venerdì 30 novembre 2012

FORZA PALESTINA!

Il contributo di Senza Soste odierno parla della storica decisione di ieri sera dove l'assemblea generale dell'Onu ha dichiarato la Palestina Stato osservatore delle Nazioni Unite,riconoscimento che ha fatto fare festa grande in tutti i territori occupati anche se il popolo palestinese non è ancora rappresentato come Stato membro.
Comunque un buon viatico per il futuro,il contrario di quel che dice quel rosicone assassino del premier israeliano Netanyahu che ha mal digerito(usando un eufemismo)questa decisioni supportata addirittura dal voto dell'Italia,cosa che mi ha largamente stupito in quanto anche il paventato astensionismo avrebbe comunque spezzato una lancia in favore di Israele.
L'articolo comunque non nega che questo sia la fine dei problemi della Palestina,ma adesso c'è una tangibile speranza che possa far sì che lo Stato mediorentale possa avere più amici rispetto a prima,con buona pace di Israele e Usa.

Palestina, voto storico, promossa "Stato osservatore delle Nazioni Unite"
Cisgiordania e Gaza hanno festeggiato per tutta la notte, in un incessante sventolio di vessilli e tra assordanti inni nazionalistici, il voto dell'Assemblea generale delle Nazioni unite con 138 voti favorevoli e appena 9 contrari hanno accolto la richiesta di adesione come «osservatore» dello Stato di Palestina presentata dal presidente Abu Mazem. Una festa alla quale hanno preso parte anche i rabbini di Naturei Karta, una setta ebraica antisionista da sempre vicina alla causa palestinese.

Un discorso pronunciato in una data carica di significato: il giorno della solidarietà internazionale con il popolo palestinese, l'anniversario del voto che alle Nazioni unite nel 1947 approvò il piano di spartizione della Palestina, nello Stato di Israele e in uno Stato palestinese che invece non è mai nato. Abu Mazen, rivolgendosi alla platea, ha ricordato tutto questo, ha riaffermato la sua volontà di negoziare e chiesto al mondo di non negare ai palestinesi la libertà dopo decenni sotto occupazione israeliana. Frasi accompagnate da applausi scroscianti.

In queste ore gli interrogativi sono tanti e immediati dopo l'iniziativa lanciata al palazzo di Vetro da Abu Mazen. Occorre ricordare che è stato mancato l'obiettivo dell'adesione piena alle Nazioni unite, richiesta dal presidente palestinese il 23 settembre 2011. A causa delle minacce di veto degli Stati uniti nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite non è passata inosservata la passività, durata diversi mesi, dell'Olp sui tavoli della diplomazia internazionale mentre la popolazione voleva una campagna massiccia di sostegno al progetto, a maggior ragione dopo l'accoglimento della Palestina nell'Unesco.

Ora che lo Stato di Palestina occupa (senza diritto di voto) un posto alle Nazioni unite cosa faranno i dirigenti dell'Olp per trasformare un successo simbolico in risultati concreti a sostegno delle aspirazioni del loro popolo? Useranno i loro diritti acquisiti per avviare, come si è detto, procedimenti volti ad incriminare Israele per le sue politiche di occupazione, a partire dalla colonizzazione di Cisgiordania e Gerusalemme est? Oppure si asterranno dal farlo sotto la pressione di Stati uniti e di alcuni paesi europei? Abu Mazen ha predisposto un piano per il contenimento di possibili ritorsioni israeliane?

Infine, e non certo per importanza, è lecito chiedersi se Abu Mazen sia pienamente consapevole che lo Stato di Palestina «osservatore» rischia di trasformarsi in una trappola letale per il suo popolo se non sarà avviato un progetto nazionale palestinese di opposizione politica e diplomatica alla strategia di colonizzazione ed annessione territoriale che Israele porta avanti in Cisgiordania. Già ora le aree autonome palestinesi, figlie dei falliti accordi di Oslo, appaiono come bantustan. E non ci vuole tanta fantasia per immaginare un futuro stato indipendente palestinese senza sovranità, senza controllo delle sue frontiere e del suo spazio aereo. E se a ciò aggiungiamo la cooperazione di sicurezza tra servizi israeliani e dell'Anp, ormai in atto da anni, i sostenitori della soluzione dello stato unico, per ebrei e palestinesi senza differenze, non possono che trovare continue e sempre più valide motivazioni alle loro tesi.

Non è marginale in questo ragionamento l'ingresso in campo del premier israeliano, Benyanim Netanyahu, uscito ieri allo scoperto in anticipo sul discorso di Abu Mazen all'Onu. «Sul terreno non cambierà nulla - ha avvertito il primo ministro - anzi, questo voto allontanerà la nascita di uno Stato palestinese». Di fronte alla possibilità concreta del successo dell'iniziativa lanciata dal presidente palestinese, Netanyahu ha voluto riaffermare le condizioni alle quali non rinuncerà mai. «Non sarà costituito uno stato palestinese - ha detto - senza il riconoscimento di Israele come Stato del popolo ebraico; non sarà costituito uno Stato palestinese senza la proclamazione della fine del conflitto; non sarà costituito uno Stato palestinese senza provvedimenti di sicurezza reali che difendano lo Stato di Israele e i suoi abitanti...Come primo ministro di Israele non consentirò che una nuova base terroristica dell'Iran venga a costituirsi nel centro di questa terra, nella Giudea-Samaria (Cisgiordania, ndr) a un chilometro da qua», ossia da Gerusalemme, dove teneva il discorso. «Nessuna forza al mondo potrà obbligarmi a fare compromessi sulla sicurezza di Israele», ha concluso.

Torna con prepotenza la questione del riconoscimento palestinese di Israele quale «Stato ebraico», Stato degli ebrei. Una richiesta che persino il moderato presidente Abu Mazen fa fatica ad accettare poichè teme che questo riconoscimento significhi l'annullamento di fatto della risoluzione dell'Onu 194 che sancisce il ritorno dei profughi del 1948 nella loro terra d'origine (oggi in buona parte territorio israeliano), e apra la strada a provvedimenti tendenti a limitare i diritti della minoranza palestinese in Israele (1,6 milioni sono gli arabi israeliani). E non solo gli Stati Uniti ma anche quei paesi europei che ieri si accingevano a votare a favore dell'iniziativa di Abu Mazen - a cominciare dall'Italia costretta, per evitare l'isolamento in Europa, a votare «sì» al Palazzo di Vetro con grande disappunto di Tel Aviv - sono schierati apertamente con Netanyahu sul riconoscimento di Israele quale Stato ebraico e contro il ritorno dei profughi. Posizioni con le quali presto Abu Mazen dovrà fare i conti, che vanno ben oltre il simbolismo delle Nazioni Unite e che rischiano di lacerare ulteriormente le principali forze politiche palestinesi.

Ieri le bandiere verdi di Hamas sventolavano un po' ovunque, da Ramallah a Gaza, assieme a quelle gialle di Fatah e rosse del Fronte popolare e delle altre formazioni della sinistra. A Gaza City, per la prima volta dal 2007 - anno in cui Hamas ha preso il potere nella Striscia - Fatah ha partecipato ad una manifestazione insieme a sostenitori del movimento islamista. Un piccolo segnale di unità, frutto della recente offensiva israeliana contro Gaza e dell'iniziativa dell'Olp alle Nazioni unite sostenuta anche dal leader del movimento islamico Khaled Mashaal.

A Tel Aviv 250 persone hanno preso parte a una manifestazione - organizzata da gruppi israeliani di sinistra e per i diritti umani - per sostenere la richiesta palestinese all'Onu. «Israele e Palestina, due Stati per due popoli», scandivano i manifestanti. Ma quello palestinese dovrà essere uno Stato vero, non solo un inno e una bandiera su un pennone.
Michele Giorgio
tratto da nena news

giovedì 29 novembre 2012

LE NUOVE NORME ANTIMANIFESTANTI

Dopo le ultime dichiarazioni di"mamma sbirri"il ministro Cancellieri,che per l'ennesima volta dice"no"alle matricole identificative per i celerini e feccia varia,approfondisco il discorso che si è creato dopo gli ultimi disordini dello scorso 14 novembre.
C'è innanzitutto un chiaro intento repressivo verso le manifestazioni ed i manifestanti con la creazione di squadre speciali(squadroni della morte o antisommossa poco cambia),con l'arresto differito fino a 48 ore dopo eventuali scontri(ovvero stare per un paio di giorni fuori casa se in odore di magagna)e con l'idea Daspo che veramente c'era già stata e che dovrebbe far vietare la partecipazione a cortei alle persone già segnalate.
L'articolo di Senza Soste mostra l'ennesimo calpestamento dei diritti umani in un clima e in un paese dove addirittura i"soliti noti"giornalai di destra fanno colletta per gli sbirri che vanno a pestare ragazzi e non durante i loro raid squadristi.

