venerdì 27 aprile 2012

CIELLEGA

La voglia di potere,la sete di soldi e la meschinità sociale porta ad avere strani compagni di letto nel mondo della politica visto che le indagini che hanno portato alla scoperta di appalti gonfiati e tangenti con la conseguente iscrizione nel registro degli indagati di Giuseppe Orsi(amministratore delegato di Finmeccanica),hanno accomunato la Lega Nord con la setta di Comunione e Liberazione.
Due movimenti che ultimamente,ma sappiamo già da decenni,prima erano in combutta per le spartizioni di denaro pubblico e che oggi si sono accasate visto che il vecchio motto"l'unione fa la forza"ha convinto i due leaders Bossi e Formigoni ad unirsi in vincolo patrimoniale.
Naturalmente il divino ed intoccabile Formigoni nulla ha da spartire,candidamente ha affermato,con queste faccende,ma ormai il vaso è colmo e dopo il maxi scandalo del San Raffaele,le inchieste sugli amici fraterni Daccò e Simone oltre all'altra grande vergogna della Fondazione Maugeri le gocce stanno cominciando ad uscire e copiosamente:insomma le alleanze tra Chiesa,Stato e 'ndrangheta stanno sempre più venendo a galla.
Articolo preso dal Corriere della Sera.

INCHIESTA FINMECCANICA

Le accuse dell'ex dirigente a Orsi
«Sei Maserati in cambio di appalti»
«Oltre alla Lega pagata anche Cl». I pm verificano le dichiarazioni
 
NAPOLI - Auto di lusso, lavori di ristrutturazione di una villa in Liguria e soldi che sarebbero stati incassati gonfiando il valore degli appalti. Nell'inchiesta sulle commesse ottenute all'estero da Finmeccanica ci sono nuove accuse che i magistrati devono verificare. Sospetti sull'amministratore delegato Giuseppe Orsi - indagato per corruzione internazionale e riciclaggio - e sulla sua gestione di AgustaWestland, alimentati dalle dichiarazioni di Lorenzo Borgogni, l'ex responsabile delle relazioni istituzionali del Gruppo che da mesi collabora con i pubblici ministeri di Napoli. E nuovi possibili beneficiari dei suoi finanziamenti: oltre alla Lega Nord Borgogni ha indicato Comunione e Liberazione. Più volte si è parlato del rapporto stretto tra lo stesso Orsi e il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, indicato come uno dei suoi sponsor. E adesso si scopre che nel verbale del manager si parla proprio di questi contatti e di possibili passaggi di denaro. Ulteriori accertamenti sono stati disposti dai sostituti partenopei - Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio - che hanno delegato indagini ai carabinieri del Noe, ma hanno anche deciso di affidare una consulenza su tutti i contratti stipulati dall'azienda specializzata nella costruzione di elicotteri fino al maggio scorso, quando Orsi fu chiamato alla guida della holding al posto di Pier Francesco Guarguaglini. E quando Borgogni, travolto dalle accuse di false fatturazioni e finanziamento illecito ai partiti, fu costretto a farsi da parte. Qualche settimana dopo ha fatto sapere ai magistrati di essere disposto a parlare.
Il «sistema»dei fondi
Quello dell'accantonamento di «provviste» di denaro da utilizzare per pagare manager e politici è un sistema che Borgogni conosce bene, visto che anche lui è accusato di averlo applicato. Nel caso dei 12 elicotteri venduti al governo indiano nel 2010 si sta cercando di stabilire quante persone abbiano beneficiato dei «fondi neri» che sarebbero stati creati grazie al sistema delle sovraffatturazioni. Si tratta di un meccanismo neanche troppo sofisticato, già emerso in tutte le altre indagini che riguardano le aziende controllate da Finmeccanica. Il trucco è nella scelta di un mediatore di affari che deve essere disponibile a far figurare compensi molto più alti di quelli che effettivamente percepirà al momento della sigla del contratto. Ed è proprio una parte di questa somma aggiuntiva che, dice Borgogni, sarebbe stata versata in parte alla Lega e in parte a Comunione e Liberazione.
Per gestire la commessa indiana il negoziatore con le autorità di New Dehli è stato Guido Ralph Haschke, ingegnere di Lugano ora indagato per corruzione internazionale e riciclaggio perché sospettato di aver distribuito «mazzette» all'estero per conto di Orsi. Dei partiti italiani si sarebbe occupato invece un intermediario britannico conosciuto con un'identità probabilmente falsa: Christian Mitchell. Si tratta di un uomo che i testimoni d'accusa descrivono come legatissimo ad Orsi. E il sospetto è che Mitchell abbia gestito, oltre ai soldi che sarebbero finiti ai politici, anche una «cresta» da destinare ai manager. Soldi che un investigatore non esita a definire come una sorta di «pensione integrativa» messa da parte e poi intascata da chi ha gestito l'appalto.

Le Maserati e la villa
Sono sei le Maserati che sarebbero entrate nella disponibilità di Giuseppe Orsi, ma intestate al suo autista. Vetture di grande valore che il manager avrebbe ottenuto dai proprietari di alcune società che lavoravano con AgustaWestland quando lui ne era amministratore. Tre auto sarebbero rimaste in Italia, una risulta spedita a Londra e altre due negli Stati Uniti. La circostanza, emersa qualche anno fa in un'indagine milanese, è stata avvalorata ultimamente con nuovi dettagli proprio da Borgogni e per questo si è deciso di verificare sia l'effettiva proprietà delle macchine, sia la loro provenienza. Ma pure di scoprire se davvero rappresentino la contropartita di un affare da milioni di euro che Orsi avrebbe concluso con un'altra azienda italiana.
Nuovi accertamenti saranno effettuati anche sui lavori di ristrutturazione di una villa che si trova a Moneglia, in Liguria, ed è intestata alla moglie di Orsi. I controlli dovranno stabilire se davvero - come risulta dai verbali in mano all'accusa - siano stati effettuati da società assegnatarie di appalti gestiti da Agusta nel settore delle opere civili. Aziende che in questo modo avrebbero restituito al manager i favori ottenuti al momento della scelta delle ditte da impiegare.


26 aprile 2012 | 17:53

giovedì 26 aprile 2012

IL 25 APRILE A CASA CERVI

Ieri si è rinnovato lo spirito che ha unito gli italiani(veri)nel giorno della liberazione nazifascista con una giornata baciata dal sole e cominciata personalmente in Piazza Duomo a Crema col presidio dei compagni de La Forgia,dei Giovani Comunisti e del Comitato in difesa della scuola pubblica,e successivamente a Gattatico(RE)presso Casa Cervi,la grande cascina ora museo della memoria della Resistenza dove vissero i sette fratelli Cervi ammazzati dai fascisti durante la seconda guerra mondiale.(Vedi il sito:http://www.fratellicervi.it/ ).
Qui si sono alternati sul palco l'ex cantante degli Ustmamò Mara Redeghieri,un figlio e dei nipoti dei fratelli Cervi,i nipoti di Placido Rizzotto,Benedetta Tobagi(indignata per la sentenza di Piazza della Loggia),la madre del giornalista Giovanni Tizian(che vive sotto scorta per le sue inchieste sulla 'ndrangheta),il magistrato di stanza a Modena Marco Imperato,il direttore di RaiNews Corradino Mineo,Simone Cristicchi con il coro dei minatori di Santa Fiora,una breve apparizione di Vinicio Capossela ed il partigiano"Comandante Diavolo",al secolo Germano Nicolini.
Due parole le vorrei spendere su Mineo che ha tradito la mia fiducia mettendo a pari livello(parlando di amore per l'Italia)i partigiani coi repubblichini suscitando perplessità nonostante abbia precisato che quella dei Salottini(mi è venutà così)fu una scelta sbagliata,oltre ad aver parole di simpatia per Marine Le Pen(!?).
Positivo il concerto di Cristicchi e del coro maremmano dei minatori di Santa Fiora che ha rallegrato e fatto ballare il pubblico,e sentita e partecipata l'analisi del Comandante Diavolo che rifacendosi spesso a Gesù si è sempre sentito di lottare prendendo le armi per difendere la libertà ed i diritti degli ultimi.
A margine di tutto tanto vino,gnocco fritto e salumi vari,anche se le code per le casse e per le cibarie sono improponibili:la serata si è conclusa in un ristorante di Sant'Ilario d'Enza che ci ha deliziato delle prelibatezze soprattutto suine e vinicole!
Insomma una bellissima giornata passata con amici vecchi e nuovi all'insegna della voglia di non cancellare la memoria e di proseguire la lotta e la vigilanza sui vari movimenti che vorrebbero ideologie tragicamente passate tornare di moda...ma dopo un 25 aprile così sono molto fiducioso!
Alla fine del post,dopo l'articolo tratto dalla Gazzetta di Reggio,una Bella Ciao cantata da Cristicchi e dal coro dei minatori di Santa Fiora.
25 Aprile da sogno: in quindicimila al raduno del Cervi.

