mercoledì 30 dicembre 2020

ADDIO RENZI,NON CIAO

Il giullare fiorentino tiene per le palle il governo Conte a furia di battutine e di veri e propri attacchi verso la maggioranza della quale fa parte e che pur se con numeri molto risicati ha pure un gruzzoletto tra ministri,sottosegretari e altri faccendieri della politica ma quella maligna e torbida.
Proprio lui che disse"non possiamo dare potere di ricatto ai partitini"è finito in quel lato dello zero e virgola di cui bisogna comunque tenere conto ed avere rispetto,ora è il principale attore dell'ennesima presa per il culo che sta andando in scena a Roma.
L'articolo proposto(il fatto quotidiano recovery-lironia-sui-social-per-il-piano-ciao-di-renzi )è stato messo per via degli sfottò che circolano in rete sul nuovo piano studiato da Renzi col suo Ciao,acronimo di cultura,infrastrutture,ambiente e opportunità,che tra l'altro fin dai tempi della sua militanza nel Pd ha contribuito ad abbattere a parte il pieno sostegno alla seconda voce(vedi Tav e grandi e inutili opere)che per l'appunto annientano la terza.
L'ennesima riprova di un opportunista per se stesso,il parentado e gli amichetti che doveva uscire di scena dopo la scoppola del referendum e che continua a girovagare per le stanze del potere dei palazzi romani con la stessa faccia di merda che da sempre è stato uno de suoi marchi di fabbrica,vedi anche sul losco figuro:madn in-parlamento-e-un-tutti-contro-tutti ).

Recovery, l’ironia sui social per il piano ‘Ciao’ di Renzi: “E l’acronimo di Piano Investimenti Ricostruzione Lavoro Automazione?” 

Tra i primi a lasciarsi andare a una battuta c'è Alessandro Robecchi: "Naturalmente Cultura-Infrastrutture-Ambiente-Opportunità sono 4 parole a caso per fare l’acronimo 'Ciao'. Tipo Piano-Investimenti-Ricostruzione-Lavoro-Automazione. Che come acronimo, tra l’altro, è più credibile, nel caso specifico". E c'è poi chi ricorda la mascotte di Italia 90 "che non portò così bene" o il mitico motorino Piaggio

Cultura-Infrastrutture-Ambiente-Opportunità che formano l’acronimo ‘Ciao‘. Con questo nome il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, ha presentato il suo Recovery Plan alternativo con il quale vorrebbe sostituire quello del governo Conte, definito “senz’anima”. Ma la trovata comunicativa non è passata inosservata e ha provocato diversi commenti ironici sul web. Da chi gioca con gli acronimi a chi, invece, ricorda al senatore di Rignano sull’Arno che Ciao, che era anche il simbolo dei Mondiali di Italia 90, non portò molto bene alla nostra Nazionale.

Recovery Plan, il progetto alternativo di Renzi? Si chiama Ciao: “La parola più famosa. Sta per cultura, infrastrutture, ambiente e opportunità”

Dopo i commenti e le prese in giro comparsi sotto la diretta Facebook di Renzi, tra i primi a lasciarsi andare a una battuta c’è Alessandro Robecchi: “Naturalmente Cultura-Infrastrutture-Ambiente-Opportunità sono 4 parole a caso per fare l’acronimo ‘Ciao’. Tipo Piano-Investimenti-Ricostruzione-Lavoro-Automazione. Che come acronimo, tra l’altro, è più credibile, nel caso specifico”, è il commento del giornalista su Twitter che poi elimina ogni dubbio inserendo l’hashtag ‘Pirla’.

C’è chi invece ipotizza una risposta del presidente del Consiglio sempre a colpi di acronimo: “Credo che Conte risponderà col progetto Sanità-Università-Cultura -Ambiente”, scrive un altro utente.

Ma la parola ‘Ciao’, “quella italiana più conosciuta nel mondo”, come ha specificato l’ex premier, riporta alla mente del Paese anche altri episodi della storia recente. C’è chi infatti ricorda al senatore che la mascotte dei Mondiali del 1990, quelli delle Notti Magiche, si chiamava proprio Ciao. Ma non è certo stata un gran portafortuna per gli Azzurri che, in quell’edizione, da padroni di casa, chiusero al terzo posto. E c’è chi invece torna ancora più indietro nel tempo: “Che poi a me Ciao più che 2030 fa venire in mente il 1987“, scrive un altro utente postando la foto del mitico motorino Piaggio.

E infine c’è chi si permette di dare un consiglio a Renzi sulle strategie comunicative da adottare in futuro: “Io avrei scelto Ferrovie, Infrastrutture, Gastronomia, Ambiente. Molto popolare“.

martedì 29 dicembre 2020

LO SHOW DELL'ARRIVO DEL VACCINO

Il resoconto chilometro per chilometro in una sorte di spettacolare Via Crucis del primo camioncino che ha trasportato le prime dosi del vaccino Pfizer per l'altrettanta mediatica giornata del vaccino,una sorta di evento in diretta in eurovisione che ha voluto accomunare gli Stati membri,ha distolto lo sguardo dalle cifre impietose che stanno contraddistinguendo i casi dei contagiati e delle vittime in Italia,visto che abbiamo superato i 70mila morti accertati dall'inizio della pandemia.
E' il sunto dell'articolo di Contropiano(il-reality-del-vaccino-per-non-parlare-dei-70mila-morti )che giustamente parla di reality show tutto l'interessamento mediatico che se da un lato offre un contributo decisivo a limitare drasticamente i decessi dovuti al coronavirus dall'altro è stata un'ostentazione e un ulteriore impoverimento del giornalismo italiano che non gode di buona salute ormai da troppo tempo.
Oltre a questo c'è dietro l'incapacità gestionale sia regionale che statale di questa pandemia(ho molte perplessità anche sulla distribuzione del vaccino)e i tanti dubbi sulla distribuzione della cura contro il Covid-19 che da buon virus non se ne sta con le mani in mano e cerca di mutare per rendersi più contagioso,ma anche altri modelli di restrizione che hanno relegato il virus in pochi mesi con risultati eccellenti in nazioni che definiamo da terzo mondo.

Il reality del vaccino per non parlare dei 70mila morti.

di  Alessandro Avvisato   

Lo show del vaccino ha preso la mano ai maghi (piuttosto scarsi) della comunicazione installati al governo. Un giorno ci diranno di chi è stata l’idea di far resocontare passo passo il viaggio di un furgone tipo gelataio dal Belgio fino a Roma.

Sembrava la processione del santo patrono, con i cronisti emozionati che dicevano “sta passando la frontiera”, “sta percorrendo l‘autostrada del Sole”, ecc. Per fortuna si sono astenuti dal dare in diretta le fermate all’autogrill per rifare il pieno e per le necessità fisiologiche dell’autista…

Tutto questo per appena 9.750 dosi del prodotto Pfizer, di cui la Germania aveva “trattenuto” nello stesso giorno 150.000 fialette. Spiegando nella pratica quale sia lo “spirito europeo” che pervade le istituzioni di Bruxelles e i rapporti (di forza) tra i vari Stati.

Comprensibile che questo primo, limitato, lotto servisse soprattutto a scopo simbolico, per segnalare l’avvio della fase operativa che sperabilmente ci dovrebbe portare fuori – ne giro di otto-nove mesi – dalla fase peggiore.

Ma a nessuno può sfuggire l’assurdo di far viaggiare quel piccolo carico su un furgone per 1.500 chilometri per poi redistribuirlo tra le varie regioni italiani con aerei.

Lo spettacolo, è evidente, serve al governo per sotterrare almeno temporaneamente le enormi responsabilità di tutta la classe dirigente italiana (e occidentale, bisogna dire) nella gestione stragista delle pandemia. Oltre 70.000 morti, finora, di cui nessun vuol prendersi la responsabilità e che logicamente aumenteranno di molto da qui al completamento del programma vaccinale.

Parliamo da sempre di “classe dirigente” e non solo di “classe politica”, perché le responsabilità vanno riconosciute soprattutto a Confindustria – che ha imposto fin dall’inizio che le fabbriche (tutte) continuassero a lavorare – e alle varie associazioni di commercianti, esercenti, discotecari, ecc, che hanno preteso valanghe di eccezioni a ogni tentativo di limitare la diffusione del virus.

A questo “blocco sociale imprenditoriale” governo e Regioni hanno steso il tappeto rosso davanti ai piedi, assecondando ogni desiderio fin quando i posti letto in terapia intensiva non segnalavano l’allarme rosso. Solo allora, più volte, il governo ha riproposto brevi lockdown senza peraltro organizzare mai l’unica misura sanitaria efficace: una campagna di tamponi di massa per individuare e isolare quanti più positivi possibile.

Il risultato – in Italia come in Europa e a maggior ragione negli Usa o in altri “paradisi” del neoliberismo – è sotto gli occhi di tutti: oltre 80 milioni di contagiati, quasi 1,8 milioni di morti, economia a pezzi. 

Scorrendo le classifiche del disastro, non si può non notare come il “civile e democratico Occidente” sia un campione inarrivabile nel disprezzo della vita dei propri cittadini. E come invece Paesi anche molto più poveri abbiano fin qui protetto la popolazione con efficacia. 

Non solo la Cina o Cuba, di cui parliamo spesso. Il Vietnam, per esempio, con i suoi quasi 100 milioni di abitanti, registra 1441 contagiati e appena 35 morti. Tutto dipende insomma da cosa fai quando scopri i primi contagiati: o blocchi tutto intorno ai focolai oppure lasci perdere per “non fermare l’economia”.

Ovvio che dopo un simile disastro, quella del vaccino sia al tempo stesso una soluzione concreta e una formidabile occasione di propaganda spicciola. Tener distinti e presenti questi due aspetti è importante per restare sempre con i pedi attaccati per terra. Perché va certamente denunciata l’operazione “vaccino show”, ma bisogna anche pretendere che la campagna di vaccinazione proceda spedita.

Tenendo presente che uno degli effetti terribilmente negativi del “reality vaccino” può essere quello di “comunicare” a una parte della popolazione, giustamente esasperata dai continui stop & go che distruggono la vita oltre che parecchie attività commerciali, un prematuro senso di “è finita, riprendiamo a vivere come se niente fosse”.

Paradossalmente, inoltre, proprio il fatto che si veda quanto è sfacciata l’operazione propagandistica rischia di essere il miglior incentivo per i (pochi) negazionisti rimasti su piazza. E forse anche loro sono tornati molto utili ad una classe dirigente immonda.

domenica 20 dicembre 2020

LA PATRIMONIALE ERA PROPRIO UNA FAKE NEW

Col ritiro degli emendamenti presentati per quella che doveva essere una patrimoniale che riguardava i super ricchi italiani la faccenda non è arrivata nemmeno in discussione parlamentare visto che lo stesso governo ed i rispettivi relatori hanno dato parere negativo,il tutto su proposte loro.

Hanno vinto ancora i potenti ed i poveri avranno il gravoso compito di dissanguarsi ulteriormente per mettere i conti in ordine aspettando ancora i soldi promessi dall'Europa sui quali si sta litigando ancora e nonostante la Carta Costituzionale(vedi:madn il-disatteso-articolo-53-della costituzione ).

Un ennesimo affronto alla democrazia in uno dei periodi più disastrosi dal dopoguerra dove per l'appunto la forbice tra i redditi si sta aprendo a dismisura favorendo ed arricchendo a dismisura quelli che già controllano saldamente le sorti di un intero paese,articolo di Contropiano(interventi ).

Nemmeno la pandemia basta per fare una patrimoniale anche minima.

di  Sergio Scorza   

Ho appena letto in un take di agenzia che l’emendamento sulla patrimoniale a firma Orfini e Fratoianni è stato ritirato per parere negativo del governo e dei relatori. 

Tutto nelle previsioni. 

Solo un alto tasso di ingenuità e sprovvedutaggine avrebbe potuto indurci a credere che un governo del genere, composto da vili, opportunisti e mezze tacche, avrebbe mai avuto il coraggio politico anche solo di sfiorare i privilegi, le rendite, i lauti profitti e i patrimoni di quella esigua minoranza di ricchi e super ricchi che la pandemia non ha minimamente intaccato. 

Anzi, proprio durante la più grave pandemia del dopoguerra, alcuni tra questi, hanno visto crescere (ed anche tanto) la loro ricchezza. 

Questo è il paese nato dalla Resistenza, certo

Ma di quella genia, quella tempra e quel coraggio, nessun governo, dal dopoguerra ad oggi, ha conservato una qualche traccia tangibile, men che meno quelli dell’ultimo decennio. 