Squadre speciali, arresti differiti e daspo: la risposta "democratica e sobria" del Governo Monti alla crisi.
Cominciano a delinearsi le prime misure repressive annunciate dal governo dopo gli scontri di piazza avvenuti il 14 novembre in varie città italiane.
Per fronteggiare la crisi economica e sociale e camuffare la vertiginosa caduta di credibilità politica del Governo Monti verranno ulteriormente inasprite le norme legislative e la gestione dell’ordine pubblico ispirandosi a quel laboratorio della repressione sociale che nell’ultimo decennio hanno rappresentato le curve degli stadi.
Il governo teme il conflitto sociale e soprattutto la possibilità di una saldatura stabile tra le varie componenti della protesta: i metalmeccanici, i precari, gli studenti, i migranti.
Per questa ragione stanno per essere varati una serie di dispositivi di natura legislativa e tecnica in grado di consentire un ulteriore giro di vite repressivo nei confronti del diritto di manifestare e di esercitare l’attività politica con incisività e visibilità.
Limiti alla libertà individuale di manifestare
Il ministro degli Interni Cancellieri ha annunciato di voler estendere i daspo, cioè i divieti di accedere alle manifestazioni sportive, anche alle “manifestazioni pubbliche” e l’arresto in differita cioè quella norma che consente l'arresto non solo in fragranza di reato, ma anche il giorno dopo, fino a 48 ore dagli scontri, sulla base delle immagini registrate.
Con una soluzione del genere saremmo ai vertici dell’afflato totalitario. Una ragione in più per scendere in piazza nei prossimi giorni e manifestare con maggiore forza ancora, visto che è proprio questo diritto ad essere messo definitivamente in discussione.
Dopo i limiti permanenti imposti ai percorsi, l’estensione e l’istituzionalizzazione di zone rosse attorno ai palazzi della politica, ora diventa problematica anche la semplice possibilità di manifestare al di fuori di forme e contenuti sgraditi ai governi di turno.
I daspo verrebbero applicati a chiunque avesse precedenti e denunce in corso, in sostanza interverrebbero prima del giudizio finale manifestandosi come una sanzione amministrativa anticipata prim’ancora che la colpevolezza venisse penalmente accertata.
Un modo per rendere innocui gli oppositori politici.
Caccia al manifestante, arrivano i nuclei mobili di pronto intervento
L’altra misura annunciata riguarda l’introduzione di “presidi mobili di pronto intervento” sul modello adottato dalla polizia greca per fronteggiare le imponenti contestazioni che da due anni fanno traballare il governo.
La scelta di questa nuova strategia sarebbe supportata dalle analisi realizzate dalla digos e dalla polizia di prevenzione, in cui si parla di un “sistema parallelo che prescinde da chi ha organizzato la manifestazione perché si affianca a chi sfila, ma poi persegue altri obiettivi”.
Dai filmati degli incidenti di Atene e Madrid, i responsabili dell’ordine pubblico e del contrasto all’eversione avrebbero tratto la convinzione della “presenza di analogie nella pianificazione degli attacchi, mirati verso gli obiettivi istituzionali e le forze dell’ordine”.
Da qui la decisione di ricorrere a piccole pattuglie mobili, coordinate dall’alto e da osservatori in abiti civili, che non seguono più il corteo o presidiano staticamente obiettivi sensibili e sbarrano strade, ma si muovono nel territorio circostante il tragitto della manifestazione a caccia dei gruppi considerati l’obiettivo da neutralizzare.
In Grecia i Mat, gruppi speciali antisommossa, applicano una forma di controguerriglia urbana a bassa intensità che consente di sorprendere gli avversari con degli agguati e dei raid improvvisi. Avanzano in fila indiana per poi scattare all’improvviso, spuntano dal nulla per agguantare i manifestanti isolati o aggredire i gruppetti confusi e sparpagliati. Si nascondono dietro gli angoli, accovacciati tra le vetture in sosta e gli arredi urbani.
Anche la loro dotazione personale è speciale, tuta robocop, casco e maschera antigas, manganello agganciato dietro la schiena, decine di granate “incapacitanti”, cioè accecanti e assordanti, spray urticanti compreso i “capsulum”, potenti lancia-polvere di peperoncino che bruciano i polmoni. Addestrati all’arresto mirato sono in grado di infilarsi con azioni lampo all’interno del corteo per agguantare uno o due manifestanti e trascinarli via. Una tecnica già in uso nella polizia francese fin dalla metà degli anni 90.
Questi nuclei alla fine dei cortei penetravano i gruppi di manifestanti che si attardavano negli scontri con pattuglie di 5-6 uomini. Due diretti sull’obbiettivo e gli altri intorno a protezione che si facevano strada a colpi di arti marziali.
L’Italia, come ha ben scritto Salvatore Palidda su il manifesto del 17 novembre 2002, è perfettamente in linea con tutto questo. Da tempo è in atto un processo di militarizzazione delle polizie che sono addestrate a muoversi e combattere negli “ambienti urbani” ove occorre isolare quartieri, edifici, abitazioni. Non a caso sono stati aboliti di fatto i concorsi per il reclutamento nelle polizie, riservandoli ai soli militari che hanno fatto la ferma volontaria e quindi esperienze nelle guerre in Iraq, Balcani, Bosnia, Afghanistan.
Da quando l’Italia si è impegnata a fornire personale nelle guerre umanitarie, aree militari sono state attrezzate per ricostruire ambienti urbani e rurali dove si addestrano carabinieri, parà, assaltatori e bersaglieri che vanno ad operare all’estero, mentre gli stessi reparti di polizia militare sono addestrati realmente, nell’ambiente metropolitano, con l’impiego di ordine pubblico quotidiano sul territorio nazionale e sono gli stessi che operano a guardia di siti di rilevanza nazionale: cantiere No Tav in val Susa, discariche, termovalorizzatori ecc.
Di fronte a questo scenario non si può restare in silenzio. Bisogna dare battaglia contro questa nuova ondata emergenzialista e repressiva.
23 novembre 2012

mercoledì 28 novembre 2012

CHE SUCCEDE AL MANIFESTO?

La risposta alla domanda del titolo odierno non può essere una sola,infatti molteplici sono i fattori che nelle ultime settimane hanno contribuito ad una diaspora di alcune delle firme storiche del quotidiano principale della sinistra,anche se non legato ufficialmente a nessun partito.
Chi dice che alcuni giornalisti vogliano abbandonare la nave poco prima del naufragio,tra i nomi più rilevanti Vauro,Marco D'Eramo,Joseph Halevi e l'ultimo quello più prestigioso di Rossana Rossanda che fu una dei fondatori nel 1969 dell'allora mensile,forse ha alzato un pò il tiro.
C'è da dire ed è risaputo che negli ultimi anni il quotidiano ha avuto un notevole calo delle vendite e degli introiti pubblicitari,oltre che delle sovvenzioni statali,in un modo talmente grave che"Il Manifesto"potrebbe chiudere i battenti a fine anno.
Certamente un peccato per chi ha avuto in questo giornale un punto di riferimento durante questi ultimi decenni:le beghe interne tra chi ha detto addio alla collaborazione col quotidiano e la direzione di Norma Rangeri e Angelo Mastrandrea,accusati di non dialogare con la redazione,è solo la goccia che sta facendo traboccare il vaso di un pezzo di storia del giornalismo italiano.

Rossanda lascia il manifesto.

Una lettera molto breve, lapidaria, con cui la fondatrice del giornale comunista comunica che non collaborerà più
L'addio di Marco D'Eramo era stato nascosto in poche righe nella pagina delle lettere. Quello di Rossana Rossanda, al momento, lo leggiamo sul sito di Micromega da cui lo prendiamo. La crisi del manifesto sembra essere verticale e storica. Ci torneremo nei prossimi giorni. Intanto crediamo sia utile conoscere il tenore di queste posizioni e soprattutto la lettera di addio della fondatrice del quotidiano "comunista".
LA LETTERA DI ROSSANDA
Preso atto della indisponibilità al dialogo della direzione e della redazione del manifesto, non solo con me ma con molti redattori che se ne sono doluti pubblicamente e con i circoli del manifesto che ne hanno sempre sostenuto il finanziamento, ho smesso di collaborare al giornale cui nel 1969 abbiamo dato vita. A partire da oggi (ieri per il giornale), un mio commento settimanale sarà pubblicato, generalmente il venerdì, in collaborazione con Sbilanciamoci e sul suo sito www.sbilanciamoci.info.
Rossana Rossanda
La lettera di HaleviCare compagne e cari compagni
Non so se avete visto l'andazzo del manifesto nelle ultime settimane. E' peggiorato ulteriormente dopo il 4 novembre. Scandalose le linee di commiato a Marco D'Eramo, quelle della redazione non quelle di D'Eramo. Consiglierei di rompere, perché non si tratta più di un collettivo ma di un manipolo che per varie ragioni si è appropriato del giornale. Anch'io me ne vado, senza alcuna lettera. E' inutile.
Un caro saluto,
Joseph Halevi
La lettera di Marco D’Eramo (la risposta e la controreplica)
Cari lettori,
vi scrivo per prendere commiato da voi dopo una frequentazione di più di 32 anni e svariate migliaia di articoli. Come in ogni rapporto così lungo che si conclude, le cause della separazione risalgono lontano nel tempo e profondo nei sentimenti, anche se poi basta una quisquilia a rompere un equilibrio che già pendeva quanto la torre di Pisa.
Per fare breve una vicenda lunga, la mia storia nel manifesto e col manifesto è conchiusa. Sento con dolore che questa esperienza umana e politica sta finendo male, come spesso accade in regime di scarsità e penuria: me lo provano la suicidaria rottamazione dei prepensionati, quasi tutti esclusi dalla progettazione del giornale, e me lo ha provato in modo definitivo il pessimo andamento dell’assemblea romana di domenica 4 novembre coi circoli (nonché il suo non rendiconto).
Non ne faccio una colpa specifica alla direzione, sia perché in un giornale come era un tempo il nostro, le responsabilità sono sempre collettive, cioè del collettivo (redazione, grafici, tecnici e amministrativi e quindi anche mie), sia perché, come ho detto, alcuni dissidi sono carsici e rimontano nel tempo. Di proposito non entro in questioni personali che mi trascinerebbero in un ping-pong di recriminazioni e controaccuse: vi sono già stati troppi livori. Spero di sbagliarmi, e auguro ogni fortuna al collettivo, per quel che ne resta, e per il tempo che riuscirà a sopravvivere come tale.
Il commento della redazione
È vero, le difficoltà materiali non aiutano. Ci dispiace per questo commiato, ma su una cosa siamo d’accordo: meglio evitare personalismi, «recriminazioni e controaccuse». Auguri di buona fortuna.
Risposta inviata per mail a tutta la redazione da Marco D’Eramo
Care compagne/i,vi ringrazio di cuore: la collocazione e la risposta che avete voluto dare al mio addio spiega le ragioni del mio commiato più di ogni mia parola.
tratto da http://ilmegafonoquotidiano.globalist.it
26 novembre 2012

martedì 27 novembre 2012

COMUNICATI NON ASCOLTATI

Le reazioni all'ennesima mano tesa offerta dall'organizzazione paramilitare di Eta ai governi spagnoli e francesi è stata un'altra volta,per il momento,accantonata e non degna nemmeno di una risposta in quanto nessuno dei due Stati che occupano Euskal Herria si ritiene evidentemente degno di prendere solo in considerazione un comunicato da chi da troppo tempo è costretto a vivere in uno stato di sottomissione e di prigionia politica.
I tre punti chiesti da Eta per proseguire il cessate le ostilità per ora rispettato solo unilateralmente sono in sintesi il ritorno in terra basca di tutti i prigionieri politici,una data certa per poter porre fine al disarmo e la concreta smilitarizzazione dei territori di Euskal Herria.
L'articolo preso da Infoaut parla dei buoni propositi di Eta per una convivenza pacifica,la voglia più che legittima di un'indipendenza e dell'arroganza soprattutto da parte della Spagna ed in particolar modo del governo di destra targato Rajoy che abbassa la testa e prosegue con sequestri,torture ed uccisioni dei prigionieri politici baschi.