Gattatico, cifre da record per la manifestazione alla casa-museo simbolo della Resistenza. Grandi applausi per il partigiano Nicolini, il mitico comandante Diavolo. Entusiasta il giornalista Corradino Mineo alla sua “prima volta” ai Campi Rossi. Emozionata e felice Benedetta Tobagi figlia del giornalista ucciso dalle Br. Storico incontro tra Gelindo Cervi e i parenti di Placido Rizzotto, il sindacalista ucciso dalla mafia

di Andrea Vaccari                               
GATTATICO
Passano le generazioni ma Casa Cervi resiste. Attraverso i volti dei più anziani partigiani, di quelli dei giovani e della vivacità dei bambini. Pensieri, musica e gnocco fritto: ingredienti fondamentali per una giornata della Liberazione ormai diventata un “cult”.Quest’anno, l’onore d’intonare “Bella Ciao” è toccato a Simone Cristicchi accompagnato dai Minatori di Santa Fiora.
STORIE DI CORAGGIO. E’ stata anche l’occasione per un ideale abbraccio tra le due resistenze: antifascismo e antimafia. Gelindo Cervi, il più giovane tra gli undici nipoti di Alcide e figlio di Gelindo ucciso con i suoi fratelli dai fascisti, ha incontrato i fratelli Angelo e Placido Rizzotto, nipoti del sindacalista corleonese Placido ucciso dalla mafia nel 1948. «Ci sono tre date – ha detto Gelindo – che non dimentico mai: 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno. Ho avuto la fortuna di vivere senza conoscere direttamente la guerra ma non posso esimermi dal ricordare le tre tappe della nostra storia che ci hanno portato alla libertà. Ci dobbiamo battere tutti, soprattutto i più giovani, per non ricadere in quello che hanno vissuto i nostri genitori». «Non bisogna mai stancarsi di denunciare le ingiustizie – ha continuato Angelo Rizzotto – e di battersi per la verità. Gli aguzzini di nostro zio non hanno mai scontato un giorno di carcere e i suoi resti rimangono ancora insepolti».
Alle voci di resistenze si è unita Mara Fonti, madre del giornalista Giovanni Tizian e vedova di Peppe, banchiere ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1989: «Il nostro è rimasto un dolore privato. Le mafie non sono solo una piaga del Sud, stravolgono l’intero Paese».
GIORNALISTA RESISTENTE. Uno degli interventi più accorati – introdotti dal giornalista Loris Mazzetti - è stato quello del giornalista Corradino Mineo, direttore di Rai News, alla sua prima visita al Casa Cervi: «Mi sono venuti i brividi a visitare il museo, che considero uno dei luoghi simboli dell’Italia che vuole costruire il proprio futuro. Un futuro che deve partire dai tanti giovani che vediamo in questa splendida giornata: spesso si parla di loro con sufficienza, in realtà hanno tutte le carte in regola per costruire un futuro migliore».
STRAGE IMPUNITA. Sul palco anche i componenti di Caterpillar, tra cui Benedetta Tobagi, figlia del giornalista Walter, ucciso dalle Brigate Rosse. Acclamata con un grande applauso. La Tobagi ha parlato della recente sentenza sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia del 1974, che ha visti assolti tutti gli imputati: «Mi fa un grande effetto avere davanti così tante persone, avrei dovuto festeggiare il 25 aprile a Milano ma ho fatto volentieri un’eccezione per essere qui».
NUMERI DELLA FESTA. Sui prati di Casa Cervi si sono riversate oltre 10mila persone (con punte di 15mila, nel pomeriggio), molte sono arrivate in bici. Il successo è stato confermato da Rossella Cantoni, presidente dell’istituto Cervi: «E’ bello vedere gente motivata – ha affermato – che ha iniziato a popolare Casa Cervi sin da prima mattina. E’ una giornata a tutto tondo, che si trascorre qui dalla mattina alla sera e che è diventata un appuntamento riconosciuto dai giovani, non solo come momento di festa ma anche di riflessione». Imponente la macchina organizzativa che ha permesso la riuscita dell’evento: lo staff di volontari era composto da quasi duecento persone.
25 aprile 2012

lunedì 23 aprile 2012

LA SCALATA ALL'ELISEO

Le elezioni per votare il prossimo presidente che andrà ad insediarsi all'Eliseo tutto sommato hanno confermato le previsioni della vigilia con un Sarkozy in crollo verticale,Hollande con un aumento di voti ma non così clamoroso come quello della Le Pen che con il suo fascistissimo partito del Front National ha ottenuto un buon successo.
E come da pronostico al ballottaggio si vedrà l'Ump del presidente uscente contro i socialisti di Hollande e si sta già tramando per assicurarsi la vittoria,con le solite tresche e promesse che già sappiamo molto guardandoci a casa nostra.
Holland potrà contare sui partiti di sinistra dei vari Mélenchon,Poutou e Arthaud oltre che quelli della verde Joly,con Sarkozy che avrà i voti del Fn e dell'ex Ump Dupont-Aignan,mentre ago della bilancia sarà il bottino del 9% ottenuto dal moderato Bayrou,che è troppo di sinistra per stare con l'attuale presidente e troppo di destra per stare coi socialisti,insomma un Casini francese che va dove tira il vento.
Interessante è lo speciale offerto dal Corriere della sera (http://www.corriere.it/esteri/speciali/2012/francia-elezioni-presidenziali/ )con un altra utile scheda che porta i risultati delle votazioni divisi in regioni e province,dove si evince che la destra trionfi nelle zone di confine con Italia e Germania oltre che nel Champagne-Ardenne e la Corsica,con la provincia meridionale di Gard che risulta sia la più affezionata a Marine Le Pen,mentre le zone pirenaiche,quelle della costa sud che si affacciano sull'Atlantico e tutte quelle costiere del nord sono socialiste,con zone tipo quelle basche dove invece il FN non è proprio di casa.

Francesi alle urne: affluenza all'80%, boom dell'estrema destra di le pen al 17,9%

Ballottaggio Hollande-Sarkozy per l'Eliseo

Il candidato socialista al 28,6%, il presidente uscente crolla al 27,1% e dice: «Voto di crisi, ma la battaglia continua»
francesi alle urne: affluenza all'80%, boom dell'estrema destra di le pen al 17,9%
Ballottaggio Hollande-Sarkozy per l'Eliseo
Il candidato socialista al 28,6%, il presidente uscente crolla al 27,1% e dice: «Voto di crisi, ma la battaglia continua»

MILANO - Il primo turno delle presidenziali francesi ha sì registrato l'umiliante, per Nicolas Sarkozy, sorpasso dello sfidante socialista, Francois Hollande ma ha anche reso evidente che il cuore della Francia è sempre di più conservatore e batte a destra. Lo dimostra il successo personale di Marine Le Pen che con il 17,9 ha numericamente superato l'autentico trionfo del padre, Jean-Marie che nel 2002 raccolse il 17% ma scavalcò il premier socialista Jospin e andò al ballottaggio con Chirac.

Sommando - formalmente un gioco improponibile per la 'conventio ad excludendum' dell'intoccabile destra - il 27,1% del presidente uscente al 17,9% di Le Pen si raggiunge il 45,0% contro il 41,9 % dell'addizione - lecita per non dire scontata - del 28,6% di Hollande con il 11,1% di Melenchon e il 2,2% di Eva Joly. Sarkozy ancora di più dovrà sedurre i voti della destra e dovrà farlo senza troppe preoccupazioni se vorrà avere una chance di restare all'Eliseo. Ago della bilancia il centristra Francois Bayrou: nel 2007 riuscì ad arrivare a sorpresa terzo con il 18,57% ma oggi il suo più magro 9,13%, spostandosi da una parte all'altra può essere comunque decisivo.
Sarkozy non molla: Al ballottagio con fiducia» «TUTTI CONTRO SARKOZY» TRANNE LA MERKEL - I dati dimostrano che il popolo francese è «ben deciso a voltare pagina dopo gli anni di Sarkozy», ha detto Jean-Luc Melenchon, che ha totalizzato l'11,1% delle preferenze. Il leader del Front du Gauche ha sottolineato che «il totale dei voti della destra in tutte le sue componenti si è ridotto rispetto al 2007», riconoscendo tuttavia che «l'estrema destra ha avuto un ottimo risultato». Da qui, l'appello ai suoi elettori di «venire tutti il 6 maggio a battere Sarkozy, senza compromessi». Nel frattempo «Angela Merkel continua a sostenere Nicolas Sarkozy», ha detto il portavoce del governo tedesco Georg Streiter a Berlino in conferenza stampa a proposito degli esiti delle urne francesi. «I risultati sono preoccupanti - ha aggiunto - ma aspettiamo che le elezioni si chiudano il 6 maggio».
Hollande: «Con me si apre fase nuova» «LA BATTAGLIA CONTINUA» - Jean-Francois Copè, il segretario generale dell'UMP, il partito di Sarkozy, ha ammesso di aver pienamente compreso il messaggio di «un voto di crisi», lanciando un appello a continuare «la battaglia» in vista del secondo turno delle presidenziali perchè «nulla è ancora perduto». «Il messaggio dei francesi - ha detto Copè su Tf1 - lo comprendiamo in pieno. È il messaggio di un voto di crisi». Ma per Nicolas Sarkozy, ha detto, nulla è ancora perduto, «la battaglia continua in condizioni che saranno diverse». «I due candidati ora hanno un dovere di verità e coraggio - ha proseguito Sarkozy - il momento cruciale è arrivato, il paragone tra i progetti, si tratta di designare colui che dovrà proteggere i francesi per i prossimi 5 anni. Per gli ultimi 5 anni ho esercitato queste funzioni, ne conosco il peso e i doveri». Queste prossime due settimane fino al ballottaggio, «dovranno permettere a tutti voi di fare la propria scelta senza ipocrisie», ha aggiunto Sarkozy, convinto che «possiamo affrontare il secondo turno con fiducia».
Le Pen: «La battaglia è cominciata» «CON ME LA FRANCIA VOLTA PAGINA» - «Questa sera sono il candidato di tutte le forze che vogliono chiudere una pagina e aprirne un'altra»: lo ha detto Hollande visibilmente soddisfatto del risultato del primo turno: «Il primo risultato è che stasera sono primo e sono nella situazione migliore per diventare il prossimo presidente. Ora - ha proseguito - Sarkozy userà la leva della paura per ribaltare il risultato».
Melenchon: «Ora fermiamo le destre LA POLEMICA SUI DIBATTITI IN TV - Nicolas Sarkozy ha sfidato il rivale Francois Hollande a tre dibattiti tv rispettivamente su questioni «economiche, sociali ed internazionali». Hollande ha però rifiutato la proposta dello sfidante e sottolinea che ne intende fare uno solo.
IN VISTA DEL BALLOTTAGGIO - Secondo un sondaggio dell'istituto Ipsos al secondo turno Francois Hollande batterebbe Nicolas Sarkozy 54% a 46%.

