Per dovere di cronaca ho trovato interessante un articolo de"Il giornale"del sospeso Feltri (dall'albo dei giornalisti),che parla delle ultime dichiarazioni di Travaglio che si è spostato verso il nuovo ibrido della politica Fini che sembra ormai più vicino al Pd che al Pdl ma che in fondo resta sempre un fascista nero cresciuto da Rauti.
Le scarpe comode del titolo del post si riferiscono a quelle che il buon Travaglio teneva nella sua scarpiera,una rossa ed una nera,la prima indossata negli ultimi tempi e l'altra lì a farsi allargare perché diventata stretta ma che ora potrebbe tornare nuovamente comoda.
La premessa al contributo di Luigi Mascheroni è presa da Roma.Indymedia che va giù pesante con un antiberlusconista antesignano che ora grazie ai suoi ultimi contributi giornalistici vira verso destra abbandonando Di Pietro e comunque l'ala estremista contro il premier puttaniere.
Ma potrebbe anche darsi che ora appoggi Fini in quanto anticipi i tempi in cui l'ex capoccia dell'Msi e di An si scontri definitivamente con il criminale di Arcore,stiamo a monitorare bene la situazione valutando bene le azioni e le dichiarazioni agendo di conseguenza.
Travaglio torna all'ovile e toglie dalla naftalina la camicia nera.
Marco Travaglio getta la maschera, una maschera piccola piccola che non era abbastanza estensibile da coprirgli il pinocchiesco naso. Si toglie la giubba che aveva fatto tingere in fretta e furia di rosso, ma si sa che a colorare il nero non è impresa facile, lo sanno anche le massaie più inesperte (Padellaro) e poi infatti gli è sortita fuori una tonalità rosso-bruna, quel poco che era necessario a fare dell'antiberlusonismo una bandiera, un brand di mercato o un marchio di fabbrica. All'inizio il quasi compagno cellophanato medio, con tanti se e tanti ma, che legge l'Unità, giornale più o meno assimilabile ai suoi ex avversari, ci aveva creduto e ci era cascato con tutte le scarpe. Alcuni trovarono divertente che Travaglio potesse esercitare il suo fascino intellettualoide superpartes. Un po' come grillo, meno gridato, più scanzonato e soprattutto tanto televisivo. Alcuni videro in loro quello che loro non vedevano nemmeno lontanamente in se stessi, perché infondo non c'era. Tutto qui. Ora Marco Travaglio fa una sorta di OUTING dal braccetto spastico, il famoso braccetto a scatto che, una volta, si sarebbe visto solo nei pupazzi in vendita sulle bancarelle rionali. Gadgets maledettissimi che alcuni chiamano "collezionismo", scesi dritti dritti dalla soffitta, o meglio per riesumare una bella definizione di un tempo, risaliti dritti dritti DALLA FOGNA. Ma il ratto, si sa, si porta appresso la puzza, e ci vuol tempo prima che se ne liberi. Ammesso che se ne liberi. Ciao ciao marco.Qui sotto una citazione dei SUOI compari.
http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog...
http://www.ilgiornale.it/interni/travaglio_molla_di_pi...
Travaglio molla Di Pietro e ritorna da Fini.
Nel suo editoriale sul "Fatto" il giornalista "arruola" il presidente della Camera: "Ci serve vivo nei prossimi anni". La giravolta è completa: in nome dell'antiberlusconismo il giustizialista di "Annozero" si ricorda di essere di destra.
Bentornato a casa, Marco. L’avevamo sempre pensato che Marco Travaglio fosse un vero intellettuale di destra, e se a volte abbiamo avuto un dubbio, semmai era sul primo dei due termini, «intellettuale».
Comunque, noi del Giornale, dove Travaglio guadagnò i suoi primi stipendi, pagati - ironia della sorte e nemesi del moralismo - dall’editore Silvio Berlusconi, lo sapevamo che prima o poi quel giovane reazionario, clericofascista e furioso anticomunista (partito da una posizione a metà strada fra l’Msi e il tradizionalismo cattolico ed approdato ad una in bilico fra il giustizialismo giacobino e il terrorismo mediatico) avrebbe percorso a ritroso la strada incautamente abbandonata per tornare nella sua vecchia casa.