Piuttosto, l’ignavia e la mediocrità imperanti nelle classi dirigenti, ci ricordano assai di più quel re d’Italia Vittorio Emanuele III di Savoia e quell’altro “eroe” del maresciallo d’Italia Badoglio, quando, in mezzo al caos che seguì l’armistizio, abbandonarono precipitosamente la nave, all’alba del 9 settembre 1943.

La pandemia ha già fatto 65.000 morti e finiamo l’anno con il record europeo dei morti di e per Covid19. Purtroppo, per come stanno andando le cose e per le tante, troppe lacune nella gestione di questa seconda emergenza epidemiologica e sanitaria, molti altri ce ne saranno ancora. Non è andato e continuerà a non andare bene niente. 

Incertezze, sbandamenti e cedimenti sono la cifra principale di una classe dirigente a capo di Stato e Regioni, che è apparsa incapace di assumere davvero, una volta per tutte, il controllo di una situazione di gravissima emergenza sanitaria perché priva di una visione autonoma dagli interessi e dai desiderata dei grandi potentati nazionali ed internazionali. 

La rissa sul recovery fund è la dimostrazione plastica del ruolo di semplici terminali degli appetiti delle grandi corporations che svolgono i partiti di governo tanto quanto avrebbero fatto quelli dell’opposizione se fossero stati al loro posto. 

Il resto è solo teatrino della politica-spettacolo. 

Si preparino anche loro al peggio, perché il peggio arriverà. Noi lo siamo già da un pezzo.

sabato 19 dicembre 2020

SAN GENNARO E I LIBRI LETTI

Esiste una stretta correlazione tra due fatti che sono stati raccontati nei notiziari e più in generale sui mass media in questa settimana e che non riguardano direttamente la pandemia,il"miracolo"di San Gennaro che non si è compiuto e la percentuale in leggera crescita degli italiani che hanno letto almeno un libro nel 2020 ancora non finito.

Nei due casi comunque viene alla luce l'ignoranza degli italiani e la loro tendenza ad essere creduloni ed abbindolati da leggende nel caso di Napoli(www.avvenire.it )dove il primo articolo ricorda alcuni casi nefasti in corsi e risorsi storici quando il sangue del santo non si è sciolto nonostante l'intervento supplementare di vescovi e cardinali per aumentare la dose di preghiere come avvenuto in settimana.

Nel secondo contributo(www.ansa.it )i numeri tra i più bassi del mondo così detto civilizzato dove l'analfabetismo funzionale galoppa costantemente(madn ma-davvero-e-tutta-colpa-degli.insegnanti? e madn siamo-primi-nellanalfabetismo-funzionale )ed i leggeri aumenti percentuali rispetto gli anni precedenti non sono di certo forieri di un nuovo rinascimento mentale contando pure il fatto che l'occasione delle varie chiusure dovute al coronavirus avrebbero di certo contribuito ad un numero di lettori anche occasionali maggiore.

Napoli Il sangue non si scioglie, niente prodigio di San Gennaro.

di Rosanna Borzillo

Sin dal mattino come sempre le invocazioni dei fedeli. Il cardinale Sepe: non è un presagio di sciagure, epidemie o guerre, siamo uomini e donne di fede.

Non sono servite le invocazioni, né le preghiere dei fedeli che dalla mattina affollavano la cattedrale di Napoli. Il prodigio non c’è stato, il sangue di san Gennaro non si è sciolto.

La città, infatti, celebra il patrono in tre date: il 19 settembre, 16 dicembre, il primo sabato di maggio. Tre date storico-religiose attorno alle quali ruota la pietà popolare e il cammino spirituale della città. Tre gesti di pietà che si rincorrono e si riallacciano. Tutto parte quel 19 settembre del 305 quando alla solfatara di Pozzuoli viene raccolto il sangue del vescovo martire, dopo la sua decapitazione. Sono proprio quelle ampolle che questa mattina, alle 9, sono state portate dalla cappella all’altare maggiore della Cattedrale per attendere l’auspicato prodigio della liquefazione. Ma nonostante le preghiere delle “parenti” di san Gennaro (un gruppo di anziane che dall’ottocento intonano litanie e preghiere) il prodigio non è avvenuto. 

L’abate della Cappella del Tesoro monsignor Vincenzo de Gregorio, dopo aver aperto la cassaforte che contiene il reliquiario con le ampolle del sangue, ha ricordato il momento di difficoltà: «Il sangue – ha confermato dopo una lunga giornata di preghiera – è rigorosamente solido. Dio dia forza e coraggio al nostro popolo per affrontare questa pandemia che sta costringendo a ripensare la propria vita e che sta causando molti problemi soprattutto ai più deboli e ai morti in solitudine, che sono il dramma più grande».

Alle 18.20 è arrivato anche il cardinale arcivescovo Crescenzio Sepe, di ritorno dalla riunione della Conferenza episcopale campana, e si è inginocchiato in preghiera, dinanzi alle ampolle che custodiscono il sangue del patrono. Poi con la teca ha attraversato la navata centrale per benedire i fedeli. «Ci sentiamo partecipi di questo evento così particolare: la nostra devozione al santo. Ma il mancato prodigio – ha spiegato – non è nessun presagio di sciagure, né epidemie, né guerre: siamo uomini e donne di fede». 

Da sempre i napoletani si sono rivolti al loro patrono perché li protegga dalle calamità naturali: folle di persone nei primi secoli correvano a cercare rifugio nelle catacombe di Capodimonte. Così successe nel 472, nel 512 e nel 685, con i vescovi napoletani dell’epoca a guidare le preghiere del popolo. Poi, divenne consuetudine invocare il santo per chiedere la fine dei fenomeni vulcanici: nel 1631, il 16 dicembre, si decise l’esposizione delle reliquie e l’eruzione del Vesuvio si bloccò. 

Più recentemente, il 15 maggio del 1983, a conclusione del XXX Sinodo diocesano, il prodigio suggellò l’evento. Di recente, il 17 giugno del 2007, durante la visita a Napoli dell’arcivescovo Chrysostomos II, capo della Chiesa ortodossa di Cipro, il prodigioso evento si è ripetuto. Mentre non avvenne durante la visita di Giovanni Paolo II nel ’90; né quella di Benedetto XVI nell’ottobre del 2007, mentre si è sciolto con papa Francesco nel marzo 2015. 

Ora le ampolle verranno riprese nella terza data dedicata al santo: il sabato che precede la prima domenica di maggio. Ieri, molta trepidazione per il prodigio non avvenuto: esiste un diario dei canonici del duomo che riporta le volte che il sangue non si è sciolto. Ci sono episodi che hanno segnato la città e i napoletani, ben prima del Covid-19: l’epidemia di colera a Napoli nel 1973 e il terremoto del 1980. Due sciagure precedute da un prodigio mancato. Poi, guerre, pestilenze, carestie: l939 e 1940, ad esempio, in corrispondenza con l’inizio della seconda guerra mondiale e dell’entrata nel conflitto dell’Italia. E, ancora, nel settembre del 1943: data dell’occupazione nazista. 

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Nuovi lettori con pandemia, sono 61% degli italiani

Dati Cepell-Aie. Levi, 2020 potrebbe chiudere come 2019

Aumentano i lettori nell'anno della pandemia, si aprono nuove sfide per gli editori ed è "una speranza fondata" che l'anno si possa chiudere con dati "non troppo distanti da quelli del 2019", come dice il presidente dell'Associazione Italiana Editori, Ricardo Franco Levi. A ottobre 2020 la percentuale di cittadini (15-74 anni) che ha dichiarato di aver letto un libro (compresi ebook e audiolibri) negli ultimi dodici mesi si attesta al 61%, contro il 58% del 2019 e il 55% del 2018.

Raggiungono un picco del 30% i lettori di ebook e del 12% di audiolibri, aumentano gli acquisti online, anche se la libreria resta centrale.E' quanto rileva l'indagine "La lettura e i consumi culturali nell'anno dell'emergenza", a cura del Centro per il libro e la lettura-Cepell del Mibact e dell'Associazione Italiana Editori-Aie, con la collaborazione di Pepe Research, presentata online.

I lettori di ebook erano il 26% a maggio 2020 e il 25% nel 2019, quelli di audiolibri erano l'11% a maggio e il 10% nel 2019. Su 100 lettori, 40 utilizzano supporti perlopiù digitali: erano 32 nel 2019."I segnali sono positivi. Il mondo dell'editoria e del libro hanno dimostrato di essere più resilienti anche rispetto ad altri settori. Ad aumentare gli effetti di queste azioni hanno poi provveduto gli interventi voluti dal governo e attuati dalla direzione" ha affermato Paola Passarelli, direttore generale Biblioteche e diritto d'autore del Mibact.

Sul versante degli acquisti, 3,4 milioni di italiani, dal primo lockdown, hanno comprato per la prima volta in vita loro un libro online, 2,3 milioni un ebook. Le librerie non perdono però la loro importanza: a ottobre 2020 hanno dichiarato di frequentarle il 67% dei lettori, un dato inferiore al 2019 quando erano il 74%, ma in netto recupero rispetto al 20% di maggio 2020."I dati sulla lettura sono allineati al trend di ripresa delle vendite e sono un incoraggiamento sia per gli editori che per le istituzioni pubbliche, che molto hanno fatto in questi mesi a sostegno del mondo del libro", ha spiegato il presidente di Aie. (ANSA).

martedì 15 dicembre 2020

DUE MESI DI SUPER LAVORO PER I BOIA USA

Nel periodo di transizione tre una presidenza e l'altra negli Stati Uniti,appena poco più di due mesi solitamente,c'è una regola non scritta che impedisce le esecuzioni capitali in tutti gli Stati membri e che dura da 130 anni,ma che è già stata violata dal presidente uscente Trump in due casi mentre entro il 20 gennaio ne sono state programmate altre tre.
Ad ora Trump ha il primato di 13 esecuzioni federali restando solo dietro di un numero rispetto al presidente Cleveland(1896)e convinto di potere stracciare questo record:nell'articolo di Left(pena-di-morte-lagghiacciante-record-di-trump )i numeri delle esecuzioni e il riferimento all'uccisione del 10 dicembre del detenuto Brendon Bernardnel braccio della morte da più di vent'anni per un ruolo marginale in un delitto.
Altri paesi e con numeri ben più rilevanti di decessi hanno nella propria legislazione la pena capitale,e gli Usa sono gli unici che ne fanno ampio uso soprattutto per quanto riguarda le condanne nei rispettivi Stati dell'Unione mentre il numero di questi che hanno modificato la pena di morte con l'ergastolo sono sempre di più,in alcuni degli altri non vi sono state tali condanne da decenni e ci sono molte moratorie che si stanno discutendo e applicando.

Pena di morte, l’agghiacciante record di Trump.

di Sabrina Certomà

Se le esecuzioni programmate non verranno fermate, il presidente uscente si aggiudicherà il tragico primato del maggior numero di condanne a morte eseguite in un solo mandato nell’ultimo secolo

Midazolam, vecuronio bromuro, cloruro di potassio. Poi più niente. No, non sono sostanze stupefacenti o i componenti di una qualche soluzione da scienziato in provetta: sono gli ingredienti che creano il cocktail letale con cui, ancora oggi, vengono portate a termine le esecuzioni capitali negli Stati Uniti d’America, la sedicente più grande “democrazia” del mondo. Prima il midazolam, 500 mg al posto dei 4 di un paziente chirurgico, un sedativo che dovrebbe ridurre al minimo la consapevolezza del condannato; poi il vecuronio bromuro, 100 mg invece di 8, rilassa e blocca i muscoli come il diaframma fermando la respirazione; infine, la terza iniezione a base di cloruro di potassio, che paralizza il cuore. Molto spesso i condannati muoiono dopo la seconda iniezione, ma se ciò non accade, tra la seconda e la terza somministrazione la persona – pur paralizzata senza poter mostrare alcun segno di sofferenza – prova fortissimi dolori e un generale senso di bruciore in tutto il corpo a causa della distruzione delle vene.

