lunedì 31 luglio 2017

GLI AIUTI A "CASA LORO"


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Dopo le dichiarazioni copia e incolla dell'ex premier ma ancora segretario del partito Pd Renzi che sono anche quelle di Salvini,"aiutiamoli a casa loro",il rispolvero di un articolo del 2015 dove ci sono cifre inequivocabili sui volumi di affari dell'Italia in fatto di traffico d'armi può essere d'aiuto(repubblica francia_e_italia_sono_le_regine_dell_export_europeo_di_armi ).
Battuti solo dalla Francia a livello europeo emerge il fatto che noi armiamo i paesi che poi sono quelli che più incidono sul tema della sicurezza in tutta Europa,evidenziando il fatto che al momento della stesura non erano accaduti tutti i fatti di sangue in Francia,Belgio e Gran Bretagna.
Insomma oltre allo sfruttamento di uomini,di risorse minerarie e di quelle agricole ci prodighiamo anche nell'aiuto diretto al rifornimento di armamenti per delle guerre che stanno insanguinando non solo l'Africa ma tutto il mondo in maniera silente.
Da vedere anche questo,del resto vendendo armi si producono profughi(madn profughi-e-armi ).

Armi, in Libia, Francia e Italia sono le regine dell'export europeo

Dal 2005 al 2012 l'Italia, battuta nell'UE solo dalla Francia, ha autorizzato 375,5 milioni di euro di esportazioni belliche in Libia, 177,5 milioni le consegne effettive; oggi, nel caos libico, non si sa più chi combatta con quelle armi. Il record di commesse è del 2009 con il Governo Berlusconi. "Fomentiamo la violenza in contesti di cui poi dobbiamo preoccuparci", è la denuncia dell'Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia. Stesso paradosso in Ucraina e nel Medio Oriente in fiamme

di STEFANO PASTA

ROMA - Mentre i nostri connazionali lasciano la Libia, il made in Italy continua ad essere ben rappresentato nella guerra civile. Tra gli Stati Ue, dal 2005 al 2012 l'Italia è stata seconda solo alla Francia tra chi ha venduto armi alla Libia, che ora, in quello che è diventato uno scenario somalo, sono finite in mano a tutte le diverse fazioni che si stanno combattendo. E dopo il 2012? Non è dato saperlo, la Relazione dell'Ue sull'export di armamenti, che solitamente viene diffusa nel dicembre dell'anno successivo, per il 2013 non è ancora stata pubblicata: doveva uscire a gennaio, ora si parla di aprile. Eppure, mentre si discute di missioni militari e di fine dell'embargo del 2011, sarebbe utile sapere chi, e con che cosa, ha armato i libici...

Il podio dei venditori.
I conti li ha fatti l'Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia, cioè la provincia dove si concentra la produzione del made in Italy che spara. "Nei sette anni presi in esame - spiega l'analista Giorgio Beretta - le autorizzazioni dei governi ad esportare armi in Libia sono state di 431,7 milioni di euro per la Francia, 375,5 per l'Italia, 161,8 la Gran Bretagna, 95,9 la Germania e 22,9 il Belgio". Quanto alle consegne effettive, il podio non cambia: Francia (248,2 milioni di euro), Italia (177,5), Spagna (15,1). Quando nel 2011, mentre si proclamava l'embargo Onu, l'Opal denunciava la vendita delle armi italiane in Libia, Finmeccanica -  partecipata dal Ministero dell'Economia che ne è il principale azionista - precisava "che gli ordini acquisiti non sono in ambito militare".

Tra elicotteri militari e parti di missili.
Eppure Giorgio Beretta cita, relazioni del Governo alla mano, "nel 2006 l'autorizzazione di due A109 militari dell'Agusta e sei mesi di addestramento, nel 2007 per altri otto di questi elicotteri, un aeromobile Alenia Maritime Patrol e 80 mesi di assistenza tecnica per un velivolo Alenia Aermacchi. Nel 2009 il boom: oltre 111 milioni di euro, tra ricambi, nuovi velivoli militari e componenti di missili Milan3; nel 2010 compaiono anche sistemi di sorveglianza (38 milioni di autorizzazioni), mentre l'anno dopo, a causa dell'embargo, scendono a 900mila euro. "Ma nel 2012 - riprende Beretta - l'Italia autorizza 20 milioni di commesse al nuovo Governo post Ghedaffi. Manca trasparenza, ma probabilmente sono parti di ricambio per elicotteri Agusta A109 e AW139, entrambi per impiego militare".

Armiamo i nemici della nostra sicurezza.
Secondo l'analista "la riconversione dell'industria bellica non è una questione né ideologica, né economica. Distribuire armi in contesti instabili, fomentando violenza diffusa, è prima di tutto un problema di sicurezza. Peraltro, la mancanza di coordinamento europeo su questo tema, porta a una concorrenza tra i paesi comunitari che va nella direzione opposta alla difesa comune". Nella Relazione sulle esportazioni di sistemi militari, inviata dal Governo alle Camere a inizio agosto, si legge che nel 2013 la meta principale delle nostre armi è stato il Medio Oriente in fiamme. Una cifra record per quest'area, 888 milioni sul totale di un export italiano di 2.751.006.957 euro.

I nostri clienti nel Medio Oriente in fiamme.
L'Arabia Saudita in primis: in quell'anno, agli sceicchi abbiamo venduto caccia Eurofighter, missili Iris-Ti e un ampio arsenale di bombe per 300 milioni. In Algeria ed Emirati Arabi, il leitmotiv è armi in cambio di gas e petrolio: al controverso presidente algerino Bouteflika abbiamo consegnato elicotteri Augusta e navi d'assalto, oltre a cartucce lacrimogene usate per reprimere le manifestazioni, mentre a dicembre 2013, per la vendita delle due corvette Abu Dhabi Class agli Emirati da parte di Fincantieri, la Procura di Milano ha addirittura aperto un'inchiesta per "tentata corruzione internazionale". Ma l'elenco continua: caccia all'Oman, due velivoli Alenia Aermacchi ad Israele e bombe all'Egitto. "Proprio verso il paese guidato dai militari - dice l'analista di Opal - anche nell'agosto e settembre 2014 la Fabbrica d'Armi Pietro Beretta di Gardone Val Trompia (BS) ha esportato 30mila pistole per un valore di 9 milioni di euro".

Lo stesso paradosso in Ucraina e in altri Stati.
Ma il paradosso per cui in Libia e Medio Oriente le nostre commesse armano le guerre che poi ci preoccupano, vale anche in altri scenari di crisi. Per Giorgio Beretta "anche ad Ucraina e Russia abbiamo venduto armi, ma la grossa novità è del 2011, quando il Governo Berlusconi autorizzò un'esportazione record di oltre 99,4 milioni di euro; di queste, quasi 15 milioni sono state consegnate nel 2012 e 34,4 milioni nel 2013". Inoltre, il made in Italy arma le forze dell'ordine dell'autoritario Turkmenistan e del Guatemala, dove il Dipartimento di Stato Usa segnala "il coinvolgimento della polizia e dei militari in gravi reati quali sequestro di persona, traffico di droga ed estorsione"; in Myanmar, nonostante non ci siano autorizzazioni nelle relazioni governative, le navi militari sono equipaggiate con cannoni della bresciana Oto Melara.

domenica 30 luglio 2017

IL PROBLEMA DELL'ACQUA:SPRECHI E CATTIVA GESTIONE


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Nonostante il referendum vinto per non privatizzare l'acqua nel 2011 la questione è ancora aperta e molti ancora sono i gestori privati che operano in questo settore nevralgico della società e dell'economia soprattutto nei mesi estivi e come stiamo appurando dai notiziari ormai da settimane(vedi madn i-profitti-sullacqua ).
L'articolo proposto da Senza Soste(clima-siccita )parla non solo della carenza dell'acqua che strutturalmente ed idrogeologicamente è presente in Italia in certi posti soprattutto al sud,ma anche delle perdite dovute a reti idrauliche obsolete.
Evitare le perdite nella rete e lavorare seriamente al dissesto idrogeologico italiano costerebbero sui 15 miliardi di Euro con 200mila nuovi posti di lavoro,ma si sa che se si usano come da ultimo 17 miliardi di Euro per il salvataggio delle banche venete(e migliaia di esuberi)abbiamo capito che i soldi ci sono ma le priorità sono altre.
Il discorso va anche sul clima nella seconda parte dell'articolo con un cambio repentino tra periodi di siccità alternati a quelli di alluvione non solo per la conformazione geologica del terreno ma per l'appunto per l'insensatezza che da decenni ha caratterizzato la politica della gestione del suolo in Italia.
Solamente un lavoro pubblico pianificato a lungo tempo potrebbe cominciare a risolvere,ma con risultati che si vedranno tra diversi anni,tutte le problematiche legate all'acqua,al suolo e al dissesto idrogeologico.
Propongo un altro contributo(contropiano lacqua-ce-la-gestisce-non-interesse-ridurre-le-perdite )che parla prevalentemente di Roma dove le perdite sono alte tant'è che sono disponibili 21,5 metri cubi al secondo di acqua per Roma e periferie mentre se ne tariffano solamente 10.

Clima, siccità e acqua razionata: ecco perché.

Interessi economici e ostilità verso la prevenzione. L'analisi di Marco Bersani e Luca Mercalli
IL FALLIMENTO DELL’ACQUA PRIVATIZZATA

di Marco Bersani – tratto da ilmanifesto.it

Dentro l’Italia che brucia, dentro l’agricoltura sfiancata dalla siccità, nel disastro ambientale del lago di Bracciano e del possibile razionamento dell’acqua a Roma Capitale, spiace dover dire ancora una volta «i movimenti l’avevano detto». Ma, per quanto frustrante, è la pura verità. Le dichiarazioni dei politici ai telegiornali, le dissertazioni degli opinionisti nei talk show, le roboanti tabelle degli amministratori delegati delle società privatizzate di gestione dell’acqua si inseguono tra loro, compiendo una consapevole rimozione su un nodo di fondo: l’acqua, bene comune naturale, essenziale alla sopravvivenza delle persone, non può essere gestito, se non tenendo conto dell’interesse generale e della conservazione del bene per le generazioni future.

Siamo da tempo immersi nella drammaticità di cambiamenti climatici in corso, le cui conseguenze peseranno per decenni a venire, eppure periodicamente ci si stupisce del fatto che le stagioni non siano più quelle di una volta e il binomio siccità/alluvioni non sia più un evento straordinario, bensì una nuova normalità con cui dover fare i conti e che solo con adeguata prevenzione può essere affrontata. Con buona pace degli sviluppisti, l’acqua è una risorsa limitata e la natura ha tempi di rigenerazione che non possono essere accelerati: per questo, quando i nodi vengono al pettine, non è possibile affidarne la soluzione al libero conflitto degli interessi particolari e meno che mai agli interessi privatistici di chi dell’acqua ha fatto il nuovo business su cui riprendere l’accumulazione finanziaria. Il fatto è che il modello liberista ha modificato i concetti di spazio e tempo: allargando esponenzialmente il primo, fino a voler fare del pianeta un unico grande mercato, e riducendo esponenzialmente il secondo, fino a farlo coincidere con gli indici di Borsa del giorno successivo.