Giù in fondo, a Destra. Per un curioso e accidentato sviluppo di quel concetto che la filosofia chiama «eterogenesi dei fini», ossia il raggiungimento di esiti opposti a quelli che ci si era prefissi, il figliol prodigo è tornato a Fini. Chissà se lui lo rivede volentieri, poi. Ieri Marco Travaglio nel suo consueto editoriale sul Fatto Quotidiano ha dichiarato il suo futuro voto politico e ha investito ufficialmente il nuovo leader. Che non è più Di Pietro, e nemmeno De Magistris. Ma, appunto, Gianfranco Fini. La predica domenicale s’intitola metaforicamente «Il bacio della morte» ed è un argomentato suggerimento rivolto al presidente della Camera, avvistato due giorni fa a pranzo con Giuliano Ferrara.
Travaglio, in sostanza, dice al compagno Fini: stai lontano da lui, e per due ragioni. Primo, perché farsi consigliare da un «impiegato» del tuo peggior nemico - cioè Berlusconi - non è un’idea brillante. Secondo, perché Ferrara è il «maggior collezionista di fiaschi della storia moderna», uno che distrugge tutto ciò che tocca, uno la cui scia «è lastricata di cadaveri politici»: «Ogni volta che Ferrara esplode, il che accade a intervalli regolari sempre più ravvicinati, lui rimane illeso, ma tutt’intorno ogni forma di vita nel raggio di decine di chilometri si estingue per sempre».
E qui Travaglio infila nel suo sermone una decina di parabole, per ri-raccontare di quando Ferrara sposò la causa del comunismo, e si sa com’è finita; di quando si rifugiò nel Partito socialista a fianco di Craxi, e si sa come finì; di quando fu nominato ministro per i rapporti con il Parlamento del primo Governo Berlusconi, che finì nel giro di sette mesi; di quando nel Mugello si candidò contro Di Pietro, e finì trombato; di quando fondò la lista «No Aborto» e finì a uova in faccia, eccetera eccetera; e di come, ora, Ferrara rischia di finire da Fini. «Presidente sia gentile - è la preghiera di Travaglio - lasci perdere: ci serve vivo, nei prossimi anni». Più che un endorsement, un abbraccio.
E così il Fatto Quotidiano sdogana anche l’ultimo post-fascista, mentre il presidente della Camera dopo Repubblica e l’Unità conquista il foglio di Padellaro&Co., l’ultima roccaforte del giornalismo extraparlamentare. Ecco come la stampa d’opposizione diventò di regime. Che brutta fine. Del resto il lungo viaggio attraverso il fascismo di Marco Travaglio aveva conosciuto una tappa significativa già alcune settimane fa quando, in clima preelettorale, ospite a Tetris, disegnò un sorprendente scenario di fantapolitica in un irresistibile scambio di battute con il conduttore Luca Telese. «Immaginiamo che il Caimano non ci sia più. Il voto è tra Fini e D’Alema, chi voti?», chiede Telese. Travaglio, all’istante: «Fini». Telese: «Ah! Così senza pensarci neanche un attimo?». Travaglio: «Per forza. Dall’altra parte mi hai messo D’Alema». Il legittimo sospetto ora è che, anche senza D’Alema dall’altra parte, Travaglio abbia chiaro in mente cosa scegliere. E se sceglie Fini è perché chiunque in questo momento si dimostra un possibile antagonista del Cavaliere - come appare ogni giorno di più il Presidente della Camera - va politicamente bene.
Ma soprattutto perché, in fondo, Marco Travaglio non ha mai dimenticato dove gli batte il cuore. A destra. Bentornato a casa, Marco. Anche se non è detto che ti rivediamo volentieri, noi. Strane figure si vedono profilarsi all’orizzonte nell’Italia post-berlusconiana. Un giornalista di sinistra smarcatosi convenientemente a destra che si stringe sotto braccio a un politico di destra svoltato strumentalmente a sinistra. Il primo, ieri, dalle pagine del Fatto ha scoccato al secondo un bacio. Della morte. L’impressione, vedendo che fine fa chi trama alle spalle del Caimano, è che il primo finirà male. E il secondo invece pure.
Nessun commento:
Posta un commento