Almeno questo ragionamento vale per i preti ed i frati gerarchicamente posti ai gradini più bassi nella scala del potere ecclesiale,perchè più a contatto con le persone e più portati ad avere rapporti con la gente più bisognosa di aiuti.
Più si sale di grado e meno gli alti prelati conoscono le vere esigenze del popolo,e più sono propensi a sparare eresie e altre boiate,come successe nel 1933(la data è il 20 luglio)quando venne stipulato il concordato tra la chiesa di Roma ed Adolf Hitler,un consenso(visto che il trattato si conclude con la frase"Che Dio conservi il Cancelliere del Reich al nostro popolo")a tutto quello che poi è tristemente accaduto.
C'è un vergognoso personaggio,tale don Giulio Tam,che sopra e sotto vediamo mentre apre il corteo dello scorso sabato 28 febbraio assieme alle alte sfere di FN-VM facendo il saluto romano fiero della sua lunga tonaca che egli ha già sottolineato essere il prolungamento della camicia nera.
Questo prete del cazzo,che tra l'altro è stato cacciato pure dai suoi amici tradizionalisti lefebvriani,è un rincoglionito già candidato nel 2004 con la troia della Mussolini,nemico in pratica di tutti,di immigrati,comunisti,pacifisti,islamici,della stessa chiesa.
Personaggi come lui devono essere fucilati ed appesi a testa in giù come illustri suoi predecessori,lui e tutti quegli integralisti cattolici che dietro a valori come Dio,lavoro e famiglia celano le più ripugnanti idee xenofobe e razziste.
Proprio come quello sparuto gruppo che si vede nelle foto di questo post,uccidere i fascisti non è reato!
Sotto la foto del saluto romano del prete testadicazzo l'articolo tratto da "La Repubblica" di ieri e più giù dopo il diavoletto rosso che prende a forconate il prete nero un vecchio articolo del "Corriere della sera"del giugno 2004 dove si traccia un profilo del coglione in questione.
Lui è don Giulio Tam, padre lefebvriano che si definisce “gesuita itinerante”. Sabato scorso il sacerdote ha sfilato, accanto a Roberto Fiore, in testa al corteo di Forza Nuova a Bergamodi Paolo Berizzi
E il prete benedì i camerati con il saluto romano. Lui è don Giulio Tam, padre lefebvriano che si definisce "gesuita itinerante". Sabato scorso il sacerdote ha sfilato, accanto a Roberto Fiore, in testa al corteo di Forza Nuova a Bergamo: più che altro una parata militare, con i militanti forzanovisti che hanno marciato per le vie del centro muniti di caschi e bastoni. Tra saluti romani, "boia chi molla" e qualche "Sieg Heil", la manifestazione ha accompagnato l'inaugurazione della nuova sede del movimento di estrema destra.
Nel pomeriggio si sono registrati duri scontri tra polizia e antagonisti dei centri sociali riuniti in un presidio di protesta: il video del giovane preso a manganellate dai poliziotti ha fatto il giro del web. Oltre ai provvedimenti per gli autori degli incidenti, anche la marcia neofascista avrà uno strascico giudiziario: è pronta un'altra pioggia di denunce per chi ha sfilato con caschi e bastoni. E a far discutere, ora, è anche la presenza di don Giulio Tam.
In una delle foto pubblicate dal quotidiano online www.bergamonews.it si vede il prete "in camicia nera" che si esibisce nel saluto romano davanti a un centinaio di camerati che marciano in fila, molti a volto coperto. Al suo fianco, il segretario nazionale di Forza Nuova, Roberto Fiore, il coordinatore nazionale Paolo Caratossidis, e il responsabile provinciale Dario Macconi, quest'ultimo figlio del consigliere regionale lombardo, e presidente provinciale bergamasco di An, Pietro Macconi.
Originario della Valtellina, Giulio Tam è nipote di Angela Maria Tam, fucilata dai partigiani nel 1945. Cappellano dei gruppi di destra, già candidato con Alternativa sociale alle ultime elezioni europee, non ha mai fatto mistero del suo tradizionalismo e si è battuto contro le posizioni di "riconciliazione storica" espresse da Gianfranco Fini.
