sabato 30 settembre 2017

VIGILIA CATALANA NEL CAOS


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Ci siamo,l'attesa sta per finire mentre in Catalunya è il caos voluto da Rajoy con l'invio massiccio di elementi della Guardia Civili e le dritte ai Mossos d'Esquadra per impedire fisicamente l'accesso ai seggi per il referendum sull'indipendenza(madn colpo-di-stato-nella-generalitat catalana ).
Alcuni dei controllori dello Stato spagnolo hanno occupato anche il Centro di Telecomunicazioni Tecnologia dell’Informazione (Ctti)per non poter conteggiare i voti che sicuramente in molti seggi aperti e occupati a loro volta dai catalani ci saranno.
Nell'articolo di Popoff(catalogna-cronaca-di-un-referendum )la cronaca delle ultime ore mentre succede di tutto,dai fedeli allo Stato del Partito Popolare Catalano che invita la sbirraglia a rimanere per difendere l'unità della Spagna alle manifestazioni in tutta la penisola iberica a favore della Catalunya,dai fascisti collaborazionisti che tentano di aiutare le polizie a prendersi i seggi agli spari e ai feriti.
Ci sono anche gli ultimi tentativi diplomatici che vengono glissati dalla Presidenza di Barcellona che dice che la Catalogna ha già vinto la sua battaglia nonostante tutto quello che possa accadere nelle prossime ore.

Catalogna: cronaca di un referendum.

Ora per ora gli aggiornamenti più importanti degli eventi in Catalogna il giorno prima del referendum per l’indipendenza.

Catalani e catalane in strada, seggi occupati per evitarne la chiusura e Madrid manda la Guardia Civil che sta operando congiuntamente ai Mossos d’Esquadra per impedire lo svolgimento del referendum per l’indipendenza della Catalogna.

RPT. Urkulla ha tenuto contatti con Puigdemont e Rajoy per iniziare un dialogo a partire da lunedì

Il Presidente del Governo autonomo del Paese Basco, Iñigo Urkullu, negli ultimi mesi ha mantenuto contatti con il presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, e con il presidente del governo centrale, Mariano Rajoy, per affrontare “la necessità” di stabilire vie di dialogo a partire da lunedì, per cercare una soluzione.
 Nelle conversazioni tenute con entrambi i mandatari, Urkullu, così come ha fatto finora, ha difeso una soluzione dialogante al conflitto in Catalogna. Lo scorso 20 settembre, quando la Guardia Civile realizzò le perquisizioni nelle sedi della Generalitat catalana con il fine di evitare il referendum, Presidente del Governo autonomo del Paese Basco, Iñigo Urkullu, fece un appello per “riprendere le redini” della situazione in Catalogna attraverso un “riconoscimento” della sua realtà che chiede “dialogo e negoziazione”, perché “qualcosa stava sfuggendo dalle mani”.Inoltre, domenica scorsa, durante una celebrazione del Alderdi Eguna (Giorno del partito), Iñigo Urkullu ha scommesso per “referendum legale e concordato” con lo Stato, per evitare che un “un modello di unità imposta” si traduca in una “scissione sociale che avrà bisogno di molti anni per riprendersi”.

16:00 Migliaia di persone si sono radunate davanti al Palazzo comunale di Madrid, così come in altre città spagnole, tra cui Barcellona, contro il Referendum indipendentista di domani e per rivendicare l’unità della Spagna. A Madrid, in Plaza de Cibeles, si sono sentiti cori come “España unida jamás será vencida” o “Puigdemont in prigione” e anche slogan inneggianti alla Guardia Civile e alla Polizia nazionale.

15:56 Mentre la popolazione di Matarò, capitale della comarca del Maresme, sa già dove andare a votare per il referendum e la giornata sembrava tranquilla, a mezzogiorno di oggi una trentina di persone che appoggiano l’unità con la Spagna si sono concentrate davanti al palazzo del comune di Matarò utilizzando simboli fascisti come il braccio alzato. I Mossos e la polizia locale hanno chiuso la Riviera per evitare incidenti. I manifestanti oltre a gridare in favore della Spagna hanno anche inneggiato alla Legione.

15:41 Sia il Ministero dell’interno spagnola che la Guardia Civile ha reso noto, tramite Twitter, del blocco del Centro di Telecomunicazione della Generalitat de Catalunya “per annullare il voto telematico del 1-O”.

15:38 I Mossos di Matarò stanno informando i responsabili dei collegi elettorali che hanno ordine di iniziare lo sgombero e chiudere le istallazioni elettorali a partire dalle 06,00. Gli stessi agenti avrebbero però dichiarato che i caso di forte presenza di persone, lo sgombero non potrà darsi. Avrebbero anche informato che, in caso di chiusura di alcuni collegi, il più vicino possa assumerli come propri.

15:30 Urkulla ha mantenuto contatti con Puigdemont e Rajoy per iniziare un dialogo a partire da lunedì

il Presidente del Governo autonomo del Paese Basco, Iñigo Urkullu, negli ultimi mesi ha mantenuto contatti con il presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, e con il presidente del governo centrale, Mariano Rajoy, per affrontare “la necessità” di stabilire vie di dialogo a partire da lunedì, per cercare una soluzione.

15:11 Il moviemento Escoles Obertes lancia un appello perché i catalani si rechino nei collegi per votare al referendum del 1-O prima della 5 del mattino.

15: 08 Oltre 3000 persone stanno manifestando a Santiago de Compostela su covocazione della “Piattaforma Galizia con Catalogna” a sostegno del diritto di decidere e per il referendum previsto per domani.

14:38 Rete ferroviaria Renfe e i servizi Metopolitani di Barcellona (Tmb) hanno presentato formale reclamo alla Generalitat perché i servizi minimi stabiliti per lo sciopero generale del 3 ottobre, – sciopero convocato dai sindacati Cgt (Confederación General del Trabajo), Csc (Confederaciò sindical catalana) e Iac (Intersindacal Alternativa de Catalunya) – sono insufficienti.

14:26 La Guardia civile rimarrà all’interno della Ctti fino a lunedì per impedire la conta elettronica del voto referendario.

14:24 Agenti della Guardia Civile spagnola sono ancora all’interno del Centro di Telecomunicazioni Tecnologia dell’Informazione (Ctti) per controllare se viene rispettato l’ordine del Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna di sospendere ogni servizio informativo relativo alla racconta voti del referendum referendari.

14:15 – I Mossos d’Esquadra stanno avvisando tutti i centri educativi, che alla vigilia del referendum hanno aperto le loro porte ad “attività ludiche”, che a partire dalle ore 6:00 di domani dovranno rimanere chiusi.

14:06 – il Consiglio per la Sanità catalano tramite Twitter: “Non dare retta a chiacchiere e false notizie. I centri di cura primari abriranno regolarmente lunedì 31 settembre, resteranno aperti tutta la settimana con gli orari abituali”.

14:02 – Il leader del Partito Popolare Catalano (PPC), Xavier García Albiol, ha chiesto al presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy, di “non mollare” nella “difesa della democrazia e della libertà in Catalogna”, e ha assicureato che la Polizia nazionale e la Guardia Civile sono “i benvenuti” in Catalogna e “potranno restarci finché vogliono”.

Alle ore 14 di oggi, 30 settembre 2017, la situazione in Catalogna era la seguente

Almeno 163 seggi elettorali del referendum di indipendenza di domani sono già occupati per impedire che vengano chiusi dalla polizia, secondo dati forniti all’agenzia Efe dalla delegazione del governo spagnolo in Catalogna. La polizia ha per ora effettuato sopralluoghi in 1300 collegi, sui 2315 previsti, trovandone occupati 163. La giustizia spagnola ha ordinato alla polizia catalana e spagnola di chiudere i centri domani per impedire le operazioni di voto.

Centinaia di catalani, anche intere famiglie, hanno passato la notte nei seggi in diversi centri civici e scuole. La polizia catalana ha chiesto agli occupanti di liberare i locali entro domani alle 6 del mattino ma non è intervenuta per allontanarli, secondo i media catalani. L’occupazione dei seggi dovrebbe prolungarsi la prossima notte.

L’occupazione dei seggi è avvenuta in forma “pacifica e festosa” riferisce la tv pubblica tv3. Gli occupanti, spesso studenti con i genitori, hanno organizzato attività di ogni tipo, tornei di scacchi, di calcio, proiezioni di film, concerti, esibizioni artistiche e sportive. Decine di materassini sono stati portati nei seggi per poter portare a termine la “rivolta dei pigiama”. La polizia catalana, i Mossos d’Esquadra, ha effettuato sopralluoghi in molti centri occupati senza però per ora prendere provvedimenti contro i presenti. Gli agenti hanno solo comunicato agli occupanti che devono lasciare i locali entro le sette di domenica, come ordinato dalla giustizia spagnola. Occupazioni pacifiche sono in corso ora tutta la Catalogna, da Barcellona a Girona, da Tarragona a Manresa. Si è registrato un solo incidente in un centro di Manleu. Sconosciuti hanno sparato pallini di piombo questa notte contro la porta di un seggio, ferendo leggermente quattro occupanti. Il governo catalano ha avvertito la popolazione di evitare di rispondere a “provocazioni”, sostenendo che la Spagna potrebbe cercare di provocare incidenti violenti.

Agenti della Guardia Civil si sono presentati questa mattina nel Centro delle Telecomunicazioni (Ctti) del governo catalano, dopo che un giudice ha ordinato la chiusura del sistema di raccolta dati sul referendum di domani, riferisce la tv pubblica Tv3. Gli agenti si erano già presentati nel Ctti questa notte per comunicare la decisione del giudice.

Il presidente catalano Carles Puigdemont si è dichiarato “molto deluso” dall’Ue per non avere tutelato i diritti civili in Catalogna “trascurando le proprie responsabilità”. “quando alla nostra gente si impediva di esporre un cartello per ‘Più Democrazia’, o si arrestava un giovane che aveva una pagina web di informazione sul referendum, si proibivano riunioni o si violava la corrispondenza postale, pensavo che l’Ue tanto coraggiosa nel fare discorsi moralizzatori in altri punti del pianeta, avrebbe detto qualcosa. Sono molto deluso”.

E la notte scorsa, tra venerdì e sabato, quattro persone sono rimaste lievemente ferite dopo che ignoti hanno sparato contro un seggio con un fucile da caccia nel comunte catalano di Manlleu. I feriti si trovavano sulla porta della scuola Puig Agut, parte di un gruppo di occupanti dei Comitati di difesa del referendum intenzionati a difendere il seggio. La polizia sta indagando, ma non ci sono stati al momento arresti.

