lunedì 30 aprile 2018

LA SCUOLA E L'INFORMAZIONE


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Si è tornati a discutere della scuola e dei suoi problemi negli scorsi giorni,ma si è taciuto dei tagli e dell'educazione che sta diventando sempre più un'azienda,mentre si è parlato di bullismo,che è tra i risultati del continuo azzeramento degli approvvigionamenti che lo Stato fornisce alle scuole pubbliche.
Perché il bullismo è figlio del disagio sociale che contraddistingue gli ultimi anni,con migliaia di giovani lasciati a se stessi,un sistema educativo passato di male in peggio attraverso gli ultimi ministri,l'alternanza scuola-lavoro che è un insulto per gli studenti stessi.
L'articolo di Contropiano(bullismo-e-violenza )parla di questo attraverso un'intervista ad una delegata del sindacato Usb,vedi anche questi link:madn azienda-scuola e madn un-pensiero-classista .

Bullismo e violenza nelle scuole? Conseguenza di scelte ben precise.

di  Alessio Ramaccioni 
Le scorse settimane i mass media hanno ripreso a parlare di scuola. Per denunciare i tagli, il disinvestimento, le condizioni sempre più difficili in cui sono contretti a lavorare insegnanti e personale? No: il tema è il bullismo, le aggressioni verbali e fisiche subite dai docenti, documentate in rete ed oggetto di disquisizioni sociologiche che sono addirittura sfociate in analisi di classe.

Gli alunni degli istituti tecnici sono più violenti ed aggressivi di quelli dei licei; più il giovane appartiene a classi sociali basse, più il rischio che sia indisciplinato è alto.

Sembra incredibile, ma quello che è emerso dal dibattito è più o meno questo.

Non una parola, o comunque molto poche, sulle cause di aggressività e violenza: il disagio sociale, il depauperamento culturale assolutamente voluto in anni di folli riforme scolastiche, la mancanza – spesso – di strumenti e di prospettive anche economiche per gli insegnanti.

Abbiamo provato a portare l’analisi su un terreno meno retorico e più concreto, più vicino alla realtà dei fatti, in questa intervista con Flavia Manzi, dell’ Esecutivo Nazionale USB Scuola.

Siamo reduci da un periodo di polemiche e di interventi – molti dei quali a sproposito – su scuola e bullismo. Parliamo del video dello studente di Lucca che aggrediva il professore colpevole di avergli dato un voto basso.

Si è parlato di bullismo, appunto, di aggressività, di cattiva educazione dei giovani. In pochi hanno parlato, invece, dei contesti: le difficoltà oggettiva che chi lavora nella scuola incontra a causa del costante disinvestimento che ormai da troppo tempo viene applicato alla scuola ed alla cultura in generale dai governi e dalle classi dirigenti. Forse dovrebbe essere questo l’aspetto su cui dibattere, non trovi?

Io penso che il problema non nasca oggi. Quello che ci troviamo ad affrontare oggi è l’estrema conseguenza dell’impoverimento della scuola pubblica italiana. Impoverimento non solo dal punto di vista delle risorse economiche, ma sopratutto dal punto di vista del ruolo che la scuola è chiamata a svolgere nell’educazione dei ragazzi.

Credo che ormai siamo arrivati ad una situazione non dico di non ritorno, voglio sperare di no, ma certamente di grande difficoltà. La scuola sta andando inevitabilmente in tilt. E’ chiaro che episodi come quelli che si stanno verificando sono legati a come in questi anni la scuola è cambiata ed è stata fatta cambiare, perchè i vari governi – destra, centro e pseudo sinistra – hanno lavorato affinchè la scuola pubblica diventasse quello che purtroppo è oggi.

La scuola non è più un luogo dove si fa cultura: i tagli di personale, di organico, hanno portato a vivere una situazione di perenne emergenza.

Partiamo dalla scuola primaria, dove sono state tolte le compresenze: prima c’erano due docenti, che potevano fare un certo tipo di interventi all’interno delle classi, pensiamo magari alle classi più difficili.

Per risparmiare, le compresenze sono state tolte.

Passiamo alle superiori, dove l’obbiettivo pare sia quello di creare – sopratutto agli ultimi governi, un po’ lo specchio dell’esasperazione del capitale – generazioni di giovani “passivi”, privi di strumenti critici per affrontare la realtà. Per raggiungere questo obiettivo, quale migliore strumento di una scuola che non forma? Ed infatti – fateci caso – ormai nelle superiori non si parla più di conoscenza ma si parla di competenza, che è un concetto estremamente diverso.

E quindi disinvestire sulla scuola pubblica – secondo questo ragionamento – diventa strumentale al raggiungimento di un obiettivo?

Beh, si sta lavorando e si è lavorato da anni per creare una “scuola di classe”, per creare una divisione tra scuole di serie A e di serie B.

Quello che afferma ad esempio Michele Serra (“il livello di educazione è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza”) è delirante: è chiaro che ci sono delle situazioni più difficili, ma è proprio lì che la scuola deve essere in grado di intervenire e di andare a sanare le situazioni di difficoltà e disagio sociale.

Ma questa funzione della scuola pare non interessare a nessuno: creare una generazione con meno cultura e meno spirito critico è più funzionale agli obiettivi politici che adesso sono rilevanti per chi governa.

C’è anche una questione di maggiore visibilità mediatica che poi si presta a strumentalizzazioni di vario genere…

Questi atti di “bullismo” vengono messi alla ribalta, per continuare a screditare la scuola pubblica. Aggiungo che non sono affatto convinta che situazioni del genere non si verifichino nei licei, nelle scuole “bene”: credo sia probabile anzi che l’unica differenza sia il tipo di “copertura”, forse anche perchè risulta più mediaticamente interessante evidenziare il disagio sociale delle classi più deboli.

Disagio sociale che però è reale…

Il disagio c’è, è ovvio. Ma c’è perche questi ragazzi, sia quelli delle scuole “bene” che quelli delle scuole professionali – di questo stiamo parlando – che futuro hanno di fronte? Il problema reale è il furto di futuro che è stato perpetrato ai danni delle giovani generazioni da parti di classi dirigenti e governi che nel corso degli anni hanno sottratto cultura, possibilità di lavoro e prospettive.

A volte questi ragazzi non hanno nemmeno la coscienza che attraverso la scuola passa, e deve passare il loro riscatto. Nessuno glielo insegna, nessuno glielo dice. Siamo in un mondo di capitale esasperato dove è diventato più importante l’avere piuttosto che l’essere.

Se non andiamo a ribaltare questa logica i ragazzi utilizzeranno gli strumenti che conoscono: la violenza, la sopraffazione, che è ciò che vivono tutti i giorni. Chi più ha, chi è più forte comanda.

Il problema è complesso, e ha le sue radici nella modificazione della società, che poi diventa inevitabilmente la modificazione della scuola.

In questa prospettiva, quale è la situazione in cui lavorano i docenti?

La legge 107 ha creato una situazione drammatica, sopratutto nelle scuole superiori. Docenti sradicati dalle proprie realtà, dai propri affetti, costretti ad “emigrare” per lavorare: dal sud al centro o al nord… Vanno ad affrontare il loro lavoro senza la serenità necessaria, anche perchè non dimentichiamo che un docente percepisce uno stipendio medio che è al di sotto dei duemila euro. Come fa quell’individuo ad essere tranquillo, mantenere se stesso fuori casa e magari mantenere una famiglia in un’altra città? Questo aspetto conta molto, quando andiamo a parlare di livello e qualità dell’insegnamento. Una persona tranquilla, che percepisce un giusto salario, che vede la propria esistenza risolta sicuramente è in grado di trasmettere in modo diverso da chi magari ha la moglie o il marito a seicento chilometri di distanza. Chi vive difficoltà esistenziali è probabile che sia concentrato più ala sua sopravvivenza che al produrre un tipo di insegnamento pregnante, che vada ad incidere profondamente nella formazione dei ragazzi. Questo è un aspetto importante, un problema non da poco.

Parliamo anche di scuola privata: forse la vera distinzione, a proposito di classismo scolastico, andrebbe fatta tra pubblico e privato?

L’attacco alla scuola pubblica, che poi è l’attacco a tutta la pubblica amministrazione, è un dato di fatto. Non è un caso che praticamente tutti i governi abbiano stanziato finanziamenti per le scuole private diminuendo quelli per le scuole pubbliche. Chiaramente questo comporta delle conseguenze: la spinta verso la privatizzazione dell’istruzione è enorme. Una istruzione gestita dagli enti ecclesiastici, dalle finanziarie, dalle aziende… di questo stiamo parlando.

E’ vero che esiste una diversificazione tra licei ed istituti tecnici e professionali, ma è importante dire che questa diversificazione è stata fortemente voluta per andare a ghettizzare il giovane proletario – che tale rimane, anche se con una accezione diversa da quella che era un tempo. Ragazzi che hanno meno opportunità, e a cui la Costituzione garantirebbe uguale accesso alle occasioni di crescita e di sviluppo personale.

Ma non è così, e più andiamo avanti più questa cosa diventa evidente, creando una frattura all’interno stesso della scuola pubblica, con scuole da cui poi si va all’università privata o di qualità, ed altre invece – magari in periferia – che vengono gestite come scuole di livello inferiore.

Anche questa è una scelta?

Si. Una scelta chiaramente espressa dai governi. Come una scelta è stata quella di depauperare i programmi degli istituti tecnici, che vedono ridotte le ore di italiano, che non fanno filosofia, e che vedono ridotte tutte le ore di quelle materie che sono formative e che portano alla conoscenza e non alla competenza. Tutto questo all’interno delle scuole si vive, si sente: una vera e propria diminuzione di richiesta di cultura.

L’ “altenanza scuola-lavoro” è quindi la realizzazione pratica, il passaggio finale dalla conoscenza alla competenza?

Si. E’ una concezione sempre più radicale della scuola, che tra l’altro abitua al lavoro gratutito. Ho assistito ad esperienze di alternanza scuola-lavoro incommentabili. E’ il tentativo esplicito di creare generazioni che non si fanno domande: sul lavoro che andranno a fare, su quanto verranno pagati, su quali sono i loro diritti. Educarli fin da piccoli, fin da sedici anni, a lavorare gratis e senza diritti. Sottraendo oltretutto un numero importante di ore di scuola all’apprendimento, alla cultura! Ecco il tentativo di abbassare il livello: duecento ore di alternanza scuola-lavoro non sono poche, quattrocento negli istituti tecnici. Sponsorizzata dalle aziende, spesso i ragazzi vengono fatti lavorare senza una formazione sulla sicurezza, ed abbiamo anche assistito ad incidenti… Chi si offre di ospitarli di fatto vuole manodopera gratuita, l’obiettivo formativo è secondario.

