Per alcuni l'obbligo di stare a casa è un tempo ritrovato,un ritaglio nello spazio che di solito viene riempito dal lavoro per passare giornate con la famiglia,con i bambini se ci sono e un modo di vivere meglio questa segregazione forzata dalle norme in atto.
Per altri invece questo è un problema e in alcuni casi proprio di vita o di morte,in quanto la violenza sulle donne e le morti sono ancora presenti nelle cronache dei telegiornali a margine delle notizie sul coronavirus.
La convivenza forzata è fattore scatenante di un'amplificazione degli attriti che ci sono nella vita di coppia e che in menti malate sfociano nella violenza verbale e fisica,scatta in alcuni uomini la molla della follia e passare della parole pesanti a calci e pugni è solo questione di attimi.
Nei due articoli di oggi(contropiano casa-dolce-casa-e-giu-botte e ilfattoquotidiano violenza-sulle-donne-durante-coronavirus )l'aumento delle richieste d'aiuto di donne in difficoltà ma anche di figli e di parenti,che è un problema di tutto il mondo,e che in Italia per essere contrastato anche in situazioni emergenziali:ci sono numeri di telefono come il 1522,il numero anti violenza e stalking,oltre che contattare le forze dell'ordine.
E' maggiormente difficoltoso per le donne anche solamente mandare un messaggio o chattare e parlare con i volontari di questo centro e degli altri sparsi su tutto il territorio,il cancro della gelosia possessiva e violenta rende l'uomo una bestia che vuole il controllo di tutto e davvero in certi casi anche mandare un solo sms può essere veramente un'impresa ma lo si deve fare,si deve cercare aiuto perché di mezzo c'è sia la sanità e la sicurezza fisica oltre che quella mentale.
Perché i numeri sono spaventosi,e azzardando una percentuale dei contatti che una persona ha su un social tipo Facebook,essa può avere decine di contatti di donne che subiscono violenze di ogni sorta e ovviamente anche lo stesso numero di uomini che scaricano la propria pochezza d'animo e la loro frustrazione su di loro.
Casa dolce casa… e giù botte.
di Leo Essen
Per molte donne, soprattutto in questo periodo di segregazione forzata, la casa, invece di essere un luogo sicuro, sta diventando la sede di piccole e grandi violenze fisiche, psicologiche ed economiche.
I delitti, la rabbia, la gelosia, la violenza contro le donne sono commessi quasi esclusivamente da padri, mariti, partner, familiari e conoscenti. Non si tratta solo di stalking o revenge porn, si tratta di botte, di pugni, di schiaffi e calci, di sedie tirate in testa, di lividi, di costole ammaccate, di occhi neri, di denti rotti, di fratture, di violazioni sessuali.
A causa del confinamento coatto, Lele, una donna cinese di 26 anni, della provincia di Anhui, nella Cina orientale (nytimes.com), è stata costretta dal marito ad affrontare discussioni e polemiche continue. Conosciamo bene la situazione. Siamo tutti arrivati sull’orlo in cui la deduzione logica, quasi pedagogica, o il sillogismo forzato e la guerriglia retorica, reclamano il passaggio all’azione.
Il primo marzo, Lele era in cucina, con il figlio di 11 mesi in braccio, il marito ha iniziato a colpirla con un seggiolone. Alla fine una gamba ha ceduto ed è caduta a terra, sempre tenendo il figlio stretto al petto. Una foto della scena mostra le assi di metallo del seggiolone spezzate, e le gambe di Lele completamente coperte di lividi ed ematomi.
Durante l’epidemia, racconta Lele, non potevo uscire, i conflitti sono diventati sempre più grandi e sempre più frequenti. Anche telefonare era impossibile, ero sorvegliata a tutte le ore.
Nel Regno Unito le telefonate alla hotline nazionale per segnalazioni di abusi e violenze sono aumentati del 65% (bbc.com).
Negli USA, Kai, un’adolescente abusata dal padre, viveva a New York con la madre. La donna sbarcava il lunario come commessa in un negozio. Quando il negozio è stato chiuso, e la donna è rimasta senza assicurazione sanitaria, ha cominciata a soffrire di disturbi mentali. La figlia è stata costretta a trasferirsi dal padre. Pensavo, dice Kai, che le cose con il virus si sarebbe messe a posto in pochi giorni, e invece non passa.
Solo pochi mesi prima Kai aveva iniziato una terapia per riprendesi da anni di abusi fisici e sessuali da parte di suo padre, abusi iniziati da quando era bambina. Adesso che le cose stavano andando bene, e la terapia stava cominciando a funzionare, ecco arrivato l’incubo della ritorno con il padre, aggravato dal confinamento.
In tutto il mondo i centri di sostegno alle donne vittime di violenza sono stati costretti a ridurre a zero i contatti fisici. In Francia, che ha uno dei più alti tassi di violenza domestica, 219 mila donne subiscono violenze fisiche e sessuali da parte dei partner.
Secondo quanto ha dichiarato il Ministro dell’Interno (Euronews), nella fase di lockdown, l’intervento della polizia a seguito di segnalazioni per violenza domestica è aumentato del 32% fuori Parigi, e del 36% a Parigi.
Nel 2018 il CADOM (Centro Aiuto Donne Maltrattare) di Monza ha accolto 274 donne maltrattate, ha fornito accoglienza volontaria per 5150 ore, più 670 ore di incontri sul territorio. Le violenze e i maltrattamenti provenivano per l’89% dal partner o ex-partner, per l’8% da familiari (genitore, fratello, figlio), e solo per il 3% da estranei. Il 31% delle donne è dovuta recarsi in pronto soccorso. Non c’è da stare allegri.
Per effetto della segregazione il CADOM ha dovuto sospendere i colloqui individuali con le donne. È rimasto attivo solo il soccorso telefonico. Ma per una donna segregata, telefonare è un problema. Mandare un messaggio o un vocale è un problema. Il telefono è una mano tesa a chi sta fuori. Ma il fratello grande, più spesso il marito, sono lì a sorvegliare e punire, a menare le mani, mani nodose, pesanti, reali, di quella realtà dura e feroce a cui tanti benpensanti vorrebbero che ritornassimo presto.
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Violenza sulle donne durante il coronavirus, in un mese oltre 1200 richieste d’aiuto in più ai centri. Nasce la chat per aiutare le vittime.
A segnalare l'aumento delle situazioni a rischio la rete D.i.Re. Per 806 di questi casi (il 28%) è la prima richiesta di aiuto. Per chi ha bisogno di sostegno in una situazione di clausura forzata ora è disponibile anche CitBot, il sistema di intelligenza artificiale in grado di rispondere alle domande sul tema.
di F. Q. | 16 Aprile 2020
Tra il 2 marzo e il 5 aprile, in piena emergenza coronavirus, le richieste d’aiuto delle donne ai centri antiviolenza della rete D.i.Re sono aumentate del 75 per cento rispetto all’anno precedente: 2.867 i casi segnalati, 1224 in più se paragonati alla media mensile registrata nel 2018 negli oltre 80 centri sparsi per l’Italia. Per 806 di questi casi (il 28%) è la prima richiesta di aiuto.
Ha deciso di scendere in campo, al fianco di Di.re, anche l’Associazione Luca Coscioni mettendo a disposizione CitBot, il sistema di intelligenza artificiale sviluppato da Revevol Italia in grado di rispondere alle domande sul tema. Si tratta di un servizio totalmente gratuito, pensato per fornire informazioni 24 ore su 24. Risponde a domande come: “Mio marito mi picchia, cosa posso fare? Come chiedere aiuto? Cos’è lo stalking? Come trovo un centro antiviolenza? Se sono in pericolo cosa posso fare? Cos’è la violenza maschile sulle donne?”. Ma CitBot è in grado di rispondere anche riguardo temi come testamento biologico, interruzione volontaria di gravidanza, immigrazione, fecondazione assistita, cure palliative, accesso Corte europea dei diritti umani, unioni civili, cannabis. Le risposte sono basate sulle informazioni ufficiali di Ministero della Salute, Organizzazione Mondiale della Sanità, European Centre for Disease Prevention and Control, e Ministero del Lavoro.
Sulla chat sono presenti anche due canali attivi riguardo al Covid-19. Uno “Coronavirus“, per informazioni generali sul virus, sulle precauzioni da prendere, le misure di contenimento; l’altro “coronavirus stress” sulla gestione dello stress e della emotività legata alla paura e al panico che un’emergenza come quella che stiamo vivendo può provocare.
A sostegno delle donne vittime di violenza durante la pandemia, però, sono diversi i canali di aiuto. Lo ha ricordato anche l’account twitter di palazzo Chigi: “Il Covid-19 ci costringe a stare a casa ma se per te e per i tuoi figli è solo un luogo di violenza e paura potete chiedere aiuto. Le case rifugio e i centri antiviolenza sono aperti. Chiama il 1522 oppure scarica l’app per chattare in sicurezza con un’operatrice #liberapuoi“. A fare le veci della campagna “Libera puoi” dal Dipartimento per le Pari Opportunità, i volti di Caterina Caselli, Paola Cortellesi, Marco D’Amore, Anna Foglietta, Fiorella Mannoia, Emma Marrone, Vittoria Puccini, Giuliano Sangiorgi e Paola Turci.
Il Covid-19 ci costringe a stare a casa ma se per te e per i tuoi figli è solo un luogo di violenza e paura potete chiedere aiuto. Le case rifugio e i centri antiviolenza sono aperti. Chiama il 1522 oppure scarica l'app per chattare in sicurezza con un'operatrice #liberapuoi pic.twitter.com/cUdxWXaVKy
Palazzo_Chigi (@Palazzo_Chigi) April 16, 2020
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