lunedì 23 dicembre 2013

TOCCARSI I COGLIONI

L'articolo di oggi che parla delle proposte di Renzi neo segretario nazionale del Pd in campo lavorativo non sono per nulla liete soprattutto se si pensa al clima natalizio:infatti più che altro nei suoi proponimenti ci sono minacce e un'ulteriore peggioramento dei diritti dei lavoratori spremendo di nuovo l'articolo 18.
Senza Soste parla dell'ennesimo portare avanti le politiche neoliberiste tanto care alla destra e a Confindustria,che necessariamente plaudono a questa insulsa proposta renziana che faciliterebbe sempre più i licenziamenti da parte dei padroni,con la semplice e pura cancellazione dell'articolo 18 per i neoassunti e per i primi tre anni e ci sarebbe l'ipotesi della nascita di un contratto unico di lavoro valido per tutti i mestieri.
Oltre al bene placito ottenuto da Squinzi e dalla destra per ora pure Cgil e Fiom sembrano non chiudere a questa politica che aumenterebbe indecentemente la disoccupazione e che metterebbe seriamente i lavoratori in uno stato di miseria sia lavorativa che sociale:andando avanti così(e in certi settori è già realtà)dovremmo lavorare senza indennità alcuna per quanto riguarda malattia,senza ferie e con orari e turni assurdi scelti dal padronato senza possibilità di metterci parola.
Un altro articolo preso da Infoaut descrive la stessa notizia ma con altri spunti(tra cui pure la paventata sospensione della Google tax che continuerebbe a non far pagare tasse a chi lucra e fa guadagni milionari nel web e che hanno sedi in paradisi fiscali):http://www.infoaut.org/index.php/blog/precariato-sociale/item/10087-job-act-il-mondo-del-lavoro-secondo-renzi .

Gli avanzi del nuovo: Renzi contro i diritti dei lavoratori e in difesa di Google. 
Il peggior lascito del ventennio berlusconiano si chiama Matteo Renzi. Nonostante il colpo di fulmine che ha provocato in Maurizio Landini, penso che il segretario del PD rappresenti l’ennesima riverniciatura delle politiche liberiste che ci han portato a questa crisi e che ora la stanno aggravando. Lo dimostrano i primi suoi atti di governo.
Il suo staff sta preparando un altro attacco all’articolo 18, quello che nell’Italia garantista solo verso i potenti suscita scandalo perché stabilisce che chi è licenziato ingiustamente, se il giudice gli dà ragione, deve tornare al suo posto di lavoro. Questo principio di civiltà ha già molte limitazioni, non si applica sotto i quindici dipendenti ed è reso nullo dalla marea di contratti precari. Inoltre con un accordo con il governo Monti CGIL CISL UIL hanno accettato di liberalizzare i licenziamenti cosiddetti economici, che in una crisi come questa significa via libera alla cacciata di tante e tanti. Ma nonostante questo ultimo atto di autolesionismo sindacale Renzi vuole di più.
Il progetto per il lavoro annunciato dal suo staff prevede la cancellazione dell’articolo 18 per tutti i nuovi assunti. In cambio verrebbero diminuiti i contratti formalmente precari. Questo per la ovvia ragione che essendo possibile il licenziamento a discrezione, il contratto precario perderebbe ragione d’essere. Se posso cacciarti quando voglio perché devo scervellarmi a trovare il contratto capestro più adeguato, semplicissimo no?
È ovvio che questo è solo un passaggio intermedio verso l’abolizione totale della tutela contro i licenziamenti ingiusti. Infatti se tutti i nuovi assunti saranno privi di quella tutela per un bel po’ di tempo, le aziende saranno interessate a chiudere e licenziare per riassumere senza diritti. E chi li dovesse mantenere sarebbe considerato un privilegiato da combattere. Il renziano Pietro Ichino sostiene anni che nel mondo del lavoro vige l’apartheid come nel Sudafrica prima della vittoria di Mandela. Peccato che così si faccia l’eguaglianza a rovescio. Come se in quel paese, invece che estendere ai neri i diritti dei bianchi, si fosse deciso di rendere tutti eguali togliendo quei diritti a tutti.
La soppressione dell’articolo 18 non è certo una novità. Da sempre in Italia è rivendicata dalle organizzazioni delle imprese quando non sanno che dire e fu tentata dal governo Berlusconi nel 2002. La CGIL di allora però riuscì a impedirla.
In Spagna i governi hanno da tempo liberalizzato i licenziamenti, e quel paese oggi è l’unico grande stato europeo con un tasso di disoccupazione superiore al nostro. In Francia ci provò il presidente Sarkozy a introdurre una misura simile a quella che piace oggi a Renzi. Fu fermato da una gigantesca protesta giovanile e popolare.
La seconda iniziativa del neoeletto leader è stata quella di mettersi di traverso rispetto a quella che è stata chiamata la Google tax. Cioè un tenuissimo provvedimento di tassazione sugli affari delle grandi multinazionali che operano nella rete e che hanno sede legale in paradisi fiscali. Queste società guadagnano miliardi da noi e non pagano un centesimo, come ha ricordato quel comunista di Carlo De Benedetti. E come soprattutto ricorda la Corte dei Conti, che da tempo afferma che la quota più rilevante dei tanti miliardi che mancano al fisco viene dalla elusione fiscale delle grandi società che giocano con le sedi legali all’estero.
Il progressista Renzi ha subito detto a Letta che questa tassa non s’ha da fare, e così è stato.
Viene da chiedersi, ma dove sta il nuovo in tutto questo? Sviluppare l’economia con la flessibilità del lavoro e la detassazione dei ricchi e delle multinazionali, è il principio guida delle politiche liberiste che hanno dominato negli ultime trenta anni. Siamo ancora qui, sono queste le “riforme”?
Se è così, il progetto di Matteo Renzi più che essere il nuovo che avanza, è l’avanzo di quel nuovo che ci ha portato al disastro attuale.
Giorgio Cremaschi
21 diembre 2013

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