L’ultima esecuzione è avvenuta proprio giovedì notte, il 10 dicembre, in Indiana, alle 21.27 ora locale (le 3.27 italiane) in un penitenziario nella città di Terre Haute. Il condannato si chiamava Brandon Bernard. Era stato condannato nel 1999, appena adolescente, per aver partecipato ad un duplice omicidio ai danni di una coppia nel giugno dello stesso anno. Faceva parte di un gruppo di cinque giovanissimi accusati di aver rapinato le due vittime e di averle costrette a salire sul retro della loro macchina in Texas, prima di ucciderle. A fare fuoco era stato un complice diciannovenne di Bernard, Christopher Vialva – già giustiziato in settembre , ed era stata la settima condanna a morte da luglio -, mentre lo stesso Bernard aveva incendiato l’auto. Secondo gli avvocati della difesa, però, le due vittime erano probabilmente morte prima dell’incendio: Bernard avrebbe potuto essere condannato solo per distruzione di cadavere. La pubblica accusa ha sostenuto, invece, che una delle due vittime fosse ancora viva. Non è sfuggito al giogo della critica il fatto che Bernard fosse un uomo di colore, ragion per cui il suo caso è stato subito ricollegato alle proteste per le discriminazioni contro i neri che per tutto il 2020 hanno infiammato le piazze al grido di “Black lives matter”, opposto al “law and order” trumpiano, dopo l’uccisione di George Floyd.

«Mi dispiace, vorrei poter tornare indietro, ma non posso. Queste sono le uniche parole che posso dire che catturino del tutto ciò che provo ora e ciò che ho provato quel giorno», è stata l’ultima frase pronunciata dal 40enne, nei suoi ultimi minuti di vita. Il caso di Bernard è stato sotto l’attenzione di media, politici e celebrità per mesi, per gli innumerevoli tentativi di fermare l’esecuzione. La celebrity e attrice Kim Kardashian tra le personalità più attive per salvare l’uomo, ma anche la rappresentante alla camera Ayana Pressley, dem del Massachusetts. Alcuni avvocati del legal team difensivo avevano chiesto almeno di ritardare l’iniezione per l’ultima volta, di sole due settimane, ma la Corte suprema – in particolare i giudici Stephen Breyer, Sonia Sotomayor ed Elena Kagan – ha respinto la richiesta, stabilendo arbitrariamente data e ora dell’esecuzione. Persino 5 dei 9 giudici ancora viventi che avevano condannato a morte Bernard nel 1999 si erano fatti avanti pubblicamente, dichiarando che, visti gli ultimi sviluppi che provavano un coinvolgimento marginale dell’allora 18enne nell’omicidio della coppia, non lo avrebbero più condannato a morte.

La stessa procuratrice che aveva proposto la condanna si era poi ricreduta sostenendo la commutazione della pena, con un editoriale sull’Indianapolis Star: «Avendo imparato così tanto dal 2000 a oggi sulla maturazione del cervello umano e avendo visto Bernard crescere e diventare un adulto umile e pieno di rimorsi assolutamente capace di vivere pacificamente in prigione, come possiamo sostenere che sia parte di quel piccolo gruppo di criminali che devono essere condannati a morte?».

Bernard era un detenuto modello, in carcere si è infatti dedicato a studiare e a lavorare come volontario a programmi di sensibilizzazione per tenere i giovani lontani dalle gang criminali. L’ergastolo sarebbe stata un’alternativa possibile. Ma negli Usa la pena di morte incontra ancora l’approvazione di una discreta fetta di cittadini. E basta andare a vedere i commenti sotto i tweet in cui proprio Kim Kardashian parlava dell’esecuzione, ahimè, per capirlo.

Sono ancora 28 gli Stati americani in cui la pena di morte è legale, ma un numero crescente di altri – in questo momento 22 -, stanno abolendo la misura, ultimo il Colorado il 26 febbraio 2020. Tuttavia, a quanto pare, nei suoi ultimi scampoli di attività l’amministrazione Trump ha deciso di invertire la rotta. Così il presidente uscente si è trasformato in un vero e proprio giustiziere.

Ci sono ancora tre esecuzioni programmate da qui al 20 gennaio, quando Biden prenderà il suo posto con l’obiettivo dichiarato di mettere fine alla pena di morte federale. Ieri, 11 dicembre, è toccato ad Alfred Bourgeois, colpevole di aver torturato e ucciso la propria figlia di 2 anni, mentre a gennaio saranno giustiziati Lisa Montgomery, che aveva ucciso una donna incinta per rubarle il feto; Cory Johnson, spacciatore, responsabile per il decesso di sette persone; Dustin John Higgs, condannato per aver rapito e ucciso tre donne, omicidi per cui poi è risultato innocente grazie all’ammissione del suo complice reo confesso Willis Haynes.

Trump lascerebbe dunque il suo primo mandato con 13 esecuzioni, il numero più alto dal 1896, quando Grover Cleveland fece giustiziare ben 14 persone. Un’epoca da cui gli Usa si stanno finalmente allontanando. Il clima sta infatti cambiando: nel novembre del 2019 un sondaggio ha rivelato che il 60% degli statunitensi è favorevole a sostituire le esecuzioni con l’ergastolo, una maggioranza non schiacciante ma significativa

In più l’esecuzione delle condanne a morte è sempre stata sospesa durante la transizione di potere da una presidenza all’altra. È una delle tante regole non scritte – ma rispettata da 130 anni – che disciplinano la complicata realtà delle elezioni americane ma Trump non si smentisce nemmeno durante l’ultimo mese in cui sarà inquilino della Casa Bianca. Vista la ritrosia con cui il Presidente sta accettando – o meglio rifiutando – il risultato delle elezioni, è probabile che non voglia apparire indebolito. Il segretario alla Giustizia Barr afferma invece che solo il Congresso può abolire la pena di morte e che, di conseguenza, «finché c’è, va applicata».

Trump la scorsa estate ha ripreso le esecuzioni federali che erano ferme dal 2003, proprio nel pieno delle proteste razziali. Il suo atteggiamento “law and order” potrebbe servirgli in caso di una futura ricandidatura. E mette in difficoltà Biden. Il quale, va ricordato, nel 1994 aveva sponsorizzato il Crime bill – Violent crime control and law enforcement act -, che aggiungeva ben 60 reati alla lista di quelli che prevedono la pena di morte. Biden ha assicurato di voler bloccare le esecuzioni federali e sollecitare gli Stati a fare altrettanto andando anche contro un eventuale no del Congresso. Potrà utilizzare la grazia, prerogativa tra i poteri del Potus, per commutare in ergastolo le pene dei 53 condannati a morte rimasti, o almeno di quelli che sopravviveranno agli ultimi 40 giorni dell’amministrazione Trump.

lunedì 14 dicembre 2020

CASHBACK E ASSEMBRAMENTI

Il governo sembra che non prenda seriamente delle decisioni con lo stesso rigore col quale vorrebbe frenare l'aumento dei contagi e delle vittime del coronavirus e quella di creare un ritorno di parte dei soldi spesi con pagamenti non in contante è una di quelle che sono ipocrite.
Il così detto cashback che ha fatto mandare in tilt negli scorsi giorni i server preposti all'ottenimento di questo strumento per eliminare il contante e con esso l'evasione fiscale con pagamenti elettronici(minimo 10 movimenti dallo scorso otto dicembre fino a fine anno e per un massimo di 150 Euro)già da sé è uno strumento per ricchi e lo diventerà sempre più a partire dall'anno prossimo con ulteriori ritorni e bonus legati al maggiore utilizzo di tutti gli strumenti per poter eseguire queste transazioni.
D'altro canto questo primo weekend di prova generale verso il Natale con alcune regioni diventate gialle ha suscitato molte critiche da parte del governo visti gli assembramenti nelle vie dello shopping scaturiti proprio in gran parte per la genialata del cashback,altro ennesimo esempio del cane che si morde la coda.
L'articolo di Contropiano(le-stalle-di-natale )parla di quello successo ieri in molte realtà italiane e delle proposte di una zona rossa nazionale per le festività natalizie visto che ormai la puttanata è già stata fatta ed era facilmente intuibile una corsa alle compere per la maggior parte delle persone attirate anche come detto in precedenza dalla sirena di un rimborso che fa sfregare le mani a chi di soldi ne ha già tanti,per il resto un superfluo e poco redditizio ritorno di denaro per i soliti poveracci.

Le stalle di Natale.

di  Dante Barontini   

Stop and go, continuo. Dopo aver trasformato quasi tutta l’Italia in “zona gialla”, per rispondere alle sollecitazioni delle categorie commerciali (quelle industriali hanno sempre avuto campo totalmente libero) e dei presidenti di Regione, ora il governo progetta di imitare Angela Merkel, ritrasformando tutta Italia in “zona rossa” per le sole feste di Natale.

Siccome sono dei vili, la scelta viene imputata all’”irresponsabilità della gente”, che si è precipitata a fare acquisti in vista delle feste, dopo aver varato un meccanismo premiale – il cashback – per quanti pagheranno la merce con bancomat o carta di credito.

E’ lo stesso meccanismo folle adottato all’inizio dell’estate – il “bonus vacanze”, per “salvare il settore turistico” – salvo poi additare chi s’era mosso in base a quell’incentivo, affollando le località balneari et similia.

La schizofrenia di governo e opposizione, che cambiano posizione a orario alterno, ha una spiegazione strategica e motivazioni opportunistiche.

Il dato sistemico è noto: le strutture sanitarie pubbliche, colpite da decenni di feroci tagli, vanno in affanno o collassano davanti al crescere dei contagiati sintomatici. Pronto soccorso, reparti Covid e terapie intensive hanno una capacità di intervento limitata (è relativamente semplice mettere dei letti in più, quasi impossibile trovare altri medici e infermieri specificamente preparati) proprio “grazie” ai tagli di spesa.

Dunque l’unico parametro effettivamente tenuto d’occhio dal governo e dai complici del Cts è il rischio di saturazione dei reparti, a partire dalle terapie intensive.

Per il resto, “contagiatevi pure fin quando la situazione non diventa grave”. Tanto, la colpa è “nostra”.

E’ lo stesso meccanismo bastardo adottato per mostrarsi green. Da un lato c’è un’offerta mostruosa di merci imballate con plastiche di ogni tipo (fino alle “mono-porzioni per single” vendute in tutti i supermercati), dall’altra si colpevolizzano i “singoli individui” per l’incapacità del sistema di smaltire – poi – in modo efficace quelle montagne di inquinanti messi in circolazione.

E’ chiaro che chi non fa raccolta differenziata, o scarica per strada rifiuti ingombranti, aumenta in qualche misura questa incapacità sistemica. Così come è chiaro che quanti si muovono a branco, magari senza mascherina né igienizzanti, aumentano la frequenza delle possibilità di contagio da Covid.

Ma questi “eccessi” non sono la causa fondamentale, né dell’inquinamento né dei contagi. Se tutti fossimo assolutamente irreprensibili, avremmo forse un 5-20% di disastri in meno, in entrambi i campi. Ma non avremmo risolto il problema. Se i mezzi pubblici sono pieni (perché pochi), se i luoghi di lavoro anche, c’è poco da “stare attenti ognun per sé”…

Un governo lo sa. O comunque dovrebbe saperlo.

Fin dai primi giorni andiamo dicendo – inascoltati, certo… – che l’unico modo di debellare il virus è fare contemporaneamente un lockdown vero, stile “cinese”, e uno screening di massa, con tamponi molecolari, su tutta la popolazione.

Sappiamo benissimo che la prima cosa non è mai stata fatta per soddisfare i diktat di Confindustria (a marzo, in Val Seriana e altrove, una marea di aziende cambiava il proprio “codice Ateco” per autodichiararsi “produzione essenziale”, anche se magari fabbrica armi o tubi per trivellazioni petrolifere in Alaska). 

E sappiamo anche benissimo che uno screening su tutta la popolazione richiede una preparazione logistica colossale, da tempi di guerra, per reperire il materiale e il personale necessario.

Ma vediamo, come tutti, che non è stato fatta né una cosa né l’altra. Qualche chiusura, un po’ di tamponi e poi speraindio…

Per dire. A Qingbao, Cina, per una decina di positivi scoperti in ospedale, hanno bloccato la città e fatto tamponi a tutti – 9 milioni di abitanti! – in tre giorni. Tre giorni chiusi, poi si torna alla normalità… Idem nell’area di Kashgar, ai confini del deserto del Takamaklan. Qui, quando si esagera, poco più di 200.000 al giorno. Si vede che non interessa più di tanto…

Insomma, la situazione attuale, dopo 10 mesi, è il risultato di una scelta criminale: convivere con il virus. Questa scelta ha prodotto quasi due milioni di contagiati, oltre 65mila morti, centinaia di migliaia di “feriti” nei polmoni, una crisi economica molto più vasta di quella che si voleva evitare. E altri ne produrrà nei prossimi mesi.

Si dice: “ma adesso arrivano i vaccini”. Ne siamo ovviamente contenti, non si schera sulla salute pubblica. Ma chiunque ne sappia qualcosa – ogni giorno, governo compreso – ci spiega che “ci vorrà tempo”, almeno altri nove mesi (più o meno quelli trascorsi finora…).