Ore sottratte alle lezioni: togli ore, togli materie, togli strumenti a questi futuri cittadini che saranno più ricattabili, ma proprio perchè in possesso di meno strumenti, più propensi ad utilizzare quello che hanno a disposizione, che spesso è il ricorso alla violenza ed alla sopraffazione. Ed eccoci dunque arrivati al bullismo, all’aggressività ed ai video su youtube.

domenica 29 aprile 2018

BUFALE DI GUERRA IN SIRIA


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Ora che il polverone mediatico si è sedimentato sugli attacchi in Siria da parte della coalizione Usa-Francia-Gran Bretagna come conseguenza di presunti attacchi chimici del legittimo governo di Assad,tali sostanze chimiche non sono state utilizzate come riscontrato da vari osservatori e certificato dalla Opcw,l'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.
Come descritto nell'articolo(contropiano in-siria-non-ce-stato-alcun-attacco-chimico )le immagini e le testimonianze di quei giorni a Douma sono stati degli artefatti cui hanno abboccato la maggioranza delle testate giornalistiche,senza nessuna prova e controprova,imbeccati dai signori della guerra per dare in pasto all'opinione pubblica delle fake news concepite per disorientare i benpensanti.
Solo che ora nessuno parla di questo,le antenne si sono sintonizzate verso altri luoghi fermo restando il fatto che la Siria è lasciata lì in caldo per successivi attacchi prima giornalistici e poi militari,vedi anche madn le-minacce-usa-e-nato-si-sono concretizzate .

L'Aja certifica: “in Siria non c’è stato alcun attacco chimico”.

di  Redazione Contropiano 
Nesun giornale italiano ne ha dato notizia, eppure la seduta svoltasi l’altro ieri a l’Aja, nella sede dell’Opcw (Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons), ha preso in esame il famoso “attacco con armi chimiche” delle truppe di Assad che per poco non è diventato il casus belli di uno scontro potenzialmente catastrofico tra Usa e Russia.

Cos’è successo?

Davanti ai “giudici” sono comparsi 17 cittadini siriani di Douma, ripresi nei video che hanno fatto il giro del mondo. Tra di loro il bambino di 11 anni, Assan Diab. Che veniva investito da un getto d’acqua per “liberarlo dai gas al cloro”.

Com’è noto, abbiamo nutrito più di qualche dubbio su quel filmato girato dagli “Elmetti bianchi” (una sorta di Croce rossa legata ai jihadisti alleati degli Usa e della Turchia), proponendovi anche un’analisi informata da parte di un ex ufficiale dell’esercito italiano che aveva svolto il suo servizio proprio nei reparti Nbc (quelli che devono affrontare le conseguenze di eventuali attacchi nucleari-batteriologici-chimici). Ma quel che è venuto fuori da questa seduta olandese ha superato anche la nostra esperienza in bufale di guerra.

Il bambino ha spiegato che “Eravamo nel seminterrato e abbiamo sentito gente gridare che dovevamo andare in ospedale. Abbiamo attraversato un tunnel. All’ospedale hanno iniziato a versare acqua fredda su di me e avevo fumo negli occhi…”. Tutti i 17 testimoni hanno affermato che non c’è stato nessun attacco chimico, ma la “normale”, terribile, guerra “convenzionale” con il suo seguito di crolli, calcinacci, rifugi sotterranei, caos.

Insomma, il video era una docu-fiction dei jihadisti (un filmato montato selezionando frammenti “allusivi” e fortemente orientato dalla voce narrante)- Su questa base sia Trump che Macron e Theresa May ha garantito al mondo di “avere le prove” dell’uso di armi chimiche da parte di Assad, procedendo a un attacco che avrebbe potuto scatenare – se fossero stati coliti soldati e postazioni russe – un conflitto dalle conseguenze difficilmente immaginabili.

Siamo certi, comunque, che la prossima volta i nostri “giornalisti professionali” abboccheranno lo stesso. Li pagano per questo…

sabato 28 aprile 2018

LE COREE SI RIAVVICINANO


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Lo storico riavvicinamento tra le due Coree avvenuto ieri tra i due Presidenti Kim Jong Un e Moon Jae-in è un grande passo verso la pace in una delle zone calde del pianeta nonostante l'armistizio firmato nel 1953,avvenuto dopo i segnali di rispetto reciproco avvenuti durante le ultime Olimpiadi invernali.
L'articolo di Contropiano(vertice-tra-le-due-coree )parla del terzo vertice tra le due nazioni dopo quelli del 2000 e del 2007,ed il clima di distensione è stato applaudito praticamente da tutto il mondo anche se i principali ringraziamenti dei due leader coreani vanno alla Cina per aver saputo la capacità di mettere in sintonia i due vicini di casa.
Meno contento anche se gli annunci possono far pensare il contrario,il presidente Usa Trump,che ha attaccato con ossessione Kim Jong Un per diversi mesi,e che ora vede una potenziale riunificazione delle Coree(comunque ancora lontana)come un futuro possibile se non nemico,avversario politico,militare ed economico.

Vertice tra le due Coree. Sta cambiando la mappa del mondo nel XXI Secolo?

di  Alessandro Avvisato 
Vertice storico oggi tra le due Coree. Cominciato dopo una stretta di mano altamente simbolica sulla Linea di demarcazione militare coreana, è proseguito con circa due ore di colloquio tra i leader dei due paesi Kim Jong Un e Moon Jae-in.

Kim Jon Un si è detto “sopraffatto dall’emozione” dopo aver varcato la linea di demarcazione, diventando in questo modo il primo leader nordcoreano a camminare in territorio sudcoreano dalla guerra di Corea (1950-53).

I due leader hanno brevemente camminato a braccetto prima nel versante nordcoreano della frontiera, prima di raggiungere a piedi la Casa della Pace, struttura in vetro e cemento situata nella parte meridionale del villaggio di Panmunjom, dove fu firmato l’armistizio nel 1953.

Le due Coree cercheranno d’instaurare un “regime” di pace per porre termine alla Guerra di Corea, afferma la dichiarazione comune firmata oggi a Panmunjom. In essa si esprime anche l’impegno a favore di una denuclearizzazione della penisola coreana e l’impegno a organizzare una riunione delle famiglie divise nei due versanti della Corea.

Nella dichiarazione è anche precisato che il presidente della Corea del Sud Moon Jae Insi recherà quest’anno a Pyongyang.

Il vertice di oggi è la continuità del processo di distensione tra le due Coree da quando Kim Jong Un il 1 gennaio aveva sorpreso tutti annunciando, che la Corea del Nord avrebbe partecipato ai Giochi olimpici invernali organizzati dalla Corea del Sud.

Questo vertice avviene anche in previsione dell’incontro previsto tra Kim Jong Un e il presidente americano Donald Trump in cui, secondo l’agenza nordcoreana Kcna, “Kim Jong Un discuterà in tutta franchezza di tutti i problemi incontrati per migliorare le relazioni intercoreane e arrivare alla pace, alla prosperità e alla riunificazione”.

Quello di oggi è il terzo vertice bilaterale tra i leader della Corea del Nord e della Corea del Sud. Il primo fu nel 2000 ed ebbe luogo a Pyongyang. A capo della Corea del Nord era Kim Jong Il, padre dell’attuale leader Kim Jong Un e figlio del fondatore della Repubblica democratica popolare di Corea Kim Il Sung. Il secondo è stato nel 2007, sempre a Pyongyang, tra Kim Jong Il e il presidente della Corea del Sud Roh Moo-hyun.

La Cina salutato positivamente il summit di oggi tra le due Coree, definendo la stretta di mano tra il presidente sudcoreano Moon Jae-in e il leader nordcoreano Kim Jong Un lungo la linea di demarcazione militare che divide le due Coree “un momento storico”. Anche la Casa Bianca sembra aver fatto buon viso a cattivo gioco.

“Noi applaudiamo il passo storico tra i leader coreani e apprezziamo la loro decisione politica e il loro coraggio”, ha detto la portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying.

Sullo sfondo si staglia l’ipotesi storica, perseguita e osteggiata, di riunificazione delle due Coree. Ne verrebbe fuori un paese di 75 milioni di abitanti (25 al Nord, 51 al Sud) . Il Nord porterebbe in dote una manodopera a basso costo istruita e quasi illimitata, una ricerca sul nucleare a uno stadio avanzato, pronta a essere riconvertita per uso civile. Il Sud, dal canto suo, porterebbe capitali e struttura produttiva avanzata da impiegare per costruire strade, aeroporti, edifici civili, infrastrutture industriali, una nuova rete elettrica. Secondo una ricerca del 2009 della Goldman Sachs questo “fenomeno” potrebbe avere tra trent’anni un Pil di seimila miliardi di euro, diventando la quarta o quinta potenza economica mondiale, con relazioni commerciali già consolidate in tutto il mondo e la capacità militare di difendersi da sola. Una prospettiva che non piace affatto agli Stati Uniti.

venerdì 27 aprile 2018

L'IMPORTANZA DELLA DIVISA IN UN PROCESSO


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Qual è la differenza tra abuso e stupro?Se lo stanno chiedendo milioni di spagnoli e baschi che dopo due anni di attesa hanno visto una sentenza irrispettosa nei confronti non solo di chi ha subito la violenza sessuale di cui si era già parlato(madn hermanayo-si-te-creo )a Pamplona ma anche di tutte le donne.
Tutte queste persone si domanderanno se una violenza sessuale perpetrata da un soldato e da uno sbirro della Guardia civil possa abbassare la condanna da oltre 20 anni a soli 9?
Forse sì,perché anche in Italia con le studentesse americane stuprate a Firenze dai carabinieri sono passate da vittime a provocatrici,e il fatto che due quinti del branco degli stupratori della Manada di Siviglia siano in divisa ha contato eccome.
Così come conterà per l'altro caso caldo dei ragazzi di Altsasu sempre in Navarra dove otto ragazzi rischiano tanto(da dodici anni e mezzo fino a sessantadue)per il seguito di una rissa avvenuta in un bar che ha coinvolto altri due franchisti della Guardia civil.
Perché in Spagna per il minimo torto che fai e soprattutto in Euskal Herria ti affibbiano reati che riguardano il terrorismo,e se poi c'è di mezzo una qualsiasi polizia la trappola è dietro l'angolo,ma se ne parlerà in quanto il processo è in corso.
Il governo spagnolo stesso tornando al caso dello stupro di Pamplona si dice intenzionato a modificare i reati sessuali nel codice penale e che la Procura generale della Repubblica di Navarra ha annunciato ricorso contro la sentenza in quanto uno stupro vero e proprio(anche filmato)da parte di cinque criminali violenti non può essere derubricato ad abuso continuato,mentre stamattina a Pamplona c'è stata ancora una protesta davanti al Palazzo di giustizia contro le decisioni dei giudici e per dare un duro colpo al machismo(articolo di Infoaut:spagna-lo-stupro-di-pamplona ).

