venerdì 18 gennaio 2013

10 BUONI MOTIVI PER...

Post inusuale in quanto per qualche tempo il blog starà fermo causa ferie,ed il titolo del post intero è:"10 buoni motivi per andare alla Hawaii",con riferimenti più o meno vacanzieri.
 
1-Dopo un periodo di predilezione dei bassorilievi ed ultimamente per le radici ecco una buona occasione per ammirare vulcani sperando di vedere una bella colata lavica in diretta;
2-Evitare per qualche settimana un'odiosa ed irritante campagna elettorale piena di sputtanamenti e di facciata(pessima)e totalmente priva di contenuti;
3-Migliorare il mio surfare,che è praticamente a livello zero:ovvero prima imparare a nuotare bene,a mangiare squali vivi al bisogno e riuscire a domare onde alte come palazzi;
4-Riuscire a salire per la prima volta su di un elicottero dollari permettendo,mi sa mica male;
5-Non sentire la pubblicità della Rai ogni mezz'ora o meno che incita ed intima a pagare il canone;
6-Vedere,se dovesse capitare(possibilità pari a sotto zero),se giornalai e politici mi rivorrebbero in Italia festeggiato da eroe o se mi dovessero cercare in mezzo all'oceano anche se non ho un nome famoso;
7-Distaccarmi dalla moltitudine di commenti idioti e di cagate a gogo cui internet è invasa,riferendomi soprattutto a facebook che uso principalmente per sponsorizzare questo blog;
8-Avere una piccola parte nella serie di Hawaii Five-O;
9-Smettere per un buon periodo di lavorare pensando a quello che potrebbe venir deciso durante la mia assenza(domeniche obbligatorie per tutti,paga decurtata e oscenità del genere);
10-Meditare sull'opportunità di continuare ad andare all'Atalanta visto che l'ingiustizia politica e sociale si è allargata fino allo sport.
 
Aloha!

giovedì 17 gennaio 2013

L'ACQUA PUBBLICA A PARIGI

Oggi si parla per il secondo giorno consecutivo della Francia,ma stavolta in termini più lusinghieri rispetto a quelli di ieri con l'affaire Mali:infatti la capitale Parigi in soli due anni col passaggio della gestione pubblica dell'acqua ha risparmiato ben 35 milioni di Euro l'anno e i parigini si sono visti le bollette diminuite dell'8%.
Nonostante l'Italia abbia votato a favore nel giugno del 2011 su questo tipo di gestione pubblica di un bene primario che non deve essere assolutamente privatizzato(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2011/06/tutti-votare.html ),in numerosi casi ancora si parla troppo di ingerenze di privati che vogliono mettere le mani sull'acqua,ed in molti casi non le hanno mai tolte,e anche a Crema e provincia ogni tanto l'argomento viene toccato.
Sappiamo comunque che anche gli altri quesiti referendari proposti un anno e mezzo fa hanno trovato ancora molti attriti e che in molte situazioni non è cambiato proprio niente(legittimo impedimento e nucleare),ma l'articolo proposto da Senza Soste tocca un pò tutto il nostro paese e in questo periodo dove il denaro che circola nelle tasche è sempre di meno,un esempio tangibile è sempre molto apprezzato.
 
Due anni di acqua pubblica a Parigi: risparmiati 70 milioni e bollette più basse.
Da quando la capitale francese è passata a una gestione totalmente pubblica della rete idrica la bolletta dell'acqua si è abbassata dell'8% e sono stati risparmiati 35 milioni di euro l'anno
Passare a una gestione totalmente pubblica dell'acqua conviene, lo dimostrano i conti di Eau de Paris, che dal 1 gennaio 2010 ha rilevato dalle due multinazionali Veolià e Suez la gestione della rete idrica di Parigi, risparmiando 35 milioni di euro l’anno e abbassando dell’8 per cento la bolletta dell’acqua.
Eau de Paris è un ente di diritto pubblico presieduto da Anne Le Strat, braccio destro del sindaco socialista Bertrand Delanoë che ha fatto della ripubblicizzazione dell'acqua uno dei suoi cavalli di battaglia nella campagna elettorale del 2008.
Per Le Strat la ricetta è semplice: risparmiare assumendo la gestione diretta di tutti i servizi, dalla captazione fino alla fatturazione (mentre prima la stessa acqua poteva cambiare anche dieci volte gestore prima di arrivare al rubinetto); eliminare l'obbligo di remunerare gli azionisti, fattore tipico delle società di diritto privato, in più godendo di vantaggi fiscali legati agli enti pubblici.
Il successo di Eau de Paris fa riflettere sulla validità delle politiche di libero mercato legate all'acqua. Un mercato che, secondo Le Strat, è libero solo di nome, ma di fatto Parigi è stata per decenni «un esempio emblematico di finto liberismo economico applicato all'acqua».
A partire dal 1985 (e per volontà dell’allora sindaco Jacques Chirac) i due colossi Suez e Veolià si sono infatti divisi la gestione della rete idrica parigina assumendo il controllo, rispettivamente, della rive gauche e della rive droite. «Gli utenti parigini – ha commentato Le Strat – si sono trovati di fronte a una non scelta, mentre i gestori avevano una rendita garantita da contratti di concessione di 20 – 25 anni spesso rinnovati senza concorrenza».
D'altronde, come spiega Le Strat, un ente di diritto pubblico come Eau de Paris può andare incontro al libero mercato anche meglio di un gestore privato. I lavori di manutenzione o le opere di canalizzazione, ad esempio, vengono affidate da Eau de Paris a ditte private tramite appalti pubblici, cosa che di fatto favorisce la concorrenza e il risparmio. Veolià e Suez invece affidavano quasi sempre questi lavori a delle società controllate, senza concorrenza e con fatture più salate.
Il paradosso è che, mentre il comune di Parigi mette da parte i due colossi mondiali dell’acqua per tornare alla gestione pubblica, in Italia le stesse Suez e Veolià si dividono da Nord a Sud fette cospicue del mercato idrico del nostro Paese.

mercoledì 16 gennaio 2013

NEOCOLONIALISMO FRANCESE

La situazione che si sta deliando nello Stato del Mali,nella zona del Sahel nell'Africa occidentale,sta diventando giorno dopo giorno sempre più critica e l'intervento della Francia,che dominò la nazione africana fino al 1960 così come una buona parte degli altri paesi di quella fascia,fa apparire più drammatica questa che è diventata una vera e propria guerra civile.
Gli interessi dei transalpini sono notevoli in questa zona,ed il Mali è una riserva di uranio molto apprezzata da Parigi e quindi la guerriglia nata dallo scorso marzo dopo un colpo di stato militare è sempre stata monitorata con attenzione:dall'inizio dell'anno infatti l'esercito francese ha bombardato ed attaccato i ribelli jihadisti in varie parti dello stato,favorendo un possibile successivo intervento multinazionale degli Stati vicini dell'Ecowas,la comunità economica dei paesi dell'Africa occidentale.
Quindi l'intervento prepotente di Hollande in Mali è dettato certamente per difendere gli interessi neocolonialisti della Francia,per le enormi risorse naturali di un paese tra i più poveri,in primis l'uranio,e poi si paventa il fatto che l'opinione pubblica francese abbia così il modo di far passare sottovoce l'accordo tra imaggiori sindacati del paese e gli industriali che come accaduto in Italia porterà al calpestamento dei diritti dei lavoratori.
Il contributo è preso da Senza Soste.
 
