martedì 12 gennaio 2010

RAZZISMO E PAURA

Se lo dice pure il quotidiano del Vaticano che in Italia il seme dell'odio razzista sia ancora ben radicato nonostante la batosta ricevuta dal mondo intero durante e dopo la seconda guerra mondiale allora sarà anche vero,perchè"L'Osservatore romano"è lo strumento del papa Nazinger e di tutti i vescovi per diffondere scomuniche e maledizioni,e questa Volta non è capitato a comunisti e gay,scienziati e ricercatori,abortisti ed eutanasisti.
E'successo che l'anatema sia stato scagliato contro la tirannia al potere in Italia,contro l'attuale governo che enfatizza il problema della clandestinità e dell'immigrazione a fronte di magagne ben più gravi e radicate sul nostro territorio come la malavita organizzata mafiosa che vede nei politicanti stessi la cupola di rappresentanza nel tessuto sociale italiano.
Il primo contributo è tratto da"Repubblica"in cui si fa riferimento all'articolo di Giulia Galeotti che propongo per intero successivamente:la memoria sta scemando e la paura indotta dal regime in modo inverso aumenta facendo dell'odio verso il diverso,contro l'ultimo nella scala sociale il proprio spot elettorale carico di xenofobia ormai non più strisciante.

"Italiani razzisti". Anatema dell'Osservatore romano contro l'ìntolleranza.

Su Rosarno dura presa di posizione del quotidiano della Santa Sede.
Epifani lancia l'allarme: "Ci sono altre polveriere pronte a scoppiare".
L'Osservatore romano accusa"Gli italiani ancora razzisti".
Bersani: "La Bossi-Fini non funziona".
E Tosi propone l'invio dell'esercito.

ROMA - I fatti di Rosarno continuano a far discutere. E a scendere in campo, oggi, è anche L'Osservatore romano, che pubblica un duro atto d'accusa verso il razzismo degli italiani. Nell'articolo del quotidiano ufficiale della Santa Sede si compie un rapido excursus storico sulle radici dell'intolleranza nei primi decenni dell'unità d'Italia, per poi concludere: " Nel 2010, invece, siamo ancora all'odio. Ora muto, ora scandito e ritmato dagli sfottò, ora fattosi gesto concreto".
Ancora, nel lungo servizio dal titolo "Gli italiani e il razzismo, Tammurriata nera" e firmato da Giulia Galeotti, si legge: "Oltre che disgustosi, gli episodi di razzismo che rimbalzano dalla cronaca ci riportano all'odio muto e selvaggio verso un altro colore di pelle che credevamo di aver superato". "Per una volta - prosegue il testo - la stampa non enfatizza: un viaggio in treno, una passeggiata nel parco o una partita di calcio, non lasciano dubbi".
Il testo del quotidiano della Santa Sede viene pubblicato dopo che il Papa domenica ha chiesto rispetto per gli immigrati e che il Segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, aveva parlato delle drammatiche condizioni di vita in cui si trovavano gli immigrati nell'area di Rosarno.
Ma non c'è solo la presa di posizione vaticana. A lanciare l'allarme, sempre oggi, è il segretario della Cgil Guglielmo Epifani: "Di Rosarno - avverte - ne abbiamo tante, pronte a scoppiare. Sono problemi da tempo segnalati; sono dieci anni che la Cgil sta conducendo una battaglia. "Non è il sindacato il problema; il problema è chi per tempo ha chiuso gli occhi e ha fatto finta di non vedere".
Secondo Antonio Di Pietro, a Rosarno c'è stata "la rivolta degli schiavi" perchè all'origine "ci sono stati i negrieri del 2000, che hanno sfruttato e stanno sfruttando il lavoro nero e che nessuno vuole fare". Per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, "la legge Bossi-Fini e la sua applicazione non sono adeguate ad affrontare il problema del lavoro per gli immigrati". Per il sindaco leghista di Verona Flavio Tosi, invece, il problema è che "la Bossi-Fini è stata applicata poco e male e Rosarno lo dimostra. Serve un intervento forte dall'esterno, con la presenza dello Stato che deve mandare l'esercito, le forze dell'ordine, la forza della magistratura".
E quanto alla cittadinanza per gli immigrati, a pronunciarsi contro un iter breve per ottenerla - cinque anni, invece degli attuali dieci - è il sindaco di Roma Gianni Alemanno: "Deve essere un risultato dell'integrazione e non uno strumento per ottenerla".

