lunedì 28 dicembre 2009

A QUANDO IL BUCO NERO DA NOI?

Come già anticipato a giugno dopo i primi gravi scontrihttp://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2009/06/senza-titolo.htmloppure
http://lombardia.indymedia.org/node/19387 accaduti in Iran ecco un intelligente articolo tratto da"Senza Soste"dove si puntualizza lo stesso fatto del due pesi e due misure sugli scontri di piazza con a carico il valore aggiunto delle ultime dichiarazioni bellicose dei politici italiani nei confronti di Internet.
Il web in Italia è la fucina del neoterrorismo e dei mali più gravi del paese mentre in Iran è acclamato come strumento d'informazione corretta e veritiera per far vedere al mondo intero che cosa succeda all'interno di un regime che ha il monopolio delle televisioni e dei mass media(oddio non so più se sto parlando dell'Italia o dell'Iran,sembra tutto così simile!).
L'intervento sul sito livornese,oggetto di pesanti critiche e di minacce di chiusura negli ultimi tempi,offre spunti interessanti sotto questo punto di vista e credo che quanto scritto sia lo specchio dell'ipocrisia che attanaglia il sitema politico italiano,purtroppo nella quasi interezza.
La prima immagine,non so quanto aggiornata,rappresenta con dei buchi neri gli stati al mondo(quindici)in cui l'informazione via Internet è pesantemente limitata e censurata,a quando il nostro spazio oscuro?

Per i tg internet va bene in Iran ma non in Italia.

Nelle ultime settimane i telegiornali, poi ripresi dalla seconda carica dello stato, si sono scatenati contro l’uso di massa dei social network. L’impagabile Schifani ha parlato di Facebook come di un fenomeno “peggiore di quello dei gruppi extraparlamentari degli anni ‘70” come se aprire una pagina o un account su un social network fosse paragonabile ad un esproprio proletario di una volta o alle gambizzazioni della fase più calda degli anni di piombo. In questo contesto di criminalizzazione della rete non poteva mancare il favoloso Bruno Vespa che ha definito Tartaglia “una persona appartenente ad ambienti vicini ai social network” (testuale).

Difficile trovare una frase più stupefacente: è la stessa identica cosa di dire l’aggressore appartiene ad ambienti vicini all’uso della telefonia cellulare. La stampa italiana, come il Corsera che ufficialmente rappresenta l’opinione pubblica moderata e riflessiva, ha poi ripreso nei suoi editoriali la citazione di libri dove si parla di internet come un luogo privilegiato di pedofili, estremisti islamici, neonazisti e fabbricanti online di bombe all’idrogeno. Insomma, giusto il clima di ottimismo democratico della convergenza tra nuovi e vecchi media teorizzato da molti mediologi come piattaforma della comunicazione del presente e del futuro.Questo atteggiamento dei media e delle istituzioni italiane nei confronti di internet e dei social network cambia invece magicamente quando si tratta di parlare di opposizione e di rivolte in Iran ovvero di un paese estraneo al gioco delle alleanze dell’Italia. Sembrerà strano ma improvvisamente gli stessi social network da covo del terrore e dell’adescamento dei pedofili diventano “opinioni indipendenti”, “voci libere”, serie “fonti di informazione riformista”.
Le informazioni trasmesse via Twitter vengono immediatamente accreditate dai tg italiani come “verosimili”, “attendibili”, “certamente corrispondenti alla realtà”. Sorte mai capitata alle stesse fonti in lingua italiana. Viene da provare una certa invidia, perché nasconderlo.Le prese di posizioni dei siti “riformisti” finiscono sui banner dei principali telegiornali italiani. Immaginate se il primo canale tedesco, o France 2, mandasse dei banner con le notizie trasmesse da Indymedia Italia. Roba da richiamare gli ambasciatori di quei paesi alla Farnesina per consultazioni immediate. E che dire dei video sgranati, spesso confusi e frammentari, che dai siti iraniani finiscono direttamente sui tg? Fa piacere vedere come i social network siano ripresi dai principali telegiornali. Suscita ilarità il fatto che i video, e ce ne sono di interessanti, di youtube Italia non finiscono mai nei tg mentre quelli iraniani si. Per far vedere al grande pubblico dei tg le voci indipendenti italiane dobbiamo chiedere aiuto ai bloggers di Teheran?
E che dire dell’ultrapacifista tg3 quello che montava servizi televisivi come se fossero tribunali speciali non solo quando volava un sasso ma anche se qualcuno osava bruciare una bandiera americana? Già, che dire di questo tg che sembra trasmettere da Assisi? Ebbene si l’onda iraniana (così è stata definita) ha travolto anche il dogmatismo gandhiano del tg di riferimento del centrosinistra. In un servizio su Teheran un emozionato giornalista parlava di giovani che “si armano di coraggio e di bastoni” per sfidare “finalmente a viso aperto il regime”. Ci attendiamo altrettanta compiacenza sociologica alla prossima manifestazione di black bloc nel nostro paese.E che dire del governo al potere in Iran? Quello che viene chiamato ossessivamente “il regime” vince le elezioni controllando i principali canali televisivi. Tutto questo non vi ricorda forse il libero sistema dell’informazione del nostro paese? Certamente, solo che tutto questo da loro è regime mentre da noi si chiama democrazia.
Detto questo non resta che ringraziare i manifestanti iraniani nel loro impegno per la libertà di espressione e di comunicazione. Sicuramente hanno fatto più loro per far capire in Italia che Internet non è il covo del terrore e della pedofilia dei media italiani quando parlano della comunicazione di rete nel nostro paese. Resta da porsi una domanda: quando il presidente iraniano legge le prese di posizioni ufficiali italiane su Facebook non si sente più vicino ad una moderna democrazia?

Per Senza Soste,
Bill Shankly

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