Discutendone in casa alla notizia della morte di Antonio Virgilio Savona membro del famoso Quartetto Cetra,è saltato fuori un mio commento riguardo al successo avuto dai musicisti esploso durante il periodo del fascismo al potere e mi sono chiesto se tale popolarità fosse dovuta al fatto di essere schierati con Mussolini e feccia varia.
Curiosando su Internet ho scovato queste due canzoni di Savona scritte negli anni settanta dai testi belli e critici verso la chiesa,i potenti e la guerra:la prima è"La merda"e la seconda"Il testamento del parroco Meslier".
A proposito di quest'ultima ecco una nota tratta da Wikipedia:
Presunto ritratto del parroco Jean Meslier.«Je voudrais, et ce sera le dernier et le plus ardent de mes souhaits, je voudrais que le dernier des rois fût étranglé avec les boyaux du dernier prêtre.(In italiano: "Io vorrei, e questo sia l'ultimo ed il più ardente dei miei desideri, io vorrei che l'ultimo dei re fosse strangolato con gli intestini dell'ultimo dei preti."»(Jean Meslier, Testament)Jean Meslier (Mazeny, Champagne 1664 - Étrépigny 30 giugno 1729), prete francese, curato in un piccolo paese di campagna, "precursore del secolo dei Lumi".Egli divenne improvvisamente noto dopo la sua morte per un testamento in cui (leggendo dal lungo titolo dello stesso)"si dimostrano in modo chiaro ed evidente le vanità e le falsità di tutte le divinità e di tutte le religioni del mondo".Inoltre, nel suo testamento spirituale, il sacerdote chiedeva scusa ai propri fedeli per quanto aveva predicato in tutta la vita, per aver mentito esercitando la professione di prete.Il suo nome fu inciso su una lapide tra quelli degli ispiratori e fondatori del socialismo, fuori dalle mura del Cremlino.[...] Oltre che la Chiesa, la religione, Dio e la figura di Gesù, nel mirino del Testamento ci sono la monarchia, l'aristocrazia, l'Ancien regime, l'ingiustizia sociale e la morale cristiana del dolore: in esso si professa una sorta di comunismo anarchico ante litteram ed una filosofia materialista.Il libro uscì nel 1729, dopo la morte di Meslier, ma egli vi aveva lavorato per gran parte della sua esistenza.
La merda.
Lei così tenera e pulita,
La base della nostra vita.
Lei che solleva dalle pene,
Lei che ci vuole tanto bene.
E tra ogni cosa, in fondo in fondo,
La più pacifica del mondo.
E tra ogni cosa, in fondo in fondo,
La più pacifica del mondo.
Il nome suo lo appiccichiamo
Al grande capo americano,
E a tutti i grandi mascalzoni
Che costruiscono cannoni.
Ma non è giusto, francamente,
Trattarla tanto indegnamente,
Ma non è giusto, francamente,
Trattarla tanto indegnamente.
Povera merda disgraziata,
Sempre svilita e disprezzata
Quando schifati ne parliamo
E il nome suo vituperiamo.
Mentre sappiamo che è innocente
E non ha colpa mai di niente,
Mentre sappiamo che è innocente
E non ha colpa mai di niente.
Non la si deve maltrattare,
Non la si deve confrontare
Con quegli squallidi drappelli
Che usano elmetti e manganelli.
E non si faccia mai la svista,
Di dire che è capitalista,
E non si faccia mai la svista
Di dire che è capitalista.
Sempre pazienti la aspettiamo
Ed ogni giorno la creiamo,
Mite, umilissima, garbata,
Utile, onesta e riservata.
Non la dovremmo tirar fuori
Per definir gli sfruttatori,
Non la dovremmo tirar fuori
Per definir gli sfruttatori.
Se per un po’ rifletterete
Onestamente converrete
Che perde presto consistenza
E ha una brevissima esistenza.
Mentre chi “merda” vien chiamato
Muore soltanto se ammazzato,
Mentre chi “merda” vien chiamato
Muore soltanto se ammazzato.
Il testamento del parroco Meslier.
Avete sul collo fardelli pesanti
di prìncipi, preti,
tirannie governanti;
di nobili, monaci,
monache e frati,
di “guardie di sali e tabacchi”
e magistrati.
Avete sul collo i potenti e i guerrieri,
gli inetti, gli inutili e i furbi,
e i gabellieri,
i ricchi che rubano per ingrassare
lasciando che il popolo
intanto resti a crepare.
Abbatetei ricchi condottieri
e i prìncipi!
Sono loro,
non quelli degli inferni,
i diavoli!
Vermi che lasciano al contadino
soltanto la paglia del grano
e la feccia del vino.
Teorizzano pace, bontà e fratellanza
e poi legalizzano i troni
e l'ineguaglianza.
Hanno inventato il Dio dei potenti
per addormentare e piegare
i corpi e le menti
Hanno inventato i demoni e gli inferni
per far tremare e tacere
poveri e inermi.
Abbattete
i ricchi condottieri
e i prìncipi!
Sono loro,
non quelli degli inferni,
i diavoli!
Non sono i demoni dell'intera corte
i vostri peggiori nemici,
dopo la morte,
ma sono coloro che alzano le dita
annientano e fanno marcire
la vostra vita!
E se vi unirete potrete fermarli
usando budella di prete
per impiccarli;
così non sarete più schiavi di loro
ma infine padroni dei frutti
del vostro lavoro!
Abbatetei ricchi condottieri
e i prìncipi!
Sono loro,
non quelli degli inferni,
i diavoli!
domenica 30 agosto 2009
sabato 29 agosto 2009
REAZIONI UNANIMI DI SOLIDARIETA' CON "REPUBBLICA"
Ennesimo terremoto provocato dal premier minacciatore che ha deciso di querelare il quotidiano "La Repubblica"per un milione di euro per le 10 domande poste a fine giugno dal giornale stesso.
Reazioni unanimi di condanna da tutto il mondo visto che quello che ha deciso di fare Berlusconi vìola palesemente qualsiasi trattato e legge che garantisce ad un paese democratico la libertà di stampa...ma essendo in regime forse ha ragione lui a lamentarsi!
"La Repubblica"propone dichiarazioni di vari direttori di testate giornalistiche che hanno solidarizzato con i giornalisti del quotidiano italiano,e l'appello firmato da tre giuristi ha fatto il giro del mondo ed è stato sottoscritto già da 45000 persone,e ve lo propongo anche in versione english.
Berlusconi fa sempre più dell'Italia un paese di cui vergognarsi,stiamo superando lo status di barzelletta d'Europa e del mondo perchè qua la gente ha smesso da tempo di ridere ai soprusi ed ai modi dittatoriali di questo nuovo duce.
Commenti e messaggi a Repubblica dai principali mezzi di informazione europea
I giornali esistono per fare domandeE allora le pubblichiamo anche noi.
JOFFRIN: "PUBBLICHIAMO LE 10 DOMANDE" E' un inammissibile attacco alla libertà di espressione e di critica. Non mi stupisce che venga da un personaggio come Berlusconi, ma è un segnale inquietante per tutta l'Europa. Tra l'altro, non escludo che si possa fare ricorso alla Corte europea per contrastare questa palese minaccia al diritto dell'informazione. I metodi del primo ministro italiano mostrano un disprezzo assoluto delle regole democratiche. Rispondere alle domande dei giornalisti è infatti il minimo che gli elettori possono pretendere da ogni governante. Berlusconi invece è infastidito da ogni manifestazione di opposizione. Fa finta di dire che sono attacchi alla sua vita privata e cerca di nascondere alle troppe menzogne che ha detto in questi mesi. I suoi metodi mi ricordano quelli di Putin: manca soltanto che faccia uccidere i giornalisti più scomodi. In Francia non sarebbe pensabile una denuncia come quella che ha fatto Berlusconi a Repubblica. Sarebbe uno scandalo. Esiste una tacita regola repubblicana che impedisce al Presidente di portare in giustizia giornalisti e oppositori. Libération ha deciso che pubblicherà le 10 domande di Repubblica a Silvio Berlusconi. Laurent Joffrin (direttore di Liberation). GREILSAMER: "SEMBRA UNA BRUTTA FAVOLA" Se il Presidente Berlusconi è il garante delle libertà pubbliche in Italia, come può fare causa contro Repubblica? Se il Presidente deve assicurare alla stampa le condizioni per il pluralismo, come ammettere poi che gli chieda un riscatto pari a 1 milione di euro? Se il Presidente è il padre della nazione, come comprendere che si rivolti contro uno dei suoi figli ombrosi e indipendenti? Un Presidente contro un Giornale: sembra una brutta favola. Si chiama scandalo.Laurent Greilsamer (vicedirettore Le Monde).
THREARD: "BERLUSCONI FACCIA MARCIA INDIETRO" Pochi presidenti francesi hanno brandito la minaccia legale contro un giornale. Nei rari casi in cui è successo, sono stati costretti a rinunciare. Il caso di Berlusconi mi ricorda la storia di Valery Giscard d'Estaing e del Canard Enchainé. Quando il settimanale pubblicò l'inchiesta sullo scandalo dei diamanti del ditattore Bocassa, il presidente promise di denunciarli. Poi, però, fece marcia indietro. Aveva capito che sarebbe diventato ancor più impopolare e che gran parte del paese lo avrebbe accusato di voler imbavagliare la stampa. E' auspicabile che Berlusconi faccia altrettanto. Un primo ministro deve essere al di sopra della mischia. Yves Threard (vicedirettore Le Figaro).
RUSBRIDGER: "ESISTIAMO PER FARE DOMANDE" Gli organi di informazione indipendenti esistono per chiedere domande scomode ai politici. In Gran Bretagna, come nella maggior parte delle democrazie, sarebbe impensabile per un primo ministro fare causa a un giornale perché fa delle domande. Sarebbe anche impensabile usare le leggi sulla diffamazione per impedire ai cittadini di sapere quello che autorevoli giornali stranieri stanno dicendo sul loro paese. Le azioni contro la Repubblica somigliano molto a un tentativo di ridurre al silenzio o intimidire gli organi di informazione che rimangono direttamente o indirettamente indipendenti dal primo ministro italiano. Spero che i giornali di tutto il mondo seguano con grande attenzione questa storia. Alan Rusbridger (direttore del quotidiano The Guardian di Londra).
CAMPBELL: "INIMMAGINABILE" Chiunque abbia esperienza del modo in cui funzionano i media in Gran Bretagna, troverà piuttosto straordinario il fatto che un primo ministro faccia causa a un giornale per una serie di domande, e per avere riportato quello che scrivono giornali stranieri. Il tutto è ancora più straordinario perché il primo ministro in questione è a sua volta un potentissimo editore. Un fatto, anche questo, che sarebbe inimmaginabile nella cultura politica del nostro paese. Alastair Campbell (ex portavoce di Tony Blair).
DI LORENZO: "E' IN GIOCO LA DEMOCRAZIA" Per il direttore di Die Zeit, "la questione non riguarda certo solo Repubblica, è in gioco il ruolo dei media in una democrazia. E non credo che Repubblica si lascerà intimidire, per cui non capisco il passo di Berlusconi nemmeno da un punto di vista tattico. Giovanni Di Lorenzo (direttore di Die Zeit).
VIDAL: "UN AVVERTIMENTO A TUTTI I GIORNALISTI" Questa denuncia è un avvertimento a tutti i giornalisti italiani, un modo di zittire la stampa. Il messaggio è chiaro: vietato criticare, vietato fare domande. E' molto preoccupante vedere che il premier italiano vuole colpire così platealmente una delle poche voci di informazione libera e indipendente. La cifra richiesta, poi, è disproporzionata. Nel merito il premier italiano sbaglia, perché il compito di un organo di stampa è anche quello di fare domande. La Repubblica ha posto domande non soltanto sono legittime ma sono anche doverose, visto che Berlusconi ha spudoratamente mentito al suo paese. Questo attacco legale dimostra che in Italia c'è un'anomalia, ovvero un premier proprietario di un impero mediatico che ha anche la tendenza a voler mettere sotto silenzio l'opposizione. Reporters Sans Frontières è pronta a denunciare in ogni sede internazionale questo grave attacco alla libertà di stampa in Italia. Esa Vidal (responsabile Europa Reporters sans Frontieres).
WERGIN: "IN ITALIA POCA PLURALITA" Secondo Clemens Wergin, editorialista di politica estera ed esperto di affari italiani della Welt, a proposito della querela di Berlusconi legata alle dieci domande poste da Repubblica, "il fatto è strano, visto che la pluralità del panorama mediatico in Italia mi sembra già abbastanza ristretto. La situazione appare a tinte forti in generale, uno scandalo in cui sembra essere coinvolto il capo del governo italiano, feste forse con prostitute seminude, sembra molto strana, vista dalla Berlino protestante, dove governa una Cancelliera tutt'altro che a forti tinte. Berlusconi ha commesso un grave errore, sembra che non capisca il ruolo di una stampa libera. Il semplice fatto che Repubblica abbia posto domande è parte del giusto ruolo dei media. Uno stile inquietante." Clemens Wergin (editorialista del Die Welt).
GIESBERT: "LA DEMOCRAZIA E' MALATA" Il conflitto tra il potere politico e la stampa è sempre latente ma quando esplode in questo modo significa che la democrazia è malata. Finora in Francia c'è stata una regola d'oro secondo la quale i Presidenti non si rivolgono a un giudice per difendersi dagli attacchi dei giornali. Per i francesi la funzione presidenziale è sacra. Il capo dello Stato sa che se si abbassasse a questi metodi contro la stampa perderebbe inevitabilmente prestigio. Il fatto che Berlusconi abbia attaccato legalmente Repubblica è un'ammissione di debolezza. Il vostro capo del governo si comporta come un qualsiasi cittadino, dimenticando il suo ruolo istituzionale. Ma per il vostro giornale è paradossalmente anche un attestato di libertà e di indipendenza. Franz-Olivier Giesbert (direttore di Le Point).
THUREAU-DAUGIN: UN PRECEDENTE PERICOLOSO PER L'EUROPA Courrier International aveva già pubblicato le prime 10 domande a Berlusconi. Dopo questo attacco legale degli avvocati del premier, abbiamo deciso che mostreremo ai nostri lettori anche le 10 nuove domande. Ci sembra un atto doveroso nei confronti di Repubblica, che ha condotto una campagna insistente e coraggiosa. Sarebbe molto preoccupante se i magistrati italiani stabilissero il carattere diffamatorio di questi dieci, semplici interrogativi. Potrebbe essere un precedente pericoloso per tutta l'Europa. Philippe Thureau-Daugin (direttore di Courrier International).
L’attacco a "Repubblica", di cui la citazione in giudizio per diffamazione è solo l’ultimo episodio, è interpretabile soltanto come un tentativo di ridurre al silenzio la libera stampa, di anestetizzare l’opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle informazioni, in definitiva di fare del nostro Paese un’eccezione della democrazia. Le domande poste al Presidente del Consiglio sono domande vere, che hanno suscitato interesse non solo in Italia ma nella stampa di tutto il mondo. Se le si considera "retoriche", perché suggerirebbero risposte non gradite a colui al quale sono rivolte, c’è un solo, facile, modo per smontarle: non tacitare chi le fa, ma rispondere. Invece, si batte la strada dell’intimidazione di chi esercita il diritto-dovere di "cercare, ricevere e diffondere con qualsiasi mezzo di espressione, senza considerazioni di frontiere, le informazioni e le idee", come vuole la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dal consesso delle Nazioni quando era vivo il ricordo della degenerazione dell’informazione in propaganda, sotto i regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso.Stupisce e preoccupa che queste iniziative non siano non solo stigmatizzate concordemente, ma nemmeno riferite, dagli organi d’informazione e che vi siano giuristi disposti a dare loro forma giuridica, senza considerare il danno che ne viene alla stessa serietà e credibilità del diritto.
Appeal by three Jurists.