Eta, i tre punti cardine per il dialogo con lo Stato spagnolo.

L'organizzazione armata basca Eta torna a far sentire la sua voce attraverso un comunicato datato 15 novembre 2012, pubblicato e diffuso nella giornata di ieri dal quotidiano basco Gara. Il sesto da quando l'organizzazione ha dichiarato -nell'ottobre 2011- un cessate il fuoco unilaterale, verificabile e definitivo per venire incontro e appoggiare il processo di risoluzione del conflitto avviato nell'autunno del 2009 dalle forze indipendentiste basche. Il comunicato -diffuso interamente in lingua basca- sottolinea nella sua prima parte come il momento attuale sia caratterizzato da una regressione nel processo di risoluzione durante l'anno, da quando Eta ha deciso di abbandonare la lotta armata. Una preoccupazione espressa attraverso le parole dell'organizzazione che vede un “rischio reale” nel non trovare una via d'uscita per il processo di risoluzione in atto; allo stesso tempo, all'interno del comunicato si ribadisce l'impegno e il sostegno nei confronti della fase politica.
Già in passato Eta aveva espresso la volontà di iniziare un dialogo con gli stati spagnolo e francese e attraverso il comunicato ora avanza le sue proposte sui contenuti del dialogo, tre punti cardine da risolvere e da inserire nell'agenda della risoluzione del conflitto: “Le formule e le scadenze per portare a casa tutti e tutte le prigioniere e esiliati politici baschi”, “le formule e le scadenze per il disarmo, della dissoluzione delle strutture armate e della smobilitazione dei militanti di Eta” e “i passi e le scadenze per la smilitarizzazione dei Paesi Baschi, adeguando alla fine dello scontro armato le forze armate che si trovano nei Paesi Baschi”. Un comunicato quello dell'Eta che suona più ad un invito al dialogo per gli stati francese e spagnolo e che sembra suggerire e chiedere un'assunzione di responsabilità che non può essere unilaterale. I sequestri, le torture, la guerra sporca, l'esecuzione di militanti di Eta, ecc. non possono essere messe da parte o essere negate incessantemente davanti all'evidenza, favoriti da un clima di totale impunità. Ma l'organizzazione armata non si limita solo a pretendere verità da parte dei due stati, si dichiara anche aperta al dialogo, “ascoltando e analizzando” eventuali altre proposte da parte di Madrid e Parigi, fermo restando che i vari punti all'ordine del giorno saranno affrontati in base all'attuale situazione politica, agli obiettivi e al processo di risoluzione.
Tra ieri e oggi, non hanno tardato a farsi sentire le risposte da parte dei due Stati chiamati in causa, e mentre il portavoce del Ministero degli Esteri francese ha rimarcato il totale appoggio al Governo spagnolo per porre fine alla violenza nei Paesi Baschi facendo appello alla totale dissoluzione di Eta, Rajoy non ha voluto commentare il comunicato, limitandosi a dire che “l'unico comunicato che sta aspettando è quello della dissoluzione definitiva”, ennesima prova dell'arroganza che in particolare l'esecutivo spagnolo ha sempre mostrato nei confronti dell'indipendentismo basco. Non si può certo affermare che tale alterigia non si sia dimostrata con i numerosi arresti degli ultimi mesi e con il comportamento spagnolo verso i prigionieri e le prigioniere politiche, così come nei confronti dei rifugiati baschi e le varie dichiarazioni minacciose dei politicanti di turno.
Il rischio di naufragio per il processo di risoluzione sembra essere alto e Eta lo dichiara senza mezzi termini. Ma mentre l'organizzazione armata cerca di rilanciare sul dialogo a delle condizioni ben precise, il muso duro dello Stato spagnolo sembra voler optare per un fracasso del processo, un po' forse per orgoglio spagnolista -poiché non vuole farsi dettare l'agenda da nessuno, men che meno da Eta- o probabilmente per paura ad un processo di risoluzione che sicuramente si sa come è partito ma non si ha la certezza di come potrebbe finire.

lunedì 26 novembre 2012

BERSANI,RENZI...E BERLUSCONI

All'indomani del primo turno delle primarie piddine il risultato è quello che tutti si aspettavano,ovvero un ballottaggio tra Bersani e Renzi che ora dovranno accaparrarsi i voti degli altri tre partecipanti a questi tristi votazioni(vedi:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2012/11/primarie-tristi.html).
L'articolo preso da Senza Soste analizza questo esito da più punti di vista,partendo dalla spettacolarizzazione che ha preceduto l'evento che ha rasentato quella delle votazioni per le presidenziali statunitensi e che ha avuto l'apice con la prima serata su Sky:altro tema toccato è l'aperta ipocrisia che tutti i candidati premier hanno presentato,ovvero la straordinaria voglia di mandare a casa Monti dopo che hanno permesso la sua ascesa e prosperità a danno nostro.
Pure la parola"speranza"ha soppiantato un vero e proprio progamma personalizzato e che guardando a tutti e cinque i nomi proposti hanno avuto differenze talmente marcate che sembravano idee partorite da partiti diversi tra di loro e non proponimenti di una stessa coalizione.
Concludo commentando il numero di votanti che è rimasto quello di tre anni fà(quando però le primarie erano prerogativa dei soli appartenenti al Pd e non di una pseudo area di entro sinistra)e minore di quelle del 2005 di un milione e duecentomila voti,primo anno in cui ci sono state questo tipo di elezioni all'interno di uno schieramento e che comunque era un evento non sponsorizzato capillarmente come quello di ieri.
Piccola divagazione la questione primarie nel centro destra,dove un sempre più imminente ritorno di Berlusconi in campo sembra che facciano diventare inutili ogni tentativo o proposta di elezioni interne al Pdl e affini...almeno in casa Pd un briciolo di lotta interna più o meno leale ed una minima democrazia le si sono notate.
 
Primarie, sempre meno votanti nonostante l’iniezione fatale di realtà aumentata
L’iniezione fatale di realtà aumentata.
 
“Dovunque regni lo spettacolo, le uniche forze organizzate sono quelle che vogliono lo spettacolo”. Questa frase dei Commentari di Guy Debord va interpretata in modi differenti, diversi anche dalle intenzioni dell’autore. Debord metteva l’accento su come differenti forze dello spettacolo si contendessero il dominio, per operare politiche del tutto simili, nella società dello spettacolare integrato. Società che altro non era che un dispositivo di potere coordinato tra concentrazione di potere nella produzione di significati spettacolari e diffusione microfisica dei suoi effetti. Qui Debord, interpretato meno alla lettera e in toni meno apocalittici, faceva capire come nelle società contemporanee la coesione politica, e anche quella sociale di qualunque segno, non possa essere separata da quella spettacolare. Il possesso di una evoluta logistica dello spettacolo è quindi garanzia di potere politico ma anche della riuscita, quello spettacolo che rappresenta il campo di forza della coesione sociale. Fa politica chi è in grado di mettere assieme spettacolo e logistica intesi come tecnologie della creazione e del mantenimento del campo di forza della coesione sociale. Un quarto di secolo dopo i Commentari, con l’esplosione di diverse generazioni di tecnologie della comunicazione, vanno rivisti sia i concetti di spettacolo che di logistica in rapporto alla politica istituzionale.
Le primarie di centrosinistra rappresentano quindi un buon punto di osservazione dei cambiamenti di questi concetti. E questi cambiamenti sono il vero dato politico delle primarie visto che il grosso delle politiche su lavoro, fisco, bilancio in Italia (quello che sarebbe il nucleo di un programma elettorale) passa tra Ecofin, eurogruppo e Bce e le esigenze di un sistema bancario europeo in preda a tossicità di ogni genere. Tutti temi solo minimamente sfiorati alle primarie, cosa che ha contribuito a renderle uno spettacolare integrato, di una nuova generazione, ma del genere “strapaese inconsapevole della politica”. Genere che, nato per contrastare la cosiddetta antipolitica, alimenta così i processi di regressione cognitiva dell’elettorato che ha partecipato all’evento. Siamo quindi di fronte a mutazioni tali, nella rappresentazione della coesione sociale tramite una matura logistica della cosiddetta partecipazione democratica, da farci pensare che all’elettorato di centrosinistra sia stata data una iniezione letale di realtà aumentata da renderlo politicamente e socialmente morto.
Guardiamo di capirle queste mutazioni.
 
Partiamo dal concetto di realtà aumentata. La augmented reality non è la realtà virtuale, non è un ambiente di immissione in un reale del tutto diverso da quello convenzionale. E’ piuttosto un corpo di tecnologie, già in atto da tempo ed in permanente evoluzione, che sovrappone la realtà digitale a quella convenzionale. Lo smartphone, ancora più del tablet a causa della sua maggiore praticità, è il terreno sul quale si sviluppa la realtà aumentata. Il modello è quello dello smartphone inteso come occhio attraverso il quale la realtà convenzionale può essere, nel momento in cui è percepita, aumentata di segni, indicazioni, strumenti di lettura, di relazione e di orientamento. L’archetipo di questo modello è google maps montato a suo tempo sull’Iphone 3. Gli sviluppi possibili di questo archetipo sono ovviamente infiniti. Eventi come le primarie ci mostrano la produzione di una realtà aumentata in politica che è un fenomeno differente, un’evoluzione dello spettacolare integrato di Debord. In quest’ultimo lo spettacolo era un fenomeno, di rappresentazione del mondo annullata nelle immagini tradizionali del cinema e della tv, concentrato nei poteri che lo governavano e diffuso nell’eco della narrazione sociale. Oggi, la produzione di segni, indicazioni, strumenti di lettura, relazione ed orientamento della realtà aumentata, che ha lo smartphone come paradigma, diviene strategico nella produzione di contenuti nella politica istituzionale. Non è un dato alla moda ma un preciso tratto antropologico: alla personalizzazione dell’offerta politica, il candidato che mette in ombra i contenuti (che comunque politicamente, come abbiamo visto, non ci sono), corrisponde la possibilità di personalizzare dati e indicazioni del candidati sui propri oggetti privati di comunicazione. Che, in questo modo, permettono di vedere la realtà in modo diverso, aumentato in contenuti. L’uso non solo massiccio ma ostentato di twitter nelle primarie di centrosinistra mostra l’adeguamento di questo genere di politica istituzionale a questo paradigma. Gli stessi successi di Renzi, che ha usato in modo più evoluto strategie di penetrazione digitale nelle zone del paese dove il digital divide è minore rappresentano un segnale in questa direzione.
 
