Ma questa proposta è davvero un bene per il paese latinoamericano in quanto si avrà la rinazionalizzazione della YPF,l'azienda pubblica argentina che controlla la gestione dei giacimenti petroliferi e del gas naturale e che fu svenduta da Menem agli spagnoli della Repsol dietro al pagamento di tangenti milionarie.
La prima parte del post parla dell'azione del governo in termini tecnici e che porterà lo stato dell'Argentina a detenere il 51% delle azioni e quindi la maggioranza,in modo che gli immensi ricavi di YPF rimangano in casa loro e non vadano in Spagna.
La seconda parte a firma di Gennaro Carotenuto invece sottolinea la potenza predatrice spagnola che crede di essere ancora una potenza coloniale e che di fatto in certi ambiti di certe nazioni lo è ancora ma non per molto come ha fatto capire questa vicenda.
La Spagna,appoggiata dall'Europa e dalle grandi multinazionali mondiali,ha continuato la propria politica di rapina in Argentina e in tutto il Sud America aiutata dal falso neoliberismo creato negli ultimi decenni tanto caro agli Usa e che si è rivelato un boomerang per tutto il sub continente,non solo si è prodigata a succhiare il sangue all'America Latina tramite appropriazioni(indebite)di colossi energetici(ed anche di compagnie aeree e altri settori economici),ma si è resa protagonista in negativo anche nello sputtanamento ambientale con risultati irreversibili.
Un altro link interessante è questo:(http://www.senzasoste.it/le-nostre-traduzioni/ypf-repsol-lambiente-tra-lincudine-argentino-e-il-martello-spagnolo ).
¡Vamos Argentina! Lo Stato espropria le azioni della multinazionale Repsol nell’impresa petrolifera nazionale. Il commento di Gennaro Carotenuto.
Negli anni Novanta la multinazionale spagnola Repsol acquisì la YPF (Yacimientos Petroliferos Fiscales), l’azienda pubblica argentina destinata a occuparsi della gestione dei giacimenti di petrolio e gas naturale di cui il Paese è ricchissimo. Era il periodo del grande saccheggio neoliberista: politici corrotti svendevano a imprese private straniere tutti i settori strategici del Paese latinoamericano (trasporti, comunicazioni, energia, sanità ecc.). I risultati sono noti: l’Argentina sprofondò nel debito e nel 2001 crollò. Il governo, dopo aver ottenuto una forte riduzione del debito (2003) sta cercando di riprendere il controllo delle risorse naturali del Paese: è inconcepibile che la Repsol-YPF abbia utili per miliardi di dollari e il Paese debba importare gas e petrolio. E sembra perfino incredibile che qualcuno abbia mai potuto teorizzare che le risorse naturali di un Paese non debbano essere gestite nell’interesse della popolazione. Eppure, dall’altra parte dell’oceano, l’Unione Europea sta adottando le stesse politiche che hanno portato l’Argentina alla crisi del 2001. Sulla vicenda pubblichiamo la traduzione di un articolo di Página 12 e il commento di Gennaro Carotenuto (red.).
Il Governo propone l'esproprio del 51% delle azioni della Repsol nella YPF e dichiara di interesse pubblico l'autosufficienza nella fornitura di combustibili
Tramite un progetto di legge inviato al Congresso, che oggi stesso entrerà nella Camera alta, l’Esecutivo definisce come "obiettivo prioritario il raggiungimento dell’autosufficienza nella fornitura di idrocarburi, e lo sfruttamento, l’industrializzazione, il trasporto e la commercializzazione" degli stessi, dispone la creazione del Consiglio Federale degli Idrocarburi e la rimozione della totalità dei direttori e sindaci titolari e supplenti dell’impresa. Cristina Kirchner ha affermato che "proseguendo la politica di svuotamento, di scarsità di produzione e di esplorazione, diventeremmo un paese ingestibile, per politiche imprenditoriali e non per mancanza di risorse, dato che siamo il terzo Paese al mondo, dopo la Cina e gli USA., per riserve di gas", ed ha aggiunto che l’anno scorso è stata "la prima volta in 17 anni che l’Argentina ha dovuto importare gas e petrolio". Nello stesso atto, CFK ha confermato che con un Decreto di Necessità e Urgenza il ministro della Pianificazione, Julio De Vido, è stato designato commissario della compagnia, e verrà accompagnato dal viceministro dell’ Economia, Axel Kicillof, che si occuperà degli "aspetti economici e finanziari della gestione". Dopo aver denunciato che nonostante abbia ridotto la produzione la YPF-Repsol aveva duplicato le sue entrate nell’ultimo esercizio, e aver contestato la necessità di importare combustibili per mantenere la produzione nell’agricoltura, nell’allevamento del bestiame e nell’industria, Cristina ha avvertito che nessuno deve aspettarsi reazioni scomposte da parte sua in risposta alle offese che la misura annunciata oggi potrà provocare e ha affermato "sono un Capo di Stato, e non una teppista: si tratta di una politica di recupero della sovranità". Il progetto ufficiale contempla anche che le azioni espropriate non potranno essere vendute senza l’autorizzazione del Parlamento, che avrà bisogno della maggioranza dei due terzi per procedere all’alienazione, "la stessa maggioranza necessaria per modificare la Costituzione".
