venerdì 30 giugno 2017

L'AMORE AL TEMPO DEI MANGANELLI

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Non finirò mai di denunciare il fatto che la sbirraglia italiana,oltre che sempre presente a protezione dei ratti di fogna in ogni dove sul suolo nazionale,è partecipe diretta oltre che complice di questi fascisti del nuovo millennio e di tutti i movimenti e gruppi di chiara ispirazione nazifascista.
In altri paesi democratici atti come quello di ieri accaduto a Palazzo Marino a Milano durante un incontro tra i rappresentanti della Rete Nessuna Persona è illegale ed il sindaco Sala,che poi mai si è tenuto causa l'intervento squadrista di una trentina di caccapovnisti,sarebbe stato un normale esercizio democratico e l'intrusione sarebbe stata repressa con interventi della polizia con tanto di fermi.
Invece in Italia no,ancora una volta,l'ultimo caso a Roma(madn stranieri-non-lasciateci-ius-soli-con-i )dove almeno avevano preso qualche manganellata,stavolta è stato impedito l'accesso ai solidali del gruppo di rappresentanti mentre all'interno i fascisti menavano i più deboli con la loro complicità.
Il resoconto preso da Contropiano(fascisti-milano-la-denuncia-dellusb )racchiude il comunicato del sindacato Usb che ha visto un suo delegato portato in ospedale,e la cronaca di Luciano Muhlbauer,ex consigliere regionale di Rifondazione Comunista e presente ai fatti.

Fascisti a Milano. La denuncia dell’Usb e la cronaca di Muhlbauer.

Milano: un rappresentante sindacale USB aggredito da fascisti di Casa Pound sotto gli occhi della polizia.
Oggi giovedì 29 giugno era stato convocato dalla Rete Nessuna Persona è illegale un presidio sotto Palazzo Marino a Milano per rendere note sia alla cittadinanza che all’Amministrazione comunale le richieste in materia di residenza anagrafica riguardante i migranti e le persone comunque senza fissa dimora.
Mentre la delegazione si accingeva a salire le scale per essere ricevuta dal Sindaco Sala, ci si accorgeva che un folto gruppo di circa una trentina di fascisti di Casa Pound erano incredibilmente all’interno della sala consiliare dove aprivano un striscione, contestati da qualche cittadino presente. In un attimo è scattata l’aggressione.
Invitati” ad uscire dalla Digos entravano così in contatto con i compagni della delegazione malmenando duramente uno di loro. Subito informati di quanto accaduto dentro il palazzo comunale, i presenti al presidio, 150 manifestanti della Rete Nessuna Persona è illegale, premevano su un picchetto di poliziotti schierati immediatamente davanti al cancello principale per manifestare ed esprimere concretamente l’antifascismo militante.
Il ruolo svolto dalla polizia si è rivelato in “sintonia” con i fascisti al punto tale che scortandoli fuori dal Comune da una porta laterale, gli hanno permesso di aggredire i primi compagni accorsi nei pressi.
Il nostro dirigente di Usb, Riccardo Germani ha ricevuto pugni e calci in pieno volto. Portato in Pronto Soccorso si sospetta la frattura del setto nasale.
Deve essere chiaro a tutti: che sia a Milano, a Roma o in qualsiasi altra città, Usb non tollererà più qualsiasi aggressione o provocazione da parte di squadracce fasciste.
Luciano Muhlbauer
Un’aggressione neofascista, a suon di calci e pugni, dentro Palazzo Marino, a due passi dall’aula consiliare e dagli uffici del Sindaco, è una cosa che a Milano non si era ancora vista. Sarà un segno dei tempi e della sempre più diffusa tolleranza, istituzionale e non, nei confronti dei gruppi e dei discorsi di estrema destra, ma quanto successo ieri, nel tardo pomeriggio di giovedì 29 giugno, non può essere liquidato con poche parole di circostanza. Quello che è accaduto non è solo inaudito, ma è di una gravità che dovrebbe far scattare finalmente una consapevolezza e una reazione più ampie e diffuse del solito, anche perché i limiti del “solito” sono stati ampiamente oltrepassati. Per questo, anche alla luce di alcune ricostruzioni giornalistiche edulcorate e fantasiose in circolazione, vale la pena raccontare quanto accaduto. Perché non rimangano dubbi.
Ieri in piazza della Scala si stava tenendo il presidio della rete Nessuna Persona è Illegale a sostegno delle proprie richieste e proposte al Comune di Milano, nelle persone del Sindaco e degli assessori competenti (Majorino, Cocco, Rabaiotti), in materia di concessione della residenza anagrafica per le migliaia di italiani e migranti che nella nostra città ne sono prive, non potendo indicare una fissa dimora. Erano presenti attivisti, solidali, intere famiglie e anche richiedenti asilo. Prima delle 18 una delegazione del presidio, una decina di persone, tra cui il sottoscritto, è entrata a Palazzo Marino su invito del capo gabinetto del Sindaco (e non di “alcuni consiglieri comunali”, come erroneamente riportato da alcuni organi di stampa), che intendeva incontrarci in merito alle nostre richieste. Eravamo all’ingresso, davanti al banco dell’accoglienza di Palazzo Marino, e ci stavamo apprestando a salire dal capo gabinetto, accompagnati da alcuni funzionari comunali, quando all’improvviso dal corridoio è sbucato un nutrito gruppo, circa una ventina, di neofascisti, in maggioranza con la testa rasata, accompagnati da agenti della Polizia Locale. Pochi secondi, qualche insulto e poi loro, spavaldi e aggressivi, sono passati quasi immediatamente ai calci e ai pugni, accanendosi in particolare su Santino, tesserato Anpi e attivista di Zona 8 Solidale e soprattutto palesemente il più anziano della delegazione, colpendolo con tre pugni violenti sul viso (anche in questo caso non è vero quello che sostengono alcuni organi di stampa, cioè che i vigili avrebbero “scongiurato” lo “scontro”).

PRETI E SBIRRI CRIMINALI:STESSA RAZZA,STESSE IMPUNITA'

