’orizzonte di un leghista abituato alle grette contabilità degli industriali del nord e alla difesa del privato, così come peraltro in quello di un banchiere. 

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A Brescia l’industria vince e la salute perde.

di  Giorgio Cremaschi (Potere al Popolo)   

Due titoli oggi campeggiano sulla stampa locale a Brescia. Il primo è sul dilagare della pandemia, con i servizi sanitari già in crisi che devono inviare in altre province i malati. 

È da più di venti giorni, da quando a Corzano nell’hinterland bresciano è esploso il contagio della variante inglese, che il virus ha ricominciato a colpire sempre poi pesantemente, ma finora nulla è stato fatto. Brescia è in zona gialla mentre gli ospedali e i medici sono in zona rossa e tutte le autorità, locali, regionali, nazionali, si rimpallano responsabilità e decisioni. 

Intanto mentre il sindaco esprime preoccupazione, la regione ed il governo si riuniscono, il CTS valuta, il tempo passa e sempre più persone si ammalano. 

Una cosa dovrebbero averla imparata in un anno anche le ridicole istituzioni che ci governano. Che la velocità delle decisioni di chiusura delle zone contagiate vuol dire salute e vita in misura diretta. 

Una settimana di ritardo nell’applicare una zona rossa, in una provincia dove il ritmo del contagio è di oltre 300 persone su centomila abitanti quando il limite per far scattare misure dovrebbe essere di 50, questo ritardo vuol dire tanti ammalati e morti in più. Inoltre aspettando si lascia diffondere ovunque il contagio, per cui la mancata zona rossa al momento e nel territorio giusto, significa una inevitabile zona rossa più vasta dopo. 

Quando a Corzano oltre 20 giorni fa un solo medico di base appena nominato ha dovuto affrontare il 10% di contagiati su una popolazione di 1400 abitanti, sono state chiuse le scuole e le attività commerciali. Ma i cittadini hanno continuato a spostarsi per andare a lavorare. 

Come un anno fa quando non si chiusero Nembro e Alzano nella bergamasca, anche oggi si è scelto di non fermare le persone che sono necessarie al “ciclo produttivo”. 

La scelta costante di tutte le autorità, allora come oggi, è quella di privilegiare l’industria rispetto a tutte le altre attività. Così oggi, mentre i lavoratori dello spettacolo protestano per un anno di chiusura, a Brescia si festeggia il recupero del livello pre Covid nella produzione industriale. 

Tanti malati e morti in più, ma anche tanto fatturato, questo il bilancio di una provincia dove l’industria vince e la salute perde. E non per destino, ma per scelta.

venerdì 19 febbraio 2021

LIBERTA' PER PABLO HASEL

E' incredibile come in Europa il"terrorismo musicale"possa essere reato e la vicenda di Pablo Hasel che ormai è nota da anni per la condanna inflitta a due rapper spagnoli(l'altro è Valtònyc,vedi:madn lodio-giustificato-nella-musica(e perseguito) )già ad inizio del 2018 ha in questi giorni il culmine con l'arresto a Leida di Hasel lo scorso martedì.
Dovrà scontare la pena prevista di nove mesi per contenuti contro il fascismo,i reali spagnoli che in una  Spagna con il fantasma di Franco che circola ancora vengono considerati apologia del terrorismo:numerosi personaggi pubblici famosi come Almodovar e Bardem oltre a migliaia di persone stanno protestando contro questa palese violazione della libertà d'espressione.
Noto anche per la sua lotta e per la sua ideologia comunista Hasel ha avuto in questo caso anche numeroso attestati di solidarietà in tutto il mondo con manifestazioni indette sia in Spagna che in Europa(a Milano domenica pomeriggio)a supporto del suo diritto a rimanere libero(vedi:contropiano spagna-ballando-incatenati ):questo fatto si somma alle recenti elezioni catalane(contropiano la-lotta-indipendentista-paga )che hanno visto gli schieramenti a favore dell'indipendenza avere una maggioranza nel Parlamento autonomo.

Spagna, “ballando incatenati”.

di  Giacomo Marchetti – Lorenzo Trapani   

“Sin embargo, como una consigna,circula secretamente de mano en mano, por todo el pueblo,una rosa de papel.”

Vicent Andrés Estellés, “La rosa de papel”

Per descrivere la Spagna post-franchista potremmo prendere in prestito l’espressione che un intellettuale latino-americano ha usato per definire la tipologia di regime del Sud America successiva alle dittature del famigerato Plan Condor: democradura.

Che dire di uno Stato che dal 2004 ad oggi ha visto 122 condanne a pene carcerarie – secondo il conteggio fatto dal giornale Salto – pronunciate per “apologia del terrorismo” e almeno sei altre per ingiurie alla Corona, oltraggio alle istituzioni dello Stato o alla Chiesa.

Reati per i quali Pablo Hasel, attivista e rapper catalano, è stato condannato a nove mesi per i contenuti di alcuni suoi tweet e di alcune sue composizioni. È stato arrestato questo martedì dopo essersi barricato nell’Università della sua città a Leida.

Pene che una legge del 2015 sulla protezione della sicurezza dei cittadini – dal vago sapore orwelliano – ha allungato fino a 3 anni, senza che l’attuale esecutivo PSOE-Unidos Podemos, in carica da un anno, l’abbia modificata, nonostante le promesse. 

Che sulla libertà d’espressione la Spagna si allinei al Marocco e alla Turchia l’hanno detto chiaro e tondo in un appello, scritto ad hoc per il caso di Pablo, fior fior di artisti ed intellettuali di fama internazionale, come Pedro Almodóvar, Javier Bardem, la cantante Ana Tijoux, o gli SKA-P, solo per fare alcuni nomi.

Questo appello, nonostante la notorietà dei firmatari, non sembra interessare i nostri media mainstream.

Questi circa duecento esponenti della cultura chiedono scarcerazione del rapper e la revisione della legge, scrivendo che: “se noi accettiamo l’incarcerazione di Pablo, non importa chi di noi potrà trovarsi in prigione domani”.

Proibito dissentire in Spagna, ed ancora di più è proibito mobilitarsi contro chi viene arrestato in base a queste leggi che limitano fortemente la libertà d’espressione, come sta avvenendo da tre notti a questa parte, prima in Catalogna poi in diverse città della Spagna, con feriti – anche gravi – e arresti.

Accanimento giudiziario da una parte e impunità dall’altra, in un sistema in cui la corruzione è stata un elemento strutturante i pilastri del potere iberico, dai partiti che hanno governato il Paese passando per una monarchia squalificata, indirettamente sostenuta anche da quella sorta di “marxisti borbonici” che in Italia si strappavano le vesti di fronte al pericolo dell’indipendenza catalana, appena qualche anno fa.

La rappresentazione plastica di questa logica di “due pesi, due misure” ce la danno due fatti: le scene dell’arresto di Pablo con un dispiegamento delle forze dell’ordine da Nemico Pubblico Numero Uno, e dall’altra – pochi giorni prima – una sfilata commemorativa di circa 300 persone a Madrid che, ostentando il saluto nazista, hanno reso omaggio alla División Azul, cioè quei militari spagnoli che hanno combattuto come volontari per il Terzo Reich hitleriano!

Una dinamica non dissimile da alcuni Paesi dell’Est dove l’anticomunismo è il collante ideologico di regimi che celebrano i collaborazionisti con il nazismo.

Ma questa è l’Unione Europea, che scopre i diritti umani quando gli serve per attaccare un proprio avversario, ma è prontissima a chiudere un occhio – e anche due –  sulle palesi violazioni praticate da un suo Paese membro. 

Le mobilitazioni di questi giorni  hanno aperto l’ennesima spaccatura nell’esecutivo spagnolo, tra socialisti e Unidos-Podemos, e hanno “surriscaldato” le trattative tra le formazioni indipendentiste per la formazione del governo della Comunità Autonoma, dopo le elezioni di domenica.

Il fuoco di fila della destra contro Unidos Podemos, per la sua estromissione dal governo, accomuna il Partido Popular e Ciudadanos, usciti con le ossa rotte dall’elezioni catalane – 9 seggi in tutto su 135 – e VOX, ringalluzzito dalla performance catalana con 11 deputati eletti, ormai da tempo force de frappe della mobilitazione reazionaria non solo anti-indipendentista, principale attore politico a destra.

Esponenti di spicco di Unidos-Podemos, come Pablo Echenique e Rafael Mayoral, hanno appoggiato le mobilitazioni e si sono rifiutati di unirsi al coro di condanna delle violenze da parte dei manifestanti, a differenza dei socialisti.