Redazione Online22 aprile 2012 (modifica il 23 aprile 2012)

sabato 21 aprile 2012

IL METODO ITALIANO

Dall'articolo preso da"Repubblica"si evince che il caso dei marò assassini arrestati in India per l'omicidio di due pescatori sta prendendo una piega maligna per la giustizia con il Ministro della Difesa Di Paola che offre ai familiari delle due vittime 146 mila Euro di soldi pubblici cadauno.
Questa vera e propria mazzetta promessa come risarcimento ha dell'ordinario in uno Stato dove chi è ricco e ha denaro compra la giustizia,senza nessuna retorica e polemica,qui è così ed il metodo italiano mi sa tanto che funzioni pure all'estero.
Ribadendo la mia idea già espressa in altri momenti(vedi:http://lombardia.indymedia.org/node/44641 e http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/03/e-adesso-basta-pero.html )ritengo giusto un processo in terra indiana ed un'eventuale condanna,anche a morte,per questi fascisti in divisa...altro che tutta l'Italia li rivuole a casa o amenità simili,ma anche qui chi ha i soldi fa sentire di più la sua voce.

Caso marò, soldi alle famiglie dei pescatori
Di Paola: "Atto di generosità del governo"

Contatti tra i funzionari del ministero della Difesa italiano e i legali indiani. Saranno versati a titolo di indennizzo 10 milioni di rupie, pari a poco più di 146.000 euro. La moglie di Massimiliano Latorre: "La Difesa ci dia la stessa attenzione". La Corte suprema indiana esaminerà oggi un 'ricorso eccezionale' riguardante la legislazione da applicare (italiana o indiana) alla vicenda
 
NEW DELHI - "E' stato un atto di donazione, di generosita', ex gratia, al di fuori di un contesto giuridico". Così il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, conferma la donazione in denaro alle famiglie dei due pescatori uccisi in India uccisi il 16 marzo scorso al largo delle coste dello Stato del Kerala, India sud-occidentale, e della cui morte sono accusati i marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre 1, che li avrebbero scambiati per pirati. Lo riferisce il quotidiano 'The Times of India', secondo cui a ciascuna della due famiglie dovrebbero essere versati a titolo di indennizzo 10 milioni di rupie, pari a poco più di 146.000 euro. Di Paola, però, nega che si si trattato di un'intesa valida giuridicamente. La decisione del governo italiano, però, provoca la reazione della moglie di Massimiliano Latorre: "Mi aspetto dal ministero della Difesa la stessa attenzione dedicata alle famiglie dei pescatori indiani".

Secondo quanto si legge sul sito di Times of India, "un team composto da funzionari del ministero della Difesa e del ministero degli Esteri italiano hanno condotto nei giorni scorsi i colloqui con i legali che rappresentano le famiglie dei due pescatori, Valentine Jelestine e Ajeesh Pink". Ai colloqui, si legge ancora sul quotidiano indiano, hanno partecipato anche i preti delle parrocchie dei due pescatori che appartenevano alla comunità cristiana
dello stato del Kerala. L'accordo sull'indennizzo, che è stato raggiunto ieri, verrà presentato oggi all'alta corte di Kerala, aggiunte ancora il Times of India.

La moglie di uno dei due pescatori uccisi ha poi confermato di avere presentato una domanda di composizione immediata della vertenza all'alta corte di kochi, dov'è in corso una causa per la giurisdizione, precisando che il governo italiano ha dato il suo assenso a versare un risarcimento mostrando così la sua volontà di risolvere la questione. La vedova del pescatore ha aggiunto che utilizzerà il risarcimento per garantire migliori condizioni di vita ai figli.

Nel frattempo la Corte suprema indiana esaminerà oggi un 'ricorso eccezionale' riguardante la legislazione da applicare (italiana o indiana) alla vicenda. Con questa mossa i legali cercano di accelerare il giudizio sulla giurisdizione. La causa su questa questione è aperta presso l'Alta Corte di Kochi, nello stato del Kerala dove la nave Enrica Lexie su cui viaggiavano i marò è sotto sequestro. Qui però, a causa di un periodo di vacanza, la prossima udienza verrà fissata solo dopo il 20 maggio.

La Corte, intanto, ha rinviato al 30 aprile l'udienza per il rilascio della Enrica Lexie sequestrata a Kochi. Quando stava per dare l'ok alla partenza della nave il giudice ha constatato l'assenza di un documento di notifica alla moglie di uno dei due pescatori morti ed ha disposto il rinvio.

venerdì 20 aprile 2012

I NUOVI DEPORTATI

Un'unica foto scattata sul volo Roma-Tunisi che ritrae uno di due passeggeri tunisini con fascette immobilizzanti ai polsi e nastro per imballaggi sulla bocca ha fatto tanto clamore che più di mille parole.
L'autore del documento è Francesco Sperandeo,filmaker che è riuscito a strappare questo scatto(non so che cosa avessero potuto fargli gli sbirri se l'avessero notato)che rappresenta l'inizio della fine di molti immigrati che vengono fermati per clandestinità o per qualche altro motivo e rinchiusi nei lager che si chiamano Cie,vere e proprie prigioni dove sono stipati in attesa del rimpatrio.
L'articolo di Infoaut preso da Senza Soste parla delle circostanze della foto scandalosa e alcuni commenti riguardo l'ormai non più attuale e romantica"primavera araba"che tanta simpatia aveva portato nel resto del mondo e anche in Italia,parla delle centinaia di morti che il Mediterraneo si è inghiottito e della"normale prassi"che la polizia di uno stato che si ritiene democratico attua per deportare queste persone(per non parlare dei trattamenti ricevuti nei Cie).
Propongo il link di un altro articolo preso da Indymedia Piemonte(http://piemonte.indymedia.org/article/14766 )che raccoglie qualche dichiarazione di politici e non,dove non si vedono nomi appartenenti a Lega e Pdl...ovviamente a loro va benissimo così,chi tace acconsente.
Per info sui Cie vedi anche:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2010/01/morte-sospetta-san-vittore.html , http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2009/05/il-pacco-e-stato-spedito.html , http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2011/06/benemeriti-stupratori.html e http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2009/11/violenza-contro-chi-non-vuole-piu.html .