Occorre aver chiaro come su queste basi nessuna soluzione sia possibile. L’acqua non può essere gestita dal mercato e il mercato dev’essere escluso dall’acqua: questo hanno detto oltre 27 milioni di cittadini nel referendum del giugno 2011 e la mancata attuazione di quella decisione sovrana pesa come un macigno tanto sui drammatici accadimenti di questi giorni, quanto sulla crisi della democrazia, oggi segnata da una crescente disaffezione popolare. In venti anni di privatizzazioni della gestione dell’acqua, gli investimenti sono crollati a un terzo di quelli fatti dalle precedenti società municipalizzate, la qualità del lavoro e dei servizi offerti é nettamente peggiorata e le tariffe sono aumentate senza soluzione di continuità. In compenso, sono saliti esponenzialmente i dividendi degli azionisti, cui tutti gli utili vengono destinati, anziché essere reinvestiti nel miglioramento di infrastrutture a dir poco obsolete.

E’ possibile invertire la rotta? Certo che sì, a patto che tornino al centro l’interesse generale e il diritto al futuro per tutte e tutti. Un intervento pubblico sul dissesto idrogeologico dei nostri territori e un piano per il riammodernamento delle reti idriche costerebbero complessivamente 15 miliardi e produrrebbero 200.000 posti di lavoro pulito e socialmente utile. «Non ci sono i soldi», ripete il mantra liberista, ma intanto sono 17 i miliardi messi a disposizione per regalare Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca al colosso IntesaSampaolo, che produrrà 4000 esuberi. Da qualsiasi punto la si voglia affrontare, è un problema di volontà politica: possiamo continuare a tollerare che siano i vincoli finanziari dell’Unione Europea e la trappola del debito a determinare le scelte politiche collettive o vogliamo mettere finalmente il diritto alla vita, alla dignità e al futuro al primo posto?

Nello specifico: cosa aspetta il Parlamento a legiferare contro il consumo di suolo, per un grande piano di intervento sul dissesto idrogeologico e di intervento sulle infrastrutture idriche? Cosa aspetta per rendere operativa la volontà popolare espressa nei referendum per l’acqua del giugno 2011, sottraendo la gestione dell’acqua e dei beni comuni dalle leggi del mercato? E ancora: quanto tempo dovrà passare prima che la sindaca di Roma avvii in forma partecipativa la ripubblicizzazione del servizio idrico, togliendolo dagli interessi dei Caltagirone e di Suez? O che la Regione Lazio approvi i decreti attuativi di una legge d’iniziativa popolare approvata ormai tre anni or sono? Questi sono i fatti che possono determinare la necessaria inversione di rotta, il resto sono lacrime di coccodrillo o l’ennesima attestazione di complicità con gli interessi finanziari in gioco.

25 luglio 2017

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OGGI C’È LA SICCITÀ. DOMANI LE ALLUVIONI

di Luca Mercalli – tratto da http://www.ilfattoquotidiano.it/

Siamo un Paese ostile alla prevenzione. Solo quando l’emergenza ci mette con le spalle al muro affrontiamo la realtà, spesso pure con solidarietà e fantasia, ma appena passato il dolore acuto torniamo in uno stato di indifferente apatia di indolente fatalismo fino alla crisi successiva. E che con l’acqua di crisi ci sia da attendersene continuamente lo si sa almeno dall’epoca degli antichi egizi: siccità e alluvioni costellano le cronache di ogni civiltà. Solo che per millenni si è preso ciò che il cielo dispensava, subendolo e attribuendolo a castigo divino, mentre da un paio di secoli la scienza ha compreso le dinamiche idrologiche e con l’aiuto di meteorologia, climatologia, geomorfologia e idraulica oggi dispone di una capacità previsionale utile a prepararsi al futuro. Ammesso che questo sapere venga utilizzato e non messo in un cassetto, limitandosi a predare i beni comuni con improvvisazione, pigrizia, sovrasfruttamento. Ed è così che in Italia vuoi quando si contano i morti nel fango delle inondazioni, vuoi quando si cercano affannose soluzioni alla penuria d’acqua, il copione è sempre lo stesso: un po’ di cronaca vera “ha avuto paura?”, “rinuncerà all’idromassaggio?”, “mai successo a memoria d’uomo!”, seguita da banali polemiche, ricerca del responsabile diretto da additare alla magistratura (nel tentativo di trovare cause semplici a problemi complessi), e qualche analisi più vasta del problema. Tre giorni, poi tutto finisce e si torna al solito chiacchiericcio politico di fondo che spesso poco ha a che fare con le questioni davvero strategiche per il nostro futuro.

E invece è proprio sulle analisi più ampie dei problemi che tocca soffermarsi, approfondire, pianificare, legiferare, agire. Quando parliamo di acqua, risolta l’emergenza dei soccorsi, tutto si basa su un’accurata preparazione in tempo di pace: formazione della cittadinanza, che ignora completamente tanto i manuali di protezione civile quanto le basi del ciclo dell’acqua, più importante delle oscillazioni del Pil, e lavoro capillare sulle infrastrutture idriche. Sappiamo bene che gli acquedotti d’Italia fanno acqua da tutti i tubi: 38 per cento sono le perdite medie nazionali secondo Istat, ma a Milano sono il 16 per cento, a Roma il 43, a Bari il 50, a Potenza il 64 per cento. E copiare da chi fa meglio, no eh?

Ci sono società di servizi idrici come quella di Torino che da anni si preoccupano dei cambiamenti climatici e investono in infrastrutture idrauliche di accumulo, ben sapendo che dovranno servirsene nei prossimi anni, via via che la temperatura e le siccità aumenteranno. Sono tutte cose scritte anche nella Strategia di Adattamento ai Cambiamenti Climatici del Ministero dell’Ambiente, abbiamo i dati, abbiamo le competenze, abbiamo anche esempi di eccellenza già funzionanti, dobbiamo solo applicarli in un quadro coerente e univoco su tutto il territorio nazionale. Invece ciò non avviene, anche perché molti servizi tecnici nazionali di antica data, che avevano doveri e capacità per armonizzare la gestione dell’acqua sono stati sistematicamente smantellati, riaperti sotto altro nome, richiusi, frammentati, a colpi di leggi e decreti sempre più ravvicinati che hanno generato una giungla burocratica, una polverizzazione di responsabilità e spesso una valanga di deresponsabilizzazione, nonché un’oggettiva difficoltà a mettere insieme monitoraggio e previsione meteoidrologica, pianificazione degli usi a scala di bacino, protezione civile, urbanistica e uso del suolo. Un terreno però fertilissimo per l’appalto e il subappalto esterno, che non viene più seguito direttamente dal tecnico governativo con una visione a lungo termine, ma delegato a un esecutore che non ha certo a cuore il futuro dell’umanità, bensì la massimizzazione del suo profitto immediato.

Abbiamo bisogno di tornare alla concretezza delle azioni e al buon senso della pianificazione di lungo periodo, visto che gli scenari climatici impongono una rivisitazione dell’esistente: manutenzione delle reti idriche, adeguamento degli invasi, che sono in gran parte vecchi di un secolo, costruzione di nuove dighe laddove sia possibile, uscendo dalla logica della grande opera colonizzatrice imposta dall’esterno ma entrando nel campo della negoziazione condivisa con il territorio, semplificazione burocratica, diffusione dei contratti di fiume, alfabetizzazione dei cittadini sull’uso prudente e parsimonioso dell’acqua, almeno nei periodi di scarsità. Non sono originale, lo so. Tutte cose già dette e scritte in mille occasioni. Ma forse un po’ di sete in capitale potrà essere utile per occuparsi con lungimiranza di quel bene liquido che tutti diamo per scontato ma che quando manca fa precipitare la qualità della vita a livelli intollerabili. Ci risentiamo in autunno, sicuramente pioverà, la siccità sarà un ricordo e commenteremo l’alluvione!

25 luglio 2017

sabato 29 luglio 2017

LA HATE BOAT FERMA MA I GOVERNI SI MUOVONO


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Dopo i cinque giorni di fermo a Suez la nave C-Star che doveva impedire ai migranti di raggiungere le coste del Sud Europa ed in particolare la Sicilia è ripartita,ma il suo cammino si è arenato e si spera in maniera definitiva a Famagosta nell'isola di Cipro(madn la-c-star-e-il-suo-sporco-progetto ).
Infatti sia il capitano della nave nazifascista che il suo armatore sono stati arrestati per traffico di essere umani,un finale comico se non ci fossero in ballo tutte le questioni che sappiamo,e l'equipaggio composto prevalentemente da cingalesi hanno chiesto la protezione internazionale e lo status di rifugiati politici(articolo:contropiano arrestato-capitano-della-nave-identitaria )
L'accozzaglia nazifascista di Defend Europe,the identitarians e gli italici generazione identitaria finiscono la misera avventura e chi ha speso soldi per la loro"buona causa"si sono fatti solo abbindolare da questi subumani che avevano già trovato resistenza nei porti dove avrebbe dovuto attraccare,Catania in primis.
Dopo questa epica figura di merda purtroppo si sta già parlando di controlli e di rimpatri che dovrebbero essere stavolta direttamente avallati dai governi con il nostro che a capo chino sarà quello che avrà maggiori impegni e responsabilità(contropiano litalia-alla-nuova-guerra-libia-bloccare-migranti ).

Arrestato il capitano della nave “identitaria”. Per “traffico di esseri umani”.

di  Redazione Contropiano - Andrea Palladino *
Bisogna ringraziare ancora Andrea Palladino, ex collaboratore de il manifesto attualmente in forza a Famiglia Cristiana, che sta seguendo da vicino la tragicomica vicenda della C Star, la nave presa a noto dalla “Generazione identitaria” – filiazione italiana di Defend Europe, organizzazione fascita europea. Come già avevamo scritto, questa iniziativa pubblicitaria dei nazistelli aveva come scopo dichiarato quello di disturbare “fisicamente” i salvataggi in mare operati dalle navi delle Ong (non tutte al di sopra di ogni sospetto, peraltro).

Il tutto in nome del “contrasto all’immigrazione irregolare e clandestina”, condita con vaniloqui sulla “politica di sostituzione” della popolazione indigena (saremmo noi, italiani di pelle più o meno bianca) con “negri” importati.

Questa nave, già nei giorni scorsi, aveva avuto problemi “burocratici” – carenza o assenza di documenti – nel passaggio del Canale di Suez, rimanendo ferma per un po’ in un porto egiziano. Poi era ripartita per fare tappa a Cipro, anziché a Catania – come annunciato da settimane, fino a suscitare un’ampia mobilitazione antirazzista. Una deviazione alquanto strana, ma ora si capisce perché…

A Cipro, infatti, il capitano e il proprietario della nave sono stati arrestati. I documenti non erano in ordine e l’equipaggio era in gran parte formato da cingalesi… Tanti, forse troppi, al punto da far sospettare che in realtà stesse trasportandoli in Europa. I cingalesi erano infatti inquadrati, nelle documentazione, come “apprendisti marinai”, i quali però avrebbero “pagato per fare miglia su quella nave al fine di convalidare il loro diploma. Una pratica comune del tutto legale”. Un escamotage che andrebbe bene in Italia, sotto la copertura legale del Jobs Act, ma che a livello internazionale fa scattare ancora le manette…

Contrordine camerati, il capitano della C-Star è stato arrestato

Andrea Palladino (http://www.famigliacristiana.it/)

Il capitano della nave della destra xenofoba C-Star sarebbe stato arrestato oggi dalla polizia locale, con l’accusa di non avere i documenti in regola. La notizia è stata pubblicata poco fa dal giornale turco-cipriota Kibris Postasi Gazetesi(www.kibrispostasi.com). L’equipaggio – che, secondo altre fonti, sarebbe composto in parte da marinai dello Sri-Lanka – è stato evacuato e la nave fermata nel porto di Famagusta, zona nord di Cipro.

Si tratta del secondo fermo dell’imbarcazione, rimasta all’ancora per quasi cinque giorni a sud di Suez la scorsa settimana e sottoposta a controlli delle autorità egiziane. Uno dei leader del movimento di estrema destra, l’austriaco Martin Sellner, ha confermato il fermo della nave alla testata BuzzFeed, rifiutandosi di aggiungere ulteriori dettagli (www.buzzfeed.com).

Prende corpo l’ipotesi che fosse proprio il porto di Famagosta, nella zona nord a controllo turco di Cipro, la base logistica scelta dall’organizzazione Generazione identitaria per lanciare la missione della C-Star, con l’obiettivo di boicottare l’azione umanitaria delle Ong impegnate nel mare tra la Libia e la Sicilia. Sulla rete social twitter è stata diffusa nelle scorse ore la foto dell’armatore della nave Tomas Egerstrom, mentre alcune fonti confermano la partenza per Istanbul di alcuni attivisti di Generazione identitaria. L’accesso alla zona nord di Cipro è infatti possibile partendo dalla Turchia, ed è anche al di fuori del controllo delle forze navali europee, impegnate con l’agenzia Frontex nell’emergenza migranti. Il porto e le acque della zona sono sotto la diretta influenza della Turchia.

Potrebbe dunque fermarsi nell’isola di Cipro la missione organizzata da diversi mesi da Generazione Identitaria che, ufficialmente, aveva l’obiettivo di monitorare e boicottare l’azione delle Ong impegnate nelle missioni di salvataggio in mare dei rifugiati. Diventa sempre più difficile per la C-Star attraversare il Mediterraneo evitando i controlli e i possibili fermi disposti dalle autorità.

LA GUERRA DI PROPAGANDA

E’ una sorta di guerra 2.0, quella in corso nel Mediterraneo, dove la tecnologia e la propaganda diventano armi, con rotte della navi manipolate da mani ignote, in grado di fornire dati falsi ai sistemi di tracciamento marittimo. Caldo, caldissimo è il fronte sud, la zona di soccorso dei rifugiati che tentano il viaggio verso le coste italiane, sfuggendo alle guerre, alle torture, alle prigioni dell’Africa. Da una parte le Ong, che hanno messo in mare navi per salvare vite, strappando i corpi all’annegamento spesso certo. Dall’altra un network europeo di organizzazioni di estrema destra, riunite sotto la bandiera di Generazione identitaria.

Ieri sera il profilo tweeter “Defend Europe”, gestito dall’organizzazione di estrema destra, ha lanciato un post: “Che tipo di salvataggio può fare la Ong Open arms quando la loro nave è ad un appena un miglio dalle coste libanesi?”. Al tweet è allegata la schermata di Marine Traffic, sito di monitoraggio delle rotte marittime, che mostra la nave della Ong spagnola vicina al Libano.

E’ la prova di un comportamento opaco? In realtà qualcuno, al momento ignoto, aveva poche ore prima manipolato il sistema Ais, che riceve i segnali dai trasponder delle navi. La Open Arms era in realtà regolarmente in navigazione nella zona di soccorso tra la Libia e la Sicilia. A scoprire l’hackeraggio è stata la stessa Marine Traffic: “L’unica spiegazione plausibile – spiega Alex Charvalias, esperto di Data intelligence di Marine Traffic, interpellato da Famiglia Cristiana – è uno spoofing (clonazione, ndr) del segnale, che ha utilizzato lo stesso MMSI (ovvero il numero univoco della nave, ndr)”. Insomma un’azione deliberata, non un errore del sistema.

LA NAVE DELLA DESTRA ARRIVA A CIPRO

Intanto la nave C-Star – la cui storia è stata ricostruita da Famiglia Cristiana – ha lasciato nei giorni scorsi il canale di Suez, entrando nel Mediterraneo, avvicinandosi alla zona di soccorso dei rifugiati in viaggio dalla Libia verso l’Italia. Fa parte del progetto “Defend Europe, lanciato da diversi mesi dal network europeo Generazione identitaria, organizzazione nata in Francia cinque anni fa che ha annunciato di voler boicottare l’azione di salvataggio delle Ong. Come non è chiaro. Ufficialmente gli attivisti della destra dichiarano che svolgeranno un’azione di monitoraggio, collegandosi con la Guardia costiera libica.

La C-Star – che appartiene ad una società inglese di contractors specializzata in sorveglianza armata antipirateria – è rimasta ferma la settimana scorsa per alcuni giorni a sud del canale di Suez. Secondo fonti inglesi sarebbe stata sottoposta a controlli da parte delle autorità egiziane, che hanno voluto verificare soprattutto la lista passeggeri. L’armatore, lo svedese Tomas Egerstrom, aveva dichiarato che l’equipaggio era stato fornito dalle sue società; alcuni team leader sono ex ufficiali ucraini e russi, specializzati in sicurezza armata privata in aree di conflitto. In altre parole mercenari.

UNA ROTTA MISTERIOSA

La rotta della C-Star è al momento un mistero. Secondo i sistemi di tracciamento radio navali (AIS) dopo aver lasciato il canale di Suez l’imbarcazione ha dichiarato come meta il porto di Tunisi. In realtà ha subito puntato verso l’isola di Cipro, entrando il 24 luglio nel porto sotto controllo turco di Famagosta. Prima si è fermata circa un’ora vicino alla banchina, poi per ore è rimasta al largo, con lo status “in attesa di ordini”. Alla fine, il 25 pomeriggio, è di nuovo entrata nel porto.

La destinazione Tunisi nel frattempo è stata cancellata dai messaggi AIS. Secondo il sito di una organizzazione cipriota, Ankara Değil Lefkoşa, vi sarebbe stato un cambio di equipaggio: venti membri sarebbero scesi, ripartendo via aereo, dieci sarebbero saliti a bordo. Gli ufficiali di bordo – spiega il blog, che ha pubblicato una foto della C-Star al largo di Famagosta – avrebbero dichiarato alle autorità turco-cipriote di “essere una nave UE in missione per il salvataggio in mare dei migranti”. Poco dopo è arrivata la notizia dell’arresto del capitano e del fermo della nave.

Ufficialmente la C-Star batte bandiera mongola, pur essendo di proprietà di un armatore britannico. E’ dunque probabile che almeno una parte dei militanti di Generazione identitaria sia già a bordo della C-Star, ancora prima dell’arrivo nell’area di operazione. E non è escluso che la nave eviti il porto di Catania, dove potrebbe essere sottoposta a controlli.

venerdì 28 luglio 2017

FRANCIA-ITALIA 2-0


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Con una mossa a sorpresa ma non troppo Macron(la speranza dell'Europa per Gentiloni che è stato ampiamente trombato)assieme al ministro dell'economia Le Maire ieri e con il ministro degli esteri Le Drian ad inizio settimana,hanno messo a segno due importanti colpi sia politici che economici per la Francia,e guarda caso entrambi a sfavore dell'Italia.
Il primo pezzo dell'esauriente articolo di Contropiano(macron-nazionalizza-cantieri-navali-le-regole-valgono-gli-altri )parla ampiamente del ruolo giocato dai francesi nel marasma libico,con un accordo siglato tra Al Serraj e Haftar che suona praticamente così:alla Francia soldi e petrolio e all'Italia i migranti(madn tra-gentiloni-e-minniti-spunta-macron ).
Nella seconda parte invece tiene banco la nazionalizzazione a detta di Le Maire temporanea dei cantieri navali di Saint Nazaire ex Stx(società coreana fallita)già promessa sposa a Fincantieri che avrebbe messo in piedi un colosso non solo europeo per la costruzione di navi civili(soprattutto quelle da crociera dalla stazza enorme che non possono essere costruite a Monfalcone)e militari.
Si sottolinea per primo il fatto che dietro alle due decisioni ci siano gli interessi dei paesi del golfo che hanno enormi convenienze sia per quanto riguarda la questione libica sia per ordini nel giro di miliardi di Euro di navi da guerra.
Secondo punto è proprio la tanto odiata nazionalizzazione di alcune tra le aziende più importanti del paese(madn lalitalia-deve-tornare-pubblica )e in generale nei settori cardine(energia,trasporti,acqua,telecomunicazione...dove peraltro i francesi hanno messo mani ovunque),ed in questo senso la Germania ha già legiferato per evitare scalate da parte di altri stati.
Insomma ora la privatizzazione senza senso e soprattutto senza scopo sta provocando molti mal di testa e di pancia nei politicanti nostrani,e le decisioni future su eventuali rinazionalizzazioni non saranno più dei tabù ma ci avranno riflessioni molto profonde,almeno si spera.

Macron nazionalizza i cantieri navali, le “regole” valgono per gli altri.

di  Dante Barontini
In pochi giorni l’”europeista” Emmanuel Macron ha messo a segno due colpi molto “nazionalisti” che difficilmente Marine Le Pen avrebbe saputo o potuto realizzare. Entrambi i colpi hanno raggiunto i cosiddetti “interessi italiani”.

Il primo con la convocazione a Parigi di un vertice con i due schieramenti più forti tra le varie fazioni libiche (Al Serraj, imposto dalla Nato e della Ue, che comanda poco più di se stesso) e l’ex gheddafiano generale Khalifa Haftar, padrone della Cirenaica e di Bengasi, sostenuto apertamente da Egitto, Russia e vari paesi arabi del Golfo.

Il secondo, proprio oggi (27 luglio), con la decisione di ri-nazionalizzare i cantieri navali di Saint Nazaire, dopo il fallimento della coreana Stx, titolare del 66% delle azioni. Un’azienda che era stata promessa all’italiana Fincantieri in base ad accordi diretti tra l’ex presidente Francois Hollande e il primo ministro Gentiloni. L’impresa italiana – una delle poche ancora in parte controllate dal ministero del Tesoro (perché impegnata nella costruzione di navi militari, oltre che civili) – si era impegnata a prendere il 48% e (un altro 7% sarebbe dovuto andare alla CrTrieste) contava su questo merger per costruire un polo europeo in grado di contrastare la forza finanziare dei potenziali clienti “civili” (Msc, Carnival. Ecc), che da anni giocano sulla concorrenza tra cantieri spuntando prezzi sempre più bassi e lesivi dei profitti dei costruttori.

Entrambi i colpi di Macron hanno però a che fare con il Medio Oriente, anzi con il “polo imperialistico sunnita” capeggiato dall’Arabia Saudita cui partecipano altri potenti paesi del Golfo, a cominciare dagli Emirati Arabi Uniti.

Prima di sbeffeggiare – come pure bisogna fare – gli “europeisti de noantri” che avevano festeggiato la vittoria di Macron come un trionfo europeo in grado di fermare l’”onda populista” (di destra e di sinistra, visti i successi di Corbyn in Gran Bretagna e di Podemos in Spagna), è bene guardare un po’ più da vicino i due affari combinati dal neopresidente francese.

Sulla vicenda libica non c’è dubbio che Macron abbia messo la Francia in pole position come tutor del futuro “governo unitario”, se mai si farà; il che significa diritto di prelazione sui contratti di estrazione di petrolio, gas e uranio. Ma non è affatto vero – al contrario di quanto diffuso dalla propaganda mainstream – che l’incontro tra i due boss libici sia stato il primo, né che sia tutto merito della perspicacia geostrategica francese.

Una ricostruzione dettagliata, apparsa su La Stampa di oggi, ha rivelato che in realtà Al Serraj e Haftar si erano già incontrati, ma a Dubai, nel mese di maggio. A promuovere la “stretta di mano” era stato il padrone di casa, Mohammed bin Rashid Al Maktoum, chiamato a darsi da fare per contrastare il crescere della presenza in Libia del Qatar, altro emirato petrolifero sunnita, caduto però in disgrazia per aver mantenuto rapporti industriali e politici con l’Iran sciita (giacimenti in mare tra i due paesi, sfruttati di comune accordo) e quindi colpito da “sanzioni” con l’accusa di “sostenere il terrorismo” (detto dall’Arabia Saudita fa sinceramente ridere…).

Nel corso dei due mesi successivi, gli Emirati hanno intensificato i rapporti con il ministro degli esteri francese, Jean-Yves Le Drian, per arrivare infine al molto fotografato vertice parigino.

Con queste informazioni supplementari in campo, dunque, la “genialità” di Macron sembra assai meno formidabile. In realtà, ha dato copertura a un “riavvicinamento” che è prima di tutto nell’interesse delle monarchie del Golfo, al punto da mettere in discussione l’interesse europeo in Libia, condensato dal paracadutaggio di Al Serraj a Tripoli. Tra i due contendenti, infatti, il più fragile è proprio il quisling sponsorizzato dall’Europa e dalla Nato, che è andato a Parigi senza alcun mandato esplicito a trattare da parte del Consiglio presidenziale, in cui è decisiva la forza delle milizie di Tripoli e Misurata (nemici giurati di Haftar). E se cade Al Serraj, il “polo sunnita” non avrà più, anche se momentaneamente, nessun ostacolo in Libia. Con o senza l’Isis…

Ma gli equilibri mediorientali entrano – e prepotentemente – anche nel gioco condotto su Stx-Fincantieri. Il business delle grandi navi da crociere è certamente grande e importante. I cantieri francesi rispondono appieno, già ora, alla richiesta di navi sempre più grandi, mentre il più grande cantiere italiano – Monfalcone – non ha possibilità di espansione, perlomeno a medio termine. Per capirci: a Saint Nazaire si possono già ora costruire navi da quasi 230mila tonnellate, mentre a Monfalcone di potrebbe arrivare al massimo alle 180mila.

Ma è molto più promettente il business militare. Nel 2016, per esempio,  Fincantieri si è conquistata una mega-commessa del “maledetto” Qatar, che vuole ora costruire da zero un’intera marina militare. Di corsa, oltretutto, perché sarà ufficialmente necessaria per la protezione dei mondiali di calcio, nel 2022. In realtà, perché l’offensiva diplomatica saudita fa prevedere tensioni anche militari nel medio periodo. E arrivarci disarmati sarebbe in ogni caso un suicidio.

Il primo ordinativo – quattro corvette, una mini-portaerei, due pattugliatori e assistenza per i prossimi quindici anni nell’addestramento degli equipaggi e nella manutenzione – vale da solo 5 miliardi cash, da dividere tra Fincantieri e Leonardo-Finmeccanica (costruttrice di sistemi d’arma, dei radar, ecc).

Al completamento della flotta, con la cascata di ordinativi che potrebbero a quel punto arrivare anche da altri committenti, il solo business militare navale potrebbe fatturare una quarantina di miliardi. Senza contare che il “riarmo europeo”, deciso dall’Unione anche per impulso – negativo – della presidenza Trump, potrebbe moltiplicare a breve la dimensione di questo tipo di produzione.

Vi pare logico che la “grande Francia”, in difficoltà economiche quanto e più dell’Italia, ma dotata di un peso internazionale decisamente superiore, si lasciasse sfuggire una simile opportunità?

Formalmente, il ministro dell’economia francese, Bruno Le Maire, si è limitato ad affermare oggi che la Francia “ha deciso di esercitare il diritto di prelazione sui cantieri di Saint-Nazaire”. Ma solo come “misura transitoria”, che non mette in discussione il patto siglato con l’Italia, ma certamente consente di avere più tempo per “negoziare con gli amici italiani”.

La proposta di Macron è infatti un accordo fifty-fifty tra i due paesi, con relativa distribuzione paritaria degli incarichi dirigenziali. Mentre gli accordi siglati con Hollande lasciavano (quasi) piena discrezionalità a Fincantieri.

In più, però il ministro ha confermato che questa nazionalizzazione temporanea punta a difendere i posti di lavoro e “l’interesse strategico” della Francia. Due argomenti che demoliscono sia il “piano industriale” presentato da Fincantieri – non sono note le quantità di “esuberi” che si volevano realizzare, ma non sfugge a nessuno che Saint Nazaire viene da una lunga crisi gestita dai coreani, né che il “portafoglio ordini” è limitato a sole 13 navi, mentre a Monfalcone la lista arriva a 33.

Ma è soprattutto l’”interesse strategico” a pesare. E non c’è dubbio che l’industria militare – come peraltro energia, telecomunicazioni, trasporto aereo, acqua, acciaio, ecc – sia il più delicato dei settori strategici, per qualsiasi paese.

Dunque Macron è “costretto” dalla crisi economica della Francia ad agire come una Le Pen, solo con molta più agibilità internazionale rispetto alla vecchia fascista appena ripulita. Ma non c’è una grandissima distanza né logica, né programmatica.

Al dunque, però, la mossa di Macron apre un problema enorme con l’Unione Europea e le sue “regole” incardinate nei trattati. Se la Francia può nazionalizzare un’azienda industriale qualificandola come di “interesse strategico”, altrettanto possono – o potrebbero – fare tutti gli altri paesi. Su questo fronte, come su altri, è in vantaggio la Germania, che ha appena approvato una legge per impedire le scalate a quelle aziende “strategiche” per funzioni infrastrutturali (trasporti, telecomunicazioni, energia, ecc) o per know how tecnologico.

E’ dunque evidente che le stesse “regole europee” non valgono per tutti, tanto meno alla stessa maniera. Del resto, a decidere se un paese le infrange o meno sono funzionari messi lì dai “paesi che contano”. E quelli che ci ha messo l’Italia – vedi la Mogherini agli “esteri” – non possono contare granché.

Si potrebbe stilare un elenco lunghissimo di “aziende strategiche” italiane, pubbliche e private, conquistate dai francesi (pubblici e privati…) senza alcun riguardo per la “strategicità” del settore (Telecom, Alitalia, Mediaset, la stessa Acea che sta assetando i romani, ecc…), mentre in direzione opposta c’è ben poco di “strategico”. La prima preda di questo comparto sarebbe stata Stx, e si è visto come va a finire.

Di certo, però, ogni ministro italico che da oggi proverà a dire “nazionalizzare non si può” – nel caso Alitalia, Ilva, banche venete o toscane, ecc – andrà spernacchiato con forza, rabbia e devastante ironia. Servi stupidi di interessi altrui, non meritano alcun credito, né rispetto.

Questa è l’Europa che è stata costruita. Riconosce la forza dei singoli, più che le regole comuni. E’ un mercato, non un “destino”. E’ un mercato, non una “comunità solidale”. E’ un mercato regolato sulla base della forza, non uno “spazio da abitare”. E’ un mercato truccato, oltretutto. Sarebbe ora di prenderne atto, no?

giovedì 27 luglio 2017

NOVE INDAGATI TRA I RATTI DEL MOVIMENTO DEI FASCI

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E' passato poco più di un mese dalla denuncia fatta direttamente alla Presidente della Camera Boldrini per il caso del comune mantovano di Sermide e Felonica posto ai confini con il ferrarese e che ha avuto dei primi sviluppi nonostante una politica ambigua della stessa alta carica dello Stato(madn lincoerenza-della-boldrini ).
Infatti risultano indagati nove ratti del movimento dei fasci,con l'accusa di ricostituzione del fu partito fascista,la stessa consigliera comunale del comune,suo padre(Fiamma e Claudio Negrini)ed altra feccia sparsa in tutto lo stivale,con lo scioglimento della commissione elettorale circondariale da parte del prefetto per avere accettato la lista.
Naturalmente a detta dell'avvocato che difende padre e figlia sono persone esemplari e democratiche e tutto quello che ne consegue,parole che appena pronunciate si seccano come merda al sole.

Mantova,nove indagati nel Movimento dei Fasci.

Sermide e Felonica.Scattate perquisizioni domiciliari in tutta Italia. Per tutti l’accusa di ricostituzione del partito fascista.

SERMIDE E FELONICA. Fiamma Negrini, consigliere comunale eletta a Sermide e Felonica con 343 volti (il 10,42%), il padre Claudio ed altri 7 esponenti nazionali fondatori del Movimento Fasci italiani del lavoro sono indagati per ricostituzione del partito fascista. Contestate la violazione della cosiddetta Legge Scelba e della XII disposizione finale della Costituzione italiana che non consentono la rinascita del disciolto partito mussoliniano, anche sotto altre forme. Eseguite dai carabinieri otto perquisizioni domiciliari da Palermo, a Verona, a Bologna e Rapallo (Ge) nel corso delle quali sono stati sequestrati documenti relativi all’attività del movimento. L’inchiesta è seguita dal capo della Procura di Mantova Manuela Fasolato. Nei prossimi giorni i difensori degli indagati presenteranno una memoria difensiva.

