mercoledì 4 dicembre 2013

IL DOTTORE DEL PALLONE

Nel secondo anniversario della morte del calciatore e compagno Socrates propongo un paio di buoni contributi di due siti che parlano di calcio e di politica,con l'esempio della Democracia Corinthiana che fece rivoluzionare l'idea del calcio come gestione e pure come gioco nel Brasile degli anni ottanta.
Il primo è preso dal blog"L'altro calcio"(http://laltrocalcio.blogspot.it/2013/06/socrates-democracia-corinthiana.html )mentre il successivo è di"Fùtbologia"(http://blog.futbologia.org/2013/07/essere-campione-e-un-dettaglio/ ).
Entrambi parlano del giocatore Socrates,uno dei massimi campioni sportivi brasiliani di tutti i tempi,e soprattutto dell'uomo,che durante la dittatura del Brasile seppe coniugare la lotta comunista con lo sport,emancipando i calciatori alle regole dettate da chi da sempre lucrava alle loro spalle stabilendo regole e princìpi dentro e fuori dal campo.
Un grande campione,il dottore,omaggiato dalla squadra di cui è rimasto il leader indiscusso anche dopo aver giocato in altri club,come si evince dal video di You Tube durante il minuto di raccoglimento dopo la sua morte dovuta ai suoi problemi con l'alcol,giusto due anni fa.

Socrates: democracia corinthiana.

 Voglio molto bene agli amici di calcioerivoluzione.blogspot.com, in quanto sanno proporre sempre degli articoli e di contributi di grande valore e di grosso effetto. Come questo di Angel Cappa di Cronica Popular dedicato al grande Socrates, il doutor, il calciatore e il compagno.
 Socrates Brasileiro Sampaio de Souza de Oliveira è stato un calciatore elegante, fine, di talento e carismatico. Non solo ha creato illusioni in tutto il mondo con una palla, ma ha contribuito - con la sua ideologia progressiva - a combattere la dittatura militare in Brasile che si era installata nel 1964 a seguito di un colpo di stato contro Joao Goulart e che è continuata fino alla metà degli anni '80. Adilson, quando si presentò al campo del Corinthias, aveva detto: "Il paese è in lotta per la democrazia. In caso di successo, il calcio rimarrà in disparte, perché anche nei paesi democratici il calcio è conservatore. Dobbiamo cambiare questo". I giocatori, in un primo momento, si guardarono perplessi, ma poi Socrates raccolse la sfida e con gli altri colleghi diede il via alla "rivoluzione" di cui aveva bisogno il calcio e la società. "Abbiamo abolito il processo che esisteva nel calcio, dove i presidenti impedivano ai giocatori di diventare adulti", ha rivelato Socrates. "Nei miei compagni di squadra, all'inizio, c'era ansia", ha detto, "non erano abituati ad esprimere la propria opinione e a decidere. Ma cominciarono ad imparare e si prepararono ad affrontare la propria professione e la propria vita". Si riunivano, discutevano e decidevano a maggioranza tutti i temi trattati. Per esempio, invece di ricevere premi per le vittorie, proposero di partecipare ad una percentuale dei ricavi e un altro della sponsorizzazione e della televisione. Questo denaro lo dividevano in parti uguali sia tra i giocatori sia con gli altri componenti della squadra, sia con i medici sia con l'autista dell' autobus della squadra. I dirigenti, inizialmente, si opposero ma poi non potettero fare altro che accettare la proposta vista la forza del movimento "guidato" da Socrates. A poco a poco acquisirono potere e arrivarono persino a stabilire loro stessi gli orari, il metodo e l'intensità degli allenamenti, il giorno della partenza e il mezzo di trasporto per le trasferte, rinforzi e anche l'allenatore. Scelsero la normalità e, per questo, era usuale vederli fumare o bere una birra. Distrussero il mito dell'esser concentrati prima di una partita. Fu di Socrates l'idea di incorporare uno psicologo ed elessero Flavio Gikovate, una delle eminenze della psichiatria in Brasile. Li aiutò a raggiungere il successo sportivo: vinsero due campionati e prima di una delle finali giocate, scesero in campo reggendo uno striscione con su scritto: vincere o perdere, ma sempre con democrazia. Perché temevano che una sconfitta annullasse o comunque diminuisse l'influenza del movimento. Vinsero con un gol di Socrates, che quell'anno fece 28 goals in 31 partite. "Quando siamo entrati in campo" disse Socrates, "ci giocavamo molto più di una semplice partita di calcio. Combattevamo per la libertà nel nostro Paese". Per questo i buoni risultati erano necessari. All'età di 30 anni, dopo aver respinto l'offerta della Roma, decise di accettare la proposta della Fiorentina e fare un'esperienza nel calcio italiano. I conservatori approfittarono della partenza di Socrates per riconquistare il potere nel club e mettere fine al movimento. Ma l'esperienza non è stata vana. "Sono sicuro che tutti i giocatori che hanno vissuto questa avventura sono meglio adattati socialmente che i giocatori di altri club", ha detto Socrates. Quando smise di giocare e dopo alcune esperienze come allenatore, ha continuato a praticare la medicina, scrivere canzoni e opere teatrali, e divenne consulente pedagogico di una scuola che aprì suo fratello Rai in una favela di San Paolo. Socrates, nonostante come calciatore si distinse per la sua immensa qualità, divenne celebre anche per il suo rifiuto ad accettare le regole del gioco e in particolar modo il fatto che il risultato venisse prima di tutto il resto. Socrates non ha mai perso né il piacere di giocare né il gusto di farlo nel miglior modo possibile. Tanto che, secondo la leggenda, dopo aver perso quella famosa partita con l'Italia nella Coppa del Mondo dell' '82, durante la quale il Brasile diede un meraviglioso spettacolo, e vedendo i suoi compagni di squadra molto tristi negli spogliatoi, avrebbe detto: "Va tutto bene. Abbiamo perso nient'altro. Ma lo spettacolo che abbiamo offerto non sarà mai dimenticato".
Essere campione è un dettaglio.