Domenica ‘non ci sarà alcun voto’, manda a dire il governo Rajoy. In arrivo più di 10 mila agenti per blindare i seggi. Chiuso lo spazio aereo su Barcellona a voli privati e elicotteri fino a lunedì. Ma ieri sera alcuni cittadini hanno occupato pacificamente alcuni seggi per impedire che la polizia li chiuda, mentre un giudice spagnolo ordinava la chiusura del sito per il voto online. Circa 80 mila persone hanno assistito al comizio finale di Carles Puigdemont.

“Abbiamo già vinto! – ha detto – abbiamo sconfitto la paura, le minacce, le pressioni, le menzogne e le intimidazioni, di uno Stato autoritario”, e “ora tocchiamo quello che era un sogno”, l’indipendenza. Puigdemont ha esortato i catalani a “uscire di casa domenica determinati a cambiare la storia”. “Abbiamo un appuntamento con il futuro domenica, e anche lunedì, e tutta la settimana, perché cominceremo a camminare con passo fermo” come un paese “che vuole essere trattato come un paese normale”

venerdì 29 settembre 2017

UN'INCHIESTA GIA' SENZA RESPONSABILI


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La decisione di mettere Pierferdinando Casini come presidente della commissione d'inchiesta sulla crisi bancaria è come mettere una pietra tombale sugli effettivi responsabili di tale questione che ci è costata più di venti miliardi di Euro(vedi madn questione-di-schei e relativi link)per il salvataggio con il denaro pubblico delle banche toscane e venete.
Un po come ai tempi dell'ex ministra Boschi anche Casini ora potrà difendere i propri parenti e le sue personali azioni bancarie col potere concreto di indagare già sapendo che alla fine non si troveranno i colpevoli delle speculazioni che hanno mandato gambe all'aria interi istituti di credito,comunque parando il culo ai dirigenti che si sono intascati buone uscite milionarie.
Perché in Italia non c'è niente di meglio che lucrare sui fallimenti che portano giri d'affari di parecchi soldi,naturalmente pescati direttamente dalle tasche dei contribuenti tappando i buchi dei debiti bancari col denaro della collettività:articolo di Senza Soste(www.senzasoste.it ).

Banche, Pierferdinando è per sempre.

Pierferdinando Casini è stato nominato come presidente della Commissione d'Inchiesta sulla crisi bancaria. Un atto che certifica che l'obiettivo è l'affossamento. Tanto ormai una ventina di miliardi li ha pagati il bilancio dello Stato sottraendo fondi a scuola, sanità e welfare. Ed a nessuno interessa trovare i colpevoli. Una vergogna poco pubblicizzata dai media e che finirà in secondo piano scalzata da qualche rissa politica per un fatto di cronaca qualsiasi.

La notizia della nomina di Pierferdinando Casini a presidente della Commissione bilaterale di inchiesta sulla crisi bancaria rappresenta senza dubbio una certezza. Quella che vuole che tutto ciò che davvero accaduto, qualsiasi cosa sia successa nella crisi bancaria italiana, non sarà mai di dominio pubblico. Questa è la certezza. Sia perché Casini è, da decenni, al centro di tutte le nomine bancarie che contano sia perché, da azionista di una banca e da parente diretto dell’ex vicepresidente di MPS, è parte in causa non certo soggetto al di sopra di qualsiasi interesse. Questo fatto mostra che i governi Renzi-Gentiloni si sono trovati a gestire la crisi bancaria con il diretto protagonismo dei portatori di interesse. Il ministro Boschi e la presidenza di Casini sono, appunto, i casi più noti di questo fenomeno al grande pubblico. In caso di crisi, ai governi Renzi-Gentiloni, non è quindi mancato l’intervento diretto di coloro che erano pienamente interessanti.

Per fare una presidenza di commissione del genere, un caso di binario morto inaugurato come tale senza nemmeno la finzione di farlo apparire funzionante, ci vogliono almeno due condizioni. La prima è, come si dice, a livello di governance; la seconda è legata a quanto accade sui mercati. A dire la verità ci sarebbe anche la terza, che è quella su cui l’attenzione si produce in modo naturale, ovvero l’assoluta mancanza di faccia di un ceto politico che non si prende nemmeno il disturbo di usare qualche prestanome per mandare le inchieste nel binario morto. Ma, in questo caso, la nomina di Casini si spiega da sola quindi possiamo andare oltre.

Allora a livello di governance, cioè di decisioni delle commissioni Ue, da tempo si era aperta la strada alla soluzione, sul tema banche, preferita dal governo italiano. Stiamo parlando di quello che tecnicamente si chiama bailout: in poche parole lo stato si indebita, in questo caso di una ventina di miliardi, per pagare le falle più vistose del sistema bancario. E’ evidente che, se lo stato italiano ha ottenuto la possibilità di finanziare il proprio buco bancario (ricordiamo: fatto da privati, senza toccare le megaliquidazioni dei grandi manager bancari) che il passato ricopre meno interesse. La soluzione è stata trovata, è sostanzialmente indolore (salvo per i bilanci pubblici dove questi fondi sono sottratti a sanità, sociale, etc..), le commissioni di inchiesta sono politicamente depotenziate. Non c’è necessità di cercare colpevoli e la nomina di Casini santifica proprio questo stato  di cose. Allo stesso tempo, se guardiamo la stampa specializzata, come Business Week di Bloomberg, si nota come il flusso di smaltimento dei crediti inesigibili italiani stia calando. Tutto questo, nota Bloomberg, ha fatto dell’Italia, nell’ultimo anno, il mercato più attivo dei servizi finanziari per lo smaltimento del debito bancario. A ennesima dimostrazione che, una volta che i bilanci pubblici pagano le crisi, nei mercati finanziari i fallimenti sono anche un’ottima occasione d’affari.

Se la governance europea ha allentato la presa sulle banche italiane, se i bilanci pubblici pagano il conto, e se il mercato smaltisce i debiti, Pierferdinando Casini può prendere benissimo il ruolo di gran cerimoniere dello smaltimento delle responsabilità. Restano i 20 miliardi a carico dei contribuenti, altrimenti destinabili a un corpo sociale che ne avrebbe un gran bisogno, e le grida di chi si sente truffato. Resta poi il fatto che, in materia di distruzione di ricchezza, si è lavorato molto in questi anni. Prendendo i bilanci consolidati delle prime 14 banche italiane (escludendo BNP-BNL e Credit Agricole che comunque hanno operato in Italia) si osserva che dal 2011 al 2016 le banche del nostro paese hanno di fatto cancellato 134 miliardi di crediti verso clientela, all’incirca 75% su imprese e 25% su privati. Questo  è soprattutto un indicatore della ricchezza distrutta in un lustro di crisi. Quella, se andiamo a vedere le cronache di questi anni, negata, minimizzata e vista sempre come prossima alla fine.

Ma cosa ci riserva il futuro? Per ora, oltre alle cerimonie assolutorie officiate da Casini, rimane una difficoltà generalizzata di accesso al credito per piccole imprese, famiglie e singole persone. Per il ceto medio-basso, insomma. Poi vedremo se i mercati finanziari saranno tranquilli o quanto la rivoluzione tecnologica del banking lascerà del piccolo mondo difeso da Pierferdinando Casini. Perchè le tecnologie del banking degli anni ’20, genere detto Fintech, crescono e si sviluppano. Il loro scopo è quello di far saltare il ruolo, guadagnandoci, di banche che rappresentano il mondo difeso da Pierferdinando Casini. Ma per ora questo mondo può festeggiare. Pieferdinando è per sempre. O almeno cosi’ pare.

redazione, 28 settembre 2018

mercoledì 27 settembre 2017

L'ULTIMA ESECUZIONE NEL NOME DI FRANCO


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L'ultimo atto ufficiale dell'orrore del regime franchista in Spagna si è avuto il 27 settembre del 1975 in diversi luoghi:Barcellona,Burgos e Hoyo de Manzanares,in distinte esecuzioni avvenute tutte nella mattinata di quel giorno orribile.
A distanza di poche decine di giorni vi fu la morte del caudillo che nonostante lo spostamento del potere come primi ministri nelle mani di Carrero Blanco e Arias Navarro fu sempre il dittatore che fin dai tempi della seconda guerra mondiale decise le sorti della Spagna.
L'articolo preso da Senza Soste(27-settembre-1975-gli-ultimi-fucilati-dal-regime-franchista )parla delle fucilazioni che ammazzarono cinque attivisti dell'Eta e della Frap e che ebbe un enorme rilievo mediatico con proteste che si scatenarono in tutta Europa contro queste esecuzioni sommarie.

27 settembre 1975: gli ultimi fucilati dal regime franchista.

All'alba dell'ultimo sabato di settembre del 1975, 5 persone furono crivellate dai fucili fascisti in tre diversi luoghi dello Stato spagnolo. Le fucilazioni dei cinque prigionieri antifascisti, erano state ordinate da Francisco Franco, dittatore fascista. Era il 27 settembre 1975: Juan Paredes Manot "Txiqui" militante dell'ETA, venne fucilato verso le 8.30 della mattina vicino al cimitero Norte o di Corserolla a Barcellona da un plotone di sei membri della Guardia Civil, tutti volontari del servizio di informazione fascista. Da lontano presenziarono al crimine Mikel -il fratello di Txiqui- e gli avvocati Magda Oranich e Marc Palmes. Le guardie fasciste, spararono uno alla volta con accanimento i due proiettili che disponevano per l'esecuzione. Txiqui, morì cantando l'Eusko Gudariak, l'inno di resistenza basco.
Angel Otaegui Etxevarria, anch'esso militante dell'ETA, venne fucilato nella prigione di Burgos, alle 8.40 del mattino, solo e senza testimoni.
Ramón García Sanz, José Luis Sánchez Bravo e José Humberto Baena, militanti del FRAP- organizzazione armata antifascista- alle 7.45 della mattina vennero portati in un poligono militare all'aperto a Hoyo de Manzanares, dove li aspettavano il plotone di fucilazione composto da membri della Guardia Civil e della Policia Nacional, tutti volontari. Ad assistere al crimine c'erano anche i giudici dei consigli di guerra, un prete militare e il parroco di Hoyo di Manzanares, un medico, la polizia militare e vari torturatori della Brigata Politico-Sociale, quest'ultimi vestiti con colori sgargianti e cravatte a fiori per l'occasione. I tre vennero fucilati tra le 9.10 e 10.15 della stessa mattina.
Le ultime esecuzioni del regime franchista ebbero molto eco a livello internazionale: varie manifestazioni si organizzarono spontaneamente nei giorni precedenti all'esecuzione delle condanne a morte e in molti Paesi europei migliaia di intellettuali, artisti, operai e studenti diedero vita a numerose mobilitazioni di massa. Negli stessi mesi, Franco invece garantiva la continuità del suo regime nominando Juan Carlos de Borbon, attuale monarca spagnolo, come suo successore, non dando di fatto mai passo alla mal chiamata transizione.
Negli anni successivi alla morte dei 5, questa data viene ricordata con grande dolore, non soltanto per essere stato l'ennesimo crimine fascista, ma anche per quello che rappresenta: un'esecuzione esemplare, a poco meno di un mese dalla morte di Franco, per colpire due organizzazioni l'ETA e il FRAP e per castigare e dimostrare come rispettivamente il problema dei nazionalismi e il problema sociale nello Stato spagnolo, debbano essere risolti in maniera radicale e con il prezzo più alto secondo il regime fascista.