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Non solo a Crema per l'annoso problema dal caso Inzoli,ma a livello nazionale e mondiale per l'incriminazione del ministro del Vaticano Pell,cardinale australiano,si riapre puntualmente il discorso pedofilia nella chiesa.Qui a Crema si esulta e si fanno proclami politici per la dismissione dallo stato clericale(già avvenuta ma poi nel 2014 il ricorso diede ragione a Inzoli)del prete amico di Formigoni e Maroni e capoccia di Cielle,festeggiamenti non si sa per che cosa in quanto nonostante la condanna dello Stato italiano a 4 anni e nove mesi di reclusione non si è mai fatto un giorno di carcere(madn don-inzolilotto-per-mille-e-4-anni-enove mesi ).L'articolo proposto successivamente a quello di più ampio respiro internazionale che riguarda soprattutto la vicenda Pell(left.it )propone il comunicato della diocesi di Crema nella persona del vescovo Gianotti riguardo Inzoli sottolineando che continuerà ad essere membro della chiesa in quanto non scomunicato(cremaonline Crema.+Don+Mauro+Inzoli ).Un poco come succede con le forze dell'ordine che per arrivare ad un processo e ad una condanna definitiva(e si parla di reati gravissimi per giungere a questi casi)in cui comunque non si apriranno mai le porte del carcere,al limite verranno congedati con disonore,per il mondo ecclesiastico succede lo stesso,al massimo si dimette il prete criminale dallo stato clericale.Propongo anche questo articolo sull'effettiva lotta del Vaticano alla pedofilia:left pedofilia-lo-storico-john-dickie-papa-francesco-e-tollerante-al-75-per-cento .
Pedofilia:papa Francesco e i suoi(improbabili)uomini di fiducia.
E così,mentre tutta la stampa e i politici esaltano un capo di Stato straniero per aver puntato l’indice contro le “pensioni d’oro” che lo Stato italiano elargisce sulla base di leggi italiane – facendo finta di non sapere che lo stesso Stato italiano paga profumate pensioni, per dirne una, ai cappellani militari che rispondono agli ordini di quel capo di Stato straniero -, accade che il numero tre dello Stato straniero, guidato dal capo in questione e chiamato da costui a dirigere il superministero più importante: quello della Trasparenza economica e finanziaria, confermi di non essere la persona più adatta a ricoprire un ruolo tanto delicato finendo in grossi guai per questioni di pedofilia. Su Left lo avevamo anticipato oltre un anno fa (vedi il numero 10 del 5 marzo 2016) ma facciamo qualche nome, ché magari qualcuno un po’ distratto non ha capito di chi stiamo parlando.
Lo Stato straniero è il Vaticano, il capo è papa Francesco, il presunto pedofilo superministro dell’Economia della Santa sede è il cardinale australiano George Pell.
La notizia è arrivata in Italia questa notte: Pell è stato incriminato in patria per tre casi di violenza su minori. La notifica di reato – riferisce la radio nazionale Abc – è stata recapitata a Melbourne ai suoi rappresentanti legali dalla polizia dello Stato di Victoria mercoledì 28 mattina. L’alto prelato che fa parte dei cosiddetti C9, i Consiglio dei nove cardinali di fiducia di papa Bergoglio, è stato subito messo in aspettativa dal pontefice per potersi recare in Australia e difendersi personalmente dalle gravi accuse che si sommano a quelle di aver protetto dei preti pedofili e insabbiato decine di casi quando era arcivescovo di Melbourne.
A questo punto è doveroso tornare a marzo del 2016. Precisamente a quando l’esaltatissima – sempre dai politici e dalla stampa nostrana – Pontificia commissione per la protezione dei minori insediata da papa Francesco nel 2014, ha espulso uno dei due componenti laici, l’avvocato inglese Peter Saunders. Come raccontammo su Left, la defenestrazione di Saunders andava messa in relazione alle sue accuse contro il card. George Pell di avere ignorato e coperto per decenni abusi compiuti da oltre 280 sacerdoti. Affermazioni che il superministro dell’Economia di Bergoglio, già arcivescovo di Melbourne e di Sydney, ha sempre respinto senza però riuscire a evitare di deporre dal 28 febbraio 2016 di fronte alla commissione governativa australiana sui crimini pedofili. Tre mesi dopo il cardinalissimo è finito sotto inchiesta per violenze da lui stesso compiute. E ora la notifica di reato.
«Non sono qui per difendere l’indifendibile» aveva detto mons. Pell a Roma ammettendo che la Chiesa ha commesso «errori enormi» consentendo l’abuso di migliaia e migliaia di bambini: troppe denunce arrivate da fonti credibili sono state spesso respinte «in scandalose circostanze» ha osservato il cardinale tentando di smarcarsi. Una linea coerente con la posizione della Pontificia commissione schierata contro i vescovi (Conferenza episcopale italiana compresa) che nelle loro linee guida anti pedofilia non prevedono l’obbligo di denuncia laddove non è imposta dalle leggi “laiche”. «Abbiamo tutti la responsabilità morale ed etica di denunciare gli abusi presunti alle autorità civili» ha ricordato il cardinale O’Malley, capo della commissione. Una responsabilità che però di fatto non sfiora la Santa Sede e chi la guida (sempre quello che critica le pensioni d’oro).
Papa Francesco «non ha fatto nulla per mettere fine agli abusi di matrice clericale sui bambini» disse Peter Saunders alla Bbc poco dopo essere stato espulso dalla Commissione, definendo «oltraggiosa» la nomina dell’amico personale di Bergoglio, mons. Juan de la Cruz Barros Madrid a vescovo di Osorno in Cile sebbene fosse sospettato di aver protetto padre Karadima, un potentissimo sacerdote condannato per pedofilia nel 2011.
Ma non c’è solo questo a mettere in contraddizione la realtà dei fatti con le parole, i proclami, gli avvertimenti e gli annunci di “tolleranza zero” contro la pedofilia che papa Francesco lancia in continuazione appena si trova un microfono davanti.
Va ricordato infatti che tra il 2004 e il 2013 la Chiesa ha espulso 848 sacerdoti responsabili di abusi. Lo dissero con orgoglio nel 2014 i nunzi di papa Francesco a due commissioni Onu (quella per la tutela dell’infanzia e quella contro la tortura). Bene, anzi, male. Per alcuni di questi pedofili la dimissione dallo stato clericale è arrivata SOLO dopo una condanna penale “laica” (come per esempio è accaduto di recente a don Inzoli, alto esponente di Comunione e Liberazione e fondatore del Banco alimentare). Per altri invece si è espresso solo il tribunale ecclesiastico. Era il 2014, dove sono oggi questi pedofili ignoti alla giustizia “terrena”? Non si sa. Come si chiamano? Quanti sono? Non si sa. Gli emissari del papa si rifiutarono di fornire queste notizie agli investigatori dell’Onu che anche per questo hanno accusato la Santa Sede di aver «regolarmente messo al di sopra dell’interesse dei bambini la tutela della reputazione della Chiesa e la protezione dei responsabili». Il monito delle Nazioni Unite ha spinto per caso papa Bergoglio a imporre un cambio di rotta mediante la segnalazione obbligatoria alle autorità civili? La risposta è sempre no. A proposito di pedofilia, come nel caso di George Pell, il superministro della trasparenza, i fatti e la… trasparenza in Vaticano stanno sempre a zero. Mentre la tolleranza viaggia a vele spiegate, o meglio in business class verso Melbourne.

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Crema. Don Mauro Inzoli è stato dimesso dallo stato clericale. Il vescovo Gianotti: "profondo dolore per il male compiuto".

"La Congregazione per la Dottrina della Fede mi ha comunicato la decisione, presa da Papa Francesco il 20 maggio scorso con sentenza definitiva, di dimettere don Mauro Inzoli dallo stato clericale”. Stamattina alle 10, nella sala Rossa dell’espicopio, il vescovo Daniele Gianotti ha spiegato ai sacerdoti riuniti di essere convinto che Papa Francesco “sia giunto a una decisione così grave” dopo aver valutato attentamente “davanti a Dio tutti gli elementi in gioco, per arrivare a una scelta che fosse per il bene della Chiesa e al tempo stesso per il bene di don Mauro: perché nessuna pena, nella Chiesa, può essere inflitta se non in vista della salvezza delle anime, che può passare anche attraverso una pena così grave, la più grave che possa essere inflitta a un sacerdote”.

Preghiera per le vittime
Monsignor Gianotti ha chiesto ai sacerdoti cremaschi di pregare “anzitutto i nostri fratelli che sono stati vittime dei comportamenti che hanno condotto il Papa a questa decisione. A loro, e alle loro famiglie, va ancora una volta tutta la solidarietà mia e della nostra Chiesa, che non può non provare un profondo dolore per il male compiuto da uno dei suoi preti”. Quindi un pensiero per don Mauro: “con lui e per lui ho pregato, perché anche di fronte a un’ora così ardua egli possa sentire su di sé la mano del «Dio che atterra e suscita, / Che affanna e che consola» e far esperienza della Sua misericordia. Don Mauro, in quanto dimesso dallo stato clericale, non potrà esercitare il ministero sacerdotale né presiedere le celebrazioni sacramentali, neppure in forma privata".