Spagna, lo stupro di Pamplona per i giudici è solo “abuso sessuale”. Una marea umana si riversa in piazza.
 
Giornata importante, che scrive un altro capitolo della tribolata attualità politica e sociale del Paese iberico. Davanti al Palazzo di Giustizia di Navarra in centinaia sin dal mattino si erano dati appuntamento per vigilare e protestare contro l’eventuale travisamento della pena per i cinque stupratori di Pamplona, divenuti tristemente celebri per aver compiuto tale aggressione durante i festeggiamenti per San Fermino nel 2016, in quella che è una delle ricorrenze più importanti e partecipate della penisola.

Sostanzialmente l’ignominia giudiziaria ha travalicato le aspettative delle associazioni femministe e non solo che da tempo hanno monitorato la vicenda. Gli stupratori, riguardo i quali la Fiscalìa aveva chiesto pene da 22 a 24 anni, di fatto sono stati scagionati dalle accuse aggravanti di aggressione, sia sessuale che intimidatoria e pregiudicante dell’ intimità della vittima, che peraltro venne derubata di alcuni suoi affetti, come la condanna ad uno dei cinque per il furto del telefono comprova. Gli stupratori, tutti di Siviglia, si trovavano in stato di carcerazione preventiva da oltre un anno. Due di loro, peraltro, erano un soldato e un membro della Guardia Civil, il corpo di polizia spagnolo. Non solo dettagli: come per il caso di Firenze sulle studentesse americane, si delinea una lampante continuità sul senso di impunità di cui si avvalgono gli uomini in divisa.

La sentenza ha provocato la prevedibile reazione a catena in tutto lo Stato, in una crescente polarizzazione delle istanze femministe diametralmente opposte ai rigurgiti machisti e patriarcali in cui si incarna la destra xenofoba più esplicita e filo-borbonica, quanto quella neo-populista e che centra il suo discorso sull’anti-catalanismo in particolare. Già dalla mattina, di fronte al Palazzo di Giustizia della Navarra, la tensione è stata più che palpabile.

Linee di intersezione tra movimento e settori sociali di un Paese che la piazza ricollega, ieri come per l’ 8 marzo scorso, che aveva visto una partecipazione impressionante. Pulsioni femministe e anti-machiste che si riconnettono mettendo al centro l’importanza di un senso di giustizia sociale e dignità delle persone in modo diffuso, con alcune sacche comunque minoritarie propendenti al giustizialismo.

Nella serata, decine di concentramenti hanno avuto luogo nelle principali città delle Comunità spagnole. Da Madrid a Barcellona, passando ovviamente per Pamplona e i Paesi Baschi, decine e decine di migliaia in strada.

I fatti di ieri si iscrivono peraltro in un periodo di forte politicizzazione delle cause giuridiche. Se l’esempio più alto può essere la sproporzione delle restrizioni imposte ai politici catalani indipendentisti, e centinaia di catalani qualunque accusati di incitamento all’odio, vediamo metri di giudizio totalmente diversi anche tra rappers che per esempio contestano la dinastia Borbonica (vedi link) e l’ impunità delle frange neo-falangiste che deturpano, importunano, portando nelle città simboli esplicitamente nazisti e compiendo aggressioni più svariate impunemente, così come per l’affrancamento sostanziale dall’accusa di stupro per i cinque uomini andalusi di ieri che ha scatenato l’ondata di proteste lungo tutto il Paese.

Leggi anche: Inizia il processo per lo stupro dei SanFermines – Hermana, yo sì te creo!

da Infoaut

giovedì 26 aprile 2018

UN PENSIERO CLASSISTA


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Le parole del giornalista Michele Serra che ha voluto dare una lettura classista al fenomeno del bullismo che c'è sempre stato e a malincuore sempre esisterà,è lo stesso pensiero dei radical chic suoi amici che frequentano i salotti buoni della borghesia,assoldati al Pd e che al posto di sputare sentenze da queste poltrone(o amache)dovrebbero aprire le porte delle loro comode case e scendere per le strade per aggiornarsi su quello che accade realmente.
A parte che appena dopo il suo articolo è arrivata una colossale smentita da parte dell'Istat(corriere.it/salute/pediatria italia-adolescente-due-subisce-episodi-bullismo )sui numeri di attacchi riferiti a licei e istituti professionali e sulla geografie di tali azioni(le aggressioni sono maggiori nei liceali e al nord,non come profetizzato da Serra),le sue parole sono disgustose per via della sua presunta proporzionalità del bullismo con il ceto sociale di appartenenza.
E in maniera marginale dall'educazione ricevuta e al contesto sociale di arrivo degli studenti,dove per Serra uno povero sia destinato ad istituti tecnici e professionali e uno ricco ai licei,dando sfumature populiste al limite del razzismo identitario.
L'articolo preso da Infoaut(scuola-sopraffazione-e-michele-serra-reprised )parla di questo scivolone di un giornalista in fondo onesto ma che come dice lui dice una cosa sgradevole ma che in fondo è un'idiozia,come riportato anche dal cremasco Corlazzoli(ilfattoquotidiano.it bullismo-e-evidente-che-michele-serra-non-frequenta-i-poveri ).

Scuola, sopraffazione e Michele Serra (reprised).

Torniamo sui fatti del ragazzo all’attacco del prof. a Lucca. Si aggiunge anche il rammarico dei filantropi progressisti che denunciano il classismo della nostra società per arroccarcisi meglio. “Un’operazione sgradevole” sottolinea il solito Serra dalla sua amaca.

Dondolando, comodo e riflessivo, aggiunge che “non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore, e lo è per una ragione antica, per uno scandalo ancora intatto: il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza”.

Cristallino. Verosimile. Ma non scandaloso. Lui da una parte, noi dall’altra. Apparteniamo a quella specie che della mistica proletaria, della difesa a oltranza della merda del nostro mondo non ne ha mai fatto un cavallo di battaglia perché il nostro mondo vogliamo trasformarlo combattendo quello nemico. Ci amiamo e ci odiamo per come siamo, ma non concediamo ad altri il privilegio dolce della comprensione o quello amaro della severità nei nostri confronti. Serra pecca di “tracotanza”, l’hybris di cui il giovane proletario del tecnico di Lucca si sarebbe macchiato, a suo dire.

Va oltre il seminato perché dice quello che è ma non va proclamato per non rivelare tutta la verità: la violenza è una regola sociale, ma l’attribuisce come stigma ai proletari per occultare quella della ruling class, la sua. Ha l’ansia di ristabilire un primato di classe fondato sulla stessa violenza che deplora, anche se calza i guanti dell’educazione, della padronanza delle parole, dei gesti e delle regole. Per dirla con la volgarità che imita i nostri “padri e madri ignoranti e impreparati alla vita”, Michele Serra ha proprio cagato fuori.

Non stiamo a girarci attorno. É con disagio che abbiamo scorto la debolezza dietro alla presunta aggressività del ragazzotto del tecnico. Uno sfigato. Perché tutto ritorna come prima: le regole, le buone maniere l’educazione... la scuola e la sua regola violenta, quella che considera questo ragazzo una bestia selvatica da ghermire e ne fa una bestia ghermita, quella che all’apice della sua missione formativa lo considera un contenitore da riempire e lo riempie a tutti i costi, con la forza, con il ricatto, con il comando.

Questa è la violenza dell’istituzione scolastica che divide chi ha i mezzi per accettarne le regole da chi non li ha. Questa linea di classe c’è nella nostra scuola, ne struttura l’istituzione, informa la regola del processo formativo oggi.
E' sfumata negli istituti liceali, meno affollati di popolani e populisti, come direbbe Serra, ed è negli istituti tecnici una trincea in cui si riparano professori e alunni aspettando la fine della guerra della scuola dell’obbligo per consegnare quelle bestie ad altre ostilità nel mondo di fuori.

martedì 24 aprile 2018

ANCORA UN FERMO ECCELLENTE IN FRANCIA


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Dall'infausta privatizzazione di Telecom,colosso una volta statale delle telecomunicazioni,voluta del progressista D'Alema come conseguenza delle scelte irrazionali di Prodi,ne è passata di strada,e l'ex Sip di vetusta memoria divenuta Tim,ora è sotto il controllo straniero,prima spagnolo ed ora francese.
Ma il punto di oggi riguarda il famoso finanziere francese Bolloré,in stato di fermo in Francia(come accadde recentemente a Sarkozy,veci:madn lincombente-ombra-di-gheddafi-su sarkozy(e non solo?) )per via di casi di corruzione diffusa in Togo e Guinea per concessioni portuali delle loro capitali Conakry e Lomé:di lui si era già parlato per screzi con Berlusconi e Mediaset con Vivendi(madn berlusconi-vittima-del-libero-mercato ).
Nell'articolo l'onda lunga ancora presente del colonialismo francese che va di pari passo a quello che ha avuto successo nell'ultimo decennio con l'acquisto delle telecomunicazioni italiane,col grande potere di controllo diretto e meno che ne consegue(contropiano internazionale-news ).

A chi abbiamo affidato le nostre telecomunicazioni? Fermato Bolloré.

di  Redazione Contropiano 
Il finanziere francese Vincent Bollorè è in stato di fermo per la corruzione di funzionari pubblici stranieri in una vicenda legata a concessioni portuali in Togo e Guinea. Lo riporta ‘Le Monde’ nella sua versione online.

Il gruppo Bolloré naturalmente “smentisce formalmente” di aver commesso “irregolarità” in Africa attraverso la sua filiale africana SDV Afrique. Le “prestazioni” oggetto dell’inchiesta della giustizia francese sarebbero state “realizzate in completa trasparenza” e l’odierna audizione di Vincent Bolloré “permetterà di chiarire in modo utile alla giustizia queste questioni già oggetto di una expertise indipendente che ha concluso la perfetta regolarità delle operazioni”.

E’ una notizia bomba, sia a Parigi che a Roma, perché Vincent Bollorè è attualmente a capo della cordata che controlla Telecom, l’ex compagnia telefonica pubblica privatizzata da quel genio “di sinistra” chiamato Massimo D’Alema, nella sua breve stagione da premier a Palazzo Chigi.