E il prete benedì i camerati con il saluto romano. Lui è don Giulio Tam, padre lefebvriano che si definisce "gesuita itinerante". Sabato scorso il sacerdote ha sfilato, accanto a Roberto Fiore, in testa al corteo di Forza Nuova a Bergamo: più che altro una parata militare, con i militanti forzanovisti che hanno marciato per le vie del centro muniti di caschi e bastoni. Tra saluti romani, "boia chi molla" e qualche "Sieg Heil", la manifestazione ha accompagnato l'inaugurazione della nuova sede del movimento di estrema destra.
Nel pomeriggio si sono registrati duri scontri tra polizia e antagonisti dei centri sociali riuniti in un presidio di protesta: il video del giovane preso a manganellate dai poliziotti ha fatto il giro del web. Oltre ai provvedimenti per gli autori degli incidenti, anche la marcia neofascista avrà uno strascico giudiziario: è pronta un'altra pioggia di denunce per chi ha sfilato con caschi e bastoni. E a far discutere, ora, è anche la presenza di don Giulio Tam.
In una delle foto pubblicate dal quotidiano online www.bergamonews.it si vede il prete "in camicia nera" che si esibisce nel saluto romano davanti a un centinaio di camerati che marciano in fila, molti a volto coperto. Al suo fianco, il segretario nazionale di Forza Nuova, Roberto Fiore, il coordinatore nazionale Paolo Caratossidis, e il responsabile provinciale Dario Macconi, quest'ultimo figlio del consigliere regionale lombardo, e presidente provinciale bergamasco di An, Pietro Macconi.
Originario della Valtellina, Giulio Tam è nipote di Angela Maria Tam, fucilata dai partigiani nel 1945. Cappellano dei gruppi di destra, già candidato con Alternativa sociale alle ultime elezioni europee, non ha mai fatto mistero del suo tradizionalismo e si è battuto contro le posizioni di "riconciliazione storica" espresse da Gianfranco Fini.
Sospeso a divinis e scomunicato, è stato espulso anche dalla confraternita di Lefebvre: «Ma il vero disobbediente è il Papa».
Don Tam: «La mia tonaca? Una camicia nera taglia XXL»Dice messa per Mussolini e corre alle Europee con la nipote Alessandra. «Rosario e manganello» il suo motto anti-Islam
«E adesso per gli islamici / adesso arriva il bello / Rosario e manganello! / Rosario e manganello!». Se la gode, Giulio Maria Tam, il «prete» che dice messa per Benito Mussolini e si candida alle Europee con sua nipote Alessandra, a veder l' effetto che fa canticchiando sull' aria di Papaveri e papere la sua canzonetta catto-fascista: «E' bella o no?». Ride. Fa l' occhiolino. Appioppa una pacca sulle spalle da stendere un bue. E riparte sull' aria di Aveva un bavero con un' altra strofetta delle sue: «Lui col turbante color zafferano / lei col chador color ciclamino / fin dalla Mecca a Lodi e a Milano / per conquistare la nostra società!». Zia Angela Maria, a vederlo, sarebbe proprio orgogliosa. Terziaria domenicana, aveva dedicato la vita a Dio e al Duce, faceva l' ausiliaria nella Repubblica di Salò e venne fucilata alla fine della guerra («senza processo») dai partigiani. Così come vennero fucilati parte dei suoi «eroi». Preti neri come don Gino Artini, don Angelo Baroni, fra Galdino, don Alberico Manetti, don Antonio Bruzzesi, fra Ginepro da Pompeiana. O don Ettore Civati, centurione della Milizia, volontario in Albania, podestà in Valtellina e fascista così fascista da finire spretato e diventare funzionario del Minculpop. O su tutti don Tullio Calcagno, il prete scismatico che teorizzò una sua idea di cattolicesimo fascista, diede vita alla rivista Crociata italica, finì sospeso a divinis e scomunicato ed arrivò a un punto tale di rottura con la Chiesa che, davanti al plotone di esecuzione, rifiutò perfino il conforto di un sacerdote. Anche lui, «don» Giulio Maria Tam, in realtà non è «don». Non lo è mai stato. Figlio di un impiegato comunale democristiano, mamma democristiana, un fratello più o meno leghista, un altro deputato alla Regione Lombardia per i Democratici di Sinistra tra i quali è finito con i cristiano-sociali di Pierre Carniti, altri due vagamente di centrodestra, è diventato fascista quando aveva quindici anni ed era già avviato