mercoledì 29 aprile 2020

NOI COME CAVIE,INTANTO IN GERMANIA...


Coronavirus. La Germania in soli dieci giorni è pronta alla fase ...
Non si hanno buone notizie dalla Germania dove dallo scorso lunedì,nella sorta di gara a chi riapre prima,si sta tentando di normalizzare le riaperture lavorative e sociali,visto che il contagio è aumentato nonostante il tasso di mortalità rimanga il più basso(vedi:contropiano la-germania-ha-gia-riaperto-le-porte-al-contagio )
Il tasso di contagiosità invece è passato dallo 0,7 all'1%,praticamente ogni persona che ha il Covid-19 ne infetta un'altra,e questa soglia va comunque bene per chi vuole fare credere che la pandemia sia sotto il controllo:come da noi anche la Germania ha le congreghe di padroni come Confindustria che hanno pressato per la ripartenza.
Che da noi avverrà il prossimo lunedì ed il secondo contributo(www.open.online fase-2-capo-task-force-colao )parla delle dichiarazioni del manager(già questo è assurdo,in mano ad un dirigente d'azienda e non a scienziati)della ripartenza Colao che candidamente afferma che il 4 maggio sarà il test generale per le ripartenze graduali,e dietro a questo nasconde la concreta possibilità di migliaia di infettati e altrettanti morti,si parla di test utilizzando le persone come cavie,assurdo.

“La Germania ha già riaperto!”… le porte al contagio.

di  Dante Barontini 
“Ripartire, riaprire”… Il grido di Confindustria e Confcommercio – con tanto di minacce di scendere in piazza – risuona in tutta Europa (ognuno ha una Confindustria, da queste parti) e portato tutti i paesi a pianificare un via libera alle attività produttive e commerciali piuttosto anticipato rispetto alle indicazioni dei comitati scientifici (questi, sì, tutti compatti nello sconsigliare la fretta).

Tra gli esempi più citati – da Carlo Bonomi, neo-boss di Viale dell’Astronomia, o dall’eterno Carlo Sangalli – c’è ovviamente la Germania. Mito di efficienza, (ordo)liberismo, scientificità, sburocratizzazione, governi stabili…

E in effetti la Germania ha riaperto molte attività da lunedì scorso, 20 aprile, sollevando l’invidia e la rabbia degli imprenditori di casa nostra, anche se in realtà il 60% delle imprese – qui – non ha mai chiuso. Nemmeno a Bergamo o a Brescia, mentre pile di bare venivano portate via dai camion dell’esercito…

“Facciamo come in Germania”, insomma… C’è solo un piccolo problema. Berlino ha in effetti riaperto molte porte, ma soprattutto quella del contagio.

In pochi giorni il tasso di contagiosità – che era sceso a 0,7 – è risalito a 1, ovvero ogni persona infetta ne contagia un’altra. E’ il limite al di sotto del quale si può ragionevolmente ritenere un’epidemia “sotto controllo”, ma sicuramente non “battuta” (in questo caso sarebbe zero).

Questo indicatore è stato assunto come parametro da chi – tutti i governi dell’Occidente capitalistico – ha preteso di “conciliare la produzione con la salute”, riuscendo nel fantastico risultato di perdere su entrambi i fronti.

Ma anche ammesso – e non concesso – che questo indicatore sia davvero utile, bisogna prendere atto che anche una controllata riapertura di più attività comporta un rapido aumento dei contagiati e dei morti.

Ed infatti anche il tasso di mortalità per la malattia è aumentato di giorno in giorno. Secondo i dati del Robert Koch Institute, l’altroieri ha raggiunto il 3,8%, comunque il più basso del mondo.

Su questo punto i dati tedeschi sono stati guardati con sospetto fin dall’inizio: troppo pochi i morti rispetto ai contagiati, un tasso diverso da tutti gli altri Paesi. E troppo giovani le vittime, come se venissero conteggiati soltanto i morti di solo coronavirus (senza insomma tener conto della pluripatologie, tipiche dei più anziani).

La graduale ripartenza era stata abbastanza sostanziosa. Oltre alle fabbriche – mai fermate del tutto – hanno riaperto i negozi con una superficie inferiore agli 800 metri quadrati, concessionarie di auto, negozi di biciclette e librerie. In Sassonia erano state riaperte anche le scuole.

Non ci vuole uno scienziato per capire che, oltre a più lavoratori in giro, sono aumentati anche “i clienti” (ognuno di noi ricopre del resto più ruoli nella stessa giornata…). E quindi si sono moltiplicate esponenzialmente le occasioni quotidiane di contatto e contagio.

In più, anche in Germania sta esplodendo il caso dei focolai di Covid-19 nelle case di riposo per anziani, che hanno fatto rapidamente salire il tasso di mortalità, avvicinandolo un po’ di più a quello realistico.

Oggi anche nel primo paese d’Europa i contagiati ufficiali sono quasi 160.000, mentre i morti hanno superato i 6.000.

Lo stesso presidente del Robert Koch Insitute ha dunque voluto insistere nella raccomandazione planetaria: rimanere a casa il più possibile e osservate il distanziamento sociale di almeno un metro e mezzo.