Per ricordare qualche dettaglio, la Telecom era stata trasformata da società a controllo statale a public company al momento della chiusura dell’Iri (quell’altro genio “democratico” chiamato Roma Prodi); insomma, nessun azionista avrebbe potuto diventare azionista di riferimento, visto che nessuno avrebbe dovuto superare il 2%. D’Alema tolse questo incolo e di fatto regalò le nostre telecomunicazioni – comprese quelle giudiziarie! – a Matteo Colaninno, il cui figlio nel frattempo diventava una delle giovani promesse… del Pd (o come si chiamava allora).

Colaninno la rivendette ben presto a Marco Tronchetti Provera, debiti compresi, guadagnandoci parecchio. Da Tronchetti Provera, tramite anche qualche “spezzatino”, Telecom passò agli spagnoli di telefonica e da questi, infine, al gruppo Vivendi. Controllato appunto da Bollorè.

Le ultime notizie danno appunto Bolloré interrogato negli uffici della polizia giudiziaria a Nanterre, nel dipartimento degli Hauts-de-Seine, alle porte di Parigi.

La vicenda riguarda le concessioni di ottenimento della gestione dei terminal di navi container. I giudici si chiedono se il gruppo Bolloré non abbia usato Havas, la sua filiale pubblicitaria, per ottenere nel 2010 la gestione dei porti di Conakry, in Guinea e Lomé, in Togo. L’ipotesi è che Havas abbia fornito consulenze e consigli per sostenere l’arrivo al potere di alcuni dirigenti africani in cambio delle concessioni sui porti. Già nel 2016, la sede del gruppo Bolloré Africa Logistics era stata oggetto di una perquisizione nell’ambito dell’inchiesta aperta nel luglio 2012.

Una sordida storia di neocolonialismo alla francese, che anche in altre forme si va dispiegando nell’ex Africa francese (Mali, Senegal, Niger, Ciad, ecc), ed è tra le concause dell’impoverimento estremo di quell’area (i dirigenti locali sono corrotti per decisione europea, oltre che per tornaconto personale; quelli che non sono disposti a farsi compare e magari contrastano efficacemente le mire delle multinazionali, vengono brutalmente soppressi; vedi Tomas Sankara, presidente del Bourkina Faso).

Tornando in casa, c’è davvero da chiedersi “a chi diavolo mai abbiamo dato il controllo delle nostre vite e delle nostre imprese pubbliche” (con le telecomunicazioni, sembra inutile ricordarlo, si controlla Internet, si intercettano telefonate, mail, ecc).

Per saperne di più vedi http://contropiano.org/news/lavoro-conflitto-news/2018/04/23/tim-dopo-20-anni-ancora-scorribande-finanziarie-0103213

lunedì 23 aprile 2018

VENT'ANNI DALL'AUTO-SCIOGLIMENTO DELLA RAF


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Nel panorama dei gruppi armati rivoluzionari europei la Raf ha avuto un periodo di rilevanza sociale e politica enorme,e in questi giorni di vent'anni fa si mise la parola fine ad questa esperienza di lotta comunista anticapitalista e antimperialista impegnata nella resistenza armata.
La Rote Armee Fraktion fu attiva per 28 anni durante i quali ci furono episodi di violenza,di uccisioni di poliziotti e cariche dello Stato tedesco,rapine per autofinanziarsi e sequestri di persona,vi furono parecchi decessi anche nelle fila dell'organizzazione stessa e molti arresti(vedi anche:madn gli-omicidi-di-stato-tedeschi-stammheim ).
Qui sotto l'intervista in occasione dei venti anni dallo scioglimento della Raf(più nota dell'altro gruppo delle Revolutionäre Zellen)ad uno dei suoi membri che si fece ventun'anni di carcere per la causa,delle relazioni con altri gruppi rivoluzionari europei e delle cause che hanno portato alla rottura di tutto ciò,articolo di Contropiano(internazionale-news ).

Di solidarietà e collettività: vent’anni fa si scioglieva la RAF.

di  Karl-Heinz Dellwo * 
Trovare un nuovo Fuori

»Sapevamo che questo sistema a livello mondiale avrebbe lasciato a sempre meno persone la possibilità di una vita dignitosa. E sapevamo che questo sistema vuole una presa totale sulle persone perché si sottomettano da sé ai valori di questo sistema e li facciano propri. Da questo presentimento veniva la nostra radicalità. Noi non avevamo niente a che fare con questo sistema.«

»Ciononostante l’agitazione sulla nostra violenza ha anche tratti irrazionali. Perché il vero terrore sta nella condizione normale del sistema economico.«
(dalla dichiarazione di scioglimento della RAF, scritta a marzo, pubblicata nell’aprile 1998)

20 anni fa la Rote Armee Fraktion, in una dichiarazione di diverse pagine, dichiarò il suo scioglimento. Solo poche compagne e compagni erano ancora in clandestinità, tre di loro ancora oggi sono latitanti, e, lo premetto, si spera sostenuti da strutture solidali e mai arrestati. Perché non potrebbero aspettarsi altro che bassezza tedesca nei confronti di rivoluzionari e rivoltosi; l’alternativa sarebbe tradire tutto o passare il resto della loro vita in carcere.

Nel 1970 si era costituita la RAF, all’epoca la dichiarazione era collegata a un’azione, la liberazione di Andreas Baader dal carcere. La dichiarazione finale ha rinunciato a presentarsi in forma di un’azione. Nel frattempo erano passati 28 anni, l’ultima azione della RAF, far saltare il carcere di Weiterstadt appena costruito, era avvenuta esattamente cinque anni prima. Quasi cinque anni erano passati dallo scontro con il GSG 9** a Bad Kleinen, nel quale si era arrivati all’”esecuzione stragiudiziale” del componente della RAF Wolfgang Grams, che prima nello scontro a fuoco aveva ucciso il membro del GSG-9 Michael Newrzella.

Nessun ritorno

Politicamente l’auto-scioglimento della RAF sarebbe potuto arrivare anche prima, ma nessuno della RAF ne era in grado. La rottura con la società del capitale era troppo profonda, la separazione troppo definitiva per poter essere semplicemente revocata. Un ritorno per noi non era mai stato pianificato. Con il sistema dominante non c’entravamo niente. La decisione di sciogliere il rapporto intransigente nella pratica, veniva dal riconoscere di non poter aprire uno spazio rivoluzionario. Un’azione che non è pensabile senza amarezza.

Chi ha toccato una volta l’esperienza della liberazione, non ne viene più abbandonato. Pier Paolo Pasolini ha registrato questo dato di fatto cinematograficamente a partire da un tetro presentimento. Il suo film »Teorema« del 1967, già trattava delle conseguenze di una liberazione realmente vissuta e poi sparita. L’ignoto e innominato in questo film, che appare come una divinità nel ceto borghese e rende tutti felici, con la sua altrettanto immotivata sparizione lascia il dramma e la ferita di una liberazione interrotta.

Possibilità reale

Cito questo film perché a mio avviso può essere considerato un’allegoria del movimento del ‘68, dove il »68« figura solo come cifra per la svolta di una gioventù prevalentemente sociale a partire dalla metà degli anni sessanta nel mondo. Allora all’orizzonte c’era l’idea della vita che non viene più percepita attraverso sfruttamento e repressione, dominio e servitù, guerra e autorità, come spezzata e distruttiva. La liberazione da tutto questo divenne una possibilità reale. A partire da questa percezione della realtà, la solidarietà e la collettività erano semplici. Oggi, nella condizione della distruzione globalizzata, dove ogni via d’uscita da un presente dispotico sembra essere chiusa, il pensiero della liberazione complessiva sembra tutt’al più astratto e nella quotidianità sostituito dal reazionario »si salvi chi può«.

Solidarietà e collettività non sono più veicolate a partire dall’esperienza comune di un futuro di sinistra. All’epoca qualcuno doveva trasformare in azione questa speranza di rivoluzione occupata in modo quasi libidinoso, e osare questo passaggio all’attacco armato. La RAF, le Brigate Rosse e molti altri gruppi armati di una sinistra fondamentalmente militante, non voleva sottomettersi alle conseguenze di una liberazione interrotta e tenerne aperte le possibilità storiche.

Della RAF si possono dire anche molte cose negative. Come potrebbe essere altrimenti? Uno scontro armato non va liscio per nessuno. Questo del resto da decenni avviene continuamente nello spazio mediale del sistema e spesso si spertica in stupida perfidia e nella ricerca dell’interpretazione più infame contro i suoi vecchi attori, ma ironicamente oggi si trova in contraddizione con esternazioni in colloqui privati e semipubblici con cittadini in parte assai piccolo borghesi, quando di buon grado fanno sapere che secondo loro la RAF »oggi ci starebbe« e sarebbe da loro sostenuta.

Il contropotere

Rispetto alla RAF e a tutti questi gruppi armati si può però anche pensarla diversamente: la RAF è stata il tentativo di rafforzare l’idea nutrita dall’esperienza di una vita fuori dal capitalismo nell’attacco contro il tutto. Con questo nella società e nei confronti dello Stato ha posto la questione del potere che ogni vera lotta di classe e ogni opposizione fondamentale deve porre, se non vuole essere stroncata in modo riformista. Intendeva se stessa come contropotere e come tale è stata anche combattuta. Questo dato di fatto da parte dello Stato è anche lo scenario per quel rapporto vittoria-o-morte che Helmut Schmidt ha innalzato come ragion di stato per Hans-Martin Schleyer e i passeggeri sequestrati di un aereo Lufthansa, così come l’istituzione del rapporto-amico-nemico, documentata nel modo più immediato da una persecuzione senza limiti dei simpatizzanti, dove già la mancata professione in favore dello Stato veniva dichiarata atto ostile.

Il movimento del 68 ha posto in modo teorico la questione del potere rispetto all’ordine sociale redatto secondo il capitalismo, ma l’ha lasciata cadere dopo alcune scaramucce nelle strade. La paura dello squartamento era troppo grande. Nella RFT la RAF ha accettato questa questione vacante nella pratica, cercando di darle una risposta.

Oggi questo Fuori a livello concreto sembra inimmaginabile e perduto. Anche se il sistema del capitalismo resta criminale come mai prima, si è sedimentato nelle persone come privo di alternative. Guerre diventano endemiche, lo sfruttamento totale di uomo e natura è diventato quotidianità. La sua riduzione a oggetto e addestramento, il suo controllo e condizionamento a cittadino adattato e funzionale idiota del consumo, sempre pronto per qualunque assurdità di un mondo delle merci spesso umiliante, sono organizzati in modo più totale che mai, l’apparato di repressione e controllo più gigantesco di quello nel vecchio fascismo. Invece di aprire alla persona un orizzonte sociale, il suo sguardo viene schiacciato verso il pavimento e l’esistenza sbagliata dichiarata »priva di alternative«. Tutti i valori sono ridefiniti nell’unico vero ordine della vendita di se stessi e del consumo. Questo si è instaurato come cornice di tutta vita, sia dal punto di vista temporale che geografico. Il sistema con la sua strategia di integrazione corrotta e di annientamento ha vinto e vince quotidianamente nell’allargamento dello sradicamento e della riduzione all’impotenza della persona.

