venerdì 27 febbraio 2009

NUCLEARE.GIA' TUTTO DECISO?

Ancora una decisione unilaterale del regime?Vedremo nei prossimi mesi,e comunque sarebbe bello almeno decidere su una questione così importante con un referendum,così come si era scelto più di vent'anni fa.
E invece sembra proprio che la stana coppia Berlusconi-Sarkosy si sia già infognata in una collaborazione italo-francese per la costruzione di centrali nucleari in Italia.
Seguono due articoli "vecchiotti",uno dello scorso luglio edito da "Senza Soste" e l'altro del marzo 2008 tratto da "Repubblica";in entrambe c'è lo zampino di Carlo Rubbia,Nobel per la fisica,mica il primo coglione che passa per strada,interpellato su questioni che conosce in modo eccelso.
Effettivamente se si vuole cercare un'energia alternativa al combustibile fossile,sia che esso sia carbone o petrolio,una delle poche via è lo "sfruttamento" dell'energia solare in primis,perchè anche l'uranio nel tempo sparirà pure lui,e ora che noi potremmo utilizzare l'energia prodotta dalle centrali nucleari nostrane passeranno minimo una decina di anni.
E come Rubbia candidamente dice su come mai non si sia puntato già da decenni sull'energia solare è perchè nessuno è padrone del sole,esso non è soggetto a monopoli.

Nucleare, ultima follia di un paese allo sbando. Tutti i perchè del NO.

La maggior parte del mondo scientifico italiano ha bocciato la riproposizione delle centrali nucleari come soluzione al problema energetico nel nostro paese, ma il Governo è sordo al coro di voci qualificate, tra cui quella del Premio Nobel della Fisica Carlo Rubbia.