[Un nostro compagno, Dante Di Domenico, ha tradotto e sottotitolato per noi il documentario “Ser Campeão é Detalhe” (2011), “Essere campione è un dettaglio”. Dura circa 25 minuti e ve lo proponiamo qui con una breve presentazione. Buona visione.]

Per descrivere la storia recente del Brasile, della dittatura ultraventennale e dei fenomeni di cultura popolare che hanno portato alla sua caduta, servirebbero uno storico e un trattato storiografico. Ecco, io non sono uno storico, questo non è un trattato. Vi chiedo di perdonare sin da subito il tono del seguente articolo, che potrebbe risultare lacunoso, freddo e cronachistico. Tenetelo come introduzione agli eventi descritti con più cuore nel documentario che segue. Amen.
Nel 1963, nel Brasile schiacciato da una profonda crisi, il Ministro della Pianificazione Celso Furtado programma l’attuazione di una riforma agraria e la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere. Quelle riforme non avranno mai luogo: il 31 marzo del 1964 il colpo di stato militare del maresciallo Castelo Branco, appoggiato dagli USA, destituisce il presidente João Goulart.
Il regime dittatoriale governa il Brasile per venticinque anni. Durante quegli anni, l’attuale presidente Dilma Vana Rousseff Linhares partecipa attivamente alla lotta armata. È una guerrigliera e milita in organizzazioni come il Comando de Libertação Nacional o la Vanguarda Armada Revolucionária Palmares. Negli stessi anni Luiz Inácio da Silva lavora in fabbrica, fa carriera nel sindacato e partecipa alla fondazione nel 1980 del PT, il Partido dos Trabalhadores (Partito dei Lavoratori), eterogenea formazione di sinistra che non aderisce ad alcuna Internazionale, oggi alla guida del paese.
La prima elezione democratica diretta del presidente dall’inizio della dittatura avverrà nel 1989. Tuttavia già nel 1982 sono indette elezioni municipali e statali e, nel 1984, a seguito di grandi manifestazioni a Rio de Janeiro e San Paolo, il governo militare è costretto a concedere, per elezione non diretta, un presidente civile.
Negli anni della dittatura il mondo del futebol brazileiro ci presenta la più classica delle contraddizioni: Potere e Cultura popolare, a un tempo. Tutti conoscono il ruolo predominante che il futebol ricopre nella cultura popolare del Brasile, come in nessun altro posto al mondo. E naturalmente la dittatura e le lobby di potere controllano in massima parte la produzione di spettacolo calcistico.
Le stesse società di calcio sono una riproduzione su scala più piccola del modello secondo cui il paese è governato. La proprietà dei club più importanti è nelle mani di personaggi potenti legati alle gerarchie militari e ai quadri economici, che gestiscono i club con modalità autoritarie. Per esempio, è pratica comune la cosiddetta concentração (“concentramento”, termine derivato dal gergo militare): prima di ogni partita, indipendentemente dalla sua importanza, i giocatori sono rinchiusi per giorni in un hotel per una sorta di rigidissimo “ritiro” coatto, durante il quale sono sottoposti anche a lunghe discussioni politiche di indottrinamento.