Mali, la nuova frontiera di Hollande: ecco perchè
Mettendo fine a mesi di indugi e trattative internazionali, nel fine settimana appena trascorso il presidente francese, François Hollande, ha deciso di aprire un nuovo fronte di guerra in Africa occidentale, inviando centinaia di soldati e avviando una campagna di bombardamenti aerei in Mali, ufficialmente per contenere l’avanzata sempre più minacciosa dei ribelli islamisti nel nord del paese.
Ad innescare l’offensiva della Francia sarebbe stato l’ingresso il 10 gennaio scorso nella città di Konna, a oltre 600 km a nord-est della capitale del Mali, Bamako, delle forze ribelli, le quali hanno costretto l’esercito regolare alla fuga, minacciando di prendere possesso delle località cruciali di Mopti e Sevaré, dove sorge una base aerea di fondamentale importanza strategica. Con il resto del paese africano a rischio di cadere nelle mani dei ribelli, il giorno successivo Parigi ha perciò ordinato l’impiego delle proprie forze aeree, grazie alle quali Konna è tornata subito nelle mani del governo centrale.
Le bombe francesi avrebbero causato un centinaio di morti a Konna, dei quali, secondo quanto riferito ad Al Jazeera da un portavoce del gruppo integralista Ansar Dine, solo 5 guerriglieri e il resto civili. Inoltre, un pilota di un elicottero francese e una decina di soldati maliani sarebbero rimasti uccisi durante le operazioni. Nonostante la cacciata dei ribelli da Konna, come ha affermato il ministro della Difesa transalpino, Jean-Yves Le Drian, l’area attorno alla città rimane teatro di “intensi scontri”.
I bombardamenti sono continuati anche nei giorni successivi. Domenica, gli aerei francesi hanno preso di mira località più a nord, come Gao e Kidal, dove i ribelli avevano stabilito le proprie basi nei mesi scorsi. Pubblicamente, i principali alleati della Francia hanno espresso il proprio sostegno all’operazione. Gli Stati Uniti hanno offerto supporto logistico e di intelligence ma nessun soldato, mentre la Gran Bretagna soltanto velivoli per facilitare il trasporto delle truppe.
La lenta preparazione delle forze di terra africane per contrastare i ribelli islamici nel nord del Mali, seguita alla recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e inizialmente prevista per il prossimo settembre, sembra avere subito un’accelerazione con l’iniziativa presa da Parigi. I governi che fanno parte della Comunità Economica dei Paesi dell’Africa Occidentale (ECOWAS) stanno infatti organizzando vari contingenti da inviare in Mali a sostegno dello sforzo francese.
Il Senegal e la Nigeria, ad esempio, avrebbero già inviato delle truppe, mentre 500 soldati dal Burkina Faso dovrebbero giungere nei prossimi giorni. Alla guida provvisoria dell’ECOWAS, va ricordato, c’è in questo momento il presidente della Costa d’Avorio, l’ex funzionario del Fondo Monetario Internazionale Alassane Ouattara, installato al potere proprio grazie all’intervento armato nella ex colonia dell’esercito francese nell’aprile del 2011 dopo le discusse elezioni del novembre precedente.
Il governo di Parigi ha in ogni caso tenuto a precisare non solo che i raid dei giorni scorsi hanno già fermato l’avanzata dei “terroristi” ma, come ha affermato domenica il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, che l’intervento francese in Mali sarà solo “questione di settimane” e servirà ad aprire la strada alla forza multinazionale organizzata dai paesi vicini. Nonostante la massiccia campagna aerea, però, i ribelli hanno fatto segnare progressi nella giornata di lunedì, strappando all’esercito regolare la località di Diabaly, nel Mali centrale e a soli 400 km dalla capitale.
Il Mali, colonia francese fino al 1960, era precipitato nel caos lo scorso marzo, quando un colpo di stato guidato da un capitano dell’esercito addestrato negli Stati Uniti, Amadou Sanogo, aveva deposto il presidente uscente Amadou Toumani Touré. Pochi giorni più tardi, un’alleanza di ribelli Tuareg e integralisti islamici aveva facilmente cacciato le forze di un esercito regolare allo sbando dalle postazioni nel nord del paese. In seguito, i gruppi jihadisti avevano proceduto ad emarginare i Tuareg, imponendo le norme della legge islamica (Sharia) nelle aree da loro controllate ed attirando guerriglieri islamisti da svariati paesi africani, asiatici ed europei.
L’intervento delle forze armate francesi in Mali viene in questi giorni descritto da quasi tutti i media occidentali come una decisione necessaria, inquadrata nella consueta retorica di una “guerra al terrore” che ha fatto ora irruzione nel continente africano. Tuttavia, simili pretese risultano a dir poco assurde.
Innanzitutto, la crisi esplosa lo scorso anno in Mali è la diretta conseguenza del conflitto imperialista orchestrato in Libia per rimuovere il regime di Gheddafi. L’intervento della NATO nel paese nord-africano ha, da un lato, causato il rimpatrio forzato di guerriglieri Tuareg ben armati che avevano combattuto a fianco di Gheddafi e, dall’altro, consentito il flusso di armi fornite ai ribelli libici dall’Occidente e dalle monarchie del Golfo Persico a favore di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), la principale formazione estremista impegnata in Mali assieme ad Ansar Dine.
La doppiezza di Parigi, così come di Washington o di Londra, appare in tutta la sua evidenza proprio alla luce della vicenda libica e della risposta data più in generale ai fatti della Primavera Araba. In Libia, infatti, la Francia e i suoi alleati hanno collaborato in maniera molto stretta con il cosiddetto Gruppo dei Combattenti Islamici Libici (LIFG) per abbattere il regime di Gheddafi, fornendo ai suoi affiliati armi, denaro e addestramento.
Questa formazione integralista è da anni alleata precisamente con Al-Qaeda nel Maghreb Islamico, contro cui le forze francesi stanno combattendo in questi giorni in Mali, ed è attiva da tempo con propri uomini nella guerra civile in Siria in collaborazione con gruppi jihadisti come il Fronte al-Nusra, questa volta nuovamente per servire gli interessi dell’imperialismo occidentale, battendosi contro il regime di Bashar al-Assad.
La vicenda del Mali dimostra dunque ancora una volta come la cosiddetta “guerra al terrore” non sia altro che un comodo pretesto per promuovere gli interessi dell’Occidente nelle aree strategicamente più importanti del pianeta, dal momento che i vari gruppi estremisti riconducibili ad Al-Qaeda vengono di volta in volta utilizzati, a seconda delle necessità e con una schizofrenia solo apparente, come giustificazione per attaccare o invadere un determinato paese (Afghanistan, Mali) oppure come partner affidabili per portare a termine i propri obiettivi (Libia, Siria), salvo poi cercare di prenderne le distanze una volta raggiunti.
In Mali e in Africa occidentale, una regione con ingenti risorse naturali anche se tra le più povere del pianeta, sono piuttosto in gioco enormi interessi per la Francia, garantiti dalla continua interferenza di Parigi nei paesi facenti parte del suo ex impero coloniale.
Nel vicino Niger, ad esempio, la multinazionale transalpina Areva opera da decenni estraendo uranio con ben pochi benefici per la popolazione locale. Lo stesso Mali possiede giacimenti di uranio in gran parte ancora da sfruttare e su cui le grandi compagnie estrattive internazionali hanno già messo gli occhi, tra cui ovviamente quelle francesi, soprattutto alla luce dei problemi incontrati recentemente da Areva in Niger.
Da questa regione la Francia ottiene circa un terzo dell’uranio di cui ha bisogno per alimentare le centrali nucleari domestiche, così che la stabilità nelle ex colonie dell’Africa occidentale risulta un requisito imprescindibile per mantenere la propria indipendenza energetica.
La rapida decisione di dispiegare truppe francesi in Mali da parte di un politico notoriamente tutt’altro che risoluto come Hollande testimonia dunque dell’importanza della posta in gioco in questo paese e dei timori diffusi tra la classe dirigente d’oltralpe per una situazione che rischiava di sfuggire di mano al debole governo di Bamako.
Tra i governi occidentali rimangono però profonde divisioni interne, con molte voci che più o meno apertamente mettono in guardia dalle possibili conseguenze di un intervento diretto e che evocano uno scenario simile a quello afgano. Alcuni commentatori in questi giorni prevedono che gli estremisti islamici attivi in Mali, anche se evacuati definitivamente da città come Gao o Timbuktu, continueranno ad operare con tattiche di guerriglia e, al limite, con attentati terroristici in Africa settentrionale se non addirittura in Europa, come hanno minacciato di fare lunedì.
Per cominciare, queste formazioni jihadiste potrebbero trovare riparo nella vicina Algeria, il cui governo si era a lungo opposto ad un intervento esterno in Mali per le prevedibili conseguenze interne. Il presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, anche in seguito alle recenti visite di Hillary Clinton e dello stesso Hollande, ha però alla fine deciso di fornire il proprio sostegno all’Occidente, consentendo in questi giorni ai velivoli francesi di sorvolare lo spazio aereo del proprio paese.
Un’operazione che rischia di infiammare l’intera regione del Sahel ha infine trovato il sostegno praticamente di tutta la classe politica transalpina, dall’UMP ai neo-fascisti del Fronte Nazionale, ed ha confermato la natura del Partito Socialista, attraverso il presidente Hollande e il suo governo teoricamente di sinistra, di esecutore delle politiche neo-coloniali francesi come lo era stato Nicolas Sarkozy durante gli anni trascorsi all’Eliseo.
L’apertura di un nuovo fronte di guerra in Mali serve inoltre a sviare l’attenzione dalle politiche anti-sociali messe in atto dal governo socialista sul fronte interno. In particolare, l’intervento in Africa è giunto, probabilmente non a caso, in concomitanza con l’annuncio dell’accordo trovato nel fine settimana tra gli industriali e i principali sindacati sulla “riforma” del mercato del lavoro, con misure estremamente impopolari che prospettano lo smantellamento dei diritti dei lavoratori per favorire la competitività delle aziende francesi.
Michele Paris
tratto da http://www.altrenotizie.org
15 gennaio 2013

martedì 15 gennaio 2013

IL FREJUS CHE CI STA A FARE?

Il breve articolo di oggi parla degli scontri avvenuti ieri a Torino nei pressi della stazione di Porta Susa per l'occasione reinaugurata alla presenza dell'ad di Trenitalia Moretti,del sindaco Fassino e dell'ex premier Monti,insomma un'occasione ghiotta per gli attivisti No Tav per manifestare per l'ennesima volta il loro sdegno verso questo progetto che fa acqua da tutte le parti e che sempre in più dichiarano sia palesemente inutile.
E'recente infatti la dichiarazione che la stessa Rete ferroviari italiana(Rfi)in cui si dice che i vagoni merci e non più alti,di nuova generazione,passano già dal traforo del Frejus in quanto nell'ultimo anno italiani e francesi hanno ristrutturato la galleria limendone la parte superiore(http://www.senzasoste.it/ambiente/addio-tav-non-servi-pi--lo-ammette-anche-rfi ).
L'articolo è stato preso da Infoaut.

 
Contestato Monti a Torino. Cariche e feriti.
Questa mattina era prevista la re-inaugurazione della nuova stazione dell'alta velocità di Torino, Porta Susa, con la presenza di Monti e dell'amministratore delegato di Trenitalia Moretti. Il nuovo restyling della stazione peraltro era stato già omaggiato e inaugurato nel mese di novembre dal sindaco di Torino, Piero Fassino che ha voluto ripetere l'evento questa volta in grande stile.