Gli italiani e il razzismo.
Tammurriata nera
di Giulia Galeotti
Oltre che disgustosi, gli episodi di razzismo che rimbalzano dalla cronaca ci riportano all'odio muto e selvaggio verso un altro colore di pelle che credevamo di aver superato. Per una volta, la stampa non enfatizza: un viaggio in treno, una passeggiata nel parco o una partita di calcio, non lasciano dubbi. Non abbiamo mai brillato per apertura, noi italiani dal Nord in giù. Né siamo stati capaci di riscattarci, quando il "diverso" s'è fatto più vicino, nel mulatto, a prescindere dalle diversissime cause per cui ciò è avvenuto. Sia stato il risultato di un atto d'amore o, invece, di uno stupro, ben difficilmente abbiamo considerato quel bambino come nostro, al pari dei nostri. Anzi, la doppia appartenenza è sembrata (e continua a sembrare) una minaccia ulteriore. In questo, davvero a nulla è servito l'esempio americano: l'Obama-mania che imperversa trasversalmente, dalla politica all'arte, dallo stile al linguaggio, non ha invece fatto breccia alcuna nel dimostrare il valore dell'incontro tra razze diverse. Le esperienze coloniali del Regno d'Italia di problemi ne avevano posti diversi da subito. Integrando di fantasia, già Pirandello aveva raccontato - in Novelle per un anno, Zafferanetta - di una Norina Rua della Sabina, che accettò di sposare il giovane Sirio Bruzzi, pur sapendo della figlia di cinque anni che gli aveva "laggiù", a Mokàla in Congo. E accettò anche, la poverina, che l'uomo facesse salire in Italia "quel fiore selvaggio della sua vita avventurosa" a vivere con loro. Titti, alias Zafferanetta (come la ribattezza la cameriera) arriva quando la Norina è già incinta di un mese, e l'incontro tra la donna e la "pupattola ramata" non promette nulla di buono (presagendo quel che sarà). Sirio "le entrò in camera con le braccia e le gambe di quel mostriciattolo avviticchiate al collo e al petto. Non vide dapprima che queste gambe e queste braccia, gracili, color zafferano, e i capelli ricci, gremiti, piuttosto lunghi, boffici e quasi metallici. Quand'egli alla fine riuscì a sviticchiarla da sé, parlandole in quello strano linguaggio infantile, ed ella potè vederle la faccia, anch'essa color zafferano, con quel casco di capelli ricci d'ebano quasi soprammessi, la fronte ovale, protuberante, gli occhioni densi, truci, fuggevoli, smarriti, il nasino a pallottola e i labbruzzi divaricati, non tumidi, un po' lividi, si sentì gelare: istintivamente compose il volto a una espressione di pena e di raccapriccio". Né, dopo la prima impressione, le cose migliorano. "Teneva le labbra serrate e le manine rattratte, e vibrava tutta ad ogni minimo rumore. (...) Doveva essere invasa dallo sgomento quell'animuccia selvaggia. Norina stava a mirarla in silenzio, quando Sirio non c'era; e, mirandola, s'accorgeva che veramente (...) non era poi tanto brutta: solo la tinta, quella tinta ramata, incuteva ribrezzo. E Zafferanetta, immobile, seduta su una sediola di bambù, si lasciava mirare". Con Mussolini l'avversione al mulatto assume una veste inedita. Nel 1938, per esempio, un processo per procurato aborto vede alla sbarra la giovane nubile che vi s'è sottoposta, insieme con l'infermiera che l'ha praticato. Se la corte sarà reggimentalmente severa con quest'ultima ("bisogna stroncare questa forma di attività che a scopo di lucro è così esiziale alla integrità della stirpe e agli interessi vitali della Nazione che sono legati alla potenza demografica"), nei confronti della giovane il tono è, evidentemente, ben diverso. "Merita grande pietà per