Resta un membro della Chiesa”
“Tuttavia – è bene precisarlo – non è scomunicato: resta un membro della Chiesa, un fratello in Cristo; e nella Chiesa è invitato ad attingere, come ogni fedele, alla grazia della Parola e dei Sacramenti, che ci fanno partecipare dell’amore fedele e perdonante di Dio. Chiedo dunque a me e a tutti voi che egli trovi spazio nella nostra preghiera e nella nostra com-passione in Cristo, perché la pena che gli è stata inflitta sia per lui non solo punizione ma anche – e soprattutto – via di conversione, per una nuova comunione con Dio e con i fratelli. E tutti preghiamo perché Dio, nel suo amore fedele, possa ricavare dal dolore di questi anni e di questi giorni, per tutti coloro che hanno sofferto e soffrono per queste vicende, per la nostra Chiesa cremasca e per don Mauro, un frutto più abbondante di perdono, di unità e di pace”.

Il processo, la condanna e il ricorso
Processato dal tribunale di Cremona, il 29 giugno 2016 l’allora "don" Mauro Inzoli è stato condannato a “quattro anni e nove mesi di reclusione per abuso nei confronti di minori, a piede libero, con il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati da minori”. Tenendo conto dello sconto di un terzo della pena previsto per il rito abbreviato il procuratore Roberto di Martino aveva richiesto per il prete cremasco la condanna a 6 anni di reclusione per violenza sessuale. Inzoli aveva risarcito il danno, versando 25 mila euro a ciascuna delle 5 vittime per le quali era stato processato, all’epoca dei fatti minorenni, il più piccolo di 12 anni, il più grande di 16. Il pubblico ministero aveva parlato di un centinaio di casi di abuso, ma ne sono stati accertati una ventina, per la maggior parte prescritti. Contro la sentenza cremonese l’avvvocato di Inzoli è ricorso in appello. Avrebbe dovuto svolgersi una decina di giorni fa ma è stato rinviato al prossimo settembre, forse ottobre.

Da Torlino alla presidenza del Banco Alimentare
Nato a Torlino Vimercati nel 1950, è prete dal 26 giugno del 1976, anno in cui riceve il primo incarico come coadiutore a Monte Cremasco, dove rimane fino al 1981. Tra il 1978 ed il 1982 è insegnante presso il seminario vescovile di Crema, dal 1981 al 1988 è vicario parrocchiale di Casale Cremasco. Dal 1988 al 1992 è rettore dell'istituto Santa Dorotea di Napoli, nel 1991, per un anno, riceve l'incarico di cappellano di Ricengo e Bottaiano, prima di approdare come parroco a Crema, alla Santissima Trinità, che lascerà il 3 ottobre del 2010. Uomo del fare, laureato in filosofia con licenza in teologia, in questi anni ha allineato l’impegno diocesano, quello culturale come rettore del Liceo linguistico di Crema e quello sociale nazionale come presidente del Banco Alimentare e dell'associazione Fraternità.

giovedì 29 giugno 2017

LA CIA A CARACAS


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La stagione dei tentati golpe in Sudamerica lo sappiamo è sempre aperta ed è ben lungi dall'avere una parola fine,e tornando alla questione venezuelana dopo averne parlato circa un mesetto addietro(madn cosa-succede-realmente-in-venezuela )si torna nel paese al di sotto dei Caraibi proprio per un uovo tentativo insurrezionale che ha ancora molti lati oscuri.
Per via dei protagonisti e per l'attacco al centro nevralgico di Caracas dove per fortuna non ci sono state vittime visto l'impiego di un mezzo militare e di granate:l'articolo preso da Contropiano(internazionale-news )parla del tentativo di Oscar Perez e Miguel Rodriguez Torres e di altri apparati militari e polizieschi di fare un golpe e delle reazioni di Maduro e delle forze armate che sono state ancora adesso impiegate per la cattura dei golpisti.
La situazione è ancora in fase di sviluppo e nei prossimi giorni ci saranno aggiornamenti al riguardo in una vicenda che ancora vedono gli Usa e la Cia implicati nelle sorti del Venezuela.

Cosa è accaduto a Caracas. Una ricostruzione dell’attacco alla Corte Suprema.

di Nazareth Balbás
Un elicottero del Corpo per le indagini penali (Cicpc) è stato sequestrato  Martedì e ha compiuto un attentato contro la sede della Corte Suprema a Caracas.
L’attacco armato è stato confermato dal presidente venezuelano Nicolas Maduro, il quale ha detto che l’attacco è stato perpetrato contro la sede del Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) e il Ministero degli Interni, della Giustizia e della Pace, nel centro della capitale.
L’attacco è avvenuto martedì pomeriggio, proprio mentre il presidente era in una cerimonia al palazzo presidenziale di Miraflores, in occasione della consegna del Premio Giornalistico Nazionale.
Secondo le inchieste iniziali e i video rilasciati da uno degli attentatori sui social network, si rileva che uno dei dirottatori del velivolo è Óscar Pérez, ex ministro degli Interni ed ex pilota, l’altro è Miguel Rodriguez Torres, accusato di avere legami con le agenzie di intelligence degli Stati Uniti. Martedì, lo stesso Perez, ex capo del ministero, ha ammesso i contatti con la CIA, ma ha sostenuto che erano sotto gli ordini dal defunto leader venezuelano Hugo Chávez.
Perez, attraverso i social network, ha trasmesso un messaggio che chiede le dimissioni del presidente e la richiesta di elezioni generali: “Oggi stiamo conducendo una azione aereo-terrestre con il solo scopo di restituire il potere al popolo democratico “, si legge la dichiarazione letta prima di perpetrare l’attacco alle istituzioni statali.
Quali sono le reazioni?
Il presidente Maduro ha detto che dopo gli eventi di martedì potrebbe rafforzare piano  Zamora, ossia  un dispositivo di sicurezza destinato a mantenere l’ordine pubblico: “Farò sempre quello che devo fare con molta consapevolezza, in modo molto fiducioso, con molta calma”. Le adiacenze del Palazzo di Miraflores e Fuerte Tiuna sono state militarizzate.
L’ex ministro Rodriguez Torres, presente anche lui sull’elicottero,  ha condannato l’attacco e ha detto che il responsabile non era il suo pilota: “Mi dispiace doverlo negare ancora una volta, signor presidente. Ho sempre volato sull’ elicottero Sebin e il pilota è stato il commissario Pedro Pérez “, ha scritto sul social network.
Ma il Ministro delle Comunicazioni Ernesto Villegas ha confermato l’identità dell’attaccante e ha detto che il velivolo è stato rubato dalla base militare di La Carlota, a Caracas orientale, proprio perchè uno piloti aveva presentato credenziali come ispettore per il trasporto aereo.
Secondo la dichiarazione letta da Villegas, dall’elicottero  sono stati sparati 15 colpi contro l’edificio del Ministero degli Interni e della Giustizia dove c’era una festa per celebrare la giornata del giornalista, alla quale hanno partecipato circa 80 persone. Successivamente, il velivolo si è diretto verso la sede del Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) dove, secondo  la ricostruzione, sono state lanciate 4 granate di “origine colombiana e israeliana”. I giudici della Corte costituzionale erano in seduta e i lavoratori erano nei loro uffici.
Non risultano esserci vittime o feriti. Il Ministro Villegas  ha detto che una delle bombe lanciate contro il Tribunale Supremo di Giustizia  non è esplosa ed è stato raccolta dalle autorità competenti.
Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, si è incontrato con il ministro della Difesa venezuelano Vladimir Padrino López.
Villegas ha annunciato che le Forze Armate “sono state incaricate di catturare” i responsabili dei fatti e ha esortato i venezuelani a dare tutti i particolari circa il luogo dell’atterraggio dell’elicottero.
Il presidente Maduro ha chiamato i leader dell’opposizione riuniti nella Mud, chiedendogli di respingere l’attacco e “prendere le distanze dalla violenza.” Tuttavia, pochi minuti dopo l’attacco, il governatore Henrique Capriles, uno dei leader del’opposizione, ha chiamato a valutare l’evento come un incentivo per mantenere la richiesta di proteste di piazza, la cui solidità è visibilmente diminuita nelle ultime settimane. Una reazione simile è stata quella anche di Freddy Guevara: “Non ci sono ancora abbastanza informazioni sulla vicenda dell’elicottero. L’unica certezza è che la strada deve seguire “, ha scritto sul social network.