Lo scioglimento della RAF è seguito al riconoscere che una minoranza, per quanto si possa sforzare, da sola non può produrre un Fuori. Ma ne avremo bisogno se non vogliamo soccombere. Il capitalismo è la più grande minaccia per l’umanità. Usciremo dal suo pericolo solo se troviamo un nuovo Fuori e ritorniamo alla questione del sistema.

Da junge Welt: Edizione del 20.4.2018

Traduzione a cura di Sveva Haertter

Testo originale in tedesco: https://www.jungewelt.de/artikel/331127.ein-neues-au%C3%9Fen-finden.html

*Karl-Heinz Dellwo era e è: autore, editore, documentarista. Componente della RAF. In tutto 21 anni di carcere, di cui molti in isolamento singolo o in piccoli gruppi.

** squadra di teste di cuoio della Germania, “utilizzato per operazioni anti-terrorismo nazionale e internazionale, operazioni speciali di ordine pubblico, liberazione ostaggi, scorta di capi di stato e incursioni terrestri e marittime”

domenica 22 aprile 2018

LA RIVOLUZIONE CUBANA CONTINUA


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Quando in una nazione c'è una rivoluzione solitamente dopo essa le cose si tendono ad appiattirsi vuoi perché i risultati voluti si sono ottenuti,vuoi anche per il fatto che il tempo diminuisce il ricordo di quando si erano imbracciate le armi per rovesciare il regime o lo stato di cose che lo precedeva.
A Cuba,sentendo il primo discorso ufficiale del nuovo Presidente di Cuba Miguel Diaz-Canel,la Rivoluzione cubana del 1959 continuerà nonostante i continui attacchi degli stranieri(Usa),le restrizioni dovute all'embargo,una campagna mediatica feroce e contro le ideologie socialiste proprie del paese caraibico.
Un socialismo da modernizzare e da perfezionare ovviamente,chi pensa che a Cuba tutto sia rose e fiori si sbaglia,come in ogni Stato ci sono cose che vanno e altre meno,ci sono settori come quelli dell'educazione e della sanità completamente statali che sono il fiore all'occhiello ma anche episodi di corruzione e una povertà non da morire di fame ma diffusa.
L'articolo è di Contropiano:internazionale-news cuba-diaz-canel .

Cuba. Diaz Canel: “In questa legislatura non c’è posto per la restaurazione capitalista.

di  R.C. 
Il nuovo presidente cubano Miguel Diaz-Canel, nel suo primo intervento ha ribadito la continuità della Rivoluzione Cubana: “Il mandato dato dal popolo a questa legislatura è di continuare la Rivoluzione Cubana in un momento storico cruciale e nel quadro dell’attualizzazione del modello economico”. Miguel Diaz-Canel, è stato eletto con 603 voti sui 604 dell’Asemblea Nacional del Poder Popular.

Nel suo primo discorso come presidente del paese, Diaz-Canel ha anche sottolineato il ruolo del Partito Comunista di Cuba (PCC), come garante dell’unità necessaria degli abitanti dell’isola.

Diaz Canel, 57 anni, fino ad oggi primo vicepresidente, ha assicurato la continuità del processo rivoluzionario cominciato il 1º gennaio 1959, a partire da forze guerrigliere appoggiate dalla popolazione e la lealtà di un esercito che “non smetterà mai di essere il popolo in uniforme”.

Inoltre, ha affermato che Cuba non farà concessioni contro la sua sovranità ed indipendenza, né negozierà principi o accetterà condizionamenti. “Non cederemo mai davanti a pressioni o minacce. I cambiamenti che siano necessari li seguirà decidendo il popolo sovranamente”, ha sottolineato reiterando la sua fiducia in tutti i cubani il cui appoggio, ha ribadito, è fondamentale per affrontare le sfide che si presenteranno: “In questa legislatura non ci sarà posto per coloro che aspirano a una restaurazione capitalista. Difenderemo la Rivoluzione e continueremo a perfezionare il Socialismo”.

Sulle relazioni con gli Usa e la politica internazionale, Diaz Canel ha annunciato che “Affronteremo le minacce del potente vicino imperialista. Qui non c’è spazio per una transizione che ignori o distrugga l’eredità di tanti anni di lotta. A Cuba, per decisione del popolo, c’è spazio soltanto per continuare con il lavoro della Rivoluzione, senza paure o passi indietro, ha aggiunto il neo presidente di Cuba, sottolineando che Cuba sarà sempre disposta a dialogare con coloro che lo facciano con rispetto e reciprocità.
“Siamo Cuba, cioè resistenza, gioia, creatività, solidarietà e vita. Nessuna nazione ha resistito tanti anni senza cedere all’assedio economico, commerciale, militare, politico e mediatico come quello affrontato da noi”. Diaz Canel ha poi sottolineato che: “All’estero c’è un mondo che ci guarda con più domande che certezze. Per troppo tempo e nei peggiori modi gli stranieri hanno ricevuto il messaggio sbagliato che la Rivoluzione sarebbe finita con i suoi guerriglieri. Giuriamo di difendere fino all’ultimo respiro questa Rivoluzione Socialista e Democratica degli umili, con gli umili e per gli umili che la generazione storica ha vinto sulla spiaggia di Playa Giron 57 anni fa e ce la consegna imbattuta adesso, fiduciosa che sapremo onorarla, portandola così lontana e ponendola così in alto come loro l’hanno fatto, lo fanno e lo faranno ancora,” ha affermato Diaz-Canel.

sabato 21 aprile 2018

CONCLAMATA L'UNIONE TRA STATO,POLITICA,MAFIA E FORZE DELL'ORDINE


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E' tutto vero,parafrasando un titolo storico di un quotidiano sportivo del 2006 ecco che non è più presunta la trattativa Stato-mafia ma è conclamata ufficialmente come un cancro che per decenni ha coinvolto politici,forze dell'ordine e criminalità organizzata sotto gli occhi di tutti ma per forza di ciò è stato più difficile ottenere una prima sentenza di una sfilza di condanne per i vertici delle categorie sovra citate.
Piccolo rinfresco di notizie con tre post di anni passati(madn il-travagliato-matrimonio-stato-mafia ,madn ci-voleva-ciancimino-jr? e madn il-referente-mafia-stato )per poter arrivare alla conclusione che le stragi mafiose degli anni novanta che hanno massacrato i giudici Falcone,Borsellino e familiari e scorte sono state ordite dalla collaborazione tra la politica di Forza Italia di Berlusconi con Dell'Utri referente con la mafia e la compiacenza dei vertici dei carabinieri che hanno insabbiato e depistato le indagini.
L'articolo di Contropiano(la-trattativa-stato-mafia )ha ragione a dire che questa è stata una sentenza storica e che siamo stati,e speriamo che non lo saremo mai più,governati da una cricca di criminali con le mani in pasta con mafiosi e forze del disordine,per alcuni non una novità e per altri che ora stanno muti nel migliore dei casi o urlano come bestie ferite reclamando un'innocenza a cui non crede più nessuno.
Già due giorni fa(prima-andreotti-ora-berlusconi )si era parlato di chi ha tessuto i fili della politica e dei rapporti con la mafia per troppi anni,e mentre Andreotti se n'è andato all'inferno solo con presunzioni di colpevolezza,almeno giudiziarie perché moralmente è stato colpevole fino al midollo:ora con Berlusconi ci vuole il coraggio di aprirgli le porte del carcere e buttare via la chiave.

La trattativa stato mafia.

di  Giorgio Cremaschi (Potere al Popolo) 
La sentenza di condanna per la trattativa tra lo stato e la mafia stragista, è un fatto senza precedenti nella storia del nostro paese.

Siamo di fronte ad un un evento enorme, che rompe il muro che da decenni copre le complicità politiche e istituzionali con la criminalità e l’eversione. Dalla strage di Portella della Ginestra il 1 maggio del 1947, la mafia ha sempre sparso sangue per condizionare la politica e lo stato. E all’interno della politica e dello stato la mafia ha trovato collusioni, connivenze e coperture.

Gli ufficiali dei carabinieri condannati per la trattativa degli anni 90 fanno pensare a tanti altri depistaggi, deviazioni, giochi sporchi precedenti. E la condanna al fedelissimo di Berlusconi, Dell’Utri, segue la lunga lista nera dei politici di governo che sono stati parte e referenti sia del mondo mafioso, sia di quello dello stato deviato.

Anche le stragi fasciste, da quella di Piazza Fontana a Milano nel 1969 a quella di Piazza Loggia a Brescia, a quella della stazione di Bologna, hanno visto coperture ed infami imbrogli da parte di militari, servizi segreti, faccendieri in combutta tra loro. Il deep state, lo stato profondo italiano ha da decenni le mani sporche di sangue.
 La condanna esemplare di Palermo può quindi essere una occasione storica per la nostra democrazia: quella di fare pulizia in tutti gli anfratti del sistema di potere. Bisogna che Berlusconi venga cacciato dal sistema politico italiano.

Ma questa è una misura di igiene politica necessaria, ma non sufficiente. Occorre una operazione verità su tutta la storia della nostra Repubblica, perché un ufficiale dei carabinieri non tratta con la mafia se non ha un contesto e una continuità temporale che lo autorizzino. Non riduciamo questo evento al teatrino della politica di questi giorni. C’è ben altro da sapere, c’è ben altro da combattere e rovesciare.

Lo stato deviato, la mafia, il terrorismo stragista nascono assieme alla nostra Repubblica, con potenti coperture politiche nazionali ed internazionali, americane in primo luogo. È una lunga storia sporca, sporca come la trattativa con cui lo stato ha cercato di convincere la mafia a non mettere più bombe dopo l’uccisione di Falcone e Borsellino. Adesso basta, dobbiamo, vogliamo sapere tutto.

venerdì 20 aprile 2018

TORNANO I CINEMA IN ARABIA SAUDITA...E LA DEMOCRAZIA QUANDO?