Deportati a Tunisi con nastro adesivo marrone sulla bocca!
“Guardate cosa è accaduto oggi sul volo Roma-Tunisi delle 9,20 ALITALIA. Due cittadini tunisini respinti dall'Italia e trattati in modo disumano. Nastro marrone da pacchi attorno al viso per tappare la bocca ai due e fascette in plastica per bloccare i polsi. Questa è la civiltà e la democrazia europea. Ma la cosa più grave è stata che tutto è accaduto nella totale indifferenza dei passeggeri e alla mia accesa richiesta di trattare in modo umano i due mi è stato intimato in modo arrogante di tornare al mio posto perché si trattava di una normale operazione di polizia... Normale??? Sono riuscito comunque a rubate una foto! Fate girare e denunciate”.
Questo messaggio accompagnato dalla foto che abbiamo pubblicato sta facendo il giro di tutti i social network della Tunisia e non solo con il testo già tradotto in francese e in lingua araba.
La routine dell'internamento nei CIE e dell'espulsione dei migranti amministrata dalle istituzioni italiane diventa una notizia shock per il mondo che in prima battuta incredulo cerca di osservare al meglio la foto per capire se si tratta di realtà o finzione. E invece è realtà, la realtà dell'Italia infame dei nostri giorni che interna per mesi interi uomini e donne colpevoli di non avere documenti, che li bastona a sangue nell'isola di Lampedusa, che li ingozza di gocce di calmanti durante la detenzione, che ne fa frantumare le ossa mentre tentano di scavalcare il muro spinato, che ne succhia anche l'ultima fibra di muscolo tra gli aranceti del sud e i meleti del nord, e che da stivale tricolore della Fortezza Europa ne pesta le teste mentre affogano in mare.
E' la routine “di una normale operazione di polizia” come da decenni se ne fanno ogni giorno da quando l'attuale presidente della Repubblica firmò il disegno di legge, autografato anche dall'onorevole Turco in materia di immigrazione, che istituì la prassi dell'internamento e della deportazione per i migranti privi di permesso di soggiorno. Governo dopo governo si arriva all'ultima cricca di farabutti capitanata da Berlusconi che per meglio attanagliare la forza lavoro migrante ne ha indurito a dismisura le prassi di controllo e asservimento. Con la Family Padana e il Barbaro Sognante al Ministero degli Interni quel tocco in più di sadismo feudale non poteva che tornare utilissimo per terrorizzare, umiliare e rendere docili quelli che stanno giù in fondo alla piramide dalla base sempre più larga del mercato del lavoro italiano ed europeo! Così si arriva al nastro per pacchi con cui hanno imbavagliato la bocca e alle fascette di plastica bianca con cui hanno stretto i polsi dei due uomini tunisini ritratta nella foto e di cui parla il messaggio indignato di un passeggero di Alitalia. Ma ce l'immaginiamo la scena? Pensiamo che il nastro adesivo marrone sulla bocca i due tunisini se lo sono lasciato mettere senza protestare? E le fascette bianche ai polsi? In che modo si è attuata la “normale prassi di polizia”? Quale circolare ministeriale lascia fare questa “normale prassi di polizia”? Oppure c'è da credere che tutto l'impianto giuridico delle leggi sull'immigrazione ha realizzato un contesto politico, culturale e sociale per cui a un migrante senza documenti è lecito, tra le tante altre cose, anche tappare la bocca con del nastro adesivo per pacchi? Forse quello che avevano da dire, o da gridare era così pericoloso per le orecchie che si è deciso di farli tacere, magari come avranno urlato per mesi e mesi in Tunisia mentre schivavano le fucilate della polizia di Ben Ali, anche su quell'aereo avrebbe risuonato la parola libertà dalle loro labbra, che in arabo si dice “Horria!”, una parola shock che avrebbe tinto di rosso-vergogna lo stivale tricolore!
Cos'è, è già finito l'entusiasmo per i bloggers della rivoluzione tunisina? Il partito di La Repubblica sta volta sta zitto? Manco una penna si indigna mentre si rispediscono come pacchi i figli della “primavera araba”? Che c'è il gelsomino è appassito? Ma si! Ormai è già a pieno regime il nuovo corso che ha fatto stringere con fare gattopardiano la mano di Napolitano con l'emiro del Qatar che dopo aver dato una bella sventolata di mitra ai manifestanti che in Bahrain durante un corteo avanzavano gridando “siamo pacifici!” adesso arriva in Italia per comprarsi un pezzo della Sardegna degli scioperi generali, delle lotte dei pastori e contro la crisi...
Che bravi democratici che siete! Tutti a pendere dalle labbra e ad annuire alle parole dell'emiro delle corone petroliere che non investiva in Italia perché “c'era troppa corruzione” e allo stesso tempo tappate con nastro adesivo marrone la bocca di due uomini tunisini rispedendoli come pacchi nel loro paese di provenienza. Non c'è che dire! Se non che già vi pesa addosso il giudizio dei posteri, per noi assolutamente non consolante, che con ogni probabilità guarderà seguendo una linea retta la storia dei Lager e del “lavoro rende liberi” raggiungere questi primi anni del 2000 tra i CIE, le deportazioni, gli annegamenti in mare e le vite schiacciate in una nuova servitù della forza lavoro migrante... Per noi invece c'è l'urgenza attuale che la lotta per la libertà e la dignità portata come un'onda dai “tunisini di Lampedusa” risuoni sempre più forte nelle nostre piazze e nelle nostre strade al punto di sciogliere fascette bianche ai polsi e strappare via cerotti marroni dalle labbra...
El Tunisiano
tratto da http://www.infoaut.org
18 aprile 2012

giovedì 19 aprile 2012

LA SCHIFOSA STORIA DELLA CAVA ALLA MELOTTA

Uno degli ultimi regali che il consiglio regionale lombardo ha fatto ai propri cittadini riguarda da vicino il territorio cremasco in quanto questi signori ormai alla frutta in una congrega che conta più inquisiti e condannati che il resto(mi riferisco a chi ha votato a favore),hanno approvato la costruzione di una cava di argilla nel parco naturale della Melotta che interessa i comuni di Soncino,Ticengo, Casaletto di sopra e Romanengo.
Il tutto è presente nel piano cave provinciale di Cremona in cui i nostri rappresentanti dell'opposizione avevano fino all'ultimo chiesto di togliere il sito di importante rilevanza naturalistica presente nel cremasco e che alla faccia della bellezza e dell'importanza del geosito del Pianalto della Melotta invece è stato incluso.
Come si può vedere dalla prima e dall'ultima foto prese dal sito del comune di Casaletto di sopra il posto è incantevole ed unico,ricco di specie vegetali e animali e con una storia geologica che vanta migliaia di anni di storia(per una piccola descrizione del pianalto vedi:http://www.comune.casalettodisopra.gov.it/ambiente-e-territorio/parchi-e-riserve.html ).
Costruire una cava in questo ambiente,oltre alla distruzione di un sito dalla reale bellezza,comporterebbe un dissesto idrogeologico rilevante e permanente,intaccando un suolo ricco di falde freatiche che alimentano fontanili,fossi e ruscelli,che in tal modo scompariranno provocando danni drastici per l'agricoltura in quella zona e non solo.
D'altronde siamo purtoppo avvezzi vivendo in Italia a tragedie provocate dall'uomo che costruendo abusivamente e realizzando cave per l'estrazione di materiali inerti dove non si deve,stupra la natura con conseguenze catastrofiche in vite umane e in danni economici.
La foto centrale rappresenta come l'area verrà trasformata(si tratta della cava di argilla di Cartoceto in provincia di Pesaro Urbino)se questa intollerabile e vergognosa decisione dovesse essere messa in pratica:non so quali vie legali si possano intraprendere,se ci si possa rivolgere anche alla comunità europea per poter stoppare i lavori di scavo che sono una vera e propria violenza alla terra e alla natura.
Cocludo"complimentandomi"con assessori e consiglieri che dovrebbero rappresentare e tutelare il nostro territorio(un nome su tutti quel culodilegno ciellino di Rossoni)e invece chissà da cosa mossi(le tasche sue si saranno mosse?)se ne fregano altamente e uccidono la natura scavandoci cave.
Di seguito l'articolo preso da"Crema on-line"(http://www.cremaonline.it/articolo.asp?ID=17219 )e quello preso dal sito di Legambiente che spiega brevemente cosa sia un dissesto idrogeologico.

Pianalto della Melotta. Agostino Alloni, PD: “La maggioranza non esclude lo storico geosito dalla revisione del Piano cave provinciale"
di Rebecca Ronchi
Milano - Ieri in consiglio regionale è stata votata dalla maggioranza la proposta di atto amministrativo che porterà alla revisione al piano cave provinciale di Cremona su proposta del relatore Frosio, della Lega Nord. Il partito democratico, durante la discussione, aveva confermato la volontà di approvare il documento a patto che venisse escluso definitivamente dal piano il geosito del Pianalto della Melotta situato tra i comuni di Soncino, Ticengo, Casaletto di sopra e Romanengo.

Il Pianalto della Melotta
“La nostra richiesta – dichiara il consigliere regionale del Pd Agostino Alloni – guarda con rispetto alla storia di questa parte del territorio costituitosi da oltre 400 mila anni. Abbiamo chiesto che venissero rispettati i quattro vincoli di carattere ambientale e territoriale imposti dal piano territoriale regionale e provinciale, da quello dei comuni e dalla stessa comunità europea. Ma ancora una volta la maggioranza stravolge il territorio infischiandosene dell’unicità della Riserva naturale che con i suoi 3 milioni di metri cubi e 200 metri quadri di superficie supera in estensione lo Stato del Vaticano”.

A sei mesi dalla scadenza
“A sei mesi dalla scadenza – continua - la maggioranza ha deciso di modificare il piano cave provinciale nonostante non vi sia alcuna necessità di offrire nuovo terreno da scavare visto e considerato che l’azienda, per quanto riguarda la giunta, ha una riserva già disponibile di quasi 1 milione e 800 metri cubi".