Ma mentre Monti trova un teatrino propenso per la sua campagna elettorale abbracciandosi con l'amministratore delegato di Trenitalia e il Ministro del Lavoro Fornero, anche lei presente all'inaugurazione, molti tra NoTav, studenti, disoccupati e sindacati di base hanno voluto dare il loro benvenuto all'ennesima farsa. In circa 250 hanno quindi deciso di contestare la recita di inaugurazione della stazione, vista dalle lobby siTav come un grande successo del Tav. Al grido di "Monti e Moretti, truffatori perfetti" il presidio si è spostato per circa un'ora in diversi punti fuori dalla stazione, completamente blindata dentro e fuori -comprese le vie laterali limitrofe- e con la fermata della metro Porta Susa soppressa durante la mattinata per l'occasione. Quando il corteo ha tentato di entrare all'interno della stazione, la prevedibile reazione della polizia di Fassino è stata repentina, caricando il corteo dividendolo in due parti. Il bilancio delle violenti cariche sono numerosi feriti e due giovani studenti fermati, rilasciati in un secondo momento. Dopo le cariche, i manifestanti sono riusciti a ricompattarsi, presidiati da un numero ingente di camionette di polizia e carabinieri che in un certo momento hanno tentato anche di accerchiare il presidio che si era ricompattato. L'inaugurazione blindatissima, è peraltro in linea con quanto dichiarato tempo fa dal questore di Torino Faraoni, che affermò che nel 2012 oltre l’80% delle forze di polizia sono state impiegate in servizi di ordine pubblico nel Torinese per eventi connessi alla linea ad alta velocita’ Torino-Lione.

lunedì 14 gennaio 2013

DERECHOS HUMANOS.SOLUCION.PAZ.EUSKAL PRESOAK EUSKAL HERRIRA

La grande manifestazione tenutasi a Bilbo sabato scorso è un altro immenso appoggio ed abbraccio solidale verso tutti i detenuti politici baschi sparsi per il territorio spagnolo e francese,reclusi a centinaia di chilometri di distanza in quello che è il gioco sporco dei governi di Madrid e di Parigi(senza dimenticare che pure a Roma abbiamo un detenuto, Lander Fernandez Arrinda,vedi:
http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/06/lander-askatu.html )nel trattare socialmente e politicamente con Euskal Herria.
Sotto la pioggia circa 115mila manifestanti hanno sfilato fino al municipio della città basca per poter difendere i diritti umani dei loro amici,parenti e compagni,per poter arrivare ad una soluzione positiva e pacifica sulla questione dei prigionieri politici entro l'anno in corso:l'articolo è stato preso da Senza Soste.
 
#U12 a Bilbao: 115mila in piazza per i prigionieri politici.
 
Anche quest’anno le strade di Bilbao sono tornate a riempirsi in occasione della storica manifestazione di solidarietà e appoggio ai prigionieri e alle prigioniere politiche basche.
La data scelta per la mobilitazione di quest’anno era quella di ieri pomeriggio: nonostante la pioggia battente 115mila persone hanno risposto all’appello della manifestazione, segnando una partecipazione ancor più grande di quella registrata l’anno scorso (che era stata di circa 110mila). Convocato con le parole d’ordine di «Derechos humanos. Solución. Paz. Euskal presoak Euskal Herrira» (Diritti umani. Soluzione. Pace. Prigionieri politici Baschi in terra basca), le stesse che campeggiavano sullo striscione di apertura, l’enorme corteo si è mosso intorno alle 17.45; con incedere lento ma determinato per via del congestionamento causato dalla partecipazione massiccia e diramandosi anche nelle strade adiacenti a quelle del percorso previsto, la testa della manifestazione ha infine raggiunto il municipio di Bilbao nel tardo pomeriggio, mentre la coda si muoveva ancora dalla partenza.
Lo spettacolo che si presentava ieri era quello di una vera e propria marea, composta da attivisti baschi ma anche da quelli giunti per l’occasione a migliaia da tante altre parti (tra queste Spagna, Francia, Irlanda, Kurdistan, Italia), dai parenti dei prigionieri, da giovani e anziani, da tutti coloro che hanno deciso di unirsi all’appuntamento di ieri per chiedere il ritorno a casa dei più di 600 prigionieri politici dispersi nelle carceri spagnole ed europee.
In testa alla manifestazione c’erano i familiari dei prigionieri, affiancati dai pullmini con cui regolarmente affrontano viaggi lunghissimi per poter raggiungere i luoghi di detenzione dei prigionieri e su cui erano appesi cartelli col numero di chilometri che li distanzia dalle brevi visite ai propri parenti in carcere.
Ma al loro grido si è unito quelli di tutti quanti credono che la questione dei prigionieri politici, troppo a lungo rimasta inascoltata e deliberatamente ignorata tanto dai governi spagnoli quanto da quelli francesi, rimanga un nodo centrale e che l'impegno concreto a favore della loro liberazione non sia più rinviabile.
L'enorme partecipazione che ieri, come ogni anno, ha caratterizzato la storica manifestazione non fa che confermare l'urgenza della questione e il corteo si è chiuso con l'augurio che questo sia l'anno di cambiamenti decisivi in proposito.
Guarda il video della giornata di mobilitazione da Naiz.info
tratto da http://www.infoaut.org
13 gennaio 2013

domenica 13 gennaio 2013

LO SCIOPERO DELLA FAME DI DAVIDE ROSCI

La lettera scritta da Davide Rosci,l'antifascista teramano arrestato per gli scontri del 15 ottobre 2011 accaduti a Roma,è un documento importante al pari di un'altra sua missiva che si può leggere a questo link(http://www.jokerulez.it/2013/01/quando-lingiustizia-diventa-legge-la-resistenza-diventa-un-dovere/ ),ed è cronaca doverosa verso un ragazzo che afferma che"quando l’ingiustizia diventa legge,la resistenza diventa un dovere!"ha già espresso tutto in una frase.
Infatti lui e altri quattro ragazzi sono in carcere con l'accusa di devastazione e saccheggio oltre a vari altri capi d'imputazione,retaggio della legge Rocco promulgata in piena era fascista nel 1930,un codice che salta fuori magicamente dai cilindri dei giudici che vogliono reprimere la lotta dei compagni mentre per l'assassinio di Aldrovandi le pene sono state molto più lievi(ed hanno ammazzato a sangue freddo un giovane diciottenne indifeso!).
Davide e gli altri arrestati hanno tutta la mia solidarietà in uno Stato fascista che difende a spada tratta sbirraglia e nostalgici del ventennio:spero che lo scipero della fame cominciato da qualche giorno porti i suoi frutti e che i veri usurpatori dell'Italia vadano in galera e mica chi vuole un paese libero e antifascista.
 

Condanne 15 ottobre: Lettera di Davide Rosci in sciopero della fame e della sete.
Sono passate ormai più di 48 ore da quando ho iniziato la mia forma di protesta non violenta dello sciopero della fame e sete.

E’ una prova molto difficile che mi stà provando notevolmente. Dopo le prime 24 ore, che potrei definire sopportabili, nelle ultime ho iniziato ad accusare pesantemente gli effetti dello stesso. Noto un cambiamento del mio aspetto fisico, la faccia si è asciutta così come si è assottigliato il tono muscolare. Gli armoniosi brotolii della pancia, ormai mi accompagnano per tutta la giornata così come il mal di schiena, la sensazione di freddo e soprattutto di stanchezza.
Penso di poter riuscire a sopportare ancora una giornata, massimo due, dopodiché chiederò un controllo da parte delle unità mediche per accertare il mio stato.
Anche se sono consapevole che la cosa migliore in questo momento sia quella di restare in forma per affrontare la già difficile detenzione, comunico di essere intenzionato a portare a termine la mia protesta.
Nella speranza che a breve arrivi, da parte di coloro che saranno chiamati a governare, l’impegno concreto ad abolire, in particolar modo, la legge fascista di devastazione e saccheggio, voglio con forza ribadire ai più, che io non stò chiedendo solidarietà, sostegno o altro, ma solo che vengano spazzate via quelle odiose norme che un dittatore fece emanare e contro le quali i nostri valorosi partigiani combatterono, al sacrificio della vita, per non farle subire a nessun altro in futuro.
Credo che la mia sia una battaglia condivisibile, peraltro già messa in campo dalla sinistra italiana anni e anni fa e pertanto resto fiducioso dell’appoggio di almeno quei partiti che si dichiarano Antifascisti.
Concludo rivolgendo un pensiero particolare agli operai Alcoa che in queste ore protestano in Sardegna chiusi nelle miniere e, nell’attesa di una risposta, voglio ringraziare coloro che in questi giorni stanno nutrendo il mio spirito, sopratutto Rifondazione Comunista per tutto l’impegno profuso, i miei impagabili fratelli Antifascisti, il Collettivo Stella Rossa, l’Udu, i COBAS, Sinistra Critica, i CARC, il PMLI, i vari movimenti Italiani e anche tutti quei giustizialisti che, non perdendo un minuto per vomitare sentenze, mi ricordano di vivere nel paese fino a ieri governato dai vari Berlusconi, Dell’Utri, “er Batman”e chi più ne ha più ne metta.
Un abbraccio a tutti.
Davide
 
Ps: Coloro che hanno ancora dubbi sui motivi che mi hanno spinto a intraprendere lo sciopero della fame e sete, invito a vedere questa intervista per sciogliere eventuali dubbi.

sabato 12 gennaio 2013

IL MESSAGGIO POLITICO DI McDONALD'S


Chi guarda la televisione avrà sicuramente notato negli ultimi giorni la massiccia campagna pubblicitaria che la catena di fast food McDonald's in cui si puntualizza che la multinazionale statunitense stia assumendo personale nonostante la crisi,facendo sembrare ciò un messaggio politico piuttosto che una réclame commerciale.
L'articolo di Senza Soste parla della protesta della Cgil in quanto i promessi tremila nuovi posti di lavoro siano per la maggior parte precari,e anche degli altri problemi che McDonald's ha contribuito ad aumentare,e parlo di ambiente,inquinamento,sfruttamento animale e scarsa qualità del cibo offerto.
Si fa memoria pure del film"Super size me"che elenca tutte le preoccupazioni di cui sopra,oltre al reale e certificato danno che alla lunga si crea nel corpo umano e nel breve tempo all'ambiente:sono sempre stato contro ai danneggiamenti verso i negozi di questa catena,in quanto nel bene o nel male chi ci lavora dentro purtoppo non credo sia felice o che abbia realizzato il sogno della propria vita,e comunque si dovrebbe colpire chi è alla cima della catena sfruttatrice.
Piuttosto posso appoggiare il boicottaggio,anche se personalmente a volte all'estero e proprio una manciata di volte in Italia ho dovuto per forza mangiare in un McDonald's per svariati motivi,logistici ed economici soprattutto,e questa mia piccola esperienza ha dell'inquietante perché in ogni angolo del mondo il sapore di panini e patatine è lo stesso sia che si tratti di Londra o di Bangkok.
A parte gli innumerevoli casi di licenziamenti davvero per niente,c'è un non so che di cameratismo all'interno di questi punti vendita,una certa somiglianza di essere proprio alla frutta per lavorarci dentro così come ci si possa arruolare nella polizia o in altri forze del disordine(a meno naturalmente di quelli proprio convinti).