Ma non ha osato criticare pubblicamente le decisioni governative, sia sulla riapertura che sulle modalità di protezione individuale. In Germania, in questi giorni, resta il divieto di contatto tra persone, ma soltanto da lunedì è obbligatorio indossare mascherine nei negozi e sui mezzi di trasporto pubblico. Non proprio un esempio di efficienza da mostrare al mondo.

Ora sono in dubbio le altre riaperture già previste, a partire dal 4 maggio, proprio come in Italia. Nel piano originale anche le scuole dovrebbero riaprire per questa data, addirittura in tutti i Land.

Nel paese guidato da Angela Merkel, gli occhi sono ora puntati al prossimo incontro fra governo e Lander, fissato per giovedì. L’Esecutivo ha chiarito ieri di non voler procedere ad una accelerazione dell’allentamento delle misure restrittive, ma la pressione politica ed economica (gli imprenditori, insomma) sale e anche lì il dibattito sul punto è molto acceso.

Pure la Francia, ieri, ha innestato il freno a mano sulle scadenze del “ritorno alla normalità”. “Se gli indicatori non saranno rispettati, non faremo nessuna riapertura l’11 maggio“,  ha detto il premier francese, Edouard Philippe, presentando il piano di riapertura in Parlamento. Tra gli indicatori nominati c’è il numero dei nuovi contagi al giorno, che “deve mantenersi fra i 1.000 e i 3.000“. Non pochi, ma attualmente Parigi ne conta parecchi di più.

Le stesse preoccupazioni, del resto, sono state mostrate da Giuseppe Conte, al centro della canea di destra (i “due Matteo”, Renzi e Salvini, su tutti) che pretende riapertura totale immediata, lamentando “timidezza” e eccessivo ascolto degli scienziati.

Non a caso, il rapporto consegnato al governo italiano dal Comitato tecnico scientifico prevedeva che nel caso di riapertura totale (scuole comprese) ci sarebbero stati 151.000 malati in terapia intensiva e oltre 430.000 ricoverati… Riaperture_report

Un disastro di proporzioni immani, cui lo sconquassato – dai tagli – sistema sanitario nazionale non potrebbe mai reggere. E neanche quello tedesco…

Ascoltando i ragionamenti dei virologi, del resto, l’avevamo candidamente previsto: dove comandano le imprese, il virus festeggia.

Date retta alle Confindustrie, vedrete che futuro radioso…

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Fase 2, il capo della task force Colao: «È un test per ripartire a ondate». Se fallisce, subito micro-zone rosse.

di Giovanni Ruggiero
Secondo il manager chiamato dal premier Conte per progettare la ripartenza non ci potrà essere un approccio unico per tutte le regioni, nel caso di un ritorno della crescita dei contagi. Serviranno interventi rapidi, ma senza condivisione delle informazioni tra le istituzioni, sarà tutto inutile

Se la Fase 2 entrerà o meno nel vivo dipenderà tutto dalle prime due settimane di maggio, quando quattro milioni e mezzo di italiani saranno tornati a lavoro. Il capo della task force del governo sull’emergenza Coronavirus, Vittorio Colao, parla ad Aldo Cazzullo Corriere della sera di un «test importante» al quale si prepara il sistema Italia, con la prospettiva che, senza nuove ondate di contagi, si possa procedere a «una riapertura progressiva e completa».

Il pericolo però che tornino a salire i contagi è dietro l’angolo, a quel punto il consiglio del manager è di evitare gli interventi in ordine sparso tra regioni e governo nazionale, come di fatto è successo finora, ma puntare a piccole e definite “zone rosse”: «L’approccio dovrà essere microgeografico: occorre intervenire il più in fretta possibile. Abbiamo indicato al governo un processo. L’importante è che le misure siano tempestive, nella speranza che non siano necessarie». L’obiettivo è evitare il metodo usato sin dall’inizio della Fase 2, che tratta tutte le regioni allo stesso modo, a prescindere dalla gravita della propria situazione: «Nel lungo termine non li si può gestire allo stesso modo – dice Colao – L’importante è che l’Italia si doti di un sistema per condividere e informazioni». Tra le righe, insomma, un appello a uscire dai singoli interessi territoriali.

Le condizioni per ripartire

Tre sono i punti indicati dalla task force al governo perché le riaperture siano possibili: «La prima – spiega Colao – il controllo giornaliero dell’andamento dell’epidemia. La seconda: la tenuta del sistema ospedaliero, non solo le terapie intensive, anche i posti letto Covid. La terza: la disponibilità di mascherine, gel e altri materiali di protezione». E poi c’è la discussa app Immuni, che potrebbe diventare uno strumento importante per informare in modo capillare gli italiani sui rischi di contagio, quindi servire a renderli più liberi: «Potrà servire se arriva in fretta – chiarisce il manager – e se la scarica la grande maggioranza degli italiani. È importante lanciarla entro la fine di maggio, se quest’estate l’avremo tutti o quasi, bene; altrimenti servirà a poco».

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