"Piccole opere compensative"
I comuni di Soncino, Ticengo e Casaletto di Sopra che in cambio di piccole opere compensative hanno dato il benestare a questo scempio ambientale – conclude l’esponente del Pd - non si rendono conto che così facendo consentono di realizzare un’ennesima violenza sul territorio alla quale non si potrà più rimediare”.
Dissesto Idrogeologico

Il dissesto idrogeologico è l’insieme di quei processi (dall’erosione alle frane) che modificano il territorio in tempi relativamente rapidi o rapidissimi, con effetti spesso distruttivi sulle opere, le attività e la stessa vita dell’uomo. Abusivismo edilizio, estrazione illegale di inerti, disboscamento indiscriminato, cementificazione selvaggia, abbandono delle aree montane, agricoltura intensiva: sono tutti fattori che contribuiscono in maniera determinante a sconvolgere l’equilibrio idrogeologico del territorio.
In Italia il rischio frane e alluvioni interessa praticamente tutto il Paese (due Comuni su 3): Calabria, Umbria e Valle d’Aosta sono le regioni più minacciate, insieme alle Marche e alla Toscana. Un territorio estremamente fragile, in cui semplici temporali provocano continui allagamenti e disagi per la popolazione. Le cause vanno ricercate soprattutto nella pesante urbanizzazione e nella speculazione edilizia: fenomeni che sarebbe un errore considerare legati solo al passato. Se al Sud la costante aggressione al territorio continua a manifestarsi principalmente con l’abusivismo edilizio, al Centro-nord si perpetuano interventi di gestione dei fiumi che seguono filosofie tanto vecchie quanto inefficaci, che puntano su infrastrutture rigide invece che sul rispettoso e l’attenzione alla dinamica e all’habitat fluviale: argini realizzati senza un serio studio sull’impatto a valle, alvei cementificati, escavazione selvaggia. Soprattutto, troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire nelle aree di esondazione. Circa due Comuni su tre, infatti, hanno nel proprio territorio abitazioni in aree di golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana. In un terzo dei casi si tratta addirittura di interi quartieri.
Le proposte di Legambiente sul dissesto idrogeologico
I numeri del dissesto idrogeologico

martedì 17 aprile 2012

DECISIONI DANNOSE(PER IL POVERO MA NON PER IL POTENTE)

L'articolo proposto oggi è già vecchio di una decina di giorni ma comunque rimane ancora di stretta attualità visto che nel bene e nel male se ne parla quotidianamente e ampiamente nei notiziari televisivi e nell'informazione cartacea e via web.
Come qui anticipato(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/03/la-stangata.html )la nuova stangata,frutto di imposte vecchie e nuove e comunque aumentate a braccetto della percentuale dell'Iva,studiata dal governo Monti,premia sempre più le amate banche(vedihttp://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2011/11/truffedebiti-e-risarcimenti.html poi http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2011/10/le-banche-e-la-crisi.html e ancora http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2011/12/la-cura-per-le-banche.html )lasciando lavoratori e pensionati a pancia all'aria come tartarughe pronte alla morte.
Il contributo di Indymedia parla di anziani negli ospizi costretti a pagare l'Imu mentre le fondazioni bancarie non avranno questo"onore",mentre continuano aumentando le onerose tasse per chi le tasse è costretto a pagarle care e salate mentre i ricchi non avranno una patrimoniale cui attingere denaro:le banche continueranno ad avere prestiti dalla Bce all'1% mentre li presteranno a imprenditori e lavoratori ancora a percentuali maggiori.
Insomma un altro scandalo dove chi ha provocato la crisi non pagherà ed anzi ne uscirà rafforzato e più potente di prima,mentre i politicanti nemici fino a qualche mese fa(Alfano,Bersani e Casini)si alleano contro l'abolizione dei contributi pubblici ai partiti.

Imu: le fondazioni bancarie non pagheranno Gli anziani ricoverati in ospizio sì.

Gli enti delle banche sono considerati "no profit" e resteranno esenti. Non gli ospiti delle strutture assistite: dovranno versare l'imposta per le abitazioni in cui non abitano e che saranno considerate come "seconde case"
La rata più pesante dell’Imu arriverà sotto forma di “regalo di Natale”. Dopo l’allarme dei Centri di Assistenza Fiscale sull’impossibilità di rispettare le scadenze originarie si è infatti deciso di far pagare la nuova tassa in due tranche. La prima a giugno calcolata con aliquota base (4 per mille per la prima casa e 7,6 per mille negli altri), la seconda a fine anno quando saranno note tutte le addizionali fissate dai Comuni. L’esatto ammontare del secondo versamento si saprà però soltanto il 10 dicembre poiché fino a quella data il governo avrà la possibilità di inasprire ulteriormente il prelievo manovrando addizionali e detrazioni per assicurarsi in ogni caso l’incasso preventivato .
Questa la soluzione individuata durante il passaggio del decreto fiscale in Senato (approvato oggi) per cercare di mettere qualche punto fermo in un quadro dove la confusione regna sovrana. L’esame parlamentare non ha però risolto alcune problematiche evidenziate da media e centri studi nelle scorse settimane. La nuova tassa porta infatti con se una sorta di piccola bottega degli orrori che cresce di giorno in giorno. Abbiamo già dato conto della possibilità che le seconde case sfitte di proprietari benestanti finiscano per avere un trattamento addirittura più favorevole rispetto a prima.
La lista delle iniquità si è però ora arricchita di due nuovi elementi. Il primo è che le 88 fondazioni bancarie del nostro Paese non dovranno versare neppure un centesimo, il secondo è che dovranno invece pagare, e anche tanto, gli anziani residenti negli ospizi proprietari di una casa.
Respingendo un emendamento dell’Italia dei Valori che chiedeva di eliminare l’esenzione il Senato ha confermato che le fondazioni bancarie non dovranno versare l’Imu poiché la loro natura giuridica è quella di enti no profit. Poco importa che queste fondazioni siano gli azionisti più importanti di banche del calibro di Unicredit, IntesaSanPaolo o Monte dei Paschi di Siena e che come tali incassino dividendi milionari. E pazienza se tre anni fa la Corte di Cassazione ha sollevato dubbi sull’equiparazione delle fondazioni bancarie agli altri enti no profit ai fini delle esenzioni fiscali.
Messe in salvo le fondazioni, si colpiscono invece gli anziani ricoverati in ospizio per cui la nuova tassa rischia di tradursi una vera e propria beffa. Se hanno scelto di spostare la loro residenza nella casa di riposo e sono proprietari di un’ abitazione questa verrà tassata come se fosse una seconda casa. Dunque con aliquota più alta e senza detrazioni.
Per loro c’è però ancora una chance per sottrarsi al salasso visto che i Comuni hanno la possibilità di decidere esenzioni o variare le aliquote.
Tirano infine un sospiro di sollievo i proprietari di fabbricati rurali nei comuni montani che godranno di una totale esenzione così come i possessori di fabbricati classificati inagibili o inabitabili.

lunedì 16 aprile 2012

UN'ALTRA VITTORIA PER LO STATO(QUELLO DEI FASCISTI E DEI SERVIZI SEGRETI)

Non c'è molto da commentare se non un'estrema indignazione e vergogna per la parola fine ad un processo che nell'arco di ben 38 anni ha portato all'assoluzione dei fascisti Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Giuseppe Rauti, Francesco Delfino e Giovanni Maifredi per l'attentato di Piazza della Logga a Brescia avvenuta il 28 maggio del 1974,e poco giova sapere che tutti riconoscano che i colpevoli veri sono loro,fascisti,servizi segreti e lo Stato che per l'ennesima volta assolve se stesso(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2009/05/brescia28-maggio-1974.html ).
A differenza degli articoli proposti e presi da Senza Soste sembrerebbe che il Consiglio dei Ministri abbia appoggiato l'idea del Presidente Napolitano di accollarsi le spese processuali in toto,evitando così la beffa ai familiari delle vittime di dovere pagare enormi somme di denaro.