 
Lavorare da McDonald’s? No grazie!
È stata lanciata da McDonald’s la campagna pubblicitaria sulle assunzioni: l’azienda annuncia di voler creare tremila nuovi posti di lavoro in Italia nei prossimi tre anni. La Cgil contesta l’offerta della multinazionale americana sostenendo che si tratta di impieghi precari. Inquinamento, nocività del cibo venduto, sfruttamento degli animali e disboscamento dovrebbero essere però le principali questioni da considerare prima di decidere di entrare a far parte della più nota catena di fast food del mondo.
McDonald’s recentemente sta pubblicizzando l’intenzione di assumere tremila lavoratori nei prossimi tre anni e, sfruttando il momento di forte disoccupazione, cerca di fare bella figura agli occhi dell’opinione pubblica.
Il sindacato ha contestato la pubblicità dicendo che si tratta soprattutto di lavoro precario. Peccato però non porsi il problema e la questione più importante e cioè: lavorare perMcDonald’s è positivo, è giusto? McDonald’s è una delle multinazionali più aggressive e inquinanti del pianeta. Per rifornirla di carne vengono uccisi milioni di animali ogni anno in un olocausto di dimensioni anche difficilmente immaginabili.
Per fare posto agli allevamenti vengono abbattute intere foreste e le emissioni di gas serra prodotte dalla combinazione di allevamento e disboscamento sono drammaticamente alte. A ciò si aggiunge il fatto che le popolazioni locali vengono private di risorse preziose. McDonald’s è stata oggetto di boicottaggi e proteste per il suo comportamento, ci sono addirittura film come Super Size Me che hanno dimostrato la nocività per la salute del cibo che vende.
Un libro anche esso poi diventato film, “Fast food nation”, ha aperto uno squarcio sul mondo relativo al fast food che è inquietante da vari punti di vista, dal trattamento dei lavoratori a quello degli animali, per non parlare poi delle intossicazioni come conseguenza del cibo fornito nei vari negozi in giro per il mondo.
Il cibo poi non è certo di qualità (lascio immaginare cosa mai potrà contenere un hamburger che costa solo un euro), non è biologico, arriva spesso da lontano e in ogni negozio della catena vengono prodotte montagne di imballaggi e rifiuti, perciòMcDonald’s ha un’impronta ecologica spropositata. Quindi il fatto che i posti di lavoro siano precari o no è la questione meno importante, ben più importante è chiedersi se si può lavorare per un padrone macchiato pesantemente di sangue einquinamento e che è l’esatto contrario dell’etica.
I danni a livello planetario che produce un’azienda del genere sono così ampi e distruttivi che mi auguro che nessuno risponda a quegli annunci di ricerca lavoro, sempre più persone rifiutino di lavorarci, l’intera catena chiuda e al massimo al suo posto aprano negozi che vendono biologico o prodotti locali.
Non si dica che in tempi di crisi non bisogna fare tanto i difficili perché più persone lavorano per soggetti simili e più la crisi globale aumenta. Nella mia vita ho fatto e faccio lavori ben più umili e pesanti di friggere patatine e il lavoro l’ho sempre trovato senza che ciò derivasse necessariamente dai miei studi o capacità professionali.
Da McDonald’s poi il trattamento economico/lavorativo non è certo meraviglioso ed è massima la flessibilità richiesta. Non sarà quindi così difficile trovare di meglio. Basta non scoraggiarsi, avere voglia di impegnarsi e trovare anche strade originali rispetto alle solite che ci propongono e che ci dicono siano le uniche da prendere in considerazione a danno di tutto e tutti.

Paolo Ermani

Fonte: Il Cambiamento
10 gennaio 2013

venerdì 11 gennaio 2013

DI NUOVO GRILLO A BRACCETTO DI CA$$A POVND


 
Non voglio sembrare ripetitivo ma certi concetti vanno sottolineati per bene in quanto i nostri predecessori affermavano"repetita iuvant",le cose ripetute aiutano e che potrebbe essere inteso anche come"la storia che non impari la ripeti",e visto l'abominio che il nazifascismo ha prodotto nel nostro paese è doveroso segnalare nuovamente Beppe Grillo ed il suo"personalissimo"movimento che non solo hanno già appoggiato movimenti neofascisti come Ca$$a Povnd ma che addirittura li invitano ad entrare in Parlamento.
Questo link che ne contiene altri(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/12/le-purghe-grilline.html )vuole ripostare l'attenzione su un movimento i cui dettami sono farina del sacco di un padre padrone:non dico che singolarmente alcuni dei rappresentanti del M5stelle siano malvagi,ma che siano succubi di Grillo è cosa certa e guai contraddirlo pena l'epurazione.
Comunque chi parla di queste ultime dichiarazioni del comico genovese difendendolo oppure affermando una campagna dissacrante contro M5stelle li vedo un pò nel torto:non possono paragonare alcuni elementi presenti nelle proposte di alcuni partiti e movimenti come un'intesa al di sopra di tutto:sia Ingroia che Berlusconi volgiono la soppressione dell'Imu eppure sono l'antitesi l'uno dell'altro,così come due ideologie di estremismi opposti possono per esempio supportare la Palestina ma con due pensieri contrapposti e ben distinti!
 
Una chiara apertura di credito al movimento neo fascista Casapound da parte del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo? Sembra di sì da quanto scrive l'Huffington Post, seguito da altri quotidiani
 
Grillo accetta candidati di Casapound movimento neofascista?
Una chiara apertura di credito al movimento dichiaratamente neofascista Casapound da parte del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo? Sembra proprio di sì da quanto scrive l'Huffington Post, seguito da altri quotidiani.
Beppe Grillo apre a CasaPound. Anzi, spalanca le porte del suo movimento, avallando addirittura l'eventuale ingresso della formazione neofascista in Parlamento.
La scintilla è scoccata questa sera davanti al Viminale, dove - in vista della presentazione dei simboli - tutti i rappresentanti dei partiti politici che vogliono presentarsi alle prossime elezioni attendono pazientemente in fila.
A cercare l'incontro con il leader grillino è Simone di Stefano, vicepresidente di CasaPound e candidato alla presidenza per la Regione Lazio.
I Fascisti del Terzo Millennio hanno avviato la raccolta firme per candidarsi alle Politiche. Per questo, il movimento capitanato da Gianluca Iannone (che, per adesso, non si è voluto esporre, né a livello nazionale e né nella corsa al Comune di Roma o alla Regione Lazio), cerca di trovare degli alleati.
Un'impresa non semplice, per un movimento estremista che si richiama agli ideali mussoliniani.
E Grillo viene visto come un potenziale supporter degli occupanti del palazzo di via Napoleone III, a giudicare dall'attenzione che gli dedicano i militanti tartarughini (anche sui social network).
Di Stefano si avvicina a Grillo, e lo affronta sul tema dell'antifascismo. "Quelli di CasaPound vogliono sapere se sei antifascista o no", la domanda.
La risposta è chiara ed è sicuramente destinata a far discutere i grillini: "Questo è un problema che non mi compete. Questo movimento è ecumenico. Se un ragazzo di CasaPound volesse entrare nel M5S e avesse i requisiti, ci entra. Voi siete qua come noi".
Grillo si spinge oltre, arrivando a dire che "alcune delle idee di CasaPound sono condivisibili". Tra i due scatta anche un'intesa sulle politiche economiche: "Se vi leggete il programma, non possiamo non essere d'accordo sui concetti", dice Grillo al vicepresidente dei Fascisti del Terzo Millennio. Il comico, nel corso dell'incontro, è anche arrivato a dire che "in Parlamento è meglio CasaPound di Monti”. Un'affermazione resa nota da CPI sul suo profilo Facebook ufficiale.

giovedì 10 gennaio 2013

ULTIME SUL NEONAZISMO SVEDESE E GRECO


L'articolo oggi proposto parla di due nazioni europee che hanno avuto un'escalation di movimenti di estrema destra non indifferente negli ultimi tempi,e se parliamo della Grecia con l'organizzazione neonazista Alba Dorata non crea scalpore visto che se ne parla da diversi mesi,mentre fa specie la situazione svedese con gli altrettanto schifosi Democratici di Svezia che tramite sondaggi vede raddoppiato il proprio potenziale risultato elettorale.
L'articolo di Senza Soste parla delle dimissioni del leader del movimento svedese dei Ds pizzicato in un video mentre minaccia di sprangare due uomini,in un paese che ha avuto sempre delle contraddizioni riguardo al nazismo,nel senso che durante la seconda guerra mondiale lo stato scandinavo si era dichiarato neutrale pur facendo da zerbino alla Germania nazista fornandole materie prime come il ferro e facendo transitare all'interno del loro paese truppe e approvvigionamenti quando i tedeschi invasero la confinante Norvegia.
Si parla pure del boss dell'Ikea che da sempre ha avuto più che simpatie verso le ideologie hitleriane,anche se ci sono sempre state smentite nemmeno troppo urlate:per quanto riguarda la situazione greca si parla nuovamente di attacchi contro tutto e tutti,ultimamente contro i rom.