a diventare un colosso di quasi due metri con le spalle a due ante e le mani enormi. Attivista di Alleanza Cattolica, vedeva la Chiesa conciliare come una banda di mollaccioni senza spina dorsale. Va da sé che, quando lo Spirito Santo lo chiamò, lui avvertì la chiamata come un mussoliniano monito: «a noi!». E si andò a rinchiudere nel seminario di Ecône fondato dal vescovo Marcel Lefebvre. Presi i voti (scismatici) nel 1980, ha girato mezzo mondo come missionario dei cattolici ultra-tradizionalisti nemici del Concilio Ecumenico Vaticano II: due anni in Italia, due in Svizzera, due in Messico, due in Spagna, due in Francia... Sempre più duro, sempre più nero. Al punto che quando nel 2000 avvenne il tentativo di un riavvicinamento tra gli eredi del monsignore ultra-tradizionalista e la Chiesa, lui si oppose con tale cocciutaggine da essere buttato fuori dalla Fraternità: era troppo estremista anche per loro. E adesso? «Ho un piccolo priorato a casa mia». Nonostante la sospensione a divinis e la scomunica? «Sono un disobbediente, ma la mia messa è valida. Il problema disciplinare non tocca il valore del sacerdozio. Disobbediente, poi... Disobbediente a chi?». Per lui è il Papa, il vero disobbediente: «Disobbedisce a tutti i papi che l' hanno preceduto. Tranne Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo I, s' intende. Quei modernisti. Liberté, egalité, fraternité: ecco dov' è la radice del male». Nella Rivoluzione Francese? «Ovvio: nella Rivoluzione Francese! Il problema è il relativismo etico. Dal divorzio passi all' aborto, dall' aborto all' eutanasia, dall' eutanasia all' omicidio...». Non starà esagerando? «Per niente: col relativismo sai dove cominci ma non dove finisci. Se tutto è relativo anche l' omicidio può starci». E non andategli a dire che questo Papa tutto pare meno che modernista: «Chi? Karol Wojtyla? Scherziamo? Qualche pseudo-restaurazione c' è stata. Ma solo per gettare polvere negli occhi. Basta guardare Ratzinger». Non dirà che è un progressista! «Si è travestito da tradizionalista per fare meglio la sua parte. Lui è la quinta colonna dei modernisti! La quinta colonna!». I camerati, figurarsi, per lui stravedono. Tanto più da quando ha cominciato a dire in giro, più o meno scherzosamente, che per lui la tonaca «è una camicia nera XXL lunga fino al calcagno». Generoso, si dà a tutti. Celebra messe solenni per l' anima del Capoccione a Predappio. Benedice i fez e i gagliardetti. Si fa fotografare mentre sventola il tricolore nella versione di Salò o addirittura mentre leva il braccio nel saluto romano. Come facevano i preti fascisti che in piazza Venezia, sotto gli occhi del Duce, furono immortalati in una celebre copertina della Domenica del Corriere. Mai un dubbio? Mai. E rinfaccia al Papa di avere chiesto «troppe volte scusa» e lo accusa di avere «baciato il Corano» e non gli perdona di aver sospirato sulla violenza delle Crociate e rifiuta l' ecumenismo e rimpiange la chiesa guerriera che teneva in una mano il Vangelo e nell' altra la spada. E se denuncia l' America per avere aggredito l' Iraq «accendendo un incendio in tutto il Medio Oriente», tuona però che «l' Islam è il nemico, l' Islam è l' invasore, l' Islam è il pericolo per tutta la società occidentale ma a un certo punto viva l' Islam, perché man mano che penetra dentro le nostre città e i nostri Paesi ci costringerà a riscoprire la vera fede. E a difenderla con tutti i mezzi». Ridacchia: «Ma se li immagina i comunisti? Cacciati dalla invasione maomettana saranno costretti a chiedere asilo agli Stati Uniti!». Ma basta adesso, è arrivata la grigliata mista. Maiale, pollo, galletto, manzo, salsiccia mista: «Visto che il Signore ci ha dato tutte queste creature, godiamocele!».E affonda la forchetta con l' appetito di chi sa di avere molto da riempire. Le canzoni, per ora, almeno fino al caffè e alla grappa, possono aspettare: «Col pugnale e con la bomba / nella vita del terrore / quando l' obice rimbomba / non mi trema in petto il cuore!». Gian Antonio Stella.
Corriere della Sera, 8 giugno 2004, pagina 13.
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