Prendendo la parola, la Presidente ha affermato di aver presentato il progetto per il recupero della sovranità sugli idrocarburi perché "siamo quasi l’unico Paese del mondo che non gestisce le risorse naturali", ha esposto che dal 1999 al 2011 "l’utile netto della YPF è stato di 16.miliardi e 450 milioni di dollari" e che l’ impresa ha distribuito dividendi per 13 miliardi e 246 milioni di dollari. "Il problema è stato la denazionalizzazione", ha aggiunto.
Inoltre la mandataria ha affermato che il modello scelto per il futuro della YPF "non è di statalizzazione" ma di "recupero della sovranità e del controllo" degli idrocarburi. "Per molti anni in diversi settori dell’economia maneggiati dallo Stato è stato applicato un criterio fazioso, che ha continuato a sostenere che lo Stato era inutile e che solo i privati potevano gestire risorse dello Stato".
In riferimento alle possibili ripercussioni che l’iniziativa potrebbe avere in Spagna, CFK ha assicurato: "questa Presidente non replicherà a nessuna minaccia, non risponderà a nessuna reazione scomposta, non si farà eco della mancanza di rispetto né di frasi insolenti, perché rappresento gli argentini, sono un Capo di Stato, non una teppista”. Si è domandata inoltre se qualcuno l’avesse mai sentita rivendicare qualcosa dalla Spagna in merito allo "scandaloso" svuotamento delle Aerolíneas Argentinas” [1], e ha ricordato “come venivano difesi gli imprenditori spagnoli che ora sono sotto processo in Spagna, tra l’altro per aver frodato il fisco”.
In seguito Cristina ha chiarito che "non abbiamo problemi con i profitti, tuttavia spero che gli utili vengano reinvestiti nel Paese: state certi che se accompagneranno il Paese lavoreremo fianco a fianco”.
Il progetto stabilisce l’esproprio del 51% delle azioni, delle quali lo Stato nazionale deterrà il 26,01% del totale e le province produttrici il 24,99%. Il testo che oggi stesso verrà portato in Senato stabilisce la necessità di garantire lo sviluppo economico e la crescita "equa e sostenibile delle province", e che l’ Esecutivo "vigilerà sulle misure necessarie al raggiungimento degli obiettivi fissati in collaborazione con gli Stati provinciali e con il capitale pubblico e privato, nazionale e internazionale".
Nel Salone delle Donne, la Presidente era accompagnata dal vicepresidente, Amado Boudou; dal presidente della Camera dei Deputati, Julián Dominguez; dal capo di Gabinetto, Juan Manuel Abal Medina; dai ministri della Pianificazione, Julio De Vido; dell’Interno, Florencio Randazzo, e dell’Industria, Débora Giorgi, e dalla maggioranza dei governatori.
NOTA [1] Anche la compagnia di bandiera argentina naturalmente era stata privatizzata. Una prima fase avvenne negli anni ‘90, con l’acquisto della maggioranza delle azioni da parte dell’Iberia, poi dopo la crisi del 2001 la Aerolineas Argentinas passò al Grupo Marsans. L’AA fu portata alla bancarotta e il governo nel 2008 decise la rinazionalizzazione, il che suscitò le reazioni stizzite della “madrepatria”. Oggi però l’AA è in attivo ed ha ottenuto la fine dell’amministrazione straordinaria.
Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=148137 (a questo link è disponibile in spagnolo il testo integrale del disegno di legge)
Traduzione e nota Andrea Grillo
Cristina Fernández de Kirchner ha annunciato ieri l’inizio di un processo che porterà ad una rinazionalizzazione di fatto del 51% della compagnia petrolifera YPF, svenduta da Menem nel 1992 alla spagnola Repsol. Dalla Spagna giungono quasi venti di guerra contro il governo argentino ad occultare da una parte la fragilità e l’incapacità del governo Rajoy ad affrontare la crisi e dall’altra la verità sulla privatizzazione di YPF e sull’azione delle multinazionali iberiche in America latina. Con la memoria di un elefante (che la battuta dispiaccia al Borbone non importa), ricordiamo alcune verità che Madrid non gradisce.
di Gennaro Carotenuto
Molti anni fa, alla metà degli anni novanta, viaggiai da Buenos Aires a Madrid su di un volo Iberia fianco a fianco con un ingegnere petrolifero dell’AGIP. Mi spiegò molte cose su quell’industria e in particolare mi spiegò quella che già allora era la politica di rapina della compagnia petrolifera spagnola Repsol, che aveva beneficiato, pagando milioni di dollari in tangenti, della privatizzazione a prezzo di saldo della compagnia petrolifera nazionale YPF voluta dal governo Menem nel 1992. Mi spiegò dettagli tecnici su come l’Agip interrasse il petrolio estratto in attesa di tempi migliori (il prezzo del greggio all’epoca, prima che il ciclone chavista riattivasse l’OPEC, sotto la presidenza di Alí Rodríguez, era bassissimo) mentre la politica degli spagnoli era seccare fino all’ultima goccia le riserve argentine e poi andare altrove.