Per l'Italia il nucleare non ha senso per numerose ragioni, in particolare tre.
1) E' antieconomico. Il costo dell'energia elettrica prodotta è più caro rispetto a quello dell'energia prodotta attraverso le fonti energetiche tradizionali. L'Italia, infatti, non possedendo riserve di uranio, deve comprarlo sul mercato mondiale, a un prezzo crescente, essendo questa una fonte in via di esaurimento. Inoltre, ci sono gli alti costi di investimento per la costruzione e la gestione dell'impianto.
2) Occorrono tempi lunghi per la costruzione delle centrali nucleari. E' vero che la centrale come suo unico pregio ha quello di non produrre gas di scarico, ma siccome non entra in funzione prima di 8-10 anni, questo non ci risolve il problema di diminuire del 20% i gas serra entro il 2020.
3) Esistono seri limiti nella sicurezza per tre motivi:
a) Tecnologia. Le centrali nucleari oggi possono essere realizzate con alti standard di sicurezza, sempre che si usino le tecniche più avanzate. Ma esiste sempre il rischio che si acquistino centrali obsolete in svendita sul mercato internazionale.
b) Scelta del sito di installazione dell'impianto. Questo dipende dalle condizioni ambientali. La necessità di avere grandi quantità di acqua per il loro raffreddamento obbliga alla localizzazione di questi impianti lungo le coste, ma essendo queste molto popolate e dense di impianti chimici, energetici e ad alto rischio, ne consegue che il problema del sito per il nostro paese risulta essere di impossibile soluzione.
c) Gestione dell'impianto. Richiede alte competenze tecnico-scientifiche e manageriali e l'Italia, essendo il paese europeo con il più alto tasso di morti sul lavoro, non credo possa darci queste garanzie.
Infine, ma non da ultimo, la gestione molto delicata e complessa delle scorie radioattive, problema non ancora risolto a livello mondiale in modo sicuro e definitivo. In un paese come il nostro, dove non si risolve neppure lo smaltimento ecologico dei rifiuti urbani, sarebbe una follia la gestione delle scorie, a meno che si pensi di spedirle sulla luna o nel cosmo, così come una volta proposero gli USA, o nasconderle in qualche paese africano.
Come funziona una centrale nucleare e di cosa ha bisogno per funzionare?
Una centrale nucleare serve fondamentalmente a scaldare acqua, per poi produrre vapore che sarà utilizzato per far girare delle turbine che consentiranno di produrre energia elettrica. Mentre in una centrale termoelettrica l'acqua può essere scaldata dal petrolio o dal metano e domani ce lo auguriamo dal sole, in una centrale nucleare il combustibile è l'Uranio 235, un elemento radioattivo che si trova in natura normalmente in combinazione con l'Uranio 237. Dalle miniere viene estratto un minerale che contiene una bassa percentuale di Uranio 235 (circa lo 0,7%) contro il 99,3% di Uranio 237. Per poter usare in una centrale l'Uranio 235 occorre arricchirlo dallo 0,7% al 3,2% - 3,6 %. Questo procedimento si fa con impianti molto costosi ad alta tecnologia che pochi paesi al mondo possiedono.
Il combustibile (Uranio 235 arricchito) così ottenuto viene messo nel reattore delle centrali nucleari (il nocciolo) e lì viene bombardato con neutroni (piccolissima componente dell'atomo) che sono rallentati da sostanze chiamate moderatori (normalmente grafite). Questo processo di scontro tra neutroni e uranio avviene milioni di volte fino a che si innesca quella che si chiama reazione a catena controllata, cioè rallentata grazie alle barre di moderatore (grafite) che ci permettono di regolare gli urti e quindi la produzione di calore. Il calore scalderà l'acqua in un grande contenitore e questa, producendo vapore, ci consentirà di far girare delle turbine per poi arrivare a produrre energia elettrica.
La reazione a catena produce anche atomi di Plutonio 238. Il plutonio non esiste in natura (se non in tracce) ed è l'elemento artificiale che è decisivo per costruire bombe atomiche.
I pericoli del Plutonio sono incalcolabili. Basti pensare che un milionesimo di grammo di questo elemento è sufficiente per uccidere una persona.
Infine, le scorie radioattive che rimangono dopo l'uso del combustibile nucleare in centrale sono tantissime: Cesio, Stronzio, Cobalto, Americio e lo stesso Plutonio. Tutte sostanze con un lunghissimo tempo di dimezzamento della carica radioattiva, cioè della loro pericolosità cancerogena (per il Plutonio occorrono ben 24.000 anni)
Allora che fare?
Dobbiamo iniziare ad abbandonare i combustibili fossili (il cui utilizzo comporta sempre la produzione di anidride carbonica e quindi l'effetto serra), attivare un processo di diminuzione dei consumi, di risparmio ed efficienza dell'energia, di sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, altrimenti stiamo per raggiungere il punto di non ritorno e il pianeta esploderà o meglio noi imploderemo come specie.

Dino Stimamasse.
Sì al nucleare innovativo con piccole centrali senza uranioMa non esiste un nucleare sicuro o a bassa produzione di scorie.

Rubbia: "Né petrolio né carbonesoltanto il sole può darci energia".