 
Dalla Svezia alla Grecia: la violenza della destra neofascista e razzista

Un deputato svedese di estrema destra, ritratto in un video mentre aggredisce con una spranga e frasi razziste alcuni stranieri, si dimette. Ma il suo partito nei sondaggi è dato al 10%.
Un parlamentare svedese, considerato finora il possibile candidato alla guida del partito di estrema destra Democratici di Svezia (DS), ha dovuto dare le dimissioni dal parlamento e della sua formazione perche' travolto da uno scandalo a sfondo razzista.
Erik Almqvist, 31 anni, responsabile economico e portavoce del partito, era stato filmato nel giugno del 2010 mentre con tre colleghi apostrofava con ingiurie razziste due uomini, brandiva una spranga di ferro e definiva una donna intervenuta per sedare la rissa 'piccola puttana'. Il video, pubblicato solo recentemente sul sito internet dell'Expressen, conteneva anche la frase di Almqvist ''Questo non é il vostro paese, é il mio'', e ha indotto il deputato a prendere la decisione di andarsene. Il caso, afferma il giovane leader dei DS, Jimmie Aakesson che ha minacciato purghe contro gli xenofobi, non sembra aver nuociuto al partito che, entrato in Parlamento proprio nel 2010 con il 5,7% cento dei voti é accreditato ora dai più recenti sondaggi, del 10. Raddoppiando i consensi in due anni.
La Svezia ha tenuto sempre alta la sensibilità sul tema, più volte ha messo sulla graticola uno dei suoi esponenti economici più potenti, quell'Ingvar Kamprad fondatore dell'Ikea accusato da sempre di passate simpatie naziste, e recentemente ha condannato all'ergastolo il quarantenne Peter Mangs, per l'omicidio di due cittadini stranieri compiuto a Malmoe, dove il 30% della popolazione è di origine straniera. Manifestanti hanno denunciato con vigore gli striscioni razzisti negli stadi, l'ultimo dei quali esposto il 23 novembre scorso durante la partita contro il Napoli, con la scritta: 'Napoletani tubercolosi'. Le contraddizioni comunque sono stridenti: nel paese che per l'Economic World Forum é il quarto più competitivo al mondo e in cui, per fare un piccolo esempio, il catalogo della principale industria di mobili a basso costo contiene immagini politicamente corrette con persone di ogni colore, simbolo della perfetta integrazione, l'ECRI, organismo per la tutela dei diritti umani in seno al Consiglio d'Europa, segnala in un rapporto numerosi problemi ancora da risolvere, come la ''segregazione abitativa con disparità di trattamento nel mercato immobiliare che colpisce in particolare Rom, musulmani, afro-svedesi e richiedenti asilo. E poi la disuguaglianza in materia di istruzione per i gruppi vulnerabili, vittime di bullismo e molestie, infine il sistema legale e i media con solo una piccola percentuale di incidenti e conseguenti condanne per comportamenti razzisti raccontata da radio e televisioni nazionali''. Di alcuni mesi fa infine l' 'incidente' occorso alla ministra della cultura Lena Adelsohn Liljeroth durante una mostra contro la pratica delle mutilazioni genitali femminili: una torta raffigurante una caricatura di una donna nera come se ne facevano negli anni Trenta -di cui la ministra ha allegramente tagliato una fetta di genitali- ha gettato nello scandalo l'intera Svezia. Troppo esplicito il luogo comune, troppa disinvoltura nell'accettare stereotipi del secolo scorso. Resta il fatto che il paese comincia a fare fatica ad assimilare le ondate migratorie, se persino il leader dell'opposizione di centrosinistra Stefan Loefven prima di Natale in un'intervista al Dagens Nyheter ha criticato l'arrivo di un numero troppo alto di immigrati che ''non semplifica la lotta alla disoccupazione'', giunta in Svezia all'8%.
***
Un deputato di Alba Dorata guida il secondo assalto in pochi mesi contro un quartiere abitato da rom nel comune di Etolikon. La polizia arresta quattro nazisti e ne ricerca altri nove.
Continuano gli attacchi degli squadristi di Alba Dorata contro gli immigrati e le minoranze presenti in Grecia. L’ultimo assalto risale a venerdì, nella località di Etolikon, nell’ovest del paese. Una settantina di persone, tra cui alcuni abitante del piccolo comune, con il volto coperto da passamontagna o comunque incappucciati, hanno attaccato un quartiere abitato in prevalenza da rom, ed hanno incendiato sei case e quattro automobili. Non si ha notizia di feriti nell’attacco, anche perché all’arrivo della squadraccia neofascista la maggior parte degli abitanti del quartiere aveva abbandonato le proprie case.
A fornire la scusa ai neonazisti per il pogrom una lite, avvenuta poco prima, tra due abitanti del paese e due rom, durante la quale un 24enne era rimasto ferito. Poco dopo la Polizia aveva arrestato e portato in commissariato i due cittadini di origine rom. Ma il tam tam aveva portato decine di persone davanti al commissariato, e presto il presidio si è trasformato in spedizione punitiva.
Molti abitanti di Etolikon tendono a sminuire la gravità di quanto accaduto, definendola una questione locale, una resa dei conti interna al piccolo centro. Ma molti testimoni affermano che all’aggressione hanno partecipato parecchi militanti di Alba Dorata, tra questi anche un deputato della formazione neonazista al Parlamento di Atene, Konstantinos Barbarusis, da tempo attivo contro i rom. Il che fa pensare che il pogrom fosse stato organizzato in precedenza, in attesa di qualche occasione per poterlo mettere in pratica. Nel mese di agosto, nello stesso comune di Etolikon, si era già verificata un’aggressione di massa contro il quartiere abitato dai rom, e quella volta a parteciparvi furono addirittura 200 persone, furono usate anche armi da fuoco e ci furono 5 feriti tra gli aggrediti. Al deputato squadrista Barbarusis il parlamento aveva già deciso di ritirare l’immunità parlamentare dopo che nell’autunno era stato riconosciuto mentre partecipava ad una delle tante aggressioni contro i venditori ambulanti di cui Alba Dorata si è resa protagonista negli ultimi mesi.
Ed oggi la polizia greca ha arrestato quattro dei responsabile del pogrom anti rom di venerdì a Etolikon, e ha avvertito che altri nove potrebbero essere fermati nelle prossime ore.
http://www.contropiano.org - 6 gennaio 2013
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martedì 8 gennaio 2013

IL FASCISMO FOLGORANTE

Questo contributo preso da Senza Soste è ad uso specifico di chi ancora non sappia che cosa rappresenti la Folgore,un manipolo di esaltati con più muscoli che cervello e cuore,che nella maniera quasi totale della loro rappresentanza rievocano fascismi dei più beceri e vergognosi come ai tempi del ventennio scorso.
Queste merde in divisa militare e col basco viola non solo sono un branco di rincoglioniti che alcuni,non meno scimmiati di loro,definiscono"eroi"-"portatori di pace"-"difensori della patria"e sciocchezze simili:sono tra la feccia più putrida e maleodorante dell'intero esercito italiano...e ce ne vuole per ottenere un posto in classifica così elevato.
Il pezzo parla di uno studio dal titolo"Autoritarismo e costituzione di personalità fasciste nelle forze armate italiane:un’autoetnografia”,che altri non è che la documentazione del bestiario di quello che avviene all'interno del corpo dei parà(nonnismo,cameratismo,machismo)riportato alle tattiche poliziesche che si adottano durante eventi e manifestazioni,tutte azioni di chiara matrice fascista.
 
Folgore! Un metodo inquietante e invasivo
Uno studio universitario svela il “modello autoritario” nelle forze armate. Si parte dai parà della Folgore ma si finisce con l’importare logiche e pratiche di guerra nella polizia e nell’ordine pubblico.
Uno studio dal titolo “Autoritarismo e costituzione di personalità fasciste nelle forze armate italiane: un’autoetnografia”, curato dai sociologi Pietro Saitta e Charlie Barnao ha mandato su tutte le furie i parà della Folgore.. Charlie Barnao è ricercatore a Catanzaro, ma ha un passato da paracadutista tra Pisa e Siena. Il suo diario è alla base del working paper che interpreta la caserma come «istituzione totale» e la Folgore come un corpo caratterizzato da riti di iniziazione e addestramento particolarmente violenti, con precisi richiami “fascisti”. Il sito de la Folgore, sentendosi punto sul vivo ha reagito accusando lo studio di non essere scientifico, di essere basato su una sola testimonianza e datata nel tempo. Una replica questa della Folgore che potrebbe rivelarsi un boomerang nel tempo e nel numero.
Nello studio, la testimonianza di Barnao è piuttosto inquietante, anche se occorre dire che non è la prima testimonianza su questo. “L’arrivo in caserma è un po’ traumatico...», racconta Barano. Le reclute sono i «mostri». Per loro il primo impatto non è facile. «All’entrata in caserma c’era un gruppetto di paracadutisti che hanno iniziato a urlarci in coro “benvenuti all’inferno!”». Poi ci sono i vari rituali d’iniziazione. Uno dei più brutali è in vigore presso i Nocs: «Picchiare il fondo schiena di un commilitone sino al punto di renderlo insensibile, così da applicare un morso profondissimo che squarcia i glutei da lato a lato». Nella Folgore, invece, si usa la «pompata»: flessioni sulle braccia ordinate a un sottoposto. In qualsiasi momento: «Il paracadutista che ha ricevuto l’ordine di pompare deve immediatamente tuffarsi a terra e durante il tuffo, mentre è ancora in aria, deve sbattere le mani due o persino tre volte (una avanti, una dietro la schiena, una avanti) se il superiore lo richiede. Il superiore può fare ripetere tale operazione tutte le volte che vuole, fino a quando non la riterrà svolta nel modo corretto».
Lo studio di Saitta e Barnao sui “riti” nelle Forze Armate ha suscitato le isteriche reazioni del solito partito dei militari, quello de “i nostri ragazzi in Iraq”, quello de “Quattrocchi è un vero italiano”, quello de “riportiamo a casa imarò”. Il solito Il Giornale titola: «L’università di Messina infanga la Folgore – Un saggio dipinge la Brigata come una fabbrica di fascisti». In coda, centinaia di commenti basati sulla contrapposizione tra «sociologi comunistoidi» e patrioti con la divisa. La risposta dell’Università non si fa attendere. Il direttore della collana editoriale, con il “grande coraggio” che contraddistingue i docenti di molti atenei italiani, rimuove subito il working paper dal sito ufficiale del Cirsdig, il centro studi. «Quale direttore dei Quaderni Cirsdig, rammaricandomi dell’omissione della doverosa vigilanza, determinata da una mal riposta fiducia, rendo noto che il testo di Barnao e Saitta, è stato pubblicato sul sito a gennaio del 2012, con il n. 50, senza la mia autorizzazione e a mia insaputa dal redattore dr. Pietro Saitta, che gestisce operativamente il sito», scrive il prof. Carzo. “Il testo in questione, contrariamente alle regole dei Quaderni Cirsdig, non è stato preventivamente sottoposto alla procedura di referaggio anonimo, quindi è stato eliminato dal sito stesso, in quanto non conforme ai criteri stabiliti. Informo, pertanto, di aver già provveduto a rimuovere dall'incarico il dr. Pietro Saitta, di concerto con il Comitato Scientifico”.
L’aspetto del saggio che deve aver fatto scattare contromisure pesanti non è tanto il legame della Folgore con i fascisti sia nel ventennio che in tempi recenti o il pesante nonnismo di caserma. Gli autori sostengono infatti che in Italia si sta assistendo alla trasmissione di pratiche e ideologie dall’esercito alla polizia, producendo una commistione che rende il confine tra guerra e pace sempre più confuso. «Così com’è accaduto ad altri paesi europei, a partire dagli anni Ottanta, l’Italia ha conosciuto una profonda trasformazione della propria struttura militare e di polizia, attraverso l’impegno crescente nelle missioni internazionali; l’abolizione del servizio militare di leva e la nascita di corpi militari professionali; la creazione di canali privilegiati di passaggio dall’esercito alla polizia per coloro che abbiano prestato da uno a tre anni di servizio militare e, conseguentemente, il significativo ingresso di veterani nelle forze dell’ordine».
Questi elementi contribuiscono a spiegare situazioni cruente di gestione dell’ordine pubblico, a partire dal G8 a Genova. I casi Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri, Michele Ferrulli e Christian De Cupis, morti in strada o caserma. E anche il crescente risentimento nei confronti delle forze di polizia (la diffusione delle scritte «Acab» in tutta Italia).
La tendenza esprime una doppia conversione, «quella poliziesca del militare e quella militare dell’azione di polizia». Una testi questa già descritta in autorevoli studi come quello dell’Università di Genova firmato da Alessandro Dal Lago e Salvatore Palidda. Gli studiosi segnalano «il rafforzarsi, ben oltre il livello di guardia, dell’autonomia di alcuni corpi speciali di polizia, come, per esempio, a livello europeo, Eurogendfor». Si tratta di un corpo creato da cinque stati membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, finora impiegato in Bosnia, Haiti, Afghanistan. Sul sito ufficiale si spiega che «le forze di Eurogendfor hanno un addestramento militare e un robusto equipaggiamento che permette loro di agire in “ambienti destabilizzati” svolgendo compiti di polizia fin dall’inizio di una crisi».
Insomma, la militarizzazione della polizia e delle funzioni di ordine pubblico incombe sul paese, averlo denunciato ha scatenato reazioni rabbiose che ne confermano tutta l’inquietante pericolosità per l’assetto democratico.
Federico Rucco
tratto da http://www.contropiano.org
2 gennaio 2012