Non basta. Non sappiamo – non lo sanno nemmeno i ricercatori che li hanno prodotti – se quei vaccini, oltre a proteggere il singolo, impediscono anche la diffusione del contagio verso i non vaccinati. Né la durata della “copertura”. 

In ogni caso, insomma, dovremo tutti circolare seguendo le stesse regole d’attenzione seguite in questo momento (mascherine, lavaggio mani, distanza, numeri limitati, ecc).

Dunque la “zona rossa natalizia” sarebbe una cosa sacrosanta, e anche “intelligente” (il periodo festivo prolungato riduce il danno economico complessivo delle chiusure, tranne ovviamente che per il commercio-ristorazione), se venisse anche accompagnata dall’organizzazione di uno screeening di massa.

Cosa di cui non si parla affatto. Anzi, come per tutti i festivi e prefestivi, si prevedono decine di migliaia di tamponi in meno.

Dunque la previsione è facile e tragica. Anche se dovessimo restare tutti effettivamente chiusi in casa fino alla Befana, subito dopo – con l’ennesima “riapertura” – ci ritroveremo nel giro di pochi giorni esattamente nella stessa situazione, ad affrontare la terza ondata.

Solo molto più incazzati, impoveriti, stufi di fare dentro e fuori dalle stalle, come bestie in mano a un allevatore avido ma cretino; e alla fine indisponibili a seguire le raccomandazioni, anche quelle più logiche e salvavita.

Un bel risultato, non c’è che dire. E di cui dovreno ringraziare non solo i Conte, Salvini, Speranza, Fontana, Zaia (a proposito: funziona il tuo “modello”, vero?), Di Maio, Bonomi, Rocca family & altri “imprenditori”. Ma anche quegli scienziati che si sono prostituiti “mediando” tra conoscenza scientifica e “esigenze produttive”.

sabato 12 dicembre 2020

SEMPRE IN AUMENTO I LAVORATORI POVERI

Con le dovute differenze che contraddistinguono i vari paesi membri che compongono l'Unione Europea ci sono stati negli ultimi dieci anni degli impoverimenti generali dei lavoratori che segnano un trend negativo,ma molto positivo e redditizio per i padroni capitalisti,che è quello del lavorare di più ma guadagnando sempre meno.
Ovvero anche lavorare le stesse ore ma vedere la busta paga sempre più leggere e sempre con meno diritti,che vanno dai permessi retribuiti alle malattie passando per le ferie spettanti:e si parla comunque di persone che ricevono uno stipendio perché svolgono una mansione come evidenziato nell'articolo di Contropiano(aumentano-i-lavoratori-poveri-in-europa ).
Tutto questo è conseguenza di un sempre più aumento di lavori a tempo determinato,con questa precarietà che molto spesso non permette di passare da un'occupazione ad un'altra in tempi brevi,ed i lavoratori più giovani sono quelli che subiscono prepotentemente questo dato di fatto assieme agli immigrati di tutte le età e le donne,mentre pure quelli a contratto indeterminato tuttavia hanno subito dei tagli di stipendio e di diritti.
Ci sono casi specifici di turni molto lunghi con parecchie ore lavorate di fila e con straordinari pagati nemmeno tre Euro l'ora(vedi:businessonline lavorare-ed-essere-poveri )oppure un tot di ore lavorative suddivise nell'intero arco della giornata,ed il numero dei così detti working poor con percentuali differenti continua a lievitare.

Aumentano i “lavoratori poveri” in Europa. Avere un lavoro non basta più.

di  Stefano Porcari   

In dieci anni, dal 2010 al 2019 nell’Unione Europea  i “lavoratori poveri” – o working poor – sono aumentati del 12%. Praticamente quasi un lavoratore europeo su dieci (9,4%) è sceso al di sotto della soglia di rischio povertà definita dall’Eurostat (cioé con redditi inferiori al 60% della media della popolazione).

Secondo una indagine dei sindacati europei, su dati Eurostat, in Italia i lavoratori considerati poveri sono passati dal 9,5% al 12,2% della popolazione lavorativa, con un aumento del 28%

I lavoratori poveri sono aumentati soprattutto in Ungheria (58%), Gran Bretagna (51%), Estonia (43%). Cresciuto di poco o nulla cioè l’1%, solo in Svezia e Austria.

La ricerca della “Benchmarking Working Europe 2020” della Ces, evidenzia che i più colpiti sono i lavoratori giovani, quelli immigrati e quelli con contratti a termine, anche se si sono registrati aumenti di working poor in ogni categoria di lavoratori, inclusi quelli che hanno un orario a tempo pieno e con contratto a tempo indeterminato.

Secondo lo studio, solo quattro Stati membri hanno salari minimi legali al di sopra della soglia salariale considerata a rischio di povertà.

Un anno fa il gruppo di ricerca “Working, Yet Poor (WorkYP)”, nel quadro del programma Horizon  della Ue segnalava che uno dei problemi è anche la rilevazione della soglia di povertà in base ai salari minimi esistenti nei vari paesi europei.

La distribuzione della povertà sul lavoro, infatti differisce in modo sostanziale in Europa, sia a causa delle diverse dinamiche dei sistemi sociali, sia in conseguenza delle diverse politiche attuate dal singolo Stato membro. Le disparità regionali sono tali che per essere considerati lavoratori poveri in Romania bisogna guadagnare meno di 200 euro ma in Lussemburgo la soglia arriva a meno di 2000 euro mensili.

giovedì 10 dicembre 2020

IN PARLAMENTO E' UN TUTTI CONTRO TUTTI

Per il momento il governo Conte mangerà il panettone,un poco amaro e mandato giù senza spumante,ma i dibattiti in Camera e in Senato molto accesi hanno fatto sì che le votazioni per l'adesione al Mes abbiano incassato una fiducia che potrebbe essere più risicata a marzo o non esserci più una maggioranza soprattutto al Senato.
Ma prima c'è ancora la votazione della legge di bilancio che potrebbe causare altri scossoni all'esecutivo che perde pezzi soprattutto dai cinque stelle ormai allo sbando totale e destinati a futuri ridimensinamenti di percentuali di voto popolare.
Chi ne ha già pochi adesso,Renzi,ha comunque il pallino del gioco e pur votando a favore nel suo discorso bellicoso ha ricevuto applausi dal centrodestra di cui ormai è membro onorario e tra non molto attivo,protagonista assieme all'altro Matteo di parole dure mentre il solito Salvini ha fatto un discorso più populista come di sua consuetudine(per altre affinità elettive tra Renzi e Salvini vedi:madn salvini-e-renzi-sempre-piu-da-vomito ).
Nell'articolo proposto(contropiano politica-news )il racconto dei lavori parlamentari di cui sopra,la critica al Mes,Berlusconi che vota contro in Italia per votare a favore in Europa ed altri controsensi propri dell'Italia con Bruxelles che ci guarda sempre più come se fosse l'occhio di Sauron.

Il governo, per ora, porta a casa la pelle e il Mes a Bruxelles.

di  Sergio Cararo  

Nella votazione al Senato sull’adesione dell’Italia alla “riforma del Mes” (sic!) l’asticella dei voti a favore si è fermata a 156 sì. Non era necessario arrivare a 161, ma è comunque di un segnale. Il rischio  è che nei prossimi passaggi decisivi, a partire dalla legge di bilancio, potrebbe non esserci una vera maggioranza politica al Senato.

Unica consolazione è che la ratifica della riforma del Mes secondo quanto si apprende non avverrà in Parlamento prima di marzo, dando così tempo per le rese dei conti al M5S verso i parlamentari che hanno mantenuto il loro dissenso dall’ennesimo trattato-garrota che la Ue vuole imporre all’Italia.

Sarà interessante verificare nei prossimi mesi se il No al Mes potrà diventare una iniziativa politica più significativa di una semplice opposizione parlamentare.

Con il voto favorevole di Camera e Senato alla cosiddetta “riforma del Mes”,  Conte deve ora affrontare la discussione sul bilancio europeo portando in dote lo scampato pericolo, ma sapendo bene che le fibrillazioni interne sul Recovery Fund sono destinate a durare. Su queste è saltato ieri il Consiglio dei Ministri e non è previsto un chiarimento neanche in prossimità del ritorno del premier dal Consiglio Europeo.

Ma i fratelli coltelli dentro la maggioranza di governo ormai non si limitano solo a Renzi e ai renziani. Si capisce che la posta in gioco – decine e decine di miliardi di finanziamenti europei – ha scatenato gli spiriti animali di tutte le cordate economiche/finanziarie, a livello nazionale e locale, che premono per poter partecipare alla spartizione del malloppo.

Lo fa intendere bene il capogruppo Pd alla Camera Delrio quando pretende che “Conte sia umile come Papa Francesco. Ascolti parti sociali ed enti locali e non commissari il Parlamento”. La traduzione è che i soldi del Recovery Plan vanno accuratamente concertati e spartiti con Confindustria, Regioni, Città metropolitane, Terzo Settore e Cgil Cisl Uil.

Ma se il capogruppo Pd alla Camera cerca di imbrigliare Conte, quello al Senato, Zanda, addirittura plaude in aula a Renzi che ha lanciato una sorta di ultimatum al Presidente del Consiglio., raccogliendo gli applausi anche dal centro-destra con cui, da tempo, c’è una affinità elettiva mai celata.

Intanto oggi Conte ha potuto di fatto usufruire di una sorta di “quotidiano a reti unificate”. Interviste e servizi comparsi nello stesso giorno su Corriere della Sera, La Stampa e la Repubblica.

Nell’ intervista con il Corriere della Sera Conte ha affermato che: “Non mi spaventa il confronto tra alleati, l’importante è che la dialettica si traduca in ricchezza di idee, non in sterili polemiche”. E poi ha assicurato che: “Sul Recovery Plan abbiamo appena iniziato a discutere, avendo bene in mente gli obiettivi di funzionalità e semplificazione” anche perché, riferendosi ai contestati consulenti della task force “non c’è scritto da nessuna parte quanti dovranno essere”. Per Conte però serve una struttura che assicuri il monitoraggio dei cantieri e il rispetto dei tempi e per questo si farà un apposito decreto legge.

Sullo stesso tema, in una intervista a La Stampa, Conte ha affermato che sulla task force “Nel testo della norma non c’è scritto da nessuna parte che ci saranno 300 consulenti” e che anche se “la struttura di governance è stata concepita come molto snella, i responsabili di missione ci saranno” e “non avranno poteri espropriati dalle amministrazioni centrali o locali”.

Infine in retroscena su La Repubblica, sempre Conte ha avvertito che nella partita in ballo non vince o perde lui, ma “vince o perde l’Italia”, di fronte all’Europa, “che aveva pregiudizi verso di noi e che li sta superando” e si è detto disponibile a “trattare” per salvare il governo.

Insomma non è un mistero che ormai sono in molti che vorrebbero far saltare Conte e sostituirlo con un premier di maggiore fede eurosubordinata e maggiore predisposizione alla concertazione/spartizione politica. I fratelli coltelli abbondano sia nelle aule parlamentari sia nei corridoi di Palazzo Chigi che nelle redazioni di giornali e Tg.

Deve suonare come un monito l’affermazione del capogruppo del Pd alla Camera Delrio secondo cui: “Il Pd è entrato nel governo per recuperare la vocazione europeista. Se ci fosse uno stop sul percorso che noi riteniamo fondamentale e che tanti benefici ha portato al Paese, non avrebbe più senso portare avanti questa esperienza”. 

Ma mentre leggiamo le parole di Delrio, e la negativa ipoteca che rappresentano, la mente va a quello che la Commissione europea è tornata a pretendere dalla Spagna alle prese, come gli altri paesi, con l’emergenza pandemica e la crisi sociale che ne deriva: abbassamento delle pensioni e totale precarizzazione del mercato del lavoro.

Ma non ci avevano raccontato che la pandemia  avevo reso tutti più saggi, anche a Bruxelles, e messo uno stop alla logica dell’austerity?

sabato 5 dicembre 2020

MEDICI,NON BOMBE

Negli scorsi giorni con un atto formale il Norwegian Nobel Institute ha accolto la candidatura per il premio Nobel per la pace per il 2021 della Brigata medica cubana Henry Reeve in quanto d'aiuto prezioso per il suo contributo a fianco di medici di diverse nazioni per combattere il coronavirus.
In Italia l'esempio di Crema è stato uno tra gli esempi più fulgidi di questa collaborazione(vedi:madn crema-saluta-e-ringrazia-la-brigata internazionale cubana henry reeve  )volta alla solidarietà internazionale tra i popoli,da anni portata avanti da una nazione tra le più bistrattate e con un'eccellente sistema nazionale che fornisce medici tra i più preparati di tutto il mondo.
L'articolo di Contropiano(internazionale-news )racconta di questa candidatura e fornisce la storia di questa brigata medica con la storia del newyorkese Henry Reeve che combatté a Cuba nella seconda metà del 1800 dando importanti prove di abnegazione e coraggio.