INSEGNARE


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Le ultime rivoluzioni in materia scolastica volute da governi apparentemente di origini politiche differenti,in modo particolare da quando si sono uniti i ministeri dell'istruzione con quello dell'università e della ricerca,in maniera uguale hanno portato danni enormi sia agli insegnanti che agli studenti.
Due nomi su tutti quelli delle ex ministre Gelmini(madn domani-si-stacchera-la-spina-alla.scuola in coma? )e Giannini(madn un-salto-nel-buio-per-docenti-e-studenti )che hanno fatto di un oggettivo impoverimento culturale della scuola e di un aumento della precarietà del lavoro d'insegnante lo stesso cavallo di battaglia,portando drastici tagli all'istruzione che stanno proseguendo ancora oggi.
L'articolo di Contropiano(insegnare-passione )è un'intervista al docente,scrittore e storico Alessandro Barbero,noto divulgatore anche televisivo che in poche risposte parla della passione e del mestiere dell'insegnante,delle difficoltà ma anche della bellezza di questo lavoro,della sua retribuzione e l'importanza dei concorsi e dei continui cambiamenti burocratici che si susseguono governo dopo governo.

Insegnare tra passione e burocrazia. Intervista a Alessandro Barbero.

di Daniela Masseroli*
Riportiamo di seguito un’intervista al Prof. Alessandro Barbero, storico e docente universitario, realizzata da PiacenzaSera.it. Sebbene docente in ambito universitario, Barbero riesce a cogliere, in maniera sintetica e semplice, le conseguenze a carico degli insegnanti delle ultime riforme nella scuola, fino all’ultima denominata sarcasticamente “Buona Scuola”. Riforme che hanno portato, tra l’altro, ad un aumento del potere dei dirigenti scolastici, all’introduzione della cosiddetta “meritocrazia”, all’aumento delle burocrazie, anche a causa della pesante riduzione del personale amministrativo e dei collaboratori scolastici. Una disamina quella di Barbero diametralmente opposta a quella dell’ex-ministro Berlinguer, uno dei primi responsabili dell’attacco alla scuola pubblica pensato nell’ambito dell’Unione Europea, che ha attribuito la responsabilità dello stato attuale nella scuola allo statalismo comunista!
*da PiacenzaSera.it
Alessandro Barbero, storico e scrittore italiano, specializzato in storia militare e storia del Medioevo è docente ordinario presso l’Università del Piemonte Orientale.
Autorevole medievalista, è noto al grande pubblico per essere autore di saggi divulgativi sulla storia medievale e su temi come le invasioni barbariche nell’Impero romano, la tarda antichità e la battaglia di Waterloo e per gli assidui interventi nelle trasmissioni televisive Superquark e Il tempo e la storia.
Abbiamo avuto la fortuna di conoscere di persona il professore al Festival della Mente di Sarzana, dove viene invitato ogni anno a tenere conferenze. Si è rivelato essere, anche dal vivo, un insegnante brillante ed una persona dotata di umanità e grande valore. Il professor Barbero ha accettato con molta disponibilità di rispondere alle nostre domande via mail.
Lei è molto apprezzato dagli studenti e dal pubblico che segue le sue conferenze per la sua capacità divulgativa, che cosa vuol dire per lei insegnare?
Per me personalmente è una parte importante ma secondaria del mio lavoro, perché chi insegna all’università ha come compito principale fare ricerca, su quella base è valutato e fa carriera. Insegnare a scuola invece significa dedicare tutto il proprio tempo lavorativo all’insegnamento, e credo che sia uno dei lavori più faticosi e usuranti che esistano, come dimostrano del resto le ricerche sul burn-out degli insegnanti. E’ anche uno dei lavori più belli e gratificanti che esistano, quando si ha passione, e quando c’è un adeguato riconoscimento sociale, senza il quale la passione non basta per evitare la frustrazione.
Molti, dopo aver ultimato il proprio percorso di studi, non riuscendo a soddisfare le proprie ambizioni professionali o per altre ragioni, valutano la possibilità di dedicarsi all’insegnamento come una sorta di ripiego, lei cosa ne pensa? Cosa pensa invece di chi, diventato insegnante per vocazione, ha perso entusiasmo durante la propria carriera professionale?
Non capisco cosa significhi ripiego. Per vivere bisogna lavorare e l’insegnamento è un lavoro di massa, accessibile a chi ha raggiunto un certo livello di istruzione, e preferibile a fare l’operaio o la commessa. E’ ridicolo pretendere che un mestiere praticato in Italia da un milione di persone, e malissimo pagato, sia riservato a chi ha una spiccata inclinazione. Detto questo, ci sono anche molti insegnanti che hanno inclinazione, anzi passione, per questo lavoro, e il fatto che spesso perdano entusiasmo nel corso della loro carriera è in parte un risultato della natura umana, per cui l’entusiasmo giovanile si va perdendo col tempo; in parte un risultato del nostro sistema attuale, che fa di tutto per scoraggiare gli insegnanti bravi (specialmente quelli, noti bene) e far loro perdere entusiasmo.
In Italia gli insegnanti vengono retribuiti allo stesso modo, indipendentemente dal merito, secondo lei è corretto?
Certo che è corretto. Magari non sarà giusto in base a un’etica astratta, ma è certamente opportuno e garantisce una scuola più efficiente. Retribuire diversamente i docenti in base al merito comporta infatti che bisogna decidere come valutare il merito e chi lo valuta, e questo è una grossa complicazione nella vita della scuola; se la valutazione è attribuita ai dirigenti scolastici, costituisce una grave responsabilità, di cui i presidi migliori saranno scontenti, perché non ameranno dover fare discriminazioni, mentre i presidi peggiori saranno contentissimi di poter premiare i loro amici (e in un paese come l’Italia questo succederà spessissimo). Gli insegnanti migliori in genere vorrebbero essere pagati bene, ma non vorrebbero essere pagati meglio dei loro colleghi, perché spesso hanno ideali egualitari, e sanno cosa significa introdurre in una comunità disuguaglianze e privilegi; gli insegnanti peggiori, che diversamente da quelli bravi hanno molto tempo libero, cominceranno a studiare il modo per rientrare fra i premiati, che non sarà di diventare più bravi, ma di scoprire qualche via traversa, ammanicarsi il preside, accettare incarichi aggiuntivi e vuoti, inventarsi progetti inutili; così gli insegnanti migliori, anche se premiati con un aumento di stipendio, saranno comunque amareggiati, ma di fatto senza alcun dubbio in moltissimi casi a essere premiati saranno insegnanti mediocri o pessimi. Si sarà messa in piedi una macchina complessa, che farà perdere molto tempo e fatica a tutti, creerà dissapori, invidie e gelosie, infastidirà i migliori e incentiverà i peggiori. A me pare che sia molto, ma molto meglio continuare a pagare tutti gli insegnanti allo stesso modo.
Per uno studente è più opportuno affidarsi ai consigli di chi, grazie alla propria passione ed al proprio impegno, ha raggiunto i propri obiettivi o dovrebbe ascoltare anche chi non sentendosi realizzato si è abbandonato alla frustrazione?
La risposta è ovvia! Però a quello studente direi che chiedersi come mai fra i suoi insegnanti c’è chi si è abbandonato alla frustrazione sarebbe una grandissima occasione per imparare qualcosa.
Noi riteniamo che i prof del liceo siano di importanza fondamentale per il futuro dello studente, lei cosa ne pensa? C’è un insegnante che è stato particolarmente importante per il suo percorso e che ringrazierebbe?
Sono d’accordo, gli insegnanti del liceo sono decisivi! Io al liceo Cavour di Torino ho avuto una grandissima insegnante di storia e filosofia, la professoressa Petz (che del resto mi capita d’incontrare ancora oggi, quarant’anni dopo l’esame di maturità), ed ecco il risultato…
Ha qualche consiglio da dare a chi aspira a diventare insegnante?
Studiare bene i meccanismi di reclutamento in vigore e tenersi aggiornati sui loro cambiamenti futuri. Il reclutamento degli insegnanti tramite concorso è il vero perno del sistema, è il concorso che deve garantire che la maggior parte degli insegnanti (tutti è impossibile) siano persone di valore; e naturalmente è proprio sui concorsi che la classe politica si è accanita negli ultimi decenni, lasciandoli in sospeso per anni, inventando modi nuovi e cervellotici di assunzione, oppure non assumendo proprio e riempiendo la scuola di precari che vivono in condizioni estremamente frustranti. Chi aspira a diventare insegnante deve sapere che nell’Italia di oggi riuscirsi è un percorso a ostacoli, e deve pianificare molto attentamente il suo percorso universitario, sapendo inoltre che le regole possono cambiare senza preavviso e in modo totalmente irrazionale. Dopodiché, se uno ha la passione ne vale la pena comunque, perché quando l’insegnante è in aula, con una classe di ragazzi che lo apprezzano, lontano da riunioni, burocrazia, perdite di tempo, solitarie e non pagate correzioni di compiti, lezioni private per arrotondare uno stipendio troppo basso, be’, in quelle ore insegnare è davvero il lavoro più bello del mondo.