Albert Botran della CUP, nel suo intervento nel Parlamento spagnolo, era andato oltre introducendo la sua presa di parola con un brano musicale di Hasel suonato attraverso il suo mobile!

E proprio la CUP, giocandosi sin da subito il ruolo di ago della bilancia nella formazione di un governo indipendentista, ha posto come condizione un “cambio radicale di modello” nella gestone dell’’ordine pubblico.

Questo anche in considerazione del fatto che una giovane manifestante di 19 anni ha perso la vista ad un occhio a causa delle ferite riportate dall’uso di proiettili al FOAM lanciati dai mossos. Sostanza che ha sostituito i “proiettili di gomma”, dopo il caso di Ester Quintana, ma che non sembra essere meno letale.

Le elezioni catalane e le mobilitazioni per Pablo hanno aperto una doppia frattura in Spagna e mettono in luce non solo la fragilità dell’attuale coalizione governativa, ma i limiti strutturali di un assetto di potere che solo una “rottura” realmente democratica può radicalmente cambiare, traghettando il Paese fuori dall’alveo franchista, blindato dalla UE.

Il fallimento dell’operazione politica socialista in Catalogna, nonostante le promesse di spesa dei fondi europei, e la netta affermazione delle forze indipendentiste, sono un bel grattacapo non solo per l’establishment politico iberico, ma anche per gli eurocrati che speravano nell’ipotesi di far “voltare pagine” alla regione, come aveva dichiarato il capo-lista dei socialisti Illa.

Lo storico risultato indipendentista al di là della bassa affluenza al voto dovuta alle condizioni sanitarie va compreso appieno.

Scrive giustamente Andrea Quaranta:

«Per la prima volta i partiti indipendentisti superano il 50% dei voti, attestandosi al 51,14%. Un dato assai significativo ma non sorprendente: ci sono ben 800 comuni (su un totale di 933) nei quali gli indipendentisti superano il 50% ormai da tre elezioni consecutive (come nel caso di Girona, Olot, Banyoles e in numerosi centri minori).

Il voto indipendentista continua a crescere anche fuori dai propri feudi situati soprattutto nell’interno: la geografia del voto ci consegna la suggestiva immagine delle campagne che accerchiano la metropoli e il litorale. Il voto unionista si concentra infatti a Barcellona e nella cintura metropolitana, nel 2017 egemonizzato da Ciutadans, oggi rappresentato dal PSC, anche se ERC si affaccia anche qui a contendere con sempre maggior efficacia il primato ai fautori dell’unità dello stato».

Con il suo silenzio complice l’Unione Europea – come nell’autunno del 2017 – si sta alienando ulteriormente il consenso di quelle generazioni che stanno vivendo una situazione pandemica non-risolta (anche a causa delle riforme del sistema sanitario fortemente volute dalla UE) e una crisi sociale evidente, che le riforme preventive chieste da Bruxelles come contropartita per l’elargizione dei propri fondi (in sovvenzioni e prestiti) non faranno che peggiorare. 

Con il suo coraggio e la sua ostinazione Pablo è divenuto il simbolo non solo di una cultura differente dai cortigiani di Corte (con il loro seguito di nani e ballerine), a cui siamo disgraziatamente abituati, ma di una generazione che non si piega alla fine della storia ed ha cominciato a far saltare la cappa della pacificazione sociale.

martedì 16 febbraio 2021

LE OPPOSIZIONI AL GOVERNO DRAGHI

A poco tempo dal voto di fiducia per il governo Draghi le opposizioni avranno una percentuale storica davvero minima fermo restando che i primi mal di pancia della Lega sono già usciti e che nel corso dei mesi successivi la forbice potrebbe aumentare nei confronti della minoranza.
Se da un lato FdI con la Meloni da giorni hanno dato il loro No al nuovo esecutivo ma aggiungendo che il loro voto positivo non mancherà tempo scorrendo,quel che rimane della"sinistra"almeno per il solo nome nel gruppo di Leu,Sinistra Italiana,solamente nelle ultime ore hanno deciso di non votare la fiducia al governo orgia.
Ci sono distinguo da fare visto che la mossa della Meloni credo seguita in massa dai deputati e dai senatori dell'estrema destra,segna già l'inizio della prossima campagna elettorale dove si vocifera sempre che il centro destro con gli altri due somari Salvini e Berlusconi sia sempre unito ma con FdI pronta ad accogliere parte dell'elettorato che fuggirà da Forza Italia e dalla Lega ma anche dai pentastellati prossimi all'implosione.
Invece già la sparuta presenza di Sinistra Italiana all'interno di Leu,che ricordiamoci in tempi recenti votò per il job act,i decreti Minniti,per i tagli a scuola e sanità nonché troppo timidi sulla patrimoniale(vedi:madn liberi-da-cosa-e-uguali-chi? )nonostante il voto favorevole al No a Draghi con una grande maggioranza dei suoi rappresentanti,non vedranno tutti i loro rappresentanti a Roma usare lo stesso metro,anzi la maggior parte voterà Si alla fiducia creando scossoni all'interno del partito che ha problemi seri di democrazia già al suo interno.
Senza parlare dell'ambiguità che suscita la stessa scelta di essere all'opposizione ma guardare al futuro e breve e lungo termine rafforzando l'alleanza con il Pd ed i grillini,cosa da tapparsi le orecchie ed il naso solo a sentirla.
L'articolo interessante di Left(perche-la-sinistra-deve-dire-no-al-governo-draghi )parla al di là dell'importanza di non lasciare l'opposizione,per complice che sia,solamente all'estrema destra ma di inserire qualcosa di sinistra e intanto cercare di costruire un altra,l'ennesima,utopica sinistra degna del proprio nome e della propria storia per elezioni future,aggiungendo altre constatazioni alla fine del secondo governo Conte memori di quello che accadde col governo Monti.

Perché la sinistra deve dire No al governo Draghi.

di Fabio Vander

Per non lasciare l’opposizione all’estrema destra. Per avanzare proposte alternative su ogni dossier. Per tutelare la democrazia. Per questi motivi è importante che le forze progressiste non sostengano il governo del presidente

La nascita del nuovo governo a guida Draghi pone molteplici ordini di problemi. La crisi italiana, già storicizzata, rischia di uscire aggravata da un esperimento politico che pare costituirne un estremo sintomo.

Una crisi di democrazia. Perché quando si forma una maggioranza del 95% dei parlamentari e l’opposizione è ridotta al 5%, per giusta di estrema destra, questa si chiama crisi della Repubblica. Confindustria e sindacati schierati dalla stessa parte, senza remore, né distinguo. Non funziona così una democrazia.

Una crisi politica. Questo governo sarà in tutti i sensi peggiore del precedente. Visto da sinistra è così. Non c’è cosa positiva eventualmente promossa dal governo Draghi, in termini di contrasto della pandemia, di gestione del Recovery fund, di giustizia fiscale, di politiche ambientali ecc., che non potesse essere fatta lo stesso e meglio dal governo precedente. Contro Renzi bisognava promuovere le ragioni di una maggioranza politica (non accattare “europeisti”). Votare Draghi equivale a dargliela vinta.

Una crisi di soggettività. Dei partiti e della classe politica, che ci assilla ormai da decenni. E che impatta direttamente sulla sinistra e sul centrosinistra. Abbiamo visto un Pd favorevole di seguito: al governo Conte 2, al governo Conte 3 con i responsabili e senza Renzi, al Conte 3 di nuovo con Renzi, infine al governo Draghi o in alternativa alle elezioni. Quando si dice una forza politica responsabile, con leadership adeguata. Un pilastro della democrazia matura.

La sinistra? Quel che resta di Liberi e uguali nelle due Camere è solo un caravanserraglio dove ognuno sta e va per sé. Non è mai esistito, men che meno oggi, come soggetto politico. Mpd vive solo di Speranza, Sinistra italiana all’ultimo congresso virtuale è entrata papa ed è uscita cardinale. Doveva entrare nel fenomenale progetto di Equologica, alla fine è rimasta se stessa, cioè Si.

Il punto è che siamo dentro – da tempo, certo – ad una crisi politica e della politica di cui non si vede la fine. Il governo Draghi è risultato, più che causa, di questo dramma storico. Eviterei di dire “è colpa di Renzi” o anche di Mattarella, che indubbiamente ha imposto l’apertura a Berlusconi e Salvini, mettendo in strettezze la ex maggioranza. Eviterei perché è stato il cedimento strutturale di questa a portarci dove siamo.