 L’indagine ha preso le mosse dalla elezione in consiglio comunale di Fiamma Negrini, 20 anni, figlia dello storico esponente locale del Movimento fasci italiani del lavoro, Claudio. Elezioni sulla quale è intervenuta la presidente della Camera Laura Boldrini invitando il ministro dell’Interno marco Minniti ad una vigilanza sulla legittimità dell’elezione. La commissione elettorale circondariale che ha validato l’accettazione della lista, che nel proprio simbolo contiene il fascio repubblicano, è stata sciolta dal prefetto. La lista dei fasci si è presentata a Sermide per la quarta volta dal 2002, anno nel quale è stata per la prima volta accettata alla competizione elettorale.

 Oltre ai due Negrini, gli altri indagati sono i fondatori del Movimento. Elvira Tormene di Rapallo (più volte in lista con Negrini) ed il fratello Nestore (nel frattempo deceduto); Sergio de Biasio e Simone Grazio, entrambi di Verona, Pasqua Lombardo di Bologna, Marco Piraino di Palermo, ex esponente di Fascismo e Libertà ed oggi referente del centro studi mussoliniani “Il covo”, oltre che della Biblioteca fascista di Palermo. Sempre nel capoluogo siciliano, indagato il presidente del movimento, lo psichiatra Giuseppe Ridulfo.

«Il simbolo è riconosciuto da 20 anni e così le liste, presentate in tutta Italia. Questa è un accanimento», il commento di Claudio Negrini. Che con la figlia Fiamma è difesa dall’avvocato Federico Donegatti, con studio a Lendinara (Rovigo): «Presenteremo una memoria difensiva. Il movimento certamente si rifà a temi come il corporativismo, che hanno fatto parte del fascismo. Ma non c’è assolutamente ricostituzione del partito. Siamo nel campo della libertà di espressione. Considerando anche il fatto che il simbolo non è il fascio littorio, ma quello repubblicano. Purtroppo stiamo assistendo ad una caccia al fascista nei confronti di persone democratiche e di un consigliere ventenne democraticamente eletto dai cittadini di Sermide e Felonica».

http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2017/07/25/news/nove-indagati-nel-movimento-dei-fasci-1.15656220

TRA GENTILONI E MINNITI SPUNTA MACRON


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Solo qualche giorno fa si era scritto delle pressioni di Trump e dell'Eni,che rappresenta tutte le multinazionali italiane pronte a saccheggiare il territorio libico,ed ecco che a stretto giro di posta irrompe Macron che riesce a siglare in Francia un accordo di non belligeranza tra il potente colonnello Haftar ed il piccolo ed insignificante Al-Serraj a capo del governo fantoccio di unità nazionale sponsorizzato dall'Italia(madn le-pressioni-sullitalia-nel-marasma libico ).
Nell'articolo di Contropiano(la-francia-sfratta-litalia-dalla-libia )l'inadeguatezza e la manifesta incapacità della politica estera italiana con un premier già a capo del ministero degli esteri oggi in mano ad Alfano ma che sembra più nelle mani di Minniti,e le logiche conseguenze che ci vedono accantonati nel progetto di rinascita dell'ex colonia.
E che forse è un bene perché si impedisce lo sfruttamento di un popolo e di un territorio che verrà comunque fatto da qualcun'altro,consci dell'importanza che questo lembo di terra detiene nell'argomento principe di tutte le politiche italiane ed europee sull'immigrazione.

La Francia sfratta l’Italia dalla Libia.

di  Franco Astengo
Qualche tempo fa ci era capitato di scrivere così nel merito della crisi libica (punto nevralgico della vicenda migranti, rappresentando il punto d’approdo dei corridoi aperti dall’Africa Centrale verso il mare – vedi vicenda Niger – ) questo testo:

Come si è mossa (stupidamente) l’Italia:

Qualsiasi esecutivo, dotato di un minimo senso di realpolitik, si sarebbe mosso con i piedi di piombo nel mutato contesto internazionale.

Ormai da tempo è emerso come Faiez Al-Serraj, appoggiato dall’Italia che continua a puntare su di un ipotetico governo di solidarietà nazionale, controlli solo qualche edificio di Tripoli e che le milizie siano libere di fare il bello ed il cattivo tempo nella capitale. Insistere nell’appoggio al ridicolo “governo d’unità nazionale”, è non solo ridicolo, ma addirittura controproducente per gli interessi italiani.

Il premier Paolo Gentiloni ed il Ministro degli Interni Marco Minniti, due prodotti dell’establishment atlantico uscito clamorosamente sconfitto alle elezioni americane dell’8 novembre, hanno invece la brillante idea di muoversi come se nulla fosse cambiato, col risultato di aumentare esponenzialmente i danni alla già traballante posizione dell’Italia nel Mediterraneo. Gli esiti dell’azione del duo Gentiloni-Minniti sono così catastrofici che, ex-post, c’è da chiedersi se un un sano vuoto di potere a Roma non fosse e non sia preferibile.

L’Italia non solo continua così con l’appoggio al ridicolo “governo d’unità nazionale”. Non pago, Minniti (che pare svolgere contemporaneamente il compito di ministro dell’Interno e degli Esteri essendo il titolare della Farnesina impegnato nella eterna campagna elettorale del suo collegio di Agrigento) avvalla in contemporanea la riapertura del’ambasciata italiana a Tripoli, chiusa dal 2015: “Libia, riapre l’ambasciata italiana a Tripoli” scrive la Repubblica, che etichetta la mossa di Minitti come “una scommessa rischiosa”7.

Il termine più adatto non è però “rischiosa”, ma semplicemente “idiota”: il governo Gentiloni, del tutto incapace di comprendere i mutamenti internazionali in atto, aumenta le puntante in Libia e lo fa scommettendo tutto il capitale politico italiano sulla fazione politicamente più debole, coll’effetto collaterale, tutt’altro che secondario, di alienarsi le simpatie del governo di Tobruk e di Khalifa Haftar, sempre più forti dopo il sostegno russo e la vittoria di Donald Trump.”

Oggi si è mossa la Francia : Libia, Macron annuncia l’accordo tra Serraj e Haftar: cessate il fuoco ed elezioni in primavera L’intesa raggiunta nel pomeriggio al castello di La Celle- Saint-Cloud, alle porte di Parigi. Nella dichiarazione congiunta, l’impegno a fermare i combattimenti e ad avviare processo per voto nel 2018.

Naturalmente non tutto è risolto: anzi, a nostro giudizio , per dare reale consistenza all’accordo sarebbe necessaria una conferenza di pace con USA, Russia, Egitto.

Almeno però, notata l’assoluta assenza dell’ONU che ormai ha abdicato a qualsiasi ruolo anche soltanto di mediazione diplomatica, ci si è mossi in una direzione realistica e non stupidamente come ha fatto l’Italia in questi anni parteggiando per la parte più debole e meno in grado di rappresentare un soggetto in grado di affrontare la crisi politico –militare.

Alla fine si dimostrano due cose:

1) L’assoluta assenza di una politica estera dell’Italia (e l’inutilità di Lady PESC voluta come fiore all’occhiello dalla solita propaganda del fu governo Renzi). Pensiamo al Ministro dell’Interno che va in Libia con i sindaci per fare i gemellaggi con i sindaci delle oasi del deserto. Cose da ridere se non ci fosse da piangere.

2) La gravità di questo stato di cose così come si presenta richiederebbe , se verificate seriamente, urgenti dimissioni del Governo per manifesta incapacità.

mercoledì 26 luglio 2017

C'E' DAVVERO DEL RAZZISMO ALL'INTERNO DEL PD


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Puntuale come un orologio svizzero non passa giorno in cui un esponente del Pd scenda con i suoi commenti e purtroppo anche con i fatti ai livelli dell'accozzaglia politica di destra apertamente e dichiaratamente razzista.
Dopo lo sdoganamento di Renzi con il refrain salviniano"aiutiamoli a casa loro"ecco un'altra esponente semisconosciuta fino all'altro giorno del direttivo nazionale,la responsabile del dipartimento per la difesa degli animali Patrizia Prestipino,che confonde dapprima da ignorante il discorso sulle razze umane ed animali,ma che poi ci da dentro di più con ulteriori commenti razzisti.
Del tipo che in Italia tra un po non ci saranno più ragazzi italiani,o meglio di una non tanto specificata e ricercabile razza italiana,ideologia del ventennio tanto cara ai fascisti dove si prospetta un'Italia senza italiani tra pochi decenni,non ricordandosi che il Pd è il maggior difensore(al momento)dello ius soli.
Articolo di Contropiano(prestipino-pd-razzismo-profondo )e disgusto sempre maggiore per gli esponenti del Pd attraccati al partito da lidi poco chiari.

Prestipino (Pd), e il razzismo profondo della destra al governo.

di  Dante Barontini  
Lo ammettiamo: uno può vivere benissimo senza sapere, e sorprattutto senza ascoltare o leggere quel che ha da dire tale Patrizia Prestipino. Purtroppo per noi, la signora/ina è stata nominata da Matteo Renzi nel fondamentale ruolo di responsabile del dipartimento del Partito Democratico “per la difesa degli animali”, e dunque membro della Direzione nazionale.

Amiamo gli animali, e non ci stupisce che anche altri condividano la stessa passione (diffidiamo parecchio del Berlusca con l’agnellino in braccio, ma insomma, non è colpa degli ovini…).

Il problema della signora/ina Prestipino esplode quando prova a spiegare a Radio Cusano Campus come e perché abbia avuto “assolutamente ragione” lo stesso Matteo Renzi quando ha deciso di creare, nel Pd, un “dipartimento mamme”. In effetti, in parecchi si erano lasciati andare a battutacce sulla terribile somiglianza tra questo dipartimento e le analoghe istituzioni d’epoca fascista.

E quindi la Prestipino è accorsa a dare manforte al suo segretario. Ahinoi, confondendo un tantino le caratteristiche umane e quelle animali (che sarebbero il suo campo di competenza, almeno secondo il Pd…).

“Se uno vuole continuare la nostra razza – ha spiegato senza peli sulla lingua – è chiaro che in Italia bisogna iniziare a dare un sostegno concreto alle mamme e alle famiglie. Altrimenti si rischia l’estinzione tra un po’ in Italia“.

Consultati diversi genetisti sulla possibilità di definire scientificamente se esistano o no delle “razze” per distinguere gli esseri umani, o addirittura sull’esistenza di una “razza italiana” (siamo un paese dove hanno scorazzato in tanti, da nord a sud: normanni, turchi, visigoti, unni, vandali,austriaci, francesi,spagnoli, ecc), c’è tornata alla mente la famosa battuta del più immenso scienziato del secolo scorso. Il quale, interrogato forse da qualche oscuro funzionario di dogana, o da un giornalista, circa la propria “razza” di appartenenza, si limitò a rispondere: “umana”. Si era appena usciti dalla predominanza culturale del nazifascismo e qualche infortunio del genere – nella testa di un’oscura guardia di frontiera – era in qualche misura comprensibile. Ma non scusabile. Lo stesso Albert Einstein provvide a spiegare che la sua risposta era semplicemente scientifica, perché “la razza ce l’hanno i cani”.