mercoledì 28 giugno 2017

SCONTO DI PENA PER L'ASSASSINO FASCISTA DI CIRO ESPOSITO

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Spesso dopo alcune sentenze,troppe in Italia,si dice che una persona o un gruppo di esse siano state uccise due volte,ed il caso dello sconto di pena al fascista Daniele De Santis di ben dieci anni su ventisei(Cassazione permettendo)è uno di questi.
E' colui che sparò a Ciro Esposito durante sconti il 3 maggio 2014(madn ciro-esposito ),data della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli,lui ultrà romano legato politicamente a fasi alterne ad An e al Pdl e custode del covo fascista Il trifoglio,ultrà romanista che volontariamente causò la morte di Ciro dopo ben 50 giorni di agonia,ha usufruito di questo sconto di pena per l'assoluzione dall'accusa di rissa.
Il breve articolo di Contropiano(sconto-pena )parla di questa brutta pagina della giustizia italiana e del commento dei familiari della vittima e dell'avvocato di"Gastone"che non si accontenta ancora di questo taglio di condanna.

Sconto di pena per il fascista assassino di Ciro Esposito.

Come sempre, lo sconto per i fascisti è un’abitudine.
La Corte d’Appello di Roma ha ridotto da 26 a 16 anni la condanna per fascista Daniele De Santis, autore dell’omicidio del tifoso napoletano di Scampia, Ciro Esposito.
Esposito era stato gravemente ferito il 3 maggio 2014, prima della finale di Coppa Italia Fiorentina-Napoli, ed è morto dopo 53 giorni di agonia al policlinico Gemelli di Roma.
L’incredibile riduzione di pena – stiamo parlando di un omicidio volontario, eseguito con una pistola – sembra dovuta al fatto che i giudici hanno assolto De Santis dall’accusa di rissa, escludendo l’aggravante dei futili motivi e la recidiva. Come se fare un agguato a tifosi di una squadra di calcio, peraltro in una partita in cui la “squadra del cuore” dell’assassino neanche partecipava, sia da considerare un gesto di un qualche “valore sociale”.
Il magistrato dell’accusa, ossia il procuratore generale di Roma, Vincenzo Saveriano, aveva del resto aperto la via dello sconto di pena chiedendo una condanna a soli 20 anni.
Addirittura insoddisfatto l’avvocato del fascista omicida, ben noto alle cronache romane: “La nostra è una soddisfazione parziale – ha dichiarato Tommaso Politi – la nostra tesi è quella della legittima difesa e per questo faremo ricorso in Cassazione”.
Scioccato invece il legale della famiglia Esposito, l’avvocato Angelo Pisani: “Incredibile… 10 anni di sconto per chi uccide un ragazzo. È tutto assurdo anche se, in ogni caso, ha retto l’impostazione della sentenza di primo grado”.

martedì 27 giugno 2017

QUESTIONE DI SCHEI


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Altro giro ed altro regalo per due banche che sono oltre l'orlo del fallimento e che vedranno un piano di risanamento a spese dello Stato non direttamente immesso nelle loro casse ma in quelle della Intesa San Paolo che si fa da garante gaudente dell'intera operazione.
Che come nel caso di quelle toscane si poteva agire in altri termini come la nazionalizzazione degli istituti di credito,mente si è privilegiata nuovamente la linea degli amici degli amici e di aiuti ai privati(vedi anche:madn banchesocializzare-i-debitiprivatizzare i guadagni ).
L'articolo preso da Contropiano(news-economia )spiega i passaggi tecnici necessari per capire come già le dichiarazioni del governo siano a totale favore di banca Intesa nonostante credano che l'aiuto sia tutt'altro.

Banche venete, uno spudorato regalo ad Intesa SanPaolo.