È così che Repsol è diventata una delle più importanti compagnie petrolifere al mondo pur battendo la bandiera di un paese che in sé non possiede una goccia di petrolio. Pagando profumate tangenti ai più corrotti dei politici, profittando fino all’ultimo della stagione neoliberale, imponendo patti leonini sul mercato del lavoro, con uno scarsissimo rispetto per l’ambiente, prosciugando materie prime non rinnovabili dei paesi che ahi loro, avevano aperto le porte. Nessuno più di Repsol può essere perciò allergico alle parole con le quali Cristina Fernández de Kirchner ha annunciato il percorso legislativo che porterà al recupero della proprietà pubblica del 51% di YPF (giacimenti petroliferi fiscali): sovranità, beni comuni.
Tra la posizione di Repsol, e le bellicose, volgari (spesso brutalmente maschiliste) dichiarazioni che giungono da Madrid in queste ore contro Cristina Fernández vi è tutta la differenza tra la notte neoliberale del prosciugamento delle risorse (altrui) come se non ci fosse un domani, e la necessità di qualunque paese di recuperare per lo Stato la sovranità su una politica energetica di lungo periodo che il libero mercato impedisce totalmente per le energie non rinnovabili.
Repsol inoltre sottopone in maniera brutale un’evidenza sotto gli occhi di tutti. Negli anni ‘90 Telefónica, compagnia spagnola, aveva imposto nell’Argentina della parità col dollaro, in un regime di finto duopolio con France Telecom, il prezzo per telefonata più caro al mondo. Quando all’alba del 2002, crollato sotto le mobilitazioni popolari del “que se vayan todos” il regime neoliberale, il peso argentino ridusse il suo valore ad un terzo, l’allora primo ministro José María Aznar mise sul primo aereo il suo lobbysta di fiducia, Felipe González. L’ex primo ministro socialista spendeva tutto il suo prestigio per convincere gli argentini che… “ok, svalutate pure, ma a patto che le telefonate più care al mondo le continuiate a pagare in dollari”, di fatto con un ulteriore aumento del 300% per gli svalutati portafogli argentini. Alla fine di quell’estate australe oltre 300.000 famiglie argentine si videro staccare il telefono che non erano più in condizione di pagare a un prezzo di mercato “fuori mercato”.
È tutta così la storia da vampiri delle multinazionali spagnole (ed europee) in America latina, dai disastri ambientali e di servizio commessi dall’idroelettrica Unión Fenosa a quelli di Iberia con Aerolíneas Argentinas, la miglior compagnia aerea del sud del mondo che fu comprata solo per essere completamente svuotata da Iberia. Nel 2006 l’allora presidente Néstor Kirchner dovette espropriare la multinazionale francese Suez che da mesi sapeva perfettamente di star fornendo acqua da bere inquinata alle case di quasi un milione di argentini. È questo il modello, lo stesso che ha fatto accumulare alla sola Texaco, nel solo piccolo Ecuador un debito per danni ambientali per 700 miliardi di dollari.
Eppure in quello di YPF come in ogni altro caso la ricostituzione della sovranità dei paesi del Sud del mondo (in Argentina è successo con la compagnia aerea, con le poste, con i fondi pensione e la salute) comporta sempre la stessa risposta: populismo, socialismo, antimercato, antidemocratico. Sarebbe invece democratico per gli europei imporre di pagare le telefonate più care al mondo, democratico far bere acqua inquinata, democratico svuotare imprese, licenziare decine di migliaia di lavoratori (o licenziarli al venerdì e riassumerli al lunedì a metà stipendio), trattare interi paesi come dei fazzoletti usa e getta, prosciugarli e buttarli via.
Resta un’addenda. Il miracolo di lungo corso dei quali gli spagnoli vanno tanto orgogliosi, e che qualcuno ascrive perfino ad una presunta buona semina franchista, che in pochi anni ha creato un quinto paese grande e ricco in Europa Occidentale, aveva i piedi d’argilla ma soprattutto un’etica debolissima. Il miracolo spagnolo è stato dovuto essenzialmente a due fattori. Da una parte un eccellente uso dei fondi di coesione europei, un piano Marshall del quale nessuno come la Spagna ha saputo beneficiare e che l’Italia nel nostro Sud ha sprecato. Dall’altro la Spagna democratica ha liberato le sue energie economiche soprattutto tornando ad esercitare una politica di rapina in America Latina. La Spagna è il paese che più si arricchì dal trentennio di distruzione neoliberale delle società d’oltreatlantico. Le multinazionali iberiche, da Repsol a Telefónica, sopravanzano perfino gli Stati Uniti nel continuo esercizio di corruzione e lobby. È questo il contesto nel quale i governi integrazionisti latinoamericani stanno ricostituendo da un decennio la sovranità della regione, affrontando mille difficoltà in pace, democrazia e riducendo ovunque gli agghiaccianti parametri di povertà e disagio sociale che la notte neoliberale aveva lasciato. Se volete chiamateli populisti e antidemocratici. Se ne giovano.
tratto da www.gennarocarotenuto.it
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