Non era già successo con Napolitano? Non era già successo nel 2011 con la crisi del governo Berlusconi? Otto anni dopo, nel gennaio 2019, fu Bersani in una intervista al Giornale a ricordare di quando la direzione del Pd, mentore il Presidente, lo obbligò a sostenere Monti invece delle elezioni. Dopo di che fu solo legge Fornero, salvataggi di banche col “debito buono”, cioè coi soldi nostri, pareggio di bilancio in Costituzione, “macelleria sociale” («espressione rozza ma efficace», Draghi dixit, da Governatore di Bankitalia, il 31 maggio 2010). Bersani col senno di poi si lamentava: «Molti si ubriacarono di retorica europeista», ricordando però che addirittura l’allora presidente della Commissione europea Juncker, ad un certo punto, disse che l’austerità forse era stata «esagerata e poco solidale».

Dov’è la differenza da oggi? Non capisco chi distingue fra governo Monti e governo Draghi. Mutatis mutandis lo schema è lo stesso. La retorica europeista torna al potere. In prima persona. Si dirà: oggi c’è la pandemia. Appunto. Ieri lo spread, oggi il virus. Ma c’è pure il Recovery fund, che della pandemia è l’anticorpo.

Chi gestisce i 200 miliardi e rotti? Questo il punto. Su questo è caduto Conte. Non da Renzi, ma da chi c’è dietro, in Italia e in Europa. Che poi è sempre “retorica europeista”. La quale dopo averci propinato decenni di austerity, si candida a propinarci anche il suo rimedio.

E anche qui parliamo di una prospettiva di anni. Si sta aprendo una nuova, lunga fase. E queste sono le spinte che hanno generato la fine del fragile esperimento del Conte 2. Capirlo permette di meglio posizionarsi per il presente e il futuro. Con il governo Draghi non è in questione il breve periodo da qui alla elezione del nuovo presidente della Repubblica. Non si tratta di bypassare il “semestre bianco”. Qui sta prendendo forma qualcosa che prefigura il dopo. Il dopo pandemia, il dopo populismo, il dopo sovranismo, il dopo Trump, forse anche il dopo liberismo. Qualcosa che non vorremmo fosse anche il dopo democrazia e, per quel che ci riguarda, il dopo sinistra.

Per questo trovo così importante opporsi al governo Draghi. I parlamentari che si dicono ancora di sinistra devono votare No. Non si tratta di non corrispondere all’appello del presidente. Ma di affrontare le ragioni politiche che hanno reso cogente quell’appello. Che significa intanto fare opposizione. Non lasciarla solo all’estrema destra. E dall’opposizione avanzare proposte alternative, su tutti i dossier: un nuovo modello di sanità, pubblica, statale, di qualità, la gestione del Recovery fund, il contrasto alla “macelleria sociale”, politiche fiscali eque e progressive, patrimoniale, un diverso modello di sviluppo, di consumo, di tutela e protezione ambientale, democratizzazione dell’Europa, politiche di pace.

Tutte cose che deve fare un governo politico. Quindi una maggioranza politica. Quindi nuovi soggetti politici. Quindi una nuova sinistra. Tutto da costruire. Ma bisogna cominciare. Da una opposizione democratica, di sinistra, di alternativa. Oggi e sempre la pietra dello scandalo è la stessa. La democrazia non si salva, non si salva l’ambiente, non ci salviamo noi tutti, senza una nuova sinistra. Dire no a Draghi, se si assume tutto questo, darà senso e dignità al nostro qualsiasi essere politico.

L’autore: Fabio Vander è filosofo della politica e autore di numerosi saggi tra i quali “Livorno 1921. Come e perché nasce un partito”, Lacaita (2008)

lunedì 15 febbraio 2021

GOVERNO DRAGHI:MARCIARE DIVISI E COLPIRE UNITI

La lettura della squadra del premier incaricato Mario Draghi è stata come aprire una capsula del tempo e ritrovarsi un decennio indietro con nomi obsoleti e impresentabili già allora e figuriamoci oggi e anche se un programma non è stato ancora delineato l'alba di questo terzo esecutivo dopo i due di Conte è allarmistico e foriero di cattivi presagi.
Nomi come Brunetta,Carfagna e Gelmini che sembravano essere stati ormai dimenticati,tornano in auge facendo ricordare lo scempio compiuto quando erano ancora ministri nelle ultime legislazioni,con un redivivo Berlusconi svegliato temporaneamente dal coma politico e sociale che è quello che ha più da festeggiare in questo momento ma si sa che Draghi è sempre stato un suo cavallo di battaglia,un banchiere di primissimo ordine che ha l'investitura anche da parte dell'alta borghesia e di Confindustria.
Nel primo articolo(https://contropiano.org/contropiano la-nostra-gente-merita-di-piu )quello riassunto nella parole qui sopra mentre il secondo contributo(contropiano la-grande-ammucchiata )scritto ancor prima dell'incarico a Draghi narra come si è potuto giungere ad un esecutivo di diversi colori ed ideologie,nel marciare divisi e colpire uniti dove chi prenderà le batoste sarà ancora la grande maggioranza degli italiani.

Governo Draghi: la nostra gente merita di più!

di  Potere al Popolo!   

Ma anche voi non vi siete accorti che in Italia in questi giorni si è votato e ha vinto una coalizione di Renzi, Berlusconi, Lega, in rappresentanza dell’alta finanza, di Confindustria e dei centri di potere dell’Unione Europea?

No, perché questo è quello che viene da pensare se si vede la lista di ministri presentata ieri da Draghi. Che l’uomo dell’establishment europeo, quello che nel 2011 ci impose tagli e austerità e che non ebbe pietà per la Grecia, che rappresenta gli interessi delle grandi imprese e delle multinazionali non fosse venuto a liberare le lavoratrici e i lavoratori, o a investire sul servizio pubblico e redistribuire la ricchezza lo potevano immaginare tutti…

Ma che queste governo fosse così a destra, che recuperasse personaggi del calibro di Brunetta, Gelmini, Carfagna, alla faccia delle tanto sbandierate “competenze” e “meritocrazia”, questo è qualcosa che dovrebbe indignare tutti, a partire da quel 33% di elettori 5 Stelle che votò nemmeno tre anni fa contro tutto questo…

La verità è che Draghi ha dovuto fare un compromesso con le forze politiche per trovare voti in Parlamento, e questo compromesso è anche sociale: fra una classe imprenditoriale multinazionale e finanziaria ben integrata nei meccanismi e nei vincoli dell’UE e della NATO, e la piccola e media borghesia che vuole partecipare alla spartizione del Recovery Fund.

Ecco quindi un governo dove la tecnocrazia liberista confindustriale si unisce agli zombi della politica, dove torna la destra senza neppure la fatica di raccogliere voti.

Un governo maschilista e a trazione nordista, che lascia il Sud alle mafie.

Un governo dove la transizione ecologica è affidata all’industria militare e i diritti di autodetetminazione saranno negati da chi rappresenta posizioni oscurantiste e di negazione della laicità.

Un governo nato sull’onda dell’emergenza sanitaria e che invece non ha dedicato un solo momento della sua costruzione all’affrontarla, mentre mancano i vaccini e la pandemia imperversa.

Tornano i peggiori avversari della scuola e del lavoro pubblici, mentre la gestione del Recovery è affidata a chi vuole altre privatizzazioni.

Tornano grazie ai gruppi dirigenti dei partiti del passato governo Conte che hanno mostrato tutta la loro pochezza, il loro trasformismo, la loro sostanziale inutilità.

Questo governo è un pericolo per la democrazia perché nasce in un contesto di servilismo politico e mediatico pressoché unanime, con la sola finta opposizione di una estrema destra, in realtà vicina socialmente e politicamente a tutti gli obiettivi del governo Draghi.

Oggi pesa come non mai la mutilazione del sistema politico italiano, dal quale da tempo è esclusa la rappresentanza degli interessi sociali popolari e la critica al dominio del mercato e degli affari.

In questo momento di svolta per il paese sentiamo la necessità e l’urgenza di ricostruire questa rappresentanza e di unire tutte le forze sociali e politiche intenzionate a lottare contro il governo Draghi e tutto ciò che rappresenta.

Nei prossimi giorni saremo impegnati in ogni iniziativa di mobilitazione che faccia sentire un NO popolare al governo Draghi. Per arrivare a costruire una opposizione e un’alternativa in grado di cambiare davvero le cose.

Il nostro paese, la nostra gente, merita di più di tutto questo!

