lunedì 6 maggio 2013

UN POSTO IN MENO ALL'INFERNO

Oggi è un giorno in cui molta gente festeggerà la morte di Giulio Andreotti,un elemento(pessimo)che è stato il centro della prima Repubblica e che ha rappresentato il volto dell'Italia all'estero mangiando sulle spalle di un'enormità di persone che hanno sofferto la fame e la povertà nel nome del partito che ha rappresentato per decenni,la famigerata Democrazia Cristiana,ed ora che è arrivata la sua fine provo un leggero senso di benessere.
Perché la fine politica non bastava per un personaggio che come un burattinaio ha tirato i fili della politica italiana per cinquant'anni,colluso con la mafia,condannato ma prescritto,piduista,ladro e corrotto,un essere spregevole che tanto ha fatto male all'Italia.
Il suo fervente anticomunismo che ho sempre paragonato a quello di papa Wojtyla,un altro personaggio che se Dio esistesse farebbe incontrare tra le fiamme dell'inferno,lo ha fatto odiare da milioni di persone che hanno visto,e bene,la sua mano praticamente in tutte le stragi fasciste di Stato oltre che nelle contrattazioni già citate tra Stato e mafia.
L'articolo di Contropiano(http://www.contropiano.org/news-politica/item/16372-e-morto-giulio-andreotti-forse )parla di questo viscido uomo la cui morte forse ha portato un briciolo di giustizia anche se sarebbe stato meglio vederlo marcire in prigione e molto prima...ora che se ne è andato il prossimo della lista è Berlusconi.

E' morto Giulio Andreotti. Forse.

Un lancio dell'agenzia stampa Agi ha riferito per prima che Giulio Andreotti sarebbe morto. A 94 anni. Poi sono anche arrivate le conferme ufficiali.
E' difficile improvvisare un necrologio su un personaggio del genere senza dover ripercorrere la storia dell'Italia repubblicana. E per le coincidenze anche simboliche che costellano la nostra storia, se ne va proprio quando la Repubblica sta per cambiare definitivamente forma.
E' difficile anche fare un paragone con la classe politica attuale, composta per lo più di mezze figure non all'altezza della sua leggendaria gobba. Uno statista, dall'altra parte della barricata, e nemmeno il migliore del suo schieramento. Molto più considerati di lui erano infatti i due "cavalli di razza", Amintore Fanfani e Aldo Moro. Dietro di lui una schiera di terze linee, come Francesco Cossiga, Ciriaco De Mita, Antonio Segni, Mariano Rumor, ecc.
Era certamente un nemico feroce del movimento operaio e dei comunisti in genere (e non faceva certo distinzioni tra "socialismo reale" e le varie eresie degli anni '60-'70. Ma nemmeno lui fece cadere la "discriminante antifascista" fissata dalla Costituzione, anche se ci andò molto vicino in alcuni passaggi parlamentari piuttosto "arditi" per quei tempi. Oggi sembrerebbero normalità, in un parlamento che vede nella stessa maggioranza ex-fascisti ed ex-comunisti (non guardateci male; la tessera del Pci in tasca i D'Alema e i Bersani l'hanno avuta...), sotto la regia dei tecnocrati della Troika e sotto il ricatto quotidiano di un ex-piduista ora loro trainante alleato.
Era certamente il capo della corrente democristiana cui faceva riferimento la Dc siciliana, e quindi la mafia, senza se e senza ma. E quindi era anche la faccia dello Stato che manteneva nel suo cerchio magico anche la criminalità organizzata, in un rapporto sempre conflittuale, ossia "contrattato". E furono i suoi uomini in Sicilia - i Riina e i Salvo - a pagare il prezzo della incapacità, persino di Andreotti, di mantenere i patti fin lì stipulati con Cosa Nostra. Lì avvenne il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, lì crollarono i partiti storici, lì il referente "politico" divenne Silvio Berlusconi. Che proprio su quel passaggio - la nota ancorché segreta "trattativa tra lo Stato e la mafia" - si sia giocato uno scontro durissimo tra presidenza della Repubblica, parlamento uscente e magistratura, è indicativo dell'importanza del tessuto di rapporti che Andreotti per 40 anni aveva gestito con cinismo assoluto e indubbia efficacia. In chiave anticomunista, ovviamente.
Su tutta questa materia, più che la pletora di libri giù pubblicati dai suoi detrattori o difensori, sarà decisivo leggere i suoi diari. Se un Napolitano o altri non vi imporrà sopra il "segreto di Stato".
E proprio qui si rintraccia forse la sua caratteristica peculiare: Andreotti non è mai stato uomo politico di grade visione o di alti ideali, ma un gestore occhiuto e oculato del potere. Nella sua idea della politica il realismo è probabilmente stato il baricentro. Realismo cinico, ripetiamo, per cui "bisogna prender atto di quel che c'è" e giocare con le carte che si hanno in mano. Con trucchi, sgambetti, manovre, e persino qualche omicidio mai a lui in prima persona riconducibile.
Un Mefistofele della politica come "arte del possibile", un calcolatore capace però di passare all'azione. Ma sempre con un'idea chiarissima di chi fossero i nemici. Noialtri, i comunisti. E si capisce perché anche a Washington non abbiano mai smesso di sostenerlo, rappresentando sempre l'alleato migliore, ancorché da trattare con le pinze.

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