mercoledì 5 agosto 2009

L'INNSE...PRIMA

Prendo spunto dalle ultime vicende riguardanti l'Innse,che ha visto ultimamente il presidio permanente dell'area antistante la fabbrica e la protesta estrema di quattro operai e di un sindacalista Fiom,per fare un passo indietro e spiegare i preamboli della vicenda per arrivare a cosa sta succedendo in questi giorni in una delle aziende storiche di Milano.
E lo faccio grazie ad un paio di articoli cercati e trovati in rete:il primo tratto da Indymedia Lombardia a firma di Vittoria Oliva,che traccia le vicende antecedenti che hanno portato a questa situazione di crisi,mentre il secondo contributo è di Infoaut.org a firma di Mariangela Maturi(che aveva scritto l'articolo nello scorso febbraio per"Il Manifesto").
In poche parole l'Innse è un residuo dello smembramento dell'Iri,nata nel periodo del fascismo per salvare banche e aziende ad esse connesse e sopravvissuta nel dopoguerra e divenuta uno degli enti pubblici più importanti per fatturati e dipendenti del mondo intero:questo colosso che accorpava banche,Finmeccanica,Fincantieri,Rai,Sme,Alitalia,Stet,Autostrade e molto altro,in pratica è stato svenduto nel periodo di presidenza(dell'Iri)di Prodi(che poi nel suo governo tentò di riacquistare fallendo miseramente).
Tra queste ci fu per l'appunto l'Innse comprata per 700mila euro da un certo Silvano Genta che da subito cominciò a licenziare gli operai in esubero,che nel frattempo erano rimasti in 153,ed a vendere i preziosi macchinari guadagnando immediatamente milioni di euro(da qua il suo soprannome di"rottamaio").
Ora i dipendenti superstiti sono 49 e stanno lottando da mesi per la difesa del posto di lavoro,supportati da altri operai,studenti e compagni dei centri sociali,da chi ha a cuore oltre al proprio futuro anche quello degli altri senza farlo per avere un proprio rendiconto economico e d'immagine come in alcuni casi in cui si muovono i neofascisti di CasaPound.
Oggi mi ha fatto schifo l'articolo del giuslavorista Ichino sul Corsera,una merda d'uomo che prima crea il problema e dopo non sa più che pesci pigliare ed oltre a non scusarsi o tirarsi indietro dallo scellerato compito di aver dato vita al precariato lavorativo assieme alle altre merde di D'Antona e Biagi critica gli operai e sta dalla parte delle imprese e del padronato.
Solidarietà con tutti i lavoratori che si trovano in difficoltà perchè rischiano il posto di lavoro,rischiano la vita lavorando o che non percepiscono lo stipendio da molte mensilità.
Viva la lotta operaia contro i padroni ed i loro servi,in divisa e non.
I.R.I = Istituto per la Ricostruzione Industriale
ridefiniamola
I.D.I ... = Istituto per la Distruzione Industriale
Nel dopoguerra allargò progressivamente i suoi settori di intervento e fu l'ente che modernizzò e rilanciò l'economia italiana durante soprattutto gli anni '50 e '60; nel 1980 l'IRI era un gruppo di circa 1.000 società con più di 500.000 dipendenti. Per molti anni l'IRI fu la più grande azienda industriale al di fuori degli Stati Uniti d'America; nel 1992 chiudeva l'anno con 75.912 miliardi di fatturato ma con 5.182 miliardi di perdite.
Ancora nel 1993 l'IRI si trovava al settimo posto nella classifica delle maggiori società del mondo per fatturato con 67.5 miliardi di dollari di vendite.
Trasformato in società per azioni nel 1992, cessò di esistere nel 2002.La liquidazione
Le poche aziende (Finmeccanica, Fincantieri, Fintecna, Alitalia e RAI) rimaste in mano all'IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del Tesoro. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno 2000 l'IRI fu messo in liquidazione e nel 2002 fu incorporato in Fintecna, scomparendo definitivamente.*v*
Cose ignobili da far sapere:
la RESISTENZA dei dipendenti dell'INNSE.
