venerdì 8 gennaio 2010

SPEZZARE LE CATENE


Facciamo un passo indietro prima di cercare di analizzare gli scontri avvenuti ieri in Calabria a Rosarno tra gli schiavi assoldati dalla n'drengheta e parte dei residenti della cittadina e le forze del disordine,proponendo non un articolo che parli della cronaca della rivolta ma usandone uno del dicembre del 2008.
In questo pezzo tratto da"Repubblica"a firma di Carlo Ciavoni si parla delle condizioni disumane in cui gli immigrati quasi totalmente di origine africana sopravvivono per poter lavorare e portarsi a casa pochi euro sgobbando fino a 12 ore al giorno,con condizioni sanitarie degne di un paese poverissimo e per questo l'unico apparato prepoto a tale scopo sono addirittura i"medici senza frontiere"...evidentemente allo Stato italiano non gliene frega nienta di questi uomini di serie d.
E intanto la criminalità organizzata ringrazia in quanto la stragrande maggioranza dei terreni agricoli(qui si producono agrumi e soprattutto clementine)è sotto il controllo diretto e non dei boss della n'drangheta calabrese,proprio quella che ha allargato i propri affari in mezza Europa ed ha conquistato apertamente Milano grazie agli appoggi politici della destra.
E pure certi residenti guardano storto questi lavoratori che non usano direttamente la criminalità per cercare di portare avanti la propria esistenza(anche se è da sottolineare il fatto che i pochi soldi che ricevono siano"made in mala")sparandogli contro come se fossero in una fiera a bersagliare palloncini,per puro divertimento razzista.
Così come è xenofobo l'intervento odierno del ministro Maroni affermando che il problema di Rosarno sia nato dal fatto che negli anni passati ci sia stata troppa tolleranza nei confronti degli immigrati clandestini e che questi si siano"allargati"pretendendo gli stessi trattamenti riservati agli italiani:Maroni che ripeto è una merda d'uomo,deve sapere che queste rivolte si moltiplicheranno e che accanto agli schiavi combatteranno sempre più italiani e che la lotta per avere una vita dignitosa non si ferma certo agli episodi di ieri.
Inoltre la deve capire che la parola"tolleranza"non c'entra nulla con la parola"rispetto"perchè senza quest'ultimo non vi è nessuna sopportazione,infatti la tolleranza zero predicata dal suo popolo leghista razzista e dal fascio redento Fini non ha portato risultati aggravando persino la situazione antecedente alla legge Bossi-Fini.
Per via di tutti questi fattori io appoggio la rivolta degli schiavi che dovrebbero però colpire i veri responsabili della loro situazione e non a casaccio prendendosela anche chi non è colpevole,ed in questo andrebbero educati ed istruiti da chi di dovere per avere un target più definito del nemico da abbattere.

Viaggio nella baraccopoli tra i raccoglitori di agrumi, sfruttatiper 12 ore al giorno per 20 euro. E si pagano pure il trasporto.
Nel rifugio-lager di Rosarno"Viviamo tra i topi e la paura"
Per i lavoratori nessun contatto con le istituzioni. Unici interlocutori i medici di MSF.

ROSARNO (Reggio Calabria)- I sopravvissuti alle odissee che hanno dovuto affrontare per arrivare fin qui, in fuga da paesi in guerra o stremati da ingiustizie e povertà, derubati e minacciati dalla teppa internazionale che governa il traffico dell'emigrazione africana, ora sono qui. Alloggiano alla "Rognetta", dentro baracche di cartone e bambù, nell'ex deposito alimentare diroccato, senza neache il tetto, in pieno centro di Rosarno - paese commissariato per infiltrazioni mafiose - a poche decine di metri dalla scuola elementare, in mezzo al fango, ai topi e a una carcassa di montone, sgozzato qualche giorno fa da un macellaio magrebino. Sono qui a centinaia, tutti giovani dell'Africa sud sahariana e magrebini solo perché, in questo periodo dell'anno, sono la mano d'opera più ambita nella zona, dove è tempo di raccolta di agrumi. Ogni mattina i pullmini dei caporali si presentano davanti alla "Rognetta", o nell'ex cartiera abbandonata di S. Ferdinando (paese vicino, anche questo commissariato) dove vivono assiepati come maiali da macello più di settecento persone, in condizioni igieniche spaventose dentro baracche puzzolenti, due metri per tre, con quattro, cinque o sei letti.
Ognuno di loro, a parte le revolverate di qualche cittadino locale, ha finora imparato a conoscere il nostro Paese senza mai incontrare neanche un rappresentante delle pubbliche istituzioni. Gli unici presenti sul posto sono quelli di Medici Senza Frontiere (MSF), qui da settembre con un presidio sanitario d'emergenza, identico a quelli che sono abituati ad allestire in tutto il mondo nelle zone più difficili, impervie e pericolose, come lo Zimbawe, il Mianmar, il Nord Kivu, il Darfur. Distribuiscono sacchi a pelo e garantiscono l'assistenza sanitaria a gente che letteralmente non ha più nulla, se non le braccia per lavorare fino a 12 ore al giorno per 20 euro, in mezzo ai campi di arance, dove per arrivarci devono anche pagare il trasporto: due euro e mezzo all'andata e altrettanto per il ritorno.
"Le patologie più frequenti - dice Saverio Bellizzi, un giovane medico di MSF, ematologo, ma già con lunga esperienza sul campo in Vietnam - sono le difficoltà di respirazione, dovute al freddo, ma soprattutto al fumo prodotto dal fuoco che accendono nel capannone, tra le baracche di cartone, per cucinare e riscaldarsi". Diffusi anche problemi di depressione: "Molti di loro - dice Cristina Falconi, responsabile del progetto MSF nella zona - vicono questo degrado come una sconfitta dalla quale non si riprenderanno più. quando telefonano a casa dicono che va tutto bene e sono proprio queste bugie che dicono anche a se stessi, a renderli ancor più tristi". "Se venite in Ghana, nel mio paese, siate certi che non vi tratteremmo così" dice con orgoglio Edward, 27 anni, di Accra, che si elegge a portavoce. "Se ci devono far vivere come animali in gabbia, tra i topi e la paura della gente che fuori di qui ci spara pure addosso, perché ci chiamano per raccogliere le arance? Si decidano: o serviamo, e allora vorremmo essere trattati un po' meglio e lavorare dignitosamente, oppure ce ne torniamo nei nostri paesi. Qui non ha più senso stare".

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