lunedì 7 gennaio 2013

RISOTTO CON LA GUINNESS

Un risotto molto buono per la cui composizione mi sono affidato prevalentemente ad ingredienti liquido piuttosto che a quelli solidi:infatti la fanno da padrone il brodo di carne e vegetale e la birra Guinness,poco più di una bottiglietta.
Dal sapore per l'appunto birroso non è un risotto così amaro come potrebbe sembrare,poichè infatti il tris di rappresentanti del genere allium(cipolla,aglio e scalogno)rendono maggiormente dolce una miscela ben dosata per quanto riguarda il sapore.
Ingredienti:
-riso
-olio
-burro
-aglio
-cipolla
-scalogno
-brodo di carne e vegetale
-dado classico
-vino bianco
-birra Guinness
Nell'olio e nel burro si fanno soffriggere le verdure cipollesche mentre si sfuma con del vino bianco quendo alziamo la fiamma,aggiungendo il riso e regolando col brodo precedentemente riscaldato a parte.
Si aggiunge la birra dopo pochi minuti e si continua poco alla volta a mescere il brodo con un mestolino affinchè il risotto non attacchi sul fondo,regolando col dado la sapidità:quando ho spento il fuoco ho preferito lasciare un poco di brodetto birroso nel piatto,se lo si preferisce più asciutto basta alzare un poco la fiamma prima della fine cottura.


 
 

venerdì 4 gennaio 2013

NON"EROI"MA "ERRORI"

Non avrei mai scommesso più di tanto riguardo al ritorno dei due assassini nelle carceri dell'India per poter nuovamente affrontare un processo che sta diventando sempre più una farsa,in quanto i giudici indiani sono sempre più propensi ad accettare denaro-riscatto dall'Italia che per far passare loro le vacanze natalizie hanno gravato la collettività della spesa di 800mila Euro con tanto di volo privato per raggiungere Kochi,e chissà quant'altro per ottenere una scarcerazione definitiva:tutti soldi dei contribuenti,anche e soprattutto di quelli che non li considerano"eroi"ma errori di questa società sempre più malata e sempre più vergognosa.
Questi due ormai divi,un mix tra Parolisi e Corona pronti ad entrare nei salotti ovattati ed incipriati della D'Urso e simili,dovrebbero non tornare mai più a casa,al massimo in"cassa"così come sarebbe naturale se ci fosse realmente una giustizia vera.
L'articolo-inchiesta di Matteo Miavaldi altro non è che un lavoro di ricerca e di documentazione che ha svolto su questa vicenda con la coscienza sgombra da giudizi ma solo basandosi sui fatti,un lavoro se vogliamo anche semplice e che solo pochi giornalisti nostrani hanno saputo compiere,rimbambiti,a volte spronati dai piani alti sul fatto di dover difendere a prescindere due criminali che meritano senza ombra di dubbio il posto dove stanno.
L'articolo è stato ripreso interamente completo da tutti i contributi fotografici da Senza Soste,può essere utile anche il link:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/12/io-non-li-voglio-indietro.html .

I «due marò»: quello che i media (e i politici) italiani non vi hanno detto

Un paese incapace di rappresentarsi se non come vittima
Una delle più farsesche "narrazioni tossiche" degli ultimi tempi è senz'altro quella dei "due Marò" accusati di duplice omicidio in India. Fin dall'inizio della trista vicenda, le destre politiche e mediatiche di questo Paese si sono adoperate a seminare frottole e irrigare il campo con la solita miscela di vittimismo nazionale, provincialismo arrogante e luoghi comuni razzisti.
Il giornalista Matteo Miavaldi è uno dei pochissimi che nei mesi scorsi hanno fatto informazione vera sulla storiaccia. Miavaldi vive in Bengala ed è caporedattore per l'India del sito China Files, specializzato in notizie dal continente asiatico. A ben vedere, non ha fatto nulla di sovrumano: ha seguito gli sviluppi del caso leggendo in parallelo i resoconti giornalistici italiani e indiani, verificando e approfondendo ogni volta che notava forti discrepanze, cioè sempre. C'è da chiedersi perché quasi nessun altro l'abbia fatto: in fondo, con Internet, non c'è nemmeno bisogno di vivere in India!
Verso Natale, la narrazione tossica ha oltrepassato la soglia dello stomachevole, col presidente della repubblica intento a onorare due persone che comunque sono imputate di aver ammazzato due poveracci (vabbe', di colore...), ma erano e sono celebrate come... eroi nazionali. "Eroi" per aver fatto cosa, esattamente?
Insomma, abbiamo chiesto a Miavaldi di scrivere per Giap una sintesi ragionata e aggiornata dei suoi interventi. L'articolo che segue - corredato da numerosi link che permettono di risalire alle fonti utilizzate - è il più completo scritto sinora sull'argomento.
Ricordiamo che in calce a ogni post di Giap ci sono due link molto utili: uno apre l'impaginazione ottimizzata per la stampa, l'altro converte il post in formato ePub. Buona lettura, su carta o su qualunque dispositivo.
***
Il 22 dicembre scorso Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due marò arrestati in Kerala quasi 11 mesi fa per l’omicidio di due pescatori indiani, erano in volo verso Ciampino grazie ad un permesso speciale accordato dalle autorità indiane. L’aereo non era ancora atterrato su suolo italiano che già i motori della propaganda sciovinista nostrana giravano a pieno regime, in fibrillazione per il ritorno a casa dei «nostri ragazzi”, promossi in meno di un anno al grado di eroi della patria.
La vicenda dell’Enrica Lexie, la petroliera italiana sulla quale i due militari del battaglione San Marco erano in servizio anti-pirateria, ha calcato insistentemente le pagine dei giornali italiani e occupato saltuariamente i telegiornali nazionali.
E a seguirla da qui, in un villaggio a tre ore da Calcutta, la narrazione dell’incidente diplomatico tra Italia e India iniziato a metà febbraio è stata – andiamo di eufemismi – parziale e unilaterale, piegata a una ricostruzione dei fatti distante non solo dalla realtà ma, a tratti, anche dalla verosimiglianza.
In un articolo pubblicato l’11 novembre scorso su China Files ho ricostruito il caso Enrica Lexie sfatando una serie di fandonie che una parte consistente dell’opinione pubblica italiana reputa verità assolute, prove della malafede indiana e tasselli del complotto indiano. Riprendo da lì il sunto dei fatti.
E’ il 15 febbraio 2012 e la petroliera italiana Enrica Lexie viaggia al largo della costa del Kerala, India sud occidentale, in rotta verso l’Egitto. A bordo ci sono 34 persone, tra cui sei marò del Reggimento San Marco col compito di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei pirati, un rischio concreto lungo la rotta che passa per le acque della Somalia. Poco lontano, il peschereccio indiano St. Antony trasporta 11 persone.
Intorno alle 16:30 locali si verifica l’incidente: l’Enrica Lexie è convinta di essere sotto un attacco pirata, i marò sparano contro la St. Antony ed uccidono Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine (45 anni), due membri dell’equipaggio.
La St. Antony riporta l’incidente alla guardia costiera del distretto di Kollam che subito contatta via radio l’Enrica Lexie, chiedendo se fosse stata coinvolta in un attacco pirata. Dall’Enrica Lexie confermano e viene chiesto loro di attraccare al porto di Kochi.
La Marina Italiana ordina ad Umberto Vitelli, capitano della Enrica Lexie, di non dirigersi verso il porto e di non far scendere a terra i militari italiani. Il capitano – che è un civile e risponde agli ordini dell’armatore, non dell’Esercito – asseconda invece le richieste delle autorità indiane.
La notte del 15 febbraio, sui corpi delle due vittime viene effettuata l’autopsia. Il 17 mattina vengono entrambi sepolti.
Il 19 febbraio Massimiliano Latorre e Salvatore Girone vengono arrestati con l’accusa di omicidio. La Corte di Kollam dispone che i due militari siano tenuti in custodia presso una guesthouse della CISF (Central Industrial Security Force, il corpo di polizia indiano dedito alla protezione di infrastrutture industriali e potenziali obiettivi terroristici) invece che in un normale centro di detenzione.
Questi i fatti nudi e crudi. Da quel momento è partita una vergognosa campagna agiografica fascistoide, portata avanti in particolare da Il Giornale, quotidiano che, citando un’amica, «mi vergognerei di leggere anche se fossi di destra».
Che Il Giornale si sia lanciato in questa missione non stupisce, per almeno due motivi:
Ignazio La Russa
1) La fidelizzazione dei suoi (e)lettori passa obbligatoriamente per l’esaltazione acritica delle nostre – stavolta sì, nostre – forze armate, impegnate a «difendere la patria e rappresentare l’Italia nel mondo» anche quando, sotto contratto con armatori privati, prestano i loro servizi a difesa di interessi privati.
Anomalia, quest’ultima, per la quale dobbiamo ringraziare l’ex governo Berlusconi e in particolare l’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa, che nell’agosto 2011 ha legalizzato la presenza di militari a difesa di imbarcazioni private. In teoria la legge prevede l’uso dell’esercito o di milizie private, senonché le regole di ingaggio di queste ultime sono ancora da ultimare, lasciando il monopolio all’Esercito italiano. Ma questa è – parzialmente – un’altra storia.
2) Il secondo motivo ha a che fare col governo Monti, per il quale il caso dei due marò ha rappresentato il primo grosso banco di prova davanti alla comunità internazionale, escludendo la missione impossibile di cancellare il ricordo dell’abbronzatura di Obama, della culona inchiavabile, letto di Putin, della nipote di Mubarak, dell’harem libico nel centro di Roma e tutto il resto del repertorio degli ultimi 20 anni.
Troppo presto per togliere l’appoggio a Monti per questioni interne, da marzo in poi Latorre e Girone sono stati l’occasione provvidenziale per attaccare l’esecutivo dei tecnici, mantenendo vivo il rapporto con un elettorato che tra poco sarà di nuovo chiamato alle urne. E’ il tritacarne elettorale preannunciato da Emanuele Giordana al quale i due marò, dopo la visita ufficiale al Quirinale del 22 dicembre, sono riusciti a sottrarsi chiudendosi letteralmente nelle loro case fino al 10 gennaio quando, secondo i patti, torneranno in Kerala in attesa del giudizio della Corte Suprema di Delhi.
Margherita Boniver
Qualche esempio di strumentalizzazione?
Margherita Boniver, senatrice Pdl, il 19 dicembre riesce finalmente a fare notizia offrendosi come ostaggio per permettere a Latorre e Girone di tornare in Italia per Natale.
Ignazio La Russa, Pdl, il 21 dicembre annuncia di voler candidare i due marò nelle liste del suo nuovo partito Fratelli d’Italia (sic!).
L’escamotage, che serve a blindare i due militari entro i confini italiani, è rimandato al mittente dagli stessi Latorre e Girone, irremovibili nel mantenere la parola data alle autorità indiane.