Accolta la candidatura della Brigata Medica Cubana al Nobel per la pace

di  Faro di Roma   

E’ stata accettata ufficialmente la candidatura al Premio Nobel per la Pace 2021 per la Brigata Medica Cubana “Henry Reeve”, presentata dal professor Luciano Vasapollo, docente di economia internazionale alla Sapienza, impegnato da molti anni nella cooperazione con gli atenei dell’America Latina e i Caraibi, promotore del Capitolo Italiano Rete in Difesa dell’Umanità cui aderiscono tra gli altri il CESTES, centro studi del Sindacato USB, diretto da Rita Martufi e l’Associazione Padre Virginio Rotondi per un giornalismo di pace che edita FarodiRoma. 

La candidatura è stata sostenuta anche da Graziella Ramirez del Comitato pace e dignità dei popoli. Organismi che lavorano insieme pur avendo ispirazioni diverse.

“Your nomination for the Nobel Peace Prize 2021 has been successfully submitted.

The Norwegian Nobel Committee appreciate your effort in making this nomination.

Kind regards,

The Norwegian Nobel Institute”

La Brigata medica cubana ha prestato il suo aiuto dallo scorso marzo a Crema, una delle province più colpite dall’emergenza sanitaria legata al Covid 19, e da maggio in Piemonte, dove ugualmente la pandemia ha colpito assai duramente. 

“Durante i giorni più neri della pandemia, la loro solidarietà è arrivata anche in Italia: Cuba, al fianco del Venezuela, è stata uno dei primi paesi a venire in soccorso di altri popoli in difficoltà”, ha commentato Vasapollo. 

La Brigata Henry Reeve è stata creata il 19 settembre 2005 in risposta ai danni causati dall’uragano Katrina a New Orleans, negli Stati Uniti, con un gruppo iniziale di oltre 12mila professionisti cubani della salute che si sono mostrati disponibili ad appoggiare la ripresa. Tuttavia, il governo degli Stati Uniti ha rifiutato di ricevere l’aiuto. 

Secondo i dati ufficiali, Cuba ha inviato finora più di 3.700 sanitari, raggruppati in 46 brigate, in 39 paesi e territori colpiti dal Covid 19. Il suo programma è in uno slogan donato alle Brigata da Fidel Castro: “Medici, no bombe”. 

La Brigata infatti è sempre pronta ad andare dove esiste più necessità, come nei casi del Pakistan, dopo il terribile terremoto, o dell’America Centrale, dopo le piogge torrenziali provocate dalla tormenta tropicale Stan. 

Del resto, Cuba è sede della scuola internazionale di medicina che ha reso possibile laurearsi a decine di migliaia di giovani che non avrebbero i mezzi per poterlo fare, e che nonostante il blocco ha raggiunto uno straordinario livello di qualità nella bio-ingegneria medica, nella medicina e chirurgia e nel trattamento dei peggiori flagelli virali.

Prende il nome da un cittadino newyorkese che difese l’indipendenza di Cuba. Il suo attuale comandante è il dottor Carlos Perez e la definizione formale è quella di Contingente Internacional de Médicos Especializados en Situaciones de Desastres y Graves Epidemias.

La sua specialità è quella di affrontare le emergenze, di arrivare dove nessuno arriva, di portare cure dove tutti fuggono, di vincere guerre che tutti ritengono che, visti i rischi da correre, è preferibile perdere. I suoi galloni, la Brigada Henry Reeve, se li è conquistati sul campo – anzi sui diversi campi – in ogni dove dell’Africa e dell’America Latina.

Nordamericano di nascita (nacque a Brooklyn, New York, Stati Uniti, il 4 aprile 1850) e cubano per scelta Henry Reeve era detto “L’inglesito della manigua” durante le battaglie cubane contro il colonialismo. 

Morì a Matanzas il 4 agosto del 1876 dopo aver partecipato a più di 400 azioni armate. Aveva solo 26 anni ed ha lasciato un grande esempio di solidarietà tra uomini ansiosi di libertà e giustizia. Diceva: “Io sono del paese dove si muore”, per dire che la sua vita era dedicata alla lotta contro il regime coloniale imposto dalla corona spagnola. 

Antischiavista e indipendentista, era vincolato agli operai e agli artigiani cubani che sostenevano dall’esilio la guerra nell’Isola.

Henry giunse a Cuba l’11 maggio del 1869 a bordo della nave Perrit e divenne “L’Inglesito” che parlava poco anche perchè conosceva poco lo spagnolo. Partecipò alle battaglie di Ramón, Las Calabazas, Del Carmen, Río Hanábana Sitio Potrero e fu stimato ed elogiato dalle più grandi figure dell’indipendenza cubana, come Ignacio Agramonte e il Generalissimo Maximo Gómez, che elogiò il suo grande coraggio, la sua dedizione e il suo senso della disciplina. 

Perse una gamba nel settembre del 1873 perché si lanciò su un canna di cannone con il suo cavallo, ma non smise per questo di combattere con ogni mezzo. Era Brigadiere, nominato dalla Camera dei Rappresentanti della Repubblica in Armi, quando affrontò il nemico nella Battaglia di Las Guásimas e nell’azione di Cajumiro, quest’ultima con Máximo Gómez e Antonio Maceo.

Si uccise, sparandosi a una tempia, già ferito molto gravemente al petto, all’inguine e a una spalla, quando le truppe spagnole lo avevano circondato. Fu un cavaliere coraggioso, sereno e tenace, cantò Ramon Roa, un altro eroe dell’indipendenza di Cuba che ha dedicato dei bei versi a questo giovane nordamericano, “L’Inglesito”, che ha versato il suo sangue mescolandolo a quello dei migliori uomini di un altro paese, entrando a far parte d’una stirpe di figli di quest’Isola piena di un patriottismo infinito. 

Henry Reeve è stato onorato dal governo cubano nel 1976 in occasione del centenario della sua morte con un francobollo postale.

venerdì 4 dicembre 2020

UN VACCINO SEMPRE PIU' POSTICIPATO NEL TEMPO

Dopo uno tra i più disastrosi giorni per quanto riguarda il numero di decessi dovuto alla pandemia del Coronavirus,col record negativo di 993 morti,la tiritera del terrorismo mediatico affiancata da una più positiva speranza vaccinale va avanti e confonde spesso le idee pure ai professionisti che sono in campo per cercare di frenare l'avanzata dei contagi e di chi prepara e poi deve fare approvare il vaccino.
Su quest'ultimo ormai,almeno riguardo alla tempistica ed alle modalità di stoccaggio e di diffusione,ci sono parecchie voci che rasentano perlopiù leggende ed alimentano teorie più o meno complottistiche che vanno a portare acqua al mulino dei no vax e dei sciacalli in generale che si dichiarano negazionisti.
Pure l'effettiva efficacia viene messa in dubbio con percentuali che si rincorrono un giorno dopo l'altro con nazioni come la Gran Bretagna e la Russia pronte a breve a cominciare le vaccinazioni ed altre come la nostra dove questa data viene sempre più posticipata nel tempo così come il lasso temporale della fine.
In queste settimane a detta di numerosi addetti ai lavori avremmo già dovuto cominciare le vaccinazioni per il Covid-19 mentre si fa fatica a iniziare quelle per l'influenza stagionale,e mentre la primavera era l'obiettivo dove tutto si sarebbe concluso ora questo avvenimento è già stato posticipato al prossimo autunno.
Insomma il futuro è nero e molto incerto,e nell'articolo preso da Contropiano(il-vaccino-ci-aiutera-ma-non-ci-liberera-dalle-pandemie )vi sono spiegazioni scientifiche il cui fine è quello comunque di un miglioramento ma a breve termine temporale ed un peggioramento verso altre future possibili pandemie che sono pronte a farsi strada soprattutto dal sud del mondo e in modalità ancora sconosciute ma unite dal fatto che quello che stiamo facendo alla terra con l'inquinamento e con un totale sfruttamento saranno di ulteriore slancio verso altre pericolose malattie.

Il vaccino ci aiuterà, ma non ci libererà dalle pandemie.

di  Ernesto Burgio *   

Non sembrano essere in molti, in questi giorni, a rendersi conto che l’Italia è tornata, come nel marzo scorso, il paese in cui la pandemia miete più vittime. Eppure i dati epidemiologici sono eloquenti: per numero dei contagi abbiamo raggiunto l’ottavo posto, ma l’indice di letalità è secondo solo a Messico e Iran e in linea con Gran Bretagna e Perù. Persino Stati Uniti e Brasile sembrano star meglio di noi. 

Se poi guardiamo al numero dei decessi giornalieri, siamo tornati in cima alla lista e il presidente dei medici del Fnomceo ha denunciato la morte di altri 27 medici in 10 giorni, e parlato di «strage degli innocenti».

Eppure, nel nostro paese si fa a gara nell’interpretare ottimisticamente i primi rallentamenti della curva dei contagi; ci si schiera in modo sempre più critico nei confronti delle strategie di contenimento decise dal governo; si cerca di convincere tutti che la svolta è dietro l’angolo, grazie a vaccini dichiarati in tempi record efficaci e sicuri, mediante comunicati stampa, dalle stesse multinazionali che li producono; si attacca chi si permette di avanzare dubbi non sull’importanza dei vaccini, ma sulle modalità della comunicazione e sull’eccessiva fretta con cui si è proceduto, per la prima volta nella storia, nel percorso di sperimentazione. 

Eppure, sono le principali testate scientifiche del mondo, e in particolare The Lancet, a sottolineare come sia legittimo sperare nei risultati così trionfalmente annunciati, ma che alcuni nodi dovrebbero essere sciolti prima di gridar vittoria.

Non è ancora certo, infatti, se questi vaccini impediscano la trasmissione del virus o si limitino a proteggere da forme gravi i vaccinati: un risultato importante, che però non faciliterebbe il raggiungimento dell’«immunità di gregge». 

Non sappiamo quanto duri l’immunità conferita da questo virus: quello che sappiamo deriva dalle nostre conoscenze su Sars e Mers e da studi che dimostrano la presenza di anticorpi neutralizzanti nei guariti.

Ed è evidente che se l’immunità indotta dal «virus da strada» non è particolarmente robusta, né duratura, difficilmente un vaccino composto da frammenti del genoma o da proteine antigeniche virali farà meglio. Poi ci sono i casi di reinfezione che sembrerebbero attestare limiti nell’immunitaria adattativa e l’incerta efficacia negli anziani, i soggetti più a rischio.

Alcuni sottolineano che la pandemia è ancora in fase iniziale e che il virus continuerà a mutare per adattarsi alla nostra specie e difendersi dal nostro sistema immunocompetente, come accade a tutti i virus a Rna emersi da poco dal loro serbatoio animale: per cui è in teoria possibile che un vaccino oggi efficace, lo sia meno tra sei mesi o un anno.

Ci sono poi i problemi di disponibilità dei vaccini a livello planetario e di accesso equo, e le enormi sfide logistiche di produzione e distribuzione. Movimenti internazionali come Gavi, legata a un personaggio discusso come Bill Gates, propongono strategie per una distribuzione equa, ma fin qui sono stati i paesi ad alto reddito ad accaparrarsi centinaia di milioni di dosi.

Anche gli sviluppi a lungo termine della pandemia sono imprevedibili. Non sappiamo se Sars-CoV-2 tenderà a diventare endemico, se avremo epidemie stagionali o ri-emergenze a lungo termine di sue varianti ed è impossibile prevedere quale vaccino garantisca i risultati migliori nelle diverse situazioni.

E se il vaccino prescelto non si rivelasse efficace, le conseguenze sarebbero gravissime: sia perché i vaccinati, credendosi protetti, abbasserebbero la guardia; sia perché la fiducia di molti nelle vaccinazioni potrebbe diminuire e si rafforzerebbe il circuito NoVax.

Ma l’argomento più dibattuto è quello dei rischi e al momento non possiamo avere dati certi: sia perché i numeri sono piccoli, sia perché gli effetti più temuti emergono nel lungo termine.

