Dopo il commento di ieri riguardo al risultato italiano ora un piccolo approfondimento per quanto concerne l'intero continente che ha visto come vincitori il Ppe,che nonostante le mazzate subite in Italia ha conquistato la maggioranza dei seggi a Bruxelles.
Appena dietro il Pse che ha perso in vari Stati percentuali molto alte,e l'esempio più limpido si è verificato in Francia che ha visto trionfare il voto populista e xenofobo di Marine Le Pen che ha già contattato tutti gli altri partners nazionalisti,Lega Nord da noi.
Gli altri rappresentanti hanno distacchi percentuali maggiori con rispettivi seggi in egual misura,e mentre l'Adle ha perso qualcosa i verdi sono stabili e la Gue/Ngl ha fatto importanti passi avanti grazie anche al risultato greco che ha visto Syriza di Tsipras il primo partito.
Ora si dovrà vedere se e dove si collocheranno i partiti ed i movimenti,in Italia la fa da padrone il M5 stelle,che non erano presenti alla passata tornata elettorale:se seguiranno l'esempio italiano i pentastellati rimarranno da soli ed isolati come al solito.
I partiti neonazisti hanno avuto un buon risultato frutto del degrado sociale ed economico di molti paesi e non ha riguardato solo le nazioni dell'est europeo ma è diffuso su tutto il continente,ma credo comunque che rimarranno nella minoranza solo per il fatto che il Ppe,seppur di centro destra,di certo non li vorrebbe assieme...,già mal sopportano Berlusconi.
A questo giro elettorale l'Italia ha stravolto il risultato continentale,con il Pd che fa parte del Pse che ha invertito la tendenza generale e che quindi avrà voce grossa nel componimento delle future commissioni e nella decisione delle alte cariche a livello europeo,tenendo ben presente che tra poco più di un mese saremo lo Stato alla guida del semestre europeo.
Articolo preso da Infoaut.
Un’Unione disunita: l’Europa al (non) voto, nella crisi.
Il risultato delle elezioni europee appena conclusesi conferma qualche certezza
e pone alcune domande. L’unico effettivo elemento comune sul piano continentale
sembra essere il rifiuto delle misure di austerity (con l’eccezione
della Germania, che in qualche modo può permettersi politiche differenti
all’interno del suo spazio nazionale). Ma i modi e i contenuti di questo rifiuto
variano notevolmente a seconda delle latitudini e delle longitudini di una
geografia politica che ci riporta l’immagine (e la sostanza) di un’Unione
realizzata su livelli gerarchicamente nettamente ben definiti e contrapposti per
quanto riguarda la divisione della ricchezza e i poteri esercitabili. Si
conferma un’Unione divisa tra Ovest ed Est e tra Sud e Nord.
Se l’astensionismo è il vero protagonista di questa tornata “elettorale”,
esso tocca le punte più alte nell’Europa dell’ex campo socialista, dove le
percentuali del non voto oscillano tra il 60% e l’87%. Percentuali simili si
contano però anche in Portogallo, Gran Bretagna e Paesi Bassi. Guardando la
mappa verrebbe la tentazione di interpretare la geografia del non voto
soprattutto come espressione di un rifiuto direttamente proporzionale alla
distanza dal centro geografico, politico ed economico del Continente. Si tratta
però di contesti troppo differenti: se l’Est e la
finis terrae lusitana
esprimono un rifiuto che è soprattutto una disillusione realistica sul quanto
“non si conta”, l’astensione inglese esprime già da tempo un approccio
anglosassone, come un’America in sedicesimo in cui le classi popolari si sono da
tempo disinteressate alle competizioni elettorali. Probabilmente diverso il
significato dell’astensionismo olandese.
L’altra linea di faglia che attraversa l’Europa è quella che oppone i paesi
del Nord a quelli del Sud, sia sul fronte del voto/astensione che su quello
delle preferenze espresse nell’urna. I paesi mediterranei, quelli che stanno
pagando la crisi, vanno a votare di più (o si astengono di meno) ma le direzioni
del voto sono differenti. In Grecia, come ci si poteva aspettare, Syriza è primo
partito (anche se non vola come molti azzardavano) e Alba Dorata incrementa i
consensi, confermando la realtà di un paese polarizzato e che esprime nell’urna
-da destra (estrema) e da sinistra (radicale) - la critica all’Europa tedesca.