LA QUERELLE SULLA POSIZIONE DELLA NAVE E UNA CURIOSA “CONTROPERIZIA”
La prima tesi portata avanti maldestramente dalla diplomazia italiana, puntellata dagli organi d’informazione, sosteneva che l’Enrica Lexie si trovasse in acque internazionali e, di conseguenza, la giurisdizione dovesse essere italiana. Ma le cose pare siano andate diversamente.
Il governo italiano ha sostenuto che l’Enrica Lexie si trovasse a 33 miglia nautiche dalla costa del Kerala, ovvero in acque internazionali, il che avrebbe dato diritto ai due marò ad un processo in Italia. La tesi è stata sviluppata basandosi sulle dichiarazioni dei marò e su non meglio specificate «rilevazioni satellitari”.
Secondo l’accusa indiana l’incidente si era invece verificato entro il limite delle acque nazionali: Girone e Latorre dovevano essere processati in India.
Nonostante la confusione causata dal campanilismo della stampa indiana ed italiana, la posizione della Enrica Lexie non è più un mistero ed è ufficialmente da considerare valida la perizia indiana.
La squadra d’investigazione speciale che si è occupata del caso lo scorso 18 maggio ha depositato presso il tribunale di Kollam l’elenco dei dati a sostegno dell’accusa di omicidio, citando i risultati dell’esame balistico e la posizione della petroliera italiana durante la sparatoria.
Secondo i dati recuperati dal GPS della petroliera italiana e le immagini satellitari raccolte dal Maritime Rescue Center di Mumbai, l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta «zona contigua».
Il diritto marittimo internazionale considera «zona contigua» il tratto di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria giurisdizione.
I fasci giocherellano con l'idea di essere in guerra con l'India. Poi toccherà alla Kamchatka.
A contrastare la versione ufficiale delle autorità indiane – che, ricordiamo, è stata accettata anche dai legali dei due marò e sarà la base sulla quale la Corte suprema indiana si pronuncerà – è apparsa in rete la ricca controperizia dell’ingegner Luigi di Stefano, già perito di parte civile per l’incidente di Ustica.
Di Stefano presenta una serie di dati ed analisi tecniche a supporto dell’innocenza dei due marò. Chi scrive non è esperto di balistica né perito legale – non è il mio mestiere – e davanti alla mole di dati sciorinati da Di Stefano rimane abbastanza impassibile. Tuttavia, è importante precisare che Di Stefano basa gran parte della sua controperizia su una porzione minima dei dati, quelli cioè divulgati alla stampa a poche settimane dall’incidente. Dati che, sappiamo ora, sono stati totalmente sbugiardati dalle rilevazioni satellitari del Maritime Rescue Center di Mumbai e dall’esame balistico effettuato dai periti indiani.
Nella perizia troviamo stralci di interviste tratti dal settimanale Oggi, fotogrammi ripresi da Youtube, fermi immagine di documenti mandati in onda da Tg1 e Tg2 (sui quali Di Stefano costruisce la sua teoria della falsificazione dei dati da parte della Marina indiana), altre foto estrapolate da un video della Bbc e una serie di complicatissimi calcoli vettoriali e simulazioni 3d.
Non si menziona mai, in tutta la perizia, nessuna fonte ufficiale dei tecnici indiani che, come abbiamo visto, hanno depositato in tribunale l’esito delle loro indagini il 18 maggio. Di Stefano aveva addirittura presentato il suo lavoro durante un convegno alla Camera dei deputati il 16 aprile, un mese prima che fossero disponibili i risultati delle perizie indiane!
In quell’occasione i Radicali hanno avanzato un’interrogazione parlamentare al ministro degli Esteri Terzi, chiedendo sostanzialmente: «Ma se abbiamo mandato i nostri tecnici in India e loro non hanno detto nulla, perché dobbiamo stare a sentire Di Stefano?»
Il lavoro di Di Stefano, in definitiva, è viziato sin dal principio dall’analisi di dati clamorosamente incompleti, costruito su dichiarazioni inattendibili e animato dal buon vecchio sentimento di superiorità occidentale nei confronti del cosiddetto Terzo mondo.
Se qualcuno ancora oggi ritiene che una simile perizia artigianale sia più attendibile di quella ufficiale indiana, cercare di spiegare perché non lo è potrebbe essere un inutile dispendio di energie.

UNGHIE SUI VETRI: «NON SONO STATI LORO A SPARARE!»
Altra tesi particolarmente in voga: non sono stati i marò a sparare, c’era un’altra nave di pirati nelle vicinanze, sono stati loro.
Nel rapporto consegnato in un primo momento dai membri dell’equipaggio dell’Enrica Lexie alle autorità indiane e italiane (entrambi i Paesi hanno aperto un’inchiesta) si specifica che Latorre e Girone hanno sparato tre raffiche in acqua, come da protocollo, man mano che l’imbarcazione sospetta si avvicinava all’Enrica Lexie. Gli indiani sostengono invece che i colpi erano stati esplosi con l’intenzione di uccidere, come si vede dai 16 fori di proiettile sulla St. Antony.
Il 28 febbraio il governo italiano chiede che al momento dell’analisi delle armi da fuoco siano presenti anche degli esperti italiani. La Corte di Kollam respinge la richiesta, accordando però che un team di italiani possa presenziare agli esami balistici condotti da tecnici indiani.
Gli esami confermano che a sparare contro la St. Antony furono due fucili Beretta in dotazione ai marò, fatto supportato anche dalle dichiarazioni degli altri militari italiani e dei membri dell’equipaggio a bordo sia dell’Enrica Lexie che della St. Antony.
Staffan De Mistura, sottosegretario agli Esteri italiano, il 18 maggio ha dichiarato alla stampa indiana: «La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo».
I più cocciuti, pur davanti all’ammissione di colpa di De Mistura, citano ora il mistero della Olympic Flair, una nave mercantile greca attaccata dai pirati il 15 febbraio, sempre al largo delle coste del Kerala. La notizia, curiosamente, è stata pubblicata esclusivamente dalla stampa italiana, citando un comunicato della Camera di commercio internazionale inviato alla Marina militare italiana. Il 21 febbraio la Marina mercantile greca ha categoricamente escluso qualsiasi attacco subito dalla Olympic Flair.
A questo punto possiamo tranquillamente sostenere che:
1) l’Enrica Lexie non si trovava in acque internazionali;
2) i due marò hanno sparato
.
Sono due fatti supportati da prove consistenti e accettati anche dalla difesa italiana, che ora attende la sentenza della Corte suprema circa la giurisdizione.
Secondo la legge italiana ed i suoi protocolli extraterritoriali, in accordo con le risoluzioni dell’Onu che regolano la lotta alla pirateria internazionale, i marò a bordo della Enrica Lexie devono essere considerati personale militare in servizio su territorio italiano (la petroliera batteva bandiera italiana) e dovrebbero godere quindi dell’immunità giurisdizionale nei confronti di altri Stati.
La legge indiana dice invece che qualsiasi crimine commesso contro un cittadino indiano su una nave indiana – come la St. Antony – deve essere giudicato in territorio indiano, anche qualora gli accusati si fossero trovati in acque internazionali.
A livello internazionale vige la Convention for the Suppression of Unlawful Acts Against the Safety of Maritime Navigation (SUA Convention), adottata dall’International Maritime Organization (Imo) nel 1988, che a seconda delle interpretazioni, indicano gli esperti, potrebbe dare ragione sia all’Italia sia all’India.
La sentenza della Corte Suprema di New Delhi, prevista per l’8 novembre ma rimandata nuovamente a data da destinarsi, dovrebbe appunto regolare questa ambiguità, segnando un precedente legale per tutti i casi analoghi che dovessero verificarsi in futuro.
Il caso dei due marò, che dal mese di giugno sono in regime di libertà condizionata e non possono lasciare il Paese prima della sentenza, sarà una pietra miliare del diritto marittimo internazionale.