Impuniti: Piazza della Loggia altra strage senza colpevoli.
8 morti e 108 feriti. Una bomba, la Strategia della Tensione e oggi, 40 anni dopo, quattro assoluzioni al processo d'appello contro i presunti colpevoli. Il filmato
28 maggio del 1974. Piazza della Loggia, nel cuore storico di Brescia. Una bomba, collocata in un cestino dei rifiuti esplode alle 10.12 nel mezzo di una manifestazione antifascista, organizzata per esprimere rifiuto e condanna della violenza eversiva dopo una sequela di episodi violenti di marca neofascista che da settimane turbavano la sicurezza della cittadinanza e della democrazia. Otto morti e 108 feriti.
Quasi 40 anni di indagini depistate e di processi altrettanto confusi, nessun colpevole. La Corte d'assise d'appello di Brescia ha assolto Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte e il generale dei carabinieri Francesco Delfino nel quarto processo per la strage di piazza della Loggia, avvenuta nel 1974. In primo grado, il 16 novembre 2010, i quattro erano stati assolti con formula dubitativa.
Poi, l'offesa ultima al comune sentire, certamente di stra corretta interpretazione dei codici. Le parti civili, le femiglie dei morti e dei feriti, condannate a pagare le spese processuali. Prima di leggere la sentenza, il presidente della Corte d'assise d'appello, Enzo Platè, ha ringraziato i giudici popolari per l'impegno e lo scrupolo profusi durante la durata del processo. Dopo il plauso sono mancati gli applausi. L'accusa: "Abbiamo fatto tutto il possibile".
I pubblici ministeri sono detti "sereni perché è stato fatto tutto il possibile". Il procuratore Roberto Di Martino e il pm Francesco Piantoni, titolari dell'inchiesta sulla strage: "Ormai è una vicenda che va affidata alla storia, ancor più che alla giustizia", ha commentato il procuratore Di Martino. La Procura attenderà il deposito delle motivazioni per decidere se ricorrere in Cassazione. Tecnicismi a coprire la vergogna di uno Stato prima colluso e oggi impotente.
Il video della strage
tratto da http://www.globalist.it
14 aprile 2012
Vedi anche
STRAGE PIAZZA LOGGIA: TUTTI ASSOLTI
Lo speciale di Radiondadurto
Strage di Brescia e altre stragi di Stato: la grande ingenuità di chi ha creduto che la magistratura potesse arrivare alla verità senza cambiamenti politici profondi nelle istituzioni coinvolte.
Dopo 38 anni dai fatti, cinque istruttorie e dieci sentenze, il sistema giudiziario non è stato in grado di identificare dei responsabili per la strage di Brescia come per piazza Fontana e l’Italicus. L’assoluzione pronunciata ieri dalla corte d’appello è su tutte le prime pagine dei quotidiani di stamani dove più o meno si grida allo scandalo, si censurano i «depistaggi», «l’impunità», la «storia negata», la «beffa» del risarcimento per le spese di giustizia inflitte ai familiari delle vittime.
Manlio Milani, presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage, si lascia andare davanti a Giovanni Bianconi del Corriere della sera ad alcune considerazioni disincantate: «C’è una catena di ricatti che lega gli uni agli altri, dagli esecutori ai rappresentanti degli apparati, fino ai responsabili politici. Le coperture e i depistaggi son il risultato di questi collegamenti occulti, che negano la trasparenza e mettono in pericolo i presupposti della democrazia. Io temo che questo meccanismo funzioni ancora oggi, su diverse questioni, e se non viene denunciato e smantellato la vita di questo Paese rimarrà sempre inquinata dal gioco dei ricatti».
La verità sulle stragi sacrificata sull’altare del compromesso storico
Milani è convinto che la verità sarebbe potuta venire fuori subito se ci fosse stato nella seconda parte degli anni 70 un diverso atteggiamento politico più deciso nel denunciare le ambiguità istituzionali, «Credo che subimmo – aggiunge – una certa timidezza del Pci dell’epoca che non voleva rischiare di compromettere il rapporto con la Dc. Ma fino a quando la ragion di Stato avrà il sopravvento sulla ricerca della verità?».
La verità sulle stragi sacrificata sull’altare del compromesso storico. Il sospetto di Manlio Milani non è affatto infondato. Il Pci concepiva il ricorso allo strumento giudiziario come una leva per facilitare i suoi scopi politici, così le inchieste subivano accelerazioni o rallentamenti a seconda degli interessi del momento. Ciò spiega la linea della fermezza, il massimo di repressione con tanto di leggi speciali e torture contro la lotta armata per il comunismo, che si mise di traverso alla strategia del compromesso storico, ed al contrario i tentennamenti verso la Dc sulle stragi.
Ma se le cose stanno così e se tutte le inchieste, al di là degli esiti processuali, sono sempre giunte ad una identica ricostruzione del contesto ambientale nel quale ha avuto origine la strage di Brescia, come le altre: i settori del neofascismo del triveneto collegati, infiltrati, inquinati dalla presenza di agenti di varie intelligences Nato e dei nostri apparati, la vera domanda da porre non è forse un’altra: non è stata malrisposta la fiducia riversata verso la magistratura affinché potesse arrivare ad una verità certificata processualmente? Se di mezzo c’è lo Stato con i suoi apparati e le inconfessabili strategie elaborate in sede atlantica, è pensabile l’accertamento della verità da parte della magistratura senza che ciò non proceda insieme ad un mutamento politico radicale delle istituzioni coinvolte?
Non è stata una follia ritenere che la liturgia del processo penale potesse svolgere una funzione terapeutica, favorendo la riparazione psicologica delle vittime?
A nostro avviso si è trattato di una deriva sbagliata, anzi devastante poiché:
a) ha innescato una privatizzazione del diritto di punire;
b) la giustizia processuale ha perso in questo modo il suo ruolo peculiare di ricerca delle responsabilità per rivestire la funzione di ricostruzione clinica della persona offesa;
c) conseguenza che favorisce il rischio di verità giudiziarie di comodo, verità politiche – altrimenti dette “ragion di Stato” – necessarie a placare domande che vengono dall’opinione pubblica o servono a lenire semplicemente la sofferenza dei familiari, ad appagarne il risentimento;
d) devasta la dimensione psicologica delle vittime stesse, messe di fronte all’assurdo paradosso di dover pretendere verità da quello stesso Stato coinvolto nei fatti incriminati;
e) verità che evidentemente non potrà mai venire senza che sia investita la dimenzione del cambiamento politico delle istituzioni coinvolte;
f) ne può uscire soltanto un atteggiamento vittimistico e querulante che di fronte al frustrante fallimento degli esiti processuali, o peggio al mancato appagamento che la scena giudiziaria offre (“la verità giudiziaria non dice tutto”, “i colpevoli nascondono altre verità”, ”la pena deve essere infinità anche una volta sconata per intero”), trascina la figura della vittima in una spirale di risentimento senza fine, di avvitamento rancoroso;
E’ sulla verità storica che occore dunque lavorare. Ciò dipende da quelle categorie, gli imprenditori della memoria, che lavorano con la materia storica ma dipende anche e soprattutto dall’autorganizzazione sociale, dalla capacità di creare le condizioni politiche perché questa verità esca fuori.

Paolo Persichetti

venerdì 13 aprile 2012

UN ESEMPIO SULL'ARTICOLO 18

Prendo spunto da questo articolo preso da Senza Soste dal blogger Marco Guercio(il link è alla fine del post)che dice essenzialmente quel che l'articolo 18 così come lo vorrebberro i politici tecnici presenti al governo avallati da quasi tutte le forze politiche e da troppi sindacati porterebbe il datore di lavoro a licenziare più che facilmente,con o senza giusta causa.
Quest'ultima mascherata da motivo economico o disciplinare potrebbe benissimo mascherare una discriminante verso il lavoratore che pretende a ragione determinati compensi,sicurezze e l'applicazione delle norme che costituiscono la carta dei diritti del lavoratore stesso.
L'esempio riportato è un colloquio tra un operaio licenziato ed un avvocato sulla disputa tra il primo ed il suo padrone,che l'ha lasciato a casa per un chiaro motivo discriminante e che,a detta del proprio difensore,non saprà se sarà reintegrato al suo posto oppure venga solamente risarcito con un'indennità o che la sua richiesta non venga nemmeno accettata.
Il tutto perché la norma scritta com'è adesso è ambigua e anche nel caso di aver ragione l'operaio licenziato potrebbe non venire reintegrato ma solamente indennizzato,e questo a discrezione del giudicante.
Come a dire,hai ragione,ti diamo un contentino ma comunque il tuo padrone è riuscito ad ottenere quel che voleva,ovvero lasciarti a spasso,una legge tutta italiana.

Art. 18: ecco quel che sarà
Dialogo immaginario fra un licenziato e un avvocato dopo la truffa della riforma dell'art.18
Proviamo ad immaginare un dialogo tra un lavoratore licenziato, a suo dire, ingiustamente e l'avvocato al quale si rivolge per ottenere giustizia. Ovviamente dobbiamo immaginare che questo dialogo si svolga dopo l'entrata in vigore di questa legge di riforma dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori che ho giù definito “idiota” ma sto ancora cercando il termine più corretto che, tuttavia, al momento non mi sovviene.

Ebbene, sipario:


Avvocato: “Buongiorno, mi dica”

Lavoratore: “Avvocato, guardi questa lettera. Mi è arrivata stamani. Mi hanno licenziato. Dice: “per motivi economici”.

Avvocato: “Mi faccia vedere. Dunque, l'azienda è la Furbex S.r.l., un'azienda di trasporti; che lei sappia ha più o meno di quindici dipendenti?”

Lavoratore: “Ne avrà una trentina”.

Avvocato: “Ho capito. Dunque, qui dice che l'azienda negli ultimi periodi ha subito una flessione e che le previsioni per il prossimo anno non sono rosee per cui ha deciso di licenziarla.”

Lavoratore: “A parte che non è vero e che lavoriamo più di prima, qui la questione è un'altra. A me mi hanno licenziato perché ho fatto una denuncia all'USL e all'ispettorato per via delle troppe ore di straordinario che facciamo che, visto che il nostro lavoro consiste nel guidare un TIR, mettono a repentaglio la nostra sicurezza e quella degli altri”.