Le primarie: una regressione antropologica che nega la democrazia
Il genere di spettacolare integrato prodotto dal centrosinistra è quindi un tipo di spettacolare dove la coesione sociale ed elettorale è operata attraverso l’estetica, assieme alle tecnologie, della realtà aumentata. Lo stesso spettacolo originario, la serata su Sky, che serve anche per alimentare le altre forme di coesione spettacolare, le più tradizionali, ha assunto tratti significativi di questa estetica. Segnatempo marcati ovunque come in un tablet o in uno smartphome, candidati rappresentati entro un format personalizzabile.
Le primarie rappresentano quindi una revisione del concetto di spettacolo ma anche di logistica, che diviene logistica della percezione piuttosto che dell’immaginario. Una logistica dove il candidato più che immaginato deve essere percepito ovunque, in tv e sui propri dispositivi personali. Logistica e spettacolo, in questo modo, tendono naturalmente verso un tipo di rapporto sociale che è una forma democratica di negazione della democrazia. Guardiamo infatti alle modalità organizzative delle primarie. A quelle tradizionali, organizzazione dei volontari e dei seggi, si sono infatti fermamente sovrapposte, sovrastando la dimensione del volontariato, tutte le forme logistiche flessibili del project-financing, dello sponsoring, dello spin-doctoring, dell’uso degli influencer in rete, della programmazione televisiva pay e generalista. Come sappiamo è dalla forma organizzativa non dai contenuti, che comunque qui non c’erano, che si comprende se c’è democrazia reale. Bene, tutte queste forme di logistica flessibile egemoni nell’evento primarie presuppongono un rigido controllo verticale dei contenuti da diffondere,da far circolare e da finanziare. Basta immaginare il contrario per capire cosa sono le primarie del centrosinistra: si pensi che razza di casino sarebbe accaduto se solo la logistica delle primarie avesse esaltato, dandogli la scena, i contenuti prodotti dagli utenti supporter di uno dei candidati. Se in prima serata tv fosse finita la dichiarazione di un follower di Bersani “ripristiniamo l’articolo 18, basta con il governo delle banche” (e ce ne sono non pochi), o di Vendola “Renzi è uno di destra e non dobbiamo allearci con lui” (anche qui ce ne sono non pochi). Sarebbe stata un’operazione di realismo non di realtà aumentata ma l’intero mosaico dei contenuti da vendere attraverso questa complessa logistica della percezione sarebbe rimasto sinistrato. Più difficile sarebbe stata la dinamica fluida del project-financing (chi finanzia contenuti non controllabili nè dallo sponsor nè dallo sponsorizzato), dello spin-doctoring (chi si mette a governare contenuti che non controlla) e di tutti i dispositivi della logistica che sono la vera anima di questo genere di scenografia elettorale.
Per questo si deve parlare di primarie come iniezione fatale di realtà aumentata perchè rappresentano una complessa, implicitamente autoritaria, immissione di contenuti non negoziabili nel proprio corpo elettorale. Il fatto che si parli dell’elettorato, secolarizzando l’uso del concetto, in termini di partecipazione aiuta proprio a comprendere questa dinamica. In termini più squisitamente mutuati dall’antropologia religiosa la partecipazione è quel processo, formalizzato in rito, di assunzione, e di successiva personalizzazione, della parola tramite una funzione. Le persone partecipano tramite le emozioni esperite nella funzione, o il commento entro logica e regole religiose, mentre il governo dei significati e della parola appartiene a chi detiene i dispositivi di funzionamento della funzione (qui l’assonanza tra questi due ultimi concetti dovrebbe aiutare a comprendere il problema). Non è affatto un caso che diversi candidati alle primarie abbiano utilizzato, in differenti coniugazioni, l’esortazione alla “speranza”. Nella subcultura cattolica, alla quale tutti i candidati hanno fatto esplicitamente riferimento nel cosiddetto Pantheon dei valori, la speranza serve per un governo positivo dell’emozione suscitata nei partecipanti. In un dispositivo rituale dove c’è chi ha il potere reale, del governo della parola e della scenografia, e chi può soltanto partecipare. E la costruzione della parola e l’organizzazione della scenografia non sono controllati dai partecipanti.
Quindi non si sbaglia affatto quando si parla di primarie come fenomeno di regressione antropologica, che finisce per rappresentare il rovescio di una democrazia che invece è un processo di relazione tra uguali, di una parte della società italiana. Una regressione nella trasformazione dei processi di elaborazione collettiva dei contenuti politici che finiscono oltretutto per svanire verso la riproposizione, in forma logisticamente complessa, di una elementare antropologia religiosa dove è netta la separazione tra chi ha potere e contenuti e chi “partecipa”. Dove svanisce ogni reale contenuto politico, che è oggi è l’Europa non la chiacchiera sulla politica nazionale, per lasciare il posto ad un fluire continuo di commenti di piccoli, inutili fatti banali attorno alle primarie. In un sistema definito di controllo dei contenuti immessi dall’alto verso il basso entro una complessa logistica della percezione. Logistica che permette l’uso dei social network in modo opposto rispetto alla concezione del primato dei contenuti prodotti dagli utenti e all’attivazione di forme complesse di intelligenza collettiva. Qui la complessità della logistica lavora per negare l’intelligenza collettiva.
Come si vede lo spettacolare integrato di Debord ha subito una evoluzione e una differenziazione di modello (sulla differenza tra primarie americane, francesi, italiane ed inglesi è davvero tema a parte). In un paese, l’Italia che, come scriveva Debord è a “scarsa tradizione democratica”. Il trasferimento di potere, nelle primarie del centrosinistra, dagli elettori agli eletti si configura quindi come un trasferimento di potere non democratico. Operato con le forme spettacolari della democrazia. Gli italiani sono avvertiti: il modo con il quale si governa un partito è lo stesso con il quale, quando si va al potere, si governa un paese.
 
Nonostante la realtà aumentata, sono sempre di meno. Il cupio dissolvi del popolo di sinistra.
La letteratura americana sulle primarie, che si dispone su quattro decenni di case studies, ci insegna che si tratta più di fenomeni di radicalizzazione di una parte del proprio elettorato che di vera e propria costruzione di un consenso largo. Quello avviene, semmai, successivamente in fase elettorale. In questo senso i dati definitivi sull’affluenza alle primarie sono impietosi. Nonostante la più grossa campagna di mobilitazione al voto su più piattaforme (dalle piazze, ai social network, ai giornali, alla tv pay e generalista) anche queste primarie confermano un dato oggettivo di declino dell’affluenza per questo tipo di elezioni. Su dati ufficiali, queste primarie di coalizione hanno raggiunto lo stesso numero di partecipanti di quelle, con il solo Pd, del 2009 (3.100.000). E’ evidente che nello stesso Pd, pur al centro di tutte le dinamiche spettacolari, c’è stato un calo di affluenza. E le primarie del 2009 rappresentavano il punto più basso di affluenza, in questo genere di elezione, raggiunto da quel partito. Rispetto alle ultime primarie di coalizione, quelle del 2005, il calo è spettacolare. Una perdita di più di un quarto dei votanti, circa un milione e duecentomila voti di meno, quando nel 2005 il dispositivo di propaganda per questo genere di elezioni non era sofisticato come oggi. Una perdita ma con anche anche una infiltrazione di elettorato di centrodestra, come da numerose testimonianze, come mai era accaduto nelle precedenti primarie. Eppure non è mancato l’effetto Orwell con i media che, durante la giornata elettorale, hanno parlato continuamente di boom votanti, riprendendo le indicazioni degli spin-doctor dei candidati, cercando di creare un’ onda che trascina verso il voto. Le file, frutto di una organizzazione approssimativa sul terreno (a logistica sofisticata corrisponde qui organizzazione deficitaria sul territorio) hanno fatto quindi parte della scenografia non della realtà. Vedremo quale effetto farà la scenografia sull’elettorato al momento delle elezioni politiche. Del resto siamo di fronte ad uno spettacolo politico che, come negli Usa, gonfia i palinsesti e attrae audience e quindi pubblicità. Le primarie si mostrano così, sul piano della mobilitazione reale, un istituto già usurato, nell’intenzione originaria di raccogliere consensi allargati, nel momento in cui sembra raggiungere il suo acme spettacolare. Eppure, questione da non trascurare, i follower di ogni genere sono stati valorizzati in maniera maggiore rispetto al passato.
I numeri che ci danno una partecipazione sostanzialmente in calo radicalizzano così l’esperienza di chi ha partecipato creando la distanza con gli altri. Che può essere o non essere colmata nel momento elettorale. Nel 2006, dopo le primarie boom del 2005, ad esempio il centrosinistra sostanzialmente riuscì a far eleggere un governo debole che durò poche decine di mesi. Dal punto di vista dei numeri siamo quindi di fronte a modalità di mobilitazione politica minore nella società degli user generated contents. Magari di una minoranza non democratica, strategica per vincere le elezioni in una società politicamente frammentata ma neanche da scambiare per una maggioranza. Dal punto di vista dei risultati arrivano al ballotaggio due candidati di destra. Entrambi assolutamente compatibili con procedure e dettati politici Ue, Bce, Ecofin che hanno portato l’Italia in una contrazione economica permanente che rischia di produrre disastri sociali impensabili per questo paese. Che dalle primarie esca un pd più bersaniano o renziano, onestamente, è solo un problema di organigramma interno a quel (si fa per dire) partito.
Sugli altri candidati che hanno avuto funzione decorativa merita spendere due parole su Nichi Vendola. Che due anni fa era un possibile, candidato vincente alle primarie del centrosinistra. Ed oggi è rimbalzato, dopo una serie di errori e travisamenti, alla condizione del Bertinotti di 15 anni fa. Quello costretto a stare in una coalizione, erodendo il proprio elettorato, maledicendo e votando leggi come la Treu sugli interinali. E a differenza del Bertinotti del ‘97, Vendola oggi è senza un partito strutturato, con la capacità di mobilitazione ormai completamente subordinata alla copertura del suo personaggio nei talk show. Come si capisce non solo dalla dismissione degli user generated contents delle fabbriche di Nichi, fondamentali per l’ascesa del personaggio, ma anche dalla spiegazione che Vendola dà del suo flop elettorale. Ovvero quella di non essere stato coperto a sufficienza dai grandi media. Nel complesso siamo di fronte al cupio dissolvi del popolo di sinistra. Con questa espressione, a partire dagli anni ’80, si è sempre indicato l’elettorato di sinistra in grado di fare massa ben oltre l’adesione militante ai partiti progressisti. Questo genere di tipologia di popolazione, comunque numericamente in regressione, è invece oggi servito, come materia grezza per un processo di costruzione autoritaria del consenso, in forma democratica, grazie a nuovi dispositivi spettacolari, stranianti e cognitivamente regressivi.
Viste le politiche che ha in previsione il Pd una volta al potere, e che sono quasi sconosciute ai suoi follower, non scherziamo affatto quindi quando diciamo che, chi vota le primarie, consapevole o no, è socialmente pericoloso. Perchè trasferisce potere, secondo un complesso dispositivo non democratico, ai candidati di un partito che non ha prospettive di futuro. Bersani ha parlato di primarie come di una festa. Bene, chi vuol fare politica deve uscire dall’autoreferenzialità e, politicamente parlando, si deve organizzare per fare la festa a questa gente. Disgregando una subcultura di centrosinistra che è uno dei fattori chiave del grave declino, dell’impoverimento materiale e cognitivo di questo paese.
Per Senza Soste nique la police
26 novembre 2012