Ecco, impegnatissima nella difesa degli amici dell’uomo, la signora/ina Prestipino ha esteso agli umani una caratteristica essenziale dei quadrupedi (o dei volatili, se preferite). Come i nazisti di 80 anni fa (fare un partito “moderno” è complicato, se mancano alcuni strumenti intellettuali essenziali).

Per essere però proprio sicura di non essere fraintesa, miss Prestitpino ha voluto approfondire: “Non ci sono più mamme in Italia, vi rendete conto che siamo il Paese più anziano d’Europa? Siamo un Paese che rischia tra qualche decennio di non avere più ragazzi italiani“.

Qui è difficile difenderla, diciamocelo… Il suo partito è tra l’altro portatore di un disegno di legge sullo ius soli, per attribuire la cittadinanza ufficiale a quei ragazzi che nascono in questo paese a prescindere dal colore della pelle o dal taglio degli occhi. Secondo quella legge – se ne potrebbero scrivere di molto migliori, con un piccolo sforzo, ma facciamo finta che sia una “buona legge” – tra qualche decennio ci saranno in ogni caso “ragazzi italiani”. Magari non tutti corrispondenti a quel che, nella testa della Prestipino, sembra l’immagine iconica dell’ariano (biondi, occhi azzurri… calabresi o siciliani, dove li buttiamo?).

Come una Meloni, un Salvini o un Borghezio qualsiasi, insomma.

P.s. Qui di seguito, alcune note tratte dalla rivista Focus.

“Le differenze, evidenti e innegabili, tra gruppi umani che popolano aree diverse del globo risalgono ai primordi della nostra specie; l’idea che queste differenze fisiche, frutto di adattamenti all’ambiente, implicassero anche differenze psicologiche e comportamentali profonde, al punto da poter distinguere (e ordinare) le diverse popolazioni del mondo, è nata solo alla fine del XV secolo, quando il colonialismo portò l’uomo occidentale, e la sua necessità di dominio, in ogni angolo del mondo. Tempo due secoli e i maggiori antropologi dell’epoca cominciarono ad affannarsi a catalogare le presunte razze, e a inventare un criterio valido e universale per distinguerle tra loro. Risultato? Niente di niente.

 Mentre la comunità scientifica dibatteva sul nulla, l’idea di “razza” era già diventata il più potente motore della nuova economia coloniale. Il trattamento riservato alle popolazioni africane deportate negli Stati Uniti per ridurle in schiavitù, per esempio, era la diretta conseguenza della loro appartenenza a un’altra razza, considerata intellettualmente inferiore. Nel XVIII secolo, intellettuali di tutto il mondo si appellarono alla cosiddetta scala naturae, l’ordine naturale (gerarchico) di tutte le specie viventi, e collocarono le popolazioni africane un gradino sotto la nostra.

L’antropometria, lo studio e la catalogazione delle misure e delle proporzioni del corpo umano, divenne la stampella scientifica su cui appoggiarsi: ogni razza poteva essere definita da un preciso set di numeri e statistiche, un’idea che non teneva in considerazione i cambiamenti tra una generazione e la successiva, e che eliminava in toto dal discorso l’evidente variabilità all’interno della stessa “razza”.

Bastò ripetere gli studi con un occhio a questi dettagli per capire come l’antropometria fosse basata sul nulla: agli inizi del XX secolo, Franz Boas pubblicò studi che dimostravano quante differenze ci fossero tra una generazione e l’altra della stessa “razza”, e quanto anche i valori medi di certi parametri si modificassero con il passare delle generazioni. Poi arrivò la svolta: la riscoperta delle leggi mendeliane sull’ereditarietà diede il via alla ricerca di tratti genetici puramente ereditari, utili a distinguere le razze tra loro. Ma anche la genetica non riuscì a trovare correlazioni tra razze e geni.

GLI STESSI GENI. Oggi che conosciamo bene il nostro Dna ci rendiamo conto che le nostre differenze non sono nient’altro che sfumature, in termini genetici. A separarci dagli altri esseri umani c’è una percentuale minima del genoma: in media, ogni uomo è biochimicamente simile a ogni altro uomo sul pianeta per il 99,5%, una percentuale variabile secondo la distanza. Inoltre, «ogni popolazione mantiene al suo interno quasi il 90% della variabilità genetica (cioè tutte le varianti dei diversi geni) della nostra specie»; ecco perché stabilire dei confini è un esercizio inutile.

Né vale l’obiezione di chi paragona le presunte razze umane a quelle di cani o cavalli: «Quelle razze sono molto più distinte tra loro di quanto lo siano quelle umane. Tutte le razze di cani, in particolare, sono state selezionate per renderle, per così dire, “omozigoti” rispetto ad alcuni geni, che sono presenti solo in quella razza e la definiscono», mentre tra gli umani la variabilità genetica è maggiore. Le razze, dunque, esistono davvero solo nella nostra testa: quella di distinguere e dividere è un’abitudine umana che risale, storicamente, quantomeno agli ateniesi del V secolo, che classificavano il mondo in “greci” e “barbari”. La visione bipolare del “noi e loro” è comune a tantissime culture, ed è una realtà psicologica che secondo alcuni ha radici profonde nella nostra storia evolutiva.

Insomma, il “razzismo” tra umani è un’invenzione. I cui motivi affondano della volontà di dominare qualcun altro. E’ più facile farlo se lo connotiamo come untermensch, non proprio umano, di un’atra “razza”.

Vero, miss Prestipino?

martedì 25 luglio 2017

LA C-STAR E IL SUO SPORCO PROGETTO


C'è dell'ironia nel fatto che la nave C-Star con un equipaggiamento di soli neonazisti organizzata per impedire gli sbarchi nel sud Europa e per controllare il lavoro delle Ong sia stata fermata a Suez per controlli in quanto priva di basilari documenti per la navigazione.
Affittata da un gruppo neonazista(the identitarians)con sede in Germania e Francia,anche le teste(vuote)rasate nostrane hanno voluto contribuire con merde e denari italianizzando il loro nome in Generazione identitaria:questa organizzazione oltre ad avere come punti cardine quelli sovra riportati,cavalca l'onda del razzismo e dell'odio,della paura e dell'ignoranza raccogliendo donazioni finendo nel ridicolo senza arrivare nemmeno a Catania.
Che è il porto dove avrebbero dovuto approdare da giorni e dove ci sono stati già dissensi da molte parti se non fossero finiti senza documenti né senza la possibilità di fare ritorno a casa...c'è del cosmico in questa sorte capitata a questi ratti di mare.
Ad ora le notizie date direttamente dal progetto Defend Europe(che vuole aiutare le imbarcazioni della guardia costiera libica per rispedire i migranti in Africa)danno la C-Star comunque sdoganata e pronta a raggiungere la Sicilia in un paio di giorni,si attendono sviluppi.

C-Star: quando i fascisti a caccia di migranti si incagliano in Africa.

La C-Star è una nave presa in affitto da un'organizzazione di neonazisti che si fa chiamare “The Identitarians” che ha base principalmente in Germania e in Francia e, da poco in Italia, con nome “Generazione Identitaria”.

Viene da loro ideato un progetto, tramite il quale raccolgono 75 mila euro in donazioni: “Defend Europe” la creazione di una nave pattuglia che gira nel Mediterraneo, e che dovrebbe cercare di impedire gli sbarchi delle navi trasportanti i migranti sulle coste italiane, respingendoli verso le coste libiche, ma soprattutto monitorare da vicino il lavoro delle ONG. La C–Star si era prefissata l’approdo per la scorse settimana sulle coste catanesi, ma, ironia del destino, al momento è ferma a Suez per controlli, sembrerebbe essere stata fermata per assenza di alcuni documenti indispensabili alla navigazione.

Nel frattempo a Catania si è sviluppato un dibattito intenso sull'arrivo della nave: lettere e appelli rivolti sia al Sindaco che alla Capitaneria di Porto, per richiedere che non venisse rilasciato il permesso di approdo al Porto, un presidio fisso e numeroso durante i giorni in cui era previsto l'arrivo della nave, e una conferenza stampa in cui è stato annunciato da associazioni, realtà sociali, collettivi e sindacati la volontà di impedire in ogni modo l'approdo della nave a Catania. L'annuncio dell'approdo di questa nave ha ricreato un dibattito cittadino sul tema, ma soprattutto ha portato a una ridiscussione dei problemi che i fenomeni migratori, gli sbarchi e le forme di accoglienza, creano oggi sui nostri territori agli occhi delle comunità che li abitano. Se infatti quest’approdo da un lato ha obbligato sia la Capitaneria di Porto sia il Sindaco a esprimere contrarietà e dissociazione da un fenomeno ai limiti del diritto della navigazione, dall’altro ha aperto un altro solco di discussione molto più profondo che negli anni passati sulla questione delle migrazioni.

Il progetto Defend Europe tenta di capitalizzare politicamente il tritacarne mediatico che contro i migranti organizza una vera e propria guerra tra poveri capace di schierare in prima fila, anche in molte città meridionali, ampi strati popolari e proletari... per governarli. Per rispondere anche solo allo sciacallaggio dei fascisti servono nuovi strumenti militanti. Tra nuovi piani Hotspot in Sicilia e Sardegna nell'impossibile rincorsa di Minniti a contenere e controllare i flussi, con l'esplosione del mercato dell'accoglienza tra sovraccarico ed economia corrotta, oltre ogni buonismo, c'è da recuperare il doppio fronte dell'autonomia dello sguardo migrante nel condurre le proprie battaglie nei propri interessi e dunque di un ruolo militante non ritagliato sull'assistenzialismo ma adatto a rompere le gerarchie dell'assistito, dell'assistente e del proletario terzo incomodo come assistito tradito. Come sempre è la percezione di essere soggetti deboli che occorre rigettare perché è la stessa su cui sorge il rancore del razzismo comune.
Abbiamo una nostra partita da giocare. Sviluppare il bisogno di lottare contro questi ruoli per costruire una forza. Ai fascisti, per ora, l'ironia di una barcaccia ferma sulle coste africane. Chissà come ci si sente a stare senza documenti, fermi in mezzo al mare, senza poter tornare a casa, senza andare avanti.
Affondati.

lunedì 24 luglio 2017

INTEGRAZIONE E CIVILTA'


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Il tema dell'immigrazione diventerà sicuramente il perno attorno cui girerà tutta la prossima campagna elettorale e renderà facile ai politicanti di turno tergiversare su tutto il resto facendo poi politiche economiche e sociali estremamente dannose per il popolo una volta eletti.
L'articolo di Left(immigrazione-un-apartheid-silenzioso )s'incentra però sui diritti di milioni di persone immigrate che non sono come i nostri,già sempre più rosicchiati e scarsi soprattutto nell'ambito lavorativo,di ius soli e di una convivenza civile dove gli italiani o almeno buona parte di essi con la parola civiltà non hanno nulla cui spartire.
Perché le elezioni primaverili dopo cinque anni di governi mai eletti rischiano di essere monopolizzate solo da questo tema come già accaduto per esempio a Crema con l'elezione del sindaco,con i cattolici sempre peggio su questioni di integrazione e di carità e solidarietà e quelli del"padroni a casa nostra"che per guadagnare maggiormente usano proprio la manovalanza straniera senza diritti.