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Tutti “responsabili” nella grande ammucchiata.

di  Dante Barontini  

Siamo passati, nell’arco di pochi giorni, da una dinamica politica faticosa e caotica – una serie di inutili tentativi di accordo tra varie formazioni e finanche con singoli senatori o deputati, per arrivare ad indicare un presidente del consiglio e uno straccio di programma – all’esatto opposto: c’è un presidente del consiglio, che ha un programma – indicato dall’Unione Europea, e dunque anche da lui stesso da almeno dieci anni – e tutti corrono a baciargli i piedi.

Più precisamente, siamo passati da una dinamica di tipo parlamentare a una decisione extraparlamentare (per quanto prevista dalla Costituzione), fondata soprattutto sulla forza (il “prestigio” del nome è il modo che rende la forza meno “inaccettabile”; in fondo non è un generale, forse qualcosa di peggio).

Dall’anarchia alla monarchia il passo è stato brevissimo.

Qui non ci occuperemo né del programma, né del capitale finanziario multinazionale che ha preso in mano la situazione e farà carne di porco di quel che resta del “sistema paese”. Ne abbiamo già cominciato a parlare e non mancherà occasione nei prossimi giorni.

Ci limitiamo all’aspetto politico.

Il passaggio dall’anarchia alla monarchia infatti cambia le regole del gioco per tutti. Non si combattono le stesse battaglie, né si combatte nello stesso modo. Ma cambia anche l’identità di ogni soggetto in campo, che deve ridefinirsi per potersi poi “presentare” sullo scaffale del supermercato politico.

Chi lo appoggerà non se ne potrà distinguere, se non lavorando di fantasia “narrativa”; chi si opporrà farà vita dura, ma avrà una chance. Forse.

Il ventaglio dei gruppi presenti in Parlamento si va rapidamente allineando nell’anticamera del monarca, e l’unica battaglia che fanno è dichiararsi subito più realisti del re.

Qualcuno sembra esitare, nelle dichiarazioni pubbliche. Ma sappiamo bene che nella politica borghese è “normale” dire una cosa, pensarne un’altra e farne una terza. Dunque teniamo quelle dichiarazioni presenti solo come segnali di uno slittamento progressivo nell’asservimento.

Lo “zoccolo moscio” che non ha esitato nemmeno un attimo nel gridare “viva il re” è stato ovviamente l’“europeismo” di lungo corso, ossia i camerieri italici del capitale multinazionale: Pd, renziani, le Bonino e i Della Vedova, i Calenda e via scendendo.

Primo dato politico: in questo mazzo c’è ora anche Berlusconi. E qui sparisce uno degli spauracchi agitato per quasi 30 anni davanti al naso degli idioti “di sinistra”. Il Caimano è un socio “ottimo e abbondante”, un onore averlo accanto a corte. E chissenefrega della P2 o della nipote di Mubarak, del lodo Mondadori e della corruzione dei magistrati… mica riterrete ancora imbarazzanti quei “pidocchi” nella criniera del Cavaliere, no?

Alla lunga lista dei “mai più con…” si aggiungono i grillini. O perlomeno la parte maggioritaria dei gruppi parlamentari, tranne qualche maldipancia più o meno isolato. Altra cosa accadrà probabilmente nei pochi meetup ancora attivi e, soprattutto, nell’elettorato, che si vede sbattere in faccia l’ultimo mattone di quello che solo tre anni fa sembrava un edificio valoriale robusto e “vincente”.

Ma lo shock deve essere stato forte, se il blog del fondatore, a tre giorni dall’”evento”, ancora non riesce a darne notizia…

Dei “gruppi minori” non serve parlare. Ovviamente fanno la fila come gli altri per baciare la scarpa regale…

E veniamo all’area indicata dal “campo progressista” come il nemico assoluto (fino a 48 ore fa ne faceva parte anche Berlusconi, ma si dimentica in fretta): i “sovranisti”, “le destre”, “il pericolo fascista” e via esagerando. 

Gente che fa schifo, è vero, ma che in questa nuova circostanza si dimostra grandemente “malleabile”. Dunque utilizzabile e persino “meno repellente” del solito. Quasi “democratica”… 

Il massimo dell’ostilità è stato annunciato dall’ex missina Giorgia Meloni: prima “astensione”, ossia non mi pronuncio, aspetto di capire, vedremo…

Poi, col passare delle ore, toccando con mano lo smottamento nella presunta “alleanza di ferro” del centrodestra, ha cominciato a intuire lo spazio “di comodo” che potrebbe esserle lasciato a disposizione: l’opposizione della corona, quella verbale e compatibile con la finzione della democrazia. Un ruolo sulla scena, nulla di più.

Nella Lega – come avevamo provato a spiegare per un anno e mezzo – i giochi si vanno ridefinendo ma sembrano ormai fatti: “ci vogliamo stare anche noi”. Detto quasi chiaro e tondo da Giorgetti, Zaia, e persino da presunti pasdaran no-euro come Claudio Borghi e Alberto Bagnai.

A quel punto anche Matteo “mohito” Salvini ha dovuto tirare le somme, pur lasciandosi l’uscio socchiuso dietro la cadrega: “Se ci siamo, non facciamo le cose a metà”.

La sostanza – le cose che verranno fatte – è chiara: anche la Lega voterà il governo più europeo che si possa immaginare, guidato da un leader della Troika, colui che nel 2015 aveva bloccato i bancomat della Grecia fin quando Tsipras non ha alzato bandiera bianca.

Poi ci sono le chiacchiere per i taccuini dei giornalisti, le finte alternative (“o noi o Grillo”), la guazza per rassicurare una base elettorale che deve essere un po’ più che perplessa. Ma ci penserà “la Bestia” – il team social ai suoi ordini – a cercare di recuperare smalto dopo questo che non può che apparire come un “tradimento”.destra governo 

Dunque? Lo scenario non lascia molti dubbi. A sostenere Draghi in Parlamento ci saranno tutti. L’unica possibile autoesclusione – non ancora sicura, ma per un puro calcolo elettorale – potrebbe essere appunto la squadretta di Giorgia Meloni. Anche se il “tono” è tutt’altro che barricadiero. Basti pensare a Crosetto che, indicato per scherzo come possibile ministro o sottosegretario alll’economia, non si è affatto offeso; anzi si è schermito dicendo “non sarei all’altezza”.

Che è poi la realtà più vera della “pericolosissima” destra italiana attuale: abbaiare scompostamente fin quando c’è da catturare qualche attenzione e voto sparso, ma sapendo che – quando il gioco si fa serio e vengono avanti i padroni del vapore – il proprio posto è “a cuccia”.

Facendo finta che ci sia qualcuno “a sinistra”, in Parlamento, bisogna riferire addirittura di LeU, che sarà della partita in modo speculare a quello della Lega: a parole “mai con i sovranisti”, in pratica “ci stiamo subito”.

Tra l’altro, ma non del tutto secondario, il fatto che staranno “tutti dentro” distrugge anche quel minimo potere di ricatto di qualsiasi gruppo parlamentare. La grande ammucchiata rende tutti “responsabili” alla Scilipoti…

Tutti uniti, tutti insieme… ma quello non è il padrone? (cit.)

Fuori dal divertissement, dalle battaglie tra nani da giardino che tanto appassionato i conduttori da talk show, è evidente che le “identità” fissate negli ultimi anni vengono piuttosto scarabocchiate. E che le varie “narrazioni” debbono essere riscritte.

Tutti quelli che da destra volevano abbattere “i governi di sinistra” (il Conte-bis!) e/o “uscire dall’euro” vanno a sostenere – insieme alle “sinistre” – l’esecutivo della Troika, che dovrà realizzare in pochi mesi proprio il programma di “riforme” cui dicevano di opporsi.

Tutti quelli che “da sinistra” (non ridete troppo, per favore…) invitavano a prepararsi all’ennesimo “grande mischione elettorale per non far vincere le destre” vanno ora a spingere il tasto, insieme alle peggiori destre, per far passare le “riforme” volute dal capitale finanziario multinazionale (contro cui magari erano scesi in piazza a Genova, 2001).

Dal bipolarismo obbligato (Berlusconi-Pd) al tripolarismo pasticciato (la breve stagione iniziata nel 2018), e ora al monopolio del potere che si è preso in prima persona anche il governo. 