Fabbriche, svendite d'imprese IRI, svendita dell'I.R.I. stessa e incentivi del governo Prodi (ex presidente I.R.I.) per rilanciare imprese già precedentemente svendute ... dal presidente IRI.
L'epoca Prodi
Nel 1982 il governo affidò la presidenza dell'IRI a Romano Prodi. La nomina di un economista alla guida dell'IRI costituiva in effetti un segno di discontinuità rispetto al passato. La ristrutturazione dell'IRI durante la presidenza Prodi portò a:
la cessione di 29 aziende del gruppo, tra le quali la più grande fu l'Alfa Romeo, privatizzata nel 1986;la diminuzione dei dipendenti, grazie alle cessioni ed a numerosi prepensionamenti, soprattutto nella siderurgia e nei cantieri navali;la liquidazione di Finsider, Italsider ed Italstat;lo scambio di alcune aziende tra STET e Finmeccanica;la tentata vendita della SME al gruppo CIR di Carlo De Benedetti, che venne fortemente ostacolata dal governo di Bettino Craxi. Fu organizzata una cordata di imprese, comprendente anche Silvio Berlusconi che avanzarono un'offerta alternativa per bloccare la vendita. L'offerta non venne poi onorata per carenze finanziarie, ma intanto la vendita della SME sfumò. Prodi fu accusato di aver stabilito un prezzo troppo basso (vedi vicenda SME ). (ndr - vedi Processo SME )Il risultato fu che nel 1987, per la prima volta da più di un decennio, l'IRI riportò il bilancio in utile, e di questo Prodi fece sempre un vanto, anche se a proposito di ciò Enrico Cuccia affermò:
« (Prodi) nel 1988 ha solo imputato a riserve le perdite sulla siderurgia, perdendo come negli anni precedenti. »( S.Bocconi, I ricordi di Cuccia. E quella sfiducia sugli italiani, Corriere della Sera, 12 novembre 2007)
È comunque indubbio che in quegli anni l'IRI aveva per lo meno cessato di crescere e di allargare il proprio campo di attività, come invece aveva fatto nel decennio precedente, e per la prima volta i governi cominciarono a parlare di "privatizzazioni". "
La Innse passò di "mano in mano": dalla Innocenti , quella dei tubi e della Lambretta fino alle mani giapponesi: Nel febbraio 2006 con l'intervento di Castelli , osservando la legge Prodi, Silvano Genta se la compra per solo 700mila euro, altro protagonista di questo trasferimento di proprietà l'assessore al lavoro Bruno Castaldi di rifondazione comunista.i 153 mano d'opera sopravvissuti a questi passaggi di mano in mano possono tornare al tornio.Eh, non ce li vuole tenere Genta al tornio! che lemme lemme si vende i macchinari , riuscendo a realizzare due milioni e mezzo di euro vendendone sette, e il rofondarolo Casatti, troppo ingenuo! dice "Solo dopo, troppo tardi, abbiamo scoperto che era un rottamaio!".E non solo i rottamai ci sono in questa storia, e questo è il paese dei palazzinari! in questo caso l'Aedes spa, che è proprietaria dei terreni dove sorgono i capannoni: le aree le trovi in tutte le storie che fetono, dall'immondizia, alle baracche dei rom da abbattere!L'Aedes spa sta alquanto in "crisi" per la..crisi immobiliare; Genta si è fatto milioni di euro facendo il rottamaio, però deve dei crediti a l'Aedes per mancato pagamento d'affitto...le "bolle" si intrecciano a tutti i livelli! che l'Aedes pure lei ha bella "esposizione" con le banche, azionisti: Intesa San Paolo e Monti dei Paschi e la Fininvest di Berlusconi, oh ce li trovi tutti!!!A fine luglio la Consob approva un aumento di capitale di 150milioni di euro "L'Aedes può ripartire!" finalmente!!!! a spese della Innse e delle tute blu: all'alba del 2 agosto di questo anno arrivò la polizia per smantellare l'area dagli "ingombri" di macchinari rimasti e delle tute blu.Circolano voci che al posto dei capannoni sorgeranno altre cose: un polo universitario? dei residence? un business park? o la creatività di Fuksas?, si parla anche della vendita a fondi arabi per risanare i debiti.
Le tute blu stanno sulle gru a fare la loro lotta, coi loro debiti, con il salario che non fa arrivare a fine mese, coi loro mutui da pagare e le famiglie da sostenere.
Gli operai in lotta da mesi contestano la voce del padrone.

MILANO - «Questo è un attacco alla democrazia e al diritto costituzionale di un imprenditore di entrare a casa sua», tuona Gianbattista Lomartire, avvocato di Silvano Genta, padrone rottamatore della Innse Presse, la fabbrica di Milano prima autogestita e poi difesa con un presidio permanente da 49 operai. Dopo lunghi mesi di lotta, Genta non si era mai presentato in pubblico. La sua versione dei fatti si intuiva dai tavoli di contrattazione che saltavano uno dopo l'altro (a un paio di incontri al ministero neanche si era presentato). Per lui anche la proposta di una ditta bresciana, la Ormis, disposta a rilevale l'azienda è sempre stata «francamente inaccetabile». Gli è sempre interessato solo rivendersi i macchinari e chiudere dopo che si era intascato gli aiuti di stato per rilevare la fabbrica. La lotta determinata di questi lavoratori lo ha costretto ad uscire allo scoperto e ieri mattina ha parlato al Circolo della stampa di Milano.Fuori gli operai si facevano sentire: «Giù le mani dalla Innse». Dentro, l'avvocato lamentava i danni subiti dal suo cliente, che ha in corso una causa legale con la Aedes, immobiliare proprietaria del terreno cui Genta non ha pagato l'affitto. L'immobiliare Aedes, quasi fallita, sta per vendere il terreno, un cambio della guardia che potrebbe mettere Genta ancora più nei guai. Ma la colpa per il suo avvocato è tutta degli operai, che non se ne vogliono andare. Per cacciarli e potersi rivendere i macchinari (preziose presse di ghisa) Genta si è presentato più volte davanti ai cancelli dell'Innse con la polizia che ha caricato i lavoratori. «Ho visto i bulloni, le chiavi inglesi nelle mani degli operai, non le cariche», è la voce del padrone. Un padre di famiglia gli risponde togliendosi il cappello, un bernoccolo sulla testa brizzolata dimostra il contrario. Genta e avvocato insistono: qualunque proposta è naufragata per colpa delle «maestranze indisponibili a qualunque altra soluzione che non prevedesse la permanenza in loco». E su questo ha ragione, questi operai volevano continuare a far funzionare una industria che ha mercato, hanno autogestito e mandato avanti commesse e produzione, hanno trovato un acquirente, difeso i macchinari e cercato l'appoggio di sindacati e politici. Sono diventati un simbolo della crisi della Milano dell'Expò dove contano i profitti sui terreni, non l'economia reale e men che meno la vita dei lavoratori.Genta lo sa: «Il caso Innse è diventato il simbolo di una ipocrisia pseudo sindacale, per interesse politico in spregio alla realtà e al rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti (come se il lavoro non fosse tra questi, ndr). L'opposizione è avvenuta ben oltre le legittime procedure: è stato posto in atto un assedio illegittimo. Si è cercato lo scontro chiamando a raccolta la Sinistra antagonista e i centri sociali». E' vero. Anche per questo adesso gli operai della Innse sono meno soli, altre 13 fabbriche della zona stanno chiudendo, i lavoratori che prima erano restiì ad esporsi li appoggiano mentre politici e sindacalisti si stanno svegliando.

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