Ho sentito parlare di regalo ai banchieri. Chi fa questo discorso fa cattiva propaganda“. Il presidente del consiglio Paolo Gentiloni, così come nel caso di Alitalia, ha messo le mani avanti per respingere le critiche che molti – tra cui noi, e tra i primi – hanno sollevato rispetto all’ignobile decreto con cui viene addebitato ai conti pubblici quanto necessario per “salvare” le due banche venete a beneficio esclusivo di IntesaSanPaolo.
Un esborso immediato di 5,2 miliardi, di cui 1,2 per il “fondo esuberi” che dovrà occuparsi di quasi 4.000 dipendenti da licenziare, con “coperture” previste fino a 17. Un punto di Pil, anzi un po’ di più. Quanto dovrebbe crescere l’economia nazionale nell’anno in corso. E questo in un paese che ha appena varato una manovra per rispondere ai diktat dell’Unione Europea, che pretendeva una correzione di almeno lo 0,2% sulle previsioni di spesa. In un paese, insomma, dove il governo – da 25 anni – continua a tagliare spesa sanitaria e pensionistica per ramazzare qua e là qualche centinaio di milioni, ma non batte ciglio quando bisogna “salvare le banche” o aumentare la spesa militare.
A sostegno del governo è intervenuta anche Banca d’Italia tramite il direttore generale Fabio Panetta:E’ sbagliato dire che lo Stato ci perde. Forse ci guadagna, e se ci perde è in maniera ridotta e quindi capace di sopportarlo“, argomentando che “I 4,8 miliardi di esborso di cassa torneranno indietro con la vendita degli attivi. Lo Stato non ci perde, anticipa una somma e aspetta il rientro“. Il problema è che questi “attivi” sono in realtà crediti deteriorati e “sofferenze” della due banche, che Intesa non vuole assumersi e andranno perciò collocati sul mercato tramite una bad bank; roba che nessuno vuole, con qualsiasi ribasso di prezzo.
Era stato lo stesso ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, ideatore del decreto, ad ammettere che “Lo Stato mette a disposizione subito risorse a Banca Intesa per un totale 4,785 mln in termini di anticipo di cassa, relativi a operazioni necessarie per mantenere la capitalizzazione e il rafforzamento patrimoniale di Banca Intesa a fronte dell’acquisizione di queste banche venete”. Precisando oltretutto che l’intervento avviene «con misure che non impattano sul deficit», ma che tuttavia costerà ai contribuenti italiani in termini di aumento del debito: il rapporto debito/Pil, infatti, peggiorerà dell’un per cento del Pil.
Il gioco di specchi è possibile perché il “fondo salvabanche” da 20 miliardi era compreso nella legge di stabilità varata a Natale, dunque non rappresenta una nuova spesa. Solo che allora quella cifra era posta “a garanzia”, ossia non effettivamente spesa; mentre ora lo è. Anzi lo è già stata stamattina, nella misura appunto di 5,2 miliardi.
Non sarà insomma “un regalo alle banche”, ma una nota emessa in mattinata da BancaIntesa precisa che l’impegno dell’istituto torinese è valido solo se il decreto passerà così com’è, seza alcuna modifica: il contratto di cessione di alcune delle attività di Veneto Banca e Popolare di Vicenza, infatti, contiene una clausola risolutiva “che prevede l’inefficacia del contratto e la retrocessione alle banche in liquidazione coatta amministrativa del perimetro oggetto di acquisizione, in particolare nel caso in cui il Decreto Legge non fosse convertito in legge, ovvero fosse convertito con modifiche e/o integrazioni tali da rendere più onerosa per Intesa Sanpaolo l’operazione, e non fosse pienamente in vigore entro i termini di legge“.
Il “perimetro” da rispettare è scritto nero su bianco, come involontariamente ammesso dallo stesso Gentiloni quando ha provato a chiarire il meccanismo: “Intesa prende a suo carico una quantità di debiti e prende a proprio vantaggio la parte sana degli attivi che non sono assolutamente sufficienti a pareggiare la parte sana degli attivi, che prende a proprio carico. Questo è il motivo per cui occorre un intervento dello Stato che non è a vantaggio di Intesa ma è solo a pareggio degli oneri”. Appunto: lo Stato interviene a rimborsare Intesa per la differenza tra “parti sane” e “parti malate”, nonostante che il grosso delle “sofferenze” venga scorporato in una bad bank.
Se non è un regalo questo, non si vede cosa potrebbe esserlo.
Una sola cosa, di quelle dette dal governo, risulta vera: “l’effetto domino è stato scongiurato“, in quanto ad essere salvaguardati saranno “i 2 milioni di clienti, le pmi, l’economia del territorio”. Il fallimento avrebbe infatti impattato su un insieme che comprende 50 miliardi di risparmi, 2 milioni di clienti, tra cui 200 mila imprese.
C’erano alternative? Una sola, anche in questo caso. La nazionalizzazione delle due banche. La spesa miliardaria avrebbe avuto in quel caso un senso: si tutelavano risparmiatori, famiglie e imprese esattamente nella stessa misura, ma acquisendo la proprietà degli istituti – ovviamente da risanare – sarebbe state poste le premesse di un guadagno da parte dello Stato e dunque un risparmio futuro per la spesa pubblica.
Così, invece, è solo un’assunzione di debiti al posto dei “privati”, come per Alitalia, Ilva, Etruria, ecc. Dunque, senza alcun dubbio, un regalo a BancaIntesa (che infatti ricorda al Parlamento di “non fare scherzi, altrimenti salta tutto”).

lunedì 26 giugno 2017

BALLOTTAGGI

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Le elezioni comunali che si sono concluse ieri sera nei luoghi dove c'è stato il ballottaggio,hanno visto un sempre crescente numero degli astenuti ed una sconfitta del centrosinistra(del Pd in particolar modo)ed un aumento delle città passate al centro destra.
Che in molti casi si è trovato unito ma che difficilmente in un contesto nazionale lo sarà viste le differenze enormi tra le varie compagini,che trovano solo la quadra quando parlano di immigrazione e di razzismo.
Fortunatamente Crema non è in mano al centrodestra anche se di pochi punti percentuali,un dato che ora dovrà impegnare la rieletta Stefania Bonaldi per svolgere un lavoro maggiore per i prossimi cinque anni per eliminare le disparità sociali.
Articolo preso da Contropiano:comunali-2017 .

Comunali 2017: cosa dicono i numeri dei ballottaggi.