tratto da www.infoaut.org

27 settembre 2011

martedì 26 settembre 2017

UN VOTO DISCUSSO QUELLO NEL KURDISTAN IRACHENO


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Sul voto che si è svolto ieri nel Kurdistan iracheno il cui esito che dovrebbe apparire scontato per il sì all'indipendenza ed ufficializzato entro le prossime 72 ore,ci sono diverse posizioni che voglio esprimere proponendo un articolo di Contropiano(kurdistan-referendum-storico-del-popolo-barzani )e l'altro di Infoaut(sul-referendum-nel-kurdistan-iracheno ).
Mentre nel primo si elogia il lavoro che ha portato a questo voto del leader del partito democratico curdo(PDK)Barzani,nel secondo si muovono delle critiche verso l'effettiva utilità del voto che interesserebbe solamente una parte dell'intera popolazione curda che vive prevalentemente tra la Siria,Turchia,Iran e Iraq.
I detrattori parlano di un referendum basato più sul petrolio che sulle persone perché i giacimenti di Kirkuk sono tra i più importanti della regione,mentre in zone più remote la gente chiede elettricità e servizi.
Di certo Turchia,Iran e Iraq non vedono di buon'occhio questo voto che potrebbe scatenare un effetto domino come per quello che riguarda la Spagna,mentre è sostenuto da Israele per il suo tornaconto politico ovviamente,quando i confini sono stati chiusi e presidiati dai militari.

Kurdistan, il referendum storico del popolo di Barzani.

di  Enrico Campofreda 
“Orgoglioso di lanciare il mio voto di primo mattino e partecipare allo storico giorno del Referendum per il Kurdstan”. Così ha twittato stamane, prestissimo, Masoud, l’epigono del clan Barzani e da tempo leader dei kurdi iracheni. Per l’evento esclusivamente consultivo, e nonostante tutto ostacolato dal governo di Baghdad, negato da quelli di Ankara e Teheran, e surclassato dagli stessi amici (di Masoud) americani che non vogliono prestare il fianco all’ennesimo elemento divisivo fra etnìe e nazioni, sono stati approntati più di duemila seggi.

Dieci le ore dedicate alle consultazioni e 5.6 milioni gli aventi diritti al voto. In realtà quello è il numero di tutti gli abitanti della regione autonoma del Kurdistan, bambini compresi, ma la cifra citata estende il referendum anche a gente presente nei territori attualmente controllati dai peshmerga. Alla vigilia il premier iracheno Haider al-Abadi aveva annunciato, tramite un messaggio televisivo, che sui promotori del referendum sarebbero ricadute tutte le conseguenze divisive di questo passo elettorale. Ne aveva ribadito l’incostituzionalità, affermando con toni gravi che non si può minare l’unità del Paese.

Ma la posizione fermissima tenuta in primo luogo da Barzani, che gli consente di ricevere l’assenso anche dagli elettori delle frange avversarie dei due partiti di casa (Unione patriottica e Gorran) non esclude il desiderio di dialogo col potere centrale e coi grandi del mondo che scoraggiano lo sfaldamento della nazione. Lui è ottimista e legge il futuro con questi occhi, piuttosto che con aria di scontro. Bisognerà vedere cosa faranno gli altri davanti al risultato, che ufficialmente verrà annunciato domani e dovrebbe vedere una valanga di assensi per la causa dell’indipendenza. Passo comunque non vincolante, seppure simbolicamente significativo.

Per ora tre capitali interessate: Baghdad, Ankara, Teheran hanno rispettivamente chiuso i confini di Stato, fatto muovere i carri armati verso la frontiera del Kurdistan, interrotto i voli aerei. Per non far scaldare animi e armi, finora non c’è stata alcuna mossa coercitiva, solo pantomime. Gli esecutivi dei tre Stati sperano che le divisioni partitiche interne facciano da freno alla supremazia che Barzani cerca col referendum. I giorni e le settimane a seguire ci diranno di più.

articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it

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Sul referendum nel Kurdistan iracheno

Alcune/i compagne/i ci mandano da Erbil (Kurdistan Iracheno) questo contributo.

Si sono appena svolte le prime libere elezioni del nord della Siria, e intanto a Sulaimaniya, nel Kurdistan iracheno, ci si prepara al referendum del 25 settembre per l’indipendenza della regione. La propaganda è alle stelle e mentre in tv i canali curdi passano continuamente spot per il “Si”, gli elicotteri di Barzani sorvolano la città: anche Sulaimaniya, la roccaforte di Talabani, leader dell’altro partito forte del Bashur, il Puk, è una tappa obbligata per i comizi del leader di Erbil. Qualcuno ci mostra un video: lo stadio è semi vuoto e sappiamo esserci state manifestazioni e proteste in una città blindatissima dalla polizia. Le dichiarazioni dei governi confinanti non si sono fatte attendere: la Turchia, che in questi giorni ha schierato i propri carri armati sul confine, parla di “avventurismo politico” e si dichiara pronta a misure straordinarie per garantire la sicurezza dei suoi confini e la stabilità della sua politica economica; Baghdad dichiara che non prenderà sul serio l’esito del voto e non consentirà “un’altra Israele in medioriente”; l’Iran, che oggi ha chiuso lo spazio areo e questa mattina ha bombardato a colpi di mortaio due villaggi nella campagna Erbil, parla di chiudere le frontiere e interrompere tutti gli accordi commerciali, mentre Israele si espone favorevolmente, non nascondendo la natura degli interessi che stanno dietro alla sua posizione.

Chiedendo a chi vive a Sulaimaniya cosa ne pensa e se andrà a votare, i commenti più frequenti riguardano la personalità e le politiche perseguite da Barzani, definito spesso come un “uomo ingiusto” che vuole questo referendum per mantenere il proprio potere, dopo anni di mandato ormai illegittimo. All’interno dello scontro politico emergono gli interessi legati ai giacimenti di petrolio: quelli di Kirkuk sono tra i più grandi dell’Iraq. Proprio per questo la città è contesa, dal Pdk di Barzani e dal Upk di Talabani da una parte e quelli del governo iracheno dall’altra.

Questo referendum “non serve davvero, è tutta questione di soldi” - dice un profugo di Kobane che abita a Sulaimaniya - “ed è la strategia sbagliata, prima dobbiamo pensare a vincere in Rojava”. Oggi “il Basur è completamente dipendente da Turchia e Iran, non si produce nulla, non ci sono fabbriche e industrie. La gente vuole elettricità e servizi e spesso queste cose non ci sono. Non pensano davvero alla gente. Il problema non è quanto Barzani o Talabani siano più o meno democratici o cattivi, il problema a monte è che se anche pensassero di fare gli interessi delle persone e di renderle sicure, non è in questo modo che riusciranno a farlo. Questo referendum non ha senso perché non è l’ora di chiedere l’indipendenza da Baghdad, sarà l’ora di farlo quando avremo risolto questi problemi economici e politici… e questo i curdi lo sanno”.

In merito al referendum il PKK da mesi sostiene che tutti i curdi, anche quelli iracheni, abbiano il diritto all’autodeterminazione. “Noi vogliamo la libertà da Baghdad”, continua, “ma il problema di questo referendum è che riguarda l’indipendenza del Kurdistan d’Iraq, ma il Kurdistan è anche in Siria, Iran e Turchia e questo governo non lo accetta, noi vogliamo la libertà per tutto il Kurdistan e tutti i curdi” e “non possiamo accettare un governo che ostacola i nostri fratelli e che combatte contro Baghdad più per il petrolio che per le persone”. Da questa parte della regione non sembra ci sarà grande affluenza alle urne. Chiedendo cosa potrebbe accadere dopo il voto, e la probabile vittoria del “si”, le risposte spaziano dal “qualsiasi cosa” al “non succederà proprio nulla perché gli Usa non permetteranno a Turchia e Iran colpi di testa”. Intanto pare che gli abitanti di Kirkuk stiano facendo provviste per i prossimi giorni e che giungano voci discordanti in merito a un rinvio dei seggi.

lunedì 25 settembre 2017

UN PARTITO NAZIONALISTA NEL BUNDESTAG


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Come da previsione in Germania,a dispetto di altre elezioni in varie parti del mondo,non ci sono stati scossoni da quello che già si avvertiva con le intenzioni di voto che purtroppo hanno visto il forte aumento dei nazionalisti razzisti di Afd,un forte calo della Cdu della Merkel che comunque rimane ampiamente il primo partito mentre pur mantenendo la seconda posizione crolla nei numeri lo Spd(vedi:madn elezioni-tedesche ).
Buoni i voti dei liberali con i quali potrebbero fare legami di coalizione la Cdu ed i verdi,che assieme alla Linke hanno guadagnato qualcosina ma sena eccessivi trionfalismi,visto che Schulz ha affermato che la grande coalizione a questo giro non si farà.
Articolo di Contropiano(internazionale-news )dove oltre ai numeri si fa un'analisi che pare fin troppo scontata sugli spostamenti delle votazioni che hanno portato l'Afd a entrare nel Bundestag,primi nazionalisti a farlo dopo Hitler,brutti auspici.

I numeri delle elezioni tedesche. Una prima valutazione.

di  Franco Astengo  
Di seguito si trasmettono alcune valutazioni sul risultato delle elezioni tedesche svoltesi il 24 Settembre, nel tentativo di verificare gli scostamenti sulla base delle cifre in numeri assoluti e non soltanto sulle percentuali.