Il dato greco è completato da un astensione che qui vede consistenti fette
attive e militanti, specie nel mondo giovanile-studentesco-metropolitano. In
Spagna il dato dell’astensione è simile alla Francia ma vede un incremento del
voto rispetto al 2009. Se conferma una tendenza europea (popolari seguiti da
social-democratici), questi per la prima volta nella storia post-franchista del
paese non superano insieme il 50%. Incrementano invece i consensi le liste
indipendentiste di sinistra. Si afferma soprattutto la lista “
Podemos”,
attenta alla dimensione mediatica della politica (dal basso e come campo di
scontro anche nel mainstream), nata da alcune componenti emerse dal 15M. Tanto
in Grecia quanto in Spagna le forze più classicamente comuniste si attestano
comunque tra il 6 e il 10%.
L’Italia rappresenta a tutto campo un’anomalia. Tra i grossi paesi
dell’Unione è quello in cui si è votato di più. Da tempo non percorsa da grandi
sommovimenti, ha espresso nel voto grillino la sua protesta contro l’Europa
dell’austerity (un voto che tutti hanno fretta di vedere come flop ma che
stabilizza comunque un significativo 21 %). Il vero risultato è però qui quello
del Partito Democratico e soprattutto dell’affabulatore Renzi, che conferma la
personalizzazione della politica, cifra di quest’era post-moderna (di cui
l’Italia è stata apripista, con Berlusconi prima e grillo poi). Nel voto per
l’ex sindaco di Firenze ci sembra però di scorgere soprattutto un voto, più che
di speranza (come non smettono di cianciare i commentatori del mainstream), di
paura. E’ il voto di chi ha ancora qualcosa da perdere: chi ha qualche
risparmio, chi vive di rendita, chi è ancora (pur miseramente) garantito dal
lavoro salariato dipendente del pubblico impiego. E’ un voto che esprime la
speranza di restare attaccato al treno europeo di una crescita che non arriverà.
C’è una geografia italiana del voto che riproduce in sedicesimo alcuni aspetti
della scala europea: il nord “produttivo” vota di più e vota Renzi, il sud e le
isole votano molto meno, perché non si aspettano molto dal nuovo governo e
intuiscono molto probabilmente da dove passerà l’innovazione e la crescita
renziana.
Il centro e il Nord del continente esprimono il voto della paura che la crisi
porta con sé in termini più nettamente reazionari e anti-europeisti (Regno
Unito, Francia, Danimarca). In Francia contano certamente le promesse mancate
del governo Hollande (i socialisti come difensori del sistema europeo
dell’austerity) e il successo di opinione pubblica conquistato dal movimento
della “
Manif pour tous”. La Francia esprime la disillusione per la
sinistra-sistemica in cui l’Italia spera (e al suo risultato guarda stupidamente
la sinistra colà sconfitta).
Abbiamo qui accennato a pochi linee di lettura, necessariamente semplificanti
e tendenti a leggere delle omogeneità dove c’è soprattutto il frammento, la
dispersione, la differenza irriducibile di tanti contesti nazionali che non
arrivano a fare sistema né tantomeno “unione”. Non sono risultati che fanno ben
pesare e che confermano anzi il fallimento europeo e il suo ripiegamento, la sua
paura di perdere una ricchezza passata e la poca voglia di accettare le sfide
della
mixité, del disastro del Capitalismo e dislocare più avanti la
sfida per il cambiamento. Un’Europa dove, tolte alcune rare eccezioni e sacche
di resistenza, si lotta ancora troppo poco!
A queste tinte fosche, bisogna comunque saper opporre uno sguardo di lungo
respiro che pensa su tempi più lunghi, contraddizioni che si riproporranno con
ancora più forza, consci che le saldezze oggi vantate da chi è parte del sistema
sono invero piuttosto fragili e precarie. Puntando su percorsi di minoranza
consapevole ma a potenziale vocazione maggioritaria. Saper insomma cogliere
l’alba nell’imbrunire.
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