Avvocato: “Lei ha una copia della denuncia che ha fatto?”

Lavoratore: “Certo che ce l'ho e comunque lo sanno tutti i colleghi”

Avvocato: “Che cosa è successo a seguito di questa denuncia?”

Lavoratore: “E' successo un macello. Il capo è venuto subito da me e mi ha minacciato di mandarmi via, mi ha detto che sono un disgraziato e che così rovinavo lui e tutti noi, che non capivo niente”

Avvocato: “Questo dialogo è avvenuto alla presenza di testimoni?”

Lavoratore: “No, eravamo soli”.

Avvocato: “Vada avanti”

Lavoratore: “Niente, si è incazzato con me quella volta lì e poi basta, tutto è continuato più o meno come prima per un paio di mesi, poi è arrivata questa lettera ed eccomi qui. Avvocato, ma si può far qualcosa o no?”.

Avvocato: “Che vuole che le dica... lei da me vuole una risposta secca ed è giusto che la pretenda ma io in tutta onestà una risposta secca alla sua domanda non gliela posso dare e non per cattiva volontà ma perché una risposta alla sua domanda non c'è più”.

Lavoratore: “che vuol dire, mi scusi?”

Avvocato: “vuol dire che prima della riforma dell'art. 18 le avrei detto cose completamente diverse da quelle che lo ho appena detto. Anzi, prima della riforma dell'art. 18 io e lei non ci saremmo neanche incontrati perché il suo capo, che è ben informato e a quanto pare·sa muoversi, non l'avrebbe licenziata”.

Lavoratore: “Avvocato io non ci capisco niente di articoli e sono qui apposta da lei per avere un aiuto. Io so solo che quel bastardo mi ha mandato via perché io ho detto all'USL che io e i miei compagni dormivamo sui camion, guidavamo 13 ore al giorno e nell'ultimo anno gli incidenti stradali erano raddoppiati e gli ho detto anche che ci faceva taroccare i dischi cronotachigrafi per non farci beccare dalla stradale”

Avvocato: “Questo a me è evidente ma ora mi ascolti con attenzione perché le devo spiegare cosa sarebbe accaduto se questo licenziamento fosse avvenuto prima della riforma dell'art. 18 e quello che, invece, accade a seguito di quella stessa riforma. Prima in Italia si poteva licenziare solo in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. Se questi motivi non erano veri e si era in grado di dimostrarlo, si poteva andare davanti ad un Giudice a chiedere la reintegra nel posto di lavoro. Il Giudice, se accertava che quel licenziamento era infondato e cioè era stato posto in essere senza una giusta causa o un giustificato motivo, doveva reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro, condannare il datore a corrispondere tutte le mensilità non percepite dalla data del licenziamento a quella della effettiva reintegra oltre ad un eventuale ulteriore risarcimento del danno. Quindi nel suo caso, tanto per capirci, se lei mi avesse fatto quella domanda che mi ha fatto prima e cioè “si può fare qualcosa?” io le avrei risposto “si”.”

Lavoratore: “E invece ora?”

Avvocato: “E invece ora le devo rispondere “non lo so” e non perché non abbia studiato a fondo la riforma ma proprio perché l'ho studiata a fondo. Le spiego: dopo la riforma la reintegra obbligatoria è prevista solo per i licenziamenti discriminatori. Per quelli disciplinari e per quelli per motivi economici il giudice, se accerta che il licenziamento è illegittimo non è automaticamente obbligato a reintegrare il lavoratore ma può scegliere tra la reintegra e un risarcimento del danno da 12 a 24 mensilità. Le leggo la norma “Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza dei fatti contestati ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni della legge, dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione”. Quindi se il giudice decide che i fatti contestati sono insussistenti c'è la reintegra. La norma dopo la riforma però poi dice anche: “Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.”. Quindi se il giudice decide che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo o della giusta causa il giudice non reintegra ma stabilisce un risarcimento del danno.”

Lavoratore: “E quindi?”

Avvocato: “E quindi che differenza c'è tra dire che i fatti posti a fondamento del licenziamento non sussistono e dire che non ricorrono gli estremi del licenziamento?”

Lavoratore: “Non lo so”

Avvocato: “Ecco, non lo so nemmeno io e senza troppa modestia le posso dire che non lo sa nemmeno quello che ha scritto questa schifezza”.

Lavoratore: “Ma scusi e allora io cosa devo fare?”

Avvocato: “Lei può impugnare il licenziamento prima con una lettera che deve inviare entro 60 giorni al datore di lavoro e poi, nel caso in cui, come sempre avviene, questa lettera non sortisca alcun effetto, entro 180 giorni, con un ricorso al giudice del lavoro nel quale deve dimostrare che il licenziamento è illegittimo. Se ci riesce, se ci riusciamo, il giudice dovrà spiegarci cosa significa secondo lui quella frase e decidere se ci troviamo in un caso in cui non ricorrono gli estremi del licenziamento o in un caso in cui i fatti posti a fondamento del licenziamento non sussistono sempre che questa differenza abbia un senso. Nel primo caso le riconoscerà una somma a titolo di risarcimento del danno e nel secondo la reintegrerà nel posto di lavoro”.

Lavoratore: “E secondo lei?”

Avvocato: “Guardi quello che penso io non conta niente. Conta quello che penserà il Giudice ed io non lo so e non lo posso sapere quello che penserà, non so neanche se tutti i giudici la penseranno allo stesso modo, se interverrà la Cassazione, la Corte Costituzionale, il Papa o qualcun altro a farci capire questa cosa incomprensibile”

Lavoratore: “Ma scusi ma il mio non è un licenziamento discriminatorio? Lui mi ha discriminato perché l'ho denunciato o un licenziamento disciplinare? Non si può dire questo?

Avvocato: “In teoria lei ha ragione ma nella lettera di licenziamento il datore di lavoro ha qualificato il licenziamento come “economico” e cioè dipendente da motivazione di ordine produttivo, organizzativo, tecnico, etc. e quindi noi, se impugniamo un licenziamento economico ed il giudice lo ritiene illegittimo comunque non c'è la certezza della reintegra. Mi pare ovvio che se uno è in crisi e ha trenta dipendenti licenziandone solo uno non migliora le cose e quindi il licenziamento è clamorosamente nullo senza bisogno di dare tante spiegazioni.”

Lavoratore: “Insomma, io non ho fatto niente di male, non è vero che l'azienda va male e il motivo per cui sono stato cacciato è perché non volevo morire su un camion o far morire qualcun altro e rivoglio il mio posto di lavoro cosa devo fare?”

Avvocato: “Deve fare quello che lo ho detto ma anche se dovesse vincere la causa, se emergesse, cioè, dall'istruttoria che il suo licenziamento è illegittimo, non le posso assicurare che alla fine verrà reintegrato nel posto di lavoro. Questo è il paese in cui viviamo, mi dispiace”.

Lavoratore: “Mi scusi avvocato io non sono uno che fa piagnistei o fa scene o cose del genere ma a mio figlio che gli devo dire? A mio figlio che cosa devo insegnare dopo questa storia? Che si deve stare sempre zitti altrimenti si finisce male e oltretutto non c'è neanche una giustizia che rimette le cose a posto? Me lo dica lei.”

Avvocato: “Il mio lavoro è prima di tutto quello di dirle la verità e la verità è che la giustizia ora le cose a posto non ce le mette più”.

Lavoratore: “Senta avvocato la ringrazio, ci devo pensare, devo pensare a un sacco di cose, poi le faccio sapere”.

Avvocato: “La capisco, solo si ricordi che ha 60 giorni per impugnare il licenziamento altrimenti perde il diritto”.

Lavoratore: “Mi sa che il diritto l'ho già perso, lo abbiamo perso tutti.”

Avvocato: “Mi sa di si”.

Lavoratore: “Arrivederci”
 
Avvocato: “Arrivederci”
 
Ogni riferimento a fatti o a persone è assolutamente voluto e tragicamente reale.
Marco Guercio

6 aprile 2012

giovedì 12 aprile 2012

LA PALESTINA NON VERRA' RISARCITA

A distanza di un anno dalla tragica ed evitabile morte di Vittorio Arrigoni(vedi:http://www.senzasoste.it/anniversari/un-anno-senza-vik e http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2011/04/restiamo-umani.html )propongo un articolo pubblicato da Senza Soste che narra di una storia che riassume più racconti dell'orrore che la follia umana ha voluto come palcoscenico la terra palestinese.
La corte penale internazionale ha infatti deciso dopo tre anni di"lavori"che non indagherà Israele per i numerosi crimi di guerra commessi,in quanto la Palestina non è uno Stato pienamente sovrano pur essendo riconosciuto da più di cento nazioni al mondo.
Il contributo porpone numeri che ricordiamoci non sono mere cifre ma che sono morti ammazzati,che sono feriti e profughi,non solo matematica ma persone,molte delle quali nate e morte sotto l'occupazione israeliana appoggiata dagli Usa e dalla maggioranza degli stati europei,mentre buona parte del mondo intero sta a guardare.