1) Il primo dato che emerge riguarda la tenuta del sistema nel suo complesso, almeno del punto di vista della partecipazione elettorale. La Germania è attraversata da alcune contraddizioni di grandissimo rilievo, da quella riguardante il flusso dei migranti, all’emergere di un livello di disuguaglianza sociale molto forte al punto di verificare il fenomeno di un vero e proprio “abbandono” da parte dello stato sociale di interi strati di popolazione, al consolidarsi di forti differenze tra una parte e l’altra del Paese a distanza di oltre venticinque anni dalla riunificazione tra BDR e DDR. Ciò nonostante i tedeschi hanno partecipato al voto in misura massiccia, anche se il sistema elettorale tedesco non è costruito sull’idea (tanto agognata dalle nostre parti) che alla domenica sera si debba già sapere chi ha vinto, chi sarà il primo ministro che governerà per 5 anni. Si è verificato, infatti, un incremento in valori assoluti e in percentuale del totale dei voti validi (riferimento di tutti i dati la parte proporzionale delle espressioni di voto). Data la partecipazione complessiva (inclusi coloro che hanno espresso voto bianco o nullo per un totale di 851.992 suffragi mancati) al 76,16%, i voti validi si sono incrementati tra il 2013 e il 2017 di 2.016.842 unità passando da 44.309.925 a 46.326.767;

2) Il secondo dato da rilevare è quello che riguarda la maggior concentrazione del voto sui 6 partiti maggiori. Nel 2013, infatti, i voti dell’Unione tra CDU – CSU, SPD, Linke, Verdi, FDP e AFD assommarono a 41.009.065 (92,55% sul totale dei voti validi) e FDP e AFD restarono esclusi dal Bundestag. Nel 2017 la somma di voti raccolti dai sei partiti in questione è stata di 44.002.541 pari al 94,98% del totale dei voti validi. Riscontriamo quindi una maggiore concentrazione nel voto in presenza di un allargamento nella presenza in Parlamento da 4 a 6 partiti. Altro dato che non pare spaventare i tedeschi almeno dal punto di vista del numero dei partiti partecipanti all’arco parlamentare. Altro paio di maniche ovviamente la valutazione politica relativa all’ingresso dell’AFD nella sfera parlamentare che suscita sicuramente inquietudine per la dimensione inusitatamente massiccia del voto;

3) Acclarata quindi la tenuta del sistema almeno dal punto di vista della partecipazione elettorale appare evidente, come notato dai tutti i commentatori davanti alla realtà delle cifre, il secco spostamento a destra, che meglio è evidenziato dalle cifre assolute. L’Unione tra Cristiano Democratici e Cristiano Sociali scende, infatti, da 18.165.446 voti a 15.315.576 segnando un meno 2.849.870 pari al 15,39% del proprio elettorato. Tra l’altro appare netto il calo della CSU in Baviera: il partito “storico”, che fu di Strauss, nel suo Lander d’elezione nel 2013 aveva ancora sfiorato la maggioranza assoluta con il 49% e adesso, invece, si restringe al di sotto del 40% con il 38,8%. Sul piano nazionale la SPD scenda da 11.252.215 suffragi a 9.358.367 con un meno 1.893.848 pari al 16,84% del proprio elettorato. Si può affermare, in sostanza che il calo delle due forze impegnate nel governo di “grossekoalition” è stato tutto sommato omogeneo tra di esse e non si rileva un particolare “crollo” dell’SPD in questo senso: il dato del calo della socialdemocrazia appare sicuramente enfatizzato dall’aver toccato in questo frangente il proprio minimo storico, dopo essere apparsa del tutto subalterna ai democristiani nell’azione di governo e aver propiziato – a suo tempo – guidando l’esecutivo il dramma della crisi dello stato sociale. Naturalmente il modesto incremento fatto segnare dalla Linke, che conferma la propria presenza a Est, non compensa assolutamente il calo della socialdemocrazia. La Linke, infatti, sale da 3.755.699 voti a 4.269.762 registrando un più 514.063, pari all’11,3% del proprio elettorato. I Verdi, che si apprestano a quanto pare a svolgere il ruolo della ruota di scorta del governo democristiano, hanno fatto registrare un lieve incremento da 3.694.057 a 4.157.164 pari a 463.107 voti in più, 12,53% sul proprio elettorato.

4) Passiamo dunque ad analizzare lo spostamento a destra, sicuramente il dato più eclatante emerso da questa competizione elettorale. Nei commentatori sta facendo scalpore l’ascesa dell’AFD. Nel 2013 il partito rappresentativo dell’estrema destra aveva raccolto 2.056.985 voti passando nel 2017 a 5.877.094 ed entrando trionfalmente al Bundestag con 94 deputati. L’incremento dell’AFD è quindi di 3.820.109 voti, pari al 185,71% di crescita, quasi due volte il proprio elettorato precedente. Inoltre l’AFD rompe il monopolio nei Lander conquistando la maggioranza in Sassonia: ed è questo un dato politico da tenere assolutamente in conto. Netta crescita anche per i liberali passati da 2.083.533 voti a 4.997.178, con un più 2.913.645. In totale AFD e FDP acquistano 6.733.754 voti in più rispetto al 2013, un incremento superiore alla somma delle perdite di CDU-CSU e SPD calcolate assieme ( – 4.743.718). Se ne può dedurre che in particolare l’AFD sia penetrata sia nel bacino elettorale delle formazioni minori contribuendo in maniera decisiva a quella superiore concentrazione nell’espressione di suffragio sui 6 partiti principali già segnalata in apertura di questo lavoro, sia sull’astensione. La presenza della destra, sia estrema, sia di matrice liberale, si dimostra quindi pervasiva dell’intero elettorato, sia dal punto di vista sociale, sia sotto l’aspetto geografico e non solo, quindi, si presenta come la grande novità episodica nella scena politica tedesca ma anche come elemento strutturale del brusco riallineamento sistemico che le elezioni tedesche hanno presentato come risultato complessivo.

5) La crisi della democrazia liberale classica, ben evidente anche nel caso tedesco, non si dimostra però nella disaffezione alle urne (come avvenuto in Francia e continua progressivamente a palesarsi in Italia) e neppure nell’affermazione di un partito “antisistema”. Si ricolloca, invece, sull’antico asse destra / sinistra nella sua versione che proprio l’AFD, forza nazionalista conservatrice con forti venature razziste rappresenta. Dati che andranno meglio meditati avendo a disposizione un insieme di numeri maggiormente approfonditi in particolare rispetto alla dislocazione geografica del voto.

sabato 23 settembre 2017

ELEZIONI TEDESCHE


Risultati immagini per elezioni germania 2017
Domani si terranno in Germania le elezioni politiche per il rinnovo del Bundestag che eleggerà a sua volta il nuovo cancelliere che sarà quasi sicuramente un rinnovo per la Merkel in un contesto che dovrebbe vedere la sua Cdu prevalere di una buona percentuale di voti sull'Spd di Schulz,salvo poi allearsi nuovamente nella grande coalizione(Große Koalition).
Lo spauracchio dell'estrema destra di Afd crea qualche timore in tutti gli altri partiti che non sono scesi a compromessi verso questo gruppo che fa del razzismo e del revisionismo i propri principali temi,visto che di seri programmi di governo non ne hanno.
Invece la Linke che ha ottenuto nel 2013 l'8,6% dei voti ha un chiaro programma che dovrebbe essere analizzato e proposto con i giusti arrangiamenti anche in Italia e che viene riportato evidenziando i punti più salienti alla fine dell'articolo preso da Popoff(elezioni-germania ).

Elezioni Germania, davvero è una campagna noiosa?

Germania, si vota domenica e tutti danno per scontata la vittoria di Merkel ma sono spaventati dai razzisti di Afd. La Spd della grosse koalition verso il crac. Il programma della Linke

di Francesco Ruggeri
«Con una campagna delle coccole, in cui si deve usare la lente d’ingrandimento per trovare la differenza fra Cdu e Spd, non si mobilita nessuno», spiega la leader della Linke (Sinistra, di cui in calce all’articolo vi proponiamo una sintesi del programma), Sahra Wagenknecht, in un’intervista all’ANSA, in vista del voto di domenica prossima. «Credo che anche Martin Schulz dovrebbe aver rinunciato a imporre il cancelliere. Eppure aveva una chance concreta: se l’SPD avesse deciso di congedarsi dalla politica dell’agenda di Schroeder e avesse segnalato in modo credibile: vogliamo fare una politica per il nostro elettorato, per i lavoratori, i pensionati, i disoccupati. Ma l’SPD ha deciso diversamente e si è giocato questa opportunità». «Se saremo così forti da poter formare una coalizione rosso-rosso-verde, spero naturalmente che l’SPD non ripeta l’errore del 2005 e del 2013, e che stavolta usi la maggioranza e s’imponga con noi per una politica diversa».

SAHRA WAGENKNECHT (48 anni): Oriunda di Berlino est, figlia di una tedesca ed un iraniano, è l’esponente più in vista della Linke, sempre presente ai dibattiti ed eventi televisivi. Moglie dell’attuale leader del partito Oskar Lafontaine (ex Spd) laureata in economia politica, sa comunicare con la gente e non teme la polemica, come quando ha chiesto l’espulsione dei responsabili degli attacchi sessuali alle donne a Colonia a Capodanno del 2016. Con lei DIETMAR BARTSCH (59 años), rappresentante dell’ala pragmatica del partito, è solito ricordare che per imporre i propri obiettivi servono alleati e per formare alleanze è necessario cedere. Oriundo di Stralsund, nel nordest della Germania, è entrato in giovane età nella SED, il partito che governava la Repubblica democratica tedesca, ha studiato economia e ha preso un dottorato a Mosca. Dopo la caduta del Muro di Berlino è stato tesoriere del partito successore della SED, il PDS, Partito del socialismo democratico. Bartsch ha assunto la gestione del partito Die Linke, nato nel 2007 dalla fusione tra il Pds e i fuoriusciti dalla Spd contrari alle riforme di Schroeder. Ma nel 2010 ha lasciato l’incarico in contrasto con le posizioni dell’allora presidente del partito, Oskar Lafontaine. Nel 2015 ha assunto con Sahra Wagenknecht la leadership congiunta del gruppo parlamentare, succedendo al carismatico Gregor Gysi divenuto il moderato capo, in asse con Tsipras, del Partito della Sinistra europea, che comprende la nostra Rifondazione.