In particolare le apprensioni concernenti il possibile inserimento dell’Rna virale nel genoma umano non possono essere facilmente smentite. In ultima analisi accettare l’accelerazione delle procedure implica la fiducia negli enti di regolazione: per questo si sarebbe dovuto attendere le valutazioni, anziché assecondare i proclami delle multinazionali.

Comunque sia, una cosa è certa: puntare sul vaccino come unica arma risolutiva è pericoloso. Perché la pandemia non è un «incidente biologico», che senza preavviso ha colpito l’umanità e che può essere affrontato con farmaci e vaccini, ma il sintomo di una malattia cronica e rapidamente progressiva, che riguarda l’intera biosfera. 

Un dramma epocale inutilmente annunciato e che tenderà a prolungarsi e a ripetersi se non cambieranno le condizioni ambientali e sociali che lo hanno determinato.

È importante ricordare, infatti, che da almeno 18 anni a questa parte (Sars), ma potremmo anche dire dalla fine del secolo scorso, dalla morte di un bimbo a Hong-Kong (1997) per una polmonite da virus aviario (H5N1), le principali agenzie sanitarie internazionali emettono drammatici bollettini sull’imminenza di un evento pandemico potenzialmente catastrofico.

Il principale errore di chi punta esclusivamente su un’ancora aleatoria vaccinoprofilassi di massa consiste nel dimenticare che le pandemie sono drammi socio-sanitari ed economico-finanziari di enormi dimensioni, che non potremo evitare senza ridurne le vere cause: deforestazioni, bio-invasioni, cambiamenti climatici e dissesti sociali (a partire dalle immense megalopoli del Sud del mondo).

E, soprattutto, se alle strategie di contenimento del virus e di riduzione delle catene dei contagi (lockdown) non seguirà una trasformazione radicale dei sistemi sanitari occidentali: perché è evidente che i paesi asiatici e socialisti (Cuba), nei quali la medicina territoriale è ben organizzata, hanno fermato in poche settimane la pandemia, al contrario dei paesi in cui il neoliberismo ha trasformato anche la medicina in un immenso Mercato.

* Membro del Comitato scientifico di ECERI (European Cancer and Environment Research Institute) – Bruxelles – da il manifesto

Vedi anche: https://contropiano.org/interventi/2020/04/06/covid-19-e-i-circuiti-del-capitale-0126307

giovedì 3 dicembre 2020

VITTORIA SULLA CARTA O SULLA CARTINA?

L'importante decisione presa dalla Commission on Narcotics Drugs(Cnd)dell'Onu riguardo l'uscita della cannabis dalla lista delle sostanze stupefacenti di livello IV(quelle più pericoloso comprese cocaina ed eroina tra le altre)riconoscendone le indubbie proprietà terapeutiche che già da decenni sono di grande aiuto contro alcune malattie come la sclerosi multipla ed il morbo di Parkinson oltre che antiemetico per le cure tumorali,antidepressivo e contro l'epilessia,il dolore cronico e l'inappetenza(wired cannabis-onu-proprieta-terapeutiche ).
Per un solo voto a favore(27 Stati membri contro 25 e con un astenuto,l'Ucraina)e su indirizzo dell'Oms si è arrivati a questa storica decisione dopo cinquant'anni di repressione e di criminalizzazione:di questi stati favorevoli c'è pure l'Italia che ha votato positivamente assieme a tutta la Ue a parte l'Ungheria(viste le ultime vicende magari lì viene usata da tutti ma nessuno lo ammette)mentre tra i contrari spiccano la Russia e la Cina.
Propongo due altri articoli(madn la-cannabis-in-canada-e-in-italia e madn un-governo-braccetto-con-la-malavita )dove si parla ancora della cannabis nel resto del mondo e da noi,dove il penultimo governo arrivò addirittura a chiudere i negozi dove si vendeva la cannabis light ed i prodotti derivati dalla canapa favorendo ancora una volta le mafie con ideologie ottuse da paese retrogrado(facile aggiungere che storicamente le destre siano le più bigotte).
Ciò non significa la legalizzazione ma con questo grande contributo sui riconosciuti effetti benefici della cannabis tutte le associazioni ed i partiti politici che si battono da anni per essa hanno da ieri un'arma in più per le loro battaglie.

Cannabis, cosa significa che l'Onu ne ha riconosciuto le proprietà terapeutiche.

di Marta Musso

La commissione delle Nazioni Unite ha votato per rimuovere la cannabis per uso medico dall'elenco delle droghe più pericolose, come l'eroina. Un grande vittoria che apre la strada a ulteriori ricerche sui benefici terapeutici di questa sostanza.

Ricordiamo che la cannabis a scopo terapeutico ha molteplici benefici sul sistema nervoso e viene oggi usata per il trattamento di diverse malattie, come il Parkinson, la sclerosi, l’epilessia, il dolore cronico e i tumori. Eppure, sebbene in Italia sia ormai da anni consentito il ricorso alla cannabis terapeutica con prescrizione medica, ancora troppo spesso molti pazienti non riescono a ricevere la terapia di cui necessitano, perché il fabbisogno italiano è di molto superiore alla produzione e all’importazione della sostanza. Basti pensare che, stando alle stime dell’International Narcotics Control Board, il nostro fabbisogno totale è pari a 1980 chilogrammi all’anno. Ma, nel 2019, secondo il Ministero della Salute, lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze ne ha prodotti circa 150 kg. Una carenza che richiede necessariamente l’importazione della sostanza da un altro Paese, l’Olanda, che non riesce comunque a soddisfarne la domanda.

Con questa riclassificazione, quindi, l’Onu ha riconosciuto ufficialmente le proprietà mediche della cannabis. Infatti, dopo aver preso in considerazione una serie di raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) diffuse nel 2019, la Cnd si è concentrata su quella di riclassificare la cannabis nelle quattro tabelle che dal 1961 suddividono le piante e le loro sostanze in base alla pericolosità, decidendo di rimuovere la sostanza dalla Tabella IV, la più pericolosa, la stessa di quegli oppioidi più dannosi e altamente dipendenti, come l’eroina. In particolare, dei 53 Stati membri, 27, tra cui l’Italia e gli Stati Uniti, hanno votato a favore della riclassificazione della cannabis, 25 si sono dimostrati contrari, come Cina, Egitto, Nigeria, Pakistan e Russia e uno solo Stato si è astenuto (l’Ucraina).

Sebbene il voto non avrà un impatto immediato e concreto sull’allentamento dei controlli internazionali alla produzione della cannabis per scopi terapeutici (perché i singoli governi avranno ancora il potere di decidere dove classificare la cannabis), questa decisione è comunque una grande passo in avanti che riconosce finalmente gli effetti positivi della sostanza sui pazienti e che servirà a rafforzare la ricerca medica e la sua legalizzazione in tutto il mondo. “Questa è un’enorme e storica vittoria per noi, non potevamo sperare di più”, ha commentato al New York Times Kenzi Riboulet-Zemouli, un ricercatore indipendente per la politica sulle droghe. “Ci auguriamo che questo consentirà a più paesi di creare strutture che consentano ai pazienti bisognosi di accedere alle cure”, aggiunge Dirk Heitepriem, vicepresidente della società canadese Canopy Growth.

Un vittoria, aggiunge l’Associazione Luca Coscioni, della scienza. Le raccomandazioni dell’Oms, infatti, sono state elaborate sulla base della letteratura scientifica prodotta negli anni e finalmente la scienza e il progresso scientifico diventano elementi chiave per aggiornare le decisioni di portata globale. “La decisione di oggi toglie gli ostacoli del controllo internazionale, imposti dal 1961 dalla Convenzione unica sulle sostanze narcotiche, alla produzione della cannabis per fini medico-scientifici”, commenta Marco Perduca, coordinatore della campagna Legalizziamo!, dell’Associazione Luca Coscioni.

mercoledì 2 dicembre 2020

IL DISATTESO ARTICOLO 53 DELLA COSTITUZIONE

La discussione marginale alla pandemia sulle risorse da destinare non solo all'emergenza che ormai è piuttosto un'abitudine,si destreggia tra il Mes,recovery fund ed altre misure al tavolo del governo per accaparrare più tanti soldi in un lasso di tempo sempre più stringente.
Ogni tanto la discussa e criticata tassa patrimoniale riesce ad emergere ma è subito sommersa dalle notizie che riguardano l'argomento sci e le relative riaperture invernali delle località turistiche fino a quelle più frivole sulla messa di Natale,certamente motivo di assembramento visto che notoriamente la maggior parte dei presunti fedeli vanno alla funzione solamente alla vigilia.
L'articolo(https://comune-info.net e-ora-che-paghino-i-ricchi )parla nuovamente della possibile patrimoniale,di tutti i benefici che la collettività ne ricaverebbe e porrebbe fine a tutte le polemiche e le levate di scudi verso un'inezia della popolazione italiana,come se tutti fossero diventati ricchi tutto d'un tratto quando semmai è vero il contrario.
Come già più volte ripetuto(madn patrimoniale-subitoe-non-solo )questo tipo di tassazione è giusta e prevista dalla Costituzione visto che l'articolo 53 dice testualmente:"Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.Il sistema tributario è informato a criteri di progressività",solo che tale gradualità è ferma dal 1974 naturalmente avvantaggiando chi percepisce più reddito,tant'è che se si fossero tenuti i parametri di quarantasei anni fa le aliquote Irpef sarebbero oggi tra il 12 e l'86% mentre la forbice va dal 23 al 43%.

È ora che paghino i ricchi.

Marco Bersani 

Quale parte di questa affermazione non è chiara al governo e a tutto il parlamento? Proviamo a spiegarlo con due esempi. Grazie alla libertà di movimento dei capitali, ai paradisi fiscali e ai paesi a fiscalità agevolata, in Italia ogni anno sfuggono oltre 10 miliardi di euro, una somma che potrebbe servire a pagare lo stipendio a 380 mila infermieri. Vogliamo provare ad esigere dall’Europa che la tassazione delle multinazionali sia pagata nei paesi dove operano e non dove hanno collocato la sede legale? Esempio n.2: in Italia non tutti se la passano esattamente male: le persone con un reddito tra i 200mila e il milione di euro sono 1,5 milioni, 400 mila superano il milione e 36 di loro passano il miliardo. Vogliamo applicare da subito una tassa patrimoniale progressiva, finendola con la narrazione dello Stato che non può mettere le mani nelle tasche degli italiani? Un grande interrogativo ci attanaglia da tempo ma ora ha cominciato a rendere i nostri sonni più agitati: che sia venuto il momento di abbandonare la febbrile discussione sui campi di sci?

In attesa che la fondamentale discussione sull’apertura o meno dei campi da sci trovi una conclusione consona alla statura politica e culturale del Paese, è forse giunto il momento di spiegare a governo e classe politica che il rilancio dell’economia – di questa economia – assomiglia alla ruota del criceto, che, per quanti sforzi faccia, si ritrova costantemente al punto di partenza.

Il fatto è che l’idea di essere tutt* sulla stessa barca fa acqua da tutte le parti, e stare su un barcone o su uno yacht non sono solo due modi diversi di viaggiare.

Governare significa scegliere da quale punto osservare il mondo, e la pandemia obbliga a decidere se questo modello economico-sociale deve proseguire, costringendo la gran parte della popolazione a scegliere oggi tra reddito e salute e domani tra debito e diritti, o se è ora che si inverta decisamente la rotta.

“È ora che paghino i ricchi”: quale parte di questa frase non è chiara a governo e arco parlamentare? Proviamo a spiegarglielo con due esempi.

Per il primo, ci facciamo aiutare dal rapporto “The State of  Tax Justice 2020” redatto da Tax Justice Network, secondo il quale al nostro Paese ogni anno viene sottratto -grazie alla libertà di movimento dei capitali, ai paradisi fiscali e ai paesi a fiscalità agevolata- un valore di 10,5 miliardi di euro, che, per dare l’idea, garantirebbe la copertura dello stipendio di 380.000 infermieri.

Vogliamo aprire un contenzioso forte dentro l’Europa per imporre che la tassazione delle multinazionali sia legata a dove svolgono l’attività e non a dove hanno collocato la sede legale?

Vogliamo dire che, finché non verrà attuata questa disposizione, non ci sono vincoli finanziari che tengano, e si spende tutto quello che è necessario per assumere medici e infermieri per la sanità pubblica e insegnanti e personale per la scuola pubblica?

Per il secondo esempio, ci facciamo aiutare dallo studio 2019 del Boston Consulting Group sulla ricchezza privata, secondo il quale in Italia le persone “affluenti” (con un reddito tra i 200mila e il milione di euro) sono 1,5 milioni. Oltre a queste, 400.000 persone detengono oltre il milione di euro e 36 di loro sono “Paperoni” che possiedono oltre il miliardo di euro.