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Sulla carta l'Arabia Saudita è amica dell'occidente per opportunismi e non per una cultura medievale che è ancora ancorata in un paese maschilista all'inverosimile e dove i diritti umani più basilari vengono negati soprattutto alle donne.
Solo il fatto della notizia della riapertura dei cinema dopo 35 anni ci deve far pensare che questa popolazione,o almeno i reali che li comandano,siano solamente dei presuntuosi arricchiti e guerrafondai,(non dimentichiamoci lo Yemen dove siamo complici:madn nello-yemen-si-uccide-col-made-in-italy )e che governano con il terrore una popolazione giovane che anche se vorrebbe ribellarsi sa che andrebbe incontro a punizioni corporali,carcere e morte.
Nemici giurati di Assad(madn ma-chi-ferma-i-veri-stati-canaglia? )assieme a tutte le petrolmonarchie arabe,hanno tacciato il Qatar(madn qatarun-capro-espiatorio )in una sensazionale quanto ipocrita la campagna di finanziamento dell'Isis,proprio loro che sono i principali foraggiatori dell'esercito del terrore islamico,l'Arabia Saudita si conferma nazione falsa che però è d'importanza strategica enorme nonché terra d'investimento da parte degli Stati dell'occidente.
Articolo di Rai news:cinema-arabia-saudita .

Dopo 35 anni riaprono i cinema in Arabia Saudita, Black Panther è il primo film proiettato.

È un evento storico nel Paese, dove nei primi anni '80 la famiglia reale aveva bandito i cinema .

Tra un mese in Arabia Saudita si potrà andare di nuovo al cinema. Il regno ha revocato l'anno scorso un divieto durato 35 anni concedendo alla statunitense AMC Entertainment la prima licenza per gestire sale cinematografiche. Ieri a Riad, nel distretto finanziario King Abdullah, ci sono state le prove generali con una proiezione a inviti cui hanno partecipato uomini e donne. La scelta del film non è stata casuale: Black Panther, blockbuster americano, terzo film di supereroi più visto in assoluto, racconta la storia di T'Challa (Chadwick Boseman), che dopo la morte del padre, re di Wakanda, ritorna a casa, una nazione africana isolata dal mondo però con uno straordinario potenziale tecnologico.

Si tratta di un evento che "segna un momento chiave nella trasformazione dell'Arabia Saudita in una più vibrante economia e società", ha affermato il ministro della cultura e informazione, Awwad Alawwad. Nel corso degli ultimi anni, l'Arabia Saudita ha progressivamente allentato le forti restrizioni alle proiezioni cinematografiche, consentendo lo svolgimento di festival di film locali e proiezioni in cinema improvvisati. Molti religiosi sauditi ancora considerano i film occidentali, e persino i film arabi realizzati in Egitto e Libano, come peccaminosi.

La nuova politica interna
Dietro le aperture sociali a Riad, c'è il principe ereditario Mohammed bin Salman. Il trentaduenne figlio di re Salman, che ha assunto l'incarico nel giugno 2017, recentemente ha messo in discussione anche il rigoroso codice di abbigliamento per le donne, ​per cercare di soddisfare i desideri dei giovani, che formano la maggioranza della popolazione del Paese. Nonostante le riforme introdotte, le ragazze in Arabia Saudita non hanno la possibilità di vivere una vita indipendente: secondo la legge, un membro maschio della famiglia, normalmente il padre, il marito o un fratello, deve concedere il proprio permesso a una donna perché questa possa studiare, viaggiare o eseguire qualsiasi altra attività. "MbS", come è più conosciuto, ha invece una politica molto aggressiva sulle questioni estere e ha avuto un ruolo importante nella devastante escalation della guerra nello Yemen, dove già sono morte oltre 10.000 persone.

Investimenti nella cultura
Il 21 febbraio scorso, l'Autorità per l'intrattenimento generale (GEA) dell'Arabia Saudita ha annunciato il proprio calendario di eventi 2018, che prevede "oltre 5.000 diverse occasioni di intrattenimento dal vivo e eventi culturali progettati per attrarre tutte le componenti della società saudita". Riad investirà 64 miliardi di dollari in 10 anni nel settore dell'intrattenimento: secondo gli analisti, in tre anni, potrebbe ricevere 1 miliardo di dollari di nuove entrate dal settore del cinema ed entro il 2030 il regno arabo potrebbe essere tra i primi 10 maggiori mercati cinematografici del mondo. AMC ha raccolto la sfida: dovrebbe aprire 40 cinema in 15 diverse città nei prossimi cinque anni; i sauditi non dovranno dunque più mettersi in auto e guidare per ore per andare a vedere un film in un Paese limitrofo. Inoltre, a maggio, l'Arabia Saudita parteciperà per la prima volta nella sua storia al Festival di Cannes, presentando una selezione di cortometraggi. - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/cinema-arabia-saudita-riapertura-primo-film-black-panther-d8a17c5c-1d23-4376-9f0f-d0c626306fd4.html

giovedì 19 aprile 2018

PRIMA ANDREOTTI ORA BERLUSCONI


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I 45 giorni passati senza avere un governo sono ancora al di sotto della media in cui si riesce a formare un esecutivo dopo elezioni avvenute alla scadenza naturale della legislatura,anche se questa è stata scippata di qualche anno con governi non eletti direttamente dal popolo.
Tale media è di 51 giorni ma quello che sta contraddistinguendo questa pausa è il vuoto politico che si sta proponendo,vuoi perché chi ha in mano le redini del gioco ha scarsa conoscenza politica nel senso stretto del termine,vuoi perché ci sono veti e paletti che non vanno modificati e sui quali almeno per ora non si è trovato accordo.
Ancora lontani dai sei mesi tedeschi(madn e-se-accadesse-ancora-pure-in-italia? )che hanno portato ad un governo che elle intenzioni preelettorali non s'aveva da fare,i capricci,per carità leciti sia di Salvini che di Di Maio,vedono vertere ancora sull'innominabile ex premier puttaniere e incandidabile(una figura andreottiana)che però ha fatto sì che la seconda carica dello Stato,da sempre sua fedelissima(madn una-forzidiota-al-senato ),abbia un mandato esplorativo per ricucire gli strappi...comanda ancora lui.

45 giorni di niente.

di Giulio Cavalli   
Provando a semplificare: dice il Movimento 5 Stelle che non se ne fa niente con Silvio Berlusconi (ma in realtà pronunciando “Berlusconi” si riferisce a tutta Forza Italia tranne, chissà perché, alla Casellati che dice la Taverna che va rispettata in quanto “seconda carica dello Stato” ma lo stesso concetto non valeva per Laura Boldrini che per loro evidentemente è peggio degli sgherri di Berlusconi); dice Salvini che non può “scaricare” Berlusconi (e anche lui si riferisce a Forza Italia perché sa benissimo che senza di loro sarebbe poco o niente); il PD dice al Movimento 5 Stelle e alla Lega “fate voi” godendosi lo stallo e sapendo bene che stare all’opposizione sarebbe un inaspettato balsamo contro il crollo dei propri consensi; Fratelli d’Italia, Liberi e uguali (a cui non scappa una parola, un’azione, una novità che sia una) e gli altri piccoli sono praticamente ininfluenti.

Tutto fermo. Tutto bloccato: 45 giorni di niente. E non sono tanto i 45 giorni passati (la media in Italia nel dopoguerra è di 51 giorni dalle elezioni per formare il governo, quindi la straordinarietà dei tempi lunghi è di fatto una falsa notizia) ma piuttosto è l’attacco militare in Siria e i suoi sviluppi, è lo storico processo finito male dei fattorini di Foodora che si sono accorti di vivere in un Paese in cui mancano le leggi per richiedere i diritti, sono gli urlacci di Macron che ora lancia addirittura l’allarme su un tracollo imminente dell’Europa, sono gli ultimi richiami dell’Europa all’Italia per stringere ancora di più la cinghia e sono i dati economici del Paese che andrebbero interpretati e discussi, tutti questi accadimenti danno il senso del niente di tutti questi 45 giorni.

45 giorni in cui i commenti sui fatti nazionali e internazionali (dopo una campagna elettorale in cui anche la cronaca nera era diventato un generale tema di dibattito politico) sono scomparsi. Ci si riduce a dire banalità insipide per non scontentare i potenziali futuri compagni di governo, che sono un po’ tutti. E così la classe dirigente si mostra tutta nella sua piccolezza: sventolare valori in campagna elettorale per essere sempre pronti a smussarli (o smentirli) appena si materializza l’occasione di un posto al sole. Ora tutti buoni, tutti zitti, tutti scodinzolanti.

Avanti così.

Buon giovedì.

mercoledì 18 aprile 2018

TRUMP CON LE SPALLE AL MURO


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Si sa che in politica che,e questo succede in tutto il mondo,quando c'è uno scandalo che colpisce i vertici delle amministrazioni si utilizzano escamotage per deviare l'attenzione sui problemi e le questioni che si sollevano.
Principalmente se fallisce il tentativo di contrastare notizie di scandali come ad esempio migliaia di dollari per fare star zitta una pornostar compagna di letto oppure implicazioni di uno Stato estero nelle campagne elettorali presidenziali,si può creare allarmismo e terrorismo inventandosi nemici come possono essere i capi(li chiamano dittatori)di nazioni come Corea del Nord e Siria.
Nell'articolo(contropiano trump-non-puo-fare-il-presidente )le dichiarazioni,per caso,dell'ex direttore dell'Fbi Comey che interessano molto al procuratore Mueller che ha quasi messo alle spalle il presidente Trump per l'inchiesta Russiagate,che viene indicato come persona,se ce ne fosse stato il bisogno di essere sottolineato,sessista,bugiarda,megalomane e pericolosa per lo Stato che rappresenta.

Trump non può fare il presidente: duro attacco dell’ex capo dell’FBI.

di  Alessio Ramaccioni 
Mentre Donald Trump è impegnato a bombardare la Siria, nuovi elementi vanno a rendere sempre più avvolgente la rete che il procuratore Mueller sta pazientemente tessendo con l’inchiesta Russiagate.

Il 9 aprile l’FBI ha perquisito gli uffici di Michael Cohen, avvocato vicino a Trump. Secondo Mueller, è dimostrabile che il legale sia stato, più o meno “segretamente”, a Praga nel 2016 in piena campagna elettorale.

A fare cosa? Secondo il dossier dell’ex agente segreto britannico Cristopher Steele – peraltro abbastanza controverso – Cohen avrebbe incontrato un uomo dell’entourage di Putin, Kostantin Kosachev. Secondo l’ipotesi investigativa di Mueller, ovviamente l’incontro rientrerebbe tra i “momenti di approccio” durante i quali si sarebbe definito il sostegno russo all’elezione di Trump.

Cohen tra l’altro è coinvolto in un’altra vicenda “calda” che rischia di travolgere ulteriormente l’attuale Presidente USA: quella riguardante la pornostar Stormy Daniels, alla quale l’avvocato avrebbe elargito una mazzetta di circa 130.000 dollari per mettere a tacere l’eventuale racconto di una relazione che la Daniels (al secolo Stephanie Clifford) avrebbe avuto con Trump.