E’ la destra oltranzista, però, che fa tremare la politica tedesca a due giorni dal voto che vedrà l’ennesima conferma del governo Merkel. E ieri la squadra populista e razzista ha preso corpo in un noto talk show televisivo, dove tutti i partiti erano allineati contro AFD. Ospiti della serata, Ursula von der Leyen (CDU), Manuela Schwesig (SPD), Christian Lindner (FDP), Sahra Wagenknecht (LINKE), Catrin Goering-Eckardt (VERDI), Alexander Gauland (AFD). «Lei non è in grado di affrontare temi come le politiche climatiche, perché il suo partito non guarda oltre i confini nazionali. AFD non è in grado di collaborare con gli altri», ha detto von der Leyen, bacchettando la posizione dei populisti sul cambiamento climatico. Gauland aveva infatti affermato che «il clima cambia da sempre, e la svolta energetica non migliora le cose, quindi non ha senso». Quando il candidato di spicco ha ammesso che AFD «non ha un programma sulle pensioni dal momento che è un giovane partito», Lindner gli ha replicato: «E cosa avete fatto in questi 4 anni?» «Ci sarà una Grosse Koalition, e noi saremo terzi, e leader dell’opposizione», ha affermato inoltre il giovane liberale, assumendo una posizione inaspettata sulla futura coalizione. Una mossa strategica: l’FDP vorrebbe alzare il prezzo di una eventuale alleanza con Merkel, e sedersi al tavolo delle trattative dopo il fallimento degli altri tentativi. Invitata a dire che percentuale l’Spd si aspetta di raggiungere, la socialdemocratica Schwesig ha risposto con evidente difficoltà: «Più di quanto dicano i sondaggi».

«Destra radicale nel Bundestag, l’SPD davanti a uno storico record negativo? Le elezioni potrebbero avere drammatiche conseguenze o avviare finalmente un nuovo inizio». «Pass auf, Deutschland! (Attenta, Germania!)»: Un lungo editoriale di Giovanni Di Lorenzo, il direttore italo-tedesco dello Zeit, il giornale fondato da Helmut Schmidt, contesta le analisi di chi superficialmente ha definito noiosa questa campagna elettorale e, di conseguenza, le elezioni di domenica prossima: «Magari lo fossero. È vero il contrario: queste elezioni potrebbero essere una cesura, o nel migliore dei casi, un nuovo inizio». Anche in quest’analisi, l’offensiva di Afd viene definita senza mezzi termini: «I suoi politici di punta lavorano a provocazioni radicali, razziste e revisioniste». E da terzo partito e leader dell’opposizione Alternative fuer Deutschland avrebbe (tradizionalmente) diritto a posti di rilievo in commissioni parlamentari: come la presidenza della commissione di bilancio. «Chi vota per Afd non è necessariamente un estremista di destra», sottolinea, ma mette comunque in conto o ha perfino «simpatia» per la «radicalizzazione» degli argomenti. L’altra possibile «cesura» affrontata dall’editoriale è l’eventuale crollo dell’SPD. «La domanda se la Germania sia pronta per un cancelliere uomo è una bella battuta, con un fondo di verità». La cancelliera «sembra così forte» che nessun altro candidato avrebbe potuto vincerla. Di Lorenzo sottolinea però anche le responsabilità dell’SPD: «Consulenti richiesti e non richiesti hanno più volte cercato di convincere il partito a spostarsi più a sinistra, per far tornare gli elettori». Del resto la stabilità della Linke, sul 10%, suggerisce che l’elettorato di sinistra c’è. Andrebbe solo conquistato. Interessante è che anche dalla prospettiva di un giornale di centro-sinistra una nuova edizione della Grosse Koalition sarebbe un errore: per i socialdemocratici, che devono ritrovare la loro identità.

Pubblichiamo, infine, una sintesi in pillole del programma di Die Linke

Sociale. Giusta. Pace. Per ognun@

1. Per un fisco equo
•Meno tasse per redditi inferiori a 7.100 € lordi al mese (136 € in più al mese per 1.700 € lordi, 211 € in più per i redditi a partire da 3.400 €)
•Innalzamento del minimo esente da detrazione fiscale a 12.600 €
•Tassare di più i redditi alti: 53% di imposizione fiscale a partire da 86.000 € lordi all‘anno (per persone single) – „tassa sui ricchi“ 60% a partire da 260.000 €, 75% a partire da un milione di €.
•No a tasse più basse per i redditi da capitale rispetto a quelli da lavoro: abolire l‘imposta forfettaria del 25% per i redditi da capitale
•Patrimoniale: 5% sui patrimoni superiori a un milione

2. Per un lavoro e garanzie sociali dignitosi
•Salario minimo a 12 € all‘ora
•Lavoro sicuro invece di contratti precari – o a tempo determinato, interinale, freelance.
•Rafforzare l‘obbligo di contratti collettivi.
•Estendere la durata dell‘erogazione di sussidi di disoccupazione.
•Più tempo libero per sé e la famiglia: riduzione dell‘orario di lavoro a 30 ore.
•Reddito sociale minimo a 1050 € senza sanzioni.

3. Buone pensioni
•Riportare il livello di pensioni al 53% (130 € al mese in più per un/a pensionato/a medio)
•Pensione minima a 1050 €
•Maggiori sgravi per i bassi salari.
•Equiparare le pensioni tra est e ovest.
•Riportare l‘età pensionabile a 65 anni.

4. Buoni alloggi
•Abbassare gli affitti in aree tutelate a 8,50 €/mq, congelare il livello attuale
•Costruire 250.000 alloggi popolari comunali non-profit all‘anno
•Niente restrizioni agli obblighi sociali per la costruzione di alloggi sovvenzionati
•Frenare lo sfruttamento dei beni immobili: la casa non deve essere oggetto di speculazione!

5. Investire in sanità, assistenza, istruzione e infrastrutture
•Per un‘assistenza sanitaria solidale, finanziata da chiunque abbia un reddito: abbassare il contributo al 12% – importi inferiori per redditi inferiori a 6.250 € lordi. Reintrodurre parità di contributi tra dipendenti e datori di lavoro.
•Abolizione di costi aggiuntivi per farmaci, spese dentistiche e occhiali.
•Più personale e migliori retribuzioni per il lavoro di assistenza.
•160.000 nuovi posti di lavoro negli ospedali.

6. Una buona partenza nella vita per ognun@ – lottare contro la povertà infantile
•Sussidio di base individuale di 564 € per ogni bambin@ e ogni adolescente.
•Aumentare da subito l‘assegno familiare a 328 € per bambin@.
•Istruzione gratuita dall‘asilo all‘università.
•Trasporto pubblico gratuito per ogni bambin@.
•Pasti caldi salutari e gratuiti in tutti gli asili e tutte le scuole.

7. Giustizia globale, pace e salvaguardia del clima
•Stop alle esportazioni di armi, ridurre la spesa militare di 10 miliardi e non aumentarla di 25 milliardi! No alla guerra!
•Commercio equo invece del libero scambio: Stop TTIP, CETA e TISA!
•Sì all‘Europa: contro il nazionalismo e il populismo di destra. L‘Unione europea deve essere sociale, o fallirà.
•0,7% del PIL alla cooperazione.
•Difendere il diritto elementare all‘asilo – senza limitazioni!
•Transizione energetica: energie rinnovabili, sociali, decentrate. Proibire il fracking.
•Estendere il trasporto pubblico, biglietti sovvenzionati per le persone meno abbienti

venerdì 22 settembre 2017

SETTIMANE DI SCIOPERI IN FRANCIA


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Sono settimane di proteste di piazza quelle che stanno caratterizzando la lotta dei lavoratori francesi contro la loi travail giunta in un momento cruciale per la sua attuazione definitiva,con la promessa di cancellare i contratti nazionali per farli divenire aziendali con effetti devastanti su orari e retribuzioni,su licenziamenti e capacità contrattuale che non sarà più collettiva.
Nell'articolo di Popoff(francia-sfida-decisiva )le date di questi giorni dopo che nelle scorse settimane gli scontri erano diventati particolarmente violenti anche con l'aiuto degli studenti che hanno manifestato in ogni grande città della Francia assieme ai lavoratori.

Francia, sfida decisiva al jobs act di Macron

Francia, centinaia di migliaia in piazza contro le “riforme” di Macron che smontano i diritti dei lavoratori. Domani, 23, in piazza Melenchon.

di Ercole Olmi
Secondo round tra il presidente Macron (16% al primo turno delle presidenziali) e i sindacati, che dopo la prima giornata di scioperi indetta lo scorso 12 settembre oggi sono tornati nelle strade delle principali città francesi per manifestare contro la riforma del lavoro prevista dal governo. Un’iniziativa promossa dal sindacato della Cgt, con Sud-Solidaire, Fsu e una minoranza di FO, che come già successo in precedenza non ha ricevuto l’appoggio di altre sigle come quella di Force Ouvrière e della Cfdt. Organizzata alla vigilia della presentazione dei decreti attuativi al Consiglio dei ministri, la giornata ha visto una mobilitazione minore rispetto alla volta scorsa ma si iscrive dentro un periodo di mobilitazione molto importante. E si continua con lo sciopero dei servizi pubblici il 10 ottobre preceduto, il 23 settembre, dalla manifestazione promossa da France Insoumise, il partito di Melenchon. “Lo showdown con il governo ha avuto inizio, anche se oggi la mobilitazione non è unificata”, scrive l’organo dell’Npa, il Noveau parti anticapitaliste. Il pacchetto preparato da Macron, per implementare la loi travail, il jobs act alla francese, prevede la rottura del contratto nazionale di lavoro e introduce quello aziendale che i padroni possono sciogliere quando gli pare. Le aziende possono comprimere i salari e non pagare i giorni di congedo. Licenziamenti più facili, riduzione dei diritti dei lavoratori, si vuole abolire lo status dei dipendenti pubblici e dei ferrovieri (Macron dice che sarebbero troppo pigri), imporre una selezione maggiore nelle università e cancellare il valore legale del diploma. Un attacco senza precedenti e generalizzato per andare allo scontro, vincere e poi avere mano libera per degradare ulteriormente le condizioni di vita e di lavoro. Macron, al pari dei suoi omologhi europei, vuole un mondo in cui i dipendenti non possono più difendersi collettivamente, la concorrenza capitalistica governa tutte le sfere della società e i migranti sono abbandonati al loro destino.

Anche in Francia ci sono sindacati concertativi ma c’è chi prova a organizzare una piattaforma collettiva radicale: riduzione dell’orario di lavoro, aumento dei salari, interdizione dei licenziamenti indiscriminati, prendere i soldi dove stanno: nelle tasche dei padroni! I profitti del CAC 40 (L’indice azionario  che prende nome dal primo sistema di automazione della Borsa di Parigi, la Cotation Assistée en Continu, Quotazione continuamente assistita, è il principale indice di borsa francese e uno dei più importanti del sistema Euronext) hanno superato  i record dell’anno scorso, continua l’evasione fiscale, tuttavia il governo non ha soldi né per le vittime di Irma (che ha colpito duro nei Territori d’Oltremare) né per le classi popolari della metropoli.