Immigrazione, un apartheid silenzioso avvelena la convivenza civile.

di Michele Prospero.
Quando, in primavera, si andrà al voto, lo scontro tra i partiti verterà principalmente sulle questioni dell’immigrazione. In vista di una ossessiva campagna che rischia di essere monotematica, tutta incardinata sulla sicurezza e sulle scorribande barbariche alle porte, i toni del confronto subiranno una accentuazione retorica ancor più incontrollata di adesso. Lo ius soli è, in questo quadro, la vittima annunciata di una esasperazione del tutto strumentale delle istanze di difesa dei confini etnico-culturali di un territorio raffigurato come impotente luogo di conquista destinato all’invasione di alieni, spesso dal colore scuro. Nel momento stesso in cui Renzi ha scandito il motto salviniano dell’aiutiamoli a casa loro, i diritti di cittadinanza delle persone che nascono, vivono, studiano e lavorano in Italia cadevano nell’oblio. L’unità politica dei cattolici è stata ripristinata sul collante di un tema etico-politico come quello della cittadinanza da negare e il postdemocristiano Renzi si riconcilia con il postdemocristiano Alfano alfiere della crociata contro gli infedeli che affluiscono in occidente. Considerare straniero chi nasce e risiede in Italia, condivide cioè le stesse passioni e conduce le stesse pratiche di vita che maturano in un territorio comune, alimenta una visione bellica della convivenza di persone che occupano lo stesso spazio. Questo apartheid silenzioso, che divide lo stesso territorio in un ambito amico riservato ai bianchi, e magari cattolici e in un universo nemico popolato da corpi di altro colore e con altri simboli di fede, in prospettiva produrrà problemi enormi nella convivenza civile. Il rifiuto della inclusione attraverso gli strumenti giuridici della cittadinanza solo in apparenza è un segno di forza. In realtà la chiusura nelle strategie della cittadinanza è una manifestazione di debolezza e inaugura una stagione di profonda regressione nel tessuto civile del Paese. Il piccolo padroncino, che sostiene la destra leghista, per i suoi interessi economici si serve dell’immigrazione, anche di quella incontrollata, perché percepisce, nella creazione anomala di un esercito industriale di riserva, lo strumento per una contrazione dei diritti del lavoro, per la riduzione dei costi, per il ricatto sui dipendenti. Dopo essersi avvalso del lavoro dei migranti come calmiere del salario e come riduttore dei diritti, il padroncino organizza la protesta politica contro gli immigrati che producono insicurezza, disagio, abbandono degli spazi pubblici. Attorno allo ius soli si gioca anche un piccolo episodio di lotta di classe. Mantenere milioni di lavoratori senza diritti di cittadinanza è infatti una maniera antica per dividere il mondo dei subalterni tramite la reclusione civile di schiere di proletari e di sottoproletari che sono condannati a rimanere afoni dinanzi alla potenza del padrone. Costruendo barriere etico-giuridiche tra corpi che lavorano e convivono negli stessi luoghi della produzione e distribuzione delle merci, il capitale racimola ulteriori effetti di padronanza. Mettendo al centro della contesa il tema rinverdito della difesa della purezza etnico-nazionale calpestata dai figli dei migranti, la politica subirà un ulteriore scivolamento culturale verso destra. E meno diritti per la persona che lavora, e che ha un altro colore, non significa certo conservare i diritti per gli italici che, con una fabbrica mediatica della falsificazione, si sentono assediati e non più padroni a casa loro.

sabato 22 luglio 2017

MEDIA CHE MODIFICANO NOTIZIE


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Tornando un attimo sulla questione venezuelana abbondano notizie false sulle manifestazioni e su chi realmente è presente ai cortei cambiando impostazioni e didascalie d'immagini se non proprio tutto il "lavoro" giornalistico d'informazione.
Nell'articolo preso da Contropiano(internazionale-news )riprende ancora il referendum di settimana scorsa e che ha causato tensioni e scontri in tutto il paese(madn ma-che-referendum? )e tutte le dispersioni di verità ma anche il ritorno verso la realtà con tanto di scuse di alcune importanti testate giornalistiche straniere.
Cosa che naturalmente non accade in Italia dove sia quotidiani che emittenti televisive continuano il loro becero lavoro di disinformazione modificando a piacimento le news che arrivano da Caracas e dintorni(gruppi-terroristi )soprattutto sull'assalto alla televisione nazionale venezuelana.

El Pais si scusa per le fake news sul Venezuela, Rai e Repubblica no.

di L'Antidiplomatico
Questo articolo compare in contemporanea su Contropiano e L’Antidiplomatico.
Il giornale spagnolo ‘El País’ ha riconosciuto pubblicamente di aver mentito con una clamorosa fakenews. Il quotidiano spagnolo ha utilizzato una foto della massa di persone che si sono riversate a votare per la “prova generale” dell’Assemblea Costituente, prevista per il 30 luglio, spacciandola per “elettori” del plebiscito illegale organizzato dalle destre, nel piano sovversivo in atto (che ha già prodotto un centinaio di morti e oltre 1000 feriti).
Il ministro dell’informazione venezuelana, Ernesto Villegas, dal suo account twitter ha sottolineato che El Pais ha dato la colpa all’agenzia di stampa EFE.
Grande giornalismo. Siamo abituati. Solo sorpresi che per una volta arrivano le scuse.
Cristina González, professoressa di Comunicación Social de la Universidad Central de Venezuela (UCV), ha sottolineato in un’intervista a Navarro, come quello di El Pais non sia stato un errore ma un “atto assolutamente intenzionale”.

Secondo l’esperta queste notizie derivano dalla “cartellizzazione dell’informazione che domina i media spagnoli” e ha ricordato che “esistono tanti esempi di uso di immagini di altri paesi per mettere in scena una realtà che non è quella venezuelana. Il tutto a fini politici”. E infine, una domanda molto interessante da parte dell’esperta: “Con che faccia Mariano Rajoy continuerà a squalificare il referendum indipendentista catalano, dopo aver avallato la buffonata dell’opposizione venezuelana?”.
Questo in Spagna. In Italia, Rainews ha rilanciato la stessa foto di El Pais (foto 11 di questa slideshow). Ad oggi non solo non sono arrivate le scuse ma la foto fake è ancora pubblicata. Non solo la Rai, servizio pubblico, non ha dato notizia del voto legale di domenica in Venezuela e ha coperto solo quello illegale. Ma ha utilizzato le masse che partecipavano nelle prime come se fossero “anti-Maduro”. Una vergogna.
Il giornale che condivide e partecipa alla stessa “rete” di quotidiani de El Pais, la Repubblica, continua ogni giorno con le sue fakenews e la sua totale censura di quello che avviene realmente nel paese. Linciaggi, violenze, il fascismo quotidiano dei “manifestanti pacifici” tutto oscurato. Nel suo ultimo articolo Omero Ciai arriva a scrivere: ““Il primo effetto del referendum simbolico organizzato in Venezuela dalla Mud è stato quello di restituire una voce alla comunità internazionale”. Non commentiamo. Crediamo che i nostri lettori abbiano ormai gli anticorpi di rispondere direttamente a chi lavora al servizio di chi sta lavorando alla destituzione violenta del governo venezuelano.

venerdì 21 luglio 2017

GLI AUSTROUNGARICI


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Le dichiarazioni prima del ministro degli esteri austriaco Kurz e ora quella portata a voce dal razzista ungherese Orban a nome della sua nazione e della Polonia,Repubblica Ceca e Slovacchia sui migranti sono di una pericolosità politica estrema.
Non solo perché soprattutto gli stati del gruppo Visegrad hanno goduto di estremi benefici dal loro ingresso nell'Ue senza mai pagare dazio ma arraffando e basta senza contribuire alle questioni che riguardano tutta l'unione,ma anche perché prendono e danno ordini ad uno Stato membro e non vengono nemmeno richiamati all'ordine.
Dopo le minacce di chiusura del Brennero già rinnovate ormai da mesi(madn il-ritorno-dellimpero-austroungarico )arriva Kurz che dice che Lampedusa deve essere il collettore di tutti i migranti del Mediterraneo,ed ecco pure lo xenofobo premier ungherese(madn orban-il-nazionalpopulista )che vuole bloccati tutti i porti italiani per non far arrivare più nessuno proponendo(ordinando)di stoppare il flusso migratorio anche con la forza in Libia.
Articolo di Repubblica(news/migranti )che commenta questi ultimi fatti del rinato impero austroungarico,se vogliono la guerra sappiamo l'ultima volta com'è finita.

Migranti, dopo l'Austria ecco Orban. "Italia chiuda i porti". Gentiloni: "Non accettiamo lezioni improbabili".

Il giorno dopo la richiesta dell'austriaco Kurz ad Alfano di bloccare i migranti a Lampedusa, il premier ungherese anticipa il contenuto di una lettera indirizzata al presidente del Consiglio Gentiloni dai leader del gruppo di Visegrad, comprendente anche Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca. "Se i porti non verranno chiusi il problema diventerà ingestibile: tedeschi e austriaci chiuderanno presto le loro frontiere". Rapporto Oim: aumentato del 600% il numero delle migranti arrivate in Italia a rischio sfruttamento sessuale.

Budapest-La surreale richiesta del ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz ad Angelino Alfano, di bloccare i migranti a Lampedusa o comunque sulle isole italiane per evitare il loro arrivo in Europa centrale, non era evidentemente una boutade solitaria partorita dai burocrati viennesi. Piuttosto, la prima mossa di una strategia studiata su più tavoli. Quelli del famigerato gruppo di Visegrad - Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia - che, come in una rievocazione ottocentesca dell'Impero austro-ungarico, vedono in Vienna il proprio faro. Perché, 24 ore dopo Kurz, ecco il premier ungherese Viktor Orban, quello del muro, preannunciare una lettera al suo omologo italiano, Paolo Gentiloni, firmata da lui e dagli altri leader di Visegrad. Per recapitare al presidente del Consiglio una richiesta perfettamente in sintonia con la provocazione di Kurz: "L'Italia dovrebbe chiudere i suoi porti" per arginare i flussi migratori dal Mediterraneo.