Tra l’altro, alcune indiscrezioni raccontano che una parte dell’entourage di Trump avrebbe più paura di questa inchiesta che del Russiagate: in una società ipocritamente bigotta come quella statunitense, è facile comprendere perché.

Ma i colpi più duri assestati alla credibilità di Trump – mediaticamente parlando – sono arrivati dall’ex direttore dell’FBI James Comey, in carica dal 2013 al 2017 e fatto fuori proprio da Trump.

“Non è moralmente adatto a fare il presidente degli Stati Uniti”, “Può fare enormi danni”, “non incarna né rispetta i valori fondamentali del Paese, a partire dalla verità”, “tratta le donne come fossero pezzi di carne”.

Queste alcune delle considerazioni di Comey nel corso di una intervista all’emittente Abc. L’ex direttore dell’FBI ha aggiunto che è plausibile che Trump abbia e stia provando ad intralciare le indagini, e che è altrettanto possibile che sia ricattabile dai russi, che “potrebbero essere in possesso” di materiale compromettente sul suo conto.

Comey ha sottolineato la tendenza di Trump a mentire, ed ha spesso ribadito la sua inadeguatezza e pericolosità come presidente degli Stati Uniti.

Alla domanda se l’impeachement fosse una soluzione, l’ex federale ha però frenato, ritenendo che la soluzione migliore sarebbe – per lui – far valutare l’operato di Trump dagli americani attraverso lo strumento delle elezioni.

Al netto delle dichiarazioni di Comey – impegnato nella presentazione del suo libro – sul “fronte interno” la situazione non è tranquilla per Donald Trump. L’impressione è che, lentamente ma in modo apparentemente inesorabile, l’indagine di Mueller si stia avvicinando al tycoon, messo in difficoltà anche da inchieste “parallele” ed altrettanto dannose.

Forse, per spiegare i motivi dell’attacco alla Siria, bisogna tenere in considerazione anche queste vicende: creare tensione per spostare l’attenzione di media ed opinione pubblica è un metodo vecchio ma sempre efficace.

martedì 17 aprile 2018

IL G8,LA POLIZIA E IL MANIFESTO


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Il G8 di Genova ha avuto un corollario di avvenimenti così tragici ed importanti che sinceramente delle questioni politiche discusse in qui giorni non si ricorda più nessuno mentre partendo dalla morte di Carlo Giuliani arrivando alla macelleria messicana della Diaz se ne parla tutt'ora(vedi:madn i-morti-siete-voi ).
Molto hanno fatto parlare anche le dichiarazioni del Pm genovese Enrico Zucca sulle torture impunite delle polizie in qui giorni che sconvolsero non solo l'Italia ma il mondo intero con una repressione poliziesca senza pari(madn zucche-piene-e-zucche-vuote ),ed ecco che Il Manifesto,storico giornale di sinistra ora ombra di quel che era,propone una lettera del capo della polizia Gabrielli e si dimentica di mettere la risposta di Giuliano Giuliani.
La presa di posizione piccata del quotidiano ex comunista che parla di una svista lascia il tempo che trova,ma focalizziamo l'attenzione sulla lettera postata qui sotto(contropiano giuliano-giuliani-risponde-al-capo-della-polizia )che fa capire che ci sono ferite ancora aperte e chi ha compiuto tali danni ha ricevuto promozioni e chi ha subito la violenza della polizia se non sta pagando ancora adesso per svariati motivi,fisici,emozionali e giudiziari,ha avuto come risarcimento ben poca cosa per quello che ha subito.

Genova 2001. Giuliano Giuliani risponde al capo della polizia.

di  Giuliano Giuliani 
Lettera non pubblicata dal manifesto… A seguire una precisazione da precisazione di Simone Pieranni, giornalista della testata.

“Domenica scorsa Il Manifesto ha pubblicato una lettera del capo della polizia riferita al G8 di Genova 2001, intitolata “ Una storia da raccontare per intero”. Ho provato a rispondere ma il giornale non ha pubblicato la mia lettera che, per chi ha pazienza, ripropongo qui.

Ho letto con interesse la lettera del capo della polizia: sì, Genova 2001 è proprio una storia da raccontare per intero, cominciando dal fatto più grave, l’omicidio di Carlo Giuliani. E allora non si può non cominciare dalla vergognosa archiviazione, fondata sull’imbroglio dei quattro inaffidabili periti del pm Silvio Franz (sparo per aria e deviazione del proiettile verso il basso), imbroglio smentito non dalle chiacchiere ma dal filmato che riprende la scena. Neanche una parola sull’insensata manovra di quel reparto di carabinieri, sulla responsabilità di chi li comandava, sulla imboscata costruita con una fuga che faceva seguito a una inutile quanto infida manovra contro un gruppetto di manifestanti inoffensivi. Neppure una minima valutazione sul mancato intervento di un intero reparto a favore della jeep (bloccata solo dall’imperizia, se non dalla scelta, di chi la guidava), nonostante il rapporto di forze fosse di cento carabinieri contro trenta manifestanti, che avevano inseguito il reparto.

Sì, raccontiamola per intero la storia di Genova 2001. Valutiamo la cadenza dei tempi della giustizia e le differenze di valutazione da parte di chi è stato chiamato ad amministrarla. L’omicidio di Carlo viene archiviato, senza lo svolgimento di un processo quindi, nel maggio 2003. Si avviano invece i processi contro venticinque manifestanti, incredibilmente considerati i principali responsabili di quanto accaduto a Genova (presidiata da sedicimila appartenenti alle varie forze dell’ordine!), e anche quelli sulla Diaz e Bolzaneto.

Le sentenze di primo grado colpiscono pesantemente i 25 manifestanti, mentre per arrivare a sentenze che affermino la responsabilità di alti dirigenti della polizia occorrerà attendere nel 2012 i responsi della Cassazione (a quanti consideravano l’operazione Diaz una “perquisizione legittima” la sentenza risponderà di atti che “hanno prodotto il degrado dell’onore dell’Italia nel mondo”).

Ma in quel processo uno dei pm era Enrico Zucca, al quale rinnovo ancora una volta tutta la mia solidarietà. Viene accusato perché ha parlato di “torturatori”. Perché, solo per fare uno dei tanti esempi, non è considerabile una tortura manganellare ripetutamente in dodici un innocuo manifestante che scappando è inciampato ed è caduto per terra, come avviene in piazza Manin? Dico di più: è un atto da autentici delinquenti, intollerabile per chi, come me, ha partecipato alla fine degli anni settanta, insieme a tanti giovani poliziotti, alle lotte per ottenere che i poliziotti fossero considerati dei lavoratori, avessero diritto al sindacato, una autentica democratizzazione che liberasse la polizia dalla degradazione della “celere” scelbiana. Un atto che offende la “mia” polizia, per dirla come il compagno e coetaneo Arnaldo Cestaro, il primo a essere massacrato di botte alla Diaz, dove stava cercando di riposare. “Abusi”, per dirla con le parole del capo della polizia, che vanno sanzionati pesantemente.

Condivido il rifiuto di Franco Gabrielli di “continuare a rappresentare il G8 di Genova come una vicenda esclusivamente limitata alla Polizia”. Certo, c’erano anche i carabinieri, o meglio alcuni reparti dell’Arma responsabili delle violenze e dei misfatti compiuti nella giornata di venerdì 20 luglio. Lo ha detto esplicitamente la parte obiettiva della magistratura genovese che si è occupata dei tragici fatti, quando ha parlato di “cariche violente, indiscriminate e ingiustificate”, di atteggiamenti inqualificabili che hanno provocato scontri durissimi protrattisi per ore.

Comportamenti per altro ben presenti ad alti ufficiali presenti a Genova. In una telefonata arrivano a dire che “ci sono problemi a concedere queste forze” (stanno parlando dei paracadutisti), “perché se escono quelli non si sa che c…. succede”! Resta amara la considerazioni che questi giudizi non hanno prodotto non dico una condanna ma neppure un’ammonizione: i carabinieri sono impunibili a prescindere, anche quando uccidono, come nel caso di Carlo, e questo è sicuramente uno dei problemi della nostra debole democrazia.

Grazie agli importanti ruoli ministeriali che gli furono affidati da Giuliano Amato e anche da Mario Monti, De Gennaro esercitò l’uso della promozione “a delinquere” degli alti gradi della polizia (Gratteri, Luperi, Calderozzi, Ciccimarra), che ebbero poi la condanna definitiva per i fatti Diaz (ricordo che l’atto più malvagio fu l’ordine dato a sottoposti di introdurre nella scuola due bombe molotov, che sarebbero servite a incriminare gli ospiti della scuola del reato di terrorismo).

Ma a Gabrielli vorrei ricordare che anche recentemente una promozione mi ha lasciato perplesso. Adriano Lauro è il funzionario che accompagna il reparto dei cc in piazza Alimonda, dove è protagonista di due episodi allarmanti: prima si cimenta nel lancio di sassi contro i manifestanti, poi attribuisce la uccisione di Carlo a un manifestante, “con il tuo sasso… tu lo hai ucciso, pezzo di m….”, completando così l’indegna azione di un carabiniere che con una pietra ha spaccato la fronte di Carlo agonizzante. Lauro è oggi questore di Pesaro”.

Segnalazione di Roberto Silvestri su Facebook.

Simone Pieranni, attualmente giornalista de il manifesto, e protagonista dei fatti di Genova 2001, ha postato su Fb e Twitter la seguente precisazione:.

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Avviso a chi sta sherando la lettera di Giuliano Giuliani che non sarebbe stata pubblicata dal manifesto: a noi quella lettera non è mai arrivata. Ci fosse arrivata l’avremmo ovviamente pubblicata (inutile che ricordi qui quanto il manifesto ha seguito e segue ancora tutto quanto gira intorno al g8)

Contatteremo Giuliano per chiarire naturalmente.

Poi una precisazione: la lettera di Giuliano Giuliani è in risposta a una lettera che il capo della polizia Gabrielli ha mandato al manifesto. Bene si tratta di una risposta a un commento di Lorenzo Guadagnucci pubblicato sul manifesto sulle carriere dei poliziotti del G8.

Aggiungo che due gran coglioni e buona giornata. E vediamo se si shera anche il chiarimento.

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Prendiamo atto – e ne siamo felici – che non c’è stata alcuna ritrosia da parte del giornale. Ricordiamo comunque che la segnalazione via Fb, con tanto di incipit, non è partita da noi, che ci siamo limitati a raccoglierla perché proveniente da fonte professionale (Roberto Silvestri, critico cinematografico di grande esperienza e a lungo redattore dei il manifesto).