Secondo il ministro dell’Interno ieri hanno partecipato 132mila persone in tutta la Francia, mentre gli organizzatori si sono limitati ad annunciare «diverse centinaia di migliaia» di manifestanti. La scorsa settimana, quando la mobilitazione è stata unitaria, si erano contati tra i 223mila e i 500mila partecipanti. Il segretario nazionale della Cgt, Philippe Martinez, ha evocato una mobilizzazione «equivalente» a quella di dieci giorni fa, sottolineando che «ci sono molti più scioperi nelle industrie». In strada anche Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise, secondo il quale la mobilizzazione «non fa che cominciare». Ma, oggettivamente, la sua chiamata del 23 ha giocato contro lo sciopero di ieri perché dà la possibilità di manifestare senza rinunciare al lavoro. A margine di alcuni cortei come quello di Parigi o Bordeaux si sono registrati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. In visita a Marsiglia nei luoghi dove verranno costruite le strutture per le Olimpiadi del 2024, Macron si è scontrato con una donna disoccupata di 41 anni, che ha rimproverato al presidente di essere «troppo liberale». Per tutta risposta, il capo dell’Eliseo ha ritenuto «necessaria» la riforma in cantiere ricordando l’alto tasso di disoccupazione che colpisce soprattutto i giovani. Gli stessi argomenti indecenti utilizzati da chi ha imposto il jobs act in Italia.

giovedì 21 settembre 2017

VENTI SETTEMBRE,LA FINE DELLO STATO PONTIFICIO


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Se la data del 1861 è quella istituzionale che sancisce l'Unità d'Italia,nel 1870 e precisamente il venti di settembre vi è quella diciamo ufficiale con la fine dello Stato Pontificio e l'introduzione pratica del termine di laicità nell'ordinamento italiano.
Con la breccia di Porta Pia il sanguinario papa Pio IX venne relegato in Vaticano,un antisemita oltre che reazionario che ha massacrato e giustiziato i rivoluzionari e i patrioti del tempo:nell'articolo preso da Left(xx-settembre-e-memoria-storica )una rispolverata di un passaggio veramente importante della storia d'Italia ampiamente dimenticata non solo dagli studenti d'oggi ma anche da parecchia gente un poco più anzianotta.

XX Settembre e memoria storica.

di Raffaele Carcano
Alcuni anni fa, a una celebrazione del 25 Aprile, incontrai un partigiano ultraottantenne che si lamentava del fatto che le commemorazioni fossero divenute ormai ritualistiche, e che lo spirito della Liberazione non fosse più così diffuso all’interno della popolazione, specialmente quella più giovane.

Bene: paragonata alla situazione del 25 Aprile, quella del 20 Settembre è comunque incomparabilmente peggiore. Non solo le celebrazioni sono organizzate da un numero veramente limitato di amministrazioni ma, soprattutto, nella situazione attuale, ci farebbe un enorme piacere sostenere che «lo spirito del Venti Settembre non è più così diffuso all’interno della popolazione». Perché presupporrebbe, quantomeno, un’estesa informazione sulla ricorrenza. Purtroppo, la desolante realtà è che la stragrande maggioranza della popolazione non sa nemmeno cosa accadde il 20 settembre del 1870.

E questa “lacuna” (eufemismo), si badi bene, coinvolge anche la popolazione più colta. Per fare giusto un esempio: giorni fa, un attivista laico aduso a consegnare di persona le proprie lettere al quotidiano cittadino ha dovuto amaramente constatare che, all’interno della redazione, quasi nessuno sapesse cosa è successo 147 anni fa.

Questa lacuna, aspetto altrettanto grave, ha pesanti ripercussioni sulla realtà attuale.

Non si sa, ad esempio, che c’era un papa, Pio IX, che governava uno Stato da vero e proprio monarca: lacuna grave soprattutto oggi, quando le gerarchie ecclesiastiche danno ai nostri politici consigli interessati in materia di governo.

Non si sa nemmeno che quello Stato era uno dei più inefficienti e illiberali d’Europa: lacuna grave soprattutto oggi, quando le gerarchie ecclesiastiche danno consigli ai nostri politici in materia di economia e diritti umani.

E non si sa che quel papa era risolutamente contrario all’Unità d’Italia: lacuna grave soprattutto oggi, quando la Conferenza Episcopale Italiana rivendica le radici cristiane del Paese.

Non si sa neppure che quel papa negava i diritti civili a tutti i cittadini non cattolici (ebrei, protestanti e non credenti): lacuna grave soprattutto oggi, quando il cardinal Ruini definisce «una splendida lezione» un discorso che ha rischiato di creare uno scontro di civiltà con l’islam.

Infine, non si sa che quel papa si espresse contro la democrazia, la libertà di espressione e la libertà religiosa: lacuna grave soprattutto oggi, quando la Chiesa cattolica rivendica spazi sempre più ampi di intervento, dai mezzi di informazione alle grandi questioni bioetiche, con ciò scivolando pericolosamente verso una configurazione in senso “etico” dello Stato.

È triste constatare come si sia caduti in basso. Ma la disinformazione, del resto, coinvolge anche la conoscenza della storia stessa della laicità. Pochi sanno che il concetto occidentale di laicità è nato in Italia, con Dante e Marsilio. E quasi nessuno, nello stesso mondo laico, è al corrente che anche il concetto di libertà religiosa ha un’origine italiana: ma i nomi di Lelio e Fausto Sozzini non sono inseriti nei libri di testo scolastici, non sono citati nei tanti incontri interculturali, non sono nemmeno ricordati dalla toponomastica dei municipi (forse perché dedicare strade agli eretici è ancora oggi alquanto problematico).

Tutto questo per dire che c’è un gigantesco problema di memoria storica. Vi è certamente, in tutto questo, una gravissima responsabilità della classe politica: che, da sola, non sarebbe però bastata a creare un baratro così profondo. Probabilmente le gerarchie ecclesiastiche hanno operato efficacemente. Forse si è sopravvalutata troppo la (presunta?) laicità del popolo italiano. Ma quel che è sicuro è che, per invertire la tendenza, non possiamo limitarci solo a pur doverose rivendicazioni e celebrazioni: dobbiamo anche operare concretamente, giorno per giorno, per la concreta applicazione del supremo principio costituzionale della laicità dello Stato.

Raffaele Carcano, Uaar.it

mercoledì 20 settembre 2017

COLPO DI STATO NELLA GENERALITAT CATALANA


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Un vero e proprio di Stato quello che il governo madridista sta compiendo in queste ore a Barcellona nelle sedi governative e nei vari ministeri della Generalitat catalana per impedire stavolta con la forza le votazioni del primo ottobre sull'indipendenza della regione.
Come già detto le intimazioni di Madrid e di Rajoy non si limitavano solamente a minacce e prontamente si sono rilevate promesse e atti concreti(madn la-catalunya-alla-svolta-nonostante-la spagna )mentre le motivazioni sull'illegittimità del referendum vacillano sempre più(popoff catalogna-il-referendum-e-legittimo-ecco-perche ).
L'articolo di Contropiano(catalogna-repressione-generalitat )cui seguiranno aggiornamenti,spiega i soprusi da Stato di polizia mentre il resto dell'Europa tace su questo grave atto di terrorismo politico,che sta mettendo in difficoltà seria i rapporti tra la Spagna e la Catalunya che già negli ultimi tempi non sono stati idilliaci.

Catalogna: scatta la repressione di Madrid. Raffica di arresti, in manette i dirigenti della Generalitat.

di  Marco Santopadre  
Lo Stato spagnolo è passato alla fase repressiva contro gli organizzatori del referendum indipendentista, compresi membri e funzionari della Generalitat, il governo della Catalogna. E’ un esito al quale molti esponenti politici e commentatori pensavano non si sarebbe arrivati, ma gli interessi in gioco sono consistenti e di fronte alla determinazione del fronte indipendentista catalano i poteri forti di un paese che non ha mai fatto i conti con il proprio passato fascista hanno deciso di passare all’azione. La parola d’ordine è impedire la consultazione con la forza.

 Stamattina centinaia di agenti della Guardia Civil, hanno fatto irruzione negli uffici di molti dipartimenti della Generalitat e in quelle di due imprese private sequestrando materiale considerato illegale in quanto collegato al referendum del 1 ottobre. La ‘Benemerita’ ha operato finora 12 arresti, per la maggior parte di funzionari e dirigenti dell’amministrazione regionale catalana, tra i quali ci sono anche due stretti collaboratori del numero due della Generalitat, Oriol Junqueras, esponente di Esquerra Republicana. Si tratta di Josep Maria Jové e di Lluís Salvadó, entrambi responsabili del Dipartimento Economia e Finanze, accusato dalla magistratura e dal governo spagnolo di stornare illegalmente fondi pubblici per coprire le spese di organizzazione della consultazione popolare che dovrebbe sancire la fondazione di una Repubblica Catalana indipendente. Le perquisizioni e gli arresti sono avvenute all’interno delle sedi del dipartimenti Economia e Finanze, Esteri, Lavoro e Affari Sociali, e all’interno di enti dipendenti dalla nuova Agenzia Tributaria della Catalogna, organismo creato dal governo catalano nei mesi scorsi proprio in previsione di un processo di disconnessione e disobbedienza nei confronti delle istituzioni centrali spagnole. Tra gli arrestati figurano anche alcuni dei responsabili del governo catalano per il voto elettronico e per le telecomunicazioni. Da mesi il giudice Juan Antonio Ramírez Suñer guida una speciale tasque force che in segreto stava preparando un’operazione repressiva su vasta scala volta a impedire l’organizzazione del referendum dichiarato illegale dal Tribunale Costituzionale all’inizio di settembre.

 L’accentramento nelle mani del giudice Ramírez Suñer, realizzato con consistente anticipo rispetto agli eventi ed evidentemente su input del governo di Madrid, ha generato le proteste dei magistrati del Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna, di grado superiore e formalmente incaricati di ‘seguire il caso’. Di fatto Ramírez Suñer ha scavalcato la giudice del TSJC, Mercedes Armas, che alcuni giorni fa aveva respinto le richieste del procuratore che chiedeva di poter ordinare alla polizia una raffica di perquisizioni e di arresti a carico dei responsabili dei diversi dipartimenti del governo catalano.
 Già prima dell’estate, il magistrato aveva ordinato alla Guardia Civil di interrogare vari dirigenti della Generalitat oltre al leader del “Coordinamento per un referendum pattuito con lo Stato”, il socialista catalano Joan Ignasi Elena.