Gli analisti politici di regime, colti di sorpresa dal proprio stesso successo, fanno ancora fatica ad uscire dal pettegolezzo quotidiano tra nani da giardino cui s’erano abituati. Fantasticano di possibile “veti” – rigorosamente incrociati – tra una “sinistra” che non potrebbe accettare di stare al governo con Salvini e una destra che, viceversa, ha lo stesso problema. O addirittura di “pretese” circa poltrone da ministro, come ai bei tempi dell’anarchia para-parlamentare.

Eppure Sergio Mattarella è stato chiarissimo: “Avverto pertanto il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”.

Traduzione simultanea: “io vi dò un presidente del consiglio che non può essere sfiduciato, che farà il governo che ritiene opportuno e voi lo dovete soltanto votare senza nulla a pretendere“. E’ un azzeramento della classe politica emersa nel dopo-Monti, la quale – dunque – non ha più alcun potere contrattuale reale. Né alternative da offrire.

Le formule per camuffare un governo del presidente (o dell’Unione Europea) da “normale governo politico”, in cui ogni partito possa dire di essere in qualche modo rappresentato, sono praticamente infinite. Ogni “tecnico” può agevolmente essere accostato – solo accostato, senza alcuna dipendenza – a una qualche area politica. 

Ma il nuovo governo nasce per segnare una discontinuità radicale con l’Italia degli ultimi 30 anni. Tanto a livello di sistema economico, quanto a livello istituzionale e politico. 

Le future forze politiche del “nuovo arco costituente” si dovranno distinguere avanzando le proposte di legge più innocue (la “chiusura dei porticcioli” o gli sgomberi per il “decoro urbano”, la legalizzazione dei matrimoni tra dromedari alpini, la depenalizzazione dell’aperitivo, ecc), ma tutte rigorosamente a costo zero. Le chiavi della cassaforte, da oggi in poi, stanno nelle mani di colui – e successori – che viene messo sul trono dai “mercati” e dalla Ue.

L’”era Draghi” non è insomma una “parentesi”, dopo la quale si potrà tornare alla “normalità” e dunque all’anarchia della politichetta tra complici rissosi. E’ un periodo costituente, in cui si crea l’architettura del futuro “modello sociale europeo”. Che non ha però più niente a che fare con il vecchio “compromesso keynesiano in funzione antisovietica” (salari alti e welfare, in cambio di coesione politica e bassa conflittualità sociale).

Non è più tempo di “debito cattivo”, spiegava lo stesso Draghi già la scorsa estate (non caso ai boss di Comunione e Liberazione, imprenditori istituzionali della “sussidiarietà” e del “terzo settore” più addentro alle amministrazioni).

Il “debito buono”, che merita d’esser fatto con investimenti pubblici (col Recovery Fund e altro), è quello che crea e innerva nuove filiere, buone per grandi profitti e ben poca occupazione. 

Il resto – anche imprenditoria di lungo corso – può, anzi deve, morire. Far vivere le popolazioni non è affare del capitale, ormai…

Sul piano della rappresentanza politica degli interessi sociali, insomma, si allarga a dismisura lo spazio per chi si vuole porre come un’alternativa radicale. Ma gli spazi non si occupano a forza di chiacchiere.

Non si può combattere contro il governo della Troika avendo remore nel chiamare le cose col loro nome, tacendo o minimizzando il ruolo dell’Unione Europea nel governo effettivo – e di classe – del nostro Paese (oltre che degli altri con problemi simili ai nostri). Non si combatte efficacemente contro gli ologrammi dai contorni incerti…

E non si può affrontare un incrudimento delle politiche neoliberiste con la solita lista della spesa delle “parole d’ordine progressiste”, senza cominciare mai a delineare una robusta ipotesi sistemica socialista, con programmazione-pianificazione-pubblicizzazione dei settori strategici, sottraendoli alla speculazione dei privati.

Lo abbiamo visto con la pandemia e lo scandalo dei vaccini: un continente con mezzo miliardo di persone, ricco di risorse, talenti e know how, a ricasco di tre-quattro multinazionali Big Pharma, che decidono a chi dare i loro prodotti in base a una pura ragione commerciale, addirittura in barba ai contratti sottoscritti. 

Non si può insomma condurre una resistenza popolare senza mettere in campo una visione “di alto profilo” – per parafrasare il livello della sfida e dell’avversario -, senza delineare un altro sistema per vivere. D’altro canto dovrebbe essere scontato: se la prospettiva sistemica del “governo di tutti” è tener saldo il collante euro-atlantico, una alternativa vera può esistere solo fuori di quel vischioso insieme.

Il problema politico del nuovo scenario si pone concretamente subito: nel 2021 bisognerà votare nelle prime cinque città italiane – in teoria entro l’estate, ma con la pandemia… Un voto amministrativo che però, per la portata della popolazione coinvolta, è anche un primo test politico generale sul rapporto tra malessere sociale e rappresentanza politica in questa nuova situazione.

Le “alleanze” possibili non potranno essere i soliti “mischioni” per tenere insieme chi fa lo scendiletto alla corte del monarca e chi si pone come alternativa complessiva, socialista. Non si tratta più di dirsi “alternativi al Pd e alle destre”, ma di esserlo concretamente, nelle pratiche oltre che nella “narrazione” di sé. 

Perché il Pd (e LeU, se resteranno ancora due sigle formalmente diverse), sostiene l’agire incontrastato del monarca finanziario. 

Quindi stanno a corte con tutti gli altri. Ossia con quelle destre contro cui erano abituati a chiedere un voto turandosi il naso. 

Altro ciclo, altro gioco…

venerdì 12 febbraio 2021

IL GIORNO DEGLI ANTICOMUNISTI

Passati un paio di giorni dalla ricorrenza tanto amata da chi ha voluto omologare la giornata del ricordo a quella della Memoria per darsi un contentino e ripetersi di anche fatto nascere una bella cosa nonostante il paragone tra il 27 gennaio ed il 10 febbraio sia storicamente ridicolo,torno a parlare e rinnovare l'attenzione sui fatti che hanno portato alla morte centinaia di italiani al confine con la Yugoslavia alla fine del secondo conflitto mondiale e appena dopo la sconfitta dell'Italia fascista alleatasi con i nazisti.
Nell'articolo proposto(antifa gli-orrori-del-fascismo-di-frontiera )un riassunto di quello che accadde dagli albori degli anni venti fino alla fine dell'occupazione italiana dell'Istria con gli italiani protagonisti di azioni inenarrabili già spiegate a più riprese in altri post dedicati all'argomento(vedi ad esempio:madn il-giorno-dei-revisionisti ),con la popolazione slovena costretta a non parlare la propria lingua e subire umilianti repressioni fatte anche di esecuzioni pubbliche dettate dal regime fascista che si sono inasprite con la guerra e col supporto dei nazisti.
Ora che gli autoproclamati"democratici"(quelli che hanno equiparato in Europa il fascismo con il comunismo,vedi:madn la-mozione-anticomunista-del-parlamento europeo )hanno finito di farsi le pugnette con i fascisti,con gli idioti o i semplicemente ignoranti da tastiera e non,con la verità storica già emersa con tutto la sua semplice esattezza,rinnovo il mio ringraziamento eterno a tutti i partigiani italiani,yugoslavi e di altre nazioni che hanno cacciato ed annientato i nazifascisti in Europa nella seconda guerra mondiale,con gli stessi fascisti reali traditori dell'Italia che in vent'anni hanno umiliato ed ammazzato un milione di persone al confine con la Yugoslavia dove in quel lasso di tempo successero i fatti dell'assalto della Narodni Dom di Trieste e criminali come Roatta e Robotti(quelli del"testa per dente"e"si ammazza troppo poco",vedi:madn mario-roatta-e-mario-robotti )macchiarono d'infamia gli italiani.
Un video esaustivo dell'immenso Professor Alessandro Barbero spiega in cinque minuti l'inutilità del giorno del ricordo e ricorda che in tempi di guerra e soprattutto dopo svilenti occupazioni purtroppo le porcate e gli atti di violenza estrema,crudeli e anche gratuite,erano all'ordine del giorno da entrambe le parti analizzando da storico dei fatti che tante bugie e provocazione non possono cambiare(www.lantidiplomatico.it 10_febbraio_alessandro_barbero_smonta_le_bufale_sulle_foibe ).

Gli orrori del fascismo di frontiera all’origine della tragedia delle foibe.