un particolare intimo venuto in luce in udienza, e cioè che avendo avuto rapporti con un negro, autista della delegazione di Cuba, maggiore sarebbe stato il suo disonore se il prodotto del concepimento fosse venuto alla luce". Il clima post bellico, per evidenti ragioni, coinvolge anche i mulattini. Se ne parlò già in Assemblea costituente, tra gli altri, il 21 aprile 1947, durante un intervento del repubblicano Aldo Spallacci (medico-chirurgo). "Dovremmo noi restare indifferenti a quegli incroci tra razza bianca e razza nera, che hanno tanto preoccupato la nazione inglese? Lungi da noi il pensiero di razza inferiore o razza superiore. Questi incroci tra razze, che hanno scarsa affinità, non sono fatti per migliorare il nostro tipo umano. I mulatti sono scarsamente resistenti al logorio ambientale dei nostri climi e molto vulnerabili al dente delle malattie. Su queste creature noi ci curviamo con la stessa trepidazione con cui ci curviamo sopra tutte le culle, come davanti a un punto interrogativo del mistero della vita. E pensiamo, col rossore sul volto, che questo colore italo-nero nelle guance di questi bimbi rappresenta il senso di abiezione della patria; e questo senso di tristezza lo sentiamo tutti quanti nel cuore, come senso angoscioso di responsabilità per tutti. A un dato momento questa ondata di corruzione è passata sul nostro Paese, perché, oltre alle violenze delle truppe saccheggiatrici, liberatrici, ossessionate dal sensualismo, c'è stata anche la prostituzione e la corruzione. Noi ci volgiamo a questi illegittimi collo stesso sguardo con cui guardiamo tutti gli altri nostri bambini". Uno sguardo di cui, in realtà, in pochissimi furono capaci. Tra questi, un uomo alto ed elegante, don Carlo Gnocchi e la sua fondazione Pro Juventute, da lui creata proprio per dare cura, assistenza e formazione - tese profeticamente all'integrazione sociale - a "orfani di guerra, mutilatini, mulattini, tutte vittime innocenti della barbarie umana". Con ottica ben distante, nel 1949 il deputato Silvio Paolucci aveva presentato una proposta di legge volta ad aggiungere all'articolo 235 del Codice civile, che regolava il disconoscimento di paternità, una nuova ipotesi: quella in cui il figlio risultasse di razza diversa da quella del marito della madre. Un tempismo quasi obbligato: proprio nel 1949 aveva suscitato enorme scandalo la decisione dei giudici di Firenze di rigettare la domanda di un padre toscano che aveva chiesto di disconoscere il figlio di colore. Per fortuna, comunque, ci aveva pensato Napoli, dove nel 1945 Edoardo Nicolardi - all'epoca dirigente di un ospedale cittadino - aveva scritto la celeberrima Tammurriata Nera. Nel vivace botta e risposta con la gente del vicolo, il protagonista-spettatore commenta un fatto "strano", la nascita di un bambino nero da una ragazza partenopea. Nella canzone lo stupore per un fenomeno nuovo ("io nun capisco 'e vvote che succede / e chello ca se vede nun se crede / è nato nu criaturo è nato niro") e diffuso ("sti cose nun so' rare se ne vedono a migliare"), viene spiegato in modo affascinante e singolare: "'e vvote basta solo 'na guardata / e 'a femmina è rimasta sott''a botta impressionata". Interviene quindi il parularo: poco importa che sia dalla pelle bianca o nera, rimane una creatura. "Addó pastíne 'o ggrano, 'o ggrano cresce: riesce o nun riesce, sempe è ggrano chello ch'esce!". Nel 2010, invece, siamo ancora all'odio. Ora muto, ora scandito e ritmato dagli sfottò, ora fattosi gesto concreto.

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