sabato 24 novembre 2012

PRIMARIE TRISTI

L'analisi presa da Senza Soste azzecca in pieno quello che accadrà domani con le primarie per il candidato premier nel Pd a livello nazionale,ovvero una triste somma di voti compiuto da un'ancor più desolata schiera di votanti.
Pochi commenti a queste semi-serie proposte descritte nell'articolo sottostante che delinea diverse situazioni in cui l'interlocutore potrà facilmente smerdare l'aspirante suicida pronto a votare per queste primarie,se non rimarcare il fatto che il Pd ha contribuito ad annientare l'articolo 18 dei lavoratori con il voto di tutti i propri parlamentari e non ultimo il contributo essenziale alla sopravvivenza del governo Monti,meditare signori su tutto questo!

Guida pratica per impedire che qualcuno ti avveleni votando alle primarie.
Con l’avvento delle primarie il lettore, o la lettrice, di Senza Soste si trova di fronte ad un elementare problema di ecologia sociale. Il proprio vicino di casa, un amico o addirittura un parente stretto potrebbe votare per le primarie del centrosinistra. E’ un problema perchè questa sorta di X-Factor della politica istituzionale danneggia sia la persona che vi partecipa che le persone più vicine a chi vota. E’ come un suicidio con il gas acceso in cucina: l’esplosione finisce per danneggiare il condominio e causare ulteriori vittime.
Tutti sappiamo che il poveretto, o la poveretta, che vuole votare alle primarie politicamente parlando è alla canna del gas. Il problema è che, invece di spegnere il gas o di allontanarsi, si getta a capofitto sulla canna aspirando tutto il veleno possibile. Tutto questo è comprensibile: nonostante il centrosinistra abbia tolto salario, occupazione, diritti, spesa sociale, sia in Italia che a Livorno, la propaganda è sempre forte. Addirittura fatta in modo che neanche la realtà si manifesti: da un anno, sostenendo il governo Monti, il Pd governa con Berlusconi. Nessuno ne parla e la persona più credulona, o semplicemente sensibile, è incline a vedere la propaganda e non la realtà. Suggeriamo quindi una serie di tecniche ad argomenti utili per debellare questi veri e propri comportamenti tossici attorno a persone sane. Certo è che quando, per il bene di una persona o di una comunità, non si può rinchiudere un potenziale elettore in casa, o portarlo ad una gita fuoriporta, ci vogliono anche gli argomenti. Eccone qui qualcuno.
PIAZZARSI A CENA CON IL POTENZIALE AVVELENATORE MENTRE C’E’ IL TG. Tanto la fonte inquinante è quella. Assecondare il potenziale avvelenatore quando si intravede Berlusconi, o anche Casini, e piazzare l’asso quando si vede Monti. Dire con nonchalanche: “Ma scusa Monti CON I VOTI DEL PD non aveva diminuito il debito pubblico?” Non appena colui, o colei, che intende votare alle primarie abbocca alla domanda piazzare con fare affabulatorio il racconto, dei dati reali, dello strepitoso aumento del debito pubblico dovuto alle politiche Monti sostenute dal Pd. Non vi ci vorrà molto per far capire che se uno vota alle primarie contribuisce ad impoverire il bilancio pubblico.
APERITIVO CON NAPOLITANO. Il potenziale suicida che vuol votare alle primarie crede in Napolitano come gli adepti della setta della Guyuana prima del suicidio di massa del ’79. Ma anche qui la realtà può farsi spazio anche nelle menti più ottenebrate. Prendete il potenziale suicida, invitatelo e offritegli un aperitivo. Con il tipico fare delle chiacchiere da bar introducete la storia della trattativa Stato-Mafia. Cominciate dalla mafia, dalla Dc siciliana, dall’incriminazione di Mancino. Napolitano introducetelo dopo, quando è montata l’indignazione contro le solite storie Dc-mafia. Quando il vostro interlocutore capirà, piazzate il colpo del Pd che ha difeso Napolitano in tutta questa torbida storia. Il desiderio di suicidio, ovvero di votare alle primarie, nel vostro interlocutore sparirà all’istante.
ALLA MULTISALA CON IL MITO DELL’EUROPA. E’ scientificamente provato che nella mente di un kamikaze, tipo uno che vota alle primarie, ci sono dei veri e propri blocchi emotivi. Blocchi che formano dei veri e propri imperativi comportamentali fino all’autoannullamento del soggetto. Uno dei blocchi più forti, nella mente del poveretto che vuole votare alle primarie, è il mito dell’Europa. Terra promessa in nome della quale tutti i sacrifici saranno ripagati (come no...). Oppure terra terribile in nome del quale l’unico comportamento da tenere è una feroce competitività contro tutto e tutti (come no...). Ma anche le peggiori malattie si vincono. Portate il vostro aspirante kamikaze alla multisala. Offritegli dei pop-corn. A quel punto con poche studiate, improvvise frasi raccontate quale conto, tutto a spese nostre, il Pd si è impiegato a far pagare agli italiani, e per vent’anni, con il fiscal compact. Al vostro interlocutore, capito quale conto gli ha addebitato il Pd, andrà sicuramente qualche pop corn di traverso, ma dopo un paio di colpi di tosse gli insani propositi saranno svaniti.
L’ULTIMO OSTACOLO: NICHI VENDOLA. Qui tratta di un particolare tipologia di suicida: il sopravvissuto alla triste stagione del voto utile, al “ma non vorrai fare il gioco di Berlusconi? (quando il centrosinistra con Berlusconi ci ha fatto gli affari per anni mentre i fessi lo votavano, of course). Non arrabbiatevi, siate freddi. Al primo “ma votando Nichi si può spostare l’alleanza a sinistra”, tirate fuori l’Ansa delle dichiarazioni di Vendola “sosterrò Renzi se vince le primarie”. L’aspirante suicida capirà al volo che stava votando per il mago Do Nascimiento della sinistra radicale. Dalla gratitudine vi pagherà anche il caffè.
Se il vostro interlocutore, o interlocutrice, ha l’intenzione di votare Renzi vincete la sensazione di vivere in un mondo di sfortunati. Semplicemente mettetegli una mano sulla spalla e con un semplice, ma amichevole, “ma che botta c’hai” passa tutto. A volte nella realtà è come nelle favole: basta una semplice parola per vincere il peggiore dei malefici.
Nique la police
tratto da Senza Soste n.76 (Novembre 2012 - attualmente in distribuzione)

venerdì 23 novembre 2012

VOLEMOSE BENE

L'assalto stile rappresaglia compiuto indistintamente da fascisti romanisti e laziali contro alcuni tifosi del Tottenham giunti nella capitale per la partita di Europa League contro la Lazio,ha da subito avuto i connotati di un'aggressione xenofoba e razzista in quanto notoriamente il quartiere londinese del team inglese è considerato,assieme ai propri tifosi,zona e tifoseria a maggioranza di religione ebraica.
A supporto di tale ipotesi i continui insulti razzisti urlati sia nell'occasione della devastazione del pub a Campo de'Fiori e del successivo inseguimento in un vicolo adiacente che ha comportato il ferimento di dieci tifosi inglesi dei quali uno molto grave,ripetuti pure durante la gara di ieri sera.
L'articolo preso da"Il Messaggero"parla dell'arresto di due dei delinquenti responsabili della spedizione punitiva dei fascisti locali,della cronaca e delle motivazioni:un altro link parla dello strano fenomeno che spesso accomuna nell'ideologia di estrema destra due tifoserie che da sempre si odiano e che si sono affrontate violentemente(http://www.ilmessaggero.it/ ).
Del resto,quando due tifoserie sono unite dall'amore per l'odio razziale a scapito della storica rivalità è una festa per tutto il mondo del calcio e per la società.Merde.

Raid antisemita contro gli inglesi
guerriglia a Roma.
L'attacco notturno a Campo de' Fiori: sette feriti inglesi. Fermati due tifosi della Roma. Si cercano i complici.Di Sara Menafra

ROMA - Il primo l’hanno arrestato mentre cercava di fuggire da Campo de’ Fiori e nascondersi su un autobus. Francesco Ianari, classe 1987 e un daspo, cioè un ordine di non avvicinarsi allo stadio emesso nel 2007, è un tifoso romanista che allostadio è più o meno una presenza fissa anche se non è mai arrivato al grado di capo ultrà. C’era anche lui l’altra notte quando circa quaranta persone, compatte e ben organizzate, si sono presentate alla porta del Drunken Ship per aggredire alcuni dei 1600 tifosi del Tottenham arrivati a Roma per seguire la partita con la Lazio. È accusato di lesioni pluriaggravate, rissa, tentato omicidio in concorso con altri e possesso di stupefacenti.

VIDEO
- la devastazione del pub
- il giorno dopo l'assalto

Nel corso della nottata ha chiamato più volte l’altro arrestato, Mauro Pinnelli pure lui romanista e quasi coetaneo (è dell’86). Stesse accuse ma indizi più pesanti visto che nella sua automobile gli uomini del commissariato Trevi diretto da Lorenzo Suraci hanno trovato proprio lo stemma del Tottenham che aveva addosso il più grave dei sette feriti dalla nottata, Mills Asmley, quello che a lungo è stato in pericolo di vita e solo ieri pomeriggio è emerso dal codice rosso. Pinnelli a casa ha anche armi da taglio portate immediatamente alla scientifica per le analisi.