The libel action against “Repubblica” is the last of a long list of attacks against this daily which can only be seen as attempts at silencing the free press, at benumbing public opinion, at removing us from the international information scene and ultimately at making our Country the exception to the rule of Democracy.The questions addressed to our Prime Minister are real questions that have prompted people’s interest not only in Italy but also in the media across the world. If they are considered to be “rhetorical” questions that suggest answers that displease the person to whom they are addressed, then there is only one and very easy way of responding: the reaction should certainly not be that of silencing the people who ask those questions.The response instead is that of intimidating those who exercise the right and duty of “seeking, receiving and imparting information and ideas through any media and regardless of frontiers”, as stated in the 1948 Universal Declaration of Human Rights approved by the Assembly of Nations when memory was still very much alive of the way information degenerated into propaganda under the illiberal and antidemocratic regimes of the 20th century. What is astonishing and worrying is that not only are these initiatives not unanimously stigmatized, but they are not even reported by the media, and that furthermore there are jurists who are even willing to give them legal form, utterly dismissing the harm this will cause to the very seriousness and credibility of the Law.
Reazioni unanimi di condanna da tutto il mondo visto che quello che ha deciso di fare Berlusconi vìola palesemente qualsiasi trattato e legge che garantisce ad un paese democratico la libertà di stampa...ma essendo in regime forse ha ragione lui a lamentarsi!
"La Repubblica"propone dichiarazioni di vari direttori di testate giornalistiche che hanno solidarizzato con i giornalisti del quotidiano italiano,e l'appello firmato da tre giuristi ha fatto il giro del mondo ed è stato sottoscritto già da 45000 persone,e ve lo propongo anche in versione english.
Berlusconi fa sempre più dell'Italia un paese di cui vergognarsi,stiamo superando lo status di barzelletta d'Europa e del mondo perchè qua la gente ha smesso da tempo di ridere ai soprusi ed ai modi dittatoriali di questo nuovo duce.
Commenti e messaggi a Repubblica dai principali mezzi di informazione europea
I giornali esistono per fare domandeE allora le pubblichiamo anche noi.
JOFFRIN: "PUBBLICHIAMO LE 10 DOMANDE" E' un inammissibile attacco alla libertà di espressione e di critica. Non mi stupisce che venga da un personaggio come Berlusconi, ma è un segnale inquietante per tutta l'Europa. Tra l'altro, non escludo che si possa fare ricorso alla Corte europea per contrastare questa palese minaccia al diritto dell'informazione. I metodi del primo ministro italiano mostrano un disprezzo assoluto delle regole democratiche. Rispondere alle domande dei giornalisti è infatti il minimo che gli elettori possono pretendere da ogni governante. Berlusconi invece è infastidito da ogni manifestazione di opposizione. Fa finta di dire che sono attacchi alla sua vita privata e cerca di nascondere alle troppe menzogne che ha detto in questi mesi. I suoi metodi mi ricordano quelli di Putin: manca soltanto che faccia uccidere i giornalisti più scomodi. In Francia non sarebbe pensabile una denuncia come quella che ha fatto Berlusconi a Repubblica. Sarebbe uno scandalo. Esiste una tacita regola repubblicana che impedisce al Presidente di portare in giustizia giornalisti e oppositori. Libération ha deciso che pubblicherà le 10 domande di Repubblica a Silvio Berlusconi. Laurent Joffrin (direttore di Liberation). GREILSAMER: "SEMBRA UNA BRUTTA FAVOLA" Se il Presidente Berlusconi è il garante delle libertà pubbliche in Italia, come può fare causa contro Repubblica? Se il Presidente deve assicurare alla stampa le condizioni per il pluralismo, come ammettere poi che gli chieda un riscatto pari a 1 milione di euro? Se il Presidente è il padre della nazione, come comprendere che si rivolti contro uno dei suoi figli ombrosi e indipendenti? Un Presidente contro un Giornale: sembra una brutta favola. Si chiama scandalo.Laurent Greilsamer (vicedirettore Le Monde).
THREARD: "BERLUSCONI FACCIA MARCIA INDIETRO" Pochi presidenti francesi hanno brandito la minaccia legale contro un giornale. Nei rari casi in cui è successo, sono stati costretti a rinunciare. Il caso di Berlusconi mi ricorda la storia di Valery Giscard d'Estaing e del Canard Enchainé. Quando il settimanale pubblicò l'inchiesta sullo scandalo dei diamanti del ditattore Bocassa, il presidente promise di denunciarli. Poi, però, fece marcia indietro. Aveva capito che sarebbe diventato ancor più impopolare e che gran parte del paese lo avrebbe accusato di voler imbavagliare la stampa. E' auspicabile che Berlusconi faccia altrettanto. Un primo ministro deve essere al di sopra della mischia. Yves Threard (vicedirettore Le Figaro).
RUSBRIDGER: "ESISTIAMO PER FARE DOMANDE" Gli organi di informazione indipendenti esistono per chiedere domande scomode ai politici. In Gran Bretagna, come nella maggior parte delle democrazie, sarebbe impensabile per un primo ministro fare causa a un giornale perché fa delle domande. Sarebbe anche impensabile usare le leggi sulla diffamazione per impedire ai cittadini di sapere quello che autorevoli giornali stranieri stanno dicendo sul loro paese. Le azioni contro la Repubblica somigliano molto a un tentativo di ridurre al silenzio o intimidire gli organi di informazione che rimangono direttamente o indirettamente indipendenti dal primo ministro italiano. Spero che i giornali di tutto il mondo seguano con grande attenzione questa storia. Alan Rusbridger (direttore del quotidiano The Guardian di Londra).
CAMPBELL: "INIMMAGINABILE" Chiunque abbia esperienza del modo in cui funzionano i media in Gran Bretagna, troverà piuttosto straordinario il fatto che un primo ministro faccia causa a un giornale per una serie di domande, e per avere riportato quello che scrivono giornali stranieri. Il tutto è ancora più straordinario perché il primo ministro in questione è a sua volta un potentissimo editore. Un fatto, anche questo, che sarebbe inimmaginabile nella cultura politica del nostro paese. Alastair Campbell (ex portavoce di Tony Blair).
DI LORENZO: "E' IN GIOCO LA DEMOCRAZIA" Per il direttore di Die Zeit, "la questione non riguarda certo solo Repubblica, è in gioco il ruolo dei media in una democrazia. E non credo che Repubblica si lascerà intimidire, per cui non capisco il passo di Berlusconi nemmeno da un punto di vista tattico. Giovanni Di Lorenzo (direttore di Die Zeit).
VIDAL: "UN AVVERTIMENTO A TUTTI I GIORNALISTI" Questa denuncia è un avvertimento a tutti i giornalisti italiani, un modo di zittire la stampa. Il messaggio è chiaro: vietato criticare, vietato fare domande. E' molto preoccupante vedere che il premier italiano vuole colpire così platealmente una delle poche voci di informazione libera e indipendente. La cifra richiesta, poi, è disproporzionata. Nel merito il premier italiano sbaglia, perché il compito di un organo di stampa è anche quello di fare domande. La Repubblica ha posto domande non soltanto sono legittime ma sono anche doverose, visto che Berlusconi ha spudoratamente mentito al suo paese. Questo attacco legale dimostra che in Italia c'è un'anomalia, ovvero un premier proprietario di un impero mediatico che ha anche la tendenza a voler mettere sotto silenzio l'opposizione. Reporters Sans Frontières è pronta a denunciare in ogni sede internazionale questo grave attacco alla libertà di stampa in Italia. Esa Vidal (responsabile Europa Reporters sans Frontieres).
WERGIN: "IN ITALIA POCA PLURALITA" Secondo Clemens Wergin, editorialista di politica estera ed esperto di affari italiani della Welt, a proposito della querela di Berlusconi legata alle dieci domande poste da Repubblica, "il fatto è strano, visto che la pluralità del panorama mediatico in Italia mi sembra già abbastanza ristretto. La situazione appare a tinte forti in generale, uno scandalo in cui sembra essere coinvolto il capo del governo italiano, feste forse con prostitute seminude, sembra molto strana, vista dalla Berlino protestante, dove governa una Cancelliera tutt'altro che a forti tinte. Berlusconi ha commesso un grave errore, sembra che non capisca il ruolo di una stampa libera. Il semplice fatto che Repubblica abbia posto domande è parte del giusto ruolo dei media. Uno stile inquietante." Clemens Wergin (editorialista del Die Welt).
GIESBERT: "LA DEMOCRAZIA E' MALATA" Il conflitto tra il potere politico e la stampa è sempre latente ma quando esplode in questo modo significa che la democrazia è malata. Finora in Francia c'è stata una regola d'oro secondo la quale i Presidenti non si rivolgono a un giudice per difendersi dagli attacchi dei giornali. Per i francesi la funzione presidenziale è sacra. Il capo dello Stato sa che se si abbassasse a questi metodi contro la stampa perderebbe inevitabilmente prestigio. Il fatto che Berlusconi abbia attaccato legalmente Repubblica è un'ammissione di debolezza. Il vostro capo del governo si comporta come un qualsiasi cittadino, dimenticando il suo ruolo istituzionale. Ma per il vostro giornale è paradossalmente anche un attestato di libertà e di indipendenza. Franz-Olivier Giesbert (direttore di Le Point).
THUREAU-DAUGIN: UN PRECEDENTE PERICOLOSO PER L'EUROPA Courrier International aveva già pubblicato le prime 10 domande a Berlusconi. Dopo questo attacco legale degli avvocati del premier, abbiamo deciso che mostreremo ai nostri lettori anche le 10 nuove domande. Ci sembra un atto doveroso nei confronti di Repubblica, che ha condotto una campagna insistente e coraggiosa. Sarebbe molto preoccupante se i magistrati italiani stabilissero il carattere diffamatorio di questi dieci, semplici interrogativi. Potrebbe essere un precedente pericoloso per tutta l'Europa. Philippe Thureau-Daugin (direttore di Courrier International).
L’attacco a "Repubblica", di cui la citazione in giudizio per diffamazione è solo l’ultimo episodio, è interpretabile soltanto come un tentativo di ridurre al silenzio la libera stampa, di anestetizzare l’opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle informazioni, in definitiva di fare del nostro Paese un’eccezione della democrazia. Le domande poste al Presidente del Consiglio sono domande vere, che hanno suscitato interesse non solo in Italia ma nella stampa di tutto il mondo. Se le si considera "retoriche", perché suggerirebbero risposte non gradite a colui al quale sono rivolte, c’è un solo, facile, modo per smontarle: non tacitare chi le fa, ma rispondere. Invece, si batte la strada dell’intimidazione di chi esercita il diritto-dovere di "cercare, ricevere e diffondere con qualsiasi mezzo di espressione, senza considerazioni di frontiere, le informazioni e le idee", come vuole la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dal consesso delle Nazioni quando era vivo il ricordo della degenerazione dell’informazione in propaganda, sotto i regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso.Stupisce e preoccupa che queste iniziative non siano non solo stigmatizzate concordemente, ma nemmeno riferite, dagli organi d’informazione e che vi siano giuristi disposti a dare loro forma giuridica, senza considerare il danno che ne viene alla stessa serietà e credibilità del diritto.
Franco Cordero,Stefano Rodotà,Gustavo Zagrebelsky
APPEAL BY THREE JURISTS
APPEAL BY THREE JURISTS
Appeal by three Jurists.
The libel action against “Repubblica” is the last of a long list of attacks against this daily which can only be seen as attempts at silencing the free press, at benumbing public opinion, at removing us from the international information scene and ultimately at making our Country the exception to the rule of Democracy.The questions addressed to our Prime Minister are real questions that have prompted people’s interest not only in Italy but also in the media across the world. If they are considered to be “rhetorical” questions that suggest answers that displease the person to whom they are addressed, then there is only one and very easy way of responding: the reaction should certainly not be that of silencing the people who ask those questions.The response instead is that of intimidating those who exercise the right and duty of “seeking, receiving and imparting information and ideas through any media and regardless of frontiers”, as stated in the 1948 Universal Declaration of Human Rights approved by the Assembly of Nations when memory was still very much alive of the way information degenerated into propaganda under the illiberal and antidemocratic regimes of the 20th century. What is astonishing and worrying is that not only are these initiatives not unanimously stigmatized, but they are not even reported by the media, and that furthermore there are jurists who are even willing to give them legal form, utterly dismissing the harm this will cause to the very seriousness and credibility of the Law.
venerdì 28 agosto 2009
SERGEI MICHALKOV,L'UOMO DELL'INNO SOVIETICO
Si è spento all'età di 96 anni Sergei Michalkov,l'uomo che scrisse il testo del glorioso inno nazionale sovietico e musicato da Aleksandr Aleksandrov nel 1943 su commissione di Stalin,uno degli inni più belli e maestosi mai esistiti.
Commento personale il migliore(ex suoneria del mio cellulare)un passo avanti a quello statunitense,tedesco,britannico e francese...e il nostro dopo tutte le polemiche avute con Bossi che vuole il Va pensiero perchè tutti conoscono le parole(?)...l'inno di Mameli non mi piace pr niente!
A parte ciò va ricordato che Michalkov fu anche scrittore soprattutto di libri per bambini e poeta,e nella sua carriera ha venduto 400 milioni di copie dei suoi scritti in tutto il mondo.
Dopo questo propongo la breve biografia ed i testi in cirillo,russo latino ed italiano dell'immenso Inno Nazionale dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche tratto da Wikipedia.
Commento personale il migliore(ex suoneria del mio cellulare)un passo avanti a quello statunitense,tedesco,britannico e francese...e il nostro dopo tutte le polemiche avute con Bossi che vuole il Va pensiero perchè tutti conoscono le parole(?)...l'inno di Mameli non mi piace pr niente!
A parte ciò va ricordato che Michalkov fu anche scrittore soprattutto di libri per bambini e poeta,e nella sua carriera ha venduto 400 milioni di copie dei suoi scritti in tutto il mondo.
Dopo questo propongo la breve biografia ed i testi in cirillo,russo latino ed italiano dell'immenso Inno Nazionale dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche tratto da Wikipedia.
Sergej Vladimirovič Michalkov in russo Сергей Владимирович Михалков[?] (Mosca, 13 marzo 1913 – Mosca, 27 agosto 2009) è stato uno scrittore, poeta e librettista russo, autore di libri per bambini, che ha avuto la possibilità di scrivere in due occasioni il testo dell'inno nazionale del proprio Paese.
Nel 1942, ancora ventinovenne, attrasse col suo lavoro l'attenzione del dittatore dell'Unione Sovietica Josif Stalin, che gli commissionò la scrittura del testo del nuovo inno nazionale. A quel tempo, il Paese era pesantemente coinvolto nei combattimenti della Seconda Guerra Mondiale e Stalin desiderava sostituire l'Internazionale con un motivo che avesse un carattere più patriottico.
Michalkov elaborò un testo che potesse accompagnare un brano musicale composto da Aleksandr Aleksandrov (1883-1946), e che divenne noto in questo modo come Inno Nazionale dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il nuovo inno fu presentato a Stalin nell'estate del 1943 ed entrò ufficialmente in vigore il 1 gennaio 1944.
Il brano è rimasto in vigore fino alla caduta dell'URSS, nel 1991, momento in cui il Presidente russo Boris Eltsin scelse un motivo diverso nella forma e nel contenuto. Eppure, quando Vladimir Putin successe a Eltsin alla presidenza della Federazione, egli premette affinché fosse ripristinata la musica di Aleksandrov al posto dell'inno precedente, che nell'opinione di molti russi era poco significativo e di scarsa ispirazione.
Michalkov aveva 87 anni ed era in pensione ormai da diversi anni (in effetti, le ultime generazioni di Russi lo conoscono meglio come padre dei registi cinematografici Nikita Michalkov e Andrej Končalovskij - quest'ultimo ha rinunciato a parte del proprio cognome "Michalkov-Končalovskij" quando lasciò la Russia), ma quando si cercò di ristabilire il vecchio brano per farne l'inno nazionale russo, egli ne riscrisse completamente le parole. Il risultato è l'attuale Inno della Federazione Russa, ufficialmente adottato dal 2001.
Attualmente Michalkov viveva a Mosca e, per il suo 90° compleanno, Putin si è recato nella sua abitazione per fargli visita, e insignirlo dell'Ordine di Servizio alla Madrepatria di 2° classe, in onore del suo contributo alla cultura russa. E morto il 27 agosto 2009 all'età di 96 anni.
Nel 1942, ancora ventinovenne, attrasse col suo lavoro l'attenzione del dittatore dell'Unione Sovietica Josif Stalin, che gli commissionò la scrittura del testo del nuovo inno nazionale. A quel tempo, il Paese era pesantemente coinvolto nei combattimenti della Seconda Guerra Mondiale e Stalin desiderava sostituire l'Internazionale con un motivo che avesse un carattere più patriottico.
Michalkov elaborò un testo che potesse accompagnare un brano musicale composto da Aleksandr Aleksandrov (1883-1946), e che divenne noto in questo modo come Inno Nazionale dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il nuovo inno fu presentato a Stalin nell'estate del 1943 ed entrò ufficialmente in vigore il 1 gennaio 1944.
Il brano è rimasto in vigore fino alla caduta dell'URSS, nel 1991, momento in cui il Presidente russo Boris Eltsin scelse un motivo diverso nella forma e nel contenuto. Eppure, quando Vladimir Putin successe a Eltsin alla presidenza della Federazione, egli premette affinché fosse ripristinata la musica di Aleksandrov al posto dell'inno precedente, che nell'opinione di molti russi era poco significativo e di scarsa ispirazione.
Michalkov aveva 87 anni ed era in pensione ormai da diversi anni (in effetti, le ultime generazioni di Russi lo conoscono meglio come padre dei registi cinematografici Nikita Michalkov e Andrej Končalovskij - quest'ultimo ha rinunciato a parte del proprio cognome "Michalkov-Končalovskij" quando lasciò la Russia), ma quando si cercò di ristabilire il vecchio brano per farne l'inno nazionale russo, egli ne riscrisse completamente le parole. Il risultato è l'attuale Inno della Federazione Russa, ufficialmente adottato dal 2001.
Attualmente Michalkov viveva a Mosca e, per il suo 90° compleanno, Putin si è recato nella sua abitazione per fargli visita, e insignirlo dell'Ordine di Servizio alla Madrepatria di 2° classe, in onore del suo contributo alla cultura russa. E morto il 27 agosto 2009 all'età di 96 anni.
Versione del 1977.
Testo russo (cirillico)
Союз нерушимый республик свободных
Сплотила навеки Великая Русь.
Да здравствует созданный волей народов
Единый, могучий Советский Союз!
ПРИПЕВ:
Славься, Отечество наше свободное,
Дружбы народов надёжный оплот!
Партия Ленина — сила народная
Нас к торжеству коммунизма ведёт!
Сквозь грозы сияло нам солнце свободы,
И Ленин великий нам путь озарил:
На правое дело он поднял народы,
На труд и на подвиги нас вдохновил!
ПРИПЕВ
В победе бессмертных идей коммунизма
Мы видим грядущее нашей страны,
И Красному знамени славной Отчизны
Мы будем всегда беззаветно верны!
ПРИПЕВ
Testo russo.
Segue una traslitterazione dall'alfabeto cirillico, con regole generalmente adottate dalla maggior parte delle grammatiche e dei corsi di lingua russa per italiani. È bene ricordare che:
j è una i consonantica, si legge come í di ieri;
y è una i gutturale, si legge a metà tra i e u;
š va come sc di scivolo;
kh indica una c gutturale, e va come nel tedesco ich;
z è una s dolce, come in rosa;
č va come la c di ciao;
ž va come la j francese di je
o pretonica viene letta in russo con un suono più vicino alla a;
e si legge comunemente ie;
ë si legge comunemente io e prende su di sé l'accento della parola;
c va come la z sorda italiana, o ts.
Laddove possibile, sono stati inseriti gli accenti.
Sojùz nerušìmyj respùblik svobòdnykh
Splotìla navéki velìkaja Rus';
Da zdràvstvuet sòzdannyj vòlej naròdov
Jedìnyj, mogùčij Sovétskij Sojùz!
Ritornello:
Slàv'sa, otéčestvo, nàše svobòdnoe,
Drùžby naròdov nadëžnij oplòt!
Partìja Lénina - Sila naròdnaja
Nas k toržestvù Kommunizma vedët!
Skvoz' gròzy sijàlo nam sòlnce svobòdy,
I Lénin vélikij nam put' ozarìl:
Na pràvoe déla on pòdnjal naròdy,
Na trùd i na pòdvighi nas vdokhnavìl!
Ritornello
V pobéde bessmertnykh idéj Kommunizma
My vìdim grjàdušee nàšej strany,
I kràsnamu znàmeni slàvnoj Otčìzni
My budem vsegdà bezzavétno verny!
Ritornello
Traduzione in italiano.
Inno dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
La Grande Russia ha saldato per sempre
Un'unione indivisibile di repubbliche libere!
Viva l'unita e potente Unione Sovietica
Fondata dalla volontà dei popoli!
RITORNELLO
Sia celebre la nostra Patria libera,
Sicuro baluardo dell'amicizia fra i popoli!
Il partito di Lenin, che è forza delle genti
Ci porta verso il trionfo del comunismo!
Attraverso la tempesta ci illuminò il sole della libertà
E il grande Lenin ci rischiarò la via:
Alla giusta causa mosse i popoli,
Ci ispirò al lavoro e ad eroiche imprese!
RITORNELLO
Nella vittoria delle idee immortali del comunismo
Noi vediamo l'avvenire del nostro paese.
Ed alla bandiera Rossa della gloriosa Patria
Saremo sempre leali con abnegazione!
RITORNELLO
Testo russo (cirillico)
Союз нерушимый республик свободных
Сплотила навеки Великая Русь.
Да здравствует созданный волей народов
Единый, могучий Советский Союз!
ПРИПЕВ:
Славься, Отечество наше свободное,
Дружбы народов надёжный оплот!
Партия Ленина — сила народная
Нас к торжеству коммунизма ведёт!
Сквозь грозы сияло нам солнце свободы,
И Ленин великий нам путь озарил:
На правое дело он поднял народы,
На труд и на подвиги нас вдохновил!
ПРИПЕВ
В победе бессмертных идей коммунизма
Мы видим грядущее нашей страны,
И Красному знамени славной Отчизны
Мы будем всегда беззаветно верны!
ПРИПЕВ
Testo russo.
Segue una traslitterazione dall'alfabeto cirillico, con regole generalmente adottate dalla maggior parte delle grammatiche e dei corsi di lingua russa per italiani. È bene ricordare che:
j è una i consonantica, si legge come í di ieri;
y è una i gutturale, si legge a metà tra i e u;
š va come sc di scivolo;
kh indica una c gutturale, e va come nel tedesco ich;
z è una s dolce, come in rosa;
č va come la c di ciao;
ž va come la j francese di je
o pretonica viene letta in russo con un suono più vicino alla a;
e si legge comunemente ie;
ë si legge comunemente io e prende su di sé l'accento della parola;
c va come la z sorda italiana, o ts.
Laddove possibile, sono stati inseriti gli accenti.
Sojùz nerušìmyj respùblik svobòdnykh
Splotìla navéki velìkaja Rus';
Da zdràvstvuet sòzdannyj vòlej naròdov
Jedìnyj, mogùčij Sovétskij Sojùz!
Ritornello:
Slàv'sa, otéčestvo, nàše svobòdnoe,
Drùžby naròdov nadëžnij oplòt!
Partìja Lénina - Sila naròdnaja
Nas k toržestvù Kommunizma vedët!
Skvoz' gròzy sijàlo nam sòlnce svobòdy,
I Lénin vélikij nam put' ozarìl:
Na pràvoe déla on pòdnjal naròdy,
Na trùd i na pòdvighi nas vdokhnavìl!
Ritornello
V pobéde bessmertnykh idéj Kommunizma
My vìdim grjàdušee nàšej strany,
I kràsnamu znàmeni slàvnoj Otčìzni
My budem vsegdà bezzavétno verny!
Ritornello
Traduzione in italiano.
Inno dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
La Grande Russia ha saldato per sempre
Un'unione indivisibile di repubbliche libere!
Viva l'unita e potente Unione Sovietica
Fondata dalla volontà dei popoli!
RITORNELLO
Sia celebre la nostra Patria libera,
Sicuro baluardo dell'amicizia fra i popoli!
Il partito di Lenin, che è forza delle genti
Ci porta verso il trionfo del comunismo!
Attraverso la tempesta ci illuminò il sole della libertà
E il grande Lenin ci rischiarò la via:
Alla giusta causa mosse i popoli,
Ci ispirò al lavoro e ad eroiche imprese!
RITORNELLO
Nella vittoria delle idee immortali del comunismo
Noi vediamo l'avvenire del nostro paese.
Ed alla bandiera Rossa della gloriosa Patria
Saremo sempre leali con abnegazione!
RITORNELLO
giovedì 27 agosto 2009
CENSURA PER IL TRAILER DI "VIDEOCRACY"
Piomba sul trailer del film"Videocracy"la falce mietitrice della censura in quanto con un comunicato ufficiale la Rai ne vieta la promozione tramite la messa in onda dicendo che si attacca il governo attuale e la persona(di merda)del premier catodico in carica.
La risposta di Merdiaset era stata solo verbale e comunque scontata nonostante i trailers dei film siano pagati dalle case cinematografiche e che reti come quella del biscione campino sulla pubblicità:un no categorico visto che il film piuttosto che criticare la figura di Berlusconi spieghi la scalata del gruppo Mediaset e conduca lo spettatore a capire che il veicolo informativo televisione sia un forte strumento sociale e politico spesso pericoloso nelle mani di persone sbagliate.
Queste decisioni di regime mettono in grande rispolvero l'uso strumentale della censura come mezzo di disinformazione ponendo lo spettatore in uno stato d'ignoranza in quanto al pubblico è vietata la conoscenza,il sapere che un determinato bene-prodotto sia possibile d'essere usufruito.
L'articolo odierno di Maria Pia Fusco de"La Repubblica"e tratto dal suggerimento di"Senza Soste"spiega grazie all'intervista a Domenico Procacci della Fandango che distribuisce il film questo abuso di potere censorio della dittatura governativo-mediatica e visto che il trailer non lo si potrà vedere su MediaRai lo propongo direttamente dal sito di Fandango anticipato da un breve commento riguardo il film stesso.
Lo faccio per ovviare al taglio compiuto dal regime anche se il film magari non lo vedrò mai,al cinema sicuramente no,solo per il fatto di portare un briciolo d'informazione e di conoscenza per rispetto ad un lavoro del regista Erik Gandini che credo fortemente voglia solo raccontare la verità tanto nascosta eppure tanto sotto gli occhi degli italiani.
Anche da Mediaset no allo spot del film che racconta l'ascesa delle tv di Berlusconi. La tv di Stato esigeva un contraddittorio per rispettare il pluralismo.
ROMA - Nelle televisioni italiane è vietato parlare di tv, vietato dire che c'è una connessione tra il capo del governo e quello che si vede sul piccolo schermo. La Rai ha rifiutato il trailer di Videocracy il film di Erik Gandini che ricostruisce i trent'anni di crescita dei canali Mediaset e del nostro sistema televisivo.
"Come sempre abbiamo mandato i trailer all'AnicaAgis che gestisce gli spazi che la Rai dedica alla promozione del cinema. La risposta è stata che la Rai non avrebbe mai trasmesso i nostri spot perché secondo loro, parrà surreale, si tratta di un messaggio politico, non di un film", dice Domenico Procacci della Fandango che distribuisce il film. Netto rifiuto anche da parte di Mediaset, in questo caso con una comunicazione verbale da Publitalia. "Ci hanno detto che secondo loro film e trailer sono un attacco al sistema tv commerciale, quindi non ritenevano opportuno mandarlo in onda proprio sulle reti Mediaset".
A lasciare perplessi i distributori di Fandango e il regista sono infatti proprio le motivazioni della Rai. Con una lettera in stile legal-burocratese, la tv di Stato spiega che, anche se non siamo in periodo di campagna elettorale, il pluralismo alla Rai è sacro e se nello spot di un film si ravvisa un critica ad una parte politica ci vuole un immediato contraddittorio e dunque deve essere seguito dal messaggio di un film di segno opposto.
"Una delle motivazioni che mi ha colpito di più è quella in cui si dice che lo spot veicola un "inequivocabile messaggio politico di critica al governo" perché proietta alcune scritte con i dati che riguardano il paese alternate ad immagini di Berlusconi", prosegue Procacci "ma quei dati sono statistiche ufficiali, che sò "l'Italia è al 67mo posto nelle pari opportunità".
A preoccupare la Rai sembra essere questo dato mostrato nel film: "L'80% degli italiani utilizza la tv come principale fonte di informazione". Dice la lettera di censura dello spot: "Attraverso il collegamento tra la titolarità del capo del governo rispetto alla principale società radiotelevisiva privata", non solo viene riproposta la questione del conflitto di interessi, ma, guarda caso, si potrebbe pensare che "attraverso la tv il governo potrebbe orientare subliminalmente le convinzioni dei cittadini influenzandole a proprio favore ed assicurandosene il consenso". "Mi pare chiaro che in Rai Videocracy è visto come un attacco a Berlusconi. In realtà è il racconto di come il nostro paese sia cambiato in questi ultimi trent'anni e del ruolo delle tv commerciali nel cambiamento. Quello che Nanni Moretti definisce "la creazione di un sistema di disvalori"".
Le riprese del film, se pure Villa Certosa si vede, è stato completato prima dei casi "Noemi o D'Addario" e non c'è un collegamento con l'attualità. Ma per assurdo, sottolinea Procacci, il collegamento lo trova la Rai. Nella lettera di rifiuto si scrive che dato il proprietario delle reti e alcuni dei programmi "caratterizzati da immagini di donne prive di abiti e dal contenuto latamente voyeuristico delle medesime si determina un inequivocabile richiamo alle problematiche attualmente all'ordine del giorno riguardo alle attitudini morali dello stesso e al suo rapporto con il sesso femminile formulando illazioni sul fatto che tali caratteristiche personali sarebbero emerse già in passato nel corso dell'attività di imprenditore televisivo".
"Siamo in uno di quei casi in cui si è più realisti del re - dice Procacci - Ci sono stati film assai più duri nei confronti di Berlusconi come "Viva Zapatero" o a "Il caimano", che però hanno avuto i loro spot sulle reti Rai. E il governo era dello stesso segno di oggi. Penso che se questo film è ritenuto così esplosivo vuol dire che davvero l'Italia è cambiata".
La risposta di Merdiaset era stata solo verbale e comunque scontata nonostante i trailers dei film siano pagati dalle case cinematografiche e che reti come quella del biscione campino sulla pubblicità:un no categorico visto che il film piuttosto che criticare la figura di Berlusconi spieghi la scalata del gruppo Mediaset e conduca lo spettatore a capire che il veicolo informativo televisione sia un forte strumento sociale e politico spesso pericoloso nelle mani di persone sbagliate.
Queste decisioni di regime mettono in grande rispolvero l'uso strumentale della censura come mezzo di disinformazione ponendo lo spettatore in uno stato d'ignoranza in quanto al pubblico è vietata la conoscenza,il sapere che un determinato bene-prodotto sia possibile d'essere usufruito.
L'articolo odierno di Maria Pia Fusco de"La Repubblica"e tratto dal suggerimento di"Senza Soste"spiega grazie all'intervista a Domenico Procacci della Fandango che distribuisce il film questo abuso di potere censorio della dittatura governativo-mediatica e visto che il trailer non lo si potrà vedere su MediaRai lo propongo direttamente dal sito di Fandango anticipato da un breve commento riguardo il film stesso.
Lo faccio per ovviare al taglio compiuto dal regime anche se il film magari non lo vedrò mai,al cinema sicuramente no,solo per il fatto di portare un briciolo d'informazione e di conoscenza per rispetto ad un lavoro del regista Erik Gandini che credo fortemente voglia solo raccontare la verità tanto nascosta eppure tanto sotto gli occhi degli italiani.
Anche da Mediaset no allo spot del film che racconta l'ascesa delle tv di Berlusconi. La tv di Stato esigeva un contraddittorio per rispettare il pluralismo.
ROMA - Nelle televisioni italiane è vietato parlare di tv, vietato dire che c'è una connessione tra il capo del governo e quello che si vede sul piccolo schermo. La Rai ha rifiutato il trailer di Videocracy il film di Erik Gandini che ricostruisce i trent'anni di crescita dei canali Mediaset e del nostro sistema televisivo.
"Come sempre abbiamo mandato i trailer all'AnicaAgis che gestisce gli spazi che la Rai dedica alla promozione del cinema. La risposta è stata che la Rai non avrebbe mai trasmesso i nostri spot perché secondo loro, parrà surreale, si tratta di un messaggio politico, non di un film", dice Domenico Procacci della Fandango che distribuisce il film. Netto rifiuto anche da parte di Mediaset, in questo caso con una comunicazione verbale da Publitalia. "Ci hanno detto che secondo loro film e trailer sono un attacco al sistema tv commerciale, quindi non ritenevano opportuno mandarlo in onda proprio sulle reti Mediaset".
A lasciare perplessi i distributori di Fandango e il regista sono infatti proprio le motivazioni della Rai. Con una lettera in stile legal-burocratese, la tv di Stato spiega che, anche se non siamo in periodo di campagna elettorale, il pluralismo alla Rai è sacro e se nello spot di un film si ravvisa un critica ad una parte politica ci vuole un immediato contraddittorio e dunque deve essere seguito dal messaggio di un film di segno opposto.
"Una delle motivazioni che mi ha colpito di più è quella in cui si dice che lo spot veicola un "inequivocabile messaggio politico di critica al governo" perché proietta alcune scritte con i dati che riguardano il paese alternate ad immagini di Berlusconi", prosegue Procacci "ma quei dati sono statistiche ufficiali, che sò "l'Italia è al 67mo posto nelle pari opportunità".
A preoccupare la Rai sembra essere questo dato mostrato nel film: "L'80% degli italiani utilizza la tv come principale fonte di informazione". Dice la lettera di censura dello spot: "Attraverso il collegamento tra la titolarità del capo del governo rispetto alla principale società radiotelevisiva privata", non solo viene riproposta la questione del conflitto di interessi, ma, guarda caso, si potrebbe pensare che "attraverso la tv il governo potrebbe orientare subliminalmente le convinzioni dei cittadini influenzandole a proprio favore ed assicurandosene il consenso". "Mi pare chiaro che in Rai Videocracy è visto come un attacco a Berlusconi. In realtà è il racconto di come il nostro paese sia cambiato in questi ultimi trent'anni e del ruolo delle tv commerciali nel cambiamento. Quello che Nanni Moretti definisce "la creazione di un sistema di disvalori"".
Le riprese del film, se pure Villa Certosa si vede, è stato completato prima dei casi "Noemi o D'Addario" e non c'è un collegamento con l'attualità. Ma per assurdo, sottolinea Procacci, il collegamento lo trova la Rai. Nella lettera di rifiuto si scrive che dato il proprietario delle reti e alcuni dei programmi "caratterizzati da immagini di donne prive di abiti e dal contenuto latamente voyeuristico delle medesime si determina un inequivocabile richiamo alle problematiche attualmente all'ordine del giorno riguardo alle attitudini morali dello stesso e al suo rapporto con il sesso femminile formulando illazioni sul fatto che tali caratteristiche personali sarebbero emerse già in passato nel corso dell'attività di imprenditore televisivo".
"Siamo in uno di quei casi in cui si è più realisti del re - dice Procacci - Ci sono stati film assai più duri nei confronti di Berlusconi come "Viva Zapatero" o a "Il caimano", che però hanno avuto i loro spot sulle reti Rai. E il governo era dello stesso segno di oggi. Penso che se questo film è ritenuto così esplosivo vuol dire che davvero l'Italia è cambiata".
“In una videocrazia la chiave del potere è l’immagine.In Italia soltanto un uomo ha dominato le immagini per più di tre decenni. Prima magnate della TV, poi Presidente, Silvio Berlusconi ha creato un binomio perfetto caratterizzato da politica e intrattenimento televisivo, influenzando come nessun altro il contenuto della tv commerciale in Italia.I suoi canali televisivi, noti per l'eccessiva esposizione di ragazze seminude, sono considerati da molti uno specchio dei suoi gusti e della sua personalità”. “In una videocrazia la chiave del potere è l’immagine.In Italia soltanto un uomo ha dominato le immagini per più di tre decenni. Prima magnate della TV, poi Presidente, Silvio Berlusconi ha creato un binomio perfetto caratterizzato da politica e intrattenimento televisivo, influenzando come nessun altro il contenuto della tv commerciale in Italia.I suoi canali televisivi, noti per l'eccessiva esposizione di ragazze seminude, sono considerati da molti uno specchio dei suoi gusti e della sua personalità”. Erik Gandini, regista, vive in Svezia ma è nato e cresciuto in Italia.Con Videocracy, torna nel suo Paese d’origine, per raccontare dall’interno le conseguenze di un esperimento televisivo che gli italiani subiscono da 30 anni. Riesce ad ottenere accesso esclusivo alle sfere più potenti e rivela una storia significativa, derivata dalla spaventosa realtà della televisione italiana, un Paese in cui il passaggio da showgirl a Ministro per le Pari Opportunità è puramente naturale.
mercoledì 26 agosto 2009
MASSACRO DEL CIRCEO SENZA GIUSTIZIA
Il rilascio di Gianni Guido fa parte delle scarcerazioni eccellenti degli ultimi mesi che legittimano e sdoganano il fascismo assieme ai suoi assassini,stragisti,picchiatori e stupratori grazie alla non applicabilità della pena nella sua completezza.
Il caso Fioravanti addirittura scandaloso visto che non si è mai visto un pluriergastolano rimesso in libertà e con pieni diritti in uno stato che si ritiene democratico,ed anche Guido non esce dal seminato in quanto omicida e stupratore,massacratore di due ragazze e condannato dapprima all'ergastolo,poi a trent'anni ed infine a 24 pena definitiva.
Dopo essere evaso due volte dal carcere e aver trovato rifugio in Argentina e a Panama di questi anni ne ha fatti di meno e soprattutto non sono state sommate le aggravanti delle scappatelle anche decennali dalle carceri.
Terroristi ideologici stanno ancora marcendo in galera al pari di altri che di omicidi nella loro esistenza ne hanno commessi uno e basta:naturalmente non voglio legittimare queste persone perchè hanno commesso omicidi e si sono fatti beccare e quindi la pena da scontare è un loro obbligo,ma d'altro canto questi ultimi rilasci destronsi fanno pensare molto su chi decide chi sta dentro e chi esce.
Poi il regime nella persona del premier Berluscojoni attacca la magistratura,i giudici,le"toghe rosse"...e poi quando scarcerano Fioravanti,Guido,quando lasciano Placanica libero,danno una manciata di anni a Spaccarotella e tre anni e sei mesi a chi ha ammazzato Federico Aldrovandi io mi chiedo che cazzo hanno da lamentarsi(tralasciando i pezzi grossi del governo che godono dell'immunità...).
Qui sotto,tratta da Wikipedia,un riassunto del massacro del Circeo compiuta da tre bastardi neofascisti che già ai tempi si atteggiarono da fighetti figli di papà e che ora,tranne Ghira pure lui fuggito con la compiacenza dei servizi segreti italiani e ora brulicante di vermi in Marocco,sono ancora oggetto della cronaca nera assieme al terzo elemento Izzo che ora è ancora in carcere dopo aver ammazzato nuovamente dopo la scarcerazione una madre con sua figlia quattordicenne.
Il massacro del Circeo è un fatto di cronaca nera avvenuto sul litorale romano, nella zona del Circeo il 29 settembre 1975.
Donatella Colasanti (1958-2005) di 17 anni e Rosaria Lopez (1956-1975) di 19 anni, due amiche provenienti da famiglie di modesta condizione sociale, residenti in una zona popolare della capitale, furono invitate ad una festa con i tre neofascisti Giovanni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira nell'abitazione di quest'ultimo a Punta Rossa, sul promontorio del Circeo nel comune di San Felice Circeo.
Le due ragazze avevano conosciuto Guido ed Izzo pochi giorni prima frequentando entrambi il bar del famoso Fungo all'Eur, accogliendoli con simpatia dato il loro habitus garbato ed il comportamento irreprensibile.
Il passato dei tre.
Andrea Ghira, 22 anni, figlio di un noto e stimato imprenditore edile, grande ammiratore del capo del Clan dei marsigliesi, Jacques Berenguer, nel 1973 fu condannato per una rapina a mano armata compiuta insieme a Angelo Izzo e per questo scontò venti mesi nel carcere di Rebibbia. Izzo, studente di medicina, insieme a un paio di amici, nel 1974 aveva violentato due ragazzine ed era stato condannato a soli due anni e mezzo di reclusione, che comunque non scontò nemmeno in parte, essendogli stata concessa la sospensione condizionale della pena. Giovanni "Gianni" Guido, 19enne studente di architettura, anch'egli proveniente da un ambiente agiato, era l'unico incensurato dei tre.
L'incubo.
Una volta giunte a destinazione intorno alle sei e venti di sera tutto si trasformò in un incubo, come dalle parole della Colasanti:
« Verso le sei e venti, ci trovavamo tutti e quattro nel giardino della villa quando, improvvisamente, uno di loro tirò fuori la pistola. Cominciarono a dirci che appartenevano alla banda dei Marsigliesi e che Jacques, il loro capo, aveva dato l'ordine di prenderci in quanto voleva due ragazze. »
Per più di un giorno ed una notte le due ragazze furono violentate, seviziate e massacrate. I tre esternarono un odio sia misogino che di censo, con tanto di recriminazioni ideologiche contro le donne ed il ceto meno abbiente, a due malcapitate mai interessatesi di politica. Guido ritornava a Roma per non mancare la cena con i propri familiari per poi ripartire per il Circeo e riunirsi ai suoi amici aguzzini. Entrambe vennero drogate. Rosaria Lopez fu portata nel bagno di sopra della villa, picchiata ed annegata nella vasca da bagno. Dopo tentarono di strangolare con una cintura la Colasanti e la colpirono selvaggiamente. In un momento di disattenzione dei due aguzzini, Donatella riuscì a raggiungere un telefono e cercò di chiedere aiuto ma fu scoperta e colpita con una spranga di ferro. Credendole entrambe morte i tre le rinchiusero nel bagagliaio di una Fiat 127 bianca intestata al padre di Gianni Guido, Raffaele. Dopo esser arrivati vicino a casa di Guido decisero di andare a cenare in un ristorante. Lasciarono la Fiat 127 con le due ragazze in viale Pola, nel quartiere "Trieste". Donatella Colasanti, sopravvissuta per miracolo e in preda a choc, approfittò dell'assenza dei ragazzi per richiamare un metronotte di pattuglia. Izzo e Guido furono arrestati entro poche ore (è nota una foto d'archivio in cui Izzo esibisce spavaldamente le manette ai polsi, sorridendo), Ghira non sarà mai catturato. La Colasanti fu ricoverata in ospedale con ferite gravi e frattura del naso, guaribili in più di trenta giorni, e gravi danni psicologici irreversibili.
Lo strascico giudiziario.
Grande apporto alle indagini fu dato dai Carabinieri, comandati dal Maresciallo Simonetti Gesùaldo, che seppero ben ricostruire, anche grazie alle deposizioni della Colasanti, la dinamica della strage. La giovane Donatella, costituitasi poi parte civile contro i suoi carnefici, venne rappresentata dall'avvocata Tina Lagostena Bassi nel processo.
Diverse associazioni femministe si costituirono parte civile e presenziarono al processo. Il 29 luglio 1976 arrivò la sentenza in primo grado, ergastolo per Gianni Guido e Angelo Izzo, ergastolo in contumacia per Andrea Ghira. I giudici non concessero alcuna attenuante.
Ghira fuggì in Spagna e si arruolò nel Tercio (Legione spagnola) (da cui venne espulso per abuso di stupefacenti nel 1994) con il falso nome di Massimo Testa de Andres. Ghira sarebbe morto di overdose nel 1994 e sarebbe stato sepolto nel cimitero di Melilla, enclave spagnola in Africa, sotto falso nome. Nel dicembre 2005 il suo cadavere fu 'ufficialmente' identificato mediante esame del DNA. I familiari delle vittime hanno tuttavia contestato le conclusioni della perizia, sostenendo che le ossa sarebbero quelle di un parente di Ghira. Esiste d'altra parte una foto del 1995, scattata dai Carabinieri a Roma, che ritrae un uomo camminare in una zona periferica della città: l'analisi dell'immagine al computer ha confermato che si trattava di Andrea Ghira.
Guido e Izzo nel gennaio 1977 presero in ostaggio una guardia carceraria e tentarono di evadere dal carcere di Latina, senza successo.
La sentenza viene modificata in appello il 28 ottobre 1980 per Gianni Guido. La condanna gli viene ridotta a trenta anni, dopo la dichiarazione di pentimento e la accettazione da parte della famiglia della ragazza uccisa di un risarcimento.
Gianni Guido riuscì in seguito ad evadere dal carcere di San Gimignano nel gennaio del 1981. Fuggì a Buenos Aires dove però venne riconosciuto ed arrestato, poco più di due anni dopo.In attesa dell'estradizione, nell'aprile del 1985 riuscì ancora a fuggire, ma nel giugno del 1994, fu di nuovo catturato a Panama, dove si era rifatto una vita come commerciante di autovetture, ed estradato in Italia.
La semilibertà concessa ad Izzo e il nuovo duplice omicidio.
Nell'aprile 2005, nonostante la condanna pendente, il tribunale di Velletri ha accordato a Izzo la semilibertà, di cui il criminale ha approfittato per fare nuove vittime, Maria Carmela Linciano (49 anni) e Valentina Maiorano (14 anni), rispettivamente moglie e figlia di un pentito della Sacra Corona Unita che Izzo conobbe in carcere a Campobasso; le due donne sono state legate e soffocate (è stato accertato, dopo vari esami autoptici, che la piccola non ha subito violenza sessuale) e infine sepolte nel cortile di una villetta a Mirabello Sannitico in provincia di Campobasso, di proprietà di un ex detenuto amico di Izzo. Questo nuovo fatto di sangue ha scatenato in Italia roventi polemiche sulla giustizia. Il 12 gennaio 2007 Izzo è stato condannato all'ergastolo per questo crimine, condanna confermata anche in Appello.
La morte della Colasanti.
Donatella Colasanti è morta il 30 dicembre 2005 a Roma per un tumore al seno, ancora duramente sconvolta per la violenza subita 30 anni prima. Avrebbe voluto assistere al nuovo processo contro Izzo. Le sue ultime parole sono state "Battiamoci per la verità".
La libertà a Giovanni Guido.
L' 11 aprile 2008 Giovanni Guido, il 3° assassino, è stato affidato ai servizi sociali dopo 14 anni passati nel carcere di Rebibbia. Ha finito di scontare definitivamente il debito con la società il 25 agosto 2009.
Il caso Fioravanti addirittura scandaloso visto che non si è mai visto un pluriergastolano rimesso in libertà e con pieni diritti in uno stato che si ritiene democratico,ed anche Guido non esce dal seminato in quanto omicida e stupratore,massacratore di due ragazze e condannato dapprima all'ergastolo,poi a trent'anni ed infine a 24 pena definitiva.
Dopo essere evaso due volte dal carcere e aver trovato rifugio in Argentina e a Panama di questi anni ne ha fatti di meno e soprattutto non sono state sommate le aggravanti delle scappatelle anche decennali dalle carceri.
Terroristi ideologici stanno ancora marcendo in galera al pari di altri che di omicidi nella loro esistenza ne hanno commessi uno e basta:naturalmente non voglio legittimare queste persone perchè hanno commesso omicidi e si sono fatti beccare e quindi la pena da scontare è un loro obbligo,ma d'altro canto questi ultimi rilasci destronsi fanno pensare molto su chi decide chi sta dentro e chi esce.
Poi il regime nella persona del premier Berluscojoni attacca la magistratura,i giudici,le"toghe rosse"...e poi quando scarcerano Fioravanti,Guido,quando lasciano Placanica libero,danno una manciata di anni a Spaccarotella e tre anni e sei mesi a chi ha ammazzato Federico Aldrovandi io mi chiedo che cazzo hanno da lamentarsi(tralasciando i pezzi grossi del governo che godono dell'immunità...).
Qui sotto,tratta da Wikipedia,un riassunto del massacro del Circeo compiuta da tre bastardi neofascisti che già ai tempi si atteggiarono da fighetti figli di papà e che ora,tranne Ghira pure lui fuggito con la compiacenza dei servizi segreti italiani e ora brulicante di vermi in Marocco,sono ancora oggetto della cronaca nera assieme al terzo elemento Izzo che ora è ancora in carcere dopo aver ammazzato nuovamente dopo la scarcerazione una madre con sua figlia quattordicenne.
Il massacro del Circeo è un fatto di cronaca nera avvenuto sul litorale romano, nella zona del Circeo il 29 settembre 1975.
Donatella Colasanti (1958-2005) di 17 anni e Rosaria Lopez (1956-1975) di 19 anni, due amiche provenienti da famiglie di modesta condizione sociale, residenti in una zona popolare della capitale, furono invitate ad una festa con i tre neofascisti Giovanni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira nell'abitazione di quest'ultimo a Punta Rossa, sul promontorio del Circeo nel comune di San Felice Circeo.
Le due ragazze avevano conosciuto Guido ed Izzo pochi giorni prima frequentando entrambi il bar del famoso Fungo all'Eur, accogliendoli con simpatia dato il loro habitus garbato ed il comportamento irreprensibile.
Il passato dei tre.
Andrea Ghira, 22 anni, figlio di un noto e stimato imprenditore edile, grande ammiratore del capo del Clan dei marsigliesi, Jacques Berenguer, nel 1973 fu condannato per una rapina a mano armata compiuta insieme a Angelo Izzo e per questo scontò venti mesi nel carcere di Rebibbia. Izzo, studente di medicina, insieme a un paio di amici, nel 1974 aveva violentato due ragazzine ed era stato condannato a soli due anni e mezzo di reclusione, che comunque non scontò nemmeno in parte, essendogli stata concessa la sospensione condizionale della pena. Giovanni "Gianni" Guido, 19enne studente di architettura, anch'egli proveniente da un ambiente agiato, era l'unico incensurato dei tre.
L'incubo.
Una volta giunte a destinazione intorno alle sei e venti di sera tutto si trasformò in un incubo, come dalle parole della Colasanti:
« Verso le sei e venti, ci trovavamo tutti e quattro nel giardino della villa quando, improvvisamente, uno di loro tirò fuori la pistola. Cominciarono a dirci che appartenevano alla banda dei Marsigliesi e che Jacques, il loro capo, aveva dato l'ordine di prenderci in quanto voleva due ragazze. »
Per più di un giorno ed una notte le due ragazze furono violentate, seviziate e massacrate. I tre esternarono un odio sia misogino che di censo, con tanto di recriminazioni ideologiche contro le donne ed il ceto meno abbiente, a due malcapitate mai interessatesi di politica. Guido ritornava a Roma per non mancare la cena con i propri familiari per poi ripartire per il Circeo e riunirsi ai suoi amici aguzzini. Entrambe vennero drogate. Rosaria Lopez fu portata nel bagno di sopra della villa, picchiata ed annegata nella vasca da bagno. Dopo tentarono di strangolare con una cintura la Colasanti e la colpirono selvaggiamente. In un momento di disattenzione dei due aguzzini, Donatella riuscì a raggiungere un telefono e cercò di chiedere aiuto ma fu scoperta e colpita con una spranga di ferro. Credendole entrambe morte i tre le rinchiusero nel bagagliaio di una Fiat 127 bianca intestata al padre di Gianni Guido, Raffaele. Dopo esser arrivati vicino a casa di Guido decisero di andare a cenare in un ristorante. Lasciarono la Fiat 127 con le due ragazze in viale Pola, nel quartiere "Trieste". Donatella Colasanti, sopravvissuta per miracolo e in preda a choc, approfittò dell'assenza dei ragazzi per richiamare un metronotte di pattuglia. Izzo e Guido furono arrestati entro poche ore (è nota una foto d'archivio in cui Izzo esibisce spavaldamente le manette ai polsi, sorridendo), Ghira non sarà mai catturato. La Colasanti fu ricoverata in ospedale con ferite gravi e frattura del naso, guaribili in più di trenta giorni, e gravi danni psicologici irreversibili.
Lo strascico giudiziario.
Grande apporto alle indagini fu dato dai Carabinieri, comandati dal Maresciallo Simonetti Gesùaldo, che seppero ben ricostruire, anche grazie alle deposizioni della Colasanti, la dinamica della strage. La giovane Donatella, costituitasi poi parte civile contro i suoi carnefici, venne rappresentata dall'avvocata Tina Lagostena Bassi nel processo.
Diverse associazioni femministe si costituirono parte civile e presenziarono al processo. Il 29 luglio 1976 arrivò la sentenza in primo grado, ergastolo per Gianni Guido e Angelo Izzo, ergastolo in contumacia per Andrea Ghira. I giudici non concessero alcuna attenuante.
Ghira fuggì in Spagna e si arruolò nel Tercio (Legione spagnola) (da cui venne espulso per abuso di stupefacenti nel 1994) con il falso nome di Massimo Testa de Andres. Ghira sarebbe morto di overdose nel 1994 e sarebbe stato sepolto nel cimitero di Melilla, enclave spagnola in Africa, sotto falso nome. Nel dicembre 2005 il suo cadavere fu 'ufficialmente' identificato mediante esame del DNA. I familiari delle vittime hanno tuttavia contestato le conclusioni della perizia, sostenendo che le ossa sarebbero quelle di un parente di Ghira. Esiste d'altra parte una foto del 1995, scattata dai Carabinieri a Roma, che ritrae un uomo camminare in una zona periferica della città: l'analisi dell'immagine al computer ha confermato che si trattava di Andrea Ghira.
Guido e Izzo nel gennaio 1977 presero in ostaggio una guardia carceraria e tentarono di evadere dal carcere di Latina, senza successo.
La sentenza viene modificata in appello il 28 ottobre 1980 per Gianni Guido. La condanna gli viene ridotta a trenta anni, dopo la dichiarazione di pentimento e la accettazione da parte della famiglia della ragazza uccisa di un risarcimento.
Gianni Guido riuscì in seguito ad evadere dal carcere di San Gimignano nel gennaio del 1981. Fuggì a Buenos Aires dove però venne riconosciuto ed arrestato, poco più di due anni dopo.In attesa dell'estradizione, nell'aprile del 1985 riuscì ancora a fuggire, ma nel giugno del 1994, fu di nuovo catturato a Panama, dove si era rifatto una vita come commerciante di autovetture, ed estradato in Italia.
La semilibertà concessa ad Izzo e il nuovo duplice omicidio.
Nell'aprile 2005, nonostante la condanna pendente, il tribunale di Velletri ha accordato a Izzo la semilibertà, di cui il criminale ha approfittato per fare nuove vittime, Maria Carmela Linciano (49 anni) e Valentina Maiorano (14 anni), rispettivamente moglie e figlia di un pentito della Sacra Corona Unita che Izzo conobbe in carcere a Campobasso; le due donne sono state legate e soffocate (è stato accertato, dopo vari esami autoptici, che la piccola non ha subito violenza sessuale) e infine sepolte nel cortile di una villetta a Mirabello Sannitico in provincia di Campobasso, di proprietà di un ex detenuto amico di Izzo. Questo nuovo fatto di sangue ha scatenato in Italia roventi polemiche sulla giustizia. Il 12 gennaio 2007 Izzo è stato condannato all'ergastolo per questo crimine, condanna confermata anche in Appello.
La morte della Colasanti.
Donatella Colasanti è morta il 30 dicembre 2005 a Roma per un tumore al seno, ancora duramente sconvolta per la violenza subita 30 anni prima. Avrebbe voluto assistere al nuovo processo contro Izzo. Le sue ultime parole sono state "Battiamoci per la verità".
La libertà a Giovanni Guido.
L' 11 aprile 2008 Giovanni Guido, il 3° assassino, è stato affidato ai servizi sociali dopo 14 anni passati nel carcere di Rebibbia. Ha finito di scontare definitivamente il debito con la società il 25 agosto 2009.
CORTI PER I DIRITTI DEGLI SBIRRI MA NON DELL'UOMO
Chi pensava che la suprema corte per i diritti dell'uomo fosse un organismo giudiziario al di sopra di tutto e di tutti da ieri può parzialmente ricredersi visto la conferma che fu legittima difesa l'uccisione di Carlo Giuliani il 20 luglio del 2001 durante il G8 di Genova.
E'questo che è saltato fuori dopo otto anni di indagi,contro-indagini,depistaggi ed insabbiamenti,silenzi complici e dichiarazioni false,corruzione ed abusi di potere abilmente architettati da governo,digos e polizia italiana.
Il pronunciamento di Strasburgo ha finalmente fatto finire l'incubo a quel bastardo assassino di Placanica carabofascio che si sentiva oppresso e che si sentiva malissimo peggio che in carcere...e pure Gasparri portavoce del Pdl che rimarca che siano stati confermati i fatti...tra cani grossi non ci si morde e il regime italiano e la corte europea si sono lavate le mani sporche di sangue a vicenda,che schifo.
Noi non staremo di certo zitti di fronte a questo ennesimo assassinio che Carlo ha subito e chi dovrà pagarla la pagherà,chi è colpevole avrà la sua condanna che non sarà formulata nè dalla corte suprema d'Europa nè da quella italiana ma dalla giustizia del popolo partigiano.
L'articolo è tratto da Infoaut.org e traccia un profilo di giusta condanna contro la sentenza.
E'questo che è saltato fuori dopo otto anni di indagi,contro-indagini,depistaggi ed insabbiamenti,silenzi complici e dichiarazioni false,corruzione ed abusi di potere abilmente architettati da governo,digos e polizia italiana.
Il pronunciamento di Strasburgo ha finalmente fatto finire l'incubo a quel bastardo assassino di Placanica carabofascio che si sentiva oppresso e che si sentiva malissimo peggio che in carcere...e pure Gasparri portavoce del Pdl che rimarca che siano stati confermati i fatti...tra cani grossi non ci si morde e il regime italiano e la corte europea si sono lavate le mani sporche di sangue a vicenda,che schifo.
Noi non staremo di certo zitti di fronte a questo ennesimo assassinio che Carlo ha subito e chi dovrà pagarla la pagherà,chi è colpevole avrà la sua condanna che non sarà formulata nè dalla corte suprema d'Europa nè da quella italiana ma dalla giustizia del popolo partigiano.
L'articolo è tratto da Infoaut.org e traccia un profilo di giusta condanna contro la sentenza.
Carlo Giuliani è stato ucciso per legittima difesa: la corte europea di Straburgo conferma le conclusioni della magistratura italiana sulla morte di Carlo, ucciso dallo sbirro in servizio Mario Placanica durante il G8 del luglio 2001.Il carabiniere che al G8 di Genova uccise Carlo Giuliani agi' quindi"per legittima difesa" , con buona pace dei sinistri che guardano sempre all'Europa per lamentarsi di un'Italia dominata dai Berlusconi, quella stessa Europa ce impone le direttive infami che permettono ad un governo come quello italiano di licenziare in parlamento leggi disumane come quelle contenute nel famigerato "Pacchetto Sicurezza".
Secondo la sentenza della corte il militare che sparo' a Giuliani non e' ricorso a un uso eccessivo della forza, ma ha risposto a quello che ha percepito come un "reale e imminente pericolo per la sua vita e dei suoi colleghi". La Corte ha dato invece ragione ai familiari di Carlo Giuliani riconoscendo come l'Italia avrebbe dovuto svolgere un'inchiesta per stabilire se il fatto potesse essere ascrivibile a una cattiva pianificazione e gestione delle operazioni di ordine pubblico.Un colpo al cerchio, uno alla botte: in questo la Giustizia Europea è migliore di quella italiana...
Infine i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che, a differenza di quanto sostenuto dalla famiglia Giuliani, il governo italiano abbia cooperato sufficientemente con la Corte, consentendo di condurre un appropriato esame del caso. Nessuna violazione, dunque, dell'articolo 38 della convenzione che impone agli Stati contraenti di fornire tutte le informazioni richieste dai giudici di Strasburgo. Come dire: tra comprimari non ci si pesta i piedi.Carlo era uno di noi, ed era dalla parte giusta, e lo sarebbe stato anche in futuro se un carabiniere "in servizio" non avesse messo fine alla sua giovane vita. Per la legge la sua vita vale 40.000 euro, lo ha deciso la corte dei diritti dell'uomo, uno di quei mitici organismi che sembrano al di sopra del bene e del male.
Secondo la sentenza della corte il militare che sparo' a Giuliani non e' ricorso a un uso eccessivo della forza, ma ha risposto a quello che ha percepito come un "reale e imminente pericolo per la sua vita e dei suoi colleghi". La Corte ha dato invece ragione ai familiari di Carlo Giuliani riconoscendo come l'Italia avrebbe dovuto svolgere un'inchiesta per stabilire se il fatto potesse essere ascrivibile a una cattiva pianificazione e gestione delle operazioni di ordine pubblico.Un colpo al cerchio, uno alla botte: in questo la Giustizia Europea è migliore di quella italiana...
Infine i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che, a differenza di quanto sostenuto dalla famiglia Giuliani, il governo italiano abbia cooperato sufficientemente con la Corte, consentendo di condurre un appropriato esame del caso. Nessuna violazione, dunque, dell'articolo 38 della convenzione che impone agli Stati contraenti di fornire tutte le informazioni richieste dai giudici di Strasburgo. Come dire: tra comprimari non ci si pesta i piedi.Carlo era uno di noi, ed era dalla parte giusta, e lo sarebbe stato anche in futuro se un carabiniere "in servizio" non avesse messo fine alla sua giovane vita. Per la legge la sua vita vale 40.000 euro, lo ha deciso la corte dei diritti dell'uomo, uno di quei mitici organismi che sembrano al di sopra del bene e del male.
martedì 25 agosto 2009
BELLISSIMA SERATA A BRESCIA PER APPOGGIARE LA LOTTA BASCA
Buonissima partecipazione sia di pubblico che di persone che sono intervenute per il dibattito di sabato scorso sul tema"Partigiani nel cuore d'Europa"in relazione alla situazione che sta vivendo Euskal Herria in questo preciso momento storico.
Sia la qualità che la quantità delle persone interessate dall'evento sono state di prim'ordine,alcune vecchie conoscenze ed amici solidali da annicon la lotta del popolo basco ma anche semplici curiosi o comunque gente che ha volto approfondire ed ampliare la conoscenza della questione basca.
La serata è volata via con le spiegazioni e le interpretazioni sulla situazione repressiva che si vive e respira dai baschi come l'eccessiva militarizzazione della zona,l'esclusione di partiti ritenuti amici dell'Eta dalle ultime elezioni politiche fino all'inasprimento dell'uso del carcere preventivo per i compagni accusati di terrorismo dalla polizia spagnola e francese prima di tutte,senza dimenticare gli episodi che hanno avuto per sfortunati protagonisti i compagni di EH Lagunak a Firenza qualche tempo fa.
Si è ribadito grazie agli interventi dei compagni presenti di EHL,a Giovanni Giacopuzzi(ferratissimo esperto delle vicende di Euskal Herria)e grazie all'aiuto del moderatore della festa di Radio Onda d'Urto e di un compagno basco che i paesi baschi siano il laboratorio europeo della repressione contro l'antagonismo di sinistra e che questo modo di fare militaresco appoggiato da giudici compiacenti possa essere esportato in tutto il resto d'Europa,fatto che già sta avvenendo e ce ne stiamo accorgendo.
Ciliegina sulla torta è stato il poter sentire parlare il compagno basco nella sua lingua,l'euskera,grazie all'aiuto di una compagna che per fortuna ed impegno suo sa tradurre bene ed alla svelta uno degli idiomi più antichi al mondo con la nostra lingua.
La serata poi dallo spazio della libreria del Magazzino 47 si è spostata presso lo stand dei Cobas per una cena tutti assieme,una cinquantina di compagni da tutta Italia accomunati dal principio che la passione per la lotta e per la resistenza non dev'essere solamente un fatto che riguarda solo il nostro piccolo ma la collettività del mondo.
Sia la qualità che la quantità delle persone interessate dall'evento sono state di prim'ordine,alcune vecchie conoscenze ed amici solidali da annicon la lotta del popolo basco ma anche semplici curiosi o comunque gente che ha volto approfondire ed ampliare la conoscenza della questione basca.
La serata è volata via con le spiegazioni e le interpretazioni sulla situazione repressiva che si vive e respira dai baschi come l'eccessiva militarizzazione della zona,l'esclusione di partiti ritenuti amici dell'Eta dalle ultime elezioni politiche fino all'inasprimento dell'uso del carcere preventivo per i compagni accusati di terrorismo dalla polizia spagnola e francese prima di tutte,senza dimenticare gli episodi che hanno avuto per sfortunati protagonisti i compagni di EH Lagunak a Firenza qualche tempo fa.
Si è ribadito grazie agli interventi dei compagni presenti di EHL,a Giovanni Giacopuzzi(ferratissimo esperto delle vicende di Euskal Herria)e grazie all'aiuto del moderatore della festa di Radio Onda d'Urto e di un compagno basco che i paesi baschi siano il laboratorio europeo della repressione contro l'antagonismo di sinistra e che questo modo di fare militaresco appoggiato da giudici compiacenti possa essere esportato in tutto il resto d'Europa,fatto che già sta avvenendo e ce ne stiamo accorgendo.
Ciliegina sulla torta è stato il poter sentire parlare il compagno basco nella sua lingua,l'euskera,grazie all'aiuto di una compagna che per fortuna ed impegno suo sa tradurre bene ed alla svelta uno degli idiomi più antichi al mondo con la nostra lingua.
La serata poi dallo spazio della libreria del Magazzino 47 si è spostata presso lo stand dei Cobas per una cena tutti assieme,una cinquantina di compagni da tutta Italia accomunati dal principio che la passione per la lotta e per la resistenza non dev'essere solamente un fatto che riguarda solo il nostro piccolo ma la collettività del mondo.
sabato 22 agosto 2009
IL PREMIER PUTTANIERE
L'articolo è dello scorso 6 agosto ma solo ieri l'ho letto e lo ripropongo per girare il coltello nella piaga nel culo di Berlusconi:è il"Nouvel Observateur"che ha pubblicato il pezzo in cui si spande giustamente merda sul premier puttaniere e sul suo esecutivo.
E tutto il mondo ci ride dietro libero di poter scrivere la verità sulla situazione italiana visto che l'oppressione del regime verso carta stampata e media in generale è sempre più virulenta e repressiva.
E'una miscellaea di tutto quello che è accaduto quest'estate(che deve ancora finire!)al premier pagliaccio e a chi ha la fortuna-sfortuna di far parte del suo entourage.Merde!
E tutto il mondo ci ride dietro libero di poter scrivere la verità sulla situazione italiana visto che l'oppressione del regime verso carta stampata e media in generale è sempre più virulenta e repressiva.
E'una miscellaea di tutto quello che è accaduto quest'estate(che deve ancora finire!)al premier pagliaccio e a chi ha la fortuna-sfortuna di far parte del suo entourage.Merde!
«Sesso, potere e menzogne»: il titolo del "Nouvel Observateur" in edicola oggi riassume alla perfezione la valanga di commenti della stampa estera sul nostro presidente del consiglio. I giornali di tutto il mondo, di destra e di sinistra, moderati o progressisti, non sanno più come qualificare le gesta berlusconiane: si passa dalla «libidine geriatrica» (The Independent) a un capo del governo «graffiato dalla figlia» (Le Figaro), che «gli dà lezioni» (The Daily Telegraph), «gli fa la morale» (Elle) e che lo biasima con un «vergogna, papà!» (l'australiano News). Il più agguerrito, tuttavia è il settimanale francese. Il "Nouvel Observateur" dedica infatti quattro pagine tutt'altro che tenere al premier, arrivando a una congettura devastante per la sua immagine e per quella del paese: «Con lo scorrere delle rivelazioni, l'ipotesi di un'infiltrazione della mafia russa al vertice dello Stato italiano prende consistenza», scrive Serge Raffy. Il giornale fa riferimento, ovviamente, all'inchiesta di Bari, alla droga, alle escort arrivate dall´Est, al ruolo di Gianpaolo Tarantini, tra l´altro consulente della russa Fisiokom. Nel ripercorrere tutta la storia, dalla festa a Casoria e la conseguente richiesta di divorzio da parte della moglie, il settimanale sembra letteralmente sgomento: «Povera Italia, terra di Dante e Michelangelo, diventata "Berluscolandia", abbandonata a un Don Giovanni patetico, che corre freneticamente dietro alla sua eterna giovinezza, a colpi di iniezioni pelviche, impianti capillari, operazioni di chirurgia estetica, sedute di trucco. Con quell'eterno sorriso "Ultrabrite", come una maschera di Scaramuccia. Un Michael Jackson paracadutato in un teatro della commedia dell'arte. Silvio il donnaiolo, che pesca nei book delle ragazze del suo impero televisivo la carne fresca utile ai suoi baccanali». Questo lungo passaggio da un'idea del tono dell'articolo, nel quale si ricorda il silenzio della stampa italiana: solo "Famiglia Cristiana" e "Avvenire" hanno rilanciato le inchieste e gli articoli di "Repubblica", presentata come «l'isoletta della stampa indipendente che resiste in Italia». Il "Nouvel Observateur" racconta dunque la storia degli ultimi mesi, dalle registrazioni della D´Addario all´inchiesta di Bari, dalle foto di Villa Certosa alle critiche della Chiesa. E parla «di una registrazione che rischia di alimentare ancor più lo scandalo». Un ipotetico nastro, secondo il periodico francese, nel quale Mara Carfagna («amante quasi ufficiale») e Mariastella Gelmini (le due sono definite «bimbe», nel senso americano del termine), addirittura «s'interrogano reciprocamente per sapere come "soddisfare" al meglio il primo ministro. Evocano le iniezioni che deve farsi fare prima di ogni rapporto. Se questo "audio" uscisse sulla stampa, malgrado la censura, sarebbe devastante per l'immagine del Cavaliere». Tutto ciò con sullo sfondo l'ennesima inchiesta giudiziaria e una possibile resa dei conti, dice il settimanale, tra i magistrati e l'uomo «che sfida la giustizia da quasi quarant'anni». Se i francesi sono esterrefatti, i britannici continuano a considerare il fenomeno Berlusconi con un misto di ironia e indignazione. Il "Guardian" trasforma la figlia Barbara «in un'improbabile eroina della sinistra» evidenziando che la ragazza è il primo membro della famiglia - dopo Veronica - a parlare degli scandali. Mentre "The Independent" dice che Berlusconi, da quando è apparso alla festa di Noemi, «ha contribuito a dare alla libidine geriatrica una cattiva fama».
venerdì 21 agosto 2009
LE BUFFONATE SU QUEL BASTARDO DI ALMIRANTE
Leggendo l'articolo scritto da Saverio Ferrari tratto dal"Manifesto"di ieri e segnalato da Indymedia Lombardia non sapevo se ridere o piangere delle cagate pazzesche riassunte nell'articolo(e sono solo poche righe rispetto ad un intero libro di 247 pagine!)che dà un taglio critico al nuovo lavoro di Vincenzo La Russa,fratello del più noto infame Ignazio,autore del volume"Giorgio Almirante.Da Mussolini a Fini".
Le premesse poste da Ferrari sono da far accaponare la pelle in quanto questa biografia scritta da uno di parte(fascista)evidenziano dettagli della vita di Almirante senza un piglio storico che è stato condiviso ed appurato da tutti.
Vi sono libri scritti da appartenti alla sinistra o dalla destra che trattano di compagni e camerati o viceversa che sono obiettivi e che seguono una linea logica storica che è quella e che non si cambia,poi le argomentazioni e le interpretazioni personali sono dettate da ciò che uno pensa e con cui si identifica.
Invece questo libro oltre che essere pieno di falsi storici omette dei documenti e degli episodi che sono errori-orrori macroscopici che basterebbe documentarsi un attimo per evitare pessime figure all'autore ed alla categoria degli scrittori(quelli veri).
Due esempi su tutti che riporto e riprendo grazie pure alle ultime due foto sono l'omissione del comunicato con il bando di fucilazione per i partigiani firmato da Almirante nel maggio del 1944 e la foto che ritrae il vecchio fascista assieme alle squadracce di picchiatori neri organizzate dalla sua persona di merda durante gli scontri avvenuti nel 1968 all'Università romana de La Sapienza(nel libro la didascalia dice che Almirante viene aggredito dagli studenti comunisti).
Il testo del comunicato lo propongo appena prima dell'altra foto dove il suo pupillo Gianfranco Fini con tanto di saluto romano,attuale presidente della Camera,il suo delfino fascistissimo che però ora sembra aver abbassato le ali ma lo fa solamente per la carica istituzionale che ricopre(un poco come le sparate di Bertinotti quando era seduto sullo stesso scrannio).
Almirante,come si potrà evincere dall'articolo,fu uno dei più grandi bastardi del periodo fascista e anche nel dopoguerra dopo aver fondato il Movimento (anti)Sociale Italiano mantenne alto e fiero il suo essere fascista e razzista...un grande italiano,un esempio da seguire...scriveva nei suoi manifesti AN solo l'anno scorso.
Evidentemente uno che affermava che:«Noi vogliamo essere, e ci vantiamo di essere, cattolici e buoni cattolici. Ma la nostra intransigenza non tollera confusioni di sorta […] Nel nostro operare di italiani, di cittadini, di combattenti – nel nostro credere, obbedire, combattere – noi siamo esclusivamente e gelosamente fascisti. Esclusivamente e gelosamente fascisti noi siamo nella teoria e nella pratica del razzismo»(da Wikipedia)era di certo un buon modello per tutti quelli che ora sono confluiti nel PDL del cazzo.
Almirante è stato un gran figlio di puttana e tutte le volte che vedo sua moglie Donna Assunta mi fa schifo come nella televisione di regime si possa mettere su un piedistallo ed elogiare un bastardo razzista ed assassino,che crepi anche lei e quella gran troia di Alessandra Mussolini che spesso appaiono in coppia sulle reti MediaRai.
Ecco il testo del comunicato di cui sopra:
« PREFETTURA DI GROSSETO
UFFICIO DI P. S. IN PAGANICO
COMUNICATO
Si riproduce testo del manifesto lanciato agli sbandati a seguito del decreto del 10 Aprile.
"Alle ore 24 del 25 Maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande. Entro le ore 24 del 25 Maggio gli sbandati che si presenteranno isolatamente consegnando le armi di cui sono eventualmente in possesso non saranno sottoposti a procedimenti penali e nessuna sanzione sarà presa a loro carico secondo quanto è previsto dal decreto del 18 Aprile. I gruppi di sbandati qualunque ne sia il numero dovranno inviare presso i comandi militari di Polizia Italiani e Tedeschi un proprio incaricato per prendere accordi per la presentazione dell'intero gruppo e per la consegna delle armi. Anche gli appartenenti a questi gruppi non saranno sottoposti ad alcun processo penale e sanzioni. Gli sbandati e gli appartenenti alle bande dovranno presentarsi a tutti i posti militari e di Polizia Italiani e Germanici entro le ore 24 del 25 maggio. Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena. Vi preghiamo curare immediatamente affinché testo venga affisso in tutti i Comuni vostra Provincia."
p. il Ministro Mezzasoma-Capo Gabinetto
GIORGIO ALMIRANTE
Dalla Prefettura 17 Maggio 1944 - XXII »
Incredibile Almirante.
La biografia di Vincenzo La Russa, fratello del ministro Ignazio, santifica il leader del Msi. Tacendo sul bando contro i partigiani e sdoganando Salò. Una revisione piena di errori e omissioni sugli anni '60 e '70.
Sono tali e tanti i silenzi, le reticenze e le omissioni nella biografia di Giorgio Almirante curata da Vincenzo La Russa ("Giorgio Almirante. Da Mussolini a Fini", Mursia, pag. 247, 17 euro), che potrebbe addirittura sorgere il sospetto che si stia parlando di un'altra persona. Davvero scoperto e grossolano appare il tentativo, tutto politico, di santificare il leader del neofascismo italiano, in spregio alle conoscenze storiche pacificamente acquisite. Dopo poche pagine iniziali in cui si concentrano le origini familiari e i primi passi compiuti da giornalista al seguito di Telesio Interlandi (un autentico invasato razzista nei confronti del quale Almirante manterrà sempre «stima e devozione»), prima al quotidiano Tevere e poi come segretario di redazione al quindicinale La difesa della razza, si passa subito a narrare del ruolo svolto dal settembre 1943 in veste di capo di gabinetto di Fernando Mezzasoma al ministero della Cultura popolare nella Rsi. Circostanza che viene presentata come frutto di un incontro del tutto fortuito a Roma con lo stesso Mezzasoma. Così la sua elezione a segretario nazionale del Msi nel giugno 1947, raccontata come un accidente non previsto, avvenuta a pochi mesi dalla costituzione della formazione politica da parte di un gruppo di nostalgici della Repubblica di Salò, che lo innalzarono a tale carica essendo loro ben più compromessi con il passato ventennio o addirittura latitanti. È il caso di Pino Romualdi, la più importante figura del neofascismo di quel periodo, costretto a operare dalla clandestinità. In realtà Almirante, come ricorderà egli stesso anni dopo, giunse a questo ruolo portando in dote al Msi un intero movimento da lui fondato, il Movimento italiano di unità sociale (Mius), «che raccoglieva l'élite direttiva del fascismo». Fu lui a sottolinearlo nella sua storia del Movimento sociale italiano, scritta con Francesco Palamenghi-Crispi nel 1958. Non proprio, dunque, come si vorrebbe, un'elezione casuale. Sul terrorismo delle Sam (Squadre d'azione Mussolini) e dei Far (Fasci di azione rivoluzionaria), che precedettero e accompagnarono la fase iniziale del Msi, in buona parte composti e diretti dagli stessi missini, non una sola parola. Eppure gli attentati dinamitardi furono innumerevoli, spesso tutt'altro che dimostrativi, con tanto di morti e feriti. Ma siamo solo agli inizi. Tutta la vita politica di Almirante e del Msi viene, infatti, nel complesso collocata in un contesto volutamente depurato da tutti quegli elementi che potrebbero contraddire una ricostruzione di comodo. Si cita più volte l'importante lavoro di Giuseppe Parlato "Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948", edito dal Mulino nel 2006, forse la miglior ricerca su quel periodo da parte di uno storico di destra, ma, ad esempio, si tralascia clamorosamente di riprenderne la parte essenziale, minuziosamente documentata anche con carte tratte dagli archivi americani, relativa agli intensi rapporti intercorsi tra i dirigenti neofascisti, Pino Romualdi in testa, e i servizi segreti americani che appoggiarono, anche economicamente, e favorirono in chiave anticomunista la nascita del Msi. Una tessitura di contatti avviata ancor prima della fine della guerra, che consentì allo stesso Romualdi, il 27 aprile 1945, di scampare a fucilazione certa. Queste le conclusioni di Giuseppe Parlato: «Da lì discendono una serie di legami che consentono di leggere la nascita del Msi in modo totalmente diverso: non un movimento di reduci, ma una forza atlantica e nazionale nel quadro della Guerra Fredda» (dall'intervista rilasciata a Simonetta Fiori apparsa su La Repubblica del 9 novembre 2006). Nulla di tutto ciò, neanche un cenno, nel libro di Vincenzo La Russa. Un approccio teso, il suo, da un lato a rileggere, all'opposto, il neofascismo italiano come un'area posta ai margini della vita politica e vessata dalla violenza comunista, mai attraversata da spinte eversive, frustrata nei suoi tentativi di inserimento nel sistema anche a causa del peso che vi ebbero i nostalgici del fascismo repubblichino (in ciò una critica) come Almirante, comunque conquistati al metodo democratico, dall'altro lato, a cercare di "salvare" proprio questa figura da ogni sospetto riguardo alla sua buona fede democratica, non si capisce bene quando acquisita. Forse da sempre.Che la Repubblica sociale e il fascismo fossero stati democratici? Il dubbio è lecito. Un esercizio spericolato, in definitiva, che per essere condotto ha bisogno di pesanti manipolazioni storiche. E queste davvero non mancano.In particolare in questa biografia, salvo poche righe su piazza Fontana, sembrerebbe non essere mai esistita la strategia della tensione con le sue stragi nere, in cui rimasero coinvolti e in alcuni casi condannati (si vedano le sentenze definitive per la strage di Peteano del 31 maggio 1972 e per la tentata strage del 7 aprile 1973 sul treno Torino-Roma) proprio quegli esponenti di Ordine nuovo che Giorgio Almirante invitò «lui a rientrare» nel 1969 nel Msi. Ovviamente La Russa omette anche di ricordare il pesante coinvolgimento proprio di Almirante in relazione a Peteano, quando fu rinviato a giudizio per favoreggiamento di Carlo Cicuttini (ex segretario di una sezione missina), latitante in Spagna, al quale fece pervenire 34mila dollari affinché si sottoponesse a un'operazione alle corde vocali per vanificare il suo riconoscimento come autore della telefonata che attirò una pattuglia di carabinieri a Peteano, in provincia di Gorizia, dove aveva predisposto, insieme a Vincenzo Vinciguerra, un'autobomba che esplose all'apertura del cofano. Tre militi rimasero uccisi sul colpo. Carlo Cicuttini fu condannato all'ergastolo. Almirante evitò invece il processo beneficiando dell'amnistia nel febbraio del 1987.
Le premesse poste da Ferrari sono da far accaponare la pelle in quanto questa biografia scritta da uno di parte(fascista)evidenziano dettagli della vita di Almirante senza un piglio storico che è stato condiviso ed appurato da tutti.
Vi sono libri scritti da appartenti alla sinistra o dalla destra che trattano di compagni e camerati o viceversa che sono obiettivi e che seguono una linea logica storica che è quella e che non si cambia,poi le argomentazioni e le interpretazioni personali sono dettate da ciò che uno pensa e con cui si identifica.
Invece questo libro oltre che essere pieno di falsi storici omette dei documenti e degli episodi che sono errori-orrori macroscopici che basterebbe documentarsi un attimo per evitare pessime figure all'autore ed alla categoria degli scrittori(quelli veri).
Due esempi su tutti che riporto e riprendo grazie pure alle ultime due foto sono l'omissione del comunicato con il bando di fucilazione per i partigiani firmato da Almirante nel maggio del 1944 e la foto che ritrae il vecchio fascista assieme alle squadracce di picchiatori neri organizzate dalla sua persona di merda durante gli scontri avvenuti nel 1968 all'Università romana de La Sapienza(nel libro la didascalia dice che Almirante viene aggredito dagli studenti comunisti).
Il testo del comunicato lo propongo appena prima dell'altra foto dove il suo pupillo Gianfranco Fini con tanto di saluto romano,attuale presidente della Camera,il suo delfino fascistissimo che però ora sembra aver abbassato le ali ma lo fa solamente per la carica istituzionale che ricopre(un poco come le sparate di Bertinotti quando era seduto sullo stesso scrannio).
Almirante,come si potrà evincere dall'articolo,fu uno dei più grandi bastardi del periodo fascista e anche nel dopoguerra dopo aver fondato il Movimento (anti)Sociale Italiano mantenne alto e fiero il suo essere fascista e razzista...un grande italiano,un esempio da seguire...scriveva nei suoi manifesti AN solo l'anno scorso.
Evidentemente uno che affermava che:«Noi vogliamo essere, e ci vantiamo di essere, cattolici e buoni cattolici. Ma la nostra intransigenza non tollera confusioni di sorta […] Nel nostro operare di italiani, di cittadini, di combattenti – nel nostro credere, obbedire, combattere – noi siamo esclusivamente e gelosamente fascisti. Esclusivamente e gelosamente fascisti noi siamo nella teoria e nella pratica del razzismo»(da Wikipedia)era di certo un buon modello per tutti quelli che ora sono confluiti nel PDL del cazzo.
Almirante è stato un gran figlio di puttana e tutte le volte che vedo sua moglie Donna Assunta mi fa schifo come nella televisione di regime si possa mettere su un piedistallo ed elogiare un bastardo razzista ed assassino,che crepi anche lei e quella gran troia di Alessandra Mussolini che spesso appaiono in coppia sulle reti MediaRai.
Ecco il testo del comunicato di cui sopra:
« PREFETTURA DI GROSSETO
UFFICIO DI P. S. IN PAGANICO
COMUNICATO
Si riproduce testo del manifesto lanciato agli sbandati a seguito del decreto del 10 Aprile.
"Alle ore 24 del 25 Maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande. Entro le ore 24 del 25 Maggio gli sbandati che si presenteranno isolatamente consegnando le armi di cui sono eventualmente in possesso non saranno sottoposti a procedimenti penali e nessuna sanzione sarà presa a loro carico secondo quanto è previsto dal decreto del 18 Aprile. I gruppi di sbandati qualunque ne sia il numero dovranno inviare presso i comandi militari di Polizia Italiani e Tedeschi un proprio incaricato per prendere accordi per la presentazione dell'intero gruppo e per la consegna delle armi. Anche gli appartenenti a questi gruppi non saranno sottoposti ad alcun processo penale e sanzioni. Gli sbandati e gli appartenenti alle bande dovranno presentarsi a tutti i posti militari e di Polizia Italiani e Germanici entro le ore 24 del 25 maggio. Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena. Vi preghiamo curare immediatamente affinché testo venga affisso in tutti i Comuni vostra Provincia."
p. il Ministro Mezzasoma-Capo Gabinetto
GIORGIO ALMIRANTE
Dalla Prefettura 17 Maggio 1944 - XXII »
Incredibile Almirante.
La biografia di Vincenzo La Russa, fratello del ministro Ignazio, santifica il leader del Msi. Tacendo sul bando contro i partigiani e sdoganando Salò. Una revisione piena di errori e omissioni sugli anni '60 e '70.
Sono tali e tanti i silenzi, le reticenze e le omissioni nella biografia di Giorgio Almirante curata da Vincenzo La Russa ("Giorgio Almirante. Da Mussolini a Fini", Mursia, pag. 247, 17 euro), che potrebbe addirittura sorgere il sospetto che si stia parlando di un'altra persona. Davvero scoperto e grossolano appare il tentativo, tutto politico, di santificare il leader del neofascismo italiano, in spregio alle conoscenze storiche pacificamente acquisite. Dopo poche pagine iniziali in cui si concentrano le origini familiari e i primi passi compiuti da giornalista al seguito di Telesio Interlandi (un autentico invasato razzista nei confronti del quale Almirante manterrà sempre «stima e devozione»), prima al quotidiano Tevere e poi come segretario di redazione al quindicinale La difesa della razza, si passa subito a narrare del ruolo svolto dal settembre 1943 in veste di capo di gabinetto di Fernando Mezzasoma al ministero della Cultura popolare nella Rsi. Circostanza che viene presentata come frutto di un incontro del tutto fortuito a Roma con lo stesso Mezzasoma. Così la sua elezione a segretario nazionale del Msi nel giugno 1947, raccontata come un accidente non previsto, avvenuta a pochi mesi dalla costituzione della formazione politica da parte di un gruppo di nostalgici della Repubblica di Salò, che lo innalzarono a tale carica essendo loro ben più compromessi con il passato ventennio o addirittura latitanti. È il caso di Pino Romualdi, la più importante figura del neofascismo di quel periodo, costretto a operare dalla clandestinità. In realtà Almirante, come ricorderà egli stesso anni dopo, giunse a questo ruolo portando in dote al Msi un intero movimento da lui fondato, il Movimento italiano di unità sociale (Mius), «che raccoglieva l'élite direttiva del fascismo». Fu lui a sottolinearlo nella sua storia del Movimento sociale italiano, scritta con Francesco Palamenghi-Crispi nel 1958. Non proprio, dunque, come si vorrebbe, un'elezione casuale. Sul terrorismo delle Sam (Squadre d'azione Mussolini) e dei Far (Fasci di azione rivoluzionaria), che precedettero e accompagnarono la fase iniziale del Msi, in buona parte composti e diretti dagli stessi missini, non una sola parola. Eppure gli attentati dinamitardi furono innumerevoli, spesso tutt'altro che dimostrativi, con tanto di morti e feriti. Ma siamo solo agli inizi. Tutta la vita politica di Almirante e del Msi viene, infatti, nel complesso collocata in un contesto volutamente depurato da tutti quegli elementi che potrebbero contraddire una ricostruzione di comodo. Si cita più volte l'importante lavoro di Giuseppe Parlato "Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948", edito dal Mulino nel 2006, forse la miglior ricerca su quel periodo da parte di uno storico di destra, ma, ad esempio, si tralascia clamorosamente di riprenderne la parte essenziale, minuziosamente documentata anche con carte tratte dagli archivi americani, relativa agli intensi rapporti intercorsi tra i dirigenti neofascisti, Pino Romualdi in testa, e i servizi segreti americani che appoggiarono, anche economicamente, e favorirono in chiave anticomunista la nascita del Msi. Una tessitura di contatti avviata ancor prima della fine della guerra, che consentì allo stesso Romualdi, il 27 aprile 1945, di scampare a fucilazione certa. Queste le conclusioni di Giuseppe Parlato: «Da lì discendono una serie di legami che consentono di leggere la nascita del Msi in modo totalmente diverso: non un movimento di reduci, ma una forza atlantica e nazionale nel quadro della Guerra Fredda» (dall'intervista rilasciata a Simonetta Fiori apparsa su La Repubblica del 9 novembre 2006). Nulla di tutto ciò, neanche un cenno, nel libro di Vincenzo La Russa. Un approccio teso, il suo, da un lato a rileggere, all'opposto, il neofascismo italiano come un'area posta ai margini della vita politica e vessata dalla violenza comunista, mai attraversata da spinte eversive, frustrata nei suoi tentativi di inserimento nel sistema anche a causa del peso che vi ebbero i nostalgici del fascismo repubblichino (in ciò una critica) come Almirante, comunque conquistati al metodo democratico, dall'altro lato, a cercare di "salvare" proprio questa figura da ogni sospetto riguardo alla sua buona fede democratica, non si capisce bene quando acquisita. Forse da sempre.Che la Repubblica sociale e il fascismo fossero stati democratici? Il dubbio è lecito. Un esercizio spericolato, in definitiva, che per essere condotto ha bisogno di pesanti manipolazioni storiche. E queste davvero non mancano.In particolare in questa biografia, salvo poche righe su piazza Fontana, sembrerebbe non essere mai esistita la strategia della tensione con le sue stragi nere, in cui rimasero coinvolti e in alcuni casi condannati (si vedano le sentenze definitive per la strage di Peteano del 31 maggio 1972 e per la tentata strage del 7 aprile 1973 sul treno Torino-Roma) proprio quegli esponenti di Ordine nuovo che Giorgio Almirante invitò «lui a rientrare» nel 1969 nel Msi. Ovviamente La Russa omette anche di ricordare il pesante coinvolgimento proprio di Almirante in relazione a Peteano, quando fu rinviato a giudizio per favoreggiamento di Carlo Cicuttini (ex segretario di una sezione missina), latitante in Spagna, al quale fece pervenire 34mila dollari affinché si sottoponesse a un'operazione alle corde vocali per vanificare il suo riconoscimento come autore della telefonata che attirò una pattuglia di carabinieri a Peteano, in provincia di Gorizia, dove aveva predisposto, insieme a Vincenzo Vinciguerra, un'autobomba che esplose all'apertura del cofano. Tre militi rimasero uccisi sul colpo. Carlo Cicuttini fu condannato all'ergastolo. Almirante evitò invece il processo beneficiando dell'amnistia nel febbraio del 1987.
Del bando rinvenuto nel giugno 1971 in un comune della provincia di Arezzo, firmato il 17 maggio 1944 dal capo di gabinetto Giorgio Almirante per conto del ministro Mezzasoma, in cui si minacciavano «gli sbandati» e gli appartenenti alle bande partigiane di «fucilazione nella schiena», che suscitò nel Paese una forte ondata di sdegno, Vincenzo La Russa ne parla come di un semplice e dovuto adempimento burocratico. Come se Almirante fosse stato a Salò un semplice passacarte, quando invece collaborava con uno dei più fanatici ministri di Mussolini, e secondo diverse testimonianze era chiamato «il prete nazista» proprio dagli altri componenti del gabinetto per il suo acceso estremismo e il furore con cui si scagliava contro ogni pietismo.Ma è proprio riguardo al nodo della violenza, «lui non incitava certo», che forse sarebbe il caso di ricordare a La Russa il famoso comizio di Almirante a Firenze, il 4 giugno 1972, in cui il segretario del Msi proclamò che i giovani di destra erano «pronti allo scontro frontale con i comunisti», e ancor prima la famosa intervista al settimanale tedesco Der Spiegel, il 10 dicembre 1969, solo due giorni prima della strage di piazza Fontana, dove il segretario missino confessò che «le organizzazioni giovanili fasciste si preparano alla guerra civile... tutti i mezzi sono giustificati per combattere i comunisti... misure politiche e militari non sono più distinguibili». Non male come "pacificatore".Di diversi episodi degli anni Settanta Vincenzo La Russa fa poi letteralmente strazio. Ricostruisce l'uccisione dell'agente Antonio Marino, avvenuta a Milano il 12 aprile 1973, nel corso di scontri provocati da una manifestazione missina, inventandosi di sana pianta la dinamica dei fatti. Non fu, infatti, mai lanciata una bomba contro alcuna camionetta di polizia, ma ben tre per colpire i cordoni degli agenti. Il poliziotto Marino morì perché raggiunto in pieno petto da una di queste e non perché esplose il tascapane con i candelotti lacrimogeni, che per altro non portava. Sarebbe bastato a La Russa leggere seppur sommariamente gli atti giudiziari o più semplicemente chiedere informazioni ai suoi fratelli, Ignazio e Romano, presenti alla manifestazione. Romano fu anche fermato dopo gli incidenti.Sempre secondo l'autore, e qui siamo davvero oltre ogni limite, nell'aprile del 1975 «il giovane milanese Claudio Varalli» sarebbe stato addirittura «ucciso da estremisti di sinistra» (pag. 173, leggere per credere). Si potrebbe pensare a uno svarione, dato che Varalli militava nel Movimento lavoratori per il socialismo e che per il delitto fu condannato Antonio Braggion di Avanguardia nazionale. Ma solo poche righe più sotto troviamo scritto che nello stesso anno, a giugno, «Alceste Campanile, militante di Lotta continua, viene trovato ucciso (si scoprirà dopo che il delitto era maturato nell'ambiente dell'estrema sinistra)».Vale la pena di ricordare che l'assassino reo confesso di Alceste Campanile si chiama Paolo Bellini, ex militante di Avanguardia nazionale poi finito come killer al servizio di grandi organizzazioni criminali. Un caso ormai risolto da diversi anni. Noi non sappiamo da dove Vincenzo La Russa tragga le proprie informazioni. Qui non si tratta di spulciare polverosi archivi o di impegnarsi in estenuanti e difficili inchieste. Basterebbe a volte solo leggere i giornali.Anche relativamente alle fotografie allegate al volume va citata una perla. In una di queste, a un certo punto, si ritrae Giorgio Almirante a Roma, il 16 marzo 1968, su una scalinata dell'Università La Sapienza, circondato da giovani con bastoni. La didascalia recita: «Almirante viene aggredito da alcuni studenti». L'episodio, che Vincenzo La Russa si guarda bene dal commentare, è relativo alla spedizione di circa trecento mazzieri missini, arrivati da tutta Italia, più qualche decina di bulgari reclutati al campo profughi di Latina, guidati proprio da Almirante e Giulio Caradonna, che tentarono di sgomberare a forza alcune facoltà occupate. Una vicenda notissima, immortalata da centinaia di fotografie e più di un filmato, che ritrassero per altro Almirante sorridente attorniato dai suoi squadristi con tanto di mazze, spranghe e catene. Lui che «non incitava alla violenza». Finì semplicemente male. Gli studenti di sinistra si difesero e il nostro fu costretto a battere in ritirata protetto dalle forze di polizia. Tra i circa 160 fascisti fermati quel giorno figureranno, tra l'altro, anche i nomi di Mario Merlino e Stefano Delle Chiaie.Una biografia, in conclusione, per molti versi inservibile. Forse non l'avrebbe apprezzata neanche Giorgio Almirante. Sarebbe stato davvero difficile riconoscersi anche per lui.
giovedì 20 agosto 2009
GLI ARTIGLI DEL GATTO
Quest'anno in maniera molto più decisa e autoritaria la giunta comunale di Brescia minaccia seriamente la possibilità che la festa di Radio Onda d'Urto abbia un futuro già dal prossimo anno visto che già da qualche tempo lotta contro questa manifestazione che richiama migliaia di persone da tutta la Lombardia e dalle regioni più vicine.