Intervista di Giovanni Valentini.
GINEVRA - Petrolio alle stelle? Voglia di nucleare? Ritorno al carbone? Fonti rinnovabili? Andiamo a lezione di Energia da un docente d'eccezione come Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica: a Ginevra, dove ha sede il Cern, l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare. Qui, a cavallo della frontiera franco-svizzera, nel più grande laboratorio del mondo, il professore s'è ritirato a studiare e lavorare, dopo l'indegna estromissione dalla presidenza dell'Enea, il nostro ente nazionale per l'energia avviluppato dalle pastoie della burocrazia e della politica romana. Da qualche mese, Rubbia è stato nominato presidente di una task-force per la promozione e la diffusione delle nuove fonti rinnovabili, "con particolare riferimento - come si legge nel decreto del ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio - al solare termodinamico a concentrazione". Un progetto affascinante, a cui il premio Nobel si è dedicato intensamente in questi ultimi anni, che si richiama agli specchi ustori di Archimede per catturare l'energia infinita del sole, come lo specchio concavo usato tuttora per accendere la fiaccola olimpica. E proprio mentre parliamo, arriva da Roma la notizia che il governo uscente, su iniziativa dello stesso ministro dell'Ambiente e d'intesa con quello dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, ha approvato in extremis un piano nazionale per avviare anche in Italia questa rivoluzione energetica. Prima di rispondere alle domande dell'intervistatore, da buon maestro Rubbia inizia la sua lezione con un prologo introduttivo. E mette subito le carte in tavola, con tanto di dati, grafici e tabelle.
Il primo documento che il professore squaderna preoccupato sul tavolo è un rapporto dell'Energy Watch Group, istituito da un gruppo di parlamentari tedeschi con la partecipazione di scienziati ed economisti, come osservatori indipendenti. Contiene un confronto impietoso con le previsioni elaborate finora dagli esperti della IEA, l'Agenzia internazionale per l'energia. Un "outlook", come si dice in gergo, sull'andamento del prezzo del petrolio e sulla produzione di energia a livello mondiale. Balzano agli occhi i clamorosi scostamenti tra ciò che era stato previsto e la realtà. Dalla fine degli anni Novanta a oggi, la forbice tra l'outlook della IEA e l'effettiva dinamica del prezzo del petrolio è andata sempre più allargandosi, nonostante tutte le correzioni apportate dall'Agenzia nel corso del tempo. In pratica, dal 2000 in poi, l'oro nero s'è impennato fino a sfondare la quota di cento dollari al barile, mentre sulla carta le previsioni al 2030 continuavano imperterrite a salire progressivamente di circa dieci dollari di anno in anno. "Il messaggio dell'Agenzia - si legge a pagina 71 del rapporto tedesco - lancia un falso segnale agli uomini politici, all'industria e ai consumatori, senza dimenticare i mass media". Analogo discorso per la produzione mondiale di petrolio. Mentre la IEA prevede che questa possa continuare a crescere da qui al 2025, lo scenario dell'Energy Watch Group annuncia invece un calo in tutte le aree del pianeta: in totale, 40 milioni di barili contro i 120 pronosticati dall'Agenzia. E anche qui, "i risultati per lo scenario peggiore - scrivono i tedeschi - sono molto vicini ai risultati dell'EWG: al momento, guardando allo sviluppo attuale, sembra che questi siano i più realistici". C'è stata, insomma, una ingannevole sottovalutazione dell'andamento del prezzo e c'è una sopravvalutazione altrettanto insidiosa della capacità produttiva. Passiamo all'uranio, il combustibile per l'energia nucleare. In un altro studio specifico elaborato dall'Energy Watch Group, si documenta che fino all'epoca della "guerra fredda" la domanda e la produzione sono salite in parallelo, per effetto delle riserve accumulate a scopi militari. Dal '90 in poi, invece, la domanda ha continuato a crescere mentre ora la produzione tende a calare per mancanza di materia prima. Anche in questo caso, come dimostra un grafico riassuntivo, le previsioni della IEA sulla produzione di energia nucleare si sono fortemente discostate dalla realtà.
Che cosa significa tutto questo, professor Rubbia? Qual è, dunque, la sua visione sul futuro dell'energia?
"Significa che non solo il petrolio e gli altri combustibili fossili sono in via di esaurimento, ma anche l'uranio è destinato a scarseggiare entro 35-40 anni, come del resto anche l'oro, il platino o il rame. Non possiamo continuare perciò a elaborare piani energetici sulla base di previsioni sbagliate che rischiano di portarci fuori strada. Dobbiamo sviluppare la più importante fonte energetica che la natura mette da sempre a nostra disposizione, senza limiti, a costo zero: e cioè il sole che ogni giorno illumina e riscalda la terra".