LE MOTIVAZIONIMa se agli arresti fatti nelle prime ore potrebbero aggiungersene altri basati sulle telecamere a circuito chiuso presenti nella zona del pub nel pieno centro storico della capitale (almeno una decina di volti sarebbero già stati identificati) ora per gli uomini della Digos e per il pm Stefano Pesci quello che conta è capire le ragioni del gesto sicuramente premeditato.

Anche se i testimoni ascoltati dalla polizia non hanno parlato di urla razziste o di simboli chiaramente nazifascisti, a far scattare il raid punitivo potrebbe essere stata la storia del Tottenham, squadra nata nel quartiere ebraico di Londra e accompagnata da tifosi che espongono la stella di David o incitano i giocatori gridandoli «joden» o «yid». Fumo negli occhi per la parte più estremista ed organizzata delle tifoserie romane, specie i laziali, che ieri hanno gridato allo stadio «Juden Tottenham» e potrebbero aver acceso la miccia dell’aggressione di mercoledì notte.

Le tifoserie inglesi, poi, sono da sempre un simbolo da attaccare e sfidare per tutti gli altri gruppi organizzati, tant’è che non c’è partita con gli anglosassoni che non sia stata accompagnata almeno da un aggressione. «Ad agire - spiegano gli investigatori - potrebbe essere stato un gruppo misto, fatto di tifosi laziali e romanisti che probabilmente si conosce e si è mosso insieme anche in altre occasioni».

Un’azione a metà tra la criminalità, il puro razzismo e una logica da stadio capace di superare persino la rivalità tra Roma e Lazio. Che potrebbe inserirsi in una complessiva riorganizzazione delle tifoserie violente della città, fiaccate da arresti e norme antistadio ma che ora vogliono alzare la testa. Solo nell’ultimo mese, i raid violenti sono stati almeno due, l’ultimo a Colle Oppio la sera prima del derby.
 

giovedì 22 novembre 2012

LA COERENZA DI KEN LOACH

Il regista britannico Kan Loach a malincuore ha preferito rifiutare un premio conferitogli dal Torino film festival in quanto vuole essere coerente fino in fondo con le proprie idee che più volte nella carriera ha portato sul grande schermo,non volendo incorrere in un'ipocrisia che avrebbe reso il suo lavoro quanto meno inopportuno.
Riferendosi principalmente ad un suo film,"Bread and roses",una storia di clandestinità farcita da lavoro precario e lotta sindacale,ha rinunciato al riconoscimento ed alla presenza a Torino,in quanto proprio in città presso il Museo nazionale del cinema(situato presso la Mole Antonelliana)vi sono state vere e proprie rappresaglie,intimidazioni e licenziamenti tra i propri lavoratori.
Lineare col suo pensiero e solidale con i lavoratori in lotta,uno dei temi da sempre cari al regista,con il suo gesto di protesta vuole muovere le coscienze dei gestori del museo invitandoli a dialogare con sindacati e lavoratori.
Il pezzo è preso da Senza Soste,per maggiori informazioni su Loach invito a leggere la sua scheda,assieme a quelle dei suoi films,presente su Wikipedia:http://it.wikipedia.org/wiki/Ken_Loach.

Ken Loach: "Niente premi, sto con i lavoratori"
Ken Loach scrive al Festival del Cinema di Torino: avete esternalizzato e sacrificato i dipendenti delle cooperative, quindi non accetto il vostro riconoscimento
È con grande dispiacere che mi trovo costretto a rifiutare il premio che mi è stato assegnato dal Torino Film Festival, un premio che sarei stato onorato di ricevere, per me e per tutti coloro che hanno lavorato ai nostri film.
I festival hanno l’importante funzione di promuovere la cinematografia europea e mondiale e Torino ha un’eccellente reputazione, avendo contribuito in modo evidente a stimolare l’amore e la passione per il cinema.
Tuttavia, c’è un grave problema, ossia la questione dell’esternalizzazione dei servizi che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi. Come sempre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalto riduce di conseguenza i salari e taglia il personale. È una ricetta destinata ad alimentare i conflitti. Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile.
A Torino sono stati esternalizzati alla Cooperativa Rear i servizi di pulizia e sicurezza del Museo Nazionale del Cinema (MNC). Dopo un taglio degli stipendi i lavoratori hanno denunciato intimidazioni e maltrattamenti. Diverse persone sono state licenziate. I lavoratori più malpagati, quelli più vulnerabili, hanno quindi perso il posto di lavoro per essersi opposti a un taglio salariale. Ovviamente è difficile per noi districarci tra i dettagli di una disputa che si svolge in un altro paese, con pratiche lavorative diverse dalle nostre, ma ciò non significa che i principi non siano chiari.
In questa situazione, l’organizzazione che appalta i servizi non può chiudere gli occhi, ma deve assumersi la responsabilità delle persone che lavorano per lei, anche se queste sono impiegate da una ditta esterna. Mi aspetterei che il Museo, in questo caso, dialogasse con i lavoratori e i loro sindacati, garantisse la riassunzione dei lavoratori licenziati e ripensasse la propria politica di esternalizzazione. Non è giusto che i più poveri debbano pagare il prezzo di una crisi economica di cui non sono responsabili.
Abbiamo realizzato un film dedicato proprio a questo argomento, «Bread and Roses».
Come potrei non rispondere a una richiesta di solidarietà da parte di lavoratori che sono stati licenziati per essersi battuti per i propri diritti? Accettare il premio e limitarmi a qualche commento critico sarebbe un comportamento debole e ipocrita. Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradirla con le nostre azioni.
Per questo motivo, seppure con grande tristezza, mi trovo costretto a rifiutare il premio.
Ken Loach
tratto da http://ilmegafonoquotidiano.globalist.it
21 novembre 2012

mercoledì 21 novembre 2012

LA SOLIDARIETA' TRA AMICI COSTA CARA

Solo in un paese come l'Italia,timorato di dio e della polizia,può capitare ad un giocatore di calcio che ha osato manifestare solidarietà verso un suo amico,vedere la propria carriera stroncata visto che è stato squalificato con il Daspo per tre anni dalla questura di Catanzaro.
Pietro Arcidiacono,ventiquattrenne catanese che milita in serie D nella società del Nuovo Cosenza,ha mostrato sotto la divisa di gioco una maglietta con la scritta"Speziale innocente",uno dei due ultras che hanno pagato con una recente condanna per la morte dello sbirro Raciti,che secondo i giudici è stato colpito dai due giovani durante degli scontri di un dopo derby Catanoa-Palermo del 2007.
Tesi che ancora è stata messa in discussione visto che varie testimonianze messe a tacere ed insabbiate hanno dimostrato che il servo in divisa è stato investito da un fuoristrada di suoi colleghi,come descritto nel secondo contributo preso da Quotidiano Nazionale.
Il primo articolo è di Sky Italia dove per l'ennesima volta la megera,arrogante e supponente vedova dello sbirro Raciti esterna la propria furia come una vipera contro tutto e tutti,dimenticandosi che la collettività italiana paga di vivere a lei e ai suoi figli per il resto della loro esistenza.

Maglietta pro-Speziale, Daspo per Arcidiacono.

Arcidiacono segna ed esulta mostrando la maglia pro-Speziale
Aveva esultato mostrando una maglietta in difesa dell'ultrà del Catania condannato per l'omicidio dell'ispettore Raciti. Adesso l'attaccante della Nuova Cosenza non potrà frequentare gli stadi per tre anni. La vedova Raciti: "Chieda scusa ai miei figli"

Il questore di Catanzaro ha emesso un provvedimento Daspo nei confronti del giocatore della Nuova Cosenza, Pietro Arcidiacono, di 24 anni. La decisione è stata assunta dopo che, sabato scorso, l'attaccante della squadra che milita in serie D aveva festeggiato un gol mostrando una maglietta con la scritta "Speziale è innocente", riferendosi a uno dei due ultras del Catania condannati in via definitiva per l'omicidio dell'ispettore di polizia Filippo Raciti, avvenuto il 2 febbraio 2007 a Palermo al termine di un derby con il Catania.
Il giocatore non potrà frequentare uno stadio di calcio per i prossimi tre anni.

"Provvedimento giusto" - "Non possiamo che condividere la decisione del Questore di Catanzaro, Guido Marino", afferma in una nota il segretario generale del Coisp, Franco Maccari. "Quello del calciatore - aggiunge - è stato un gesto intollerabile che non ha nulla a che vedere con i valori dello sport, anzi ha rappresentato un insulto alla memoria di Filippo Raciti, alle sofferenze dei suoi familiari, al dolore dei suoi colleghi. Una esibizione vergognosa ed inopportuna, che non può trovare alcuna giustificazione, perché rappresenta una apologia dell'odio e della violenza nei confronti delle Forze dell'Ordine. Sono certo che anche la Federcalcio assumerà provvedimenti che siano da esempio per tutti, così come la Magistratura valuterà ipotesi di reato e l'eventuale coinvolgimento di altri compagni di squadra".
"Abbiamo anche apprezzato moltissimo - conclude Maccari - la decisione della società del Cosenza Calcio di dissociarsi subito e senza ambiguità dall'iniziativa del proprio tesserato, comunicandone l'immediata sospensione. Una prova di sensibilità e attenzione, consona ad una città come quella di Cosenza, la cui grande tradizione sportiva, civile e democratica non può essere offuscata dalla assurda iniziativa di un irresponsabile".

"Sanzionata la libertà di pensiero" - "In Italia persino la libertà di pensiero e di espressione è sanzionata", replicano i legali di Speziale, gli avvocati Giuseppe Lipera e Grazia Coco. "La condanna di Antonino Speziale è certamente una decisione che non si può né digerire né accettare - aggiungono i penalisti - ma nonostante il clamoroso errore giudiziario siamo pronti a tutto per fare emergere la verità.