Per la seconda volta nel giro di una settimana ci si trova a dover sviluppare un avvio di analisi attorno a risultati elettorali principiando dalla constatazione che il totale dei voti validi è molto lontano dalla metà degli aventi diritto al voto.
E’ accaduto nell’occasione delle legislative francesi dello scorso 18 giugno e si verifica di nuovo con l’esito dei ballottaggi delle elezioni comunali parziali svoltesi in Italia domenica scorsa, 25 giugno.
Il totale delle elettrici e degli elettori aventi diritto nei comuni capoluogo (escluso Trapani, per i noti motivi) nei quali si svolgeva il turno di ballottaggio era di 2.172.922 unità.
Il totale dei voti validi assegnati ai candidati sindaci è stato di 940.244 corrispondente al 43,27%: un 40% superato a fatica.
Inutile sottolineare ancora una volta che non si tratta di fenomeni fisiologici o legati alla stagionalità dell’evento: quando la diserzione dalle urne (ormai acclarato che si tratta, in gran parte, di una precisa scelta politica) raggiunge questi livelli è l’intero sistema ad entrare in difficoltà e va a repentaglio non tanto l’illusoria stabilità dei governi, locali o nazionali,ma la tenuta dell’intero impianto democratico.
Nel “caso italiano” sicuramente appare priva di rappresentanza una vasta area politica, quella che si era riconosciuta ed era appartenuta (secondo il concetto del voto di appartenenza prevalente su quello di opinione o su quello di scambio) alla sinistra storica di derivazione comunista e socialista.
Da notare, inoltre, come sia risultata molto alta la percentuale delle elettrici e degli elettori che nel primo turno avevano espresso il loro voto a favore di candidate/i poi esclusi dal ballottaggio che non si sono recati alle urne.
Nel corso del primo turno del 18 giugno l’insieme dei voti raccolti dai candidati che –appunto – sarebbero rimasti esclusi dal ballottaggio è stato di 418.243 voti.
Di questi soltanto 170.315 sono tornati ai candidati presenti al ballottaggio: di conseguenza 247.928 elettrici ed elettori che avevano deposto il loro voto nell’urna scegliendo candidate/i esclusi sono rimasti lontani dai seggi:una percentuale del 59,27%.
Proviamo allora ad entrare nel merito di alcuni aspetti più legati all’analisi degli schieramenti politici.
Appare evidente,prima di tutto, che c’è uno sconfitto ed è il PD con il variegato schieramento di centro – sinistra (schieramento di centrosinistra che, al primo turno, molto spesso non era sicuramente risultato al completo ( a L’Aquila, Parma, Frosinone, Genova, la Spezia – in gran numero – Como, Lodi, Monza, Asti, Lecce, Taranto, Verona, Gorizia liste di sinistra erano presenti al primo turno in forma autonoma).
In ogni caso i candidati sindaci arrivati al ballottaggio e appartenenti a schieramenti imperniati sul PD avevano ottenuto al primo turno 315.761 voti saliti a 377.075 al ballottaggio (più 61.314).
I candidati sindaci arrivati al ballottaggio con lo schieramento di centro destra avevano ottenuto al primo turno 378.658 voti saliti a 458.553 al ballottaggio ( più 79.895).
Grande interesse solleva il raffronto con le elezioni precedenti (2012 in gran parte, ma anche 2013 e 2014) negli stessi comuni nei quali allora si svolse il ballottaggio ripetuto poi nell’occasione di domenica scorsa.
In quel caso i candidati del centro sinistra ottennero 449. 794 voti ( un calo di 72.715 suffragi) e quelli del centro destra 332.710 ( un incremento di 125.843 voti).
Ancora qualche annotazione sparsa riguardante specifiche situazioni.
Tra il primo e il secondo turno il candidato del centro destra (poi eletto Sindaco) ha perduto voti: da 15.868 a 13.218 mentre il suo competitor del M5S è cresciuto molto da 5.099 a 10.859.
Effetto rovesciato a Padova: il candidato del centrosinistra (eletto) ha incrementato il proprio bottino di quasi 20.000 voti (incamerando completamente una lista civica che ne aveva ottenuto 19.000) mentre quello del centrodestra è salito di una cifra inferiore ai 6.000 voti.
L’epicentro del terremoto però per il PD non è Genova (città rossa ma di forti tradizioni democristiane, con la Curia più arretrata d’Italia quella del Cardinal Siri: la città di Taviani, che ha avuto sindaci DC di grande spessore come Pertusio, Piombino, Pedullà) ma La Spezia .
La Spezia è stata davvero la città più rossa d’Italia, con il 75% alla Repubblica e la vittoria nel 1948 al Fronte : la caduta di La Spezia, città fra l’altro d’origine della competitrice perdente alla Presidenza della Regione nel 2015, può davvero essere catalogata come appartenente alla famosa “sindrome di Castellamare”. In ogni caso debbono essere segnalati due dati: il candidato del centro destra ha doppiato quello del centro sinistra nel recupero – voti tra i due turni (oltre 7.000 a 3.600) ed inoltre vanno letti i dati delle precedenti elezioni comunali. Candidato del centro sinistra 21.448 suffragi (oggi 13.771), candidato del centro destra 6.434 (oggi20.636). Quanto abbia giocato l’orrore di Piazza Verdi tocca agli spezzini stabilirlo.
Certo che La Spezia al centro destra rappresenta un segnale molto più forte che non quello che arriva da Genova.
Da notare ancora la vittoria “in discesa” del centro destra a Rieti ottenuta per soli 100 voti di distacco perdendone tra un turno e l’altro 478.
Clamoroso il caso dell’Aquila laddove il centro sinistra ha perso oltre 4.000 voti tra il primo e il secondo turno cedendo il Comune (anche in questo caso sorpasso “in discesa” perché il centro destra nel frattempo ne aveva guadagnati meno di 2.000).
Balzo all’indietro anche a Catanzaro per il centro sinistra arretrato di oltre 4.000 voti in 15 giorni: in questo caso però il successo del candidato di centro destra era dato per inscalfibile e questo ha demotivato il corpo elettorale.
Questi dai possono apparire sufficienti per un primo giudizio politico d’insieme.
Se poi si volesse entrare nel merito delle ragioni politiche di questo stato di cose mi permetto di suggerire tre spunti di riflessione:
1) La politica del Governo. Sarebbe interessante sapere com’è andato il voto nel pomeriggio di domenica scorsa allorquando chi si è recato nei seggi aveva appreso dell’operazione salvataggio Banche Venete; ma è soltanto un esempio;
2) I tanti casi di arroganza e di malgoverno in sede locale (per informazioni rivolgersi ai risultati liguri, a partire nel 2015 da quello regionale e nel 2016 da quello di Savona).
3) La linea politica del PD al riguardo delle condizioni materiali di vita e di lavoro di chi si trova in condizione subalterna ( operai, impiegati pubblici, insegnanti), il vero e proprio tartassamento attuato nei confronti dei pensionati da molti anni considerati parco buoi. L’esaperazione delle sfruttamento e della precarietà verso il lavoro dei giovani in settori particolarmente esposti, pensiamo a chi lavora nell’hi-tech o nella logistica.

sabato 24 giugno 2017

STEFANO RODOTA'

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La notizia della morte di Stefano Rodotà come solitamente accade ha fatto incetta di comunicati di condoglianze prestampate da parte di un po tutti gli schieramenti politici,non so se si sono espressi anche quelli di destra o hanno lasciato passare il fatto,poco importa.
C'è di basilare che molti dei suoi insegnamenti non vadano perduti,un giurista ed accademico prima di tutto ma anche politico con rispettivamente i radicali,il Pci ed il Pds:primo Presidente dell'autorità garante per la protezione dei dati personali e per un mese vicepresidente alla Camera dei deputati.
Lo scorso 2013 nome forte per la candidatura a Presidente della Repubblica,affossato per via del suo main sponsor Grillo(madn il-pd-agli-sgoccioli ),e l'articolo preso da Left(quel-sapere-che-fa-paura-al-potere )riporta un'intervista del 2011 che è ancora di grande attualità,basterebbe togliere il nome di Berlusconi(alla carica in questi ultimi giorni)e sostituirlo con il burattinaio-giullare-puttaniere o semplicemente inadatto di turno.

Quel sapere che fa paura al potere.La grande lezione di Rodotà.

Grande difensore della Costituzione, dei diritti umani e della laicità dello Stato, Stefano Rodotà  ha dato moltissimo al nostro settimanale. Lo salutiamo con profonda gratitudine e commozione, riproponendo le sue parole in  una intervista del 2011 in occasione dell’uscita di un libro che rilegge la storia d’Italia e aiuta molto a capire il presente.