Vogliamo applicare da subito una tassa patrimoniale progressiva, finendola con la narrazione dello Stato che non può mettere le mani nelle tasche degli italiani, essendo solo quelle dei ricchi sinora intonse?

In attesa, vogliamo applicare da subito un raddoppio dell’aliquota sulla ricchezza finanziaria (circa 5mila miliardi) oggi tassata al 26%, ovvero meno di un reddito da lavoro di 16.000 euro/anno?

E vogliamo riformare l’Iva, diminuendo quella sui beni di consumo e aumentando esponenzialmente quella sui beni di lusso?

Abbiamo un sistema fiscale che ha perso dal 1974 la progressività stabilita dalla Costituzione, aumentando le tasse per le fasce deboli della popolazione e diminuendole drasticamente per i super ricchi: se avessimo mantenuto i criteri di allora, oggi le aliquote Irpef andrebbero dal 12% all’86%, invece che avere l’attuale vergognosa forbice che va dal 23% al 43%.

Un sistema fiscale che, dal 1974 ad oggi, ha comportato 146 miliardi in meno di gettito, per ovviare al quale lo Stato è ricorso ai mercati finanziari, accollandosi, in virtù degli interessi composti, quasi 300 miliardi di debito, pari al 13% di tutto il debito accumulato (http://italia.cadtm.org/wp-content/uploads/2018/10/Fisco-Debito1-1.pdf).

Come si vede, i soldi ci sono, sono tanti e persino troppi. Il problema è che sono tutti nelle mani sbagliate e vanno ricollocati per uscire dall’economia del profitto e costruire la società della cura.

É venuto il momento di farlo capire con forza a chi continua a discutere solo di discese libere e di digestivo nella grolla a fine giornata.

martedì 1 dicembre 2020

ISRAELE STATO TERRORISTA

La vicenda dell'assassinio dello scienziato iraniano Mohsen Fakhrizadeh,uomo di punta nell'ambito del nucleare e che da due anni aveva una sorta di mirino sulla testa(grazie al discorso dell'aprile 2018 di Netanyahu in merito a prove di un piano segreto iraniano sul nucleare,vedi:madn netanyahu-pagliaccio-nucleare)e dopo essere scampato ad un altro tentativo di uccisione la scorsa settimana è stato fatale l'attentato compiuto da agenti del Mossad che già avevano negli anni scorsi fatto sparire altri colleghi di Fakhrizadeh.
Della vicenda si è parlato molto nel weekend ma non c'è stata nessuna reazione di condanna verso Israele che ha ordito tale attentato in territorio straniero sicuramente appoggiato dalla Cia e dagli Usa vista la recente ultima uscita di Pompeo grande odiatore di Teheran,e dopo l'uccisione del generale Soleimani a inizio anno(madn che-il-conflitto-abbia-inizio )la situazione geopolitica nel complicato scacchiere mediorientale è in fermento di guerra.
L'articolo di Contropiano(assordante-silenzio-sul-terrorismo-di-stato-israeliano )parla del silenzio totale del mondo occidentale riguardo le troppe e violente ingerenze di due nazioni che parlano di pace ma che fanno del conflitto e del terrorismo la loro arma principale nella lotta per l'egemonia del territorio:gli stessi Usa ed Israele che stanno ostacolando ogni tentativo di dialogo tra le parti in causa e che riguardano la strategica nuova figura di Biden che vorrebbe rivedere gli accordi sul nucleare imposti da Trump rimandandoli a quelli stipulati in precedenza(vedi:madn liran-e-il-nucleare ).

Assordante silenzio sul terrorismo di stato israeliano. Qualcuno “avvelena i pozzi”.

di  Sergio Cararo   

Nessuna reazione ufficiale negli Stati Uniti all’ennesimo omicidio di uno scienziato iraniano. Mentre sul New York Times tre diverse fonti dell’intelligence confermano il coinvolgimento israeliano, il presidente uscente Trump si è limitato a rilanciare la notizia su Twitter. Senza commenti.

Il solo che negli Usa ha avuto il coraggio di prendere la parola è stato, paradossalmente, l’ex capo della Cia John Brennan, (in carica dal 2013 al 2017) che ha condannato l’omicidio dello scienziato iraniano Mohsen Fakhrizadeh: affermando che: “È stato un atto criminale e altamente incosciente. Rischia di provocare una rappresaglia mortale e una nuova ondata di conflitto nella regione. I leader iraniani farebbero bene ad attendere il ritorno di una leadership responsabile degli Usa a livello globale e resistere la tentazione di rispondere ai presunti colpevoli”, ha scritto su Brennan su Twitter.

Scontati e malposti appelli alla moderazione sono giunti dal ministero degli Esteri della Germania e dall’Unione Europea. Quest’ultima, tramite un comunicato di un portavoce dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di scurezza, Josep Borrell, ha qualificato l’omicidio dello scienziato come “un atto criminale”. 

La replica iraniana non si è fatta attendere: “Vergognoso che alcuni si rifiutino di opporsi al terrorismo e si nascondano dietro appelli alla moderazione” ha scritto su Twitter il ministro degli Esteri dell’Iran, Mohammad Javad Zarif. Inutile cercare qualche reazione sul sito della Farnesina.

Il nuovo capitolo nel dossier del terrorismo di stato israeliano, con l’ennesimo omicidio di uno scienziato iraniano, meriterebbe reazioni assai più contundenti.

Nell’aprile del 2018, il premier israeliano Netanyahu aveva indicato pubblicamente Fakhrizadeh, in una conferenza dedicata alla minaccia iraniana e invitava i presenti “a ricordarsi questo nome”. 

Prima di Fakhrizadeh sono stati assassinati altri 5 scienziati iraniani con esecuzioni sommarie attribuite al Mossad israeliano. Inoltre questa estate numerose installazioni nucleari sono state oggetto di attacchi e sabotaggi. Il più grave è avvenuto  nel centro atomico di Natanz. Per le autorità si è trattato di un atto di sabotaggio.

L’omicidio di Fakhrizadeh è avvenuto pochi giorni dopo il vertice strategico tra l’uscente Segretario di Stato USA Mike Pompeo, Netanyahu e il principe saudita Mohammed Bin Salman dedicato proprio all’Iran. Un incontro trilaterale che è servito ad avvelenare i pozzi a Biden in Medio Oriente.

L’atto terroristico di ieri intende condizionare le future mosse del presidente Joe Biden, interessato a rivedere la posizione nei confronti dell’Iran. “È evidente che gli omicidi riducono gli spazi diplomatici. Forse ora si capisce meglio la decisione del Pentagono di spostare, qualche giorno fa, in Qatar alcuni bombardieri strategici B 52”, scrive il Corriere della Sera attraverso il suo sempre “ben informato” Guido Olimpio.

Appare chiaro il tentativo israeliano di condizionare la politica della nuova amministrazione Biden nei confronti dell’Iran. Un editoriale del Jerusalem Post, arrivando alla conclusione che “sarebbe un errore storico della futura amministrazione Biden gettare al vento la politica di Trump sull’Iran” scrive testualmente che: 

“Purtroppo Biden ha già espresso il proprio impegno verso il defunto accordo sul nucleare iraniano, mosso probabilmente da un eccesso di reazione alle politiche di Trump, anche quelle positive. Invece di prendere una chiara posizione contro il sanguinario regime iraniano, il neo eletto presidente Biden vorrebbe revocare le sanzioni imposte all’Iran dal presidente Trump, consentendo così a Teheran di sovvenzionare ancora più efficacemente il terrorismo e la violenza in tutta la regione”.

Il fatto che le autorità israeliane intendano impedire con ogni mezzo il ripristino dell’Accordo con l’Iran sul programma nucleare, emerge anche dalle righe successive secondo cui: “Il ritorno a quell’accordo con l’Iran sarebbe anche una decisione estremamente invisa agli stati del Golfo, tra cui alcuni alleati chiave degli Stati Uniti come l’Arabia Saudita, che ha ampliato la cooperazione e i legami con gli Stati Uniti durante la presidenza Trump. Fare appello all’Iran – o per dir meglio, accondiscendere quel regime – significa inviare un messaggio sbagliato a Teheran e un messaggio sbagliato agli alleati americani”.

E’ bene ricordare che secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), il programma nucleare militare iraniano è ormai abbandonato da un ventennio e non ci sono prove che oggi Teheran stia cercando di ottenere l’atomica. Da quando gli Usa hanno abbandonato l’accordo Jcpoa, le riserve di uranio iraniani a basso arricchimento sono aumentate di almeno 12 volte oltre i limiti ammessi dall’intesa.

La stessa Aiea però in questi decenni non ha mai potuto ispezionare gli impianti nucleari israeliani, senza mai forzare la mano e limitandosi ad accettare il fatto che Israele nega di possedere armi nucleari e non ha firmato il Trattato di Non Proliferazione nucleare, che invece è stato firmato dall’Iran.

Insomma un livello di impunità e complicità che appare del tutto inaccettabile. Se qualcuno in giro si mettesse ad uccidere gli scienziati nucleari israeliani quali sarebbero le reazioni?

venerdì 27 novembre 2020

DIEGO ARMANDO MARADONA:IL CALCIO E LA POLITICA

Sono poche le morti di persone che in questi decenni hanno catalizzato l'attenzione del mondo intero e in un periodo non banale dove la principale focus è centrato su tutt'altro e la scomparsa di Diego Armando Maradona è stato un momento di tristezza e di commozione che ha coinvolto milioni di persone e che amano il calcio con maglie differenti rispetto a quelle indossate da lui.
Su tutte quelle della nazionale argentina e del Napoli,con la prima onorata con la vittoria del campionato del mondo 1986 con una partita su tutte contro l'Inghilterra col gol più bello mai siglato e con quello della famosa mano di dios,un riscatto politico che è anche una beffa nei confronti dei britannici da parte di tutta una nazione dopo i fatti di quattro anni prima con la guerra delle Falkland.
E pure a Napoli ci fu una bella rivincita di una città intera che riuscì ad ottenere due scudetti ed una coppa Uefa in un periodo di dominio delle città del nord,dove la Lega muoveva i primi passi e l'odio sociale verso il sud e quello calcistico verso la formazione partenopea ed in particolar modo verso il suo numero dieci era al loro apice.
L'articolo di Contropiano(lultima-finta-di-maradona )racconta tre storie che sono un sunto di quelle che migliaia di persone possono raccontare o portare nel loro cuore che hanno visto in Maradona non solo un idolo sportivo ma anche un uomo che ha aiutato tanta gente in situazioni come la sua di quand'era bambino.
Un personaggio già mito quand'era vivente,amato sia per la sua classe che per la sua fragilità che lo ha reso più umano agli occhi delle folle che lo hanno acclamato in vita e che lo piangono con la sua morte.
Tralasciando chi sta salendo sul carro dei vincitori,o meglio del suo ricordo omaggiandolo con una ipocrisia propria di tanti politici(parlo di quelli nostrani)in un mondo dove Maradona ha sempre portato avanti le sue ideologie appoggiando le battaglie di molti politici del centro e del sud America,Diego è stato molto più di un simpatizzante della sinistra e le sue scelte di apparire a fianco di uomini di grande peso politico e sociale anche internazionale come Castro,Chavez o Morales per citarne solo alcuni sono conseguenza di un carattere fiero che non ha mai avuto timore di essere schierato.
Il secondo contributo di Infoaut(la-mano-de-dios-il-pugno-del-pueblo )sono delle frasi poetiche che spiegano perché Maradona sia stato così tanto influente anche al di fuori del mondo del calcio,e perché milioni di persone siano tristi per la sua morte.

L’ultima finta di Maradona

di  Ivan Trocchia - Vincenzo Morvillo - Italo Nobile   

La città che lo ha accolto come uno di casa, non solo come il dio del pallone. Da qui, giustamente, arrivano decine di omaggi, che testimoniano di un rapporto miracoloso e raro in quello che in genere è solo un business ideologizzato.

*****

Diego e io.

Arrivò in estate, era il 1984. Ero solo un quindicenne e ricordo ancora i caroselli d’auto, i tuffi nelle fontane, all’annuncio dell’avvenuto acquisto. In realtà già da settimane vicoli e strade erano piene di sue immagini, di gadget di tutti i tipi con il suo volto.

Il manager di Diego si era lamentato di ciò perché i prodotti che sfruttavano la sua figura erano sottoposti a stretto, e danaroso , copyright. Se ne fece in seguito una ragione.