"Chieda scusa ai miei figli" - "Arcidiacono è uno stupido e un presuntuoso, sono contenta per il Daspo del questore di Catanzaro nei suoi confronti. Con quella maglietta ha offeso i miei figli. Chieda loro scusa, perché non prova a solidarizzare con loro, che da quasi sei anni non possono più pronunciare la parola papà? E dire che, in questi anni, non l'ho mai visto in Tribunale, a chiedere verità e giustizia". Così Marisa Grasso, la vedova di Filippo Raciti, che si dice "contenta per la decisione della questura di Catanzaro. Spero anzi che anche la questura di Catania emetta dei decreti di Daspo nei confronti di quegli ultrà etnei che ancora domenica scorsa hanno esposto striscioni e cantato cori offensivi della memoria di mio marito".
L'INDISCREZIONE
 
"Raciti investito dalla camionetta
Non fu ucciso da un ultrà"
Nuova ricostruzione sulla morte dell'agente durante gli scontri del derby Catania-Palermo, riportata da un settimanale: "Una camionetta della polizia in retromarcia. Un urto. Poi l'ispettore si accascia". E' l'ipotesi avanzata dalla difesa del 17enne accusato
Palermo, 5 aprile 2007 - Una camionetta della polizia in retromarcia. Un urto. Poi l'ispettore si accascia. Dal verbale di un agente forse una nuova verita' sulla tragedia di Catania. In un'anticipazione del numero de l'Espresso in edicola domani, nuova ricostruzione sulla morte dell'ispettore capo di polizia, Filippo Raciti, deceduto durante gli scontri del derby Catania-Palermo del 2 febbraio scorso.

"Il Discovery della polizia si muove in retromarcia per sfuggire all'inferno di pietre, fumo e bombe carta scatenato dagli ultras catanesi - scrive L'Espresso -. Poi, un botto improvviso sulla vettura. In quel momento l'ispettore Filippo Raciti si porta le mani alla testa e si accascia. Due colleghi lo adagiano nel sedile posteriore del fuoristrada; l'ispettore si lamenta dal dolore e non riesce a respirare.
Potrebbe essere in questo racconto, nel verbale redatto il 5 febbraio scorso alla squadra mobile di Catania, la soluzione del "caso Raciti", l'ispettore di polizia morto dopo gli scontri con i tifosi durante il derby Catania-Palermo del 2 febbraio. A raccontare e' l'autista del fuoristrada, l'agente scelto S. L., 46 anni. E' lui che ricostruisce dettagliatamente quella giornata di follia: dall'arrivo dei pullman con i tifosi del Palermo sino agli ultimi momenti di Raciti. Il passaggio piu' importante del verbale va collocato intorno alle 20,30. Piu' di un'ora dopo il presunto contatto con gli ultras di fronte al cancello della curva Nord e a partita appena conclusa, mentre fuori dallo stadio continua la guerriglia".

Rivela S.L.: "...In quel frangente sono stati lanciati alcuni fumogeni, uno dei quali e' caduto sotto la nostra autovettura sprigionando un fumo denso che in breve tempo ha invaso l'abitacolo... Raciti ci ha invitato a scendere dall'auto per farla areare. Il primo a scendere e' stato Raciti. Proprio in quel frangente ho sentito un'esplosione, e sceso anch'io dal mezzo ho chiuso gli sportelli lasciati aperti sia da Balsamo che dallo stesso Raciti ma non mi sono assolutamente avveduto dove loro si trovassero poiche' vi era troppo fumo. Quindi, allo scopo di evitare che l'autovettura potesse prendere fuoco, mentre era in corso un fitto lancio di oggetti e si udivano i boati delle esplosioni, chiudevo gli sportelli e, innescata la retromarcia, ho spostato il Discovery di qualche metro. In quel momento ho sentito una botta sull'autovettura e ho visto Raciti che si trovava alla mia sinistra insieme a Balsamo portarsi le mani alla testa. Ho fermato il mezzo e ho visto un paio di colleghi soccorrere Raciti ed evitare che cadesse per terra".

Raciti viene adagiato sul sedile e soccorso da un medico della polizia. L'ispettore muore per la manovra imprudente di un collega alla guida del Discovery? A ipotizzarlo, dopo avere letto il verbale, e' adesso la difesa dell'unico indagato, il minorenne Antonio S. arrestato pochi giorni dopo gli scontri, e accusato dell'omicidio.
Scrive il medico Giuseppe Caruso, nella consulenza di parte: le fratture delle quattro costole dell'ispettore e le sue lesioni al fegato sono compatibili, "con abbondante verosimiglianza, con il bordo dello sportello di un fuoristrada o dello spigolo posteriore di un identico autoveicolo". "Si potrebbe ribaltare dunque - scrive ancora L'Espresso - lo scenario proposto dalla polizia e dal pm della Procura presso il Tribunale per i minorenni, Angelo Busacca, che accusano il giovane di avere scagliato, con altri, un pezzo di lamiera contro un gruppo di agenti, tra cui Raciti, che tentavano di proteggere i tifosi del Palermo. Un gesto compiuto, come testimoniano le riprese video, tra le 19,04 e le 19,09. La partita giudiziaria ora si gioca sul terreno medico-legale.

A sostegno della nuova richiesta di scarcerazione per mancanza di indizi del minorenne gli avvocati Giuseppe Lipera e Grazia Coco hanno depositato la consulenza di Caruso che demolisce le considerazioni del medico-legale del pm, Giuseppe Ragazzi. "La frattura delle coste, a maggior ragione quando le coste fratturate sono diverse", scrive Caruso, "comporta dolori lancinanti e difficolta' respiratorie immediate e non consentono, a chiunque, lo svolgimento delle normali attivita' fisiche". Come ha fatto Raciti, dunque, si chiedono i difensori, a fronteggiare gli ultras catanesi, dalle 19,08 sino alle 20,20, con quattro costole fratturate e un'emorragia al fegato senza avvertire dolori?

"La risposta e' affidata a una nuova consulenza medico-legale collegiale, che gli avvocati hanno chiesto al gip Alessandra Chierego, con "esperti di chiara fama, non escludendo l'ipotesi di dovere chiedere la riesumazione del corpo dell'ispettore". Oltretutto Raciti, dopo le 19,08, ha continuato il suo lavoro senza problemi, come testimonia il suo collega Lazzaro: "Mentre eravamo in macchina non ho sentito Raciti lamentare dolori o malessere". "Dopo due mesi di indagini della polizia di Catania - conclude l'Espresso - ora il caso Raciti e' affidato ai carabinieri del Ris di Parma: i risultati della nuova perizia si conosceranno entro un paio di mesi.

martedì 20 novembre 2012

PROSEGUE LO STERMINIO

Mentre da una settimana prosegue l'operazione"pillar of clouds",la colonna di nuvole che sta annientando la popolazione palestinese soprattutto a Gaza,il mondo occidentale sta ancora sulle sue omettendo la dura e ferma condanna che dovrebbe essere detta da tutti quei rappresentanti del cosìdetto blocco degli Stati democratici che in quanto d'interesse della sorte di esseri umani bombardati giorno e notte non ha nulla cui spartire.
I due contributi sono un comunicato del comitato politico nazionale di Rifondazione Comunista,due parole che riassumono lo sdegno e che raccolgono la solidarietà che dovrebbero essere fattori naturali di chi ha in coscienza il bene e la libertà di ogni persona,mentre l'altro è un testo che parla della differenza tra l'antisemitismo e l'antisionismo,che ancora in pochi hanno compreso,in primis certi giornalisti che divulgano false notizie e servizi(vedi anch:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2009/02/antisemita-o-antisionista.html ).
Per il momento ho voluto omettere tutte le foto che stanno testimoniando il massacro di civili,in particolar modo di donne e bambini,che girano in rete perché abbastanza scioccanti,e che tuttavia i governi di chi vuole nascondere tali documenti stanno prodigandosi a cancellare.
Concludo con il fatto,rimarcato anche recentemente,che non tutti gli abitanti di Israele e del mondo ebraico in generale stanno dalla parte di questa sporca guerra,e sono tanti i nomi di persone più o meno note che hanno condannato questa ennesima violazione di tutti i diritti umani da parte degli israeliani,guardacaso nuovamente in concomitanza con le nuove elezioni(vedi foto centrale).

Il Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione comunista esprime la propria assoluta condanna dell’aggressione israeliana nella striscia di Gaza, ed esprime la propria solidarietà al popolo palestinese e alla popolazione di Gaza, vittima dell’ennesima campagna brutale di bombardamenti e di un embargo criminale che ha ridotto la striscia ad una prigione a cielo aperto.
Denuncia la vergognosa posizione degli Usa e dell’Europa, cosi come del governo italiano , di sostegno all’ennesima violazione del diritto internazionale da parte di Israele. Occorre respingere la campagna mediatica tesa a mistificare la realtà, rovesciando ruoli di vittime e carnefici, presentando questa nuova aggressione come difesa. Questa guerra è frutto di un cinico calcolo da parte del governo reazionario di Tel Aviv in vista delle prossime elezioni e dell’imminente votazione dell’assemblea dell’ ONU sul riconoscimento della Palestina.
Chiediamo l’immediata fine dei bombardamenti , sosteniamo e partecipiamo alle mobilitazioni che in tutto il Paese si stanno organizzando, per la fine dell’occupazione e dell’apartheid, per il riconoscimento della Palestina alle Nazioni Unite, per il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, contro ogni ipotesi di nuove guerre.
Ordine del giorno approvato all’unanimità 18/11/2012 dal CPN Rifondazione Comunista.
Il ricatto dell'antisemitismo
di Michel Warshawski

 
Il ricatto dell'antisemitismo rischia di bloccare le prese di posizione critiche delle forze democratiche e della sinistra nei confronti dello stato sionista di Israele, facendo il gioco dei veri antisemiti e rafforzando le posizioni comunitaristiche

I l conflitto israelo-palestinese si presta facilmente a un'interpretazione in chiave religiosa, o quanto meno etnica. Esso si svolge in un luogo che è stato il cuore di grandi religioni e che molti chiamano "Terra santa"; il sionismo è spesso presentato come il "ritorno" del popolo ebraico nella Terra promessa, e il suo bagaglio di argomentazioni attinge molto all'ambito dei diritti storici, se non apertamente alla promessa divina; Gerusalemme è città tre volte santa e la Palestina storica è disseminata di luoghi di culto e pellegrinaggio.

L'onnipresenza dell'islam nella coscienza e nella cultura nazionale arabe è anch'essa gravida della deriva confessionale di un conflitto spesso presentato come la liberazione della terra dell'islam occupata dagli infedeli.

A questo non si può non aggiungere l'idea, tutta sionista, di creare uno "stato ebraico" attuando una strategia permanente di ebraicizzazione, che non ha mancato di ricorrere alla guerra di epurazione etnica nel 1948. Uno dei meriti più grandi di Yasser Arafat è quello di aver fatto, in questo contesto, tutto ciò che è umanamente possibile per mantenere il conflitto israelo-palestinese nella sua dimensione politica, rifuggendo da quella religiosa o etnica: una lotta di liberazione nazionale per l'indipendenza, una lotta anticolonialista per la terra e la sovranità nazionale.