 Sempre stamattina, la Guardia Civil ha effettuato un altro blitz, stavolta a bordo di una nave privata, arrestando altre due persone e sequestrando schede elettorali e materiale informativo sulla consultazione del 1 ottobre. Nei giorni scorsi la polizia di Madrid aveva sequestrato circa un milione e mezzo di cartelli, manifesti e volantini in varie parti della Catalogna.

 Il presidente del Partito Popolare in Catalogna, Xavier García Albiol, si è immediatamente congratulato con le forze di sicurezza. Su twitter l’esponente della destra nazionalista spagnola ha scritto, dicendosi orgoglioso dello ‘stato di diritto’ e del premier Mariano Rajoy: “Qualcuno credeva che separare la Catalogna dal resto della Spagna non avrebbe comportato conseguenze”. Incredibilmente, il Ministro degli Esteri spagnolo, Alfonso Dastis, ha accusato gli indipendentisti catalani di utilizzare ‘metodi nazisti’ per imporre il referendum.

A pochi minuti dall’inizio delle perquisizioni centinaia e poi migliaia di manifestanti, convocati dal tam tam telefonico e dei social, hanno iniziato a protestare nel centro di Barcellona davanti alle sedi del governo catalano occupate dagli agenti della Guardia Civil. I manifestanti gridano slogan – “Voteremo”, “Non abbiamo paura”, “No pasaran”, “No al colpo di stato”, “Dov’è l’Europa?”, “Sciopero generale!” – cantano ‘El Segadors’ (l’inno catalano) ed espongono garofani rossi e gialli (come la senyera, la bandiera catalana). Alle proteste organizzate dalle associazioni culturali Omnium Cultural e Associazione Nazionale Catalana, oltre ai militanti dei partiti indipendentisti – PDeCat, ERC e Cup – stanno partecipando anche i lavoratori del sindacato Comisiones Obreras, la cui sede si trova a pochi passi da uno dei ministeri presi di mira dalla Polizia. I manifestanti hanno anche bloccato il traffico nelle centrali Via Laietana e Gran Via, esponendo cartelli e striscioni per l’indipendenza.

A Catalunya Radio, il vicepresidente del Govern e Conseller dell’Economia, Oriol Junqueras, ha definito l’accaduto una “dimostrazione dello stato di polizia”. “Entrano all’interno della sede del Govern come se fosse un’azienda qualsiasi” ha denunciato l’esponente della Sinistra Repubblicana.

Dopo le perquisizioni e gli arresti, il presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, ha convocato una riunione straordinaria del Govern in corso da mezzogiorno. Il suo portavoce Jordi Turull sui social ha chiesto agli indipendentisti di mantenere la calma e ha ribadito che il processo di disconnessione dallo Stato Spagnolo andrà avanti comunque: “Molta calma e serenità di fronte allo stato d’emergenza e di polizia. Il nostro impegno continua e con più ragioni ogni ora che passa”.

La deputata e dirigente della CUP – sinistra radicale indipendentista – Anna Gabriel ha chiesto al governo di garantire comunque la consultazione popolare prevista il 1 ottobre nonostante il ‘colpo di stato’ in corso. “Non ci può essere nessun passo indietro. E’ impensabile che il 1 ottobre non si voti, in caso contrario vorrà dire che il colpo di Stato ha vinto”.

La sindaca di Barcellona Ada Colau ha definito ‘uno scandalo democratico’ gli arresti per motivi politici avvenuti questa mattina, mentre i parlamentari di En Comùn, Erc e PDeCat abbandonavano la seduta del Parlamento di Madrid in corso.

L’esponente catalano di Podemos, Xavier Domènech, ha affermato che tutte le linee rosse sono ormai state superate passate. Dura la condanna del leader di Unidos Podemos, Pablo Iglesias, secondo il quale è intollerabile “che in Spagna ci siano prigionieri politici mentre un governo corrotto occupa le istituzioni”. Il segretario generale di Podemos ha insistito di nuovo sulla necessità di un accordo tra Catalogna e Stato Spagnolo che permetta un referendum convocato di comune accordo, una eventualità allo stato impossibile a maggior ragione dopo gli arresti di stamattina.

TRUMP IL BULLO


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Discorsi alle Nazione Unite come quello di Trump ieri si sono sentiti pochissime volte,il solito mix tra arroganza e retorica,dichiarazioni di guerra non solo a Stati ma anche ad ideologie e religioni,un campionario-bestiario degno dei suoi proclami quando bazzicava nel mondo del wrestling.
Ed ha mantenuto gli stessi toni da sbruffone,pensando di essere ancora nel finto mondo della lotta non rendendosi conto di parlare,di starnazzare al mondo intero in un luogo dove sono avvenuti interventi tra i più alti nel campo della società e della politica.
Nell'articolo preso da Contropiano(discorso-trump-allonu-lepitaffio-dellimpero )un riassunto del discorso contro un po tutti,da Iron Sheik  Nikolai Volkoff,passando a leccate ai partners mediorientali,fatwe ai nemici della stessa zona,enormi investimenti in denaro per le guerre con le successive promesse per le multinazionali pronte ad approfittarsene con appalti miliardari.

Il discorso di Trump all’Onu: l’epitaffio dell’Impero.

di  Federico Pieraccini
Trump, nel suo discorso alle Nazioni Unite, ha attaccato nell’ordine Kim Jong-Un, Maduro, Obama, Castro, la rivoluzione islamica Iraniana, Hezbollah, le Nazioni Unite, Assad, il socialismo Sovietico, il comunismo Cubano e indirettamente pure Chavez e la Federazione Russa (in merito alla vicenda Ucraina).

Per il resto, solito doppio messaggio. Uno indirizzato alla popolazione americana, sullo stile della campagna elettorale che l’ha portato alla presidenza. L’altro indirizzato al resto del mondo, chiaramente incentrato sul ruolo degli Stati Uniti quale nazione unica ed indispensabile (American exceptionalism) tinto però di una sorta di realismo politico (a suo dire).

Quel che conta è la frattura nel campo imperialista nordatlantico. Trump è disprezzato dai neoliberal alla Clinton e detestato dai neocon alla McCain (anche se fa di tutto, specie con la retorica più che azioni, per entrare nelle loro grazie), osteggiato persino dalla maggior parte dei partner Europei. Senza contare l’incapacità di fondo dell’amministrazione di conciliare le diverse posizioni di Trump in politica estera, generando terremoti (geo)politici devastanti come visto con Qatar e Arabia Saudita o tra Washington ed Ankara.

Trump non pare voler lasciare in eredità al paese l’ennesima guerra (con conseguente sconfitta), tradendo ulteriormente il mandato elettorale. Si è però volutamente circondato di generali assetati di guerre, soldi e appalti per i giganti del complesso militare industriale, sperando di salvarsi la presidenza. Non a caso ha deciso di aumentare il budget della difesa, ma non perde occasione per ribadire che gli Stati Uniti non vogliono usare la forza.

Ancora una volta, conta la realtà dei fatti e non le parole dietro cui Trump e l’establishment americano spesso si nascondono: in Siria hanno perso, così come in Iraq ed Afghanistan; tutto mentre Pyongyang sviluppava il suo deterrente nucleare e perfezionava quello convenzionale, rendendo le minacce nordamericane vuota retorica.

Il discorso di Trump provoca indifferenza ed ilarità ai nemici nordamericani, sfiducia nelle nazioni ancora orbitanti nella bolla unipolare di Washington e grande soddisfazione per regimi come Israele e Arabia Saudita che si accontentano ormai persino della scadente retorica di una delle persone meno stimate sulla scena internazionale.

Trump, ogni volta che parla, ci ricorda indirettamente quanto la transizione ad un ordine mondiale multipolare sia fortunatamente irreversibile ed in pieno svolgimento.

Questo articolo compare contemporaneamente su Contropiano e L’Antidiplomatico.

martedì 19 settembre 2017

BERSANI E PISAPIA?NO GRAZIE


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La lunghissima volata per le prossime elezioni sta partorendo un mostro a sinistra del Pd che sa di vecchio e di comunque spalla allo stesso partito di Renzi nonostante i giurin giuretto di Bersani e Pisapia che lo hanno sostenuto fino all'altro ieri.
Nei due brevi articoli di Giorgio Cremaschi(contropiano sinistra-del-pd-incoronano-pisapia-sempre-piu-inutili e popoff elezioni-e-se-ci-fosse-unalternativa-anche-a-pisapia-e-bersani )si fa il punto su di una coalizione che forse verrà votata ad essere larghi di manica dal 5% del 50% degli italiani visto le previsioni verticali dell'affluenza di voto.
Come già detto secondo me Minniti sarà il nuovo fantoccio a capo del prossimo governo,uno che sta bene sia alla destra che al Pd e che tuttavia non dovrebbe dispiacere nemmeno ad un Salvini che vuole un uomo dal pugno di ferro e ai grillini alla ricerca di un fedele servitore dello Stato.

A sinistra del Pd incoronano Pisapia. Sempre più inutili…

di  Giorgio Cremaschi  
Dunque il leader acclamato dal partito dei fuoriusciti dal PD sarà Giuliano Pisapia, che al referendum costituzionale stava con Renzi e che come massima ambizione ha quella di ricostituire il centrosinistra.

Nelle aziende questa si chiama esternalizzazione di un reparto, in politica trasformismo. La lista unica della sinistra, a cui aspirano il Manifesto, Montanari e Falcone, Sinistra Italiana e tutti i rassegnati dell’ex antagonismo, mostra così precocemente la sua assoluta inutilità.

Se dovesse avere successo, ma difficilmente l’avrà, si batterà duramente perché Gentiloni ed il PD scarichino Renzi e la sua sempre più fastidiosa corte e tornino al mondo di Prodi. Sai che entusiasmo..

Anche questo è un segno che la sinistra politica in Italia, come in gran parte dell’Europa, è finita in un vicolo cieco della storia nel quale è destinata a concludere stancamente e tristemente il suo percorso.

Una sinistra vera, di lotta, anticapitalista e antagonista al potere, di cui c’è infinito bisogno, rinascerà prima o poi, ma sicuramente altrove. Intanto allontaniamoci il più possibile dalla sinistra inutile.

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Elezioni, e se ci fosse un’alternativa anche a Pisapia e Bersani?