Restituire un pezzo di memoria assume inevitabilmente un significato politico e civile, oggi in Italia. Anche se il professor Stefano Rodotà a proposito del suo Diritti e libertà nella storia d’Italia (Donzelli) si schermisce: «non voglio salire su un cavallo bianco -dice- ho solo cercato di rinfrescare il ricordo di certi fatti. Perché negli ultimi dieci anni anche in Parlamento si raccontano cose che nessuno anni fa avrebbe osato, perché si conosceva la storia di questo paese». Un attacco alla storia, (vedi i manifesti scandalo sulle Br in procura) che va di pari passo con l’attacco del Premier alle istituzioni. E non solo. Su questi temi, in occasione della presentazione del libro al Festival Parole di giustizia il 13 maggio a La Spezia abbiamo rivolto alcune domande al professore emerito di diritto dell’Università La Sapienza.
Professor Stefano Rodotà, dopo aver denunciato l’attacco alla Costituzione, ora lei parla di decostituzionalizzazione. Una deriva ulteriore?
Sì, si usa la riforma della giustizia per eliminare in radice garanzie che la Carta prevede. Là dove, per esempio, è detto che la magistratura dispone direttamente della polizia giudiziaria si leva “direttamente” e si dice “secondo le modalità della legge”. Così una maggioranza qualsiasi potrà far fuori le garanzie sancite dalla Costituzione e protette dalla sua rigidità. E si potrà passare una serie di poteri a maggioranze ordinarie come l’attuale: blindata, che vota qualsiasi cosa. Intanto il Parlamento è stato ridotto a luogo di registrazione passiva della volontà del presidente del Consiglio e l’ altro sistema di controllo, di contropotere, di contrappeso necessario in ogni democrazia- la magistratura- è sempre più preso di mira».
Berlusconi parla di magistrati «eversori», stigmatizza la Corte costituzionale «covo di sinistra». Calunnia, altera la verità, anche quella storica. Perché una parte di italiani continua a credere alle sue falsità?
Questa è la domanda chiave. Di risposta non ce n’è una sola. Al primo punto c’è l’informazione in Italia. Non dobbiamo cadere nella trappola berlusconiana che addita alcuni talk show come eretici nei suoi riguardi quando tutte le ricerche dicono che l’opinione pubblica si forma soprattutto con il Tg1 e il tg5. Che non riferiscono una serie di fatti oppure ne danno la versione di Berlusconi. Perfino l’Autorità delle telecomunicazioni- che pure non brilla di attivismo in queste materie- ha dovuto dire che non si può diffondere ogni giorno un comunicato o un video di Berlusconi Secondo punto: il Premier ha costruito intorno a sé, non “un sogno” come è stato detto, ma un blocco sociale su interessi come l’evasione fiscale. Per lui «l’evasione fiscale è legittima difesa». Da qui l’abbassamento della soglia di tutte le regole. Così accanto alle leggi ad personam, ecco l’eliminazione del falso in bilancio, di cui B. si è servito. Una “semplificazione” che fa scendere la legalità nella stesura dei bilanci. Parlo di un blocco sociale, dunque, costruito sui peggiori aspetti della società italiana come il non pagare le tasse. Anche se qualcosa comincia a scricchiolare: con questa crisi le piccole e medie imprese non riescono a stare sul mercato, i problemi che devono affrontare sono assai più vasti. Poi a tutto questo va aggiunto un terzo elemento: la debolezza dell’opposizione che, a mio avviso, ha regalato forza a Berlusconi.
Berlusconi dice che la sinistra è triste ed «ha una ideologia disumana e crudele». E alla convention dei Liberal del Pd Bill Emmott risponde che non va sottovalutato: «la sinistra ha una cultura del dolore». Così Enzo Bianco rilancia: «dobbiamo sorridere di più». Perché continuare a rincorrere Berlusconi. sul suo terreno?
Per lungo tempo è stata sopravvalutata la capacità di comunicazione di Berlusconi. E si è pensato che adeguandosi al suo modello lo si sarebbe sconfitto. Non è accaduto. Proprio per l’asimmetria di potere: se io scelgo il modello media e i media sono di un altro, lotto con una mano legata dietro la schiena. Intanto si è persa la strada storica del rapporto con la società. Qualcosa, però, sta cambiando. La manifestazione delle donne, degli studenti, del lavoro e del precariato ci dicono di una ripresa di reazione sociale. E non sono più «i ceti medi riflessivi» di cui parlava Paul Ginsborg all’epoca dei girotondi. Ora la reazione che ci si deve aspettare dall’opposizione è che trovi i giusti canali di comunicazione con questo mondo che va in piazza e che ha bisogno anche di una sponda politica. Fin qui le reazioni sono state vecchie, impaurite e sbagliate. Si è detto non possiamo arrenderci al movimentismo. Come se non fosse qualcosa che sta avvenendo nella società…
Dal suo libro emerge l’abisso fra uno Stato ancora in formazione che paventava lo strapotere della Chiesa e gli ultimi quindici anni in cui lei scrive: «si è assistito a pratiche politiche e a leggi che quanto più si avvicinavano alle richieste della Chiesa tanto più si allontanavano dalla Costituzione». Siamo sempre più lontani dal resto d’Europa?
Nettamente e non è una valutazione preconcetta o ideologica. Prendiamo un dato di realtà: si discute in Parlamento di testamento biologico lasciando strada aperta a una posizione della Chiesa veramente violenta che parla di «indisponibilità della vita e di limiti invalicabili». Ora se noi andiamo in Germania, Francia o in Spagna non solo lì le norme sul biotestamento ci sono e da tempo, ma sono in forme tali che in Italia l’opposizione neanche penserebbe di proporle perché verrebbe accusata di chissà quali nefandezze, Siamo prigionieri di questo meccanismo: da noi vengono presentate come questioni di fede questioni che evidentemente di fede non lo sono come il diritto a rinunciare a idratazione e nutrizione forzata. Quelli della Chiesa diventano da noi punti di vista che pesano nella discussione politica al punto da frenarne l’autonomia e l’intelligenza. Perché c’è una presenza della Chiesa più intensa che altrove, ma anche per una politica debole. Per cui il Pdl si presenta come fedele braccio secolare delle volontà del Vaticano e non per reale adesione culturale, ma per averne sostegno. La debolezza della politica italiana ha aperto varchi enormi all’iniziativa della Chiesa.
Il vice presidente del Cnr, Roberto de Mattei ha organizzato un convegno contro l’evoluzionismo e uno sul fine vita in cui si attacca il protocollo di Harvard. Cosa ne pensa?
De Mattei è libero di dire ciò che vuole ma rivestendo una carica istituzionale – perché il vertice del Cnr è nominato dal Governo – ha il dovere di rispettare l’opinione altrui e di non usare il denaro e il ruolo pubblico per fare propaganda a tesi che, per usare un eufemismo, hanno uno statuto scientifico molto debole. Ormai non c’è più confronto, si rifiuta il punto di vista dell’altro quando non lo si ritiene conforme alla propria particolare situazione. E’ il dato devastante introdotto dalla logica del berlusconismo che ha come regola la negazione dell’altro. Lei lo ricordava all’inizio: “tutti comunisti”, “tutti nemici della famiglia”; con questa premessa non è possibile guardare alla società italiana tenendo aperta la discussione. Il punto drammatico è la regressione culturale, che è anche regressione del linguaggio. Uno non si scandalizza moralisticamente della barzelletta di Berlusconi ma della degradazione dell’altro che c’è nel suo linguaggio, che poi è quello leghista. Non a caso si attacca un luogo di formazione del pensiero critico come la scuola pubblica: si vuole azzerare la capacità dei cittadini di valutare. Ma cattiva cultura produce cattiva politica, ed è ciò che stiamo vivendo. Anche per questo quando Donzelli mi ha proposto di rimettere in circolazione quel libretto aggiornandolo ho accettato. In una altra situazione avrei detto no, ci sono molti materiali. Ma oggi si va perdendo anche la memoria dei fatti elementari. Il Premier, per esempio, lamenta di non poter fare provvedimenti. C’è un travisamento della realtà istituzionale tanto che si imputa alla Costituzione e al Parlamento l’impossibilità di muoversi. Ma basta pensare che in un solo anno, il 1970, sono stati approvati l’ordinamento regionale, il divorzio, lo statuto dei lavoratori, le norme sulla carcerazione preventiva, in sequenza rapidissima… E negli anni successivi le norme sulle pari opportunità sul lavoro, l’aborto, la riforma dello stato di famiglia. C’era una cultura politica e in Parlamento si andava per discutere davvero. Non mi meraviglia che un periodo come quello, in cui si attuava la Costituzione per i diritti e le libertà, oggi venga demonizzato.