Come dovrebbe ormai esser noto, non ci interessa affatto la “concorrenza a sinistra”, ma informare i lettori – per quel che riusciamo a fare – sulle menzogne e le complicità dei vertici del potere.

lunedì 16 aprile 2018

ANCORA BRACCIALETTI PER CONTROLLARE I LAVORATORI


Risultati immagini per aamps braccialetti
L'introduzione sperimentale del braccialetto elettronico per controllare i dipendenti per la pulizia stradale di Livorno e Pisa desta preoccupazione e genera molte domande sull'efficacia di questa forma di verifica costante del lavoro degli operai.
Infatti Aamps,l'azienda ambientale di pubblico servizio toscana ha fatto come Tesco e ultimamente Amazon(madn verso-la-robotizzazione-totale )ed ha dotato i suoi operatori che hanno in mano l'appalto attraverso la Avr-Manutencoop di questi braccialetti che sono uno strumento di controllo totale anche se vengono visti dalle aziende che lo adottano per la produttività e l'abbattimento dei costi.
Che a dir la verità è lo stesso,poiché queste cooperative che operano già con budget risicati vedono nel lavoratore la prima spesa da abbattere drasticamente sia con la riduzione salariale che con licenziamenti.
Nel redazionale di Senza Soste(aamps-amazon-vergogna )questa vicenda che assieme all'ingresso tragico nel mondo lavorativo dei job acts ha introdotto la possibilità di utilizzare strumenti di controllo delle attività,cosa che era nemmeno pensabile prima dallo statuto dei lavoratori.

Aamps come Amazon? Vergogna!

Gli "spazzini" livornesi e pisani indosseranno i braccialetti elettronici. Ecco perchè si tratta di una misura pericolosa e vergognosa.

L’introduzione di un braccialetto elettronico per i lavoratori di Avr-Manutencoop, alleanza di imprese che ha in appalto da Aamps i servizi livornesi di pulizia stradale, è sia una vergogna che un pericolo. Dipende da che lato si guarda: se si intuisce il lato pericoloso (per i lavoratori) dell’operazione si vede anche la vergogna (il modo con il quale si cerca di introdurla) se, invece, si vede subito l’aspetto vergognoso della vicenda se ne intuiscono, dopo poco, i pericoli.

Avr, in questa vicenda, è un punto essenziale per capire cosa accade: ha sviluppato un sistema informativo di gestione per assegnare i compiti aziendali e, sul suo sito, afferma di implementare sistemi Iot (internet delle cose, in poche parole internet legata a oggetti di ogni tipo dal frigorifero ai lampioni a strumenti di lavoro) per (testuale) “avere un controllo in tempo reale su cassonetti, automezzi e altre strutture”.

https://www.avrgroup.it/gestioni-manutenzioni-costruzioni/gestioni-e-manutenzioni-stradali/servizi-e-lavori/servizi-di-gestione-delle-strade

E qui si capisce già una cosa: il braccialetto elettronico, del modello per i lavoratori dell’appalto pulizia, è un classico oggetto Iot. In poche parole fa parte del sistema di controllo di cassonetti, automezzi e altre strutture di cui, in questo modo, il lavoratore è integrante e, come dire, saldato. Anche perché questi sistemi servono per abbattere, a volte in modo drastico, i costi. E il lavorare è visto come uno dei costi da ridurre tra i tanti in una logica di riduzione, a pioggia, dei costi. E in quest’ottica non ci sono lavoratori “privilegiati”. Per la partecipazione alla costruzione del catasto digitale delle strade ai laureati in ingegneria si chiedono competenze, per la sede di Navacchio, ma si offre non uno stipendio ma (testuale) “è previsto un rimborso spese di € 500/mese”. Insomma questi ninnoli tecnologici richiedono sfruttamento a monte, dove si costruiscono i prodotti digitali e a valle, dove i lavoratori sono obbligati a usare gli oggetti digitali anzi, Iot.

Quindi, quando il management Avr dice che il braccialetto elettronico non serve per il controllo non dice il vero. Semplicemente sul suo sito già si vanta di implementare IOT per procedure di controllo. Il braccialetto che è in comunicazione col cestino serve, infatti, per controllare entrambi: perché i tempi di svuotamento del cestino dettano quelli dei movimenti del lavoratore in un matrimonio digitale.

Ma quali sono i pericoli per i lavoratori nell’implementazione di questi ninnoli? Quali sono i pericoli, quindi, di tutto questo controllo?

Il sindacato inglese GMB, che nel 2016 ha costretto Uber al riconoscimento dei diritti sindacali pensione compresa, è all’avanguardia nel monitoraggio di questi sistemi di lavoro basati su tecnologie Iot. Come si vede da questo articolo del Guardian

https://www.theguardian.com/technology/2015/aug/18/amazon-regime-making-british-staff-physically-and-mentally-ill-says-union

i lavoratori che usano un braccialetto simile a quello di Avr, ovvero quelli di Amazon, possono soffrire di problemi muscoloscheletrici da sovraccarico biomeccanico, stress, ansia fino, come registrato, a casi di aborto spontaneo nel personale femminile.

I motivi sono molto semplici. Questi prodotti sono comunque sperimentali e con una direttiva molto chiara: prima di tutto fissare i livelli di produttività sul lavoro e di risparmio economico-finanziario, in bilanci sempre ridotti all’osso. POI adattare il lavoratore, o meglio i suoi movimenti, ai sistemi IOT. E qui sarebbe interessante vedere i report delle procedure di sperimentazione del braccialetto da parte degli ingegneri che hanno prodotto l’oggetto per AVR. Su che tipo di movimenti umani hanno lavorato, su quali tempi, che tipo di staff, quali le criticità e le eventuali controindicazioni etc.

Sarebbe un’operazione trasparenza che il Comune di Livorno e Aamps dovrebbero fare: mettere a disposizione questi dati per far entrare nel merito del prodotto, e della organizzazione conseguente del lavoro, sindacati e cittadini. E per questo non bastano certo i post su Facebook.

Sulla legittimità di questo genere di implementazione di oggetti Iot nella organizzazione del lavoro la discussione è accesa. Di sicuro il Jobs Act renziano ha rotto con la situazione precedente, regolata dallo statuto dei lavoratori, che fissava il divieto assoluto di apparecchiature di controllo dell’attività lavorativa.

Oggi, comunque, per un controllo del lavoratore come in Avr sussistono due condizioni dettate esplicitamente anche dal contratto nazionale del settore: la prima è che il controllo sia legato alla produttività, la seconda che ci sia accordo sindacale. Ma, per questo parliamo di legislazione perlomeno controversa, nel secondo comma dell’articolo 4 del Jobs Act si prevede che le garanzie  non si applicano agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa (es. smartphone, tablet, personal computer), e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. In questi casi l’installazione non richiede alcun accordo sindacale. C’è da chiedersi quindi se il braccialetto fa parte del sistema della produttività, e quindi regolato da firma sindacale, o degli strumenti utilizzati dal lavoratore per lo svolgimento delle proprie mansioni. Bisogna ricordare che il Ministero del Lavoro, con nota del 18 giugno 2015, ha stabilito che nel momento in cui lo strumento viene modificato (ad esempio, con l’aggiunta di software di localizzazione, come nel braccialetto elettronico), non si considera più rientrante nella categoria del semplice strumento utilizzato dal lavoratore (sul quale comunque di controllo se ne fa..). Ci dovrebbe essere quindi la firma sindacale ma, per tagliare la testa al toro, visto che il capo politico del movimento 5 stelle (così si chiama la carica di Di Maio), ha detto che al governo abolirebbe il Jobs Act, Nogarin potrebbe seguirlo semplicemente rifiutandosi di adottare lo strumento in un appalto Aamps. O quantomeno smuovere i suoi uomini all’interno dell’azienda che dovrebbero controllare le modalità degli appalti-

C’è poi un’altra questione che non è di forma ma proprio di sostanza. Chi gestisce e come i dati prodotti dal braccialetto elettronico? Come sappiamo, da altre esperienze sindacali, i dati possono essere usati come forma di pressione verso il lavoratore. Ma possono essere anche venduti per operazioni di profiling e microtargeting. Conseguenza? Ad esempio, se i dati sono venduti, un lavoratore può magari vedersi rifiutato un prestito perché la banca lo considera improduttivo o a rischio lavoro. O un’assicurazione perché, leggendo i dati, giudicato poco in salute. Non ci vuole molto a capire che il braccialetto elettronico non ci deve essere. Ma anche i sindacati devono saper entrare nel sistema di controllo in tempo reale degli oggetti e degli automezzi tramite oggetti Iot perché, anche senza il braccialetto, il lavoratore lo si può severamente controllare indirettamente dai dati che questi oggetti producono.

Infine bisogna ricordare che il controllo elettronico è controllo sul salario. La produttività controllata digitalmente può significare un abbassamento del salario quando niente (dalle tecnologie, alla loro implementazione, al loro controllo, alla tutela dei dati) è controllato dai lavoratori organizzati.

Un bel problema specie quando l’amministrazione parla di controllo e sicurezza senza sapere bene del contesto di cui sta parlando. Un esempio?

Lo scorso giugno c’è la firma del protocollo di intesa tra il Comune di Livorno e l’UPM per la promozione di quella che viene chiamata Etichetta Trasparente Pianesiana contro i “crimini alimentari”. L’assessore Vece nell’occasione commenta “la firma di questo protocollo rappresenta un importante strumento per la tutela dell’ambiente e dei diritti dei consumatori. Attraverso l’applicazione di questo modello di tracciabilità delle filiere agroalimentari riusciamo a sapere infatti che cosa acquistiamo per la nostra sicurezza alimentare”. Ora il comune in materia di tracciabilità, per la trasparenza, di strada ne deve fare ancora parecchia. Già, perché il fondatore di UPM, l’organizzazione che ha firmato a Livorno il protocollo che permetterebbe la tracciabilità delle filiere contro i crimini alimentari, dall’inizio dell’anno è al centro di un’inchiesta coordinata dall’antimafia di Ancona.

https://www.cronacheancona.it/2018/03/14/mario-pianesi-il-guru-della-macrobiotica-da-tara-gandhi-a-fidel-castro-premi-e-attestati-in-tutto-il-mondo/89794/

Vece, dopo la pompa magna del protocollo del 2017, ha forse tracciato la notizia informando i cittadini su questo? Non ci risulta.

Ecco, tra trasparenza ancora da garantire ai cittadini e diritto alla privacy sul posto di lavoro la partita per il comune si fa in salita e complicata. Sono oneri di governo o, più semplicemente, la realtà dei fatti se si vuol cambiare in meglio questa città. Altrimenti ne esce una città dove l’ammistrazione non è affidabile sul piano nodale della trasparenza e dove le tecnologie, invece di essere occasione per attirare lavoro, diventano un ordigno per spremere il lavoratore fino in fondo.

redazione, 13 aprile 2018