Democracia Corinthiana.

In questo scenario irrompe la Democracia Corinthiana, come una nave rompighiaccio.
Il Corinthians, per esteso Sport Club Corinthians Paulista, è una delle più importanti squadre di calcio del Campionato Paulista, e ha sede nel bairro Tatuapé della città di São Paulo. È stata la prima squadra dei proletari in Brasile, fondata dai lavoratori delle ferrovie immigrati in anni in cui il calcio era ancora sport elitario, giocato e organizzato soprattutto da europei delle classi medie al lavoro nelle aziende inglesi.
All’inizio degli anni ’80, alcuni giocatori del club fondano il movimento Democracia Corinthiana. Assieme a Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, certamente il giocatore più noto e rappresentativo, ci sono Wladimir Rodrigues dos Santos e Wálter Casagrande Jr. In breve il movimento determina l’ingresso della squadra in autogestione: da quel momento ogni decisione, a partire dalle più elementari, è presa dai giocatori e dallo staff, in assemblee in cui si discute e si vota per alzata di mano. Ciascun voto ha lo stesso valore e tutti assieme deliberano per ogni decisione che riguarda la squadra, dalle questioni economiche alle divise, a cosa mangiare, all’utilità dei ritiri. Ragionano sul modo stesso di giocare in campo e adottano un modello secondo cui la squadra è un solo corpo, ogni giocatore completa il suo compagno. È l’opportunità per ciascuno di superare «la paura dell’io» e vincere assieme. I giocatori si dicono tra loro che «vincere è bello, ma vincere qui è ancora più bello. Perdere è duro, ma perdere qui fa meno male».
Il Corinthians ha avuto fino a quel momento una visibilità marginale. Con la Democracia Corinthiana la squadra acquista una centralità nuova. Da una parte i giocatori iniziano a giocare meglio, vincono parecchie partite e danno spettacolo. Il primo titolo in campionato non arriverà che anni dopo (1990), ma il Corinthians diventa un simbolo, lo spot più suggestivo per la “democrazia”, lo porta scritto sulla maglia. Il suo grande potere evocativo non si ferma ai tifosi, ma giunge a personalità influenti e a schiere di intellettuali.
La squadra adotta lo slogan “Ganhar ou perder, mas sempre com democracia” (“Vincere o perdere, ma sempre con democrazia”) e scendono in campo portando uno striscione che reca quelle parole. Nel 1982, in occasione delle prime elezioni municipali e statali, al fine di spronare le persone a recarsi al seggio, la squadra indossa la famosa casacca bianco-nera con sulle spalle la scritta «Dia 15 vote» («il quindici vota»). Nella fase finale di quella stagione i giocatori entrano in campo ballando e cantando una canzone di Gilberto Gil. Insomma, hai presente la “dittatura”? Ecco, è tutta un’altra musica.
Come sempre accade, quel processo di democratizzazione nel Brasile tra la fine degli anni ’70 e i primi ’80 ha avuto numerosi protagonisti. Tra questi, da fútbologi, viene facile riconoscere alla Democracia Corinthiana il suo ruolo di primissimo piano.

Nessun commento: