sabato 17 aprile 2010

MORTE EVITABILE SE FOSSE STATA ITALIANA


Questa vile faccenda che ha visto come protagonista una piccola bimba italonigeriana,Rachel di appena 13 mesi,è frutto della politica repressiva del regime italiano contro gli immigrati clandestini in quanto la piccolina è morta in quanto figlia di un uomo con regolare permesso di soggiorno ma che da alcune settimane aveva perso il lavoro,e quindi la procedura burocratica che prevede anche il riconoscimento di una tessera sanitaria per se stessi e per i familiari si era interrotta e quindi per un pezzo di carta Rachel è morta al pronto soccorso di Cernusco.
Inutili per ora le lamentele e l'immenso dolore del padre e della famiglia che hanno ricevuto la solidarietà di un paese intero e di molte persone che guardano per primo all'essere umano e non alla carta d'identità o al passaporto.
La vicenda è raccontata da questo articolo de"La Repubblica"postato da Lombardia.Indymedia in un crescendo di drammaticità fino all'epilogo luttuoso che il fatto di cronaca ha portato.
Questa triste storia italiana fa parte di un lungo percorso di nuove norme che di fatto trattano il clandestino alla stregua di un cane rabbioso da portare al canile(Cie)dove spesso viene picchiato,violentato e sodomizzato per poi essere nel migliore dei casi rimpatriato,nel peggiore venire ucciso in Italia(non dimentichiamoci dei profughi e dei richiedenti l'asilo politico che la vita la rischiano seriamente nei loro paesi d'origine).
Naturalmente le istituzioni stanno a guardare e plaudono a queste gesta proposte dal neoduce e pure la chiesa al massimo mugugna qualcosa per poi girarsi dall'altro lato,verso carne giovane.

Cure negate senza tessera sanitaria muore a 13 mesi bimba nigeriana.

Il documento e le cure negate a una piccola nigeriana perché il padre non aveva più il lavoro. Il caso all’Uboldo di Cernusco: la Procura apre un’inchiesta. E in duecento sfilano nelle vie di Carugate per protesta.

Rifiutata dall’ospedale perché le era scaduta la tessera sanitaria, una bambina nigeriana di 13 mesi muore poche ore dopo. Il padre, in regola con il permesso di soggiorno, aveva appena perso il lavoro e non poteva rinnovare il documento che forse avrebbe strappato la piccola alla morte. «Uccisa dalla burocrazia», dicono gli amici della coppia, che ieri pomeriggio in 200 hanno sfilato per le vie di Carugate, hinterland di Milano, dove la famiglia vive. «I medici avrebbero potuto salvarla se non si fosse perso tutto quel tempo e se le cure fossero state adeguate. Se fosse stata italiana questo non sarebbe successo», grida ora Tommy Odiase, 40 anni, in Italia dal 1997. Chiede giustizia mentre stringe la mano della moglie Linda, di nove anni più giovane.
La notte del 3 marzo la piccola Rachel sta male, è preda di violenti attacchi di vomito. I genitori, spaventati, chiamano il 118. Arriva un’ambulanza che li trasporta al pronto soccorso dell’Uboldo di Cernusco sul Naviglio. Il medico di turno, in sei minuti, visita la paziente e la dimette prescrivendole tre farmaci. «Non l’ha nemmeno svestita», racconta la mamma. Sul referto medico si leggono poche parole: «Buone condizioni generali». Sono riportati anche gli orari di ingresso, 00.39, e di uscita, 00.45. Il quartetto, con loro c’è anche la figlia più grande, di due anni e mezzo, gira in cerca della farmacia di turno. Ma le medicine sono inutili e alle 2 di notte l’uomo torna al pronto soccorso. Vuole che qualcuno si occupi della figlia, che sta sempre più male. «Il personale ci risponde che “la bambina ha la tessera sanitaria scaduta, non possiamo visitarla ancora o ricoverarla”», denuncia il 40enne. «Un fatto di una gravità assoluta — sottolinea l’avvocato della famiglia, Marco Martinelli — . Dobbiamo capire se esistono delle direttive precise per casi come questo».
In mano Tommy Odiase ha un permesso di soggiorno da residente da rinnovare ogni sei mesi ma che scade in caso di disoccupazione. Il nigeriano, per ottenere il rinnovo della tessera sanitaria propria e delle figlie, doveva presentare una serie di documenti che ne attestassero la posizione, fra i quali la busta paga dell’ultimo mese. Licenziato solo sei settimane prima, la pratica si è trasformata in un incubo.
Davanti al rifiuto dei medici, l’ex operaio diventa una furia. Urla, vuole attenzione. Qualcuno dall’ospedale chiama i carabinieri per farlo allontanare. Forse dall’altra parte della cornetta ricordano che pochi giorni prima all’ospedale di Melzo, stessa Asl, era morto un bimbo albanese di un anno e mezzo rimandato a casa dal pronto soccorso. L’intervento dell’Arma risolve momentaneamente la situazione: Rachel viene ricoverata in pediatria. Sono le 3 di notte, «ma fino alle otto del mattino nessuno la visita e non le viene somministrata alcuna flebo, nonostante nostra figlia avesse fortissimi attacchi di dissenteria e non riuscisse più a bere nulla», raccontano i genitori. Nel tono della voce rabbia e dolore si mischiano. La sera del giorno dopo la situazione è critica, tanto che oltre alla flebo accanto al letto spunta un monitor per tenere sotto costante controllo il battito cardiaco. Alle cinque e mezza il cuore della bambina si ferma, dopo 30 minuti di manovre di rianimazione viene constatato il decesso.
I carabinieri acquisiscono le cartelle cliniche, gli Odiase presentano una denuncia per omicidio colposo a carico dei medici e dell’ospedale, la Procura di Milano apre un’inchiesta con la stessa accusa contro ignoti. Ora si attendono i risultati dell’autopsia, pronti per il 12 maggio.

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