Cremaschi sulle prossime elezioni: «Dobbiamo rassegnarci a questo triste scenario dove si rappresenterà uno scontro tra diverse versioni della stessa politica?

di Giorgio Cremaschi
La dico in sintesi: le prossime elezioni si preparano con uno spareggio nel centro sinistra tra Gentiloni, Renzi e Minniti, nel centrodestra tra Berlusconi Salvini e Tajani, i vincitori sfideranno Di Maio. Fuori starà Pisapia, che con tutti i fuorisciti dal PD e dalla sinistra radicale spera di rifare il centrosinistra di Prodi. Questa contesa entusiasmante si svolgerà al massimo tra il 50% dell’elettorato, perché oramai il popolo che una volta più votava in Europa, ora diserta le urne.
 Ci dobbiamo rassegnare a questo triste scenario? Dove si rappresenterà uno scontro violentissimo tra diverse versioni della stessa politica, o tra alternative sempre più inconsistenti.
 Io vorrei non rassegnarmi, vorrei partecipare alla costruzione di una alternativa vera, che non avesse paura di dire no alla guerra e all’austerità e ai poteri e agli strumenti, NATO UE Euro, che ce le impongono. Un’alternativa fondata sulla dignità e i diritti del lavoro, sul pubblico e sulle nazionalizzazioni. Un’alternativa che quando usasse la parola “prima” lo facesse solo per i poveri e gli sfruttati, senza distinzioni di sesso o razza. Un’alternativa che avesse il coraggio di rifiutare e mettere in discussione tutte le bugie e le leggi di trent’anni di dominio del pensiero unico liberista. Un’alternativa che non avesse alcun bisogno di chiedere approvazione a Cernobbio, ai meeting di CL, alla Confindustria, al tavolo dei banchieri qui e a Bruxelles. Non ne avrebbe bisogno, perché lor signori la capirebbero benissimo.
 Ecco vorrei un’alternativa che fosse tale, che pensasse al presente e finalmente anche al futuro e che non avesse alcuna paura di andare controcorrente. È il sogno isolato di un acchiappanuvole il mio?

CONSIP E ARMA:UN CESTO PIENO DI MELE MARCE


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Spesso si parla a sproposito di certe categorie come di eroi rasentando il divino,ma nella stragrande maggioranza dei casi si parla di persone che come tutte commettono errori e cose buone,svolgono il loro compito professionale con rispetto dei diritti e dei doveri o meno:fatto è che poi chi sbaglia subisce punizioni e condanne differenti in base alla divisa o al posto che ha.
L'articolo di Contropiano(la-caduta-del-dio-carabiniere )si parla dell'arma dei carabinieri che tra alti e bassi è sempre comunque lodata spesso a sproposito,messa sull'altare e difesa sempre e comunque,e come si dice bene più avanti la cantilena della mela marcia che non può inficiare il lavoro collettivo di molte persone ha stufato e non regge più.
Di seguito alcuni esempi più o meno recenti delle malefatte dell'arma e una sottolineatura importante nel caso Consip con i vertici dei carabinieri invischiati e presi con entrambe le mani nel barattolo della marmellata,perché come in politica il comando è cosa da scaltri,molte delle volte con atti che sfociano ampiamente nell'illegalità(vedi:madn ce-molto-di-piu-dietro-agli-appalti.consip ).

La caduta del dio carabiniere.

di  Dante Barontini
L’Italia è un paese disperato dove “le istituzioni” credibili si riducono a ben poco. Di questo poco, fin qui, e in modo ampiamente immeritato, “la benemerita” ha rappresentato la parte più ampia, strombazzata, incensata, protetta.

In poche settimane i carabinieri sono diventati “come tutti gli altri”. Non solo nella percezione popolare – che da sempre li conosce come nemici e guardiani degli interessi dei potenti – ma persino in quella della “classe dirigente”, del sistema mediatico-padronale, di ministri ed ex premier.

Fin qui quasi tutte le malefatte dei membri dell’Arma – di qualunque grado e funzione – erano state coperte e silenziate, con un gesto di fastidio e l’evocazione implicita o esplicita dell’antico mantra sulle “poche mele marce che non devono offuscare il grande lavoro di centomila uomini in divisa”.

L’immagine mediatica della benemerita aveva superato senza troppi scossoni prove che avrebbero dovuto o potuto essere letali. Citiamo a memoria solo alcuni casi clamorosi:

a) il colonnello Michele Riccio – uomo di punta del generale Dalla Chiesa, capo del commando autore dell’eccidio di via Fracchia, a Genova – che aveva trasformato la caserma sotto il suo comando in una raffineria di droga, da cui coordinava sia “indagini” che la gestione del mercato;

b) tutti i componenti della stazione di Aulla, in Lunigiana, diventati “i padroni del paese”, pestando, perseguitando, minacciando i cittadini con metodi a dir poco criminali;

c) i quattro carabinieri arrestati a Roma con l’accusa di aver ricattato l’ex presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, pretendendo da lui somme di denaro per non divulgare un filmato da loro stessi girato con telecamere nascoste in una camera da letto.

Potremmo andare avanti a lungo, con le decine di persone uccise in strada o in caserma (per Stefano Cucchi ci sono voluti anni, prima di arrivare a istruire un processo contro quelli che l’hanno pestato a morte). Ma basta guardare come sono stati trattati dai media i due militi (presunti?) stupratori di due ragazze americane a Firenze – non ancora arrestati, non cacciati dall’Arma – con infiniti articoli che minimizzavano o, obliquamente, suggerivano che fossero caduti in una “trappola” tesa da due “astute” studentesse ventenni clinicamente in stato di semi-incoscienza.

Un sistema blindato, insomma, a protezione della “credibilità” di un corpo militare spesso al centro – nel dopoguerra – di ricorrenti ipotesi di golpe (ultimo, in ordine di tempo e di serietà, quello del generale Pappalardo).

Inattaccabile anche a dispetto dell’evidenza e del pericolo che rappresenta.

Almeno fin quando qualcuno di loro non ha cominciato a intercettare – indagando sul “caso Consip” – il padre dell’ex presidente del consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi.

Sia chiaro: non sappiamo nulla di più di quel che pubblicano in materia i media mainstream e, conoscendoli, ci guardiamo bene dal prenderli per oro colato. Ma non possiamo non sottolineare alcune cose che prescindono largamente dal merito dell’indagine e contro-indagine su quelle intercettazioni.

In primo luogo. Una autentica icona del “dio carabiniere” – il cosiddetto “capitano Ultimo”, al secolo il colonnello del Noe Sergio De Caprio, cui è andato l’onore di aver arrestato nientepopodimeno che Totò Riina – su cui erano stati costruiti serial televisivi, romanzi popolareschi, quadretti elogiativi di tutta l’Arma, ecc, viene ora descritto come un matto che si è montato la testa. Viene infatti trattato così sui giornali di oggi:

a) «Quei due sono veramente dei matti. Abbiamo fatto bene a liberarcene subito». «Le loro intercettazioni? Fatte coi piedi». Le informative? «Roba da marziani». Parola del procuratore di Modena Lucia Musti che il 17 luglio, davanti alla prima commissione del Csm (Repubblica)

b) “Resta la necessità di liberare le istituzioni da pezzi di apparati che, come troppe volte nella storia d’Italia, agiscono in modo deviato e eversivo” (Mario Calabresi, Repubblica).

c) ”Ho letto le dichiarazioni del colonnello De Caprio, che sono da attribuire a lui personalmente, non certo all’Arma dei Carabinieri. Ma credo che dovranno essere valutate dal comando generale per capirne l’opportunità” (la ministra della Difesa, Roberta Pinotti)

d) “Dietro l’inchiesta Consip complotto contro le istituzioni” (Il Giornale). E via così…

“Ultimo”, dal canto suo, dimostra in prima persona di non rientrare nello stereotipo dell’”usi a obbedir tacendo”, facendosi intervistare più che volentieri per fare il populista di complemento: «Stiano sereni tutti, perché mai abbiamo voluto contrastare Matteo Renzi o altri politici, mai abbiamo voluto alcun potere. L’unico golpe che vediamo è quello perpetrato contro i cittadini della Repubblica, quelli che non hanno una casa e non hanno un lavoro».

Ci mancherebbe pure mettersi a fare il tifo pro o contro…

L’unica cosa che si può dire è che la caduta del dio carabiniere rivela l’inconsistenza della struttura istituzionale italica e della relativa “cultura” espressa dagli uomini e donne che “servono lo Stato” in funzioni delicate. Sia a livello di responsabilità politico-amministrativa, sia nei corpi militari e polizieschi.

Di fatto, ne viene fuori uno “Stato” lottizzato da gruppi e consorterie che lavorano per affermare interessi particolari, spesso minimi e di nessuna rilevanza “nazionale”; tantomeno “collettivi”. Uno Stato che non è vissuto come proprio neppure dalla classe dominante, ma come un semplice meccanismo attraverso cui esercitare un certo grado di potere (in diminuzione con la “cessione di sovranità” alla Ue), una res nullius di cui ogni gruppo abbastanza furbo può disporre temporaneamente a proprio piacimento e in cui ogni frammento istituzionale che non si controlla in prima persona – di conseguenza – è sospettato di agire per conto dei concorrenti. Ed è persino vero.

Uno Stato insomma che dimostra come la “classe dominante” non sia neppure un blocco unitario stretto intorno a interessi “di classe” (in qualche modo limitativi degli interessi particolari all’interno di quella classe), pur facendo rapidamente quadrato arcigno e violento contro “il mondo di sotto”, quando si mobilita.

Da questa vicenda vien fuori un puzzo nauseante di bande e consorterie, massonerie e “uomini di mano”, che travolge anche la magistratura. Che mostra di essere “politicizzata” in un senso molto diverso da quello comunemente in uso (le “toghe rosse” che andrebbero a caccia di politici a loro invisi). Come se tutti – nell’èlite di “quelli che contano” – sapessero perfettamente che ogni banda ha i sui magistrati “a disposizione”, così come un ufficiale dei carabinieri “a disposizione” o un segretario comunale (o altro funzionario utile).

E se lo Stato italico è – come è ovvio che sia – lo specchio della classe dominante, si capisce meglio perché, per esempio nella vicina Francia, possano emergere dei figli di p… imperiali come Emmanuel Macron (pollo in batteria allevato dal capitale fin dalle scuole medie), mentre qui svolazzano alla meno peggio tronfi tacchini di pessimo carattere, ma senza alcuna idea più alta del riempirsi – individualmente o per gruppi familistici – la panza.