Secca la replica del presidente del Consiglio: "Dai Paesi dell'Ue abbiamo diritto di pretendere solidarietà, non accettiamo lezioni, tanto meno possiamo accettare parole minacciose. Noi facciamo il nostro dovere, pretendiamo che l'Europa intera lo faccia al fianco dell'Italia invece di dare improbabili lezioni al nostro Paese".

Orban ha anticipato il contenuto della missiva in un'intervista alla radio pubblica. I quattro di Visegrad fanno una serie di proposte al governo italiano. In particolare, ribadiscono la necessità che "i veri richiedenti asilo" siano "identificati prima di entrare in Ue". "Le nostre frontiere esterne devono essere protette", affermano. Per questo i quattro leader spiegano, "l'Ue ed i suoi Stati dovrebbero mobilitare risorse finanziarie e di altro genere per creare condizioni sicure e umane in hotspot o centri di accoglienza fuori dall'Ue", e offrono un "contributo significativo".

"Il flusso immigratorio deve essere fermato in Libia" e "se non verranno chiusi i porti ai migranti - scrivono i leader del V4 - il problema diventerà ingestibile, dato che tedeschi e austriaci chiuderanno presto le loro frontiere". All'obiezione che in Libia non esiste un potere pronto a mettere in atto il piano italiano (portare sulle coste libiche la linea di confine a Sud dell'Europa fermando lì i migranti in centri supervisionati da Onu e ong) e a collaborare con l'Ue per fermare i trafficanti, Orban risponde: "Penso ad azioni militari". Il premier ungherese critica infine anche le stesse organizzazioni non governative che stanno aiutando i profughi in mare e per le quali l'Ungheria fronteggia una nuova procedura di infrazione dalla Commissione Ue per la sua legge anti-ong. "Sono finanziate ed appoggiate da George Soros", il miliardario americano di origine ungherese, secondo il premier di Budapest.

Rievocando il "muro", Orban spiega che nel 2015, all'epoca della crisi dei flussi lungo la rotta balcanica, l'Ungheria aspettò tre mesi una soluzione europea e poiché, questa non arrivava, chiuse le frontiere e modificò le leggi. "E' ciò che consiglio di fare a tutti", ha aggiunto Orban, perché l'assistenza Ue è inefficace. "Non abbiamo bisogno di una politica comune europea sui migranti, e non abbiamo bisogno di un'agenzia comune europea per i migranti, perché porteranno soltanto caos, difficoltà e sofferenza". Presto, secondo Orban e il V4, lo faranno anche Austria e Germania, che "ne hanno abbastanza". E se lo faranno "tutti i migranti che arrivano da Sud resteranno in Italia. Per questo l'Italia dovrebbe smettere di far sbarcare i migranti nei suoi porti".

E' solo il caso di ricordare che la Commissione europea ha aperto la procedura di infrazione a carico di Slovacchia, Polonia e Ungheria per essersi sottratti agli impegni assunti nel 2015 per l'accoglienza di una quota di richiedenti asilo per alleggerire il peso dell'emergenza sostenuto da Italia e Grecia. Quanto all'Austria, sebbene abbia evitato la stessa procedura, la Commissione è ben consapevole della sua influenza sul V4 e giudica le posizione non collaborativa del blocco dell'Europa centrale puramente ispirato da tornaconti elettorali interni. Esattamente quanto ha affermato lo stesso Alfano rispetto alla richiesta austriaca di bloccare i migranti a Lampedusa.

Mentre l'Italia attende che l'Europa si dimostri tale manifestandole concreta solidarietà, gli sbarchi proseguono e il fenomeno migratorio si arricchisce di nuove e drammatiche sfumature. L'organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha diffuso il suo nuovo rapporto, intitolato "La tratta di esseri umani attraverso la rotta del mediterraneo centrale". Da cui emerge che negli ultimi di tre anni il numero delle potenziali vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale arrivate via mare in italia è aumentato del 600%. Lo studio è basato sui dati raccolti dall'agenzia Onu presso i luoghi di sbarco e nei centri di accoglienza per migranti nelle regioni del Sud dell'Italia. L'incremento, secondo Oim, è continuato anche nei primi sei mesi del 2017 e coinvolge ragazze sempre

 più giovani, spesso minorenni, che diventano oggetto di violenza e di abusi già durante il viaggio verso l'Europa. In particolare, il fenomeno riguarda circa l'80% delle ragazze arrivate dalla Nigeria, il cui numero è passato da 1.500 nel 2014 a oltre 11.000 nel 2016.

giovedì 20 luglio 2017

CAMBIANO LE PRIORITA' FRANCESI NEI TRASPORTI SU ROTAIA

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La notizia in Italia o è stata nascosta oppure è stata strategicamente camuffata negando l'evidenza del fatto che in Francia è arrivata la conferma da Macron,fatto già noto anche negli ultimi tempi,che il progetto No Tav è stato accantonato forse in maniera definitiva.
Per vari motivi,viste le spinte ambientalistiche sempre più pressanti del nuovo esecutivo,del reale taglio di denaro investito da Bruxelles che alle difficoltà del bilancio statale:motivi che hanno indotto la ministra dei trasporti Borne a privilegiare le tratte a breve e medio raggio piuttosto che un'opera inutile e dannosa.
L'articolo preso da Contropiano(la-francia-prende-pausa )parla di quello che i media pro Tav e filo governativi italiani tacciono o come detto negano che ci sia un termine totale a questa"grande opera"dando notizie false e tendenziose.

La Francia prende una “pausa” sulla Torino-Lione. Definitiva

di  Redazione Contropiano - Massimo Zucchetti.
Il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha deciso di cambiare la politica dei trasporti nel suo paese, complice anche le difficoltà di bilancio, che costringono anche Parigi a stringere i cordoni della borsa. Una politica che rovescia l’ordine di priorità – in campo ferroviario – tra linee ad alta velocità e medio raggio, a vantaggio del secondo. Tra le vittime illustri di questo ripensamento-rovesciamento, la Torino-Lione.
La ministra dei trasporti francese Elisabeth Borne ha ieri spiegato a Reporterre.Net, sito francese di impronta ecologista, che Macron “ha annunciato che, dal momento che gli impegni che sono stati presi e i bisogni essenziali in termini di manutenzione e rigenerazione superano di dieci miliardi le entrate prevedibili in questa fase, siamo obbligati a fare una pausa per riflettere sul modello di mobilità e dare priorità ai progetti e in seguito andremo verso una legge di programmazione nella quale non saremo più tra promesse non finanziate: avremo anno per anno, con una visione su dieci anni e nel corso dei cinque anni del periodo quinquennale, spese e ricette equilibrate”.
Oer la Tav in Valsusa è dunque una campana a morto, ufficiale e di lungo periodo; probabilmente definitiva.
Quasi patetica la reazione dei media mainstream italiani, tutti ferocemente pro-Tav, che hanno seguito due linee: a) ignorare la notizia, b) negare che sia la parola fine sulla “grande opera”.
L’oscar del ridicolo va – per ora – a Repubblica. La notizia compare solo sull’online, non sull’edizione cartacea. E con un sottotitolo che sfida le leggi della logica: la “pausa”, secondo il quotidiano diretto da Calabresi figlio, “riguarderà il tratto francese non quello internazionale tra Saint Jean de Mauriénne e Susa”.
Domanda: dovendo fare un tunnel che va da A a B, com’è possibile che non si facciano i lavori dal lato B (Francia) ma continuino dal lato A (Valsusa)? Detto con le parole di Repubblica: esiste forse un “tratto internazionale” che non sia in territorio francese? Ci sono altre nazioni raggiungibili via tunnel dalla Valsusa senza fare il viaggio al centro della Terra?
Più seriamente, riportiamo qui anche il post inviatoci da Massimo Zucchetti, docente del Politecnico di Torino, tra gli scienziati da sempre contrari alla Tav Torino-Lione, tra gli autori del volume Travolti dall’alta voracità (Odradek, 2006), che festeggia a suo modo la decisione ufficiale francese.
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Giunge inattesa sul capo che ha tanto sofferto dei poveri Foietti e Virani, è di tutti i loro valvassini, la notizia che la Francia “si prende una pausa” sul TAV Torino-Lione.
Ma noi non spargeremo la mirra. Ricopiamo un nostro pezzo di tre anni fa. Scrivevamo nel 2014:
Sovrapporre la lotta NOTAV alla lotta di liberazione del 43-45 – anche se è una forzatura, lo riconosco – mi ha però sempre molto facilitato le cose. I comportamenti dei governanti e dei boiardi, da una parte, e quelli dei resistenti, dall’altra, erano facilmente riconducibili a momenti della lotta di liberazione.
Adesso mi pare siamo alla vigilia dell’insurrezione generale. Truppe alleate (in questo caso l’europa dei banchieri) stringono i cordoni della borsa e assediano il castello di carte del TAV, piccola repubblica delle coop “rosse” basata sulla menzogna, sullo spreco e sulle prevaricazioni politiche. Così come l’insurrezione di popolo del 25 aprile 1945 si scatenò quando gli alleati riuscirono a sfondare la linea gotica, credo che ora sia il momento – per i NOTAV vecchi e recenti (su quelli novissimi, dirò fra poco) – di insorgere pacificamente, con le parole, gli scritti, le voci, le presenze fisiche. Abbiamo già tutto pronto da anni. Ora attendiamo ALDO DICE 26 x 1.
Ora, sappiamo tutti il dramma che stanno vivendo in queste settimane i sostenitori del TAV Torino–Lione. Il tono delle loro dichiarazioni e le espressioni delle loro facce valgono più di ogni dato o fatto. L’avevamo detto in tutte le salse, da almeno dieci anni: se dite “ce lo chiede l’europa” per tacitare ogni opposizione, prima o poi – essendo un’europa delle banche – l’europa lo chiederà a voi, signori del TAV: vi chiederà “ce li avete, i soldi?”. Per quanta finanza creativa possiate fare (attiro la vostra attenzione, tra l’altro, sui guai giudiziari dell’inventore del termine, il prof. Giulio Tremonti), è difficile tirar fuori un coniglio grande come una montagna da un cappello a cilindro grande come un ditale.
E’ più facile che la montagna della Val Susa partorisca un topolino, cioè i vostri Sogni di: Gloria e Prebende e Consigli d’amministrazione e Posti distribuiti ai cari Amici e Foto sui giornali con il casco e Monumenti e Targhe ricordo nelle vostre città natali e Commesse alle vostre Cooperative “rosse” e Carriera politica e Ospitate da Vespa e dall’Annunziata e Premiazioni di libri e Foto su Newsweek con Bono ed Elton John e Titoli da Cumenda e Legion d’onore e Ordine di Gran Croce di Malta Cemento e Tondino e le vostre famiglie di sangue e amicali e politiche sistemate per tutta la vita e oltre.
TUTTI INFRANTI.
Ecco fatto. È successo.
Prendetevi una pausa. Ma attenti, fossi in voi andrei a riflettere ad Hammamet: farete la stessa fine.
Questo è solo l’inizio.