Al contrario, uno dei crimini più gravi dell'ex primo ministro israeliano Ehud Barak è di aver introdotto l'elemento religioso nei negoziati rivendicando, al summit di Camp David II, una sovranità ebraica sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme sulla base di considerazioni storico-religiose. Questa rivendicazione demente, senza alcun dubbio, è stata una delle cause principali del fallimento del processo di Oslo. La storia dirà se essa non sia anche stata il detonatore di una guerra tra religioni nell'intero Medio Oriente, e di un conflitto ebraico-islamico in tutto il mondo.

Sionismo: un'ideologia politica

Il conflitto israelo-palestinese è un conflitto politico tra un movimento coloniale e un movimento di liberazione nazionale. Il sionismo è un'ideologia politica, e non religiosa, che mira a risolvere la questione ebraica in Europa con l'immigrazione in Palestina, la sua colonizzazione e la creazione di uno stato ebraico. Questa è la definizione che ne hanno sempre dato i suoi ispiratori, da Herzl a Ben Gurion, da Pinsker a Jabotinsky, per i quali il concetto di colonizzazione (Hityashvuth) o di colonie (Yishuv, Moshav) non ha mai avuto un'accezione peggiorativa.

Fino all'ascesa al potere del nazismo, la stragrande maggioranza degli ebrei nel mondo ha rifiutato il sionismo, considerandolo da un lato come un'eresia (posizione della grande maggioranza dei rabbini e degli ebrei praticanti) e dall'altro come una teoria reazionaria (posizione del movimento operaio ebraico nell'Europa orientale), e per giunta anacronistica (posizione degli ebrei emancipati o assimilati in Europa centrale e occidentale). In questo senso, l'antisionismo è sempre stato considerato come una posizione politica tra le altre, per di più egemoni nel mondo ebraico per quasi mezzo secolo.

Solo da circa una trentina d'anni una vasta campagna internazionale, con un successo innegabile, tenta di delegittimare l'antisionismo identificandolo con l'antisemitismo, senza mai entrare nel merito di cosa sia veramente il sionismo, omettendo le analisi della sua dinamica e delle sue implicazioni politiche e morali.

Lo "slittamento semantico"

Come ogni altra forma di razzismo, l'antisemitismo (o la giudeofobia) rifiuta l'esistenza e l'identità dell'altro. Qualunque cosa faccia o pensi l'ebreo, per l'antisemita egli è da odiare, fino al massacro, per il solo fatto d'essere ebreo.

Al contrario, l'antisionismo è la critica politica di un'ideologia e di un movimento politico; esso non riguarda una comunità, ma rimette in discussione una politica. Come è possibile, quindi, identificare un'ideologia politica, l'antisionismo, con un'ideologia razzista, l'antisemitismo?

Un gruppo di intellettuali sionisti europei ha appena trovato la soluzione, facendo intervenire l'inconscio e introducendo un concetto passe-partout che essi chiamano "slittamento semantico". Quando si denuncia il sionismo, e anche quando si critica Israele, si avrebbe inconsciamente come obiettivo non la politica di un governo (il governo Sharon) o la natura coloniale di un movimento politico (il sionismo) o ancora il razzismo istituzionale di uno stato (Israele), ma gli ebrei. Per slittamento semantico, quando si dice: "il bombardamento di popolazioni civili è un crimine di guerra" o "la colonizzazione è una flagrante violazione della Quarta Convenzione di Ginevra", in realtà si vorrebbe dire "il popolo ebraico è responsabile della morte di Gesù Cristo" e "morte agli ebrei!".

Evidentemente non è possibile rispondere a un argomento del genere, poiché qualsiasi risposta sarà presentata come un'inconscia apologia dell'antisemitismo. (…)

Razzismo antiarabo e antisemita

L'antisemitismo esiste, e sembra in Europa si stia risvegliando dopo mezzo secolo di silenzi seguiti allo sterminio nazista e ai crimini dei collaborazionisti. In una parte crescente delle comunità arabo-musulmane in Europa gli ebrei vengono accusati, con una generalizzazione razzista, senza distinzioni, dei crimini commessi dallo stato israeliano e dal suo esercito. D'altronde l'antisemitismo spesso si ritrova in seno a quello stesso campo che sostiene incondizionatamente la politica israeliana, come ad esempio una parte delle sette protestanti integraliste che, negli Stati uniti, costituiscono la vera lobby pro israeliana.

Esiste, al pari, un razzismo antiarabo, anche se i media danno meno visibilità agli atti di ritorsioni del Beitar e della Lega di difesa ebraica contro istituzioni musulmane o contro le organizzazioni che si oppongono alla politica di colonizzazione israeliana, agli slogan razzisti antiarabi che coprono i muri di certi quartieri di Parigi ("Morte agli arabi!", "Niente arabi niente attentati!") e alle cacce al nordafricano organizzate da commandos sionisti.

I razzismi antiarabo e antiebraico devono essere condannati e combattuti, senza concessioni, e ciò si può fare efficacemente solo se si combattono contemporaneamente, altrimenti non si fa che rafforzare l'idea, molto diffusa, che dietro la denuncia di un solo razzismo ci sia in realtà la condanna dell'altra comunità. Coloro che denunciano gli atti antisemiti, reali o frutto dello "slittamento semantico", ma tacciono contro gli atti di razzismo antiarabo hanno una parte di responsabilità nell'alimentare il senso di appartenenza alla comunità e nel rafforzamento dell'antisemitismo, poiché non è il razzismo, di qualunque natura e da qualsiasi parte provenga, che essi combattono, ma unicamente il razzismo dell'altro. (…)

Slittamentoi o collusione?

Ma andiamo oltre. Una parte importante di responsabilità nella nascita del fenomeno dello slittamento della critica alla politica israeliana verso un atteggiamento antisemita ricade sulle spalle di una parte dei dirigenti, spesso auto proclamatisi tali, delle comunità ebraiche in Europa e negli Stati uniti. Infatti, sono essi che spesso identificano l'intera comunità ebraica con una determinata politica, quella del sostegno incondizionato ai dirigenti israeliani. Quando, come è accaduto a Strasburgo, sono loro a chiamare la gente a manifestare il proprio sostegno a Sharon sul sagrato di una sinagoga, come fanno poi a meravigliarsi se la sinagoga viene presa di mira nelle manifestazioni contro la politica israeliana? E che dire di quei dirigenti di comunità ebraiche che, in Francia, "comprendono" la vittoria di Le Pen e "sperano che ciò faccia riflettere la comunità araba locale"? Non è lecito scorgere in un comportamento del genere una compiacenza nei confronti di colui che, in Francia, è il principale sostenitore di idee razziste - e quindi anche antisemite? Compiacenza che è in continuità con la collaborazione di certe organizzazioni (ebraiche) di estrema destra, come il Beitar, con gruppi fascisti e antisemiti, in Occidente, negli anni Settanta... Non si tratta più semplicemente di slittamento, ma di collusione bella e buona...

Il cinico "lascia-andare, lascia-fare"

Nel mondo la politica israeliana è largamente criticata, e più lo stato ebraico agirà al di fuori del diritto, più esso sarà considerato come fuorilegge, e ne pagherà il prezzo. È totalmente inaccettabile e irresponsabile che gli intellettuali ebrei che dichiarano pubblicamente un'identificazione assoluta con Israele trascinino con loro i dirigenti delle comunità ebraiche nella corsa verso l'abisso cui portano Sharon e il suo governo. (… ) Anziché blandire l'oltranzismo israeliano e contribuire all'accecamento suicida crescente della sua direzione e della sua popolazione e di gridare come Lanzman "con Israele sempre, e incondizionatamente", non farebbero meglio a fare da argine e a mettere in guardia Sharon e il suo governo dalle conseguenze catastrofiche della loro politica? Sono a tal punto ciechi da non rendersi conto che l'impunità di cui gode Israele agli occhi di certe correnti politiche e filosofiche, in Europa e negli Stati uniti, non è che l'altra faccia dell'antisemitismo e del suo armamentario sulla "specificità ebraica"? Sono a tal punto stupidi da non comprendere che per molti sedicenti amici d'Israele, la politica del "lascia andare-lascia fare" verso lo stato d'Israele non è che l'espressione di un cinismo che ha come obiettivo quello di vedere gli ebrei andare a sbattere contro il muro? E che, al contrario, sono coloro che criticano, e a volte duramente, Israele, che hanno veramente a cuore la vita e la sopravvivenza della sua popolazione?

"Non in nostro nome"

Ariel Sharon, i suoi ministri, i suoi generali, i suoi giudici e una parte dei suoi soldati un giorno saranno portati davanti alla Corte penale internazionale per crimini di guerra, e anche per crimini contro l'umanità. Perché la popolazione israeliana nel suo complesso non venga messa al bando e accusata ci sono, in Israele, migliaia di uomini e donne, civili e militari, che dicono "no", che resistono e sono dissidenti. Per proteggere gli ebrei del mondo da un'accusa di corresponsabilità, per stroncare la propaganda antisemita che, strumentalizzando le sofferenze dei palestinesi, vuole colpevolizzare ogni ebreo in quanto tale, per far barriera contro il pericolo reale di automatico coinvolgimento delle comunità nel conflitto israelo-palestinese, è imperativo che dalle comunità ebraiche si alzi una voce ferma e possente che dica, come il nome di un'organizzazione ebraico-statunitense, e agendo in questa direzione: "Non in nostro nome!".

È evidentemente compito delle forze democratiche e di sinistra nel mondo denunciare, senza concessione alcuna, i crimini di Israele, non solo perché la difesa dei colonizzati e degli oppressi, ovunque essi siano, è parte integrale del loro programma e della loro filosofia, ma anche perché una posizione chiara e coerente con il resto delle lotte in atto può permettere loro di lottare contro la degenerazione del conflitto in chiave comunitaria e contro il razzismo nel proprio paese.

Lasciarsi terrorizzare dal ricatto dell'antisemitismo, tacere per non prestare il fianco all'accusa di "collusione con l'antisemitismo" o anche di "antisemitismo inconscio", non può, in ultima analisi, che fare il gioco dei veri antisemiti, o per lo meno delle confusioni identitarie e delle reazioni in blocco come comunità. La vera sinistra, antirazzista e anticolonialista, non deve dare prove del suo impegno nella lotta contro la peste antisemita. Essa sarà ancora più efficace nel proseguimento della lotta se le sue posizioni contro i crimini di guerra d'Israele e la sua politica di colonizzazione saranno chiare e senza ambiguità.
Guerre & Pace
sabato, 14 febbraio, 2004