I pretesti sono ridicoli e verranno elencati nell'articolo che propongo tratto dal comunicato ufficiale di ROU appena sotto alla foto della repressione che ci riporta ad un manifesto dei tempi del fascismo:infatti oggi come ieri chi lavora per la radio e per la festa è visto come un bandito e un ribelle.
La festa che si tiene da diciotto anni ha già cambiato sede nel corso del tempo ma la giunta attuale ha deciso che questa manifestazione non s'ha più da fare,nè a S.Eufemia nè in zona indistriale o in altri luoghi della città.
La Radio sopravvive economicamente quasi esclusivamente con gli introiti che si riescono a fare in queste due settimane d'agosto ed il regime prevede a ragione che senza questi guadagni anche la voce libera di ROU taccia per sempre.
Per ultimo da segnalare anche le dichiarazioni del sindacato Coisp della polizia per voce di Rocco Disogra segretario nazionale,che reputa la festa un costo inutile per la comunità quando per me è la stessa esistenza della sbirraglia un insulto all'umanità intera,altro che aumentargli gli stipendi a queste merde che camminano in divisa.
Solo che stanno facendo i conti senza l'oste poichè la realtà bresciana,supportata da tutti i movimenti antagonisti del nord Italia e nazionali la pellaccia la vende a caro prezzo e senza lottare qua non fa un passo indietro nessuno.
Per questo bisogna firmare l'appello che i volontari dell'evento ci propongono all'interno della festa per fare vedere che siamo in tanti e che uniti e coesi il sindaco,la giunta e tutta la gente che vuole far tacere la radio e smantellare definitivamente la festa a noi ci fanno un baffo.
Il gatto incazzato tira fuori gli artigli e graffia!
Era prevedibile. I despoti della citta' non possono tollerare che esista una voce critica ed irriducibilmente libera, sempre pronta a dare battaglia in difesa dei diritti di tutti, a denunciare pubblicamente i soprusi e le discriminazioni razziste perpetrati dalla giunta. Con una breve nota ci hanno comunicato che dall'anno prossimo non sara' più disponibile l'area-feste, sita nella zona di via Serenissima, che utilizziamo da 3 anni.
Non potendo più ricorrere a ridicoli pretesti per ostacolarne lo svolgimento (i presunti e inesistenti disturbi acustici, i rifiuti abbandonati nell'area circostante ecc), l'amministrazione ha deciso di toglierci lo spazio per la festa; non perche' servira' per altri scopi (anche se proveranno ad inventarseli) ma perche' in questo modo cercheranno di sostenere che non esistono altre aree alternative idonee ad ospitare un evento come il nostro.
Il loro obiettivo e' chiaro: vogliono impedire la festa, che e' la nostra principale fonte di autofinanziamento, per mettere a tacere Radio Onda d'Urto e allo stesso tempo per cercare di cancellare l'antagonismo e l'opposizione sociale in citta' colpendo anche tutte le realta' presenti con i propri stand alla festa: i sindacati di base, il centro sociale Magazzino 47 e il 28 maggio, le associazioni autorganizzate degli immigrati. Altro che liberali e moderati! come amano definirsi sindaco e assessori. Dietro questa maschera si intravede il ghigno feroce dei tiranni, dei censori, di chi mira a distruggere le espressioni di dissenso. Non sono soddisfatti di governare a tutti i livelli, di occupare ogni posto di potere (vedi vicenda A2A); vogliono fare terra bruciata, eliminando anche una realta' come la radio che e' un patrimonio collettivo di 24 anni di storia, di varie generazioni di compagni, di molte centinaia di sostenitori, di decine di migliaia di ascoltatori.
Non possiamo lasciarli fare, dobbiamo fermarli con un'ampia e intensa mobilitazione!
Cominceremo proprio dalla festa di quest'anno, con una raccolta di firme. Chiediamo a tutte le persone che frequentano e apprezzano la nostra festa di firmare un appello per chiedere che ci venga concessa l'area di via Serenissima anche per gli anni a venire o in alternativa che ne sia trovata un'altra, realmente adeguata ad ospitare la nostra manifestazione; anche se non condividete la nostra posizione politica, vi invitiamo a difendere una festa che e' anche vostra, in quanto partecipatissimo momento di aggregazione, di musica, di socialita'.
Poi in autunno apriremo una dura e conflittuale vertenza per riavere l'area e per difendere il nostro diritto di continuare a trasmetteree di avere un modo di pensare diverso da chi comanda.
La festa di quest'anno sara' fondamentale per l'autofinanziamento della radio anche in considerazione di quanto scritto sopra. Nello scenario politico attuale, dominante sia a livello nazionale che locale, diventa di importanza vitale la presenza di una realta' anomala della comunicazione, non affetta da atteggiamenti di sudditanza nei confronti del potere, realmente libera dai condizionamenti politici e del mercato; irriverente e ribelle verso lo stato di cose esistente. Ne hanno bisogno i movimenti, per amplificare e valorizzare le proprie istanze e pratiche di lotta ma ne hanno bisogno anche tutte le persone che vogliono conoscere e comprendere criticamente gli avvenimenti e il mondo che ci circonda senza le lenti deformanti e le manipolazioni dei massmedia omologati o asserviti.
Dobbiamo arrivare preparati, il prossimo autunno, alla lotta decisiva per il futuro della radio; privi di difficolta' finanziarie, per poter impiegare tutte le nostre forze nella conquista del diritto di esistere, cioe' del diritto di poter organizzare il nostro evento estivo di autofinanziamento, indispensabile per coprire le spese di gestione della radio. La festa di quest'anno, pertanto, manterra' in buona parte le caratteristiche di festa popolare con spettacoli e concerti a ingresso con sottoscrizione simbolica ma in alcune serate assumera' anche la dimensione di festival musicale, con grandi concerti che richiederanno una sottoscrizione più impegnativa anche se largamente inferiore ai prezzi di mercato. Dalle 23.15 fino a notte fonda la festa sara' come sempre a ingresso libero.
Siamo certi che comprenderete questa scelta e che anche quest'anno parteciperete numerosissimi, facendoci sentire il vostro attaccamento alla radio.
Infine, un ricordo. Negli ultimi giorni di maggio ci hanno lasciato due cari volontari della festa: Piera ed Albi.
Ci mancherete tremendamente. La festa di quest'anno sara' dedicata a voi.
Alberto, che immerge le sue grandi mani nel colore della vernice, per estrarre dalla notte la melodia frenetica e travolgente che si svela nella profondita' del suo immenso sorriso. Occhi ingenui da bambino, nella ricerca di una propria strada per il bisogno di lottare, senza mai perdere la voglia di ridere, anche nella fioca luce di una stanza, in inverno durante le assemblee del Collettivo Studenti in Lotta "... lotta e allegria. Tu eri entrambe le cose".
Ma trovava se stesso nella strada, in un muro che immergeva nel vibrante suono di una bomboletta. Alberto e i suoi rasta neri ed il reggae, ma anche degli occhiali da vista, un buffo crestino, dei nodi spettinati e una bicicletta senza freni...
Pochi mesi or sono si e' spenta Piera, compagna, amica dall'ineguagliabile generosita'. Il silenzio della notte l'ha consegnata troppo presto ai ricordi e, nel frastuono della sua mancanza, continuiamo a camminarle accanto. Incomparabile regista organizzativa, moderna amazzone del pragmatismo, desueta normalita,' protagonista del quotidiano, ci mancherai.
E se anche dovessimo – tra scontate complicazioni – riuscire a surrogare la tua impareggiabile operosita', mai riusciremo a obliare il tuo sguardo che ci timonava nei goffi tentativi di pervenire grandi.
Il sole continuera' a sorgere da queste parti, ma come pesano certi tramonti …
I pretesti sono ridicoli e verranno elencati nell'articolo che propongo tratto dal comunicato ufficiale di ROU appena sotto alla foto della repressione che ci riporta ad un manifesto dei tempi del fascismo:infatti oggi come ieri chi lavora per la radio e per la festa è visto come un bandito e un ribelle.
La festa che si tiene da diciotto anni ha già cambiato sede nel corso del tempo ma la giunta attuale ha deciso che questa manifestazione non s'ha più da fare,nè a S.Eufemia nè in zona indistriale o in altri luoghi della città.
La Radio sopravvive economicamente quasi esclusivamente con gli introiti che si riescono a fare in queste due settimane d'agosto ed il regime prevede a ragione che senza questi guadagni anche la voce libera di ROU taccia per sempre.
Per ultimo da segnalare anche le dichiarazioni del sindacato Coisp della polizia per voce di Rocco Disogra segretario nazionale,che reputa la festa un costo inutile per la comunità quando per me è la stessa esistenza della sbirraglia un insulto all'umanità intera,altro che aumentargli gli stipendi a queste merde che camminano in divisa.
Solo che stanno facendo i conti senza l'oste poichè la realtà bresciana,supportata da tutti i movimenti antagonisti del nord Italia e nazionali la pellaccia la vende a caro prezzo e senza lottare qua non fa un passo indietro nessuno.
Per questo bisogna firmare l'appello che i volontari dell'evento ci propongono all'interno della festa per fare vedere che siamo in tanti e che uniti e coesi il sindaco,la giunta e tutta la gente che vuole far tacere la radio e smantellare definitivamente la festa a noi ci fanno un baffo.
Il gatto incazzato tira fuori gli artigli e graffia!
Era prevedibile. I despoti della citta' non possono tollerare che esista una voce critica ed irriducibilmente libera, sempre pronta a dare battaglia in difesa dei diritti di tutti, a denunciare pubblicamente i soprusi e le discriminazioni razziste perpetrati dalla giunta. Con una breve nota ci hanno comunicato che dall'anno prossimo non sara' più disponibile l'area-feste, sita nella zona di via Serenissima, che utilizziamo da 3 anni.
Non potendo più ricorrere a ridicoli pretesti per ostacolarne lo svolgimento (i presunti e inesistenti disturbi acustici, i rifiuti abbandonati nell'area circostante ecc), l'amministrazione ha deciso di toglierci lo spazio per la festa; non perche' servira' per altri scopi (anche se proveranno ad inventarseli) ma perche' in questo modo cercheranno di sostenere che non esistono altre aree alternative idonee ad ospitare un evento come il nostro.
Il loro obiettivo e' chiaro: vogliono impedire la festa, che e' la nostra principale fonte di autofinanziamento, per mettere a tacere Radio Onda d'Urto e allo stesso tempo per cercare di cancellare l'antagonismo e l'opposizione sociale in citta' colpendo anche tutte le realta' presenti con i propri stand alla festa: i sindacati di base, il centro sociale Magazzino 47 e il 28 maggio, le associazioni autorganizzate degli immigrati. Altro che liberali e moderati! come amano definirsi sindaco e assessori. Dietro questa maschera si intravede il ghigno feroce dei tiranni, dei censori, di chi mira a distruggere le espressioni di dissenso. Non sono soddisfatti di governare a tutti i livelli, di occupare ogni posto di potere (vedi vicenda A2A); vogliono fare terra bruciata, eliminando anche una realta' come la radio che e' un patrimonio collettivo di 24 anni di storia, di varie generazioni di compagni, di molte centinaia di sostenitori, di decine di migliaia di ascoltatori.
Non possiamo lasciarli fare, dobbiamo fermarli con un'ampia e intensa mobilitazione!
Cominceremo proprio dalla festa di quest'anno, con una raccolta di firme. Chiediamo a tutte le persone che frequentano e apprezzano la nostra festa di firmare un appello per chiedere che ci venga concessa l'area di via Serenissima anche per gli anni a venire o in alternativa che ne sia trovata un'altra, realmente adeguata ad ospitare la nostra manifestazione; anche se non condividete la nostra posizione politica, vi invitiamo a difendere una festa che e' anche vostra, in quanto partecipatissimo momento di aggregazione, di musica, di socialita'.
Poi in autunno apriremo una dura e conflittuale vertenza per riavere l'area e per difendere il nostro diritto di continuare a trasmetteree di avere un modo di pensare diverso da chi comanda.
La festa di quest'anno sara' fondamentale per l'autofinanziamento della radio anche in considerazione di quanto scritto sopra. Nello scenario politico attuale, dominante sia a livello nazionale che locale, diventa di importanza vitale la presenza di una realta' anomala della comunicazione, non affetta da atteggiamenti di sudditanza nei confronti del potere, realmente libera dai condizionamenti politici e del mercato; irriverente e ribelle verso lo stato di cose esistente. Ne hanno bisogno i movimenti, per amplificare e valorizzare le proprie istanze e pratiche di lotta ma ne hanno bisogno anche tutte le persone che vogliono conoscere e comprendere criticamente gli avvenimenti e il mondo che ci circonda senza le lenti deformanti e le manipolazioni dei massmedia omologati o asserviti.
Dobbiamo arrivare preparati, il prossimo autunno, alla lotta decisiva per il futuro della radio; privi di difficolta' finanziarie, per poter impiegare tutte le nostre forze nella conquista del diritto di esistere, cioe' del diritto di poter organizzare il nostro evento estivo di autofinanziamento, indispensabile per coprire le spese di gestione della radio. La festa di quest'anno, pertanto, manterra' in buona parte le caratteristiche di festa popolare con spettacoli e concerti a ingresso con sottoscrizione simbolica ma in alcune serate assumera' anche la dimensione di festival musicale, con grandi concerti che richiederanno una sottoscrizione più impegnativa anche se largamente inferiore ai prezzi di mercato. Dalle 23.15 fino a notte fonda la festa sara' come sempre a ingresso libero.
Siamo certi che comprenderete questa scelta e che anche quest'anno parteciperete numerosissimi, facendoci sentire il vostro attaccamento alla radio.
Infine, un ricordo. Negli ultimi giorni di maggio ci hanno lasciato due cari volontari della festa: Piera ed Albi.
Ci mancherete tremendamente. La festa di quest'anno sara' dedicata a voi.
Alberto, che immerge le sue grandi mani nel colore della vernice, per estrarre dalla notte la melodia frenetica e travolgente che si svela nella profondita' del suo immenso sorriso. Occhi ingenui da bambino, nella ricerca di una propria strada per il bisogno di lottare, senza mai perdere la voglia di ridere, anche nella fioca luce di una stanza, in inverno durante le assemblee del Collettivo Studenti in Lotta "... lotta e allegria. Tu eri entrambe le cose".
Ma trovava se stesso nella strada, in un muro che immergeva nel vibrante suono di una bomboletta. Alberto e i suoi rasta neri ed il reggae, ma anche degli occhiali da vista, un buffo crestino, dei nodi spettinati e una bicicletta senza freni...
Pochi mesi or sono si e' spenta Piera, compagna, amica dall'ineguagliabile generosita'. Il silenzio della notte l'ha consegnata troppo presto ai ricordi e, nel frastuono della sua mancanza, continuiamo a camminarle accanto. Incomparabile regista organizzativa, moderna amazzone del pragmatismo, desueta normalita,' protagonista del quotidiano, ci mancherai.
E se anche dovessimo – tra scontate complicazioni – riuscire a surrogare la tua impareggiabile operosita', mai riusciremo a obliare il tuo sguardo che ci timonava nei goffi tentativi di pervenire grandi.
Il sole continuera' a sorgere da queste parti, ma come pesano certi tramonti …
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