Novecento. Il «Giorno del Ricordo» coincide quest’anno con l’ottantesimo anniversario dell’invasione della Jugoslavia. L’occupazione dell’Asse costò la vita a un milione e mezzo di persone. Alla fine del conflitto nessun italiano, pur iscritto nella lista dei criminali di guerra, fu mai processato

10.02.2021

Italijanski palikuci (italiani brucia case) gridavano i civili quando nel 1941 le truppe del regio esercito e i «battaglioni M» invasero la Jugoslavia per concludere l’occupazione dei Balcani avviata con le aggressioni di Albania e Grecia nel 1939-40.

Lungi dall’essere «italiani brava gente», come la narrazione autoassolutoria del dopoguerra avrebbe affermato come dogma intangibile dell’elusione della «colpa», i militari del re e di Mussolini venivano così apostrofati per l’uso sistematico dei lanciafiamme contro le case dei civili sfollati, fucilati o deportati nei campi di internamento in applicazione delle misure di controguerriglia antipartigiana che l’Italia avrebbe conosciuto con l’occupazione nazista.

 L’OTTANTESIMO anniversario dell’aggressione alla Jugoslavia dovrebbe rappresentare, nelle celebrazioni del «Giorno del ricordo», occasione di elaborazione storica del nostro passato consegnando una interpretazione integrale alla legge istitutiva di questa giornata che invita a dare conto «della più complessa vicenda del confine orientale» ovvero a ciò che è accaduto prima delle foibe e dopo la fine della guerra.

Al crepuscolo dello Stato liberale e nel pieno «biennio rosso» 1919-20, lo squadrismo emerse in quelle terre come elemento di sintesi di istanze antislave (sul piano nazionalista) e anticomuniste (sul piano politico-sociale) dando rappresentanza a settori della società italiana che andavano dalla piccola-media borghesia alla proprietà terriera fino ai militari. A Trieste e in Istria si sperimentò quel fascismo di frontiera che nel 1920-22 intensificò l’azione violenta in tutta la regione. In quelle terre nacque il moto reazionario che avrebbe investito il Paese ed instaurato la dittatura «In altre plaghe d’Italia – scrive Mussolini nel 1920 – i fasci di combattimento sono appena una promessa, nella Venezia-Giulia sono l’elemento preponderante e dominante della situazione politica».

Così mentre nel 1919-20 i tribunali a Trieste e Pola, non ancora fascistizzati, emettevano 50 condanne per complessivi 120 anni di carcere contro ferrovieri e metalmeccanici in sciopero accusati di «anti-italianità, filo-slavismo, cospirazione contro lo Stato e istigazione alla guerra civile», lo squadrismo fascista il 13 luglio 1920 assaltò la sede della Narodni Dom (Casa del popolo) a Trieste incendiando l’intero palazzo (l’Hotel Balkan che cento anni dopo sarà restituito alla Slovenia dal Presidente della Repubblica Mattarella) ed anticipando la condotta del regio esercito nel 1941. Mussolini chiarì il suo programma a Pola il 22 settembre 1920: «Di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone io credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».

L’occupazione nazifascista della Jugoslavia costò la vita a circa 1 milione e mezzo di persone travolte dalle misure draconiane della «Circolare 3C» (che istruiva i soldati italiani alla repressione di civili e partigiani) firmata dal generale Mario Roatta; dalla «Cintura di Lubiana» (un perimetro di filo spinato e posti di blocco attorno alla città poi sottoposta a razzie e deportazioni); dalle direttive di Mussolini ai suoi generali «al terrore dei partigiani – disse a Gorizia nel 1942 – si deve rispondere col ferro e col fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri è cominciato un nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto».

DALL’IMPIANTO IDEOLOGICO della «guerra totale» fascista discese la condotta dei comandi militari del regio esercito che fece mostra di sé nella città di Podhum il 12 luglio 1942 (91 uomini fucilati sul posto e 800 deportati) o nei villaggi di Zamet e Danilovgrad, rastrellati e rasi al suolo nell’agosto 1942 o con il «governatorato» del generale Alessandro Pirzio Biroli in Montenegro. Pratiche belliche che facevano seguito alla snazionalizzazione teorizzata da Mussolini: «quando l’etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi; gli scambi di popolazioni e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali».

Alla fine del conflitto nessun italiano iscritto nella lista dei criminali di guerra stilata dalle Nazioni Unite (750 per la Jugoslavia) fu mai processato. La Guerra Fredda e le necessità anglo-americane di riorganizzare l’esercito italiano e inserirlo nell’Alleanza atlantica permisero impunità e continuità dello Stato, determinando quella «mancata Norimberga» che segnerà la più vistosa delle aporie della nostra storia.

 Molti criminali di guerra assumeranno ruoli apicali negli apparati della Repubblica. Diverranno questori, prefetti e uomini dei servizi segreti e saranno implicati in vicende tragiche e decisive della storia nazionale dalla strage di Portella delle Ginestre a quella di Piazza Fontana fino al golpe Borghese.

 IL «SILENZIO» sulle foibe (in realtà nel 1945 vennero istruiti alcuni processi ed emesse condanne) non fu il risultato di una trama omissiva delle sinistre italiane. Ad evitare la riapertura di quella pagina furono i governi De Gasperi nella consapevolezza che sollevare la questione avrebbe comportato per l’Italia l’obbligo di rispondere sia per i crimini perpetrati in Jugoslavia, Albania, Grecia, Libia, Etiopia, Urss e Francia sia per i risarcimenti economici fissati proprio il 10 febbraio 1947 con la firma del Trattato di Pace di Parigi.

 La «più complessa vicenda del confine orientale» racconta questo lato della storia nazionale e deve spingere il Paese a fare i conti con il proprio passato contro un «populismo storico» che si diffonde pervicacemente nella società minandone i valori costituzionali ed antifascisti: «Una generazione – scriveva Gramsci – può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà della generazione precedente, un periodo storico dal suo stesso modo di considerare il periodo storico da cui è stato preceduto».

Bibliografia ragionata

 Sulle foibe: Joze Pirjevec, «Foibe. Una storia d’Italia» (Einaudi), Raoul Pupo-Roberto Spazzali, «Foibe» (Mondadori), Giacomo Scotti, «Dossier Foibe» (Manni), Giampaolo Valdevit, «Foibe. Il peso del passato, Venezia Giulia 1943-1945» (Marsilio). Sull’occupazione italiana della Jugoslavia e dei Balcani: Davide Conti, «L’occupazione italiana dei Balcani 1941-1943. Crimini di guerra e mito della brava gente» (Odradek), Eric Gobetti, «Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia 1941-1943 (Laterza), Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa 1940-1943» (Bollati Boringhieri). Sui mancati processi ai criminali di guerra italiani e sul mito degli «italiani brava gente»: Michele Battini, «Peccati di memoria: la mancata Norimberga italiana» (Laterza), Davide Conti, «Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana» (Einaudi), Angelo Del Boca, «Italiani brava gente?» (Neri Pozza), Filippo Focardi, «Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale» (Laterza), Filippo Focardi, «Nel cantiere della memoria. Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe» (Viella).

 https://ilmanifesto.it/gli-orrori-del-fascismo-di-frontiera-allorigine-della-tragedia-delle-foibe/?fbclid=IwAR3xkiEbY48CI7PpmfRHE_PngNwuLJH4a7FtmiZgsTI3y-q8PpH3QkCc1iI

mercoledì 10 febbraio 2021

IL RICORDO DI BERTOLT BRECHT

Oggi è l'anniversario della nascita di uno dei più grandi pensatori e scrittori che l'intera umanità abbia mai letto e ascoltato,con un pregio in più quello di essere di sinistra,comunista non ostentato e che in più di una volta nella sua esistenza gli ha dato problemi più che riconoscimenti.

Studioso di Marx ed Engels,infatti fuggì dalla Germania agli albori del nazismo e nel suo peregrinare dovette lasciare anche gli Stati Uniti per la sua ideologia comunista che tuttavia venne osteggiata pure nell'ex Germania orientale dato che il suo pensiero non poteva essere imprigionato a dei paletti che erano troppo rigidi e standardizzati.

Nell'articolo di Infoaut alcune tappe cronologiche della sua vita dalla nascita ad Augusta nel 1898 alla sua morte avvenuta a Berlino Est nel 1956,un piccolo riassunto per colui che fu pure anche un eccelso drammaturgo e poeta oltre che autore di saggi e regista teatrale.

Numerose le sua frasi e gli aneddoti che fanno tutt'ora di Brecht una mente illuminata,coerente e onesta nel panorama internazionale dei letterati al di là della sua ideologia e che ha avuto tanto da offrire alle generazioni future.

