giovedì 5 marzo 2009

E IL PADRONE RINGRAZIA

Eh sì,le ultime leggi in materia di lavoro stanno premiando sempre più il padronato rispetto al lavoratore,cosa poi che non deve molto stupirci visto che l'esecutivo democraticamente votato è braccio destro politicizzat dell'imprenditorialismo italiano.
Ovvero la minima percentuale di chi detiene il potere ora ha strumenti sempre più grandi e opprimenti verso il lavoratore subordinato.
Tra leggi in cui l'aumento del salario non farà più riferimento agli aumenti delle risorse energetiche importate ma sempre più al profitto che il padrone dichiarerà di voler guadagnare,al fatto che scioperare sarà sempre molto più difficile se non impossibile a quello in cui per assumere più giovani si prolungherà l'età pensionabile(ma il cervello l'hanno cagagto fuori dal buco del culo?).
Questi controsensi aggiunti alla totale sudditanza dei sindacati nei confronti di Confindustria per il momento fanno stare zitti i partiti "dell'opposizione" pieni di gente con le mani in pasta nelle sfere alte del sindacalismo.
Tra i lavoratori saranno sempre più frequenti e gravi gli episodi di menefreghismo individuale a scapito della solidarietà collettiva,con i delatori sempre pronti a sputtanare chi alza la testa al padrone,il tutto in in clima sempre più sul "chi va là",sempre più buio.
Il mio pensiero personale è purtroppo negativo rispetto all'articolo proposto di seguito tratto da "Senza Soste"n°35 a firma di Franco Lucenti,che sintetizza ciò che in politichese le menti malate del governo a cominciare dal ministro Sacconi stanno partorendo in materia lavorativa e di Welfare.
Il pezzo finisce con l'auspicio di una forte coesione tra lavoratori col ritorno alla lotta operaia,cosa che naturalmente appoggio anch'io pur se con mille dubbi visto che almeno nel mio ambito lavorativo le cose stanno prendendo una brutta piega.
C'era una volta il sindacato.

Il nuovo modello contrattuale rappresenta un impianto studiato esclusivamente per la difesa del capitale. Un altro gravissimo attacco ai lavoratori, che dovranno reagire con forza.

C'era un tempo in cui esisteva il conflitto, il dualismo capitale-lavoro, lo scontro tra salari e profitti.
Ma nella storia italiana c'è stato anche un tempo in cui esistevano le corporazioni. Al comando c'era un uomo di nome Benito, che diceva che "l'individuo non esiste se non in quanto è nello Stato e subordinato alle necessità dello Stato".
In quel tempo, lavoratori e datori di lavoro erano inseriti fianco a fianco all'interno di queste corporazioni, corrispondenti ai vari settori economici e controllate dal Governo.
Questo sistema serviva ad eliminare la lotta di classe e i conflitti sociali, in nome di un maggior "ordine" e dell'interesse economico nazionale.

L'accordo.

L'accordo firmato il 22 gennaio scorso tra Governo e parti sociali altro non è che un (ulteriore) passo verso un nuovo corporativismo.
Già la proposta di Sacconi per una serie di restrizioni al diritto di sciopero (vedi Senza Soste n. 32) richiamava alla memoria la legge con la quale Mussolini nel 1926 abolì questo istituto di primaria importanza per i lavoratori; oggi però il Governo va oltre, stendendo le linee di un assetto che andrà ad imprigionare milioni di lavoratori dentro al sistema da sempre sognato dai padroni.

Cosa cambia nel concreto.

I nuovi contratti collettivi avranno durata triennale, e i livelli dei salari faranno riferimento ad un indice revisionale dei prezzi al consumo depurato dalla dinamica dei costi dei beni energetici importati (per fare un esempio, se la benzina o le bollette andassero alle stelle, i lavoratori non guadagneranno un euro di più).
I salari potranno aumentare grazie alla contrattazione di secondo livello (di cui gode tra l'altro appena il 20% dei lavoratori), ma esclusivamente a condizione del miglioramento dei risultati di produttività, redditività ed efficienza delle imprese. Il pane, in pratica, ce lo meriteremo solo se l'azienda per cui lavoriamo raggiungerà gli obiettivi che si è proposta (che ovviamente deciderà il padrone in base a quanto profitto vorrà trarre): un viatico sostanziale ad un ampliamento della forbice (già preoccupante e aggravata dall'aumento vertiginoso dei precari che vanno a casa e dei ricorsi alla cassa integrazione) tra ricchi e poveri.

Sacconi e il conflitto.

Le parole di Sacconi sono una sintesi perfetta di questa riforma: "per la prima volta, nei fatti, si abbandona l'approccio conflittuale".
Nel fornire un'accezione negativa alla parola "conflitto", il ministro sperimenta un lavoro di cambiamento della mentalità dei lavoratori, cercando di far dimenticare a tutti che la lotta sindacale è scientificamente l'unico strumento in grado di stimolare logiche redistributive e di giustizia sociale.
Cisl, Uil e Ugl: la chiave della "bilateralità".

Queste organizzazioni realizzeranno con questa svolta il passaggio a cui da sempre puntano: non "sindacheranno" più (anche se viene da chiedersi quando mai l'hanno fatto), ma passeranno ufficialmente a "cogestire" con padroni e governi, secondo la logica del "sindacato di servizi" che esalta burocrazia e apparatismo, allontanandosi dal protagonismo dei lavoratori nelle scelte di ciò che li riguarda.
Nell'accordo si prevede infatti che la contrattazione collettiva potrà "definire ulteriori forme di bilateralità per il funzionamento di servizi integrativi di welfare". In sostanza ciò significa che in futuro anche l'erogazione di ammortizzatori sociali potrebbe essere vincolata all'iscrizione a questi enti bilaterali imprese-sindacati, troppo somiglianti alle corporazioni di cui dicevamo all'inizio per non comprendere come si sia in presenza di una vera e propria svolta autoritaria.

Pd e Cgil.

E in questa prospettiva nefasta l'opposizione cosa fa?
Il Pd non si esprime, visto che al suo interno non ha solo schiere di rappresentanti in orbita Cgil, ma deve fare i conti anche con correnti vicine alla Cisl, e soprattutto con giuslavoristi alla Ichino, la cui storia di nullafacente e di ideologo delle teorie anti-lavoratori vale più di mille parole.
La Cgil invece al momento non ha firmato. Ma quanto durerà? Farà come per la vicenda Alitalia (non firmo, poi firmo dopo)? Sulla base del fatto che Epifani ha detto che "questo nuovo concetto di bilateralità crea una casta", ce la faranno ad avere la coerenza di rimanerne fuori (proprio loro che hanno le casse pregne grazie a fondi pensione e simili)? Ma soprattutto, come si giustificheranno quando qualcuno farà loro notare che siamo arrivati a questo punto anche a causa delle linee di arretramento continuo che hanno portato avanti negli ultimi vent'anni?

Che fare.

Di certo i lavoratori non possono aspettare la Cgil. Il percorso di unificazione del sindacalismo di base sta procedendo, ma mai come ora ha bisogno di una accelerata.
Oltre a questo però, l'esigenza è quella della ricostruzione, dal basso e con l'uso intelligente di comunicazione e strategia, di una coscienza di classe. Una classe lavoratrice diversa, più eterogenea e complessa di quelle protagoniste anni addietro, ma non per questo priva del potere della lotta.

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