IMPRECISIONI, DIMENTICANZE, SAGRESTIE E ROMBI DI MOTORI
In oltre 10 mesi di copertura mediatica, la cronaca a macchie di leopardo di gran parte della stampa nazionale ha omesso dettagli significativi sul regime di detenzione dei marò, si è persa per strada alcuni passaggi della diplomazia italiana in India e ha glissato su una serie di comportamenti “al limite della legalità” che hanno contraddistinto gli sforzi ufficiali per «riportare a casa i nostri marò». In un altro articolo pubblicato su China Files il 7 novembre, avevo collezionato le mancanze più eclatanti. Riprendo qui quell’esposizione.
Descritti come «prigionieri di guerra in terra straniera» o militari italiani «dietro le sbarre», Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in realtà non hanno speso un solo giorno nelle famigerate carceri indiane.
I due militari del Reggimento San Marco, in libertà condizionata dal mese di giugno, come scrive Paolo Cagnan su L’Espresso, in India sono trattati col massimo riguardo e, in oltre otto mesi, non hanno passato un solo giorno nelle famigerate celle indiane, alloggiando sempre in guesthouse o hotel di lusso con tanto di tv satellitare e cibo italiano in tavola. Tecnicamente, «dietro le sbarre» non ci sono stati mai.
Un trattamento di lusso accordato fin dall’inizio dalle autorità indiane che, come ricordava Carola Lorea su China Files il 23 febbraio, si sono assicurate che il soggiorno dei marò fosse il meno doloroso possibile:
'a pizza
«I due marò del Battaglione San Marco sospettati di aver erroneamente sparato a due pescatori disarmati al largo delle coste del Kerala, sono alloggiati presso il confortevole CISF Guest House di Cochin per meglio godere delle bellezze cittadine.
Secondo l’intervista rilasciata da un alto funzionario della polizia indiana al Times of India, i due sfortunati membri della marina militare italiana sarebbero trattati con grande rispetto e con tutti gli onori di casa, seppure accusati di omicidio.
La diplomazia italiana avrebbe infatti fornito alla polizia locale una lista di pietanze italiane da recapitare all’hotel per il periodo di fermo: pizza, pane, cappuccino e succhi di frutta fanno parte del menu finanziato dalla polizia regionale. Il danno e la beffa.»
Intanto, l’Italia cercava in ogni modo di evitare la sentenza dei giudici indiani, ricorrendo anche all’intercessione della Chiesa. Alcune iniziative discutibili portate avanti dalla diplomazia italiana, o da chi ne ha fatto tristemente le veci, hanno innervosito molto l’opinione pubblica indiana. Due di queste sono direttamente imputabili alle istituzioni italiane.
In primis, aver coinvolto il prelato cattolico locale nella mediazione con le famiglie delle due vittime, entrambe di fede cattolica. Il sottosegretario agli Esteri De Mistura si è più volte consultato con cardinali ed arcivescovi della Chiesa cattolica siro-malabarese, nel tentativo di aprire anche un canale “spirituale” con i parenti di Ajesh Pinky e Selestian Valentine, i due pescatori morti il pomeriggio del 15 febbraio.
L’ingerenza della Chiesa di Roma non è stata apprezzata dalla comunità locale che, secondo il quotidiano Tehelka, ha accusato i ministri della fede di «immischiarsi in un caso penale», convincendoli a dismettere il loro ruolo di mediatori.
Il 24 aprile, inoltre, il governo italiano e i legali dei parenti delle vittime hanno raggiunto un accordo economico extra-giudiziario. O meglio, secondo il ministro della Difesa Di Paola si è trattato di «una donazione», di «un atto di generosità slegato dal processo».
Alle due famiglie, col consenso dell’Alta Corte del Kerala, vanno 10 milioni di rupie ciascuna, in totale quasi 300mila euro. Dopo la firma, entrambe le famiglie hanno ritirato la propria denuncia contro Latorre e Girone, lasciando solo lo Stato del Kerala dalla parte dell’accusa.
Raccontata dalla stampa italiana come un’azione caritatevole, la transazione economica è stata interpretata in India non solo come un’implicita ammissione di colpa, ma come un tentativo, nemmeno troppo velato, di comprarsi il silenzio delle famiglie dei pescatori.
Tanto che il 30 aprile la Corte Suprema di Delhi ha criticato la scelta del tribunale del Kerala di avallare un simile accordo tra le parti, dichiarando che la vicenda «va contro il sistema legale indiano, è inammissibile.»
Immagine tratta da "Libero"
Ma il vero capolavoro di sciovinismo è arrivato lo scorso mese di ottobre durante il Gran Premio di Formula 1 in India. In un’inedita liaison governo-Il Giornale-Ferrari, in poco più di una settimana l’Italia è riuscita a far tornare in prima pagina il non-caso dei marò che in India, dopo 8 mesi dall’incidente, era stato ampiamente relegato nel dimenticatoio mediatico.
Rispondendo all’appello de Il Giornale ed alle «migliaia di lettere» che i lettori hanno inviato alla redazione del direttore Sallusti, la Ferrari ha accettato di correre il gran premio indiano di Greater Noida mostrando in bella vista sulle monoposto la bandiera della Marina Militare Italiana. Il primo comunicato ufficiale di Maranello recitava:
«[…] La Ferrari vuole così rendere omaggio a una delle migliori eccellenze del nostro Paese auspicando anche che le autorità indiane e italiane trovino presto una soluzione per la vicenda che vede coinvolti i due militari della Marina Italiana.»
La replica seccata del Ministero degli Esteri indiano non si fa attendere: «Utilizzare eventi sportivi per promuovere cause che non sono di quella natura significa non essere coerenti con lo spirito sportivo
Pur avendo incassato il plauso del ministro degli Esteri Terzi, che su Twitter ha gioito dell’iniziativa che «testimonia il sostegno di tutto il Paese ai nostri marò», la Scuderia Ferrari opta per un secondo comunicato. Sfidando ogni logica e l’intelligenza di italiani ed indiani, l’ufficio stampa della casa automobilistica specifica che esporre la bandiera della Marina «non ha e non vuole avere alcuna valenza politica
In mezzo al tira e molla di una strategia diplomatica improvvisata, così impegnata a non scontentare l’Italia più sciovinista al punto da appoggiare la pessima operazione d’immagine del duo Maranello-Il Giornale, accolta in India da polemiche ampiamente giustificabili, il racconto dei marò – precedentemente «dietro le sbarre» - è continuato imperterrito con toni a metà tra un romanzo di Dickens e una sagra di paese.
Il Giornale, ad esempio, esaltando la vittoria morale dell’endorsement Ferrari, confida ai propri lettori che
Friselle
«i famigliari di Massimiliano Latorre, tutti con una piccola coccarda di colore giallo e il simbolo della Marina Militare al centro appuntata sugli abiti, hanno pensato di portare a Massimiliano e a Salvatore alcuni tipici prodotti locali della Puglia: dalle focacce ai dolci d’Altamura per proseguire poi con le orecchiette, le friselle di grano duro
L’operazione, qui in India, ha raggiunto esclusivamente un obiettivo: far inviperire ancora di più le schiere di fanatici nazionalisti indiani sparse in tutto il Paese.
Ma è lecito pensare che la mossa mediatica, ancora una volta, non sia stata messa a punto per il bene di Latorre e Girone, bensì per strizzare l’occhiolino a quell’Italia abbruttita dalla provincialità imposta dai propri politici di riferimento, maltrattata da un’informazione colpevolmente parziale che da tempo ha smesso di “informare” preferendo istruire, depistare, ammansire e rintuzzare gli istinti peggiori di una popolazione alla quale si rifiuta di dare gli strumenti e i dati per provare a capire e pensare con la propria testa.

PARLARE A CHI SI TAPPA LE ORECCHIE
In questi mesi, quando provavamo a raccontare la storia dei marò facendo due passi indietro e includendo doverosamente anche le fonti indiane, ci sono piovuti addosso decine di insulti. Quando citavamo fonti dai giornali indiani, ci accusavano di essere «come un fogliaccio del Kerala»; quando abbiamo provato a spiegare il problema della giurisdizione, ci hanno risposto «L’India è un paese di pezzenti appena meno pezzenti di prima che cerca di accreditarsi come potenza, ma sempre pezzenti restano. E un pezzente con soldi diventa arrogante. Da nuclearizzare!»; quando abbiamo cercato di smentire le falsità pubblicate in Italia (come la memorabile bufala di Latorre che salva un fotografo fermando una macchina con le mani e si guadagna le copertine indiane come “Eroe”) ci hanno dato degli anti-italiani, augurandoci di andare a vivere in India e vedere se là stavamo meglio. Ignorando il fatto che, a differenza di molti, noi in India ci abitiamo davvero.
I beduini del Kerala
Quando tutta questa vicenda verrà archiviata e i marò saranno sottoposti a un giusto processo – in Italia o in India, speriamo che sia giusto – sarà bene ricordarci come non fare del cattivo giornalismo, come non condurre un confronto diplomatico con una potenza mondiale e, soprattutto, come non strumentalizzare le nostre forze armate per fini politici. Una cosa della quale, anche se fossi di destra, mi sarei vergognato.