Una citazione che calza a pennello con la data odierna è tratta dalle "Storielle del signor Keuner" prese da "Storie da calendario" ed è "Dell'amor patrio o dell'odio per la patria altrui":

"Il signor K. non riteneva necessario vivere in un paese determinato. E diceva: - Posso patire la fame dovunque -. Un giorno però,che girava per una città occupata dal nemico del paese in cui viveva,gli venne incontro un ufficiale nemico e lo costrinse a scendere dal marciapiede.Scendendo,il signor K. s'accorse di essere indignato non solo contro quell'uomo,ma particolarmente contro il paese al quale quell'uomo apparteneva,al punto da desiderare che fosse cancellato dalla faccia della terra. - Come mai, - domandò il signor K., - in quel minuto sono diventato nazionalista? Proprio perché ho incontrato un nazionalista.Ed è per questo che bisogna estirpare l'imbecillità, giacché essa rende imbecilli chi l'incontra."

10 febbraio 1898: nasce Bertold Brecht.

Il 10 febbraio del 1898 ad Augusta, in Germania, nacque Bertold Brecht, uno dei più famosi drammaturghi tedeschi del XX secolo. La sua educazione, impartitagli dalla madre luterana, fu rigidamente protestante, ma non fu così invasiva da chiudergli gli occhi di fronte al mondo.

"Di tutte le cose sicure, la più certa è il dubbio."  Brecht dimostrò fin dalla giovinezza uno spiccato senso critico, che gli valse non pochi fastidi. Nel 1916 evito per poco l'espulsione dalla scuola, a causa di un tema in cui sostenne che l'elogio della morte eroica altro non è che uno strumento di propaganda. Iniziò a scrivere le prime poesie e canzoni, e dopo un'adolescenza spesa a rincorrere miti romantici e di patriottismo, si avvicinò al movimento spartachista intorno al 1919. Negli anni '20 si trasferì a Berlino, scrisse diverse opere teatrali, e approfondì gli studi su Marx ed Engels. Dal 1927 iniziò collaborare con il collettivo di scrittura teatrale filomarxista "Piscator-Bühne". Fu qui che maturò la sua concezione di un teatro che doveva coinvolgere lo spettatore e risvegliarne la coscienza politica. Stravolse e ruppe il "quarto muro" che divide attore da fruitore, pur tenendosi sempre distante dal neorealismo sovietico, che muoveva ad educazione e normalizzazione dell'immaginario collettivo. 

"Prima viene lo stomaco, poi viene la morale." 

Non fu mai un comunista troppo attivo nella militanza, ma nel suo essere un intellettuale di sponda riuscì a cogliere quelle contraddizioni reali che troppo spesso dimentica chi assurge al ruolo di pensatore e teorico. Nel '33 dovette fuggire dalla Germania, e lasciò Berlino il giorno dopo il rogo del Reichstag ad opera dei nazisti. Dal 1933 al 1941 si rifugiò in Francia, Danimarca, Svezia e Finlandia, viaggiando molto per rappresentare i suoi testi teatrali. Partecipò a Parigi al Congresso Internazionale degli Scrittori Antifascisti nel '35, e scrisse diverse opere contro il Reich. Nel '41 attraversò la Russia e si imbarcò a Vladivostok per stabilirsi in California. 

"Cos'è lo svaligiare una banca rispetto al fondarne una?" 

Neanche il soggiorno americano fu troppo tranquillo. Nel 1947 venne chiamato a presentarsi di fronte al Comitato per le Attività Antiamericane per rispondere dell'accusa di comunismo. Fuggì nuovamente in Europa, e si fermò a Zurigo, essendogli vietato l'ingresso in Germania Ovest. Riuscì infine a ristabilirsi a Berlino est dove fondò il teatro Berliner Ensemble. Non ebbe rapporti sempre distesi con il partito comunista della DDR, tanto che diverse rappresentazioni delle sue opere furono vietate.

"Sventurata la terra che ha bisogno d'eroi."

Morì il 14 agosto 1956. Secondo le sue volontà venne sepolto senza cerimonie in un angolo vicino alla strada del cimitero di Chausseestrasse, sotto una lapide di pietra grezza con incise le sole lettere del suo nome.

martedì 9 febbraio 2021

LA BCE:I DEBITI PUBBLICI SI PAGANO

 

Tutti gli ottimisti che pensavano ad un condono totale riguardo il debito pubblico dei singoli Stati membri dell'Unione Europea verso la Bce soprattutto in questo periodo emergenziale dovuto alla pandemia rimarranno delusi e anche un poco si considereranno dei fessacchiotti o per dirla meno duramente degli illusi sognatori.
Notizie senza nessun approccio veritiero erano state fatte circolare nelle scorse settimane sui debiti contratti(e che si avranno nell'immediato futuro)nei confronti della Bce che da Draghi nel 2019 è passata in mano a Christine Lagarde che già in accordo con la Presidente dell'Ue Ursula Von der Leyen a inizio pandemia avevano creato il piano"Sure"per aiutare le nazioni europee a fronteggiare le prime emergenze dovute al lockdown(vedi:madn suresciur ).
Non che tutti siano cascati dall'albero e anzi la maggior parte sapeva e sa tutt'oggi che la pioggia di miliardi di Euro non è un debito a fondo perduto ma che la Bce li vuole indietro,in un periodo di tempo prolungato ma li vuole e basta come si può leggere nell'articolo di Contropiano proposto oggi:contropiano il-debito-pubblico-va-pagato .
La Lagarde è stata cristallina in quanto uno dei pilastri dell'Unione(e dell'Euro)sta nel fatto che non si ragala nulla a nessuno Stato,gli aiuti ci sono ma sono i singoli paesi a saperne trarre beneficio investendo bene tali somme ottenendo posti di lavoro con una ripresa dei settori economici,non male come discorso a parte che parlando dell'Italia ogni ragionamento che concerne parole come"investimento e ripresa"sono lettere gettate al vento.

La Bce conferma che “il debito pubblico va pagato”, anche con la pandemia.

di  Stefano Porcari   

Se qualcuno pensava che nei centri decisionali europei qualcosa fosse cambiato, è arrivata una doccia fredda che forse potrà svegliarlo. Il debito pubblico che gli Stati europei, Italia compresa, hanno contratto durante la pandemia di coronavirus, per fare fronte alla crisi, dovranno essere ripagati e non potranno essere cancellati.

Ad affermarlo molto esplicitamente, in un’intervista al Journal du Dimanche, è stata Christine Lagarde la presidente della Bce, che ha sostituito nel 2019 Mario Draghi. La Lagarde ha replicato seccamente e chiuso la porta all’appello lanciato da un centinaio di economisti europei (tra cui Thomas Piketty) che chiedevano la cancellazione dei debiti pubblici detenuti dalla Banca centrale europea per facilitare la ricostruzione sociale ed ambientale post-pandemia. Ipotesi simili erano state accennate anche dal presidente del Parlamento europeo Sassoli. Ma la gabbia dei Trattati non sembra affatto pensata per allargare le sbarre.

“La cancellazione di questi debiti è impensabile. Sarebbe una violazione del trattato europeo che vieta in modo categorico il finanziamento  monetario degli Stati”, ha affermato la Lagarde. Per la presidente della Bce “questa regola costituisce uno dei pilastri fondamentali dell’euro. Il trattato europeo è stato accettato ed è stato ratificato liberamente e volontariamente dagli Stati membri dell’Ue“.

Non solo. Per la Lagarde la discussione sulla cancellazione del debito è tempo perso. “Se l’energia consumata a richiamare una cancellazione del debito da parte della Bce fosse dedicato a un dibattito sull’utilizzazione di questo debito sarebbe molto più utile“, ha sottolineato la presidente della Bce secondo cui il tema “essenziale” è “Su quali settori del futuro investire?“. 

Tutti i paesi dell’area dell’euro, ha sottolineato la Lagarde, “usciranno da questa crisi con dei livelli di debito elevato. Non c’è alcun dubbio che riusciranno a rimborsare. I debiti si gestiscono nel lungo periodo. Gli investimenti realizzati nei settori determinanti per il futuro creeranno una crescita più forte. La ripresa creerà posti di lavoro”.