Eppure, dagli Stati Uniti all'Europa e ancora più nei Paesi emergenti, c'è una gran voglia di nucleare. Anzi, una corsa al nucleare. Secondo lei, sbagliano tutti?
"Sa quando è stato costruito l'ultimo reattore in America? Nel 1979, trent'anni fa! E sa quanto conta il nucleare nella produzione energetica francese? Circa il 20 per cento. Ma i costi altissimi dei loro 59 reattori sono stati sostenuti di fatto dal governo, dallo Stato, per mantenere l'arsenale atomico. Ricordiamoci che per costruire una centrale nucleare occorrono 8-10 anni di lavoro che la tecnologia proposta si basa su un combustibile, l'uranio appunto, di durata limitata. Poi resta, in tutto il mondo, il problema delle scorie".
Ma non si parla ormai di "nucleare sicuro"? Quale è la sua opinione in proposito?
"Non esiste un nucleare sicuro. O a bassa produzione di scorie. Esiste un calcolo delle probabilità, per cui ogni cento anni un incidente nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle centrali. Si può parlare, semmai, di un nucleare innovativo".
In che cosa consiste?
"Nella possibilità di usare il torio, un elemento largamente disponibile in natura, per alimentare un amplificatore nucleare. Si tratta di un acceleratore, un reattore non critico, che non provoca cioè reazioni a catena. Non produce plutonio. E dal torio, le assicuro, non si tira fuori una bomba. In questo modo, si taglia definitivamente il cordone fra il nucleare militare e quello civile".
Lei sarebbe in grado di progettare un impianto di questo tipo?
"E' già stato fatto e la tecnologia sperimentata con successo su piccola scala. Un prototipo da 500 milioni di euro servirebbe per bruciare le scorie nucleari ad alta attività del nostro Paese, producendo allo stesso tempo una discreta quantità di energia".
Ora c'è anche il cosiddetto "carbone pulito". La Gran Bretagna di Gordon Brown ha riaperto le sue miniere e negli Usa anche Hillary Clinton s'è detta favorevole...
"Questo mi ricorda la storia della botte piena e della moglie ubriaca. Il carbone è la fonte energetica più inquinante, più pericolosa per la salute dell'umanità. Ma non si risolve il problema nascondendo l'anidride carbonica sotto terra. In realtà nessuno dice quanto tempo debba restare, eppure la CO2 dura in media fino a 30 mila anni, contro i 22 mila del plutonio. No, il ritorno al carbone sarebbe drammatico, disastroso".
E allora, professor Rubbia, escluso il petrolio, escluso l'uranio ed escluso il carbone, quale può essere a suo avviso l'alternativa?
"Guardi questa foto: è un impianto per la produzione di energia solare, costruito nel deserto del Nevada su progetto spagnolo. Costa 200 milioni di dollari, produce 64 megawatt e per realizzarlo occorrono solo 18 mesi. Con 20 impianti di questo genere, si produce un terzo dell'elettricità di una centrale nucleare da un gigawatt. E i costi, oggi ancora elevati, si potranno ridurre considerevolmente quando verranno costruiti in gran quantità".
Ma noi, in Italia e in Europa, non abbiamo i deserti...
"E che vuol dire? Noi possiamo sviluppare la tecnologia e costruire impianti di questo genere nelle nostre regioni meridionali o magari in Africa, per trasportare poi l'energia nel nostro Paese. Anche gli antichi romani dicevano che l'uva arrivava da Cartagine. Basti pensare che un ipotetico quadrato di specchi, lungo 200 chilometri per ogni lato, potrebbe produrre tutta l'energia necessaria all'intero pianeta. E un'area di queste dimensioni equivale appena allo 0,1 per cento delle zone desertiche del cosiddetto sun-belt. Per rifornire di elettricità un terzo dell'Italia, un'area equivalente a 15 centrali nucleari da un gigawatt, basterebbe un anello solare grande come il raccordo di Roma".
Il sole, però, non c'è sempre e invece l'energia occorre di giorno e di notte, d'estate e d'inverno. "D'accordo. E infatti, i nuovi impianti solari termodinamici a concentrazione catturano l'energia e la trattengono in speciali contenitori fino a quando serve. Poi, attraverso uno scambiatore di calore, si produce il vapore che muove le turbine. Né più né meno come una diga che, negli impianti idroelettrici, ferma l'acqua e al momento opportuno la rilascia per alimentare la corrente".
Se è così semplice, perché allora non si fa? "Il sole non è soggetto ai monopoli. E non paga la bolletta. Mi creda questa è una grande opportunità per il nostro Paese: se non lo faremo noi, molto presto lo faranno gli americani, com'è accaduto del resto per il computer vent'anni fa".

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