Insomma neanche era arrivato e a Napoli si festeggiava come a una vittoria sportiva. Si perché appariva veramente incredibile che “ il più forte calciatore del mondo” venisse proprio a Napoli. No a Torino no a Milano ma a Napoli. Pazzesco.

E me ne resi conto ancora meglio perché ad ottobre di quell’anno con la famiglia ci trasferimmo a Bergamo. Per me , tra i vari dolori del lasciare la città natale, c’era anche quello di non potermi godere le gesta del campione. Mi dicevo, con la mia ingenuità da adolescente: ma come a Napoli arriva Maradona e noi ce ne andiamo?

In realtà vivere a Bergamo ti dava la possibilità di vedere un sacco di partite del Napoli. Milano a pochi km, Atalanta, Brescia e Como in serie A. A volte pure la Cremonese. Verona a un’ora soltanto di treno. E Torino non lontanissima da andare ad espugnare.

L’11 maggio dell’87, il day after, a scuola il professore di latino accettò la mia richiesta di non essere interrogato perché ero campione d’Italia. “Mi sembra giusto”, disse il simpatico prof orobico.

Si perché era chiaro a chiunque che vincere a Napoli non era la stessa cosa che vincere altrove. Nessuna squadra del sud lo aveva mai fatto. Persino la piccola Verona ci era riuscita ma noi no.

Per un pischello come me, catapultato nella ricca Lombardia, allora attraversata dai primi deliri leghisti e con i canali Fininvest già a pieno regime, era difficile parare sempre le cazzate su Napoli e sui meridionali in genere. 

Il primo giorno di scuola che feci a Bergamo, un ragazzo mi chiese se fosse vero che quando passava il boss per strada dovevamo assolutamente salutarlo. Insomma mi chiedevano cose così. Mio padre fin quando non cambiò la targa dell’auto, che era NA, aveva sempre gente che gli suonava addosso. Appena mise quella BG i clacson cessarono. 

Mio fratello che faceva le scuole medie andava ogni giorno a botte con qualcuno perché lo sfottevano in quanto napoletano e terùn. 

E Diego, da ragazzo sveglio e intelligente, seppe interpretare benissimo questi umori. Sia di chi a Napoli ci viveva sia di chi era dovuto andato via.

Una volta in un’intervista affermò che gli bastarono poche trasferte per capire l’andazzo generale che vigeva in Italia. Un odio contro Napoli e contro il Sud che da argentino faticava a comprendere. Capì subito che una vittoria del Napoli non era solo un fatto sportivo ma la rottura di un tabù. Un capovolgimento di prospettiva assolutamente non previsto. Una forzatura culturale.

Basti pensare che il tanto lodato Gianni Brera, al tempo, scriveva e pontificava alla Domenica Sportiva che anche con Maradona il Napoli in quanto squadra del Sud non avrebbe mai potuto vincere uno scudetto. Perché per vincere servono organizzazione e disciplina che i napoletani non hanno, in quanto più inclini a mettersi al sole e mangiare gli spaghetti. Quanto lo schifavo Gianni Brera. 

Ancora a distanza di tanti anni sembra incredibile quel processo d’empatia che si stabilì tra un ragazzo proveniente dalle favelas di un altro continente e la popolazione napoletana. E proprio per questo fu un giocatore odiatissimo. Perché difese, non solo sportivamente, la città. 

Io sono tra quelli che, nell’estate del ’90, nella semifinale dei mondiali tra Italia e Argentina esultò al gol di Caniggia. Come tanti napoletani preferivo la vittoria di Diego a quella della nazionale di un paese che ci discrimina e infanga e che, per quanto mi riguardava, aveva costretto la mia famiglia a lasciare Napoli. 

Avevo già festeggiato nell’82. Poteva bastare. Allora ancora ci credevo che siamo tutti “fratelli d’Italia”. Allora forse ci credevamo un pò tutti. Poi ho capito che noi eravamo i fratellastri.

La partita si giocò proprio a Napoli. Da allora la Nazionale italiana ha sempre evitato di giocare partite importanti al San Paolo. Considerato troppo poco nazionalista. Troppo napoletano. Quindi poco italiano. 

Diego, poi, è uno dei pochi eroi giovanili che col tempo non mi hanno deluso. Anzi col passare degli anni, in contemporanea con il mio impegno politico e la conseguente crescita culturale, l’ex ragazzo di Buenos Aires ha dato ampie soddisfazioni. 

Questa volta lontano dai prati verdi di gioco. Ma vicino alle popolazioni oppresse. Ai paesi sotto attacco dall’imperialismo statunitense. Utilizzando la sua enorme popolarità per sostenere i processi sociali di ispirazione socialista. Con Fidel, con Chavez, con Maduro, ma anche con Lula.

Niente male per un tipo considerato poco più di un tamarro. Per uno che “è solo un drogato”, un alcolizzato. 

La sua fragilità, i suoi eccessi, le sue buffonerie sono stati invece elementi a tutto tondo di un personaggio comunque unico. Eroe e martire contemporaneamente. Vittima di uno showbiz violento e tritatutto come quello del football. Che ti innalza per meglio guadagnarci e che poi ti butta via se non sei più utile alla causa del profitto. 

E’ caduto rovinosamente, poi ha scoperto che esiste tutto un mondo che fa altro che inseguire un pallone, e si è rialzato. Per cadere ancora e ancora perché il ghetto dove sei cresciuto non è solo un luogo fisico ma uno state of mind.

Sono pochi anzi pochissimi i campioni sportivi che hanno avuto una così forte rilevanza extrasportiva quanto Diego. Viene in mente di primo acchito Mohammed Ali. Ma Alì era ideologizzato strutturalmente, Diego invece no. Il bambino d’oro ha fatto tutto da sé, seguendo il cammino tracciato dal connazionale Che Guevara. Il suo tatuaggio più famoso. 

Ciao Diego. Voglio infine ricordarti in quella fantasmagorica e allucinante conferenza stampa, da CT dell’Argentina. Con una qualificazione ai mondiali ottenuta all’ultimo minuto. Ti rivolgesti ai giornalisti, che per settimane ti avevano dipinto come incapace e inadatto, dicendogli soltanto: solo tienes que chuparlo. Appunto . 

Ivan Trocchia

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Monoteismo maradoniano.

Gli dei, ora, stringeranno la mano del dio monoteista. Addio genio maledetto. Porterò in eterno, nei miei occhi, l’incanto sublime della tua poesia scritta coi piedi. E sulla pelle, il gelido fremito che mi avvolgeva un attimo prima che il magma infuocato del goal travolgesse i sensi e l’intelligenza. Fino a perdersi nell’estasi idiota dell’orgasmo. 

Eri la vita che celebra la morte. In ogni suo palpito. Eri il Kairos che si fa eterno. L’atto in cui si smarrisce e si smemora l’azione. 

Resterai per me Dioniso con un pallone tra i piedi. Musica, immagini, versi scritti su un foglio d’erba verde. Il riscatto mai domo di un niño che dalle favelas argentine è partito e ha scalato il Machu Pichu. Sfidando il potere delle sacre icone del Calcio. 

E ha vinto, perché mai ha voluto sedersi a quelle tavole imbandite di nulla. Preferendo le periferie inzaccherate di fango e di pioggia alle celebrazioni squallide di mediocrità vendute in sovrapprezzo. 

Nel cuore il Che, nelle mani il dolore, nella testa la coca e nei piedi Rimbaud. Ti ho amato come fossi il primo amore. Ti ho odiato come se a letto ti fossi portato mille uomini. Ho pianto e ancora piango, quando ti vedo volteggiare folle sui campi. Come un Nureyev su puma e bulloni. 

In questo presente che ha cancellato Mito e Memoria, tu sei l’ultima Leggenda. L’ultima Memoria di un mondo a dimensione d’Uomo. Poeta e guerriero di uno sport che fu. “Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante”, diceva Nietzsche. E tu, tra gli astri cosparsi di bianchi cristalli, hai danzato eiaculando gioia e tragedia. 

Ciao Diego!

Vincenzo Morvillo

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L’ultima finta di Maradona.

Cos’è una finta? E’ far pensare all’avversario di andare da una parte e invece andare ad un’altra. E’ far pensare all’avversario di toccare un pallone e farlo rimanere invece nello stesso posto. E’ far pensare al portiere di mandare il pallone da un lato e mandarlo invece dall’altro. E’ far pensare di voler stoppare un pallone ed invece lasciarlo passare. 

E’ far pensare all’avversario che la realtà andrà in un certo modo e mostrargli invece che può andare in tanti modi diversi. E’ far vedere che il futuro è pieno di possibilità non indagate.

Essere un fuoriclasse come Maradona nel mondo del calcio (e l’analogia la facciamo non con Pelè, ma con Garrincha, anche lui morto prematuramente) è stato un modo di rifiutare la realtà e questo tempo che opprime.

Per lui il talento con le sue finte e le sue magie è stato un modo per fuggire dalla miseria, poi per scappare da una mentalità conformista, infine da un calcio sempre più burocratizzato e corrotto.

Maradona non era un imperatore indiscusso come Pelè, non un leader riconosciuto come Platini, non un professionista postmoderno come Messi. Maradona era uno sciamano, un borderline, un visionario che andava a giocare partite impossibili per gli amici (spesso discutibili) nei campetti fangosi della provincia di Napoli.

E a Napoli aveva trovato la follia, la pentola magica dove far fruttare il suo talento e farne un messaggio per l’umanità intera. 

Non a caso frequentava Fidel Castro5e Chavez: aveva bisogno di un oltre dove lanciare il pallone del destino, il suo e quello di un esercito di appassionati che aveva capito che lui non era solo un calciatore, ma un poeta maledetto, un bestemmiatore che stringeva il rosario nelle mani sempre pronto a combattere con Dio e con qualsiasi autorità.

E’ rimasto famoso per le sue punizioni, dove aggirava qualsiasi barriera, per i suoi cross con l’esterno del piede o di tacco quasi ad accarezzare qualsiasi pallone, con i suoi gol da quaranta metri come a dire che non c’è distanza che la magia non sappia percorrere. 

Ma il ricordo più vivo che abbiamo di lui è quello della mano che ruba il primo goal all’Inghilterra nel 1986. Un gesto con cui è andato oltre il calcio. 

Un gesto scorretto, certamente, ma al tempo uno sberleffo verso una nazione che rappresentava la tradizione ma anche l’arroganza calcistica, una nazione che con la Thatcher aveva fatto guerra proprio all’Argentina (sia pure quell’Argentina indegna dei colonnelli), una nazione che rappresentava per il mondo di lingua spagnola un nemico irriducibile a cui non si concede nemmeno la correttezza.

Poi al poeta hanno tarpato le ali, prima con la storia del doping, poi riducendolo a rinserrarsi in qualche modo sempre di più, facendolo goffamente zampettare come l’albatro di Baudelaire per qualche lustro.

Forse chissà, morti Fidel e Chavez, ha pensato a quell’oltre verso cui lanciare il pallone. Ha capito che con il suo corpo ingrassato non poteva arrivarci. Ed ha progettato l’ultima rete, quella della vittoria definitiva. 

Infatti ci aveva fatto pensare che l’operazione alla testa di pochi giorni fa fosse riuscita ed invece ha fintato ed è andato verso la libertà della sua anima, ormai detenuta da un corpo che si lesionava sempre di più e da un mondo che mortifica la fantasia e l’immaginazione. 

Con un arresto cardiocircolatorio ha stoppato magicamente il pallone discendente della sua vita, ha dribblato come contro l’Inghilterra15 tutti quelli che lo ostacolavano e si è proiettato in rete verso la leggenda.

Italo Nobile

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La mano de Dios, il pugno del pueblo.

Nello stesso giorno di George Best.

Nello stesso giorno di Fidel.

El Dies più forte di tutti i tempi se ne va da quel Dios che gli tese la mano per il gol più scorretto della storia, ma così nobile da far cadere la corona alla Regina.

Un sinistro da rockstar come la sua vita, spericolata a tal punto di divenire distruzione, dribblando la vita e la morte più volte, con lo stile di sempre, anche quando i chili sembravano non consentirlo più.

Un D10s e non un santo.

Lui è il calcio. 

Quello vero. 

Quello delle bestemmie, delle birre a bordo campo, quello sporco, quello che si gioca con le giacche a fare i pali. 

Il calcio umano di chi cade e si rialza, di chi non baratta due spicci con la libertà. 

Di chi non si piega. 

Il calcio di chi non si allena e e non fa diete e se ne fotte del sistema. El Che tatuato sul braccio, una mano sulla spalla da Fidel.

La mano de Dios, il pugno del pueblo.