Un vero e proprio dogma, quello della Bce e della Lagarde, che la realtà di questi decenni si è incaricata di smentire fin troppo bruscamente.

lunedì 8 febbraio 2021

GOVERNO ORGIA

L'indegno spettacolo che ogni giorno la politica ci mostra fa allontanare sempre più persone dalla politica stessa e immagino la prossima tornata elettorale nazionale con un menefreghismo ancora maggiore degli elettori verso una casta che d'altronde non gliene importa molto al povero cittadino.
L'improvvisa ammucchiata che si sta delineando al Parlamento,chi dentro e chi fuori ma comunque pronti a votare per Draghi al potere e ipotizzando quello che si dovrebbe decidere per le sorti degli italiani,è disgustosamente pericoloso per il singolo abitante,per la collettività e per il modello europeo che ora tutti apprezzani ed accolgono. 
Nel primo articolo(contropiano dallausterity-al-whatever-it-take )una piccola infarinatura per comprendere chi sia Draghi,tanto evocato e non certo recentemente alla guida di un esecutivo,servo delle banche e di Bruxelles,incarichi importanti e una lunga storia di nefandezze suggerite(o imposte suona meglio?)e prontamente accolte da governi di tutti i colori tipo le privatizzazioni con i prezzi da pagare collettivizzati,un falco dell'austerity,un affamatore e nemico del popolo amico della finanza e dei potenti,Confinfustria su tutti.
Nel secondo invece(left moltiplicano-i-pani-i-pesci-e-i-salvini )un personaggio scelto a caso tra quelli dell'orgia sovra descritta,un Matteo visto il periodo storico è d'obbligo è scelto da quello stupido(non parlo d'entrambe,solo di Salvini in maniera diretta stavolta)che fino ad ieri demonizzava l'Europa,ma anche Roma e il meridione intero ricordiamocelo,che nella sua storia politica ha sempre puntato il dito contro Draghi per la moneta unica non certo per la sua capacità di essere sciacallo,visto che tra bestie simili ci s'intende.

Dall’austerity al whatever it take. Draghi sempre e comunque nemico del popolo.

di  Cristina Re   

È completamente fuorviante cercare di rappresentare come due personalità diverse quella di Draghi privatizzatore, ex-banchiere, falco dell’austerity contro Grecia e Italia, contrapposta al Draghi del ‘Whatever it takes’ e delle politiche monetarie espansive, perché svolgono entrambi la stessa funzione. Infatti, con lucido pragmatismo Draghi porta avanti le necessità della borghesia europea a seconda di come queste si presentano nel tempo. Nel 2011-2012, c’era bisogno di salvare il sistema finanziario europeo e l’eurozona scaricandone i costi sulla classe lavoratrice? E così ha fatto, piegando a questo scopo tutti i trattati necessari. Non pensiamo che il Whatever it takes abbia portato benessere alla collettività, perché ha di fatto solo regalato alle banche miliardi di miliardi che non hanno mai avuto un riflesso nell’economia reale, sulla quale invece si è scagliata la scure di tagli, privatizzazioni e aziendalizzazioni.

Oggi serve la politica fiscale per salvare le industrie europee? E allora via al “debito buono”, in barba a fiscal compact e pareggio di bilancio. Anche qui, non crediamo che questo debito sarà speso per il benessere collettivo.

Nella famosa intervista al Financial Times è Draghi stesso ad essere chiaro: bisogna salvare il settore privato cancellandone il debito o assorbendolo con i bilanci pubblici. Nel fare ciò vanno abbandonate le imprese zombie (piccole e medie imprese che non potrebbero reggere lo scontro interimperialista) e bisogna puntare sui campioni europei (come ad esempio Stellantis, fusione di FCA e Peugeot). Questo significa scaricare nuovamente la crisi sui lavoratori autonomi e dipendenti, sui giovani e sulle donne, acuendo la polarizzazione del mercato del lavoro, le differenze tra aree geografiche e la disoccupazione. Il nuovo mantra sarà “più Stato per il mercato”. Whatever it takes.

 Non che il governo Conte non avesse in testa lo stesso progetto (e il programma Next Generation EU ne è la dimostrazione lampante), ma anche il solo tentativo di provare a mediare con alcuni settori perdenti della borghesia era inaccettabile. Una dimostrazione ulteriore che il sistema non è riformabile dall’interno.

 Magari qualcuno ha il tempo per dire “lasciamo lavorare Draghi per vedere cosa fa”, “le sfumature sono più importanti”, “è onesto e preparato”, “magari piove qualche briciola in più” ecc, ma per una generazione devastata dalle politiche europee non c’è un secondo da perdere per costruire l’opposizione e la controffensiva.

 Si parte da Roma, sabato ore 11:00, presidio in Piazza San Silvestro.

#romperelagabbiaUE

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Moltiplicano i pani, i pesci e i Salvini.

di Giulio Cavalli   

Non serve nemmeno frugare troppo in giro per ritrovare ciò che pensava di Draghi Matteo Salvini fino a dieci minuti prima di diventare draghiano e europeista e addirittura così “responsabile” da chiedere per sé il Ministero dell’istruzione. Il 6 febbraio del 2017 diceva «L’euro non è irreversibile come sostiene Mario Draghi. Mi spiace ci sia un italiano complice della Ue che sta massacrando gli italiani e l’economia italiana». E quando qualcuno gli parlava dello spread e dell’Europa (che sarebbero tra i motivi che oggi hanno convinto il leader della Lega all’ennesima giravolta) disse letteralmente: «Noi vogliamo che l’Italia torni a scegliere, a decidere, a sperare nel futuro. Il ricattino dello spread lo abbiamo già visto 5-6 anni fa, non ci casca più nessuno. Non sono tre banchieri, tre massoni o tre finanzieri a tenere in ostaggio il popolo italiano». E, sempre nel 2017, quando fu Berlusconi a fare il nome di Draghi al governo (questo a dimostrare da quanto il nome di Draghi veleggi e da quei lidi fosse invocato) Salvini rispose: «Non se ne parla nemmeno. Mario Monti bis. E la fotocopia di Mario Monti non mi interessa».

Salvini dunque ha cambiato idea ed è vero che sono gli stupidi che non cambiano mai idea ma ci sono anche quelli che scambiano l’opportunismo per responsabilità e si impegnano in queste ore a esercitare una narrazione che vorrebbe convincerci che sia addirittura un privilegio avere un governo con “tutti dentro” come se la politica fosse davvero una livella che tiene tutti a cuccia, basta trovare l’uomo giusto per zittire. E questi strani frequentatori della democrazia che ritengono il ruolo dell’opposizione semplicemente come quelli “che sono stati fuori dal giro delle poltrone” incensano lo splendore di un governo in cui tutti diventano potabili, in cui tutte le idee accettano di essere piallate e in cui le differenze vengono dimenticate: sognano uno studio associato di segretari del commercialista da poter rivendere come Parlamento. È il loro obiettivo. Che la Lega in Europa si sia astenuta sul Recovery Fund nel dicembre del 2020, che abbia votato no ai Coronabond, no alla condanna di Putin per il caso Navalny (a settembre 2020) e tanto altro rientra semplicemente nelle “gag” leghiste che ora siamo disposti a tollerare.

Lo scriveva bene ieri il blog satirico Spinoza: «Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa farmi entrare nel tuo governo». E ora anche Salvini diventa uno statista poiché è stato bacchettato sulle dita da Confindustria e ha deciso di rimettersi a cuccia, ovviamente solo per il tempo di trovare uno spiraglio per scassare tutto appena i sondaggi gli diranno di andare a elezioni.

Qualcuno nel delirio di questa desertificazione che chiamano “responsabilità” in questi giorni tenta anche irresistibili confronti con il passato. Ieri proprio Salvini per giustificare il suo ingresso al governo ha tirato fuori il governo guidato da Alcide De Gasperi dal 10 dicembre 1945 al 14 luglio 1946 che teneva insieme Dc, Pci, Partito d’azione, Psiup, Pli e Partito del lavoro. Peccato che abbia dimenticato di dire che tutti quelli avessero lottato contro il fascismo e ne avessero subito la persecuzione. Ma anche l’antifascismo, se notate bene in giro, è un argomento “disturbante” per l’unità nazionale. Avanti così.

Ma il vero capolavoro politico sono quelli che esultano per l’operazione in corso che poi sono gli stessi che esultavano per la scorsa operazione politica “capolavoro” che ci avrebbe dovuto liberare da Salvini: il capolavoro, lo scrivevamo qualche giorno fa ora è Matteo che ha riabilitato Matteo. Segnatevelo: sono gli stessi che fra poco si stupiranno delle differenze che usciranno in Parlamento e le chiameranno intralci. Del resto qualcuno sogna da tempo una politica senza Parlamento, senza partiti, che semplicemente vada tutte le mattine sullo zerbino di Draghi per lasciare giù i voti e ritirare le comande.

Avanti così.

Buon lunedì.