La Palestina non è uno Stato quindi, nessuna giustizia sui crimini israeliani. Parola della Corte penale Internazionale.
Palestina occupata – Infopal.“La Corte Penale Internazionale (CPI) non indagherà sui crimini di guerra commessi dallo Stato di Israele nell’offensiva contro Gaza (Operazione ‘Piombo Fuso’, 2008-2009) poiché ‘la Palestina non è uno Stato pienamente sovrano’”.

Questo è quanto ha concluso – con un ritardo di 3 anni rispetto alla data di presentazione dell’accusa da parte palestinese (22 gennaio 2009) – il procuratore della CPI, Luis Moreno-Ocampo, ignorando il fatto che oltre 130 nazioni hanno riconosciuto lo Stato palestinese insieme ad alcune Agenzie delle Nazioni Unite.
Durante Piombo Fuso: 1.400 palestinesi furono assassinati a Gaza da Israele, in tre settimane (22 giorni). 300 erano bambini, 115 donne e 85 anziani, e in gran parte erano civili. 5000 palestinesi furono feriti. Oltre 3.500 abitazioni furono distrutte, 20mila palestinesi rimasero senza casa, molti dei quali vivono ancora in situazioni temporanee. I danni materiali sono stimati in cifre miliardarie.
Su quei crimini di guerra, un comitato d’inchiesta Onu aveva individuato gravi infrazioni commesse da Israele alla IV Convenzione di Ginevra nella quale si vietano gli assassinii premeditati come si vietano anche il gratuito arrecare sofferenze alle persone protette.
“Lo status della Palestina presso l’Onu è quello di membro osservatore, dunque, a questo stadio, la CPI non può indagare su accuse di crimini di guerra commesse nei Territori palestinesi”, è stata la spiegazione di Ocampo.
Nel 2011 il presidente dell’Autorità palestinese (Anp), Mahmoud ‘Abbas, aveva intrapreso un percorso tutto in salita nel foro internazionale proprio allo scopo di ottenere quel riconoscimento della Palestina in qualità di Stato presso il Consiglio di Sicurezza Onu.
Poi, era stato contrapposto il veto Usa e, soprattutto, non era seguita alcuna raccomandazione da parte del Consiglio riguardo all’ammissione della Palestina nell’organo Onu.
Le reazioni in campo dei Diritti Umani.Amnesty International (AI), organizzazione con poteri consultivi presso l’Onu, ha riconosciuto come la decisione della CPI neghi alle vittime di Gaza il diritto ad avere giustizia e contenga faziosità politica.
“I giudici della CPI dovrebbero pronunciarsi in merito alla giurisdizione dell’organo giudiziario, e invece – continua AI -, il procuratore si sottrae alla domanda”.
Il direttore della campagna International Justice di AI, Marek Marczynski, ha osservato: “Per tre anni, il procuratore ha preso in esame la questione ‘crimini di guerra di Israele a Gaza’ sottopostagli dall’Anp in termini di statalità o non statalità della Palestina, valutando se il caso quindi rientrasse di diritto nella competenza giurisdizionale della CPI. (…) Quando, però, abbiamo chiesto al procuratore di fornire chiarificazioni sulla natura del mandato della CPI, Ocampo si è rifiutato di rispondere e ha trasferito l’intera questione alle parti politiche”.
Da Ginevra, i membri dell’Osservatorio Euro-Mediterraneo per i Diritti Umani si dicono “scioccati” dalla futilità dei pretesti adottati dal procuratore della CPI.
“Già questa decisione arriva a distanza di tre anni, inoltre, essa è palesemente un tentativo di sottrarsi al rispetto del mandato derivante dallo Statuto di Roma (2002), lo stesso che poneva le basi fondative della CPI”.
“All’art.5, comma 4, dello Statuto si dispone: ‘Se la Camera Preliminare, dopo aver esaminato la richiesta e gli elementi giustificativi che l’accompagnano, ritiene che vi sia un ragionevole fondamento per avviare indagini e che il caso appaia ricadere nella competenza della Corte, essa dà la sua autorizzazione senza pregiudizio per le successive decisioni della Corte in materia di competenza e di procedibilità’”.
Il direttore regionale dell’Osservatorio Euro-Mediterraneo, Amani as-Sinwar, parla di “fuga dalla responsabilità umana e professionale del procuratore della CPI che dà luogo a ulteriore margine di manovra a disposizione dei responsabili di tali crimini di guerra a continuare a uccidere indisturbati”.
“La natura della spiegazione fornita da Ocampo svela discriminazioni politiche”.
Israele “ha lavorato in modo strisciante”. Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri di Israele ha ammesso di aver lavorato sodo per ostacolare che la mozione presentata dai palestinesi alla CPI non venissa accolta dall’organo gudiziario penale internazionale.
A Ynet Lieberman dice: “Abbiamo lavorato in maniera altamente professionale, con molta discrezione e cautela, soprattutto, lontano dai media”.
Tra le modalità con cui Israele ha lavorato per sabotare il caso alla CPI emergono contenuti svelati da documenti diplomatici segreti del Dipartimento di Stato Usa, resi pubblici da WikiLeaks.
Dal documento si comprende come una delle ragioni principali per le quali Israele è talmente risoluto a impedire la realizzazione dello Stato palestinese, è riuscire a tenere i Territori palestinesi al di fuori della giurisdizione della CPI, la quale, appunto, dovrebbe perseguire penalmente i crimini di guerra.
Alcune indiscrezioni trapelate dal documento. Il procuratore generale militare israeliano, Avichai Mandelblit, incontrò l’ambasciatore Usa James B. Cunningham – era febbraio 2010 – quando i due discussero delle indagini per cattiva condotta negli attacchi israeliani su Gaza durante Piombo Fuso.
In quell’occsione, Mandelblit richiamò all’attenzione di Cunningham l’azione penale presentata dal ministro della Giustizia dell’Anp, ‘Ali Kashan, al procuratore della CPI, Ocampo, chiedendo di indagare sui crimini di guerra commessi da Israele a partire dal 2002 fino a Piombo Fuso.
Si legge nel documento: “Mandelblit affermava che ad Ocampo fossero state sottoposte diverse questioni legali, ma chiariva che la CPI non ne avesse la giurisdizione legale prorpio in ragione dello statu di non Stato dell’Anp”.
Il dialogo poi, si affievolisce nei toni dal momento che la dichiarata obiezione israeliana al riconoscimento dello Stato palestinese in sede Onu, è ritenuta noiosa e strettamente legata a questioni di ordine politico.
Dopo aver chiesto più volte agli Usa di “rilasciare in pubblico dichiarazioni a sostegno della tesi secondo cui la CPI non ne avesse giurisdizione” Mandelblit “avverte l’Anp che un’azione di questo genere equivarebbe a una dichiarazione di guerra al governo di Israele”.
In più punti del documento, sembra che Mandelblit tenti di raggirare la questione dei crimini di guerra, ma non nega il fatto che effettivamente quei crimini a Gaza siano stati commessi, semplicemente, li congeda con manovre tecniche.
Insieme a Mandelblit era presente anche il capo del Dipartimento di legge internazionale dell’esercito d’occupazione israeliano, il col. Liron Libman, il quale commenta: “La CPI rappresenta l’affare maggiormente lesivo per Israele”.
Mandelblit è lo stesso che aveva accantonato anche la missione d’inchiesta Onu sulle responsabilità di Piombo fuso – il noto rapporto Goldstone, il cui omonimo giudice – prima di sconfessare tutto il lavoro dietro pressioni israeliane – aveva individuato una responsabilità per crimini di guerra sia di Israele, che di Hamas.
“Il governo di Israele spera che il rapporto “svanisca”, si legge nei documenti.
Mandelblit rammenta poi le indagini sul conflitto condotte internamente all’esercito israeliano, mentre liquida del tutto la possibilità di una commissione d’inchiesta indipendente per il riesame delle indagini condotte dai militari. E dice: “Non sta scritto da nessuna parte che dovremmo fare una cosa del genere”.
Per la prima volta, in tale documento si legge l’ammissione ufficiale del ricorso israeliani dei droni (aerei senza pilota) durante Piombo Fuso quando, in un attacco, furono assassinati 16 civili palestinesi.
“Un UAV* ha centrato dei combattenti di Hamas di fronte alla moschea – si legge – all’interno della quale ci sono stati 16 incidenti. La causa: la porta della moschea era aperta e dei frammenti di bomba sono penetrati dentro proprio nell’ora di preghiera”.
In un altro documento, datato febbraio 2009, l’ambasciatore israeliano, Benny Dagan, ammetteva al funzionario Usa, Robert J. Silverman: “La strategia attuale richiede di fare uso di forza sproporzionata e ripetuta per rispondere agli attacchi di Hezbollah e di Hamas”.
* UAV: Unmanned Aerial Vehicle.
Altre fonti:

AntiWar
tratto da www.infopal.it

4 aprile 2012